PARTE PRIMA
Chiacchiero sempre di cucina, e di quanto faccia bene alla vita e all’umore, e del fatto che ha il potere di portare la tranquillità davanti alle stranezze. È un'abilità manuale e artigianale, che ti costringe a pensare in maniera diversa da come pensi abitualmente, qualunque cosa tu faccia di lavoro, o per riempire le tue giornate. Cucinare è una parentesi che ti aiuta a spegnere il cervello. Cucinare ti cura.
Sam Sifton
Pagina Romanzo
San Francisco, 2017
Il giusto equilibrio tra sale e zucchero era il segreto di una perfetta salsa barbecue. Certo, se si parlava di salsa barbecue, ognuno la pensava a modo suo sulla combinazione ideale di acido, spezie, frutta e aromi – l'ineffabile sapore umami – che rendeva ogni boccone tanto appagante.
Però Margot Salton sapeva con assoluta certezza che tutto cominciava con sale e zucchero. Aveva chiamato così anche il prodotto di sua ideazione, Sugar+Salt. Quella salsa era il suo superpotere. Il suo segreto. Il suo ferro del mestiere. Quando non aveva niente, né casa né istruzione, niente famiglia né mezzi di sostentamento, aveva creato quella potente alchimia di sapori per cui uomini adulti mugolavano di piacere, donne prudenti ignoravano la dieta e gli esperti di cucina più scettici ne imploravano ancora.
Aveva fatto tanta strada dagli umili barattoli confezionati in casa con cui aveva cominciato in Texas. Ora c'era un designer esperto di marchi commerciali che aveva ideato l'etichetta e la confezione, dandole un look caratteristico molto sofisticato. E, quel giorno, Margot fece molta attenzione per assicurarsi che le confezioni regalo di campioni fossero impeccabili, perché si basava tutto sulla riunione che l'attendeva, e lei sapeva che il migliore biglietto da visita era un assaggio perfetto.
Quello era il giorno fatidico. Tutte le sue speranze s'incentravano sull'obiettivo finale – aprire il suo ristorante.
Il locale si chiamava Salt, una parola semplice e chiara come la sostanza che ne ispirava il nome, il sale. Dolorosamente consapevole del tasso di fallimenti dei ristoranti che aprivano da zero, aveva fatto scrupolose ricerche commerciali e finanziarie, cercando di non
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commettere errori da principiante. Aveva fatto esperienza e seguito dei corsi al City College. Aveva fatto la tirocinante e la collaboratrice esterna, e partecipato a eventi e concorsi per pubblicizzare il suo talento. Aveva imparato il mestiere a trecentosessanta gradi, dalla cucina alla sala.
Non sarebbe stato facile. Secondo un detto popolare, niente che valesse la pena di avere era facile. Margot si chiedeva perché dovesse essere così. Perché una cosa che contava molto non poteva essere facile?
Non aveva mai lavorato così tanto in vita sua e non era mai stata tanto soddisfatta. La fatica infinita non la intimoriva. Aveva badato a se stessa per tutta la sua vita da adulta, a volte tenendosi in piedi con le unghie e con i denti, fermamente decisa a guadagnarsi un posto nel mondo con il suo impegno. E ora, dopo anni di organizzazione, pianificazione e conti, oscillando tra euforia e terrore, era pronta.
Mentre indossava l'abbigliamento sobrio che le era stato consigliato, composto da un tailleur pantalone nero e camicia di seta bianca, venne invasa da un preoccupante attacco di nervi. Non era la prima volta che faceva una presentazione agli investitori.
Diversi istituti di credito privati avevano già respinto la sua proposta. Il cibo è eccellente ma l'idea è debole. L'idea è interessante ma il menu è poco convincente. Il piano imprenditoriale non è esaustivo. La carne è troppo salata. Troppo insipida. Non ce ne facciamo niente del pane tostato texano in California.
Ma ogni rifiuto non aveva fatto altro che temprare la sua determinazione. Forse era quello il vantaggio segreto di essere sopravvissuta a una tragedia in Texas. Se aveva potuto superare quel dramma, poteva affrontare di tutto.
Quel giorno sarebbe stato diverso. Un incontro decisivo. O la va o la spacca. Doveva crederci.
Le sue scarpe firmate – una fortuna insperata pescarle in un negozietto di seconda mano – erano scomode, ma le era stato consigliato di presentarsi come un'inappuntabile professionista per ispirare fiducia negli investitori. Non metterti in mostra. Sobria e informale ma non troppo. Sembra credibile. Segui le regole
Margot fece un passo indietro e si guardò allo specchio. La piega dei pantaloni era precisa e affilata come un coltello, quella dei capelli biondi invece era opera di un parrucchiere che Margot poteva permettersi a stento. «Che ne pensi, Kevin?» chiese.
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Il suo stupendo gatto soriano rosso sbadigliò e si leccò una zampa.
«Lo so, sembro un'impostora. Cavoli. Sono un'impostora.» Appena stabilitasi a San Francisco, aveva cambiato nome. La nuova identità le calzava a pennello, tanto che a volte riusciva a dimenticare Margie Salinas, come se fosse una compagna di scuola delle medie che si era trasferita tra un anno e l'altro.
Altre volte, quando si svegliava con la mente annebbiata dal panico, assalita dagli incubi, la ragazza che era stata tornava a perseguitarla. Era di nuovo nei panni di Margie, legata mani e piedi e chiusa in un bozzolo da cui lottava per liberarsi ed emergere. Aveva letto in un libro che il passato non era mai finito veramente. Non era mai neppure passato davvero. E sapeva che era vero, anche dopo dieci anni. Per quanto tempo fosse trascorso, quando arrivava il dolore le penetrava nei pori ed era impossibile lavarlo via. Ancora faticava a superare la tristezza che aleggiava in quei momenti strani in cui ricordava l'altra vita.
A volte doveva sforzarsi di non soffermarsi troppo a pensare a quello che si era lasciata alle spalle, e perché. Però rimuginava comunque. Malgrado fosse certa di avere preso la decisione più giusta in quelle circostanze tremende, si poneva ancora degli interrogativi Di solito si faceva forza per superare quei momenti di tentennamento e continuava la sua vita come al solito, senza svelare il minimo accenno del passato a nessuno che faceva parte del suo nuovo mondo. Emotivamente, abbandonare tutto era stato un trauma violento quanto quello che aveva preceduto la sua partenza, per quanto diverso. C'era una parte di lei che anelava a rimanere vicina all'unica cosa che le desse stabilità, ancorandola. Però no, non era stato possibile. Cambiare aria era stata l'unica alternativa praticabile, considerate le circostanze e la portata delle sue ambizioni.
Ma il suo spirito si rifiutava di rimanere immobilizzato a terra. Si era rialzata e aveva cambiato nome, casa, terapeuta, amici. Tutto tranne il gatto. Aveva raggiunto un grado elevato nell'aikido e poteva difendersi dagli avversari... ma non dai fantasmi. Anche se il passato la inseguiva di soppiatto per insinuarsi subdolamente nella sua coscienza senza il suo permesso, di solito riusciva a concentrarsi con ferrea convinzione sul suo proposito di ricominciare tutto da capo.
Le sembrava passato un secolo da quando aveva avuto l'audacia d'immaginare di aprire un locale specializzato in barbecue nella cit-
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tà più costosa d'America. Era un atto di fede, ma aveva trovato dentro di sé la fiamma per creare il futuro che desiderava.
Però la trafiggevano ancora i dardi dei fallimenti passati. Perché mai quel giorno avrebbe dovuto essere diverso?
Cavoli, in fondo seguire le regole le aveva portato solo rifiuti.
D'impulso, si tolse le scarpe eleganti con due calci che fecero scappare Kevin. Si spogliò, e sostituì il tailleur e la camicetta con un insieme che la faceva sentire se stessa, una minigonna di denim, una maglietta con il logo Sugar+Salt e i suoi camperos preferiti. Gambe nude in onore di quella bella giornata estiva di sole che neppure la nebbia avrebbe potuto velare.
Poi chiamò Candy, cioè Candelario Elizondo, il suo addetto al barbecue, e lo avvertì che c'era un cambio di programma.
«Prendiamo il camioncino» gli disse.
«Vuoi portare il chiosco ambulante nel quartiere finanziario?» obiettò lui. «Beccherai una multa.»
«No, se non vendiamo da mangiare. Offriamo cibo gratis.»
Candy disse qualcosa in spagnolo a raffica, troppo velocemente perché potesse seguirlo, poi aggiunse: «Tu sei matta».
«Ci vediamo lì.» Gli diede l'indirizzo. Era sicura di poter contare su di lui. Aveva conosciuto Candy mentre vendeva le sue salse al mercato agricolo di Fort Mason. Era esperto di barbecue, e anche un simpaticone che in Messico aveva un ranch che prosperava, ma aveva perso tutto in una crisi bancaria ed era emigrato a nord per ricominciare da zero. Insieme cercavano fornitori della carne migliore, che affumicavano e cucinavano alla perfezione, usando un affumicatore a legna con tipi di legno dalla fragranza irresistibile: melo, noce pecan, mesquite, quercia e cedro. Avevano avviato un'attività di catering e noleggiato un furgone ristorante, e le loro creazioni avevano guadagnato rapidamente un seguito di estimatori. L'Examiner aveva anche fatto uscire un articolo su di loro. Margot aveva partecipato a eventi estemporanei e concorsi per far conoscere il suo talento. Il giorno in cui aveva finito tutto quello che aveva e cominciato a prendere preordinazioni era stato il giorno in cui aveva deciso che era giunto finalmente il momento di fare un passo avanti per realizzare i suoi progetti.
Aveva lavorato instancabilmente su un'idea che comprendeva una location, promozione, un progetto di somministrazione, prendendo a modello i migliori del campo. Viveva immersa tra le ricerche dell'atmosfera giusta, dei prezzi ideali, del flusso di cassa a cui
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mirare, e ritagli di giornale da cui prendere spunto. Era sicura. Era pronta.
Candy aveva parcheggiato il camioncino in una zona a sosta massima di un'ora davanti al palazzo di uffici. Era vestito per il lavoro, con il cappellino e il grembiule con lo stesso logo della maglietta di Margot. I muscoli degli avambracci, torniti dalle lunghe ore davanti alla griglia, si fletterono quando aprì il tendone e la vetrata del bancone. «Sei sicura di voler fare così?» le domandò. Margot annuì. «Augurami buona fortuna.»
Una targa discreta nel palazzo la guidò fino agli uffici del Gruppo Privé, una società d'investimento specializzata in start-up nel campo della ristorazione. Con più di cento ristoranti all'attivo, aveva una storia costellata di successi nel lanciare nuove attività. I titolari erano Marc e Simone Beyle, una coppia francese che viveva in una villa sul mare a Sausalito. Avevano la reputazione di essere inflessibili e avere gusti esigenti, ma Margot era riuscita a convincerli ad ascoltare la sua presentazione.
Una segretaria, vestita con il genere di abiti che Margot aveva scartato quella mattina, l'accompagnò in una sala riunioni gelida, con poltroncine ergonomiche e il tavolo con il piano di vetro.
Quando entrò, Margot avvertì una mezza dozzina di sguardi fissi su di lei. L'aria condizionata le fece venire subito la pelle d'oca sulle gambe, ma era ormai troppo tardi per pentirsi della scelta dell'outfit.
«Vi sono grata di avere accettato questo incontro» esordì, posando le confezioni omaggio delle sue salse insieme alle cartelline che contenevano dei dettagli personali su di lei – quelli che era disposta a rivelare – insieme alla sua dichiarazione d'intenti, un prospetto finanziario e una proposta di progetto.
«Siamo ansiosi di conoscerla meglio» disse Marc, con un lieve accento francese molto sofisticato. Simone aveva dei lineamenti severi e affilati, ma un bagliore interessato negli occhi.
«Chiedetemi quello che volete» li invitò Margot. «Sono a vostra disposizione. E poi vorrei...»
«Chi sono i suoi maestri in cucina?» le domandò Simone.
La domanda colse di sorpresa Margot. Per fortuna ebbe la risposta pronta. «Mia madre, Darla Sal... Salton.» S'impappinò sul cognome. Stava quasi per dire Salinas. Anche a distanza di anni dopo che l'aveva cambiato, quel nome la seguiva come una macchia che non riusciva a lavare via. Era il cognome di sua madre ed era origi-
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nario di una zona antica della Spagna, i cui abitanti sembravano più celtici che spagnoli. «Lavorava in una cucina commerciale e si occupava di catering in Texas. I suoi panini e le sue salse facevano furore, e da piccola la guardavo lavorare per ore.» Non spiegò che il motivo era che sua madre non poteva permettersi di lasciarla all'asilo. «In seguito ho imparato a fare il barbecue dal più grande esperto del Texas centrale, Cubby Watson. Dopo la morte di mia madre, lui e sua moglie Queen sono stati come genitori per me.» Prese fiato, poi si affrettò a proseguire prima che potessero chiederle perché era andata via dal Texas. «Qui a San Francisco il mio maestro è anche il mio socio, Candelario Elizondo. A tale proposito, è qui sotto...»
La interruppero con altre domande. Perché San Francisco? Il suo piano finanziario aveva dei punti deboli. Come aveva scelto il progetto di somministrazione? E il piano di marketing?
Riconobbe l'espressione di alcuni investitori, il fallimento dipinto sui loro volti. Cavoli... Percepì il loro scetticismo. Sentì il cuore che affondava sotto i piedi. Andava male. Immaginò che c'era una possibilità su un milione che una ragazza del Texas che aveva mollato gli studi prima del diploma potesse aprire un ristorante modaiolo nel cuore di San Francisco. Ma quanto lo desiderava! Voleva essere apprezzata, ricevere fiducia e le responsabilità che sapeva di potersi addossare.
«Di solito chiediamo ai potenziali chef di organizzare una degustazione per noi» disse uno dei membri del consiglio.
«Me ne rendo conto.» Aveva cercato di contrattare per trovare una location adatta, ma non aveva trovato niente che potesse permettersi. «Scusate, con tutto il rispetto, comprendo che è poco ortodosso, ma so cucinare meglio di quanto sappia parlare. Vi dispiacerebbe scendere e venire al mio chiosco ambulante?»
«Ha portato il camioncino da street food?» Simone sollevò le sopracciglia perfettamente arcuate.
«Sissignora.»
Ci fu una pausa insostenibile. I Beyle si scambiarono un'occhiata. Margot trattenne il fiato. Poi spinsero tutti le poltroncine all'indietro e si diressero verso la porta. Il tragitto fino al parcheggio fu interminabile, ma la scena che li accolse in strada era quella che Margot sperava. Il furgone ristorante era preso d'assalto dalle persone che divoravano gli assaggi del suo barbecue come naufraghi che morivano di fame su un'isola deserta. C'era anche un poliziotto di ronda che probabilmente avrebbe potuto fare la multa al camion-
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cino e invece s'ingozzava di un panino alla porchetta condito con una salsa che Margot aveva battezzato Pickle de Gallo, una versione della salsa messicana piccante Pico de gallo ma con i sottaceti.
Incrociò lo sguardo di Candy poi prese posto dietro il bancone e, in un baleno, si trovò nel suo elemento. Quello era il suo ambiente naturale, in cui creava un'esperienza di gusto di cui i clienti non potevano fare più a meno Che volevano ancora. E ancora. Al diavolo le sale riunioni e le pretenziose degustazioni. Servì piatti pieni del suo rinomato arrosto che si scioglieva in bocca, con la carne caramellata da una sapiente affumicatura, salsicce che preparava in società con un ranch sostenibile dalle parti di Port Reyes, funghi affumicati al burro, e costolette tenerissime spalmate abbondantemente con le sue salse artigianali. Il tutto era accompagnato dai suoi migliori contorni: pane di mais morbido come plumcake, tratto dal ricettario personale di sua madre, fagiolini e verdure, insalata di patate messicane al pepe, e per dolce il suo pezzo forte, una torta giamaicana a base di banana, ananas, cannella e noci pecan.
Il gruppo assaggiò i suoi piatti in silenzio. Nel frattempo Margot aspettava senza respirare. Aveva presentato la sua arte, il lavoro di una vita. Aveva trascorso anni a cercare i migliori ingredienti locali e stagionali.
Dopo un'agonia che durò diversi minuti, Simone si pulì le labbra. «Be', ha fatto una bella cosa qui» sentenziò infine.
Margot non sapeva come reagire, perciò attese, cercando di non cedere al panico.
«Il condimento delle costolette è insolito.»
«Gochujang» disse Margot. Aveva trovato il perfetto equilibrio di piccantezza con quel condimento coreano. Era una scelta rischiosa, però. «Se vuole, posso farle con un condimento più tradizionale.»
Simone lasciò il piatto vuoto nel bidone dei rifiuti e guardò le facce dei colleghi. Lei e suo marito si dissero qualcosa sottovoce in francese. «Non ci serve provare altro» dichiarò.
«Questo è il meglio che ho» disse Margot.
Seguì un'altra pausa. Un altro rapido scambio di parole in francese. «Allora» intervenne Marc, appallottolando il tovagliolo che buttò prima di porgerle la mano, «dove vorrebbe aprire il ristorante, signorina Salton?»
«Margot, giusto?» L'agente immobiliare le porse la mano. «Yo-
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landa Silva. È un piacere conoscerla di persona finalmente.»
«Piacere mio» disse Margot stringendole energicamente la mano. Sono qui, pensò. È tutto vero.
«Gradisce qualcosa da bere? Si serva pure, io devo fare un salto nel mio ufficio a prendere alcune cose prima di cominciare il giro.»
Yolanda aveva la stessa aria efficiente e sofisticata dell'ambiente, con le unghie perfettamente laccate e gli occhiali di alta moda.
«Grazie.» Margot prese una bottiglietta fredda di Topo Chico dal frigo con lo sportello in vetro e andò a sedersi nell'elegante atrio. Bevve nervosamente un sorso dell'acqua minerale frizzante. Era incredibile, ma grazie al Gruppo Privé ora aveva alle spalle un team, e che team! L'organizzazione le aveva assegnato un gruppo di gestione che l'avrebbe aiutata in tutte le fasi dell'avviamento dell'attività, dall'ideazione al progetto, fino all'inaugurazione e oltre. Dopo la sua presentazione decisamente non convenzionale e diverse riunioni impegnative e cariche di tensione, ora aveva un investitore. Un obiettivo. Un progetto. Un futuro.
Tutti i contratti erano stati sottoscritti, era stato composto il team e delineate le tempistiche. L'unica cosa che mancava era qualcuno con cui festeggiare. Da bambina, correva a casa da scuola con un bel dieci sul compito solo per vedere l'espressione della mamma, il suo viso che s'illuminava di affetto e orgoglio. Ora, da grande, doveva accontentarsi di versarsi un calice di vino e brindare con il gatto.
Era piuttosto deprimente non avere nessuno che battesse il cinque con lei o l'abbracciasse e le dicesse che era fiero di lei. Anche dopo tanto tempo, ricordava con esattezza il tono di voce di sua madre. A volte quei ricordi erano l'unica cosa che le impedisse d'impazzire – il fatto che, a un certo punto della sua vita, era stata importante per qualcuno. Era stata apprezzata. Era stata amata.
Ora era adulta e avrebbe dovuto fare a meno di una spalla.
Però, in momenti come quello, sarebbe stato bello avere qualcuno.
Di notte, sveglia a letto con la sola compagnia dei suoi pensieri, stentava a credere di essere arrivata a quel punto. Sulla strada alle sue spalle erano sparse le macerie di sofferenze, tragedie e rimpianti, e spesso le era difficile convincersi di meritare quel nuovo inizio. Si sforzava di credere nel proprio valore. A volte l'opera di autoconvincimento e di autoincoraggiamento funzionava. Un pochino. Altre volte, però, quello sforzo erigeva una barriera di solitudine
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tutt'intorno a lei. Sì, sentiva di valere, ma senza nessuno con cui condividere i bei momenti e quelli brutti, che importanza aveva?
Messi da parte i dubbi, bisognava rimboccarsi le maniche. Il talento da solo non bastava, per quanto il suo dono per la cucina fosse indiscusso. E non era sufficiente neppure la passione. Doveva essere disposta a imparare a padroneggiare l'arte, il commercio, gli affari e la frenesia di quell'impresa, a qualunque costo – notti insonni, giornate interminabili, zero riposo, studi capillari che facevano fumare il cervello, e la determinazione di superare a forza i fallimenti e i contrattempi.
«Tutto pronto?» Yolanda uscì dal suo ufficio con una cartellina rigida e un fascicolo. Sveglia e sofisticata, lavorava con i clienti del Gruppo Privé, che aiutava a scovare la location giusta in cui aprire un'attività. Le aveva promesso di trovare un locale che avrebbe potuto attirare una vasta clientela di turisti e gente del posto, in modo che Margot potesse mirare ad avere un ristorante che funzionasse durante tutto l'anno.
La sua General Manager, Anya Pavlova, le raggiunse per fare un giro degli stabili. Anya aveva gestito alcuni dei migliori ristoranti della zona di San Francisco. Era entusiasta della visione che Margot aveva per Salt, una sala moderna ed elegante che l'avrebbe differenziato da altri locali specializzati in barbecue. Immaginavano un ristorante in cui si servivano piatti tanto squisiti che i clienti sarebbero stati disposti a fare la fila per ore per assaggiarli, come facevano per il furgone ristorante. Però nel nuovo locale non avrebbero dovuto fare la fila, grazie a un'app che avrebbe gestito le prenotazioni con la massima precisione.
«In base ai requisiti, ho trovato queste alternative fantastiche.» Yolanda porse loro i volantini di tutti i locali. Margot e Anya li avevano già esaminati online, immaginando il ristorante in ogni location. In tutta la sua vita Margot non aveva mai visitato una proprietà immobiliare. Per lei, come casa andava bene qualsiasi posto sicuro potesse trovare per sé e Kevin. Attualmente abitavano in affitto in un appartamento sopra un garage nel quartiere del porto.
Restrinsero le scelte a tre locali. Quello nei pressi di Fisherman's Wharf era vicino al mercato agricolo di Fort Mason. La cucina era stata rimodernata da poco e la sala era circondata da ampie vetrate, da cui si godeva un panorama da cartolina di tutte le attrazioni turistiche di San Francisco. Aveva una terrazza che si protendeva sull'acqua, con tavoli riparati da ombrelloni dove i clienti potevano
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mangiare al fresco guardando le barche, con il sottofondo dei richiami dei leoni marini. Margot immaginava già di poter attirare folle di persone soddisfatte.
«Così la clientela sarebbe composta principalmente da turisti» osservò Anya.
«Non è un male» osservò Margot. «Però mi piacerebbe avere più gente del posto e clienti regolari.»
Il locale successivo era in una bella posizione a Nob Hill, in un isolato dove probabilmente un ristorante di barbecue sarebbe stato accolto bene. C'erano dei bei negozi, e il quartiere dei teatri era vicino. Gli svantaggi erano una tristissima facciata scialba, e gli interni che possedevano tutto il fascino degli uffici della Motorizzazione.
«Potremmo ricavarne qualcosa» la rassicurò Anya. «Ho visto i progettisti fare miracoli con i posti più semplici.»
La cucina era in buone condizioni, e il vicolo di servizio abbastanza spazioso per le consegne che venivano dal barbecue di Candy, situato in una zona industriale.
La terza alternativa era uno spazio in un palazzo vecchiotto di un isolato storico che si chiamava Perdita Street. Situata nel cuore di uno dei quartieri più vivaci della città, era una zona con viali di mattoni antichi e marciapiedi ombreggiati dagli alberi. Alcuni edifici risalivano ai primi del Novecento, e ce n'erano un paio sopravvissuti addirittura al terremoto e all'incendio del 1906.
Il quartiere vivace e dinamico era frequentato da turisti e gente del posto, e il sabato c'era un mercato all'aperto. C'era un locale, il Mehndiva Bar, dove si poteva ordinare un kombucha da sorseggiare mentre ci si faceva fare un tatuaggio temporaneo con l'henné. Nello stesso isolato c'era un'enoteca dove si facevano degustazioni di vini dei vigneti Rossi di Sonoma, una boutique eccentrica che aveva in vetrina capi abbinati per cani e padroni, un centro di cure per i disturbi della memoria con un giardino ombroso davanti e un'invitante libreria nel palazzo più antico del quartiere.
L'edificio basso di fronte alla libreria era inutilizzato, dopo che un conosciuto ristorante messicano aveva chiuso i battenti quando il proprietario era andato in pensione. Era un locale umido e trascurato, ma aveva una buona struttura, e Margot poteva raffigurarsi già l'atmosfera accogliente e gradevole che aveva sempre immaginato.
C'era solo un aspetto che la lasciava interdetta. Condivideva la cucina con una panetteria e pasticceria adiacente.
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«È una sistemazione insolita, ma la cucina è enorme, ed è stata condivisa per anni con il ristorante a pieno servizio. La pasticceria è storica. Ha aperto come centro sociale negli anni Sessanta» spiegò Yolanda.
La cucina era antiquata ma pulitissima, e li attendeva una sorpresa. Si aprì una porta con il cartello Pasticceria e ne uscì una donna matura di colore, con occhiali dalla montatura spessa e capelli a treccine raccolti in una crocchia. In mano aveva un vassoio di dolci e una caraffa di limonata.
«Sono Ida» si presentò, posando il vassoio su un bancone di acciaio inox pulito a specchio.
«Piacere» la salutò Yolanda. «Lei è la proprietaria della pasticceria.»
«Solo di nome» precisò la donna. «Ora sono in pensione. Dovrei, almeno. Mio figlio Jerome gestisce l'attività, ma io ho ancora delle quote. Oggi sono venuta perché voglio vedere con chi potremmo lavorare.» Margot si presentò, e Ida fece un passo indietro per scrutarla. «Ma guardati, sei una cosina... e anche molto giovane.»
«Sì, ma lavoro da tanto» replicò Margot. «Ho cominciato facendo panini con mia madre per un chiosco ambulante.»
«Davvero? Allora hai fatto strada nel mestiere.»
«Eh, eravamo solo io e mia madre, ed era la mia migliore amica» spiegò Margot. A dire il vero, sua madre era stata tutto il suo mondo. «Faceva dei panini squisiti. Con il formaggio piccante, il polpettone affumicato, insalata di uova, roast beef e salsa rémoulade, focaccine al miele e pollo fritto... Andavano tutti matti per le sue creazioni.» Darla Salinas non aveva mai guadagnato molto, non perché non facesse cose buone, anzi, ma perché non aveva fiuto per gli affari.
Ida indicò il vassoio. «Dai, ora serviti. Mangia qualcosa e poi ti faccio vedere il locale.»
Aveva portato cose fantastiche – una tortina alla frutta fresca, un biscotto alla melassa che fece quasi mugolare di piacere Margot quando lo assaggiò, e dei minuscoli e goduriosi brownie al cioccolato e quadrotti al limone.
Mentre Anya faceva domande a Ida sull'attività, Margot si chiese come sarebbe andata diversamente se sua madre avesse cercato di sfondare invece di accontentarsi di cavarsela. Un anno, la rosetta all'arrosto di manzo e peperoncini, con l'ingrediente non tanto se-
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greto delle patatine al barbecue tritate, era stata decretata il migliore panino dello stato dalla rivista Texas Monthly, ma lei non aveva mai sfruttato la cosa.
«Io ho cominciato in questa cucina ai tempi in cui era un centro sociale.»
Ida fece da cicerone; aprì la porta della sala deserta, antiquata e trascurata, con scene del vecchio Messico dipinte alle pareti. Il ristorante deserto sembrava una città fantasma abbandonata in fretta e furia, lasciandosi alle spalle sedie e tavoli capovolti, un grembiule appeso, un poster del calcio malridotto, contenitori di piatti e bicchieri di plastica, scontrini e foglietti delle comande buttati.
Margot rimase immobile per qualche istante a immaginare quel posto trasformato in un ristorante nuovo e accogliente. Nei suoi sogni, spinta dal desiderio di trovare il suo posto, in cui fosse a suo agio, contasse qualcosa e avesse il controllo, aveva progettato ogni minimo spazio e angoletto per creare un ambiente ideale in cui i clienti avrebbero gustato i suoi piatti.
Ida terminò il giro con un sorriso cordiale. «Spero di rivederti presto, Margot.»
«È ora di decidere» le ricordò Anya quando uscirono nel vicolo di servizio, con i cassonetti ordinatamente in fila, bene indicati per la raccolta differenziata. Al muro, a cui era appeso un vecchio canestro da basket, c'era un murale sbiadito contro la guerra, che risaliva all'epoca del Vietnam. «Dovremmo esaminare i pro e i contro di ogni locale.»
Mentre Margot rifletteva, cercò di essere obiettiva e razionale su ogni collocazione: quella movimentata a Fisherman's Wharf, quella chic di Nob Hill o il quartiere storico di Perdita Street.
«Che ne pensi?» domandò ad Anya.
«Be', potrebbe essere un problema dividere la cucina con la pasticceria. È un locale ampio e pulito, ma le attrezzature sono datate.»
«Vero» ammise Margot. «Ma ricorda che lavoro in un camioncino, perciò sono abituata agli spazi ristretti. Questo posto sembra comodo. È senza pretese, in mezzo a una città che ancora m'intimidisce a volte. Mi piace Ida. Mi sembra in gamba. E come hai detto che si chiama la pasticceria?»
Anya le porse un biglietto da visita. «Sugar.»
Margot sentì spuntare un sorriso sulle labbra. Improvvisamente ebbe un'illuminazione, tanto potente e chiara da non avere più dub-
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bi o riserve. «Questo posto sarà perfetto» decretò.
«Be', spero che tu sia soddisfatta» disse Ida. Il contratto d'affitto era stato firmato, i progetti approvati, i permessi concessi, e la ristrutturazione quasi completata.
«Abbiamo visto diversi posti, ma quando ho trovato questo ho smesso di cercare. Mi sembra quello giusto» disse Margot.
«A volte va così. Quando lo sai, lo sai» sentenziò Ida.
Margot sperava che avesse ragione. Gli ultimi cinque mesi erano stati impegnativi ma gratificanti. Un team di professionisti esperti in progetti e sviluppo aveva concretizzato la sua idea. Margot aveva scovato personalmente i lampadari vittoriani vintage, li aveva dipinti di nero e appesi nella sala tutta bianca. I séparé lungo le pareti interne avevano delle sfumature appena accennate, con il tocco di colore di un tovagliolo verde mela in un calice che risplendeva sullo sfondo di un candore glaciale. L'impressione complessiva era di un ambiente pulito, ma non spoglio o inquietante. Odorava ancora di intonaco e vernice, ma ben presto sarebbe stato pieno dell'aroma dolce e affumicato del barbecue.
La cucina e la zona di preparazione della linea erano state ristrutturate e rimodernate. Il personale assunto e formato, le attrezzature tecnologiche al loro posto, i menu ideati con cura scrupolosa, provati e perfezionati. La playlist conteneva brani classici e moderni per un sottofondo musicale discreto. I baristi addestrati per l'occasione avrebbero servito cocktail fatti al momento come il Baja Oklahoma e il Wild West Martini. Margot aveva curato ogni dettaglio immaginabile, pur consapevole che potevano presentarsi problemi imprevisti. Nella ristorazione era così, e doveva accettare quella realtà. Forse era ciò che la rendeva tanto stimolante.
Lei e Ida erano sedute al bancone lucido del bar, recuperato da un hotel del 1908.
«Ti ho portato degli assaggi dalla griglia e dall'affumicatoio.» Offrì a Ida una confezione da asporto con arrosto di manzo, salsicce e contorni, e anche dei barattolini di salsa.
«Sugar+Salt» lesse Ida, guardando l'etichetta. «E ora siamo vicine. Bello, no?»
«L'ho interpretato come un segno del destino. Ho ideato quel nome per la salsa da ragazzina.»
«Davvero? Ma guarda.» Ida la osservò con sincero interesse, ascoltandola con la testa inclinata di lato. Sembrava una persona a
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suo agio nella propria pelle. «È stata tua madre a insegnarti tutto questo?»
Margot parlava volentieri con Ida, cosa insolita, visto che raramente si sentiva a suo agio con le persone. «Mi faceva sperimentare nella cucina dove lavorava. Quando sono rimasta sola, ho iniziato a fare la salsa in piccole quantità per un locale di barbecue in cui lavoravo anni fa. Era il Cubby Watson's Barbecue, gestito da Cubby con sua moglie Queen. Nel Texas centrale il barbecue è praticamente una religione e i Watson cercavano sempre aiutanti in cucina. Ho cominciato come lavapiatti, e preparavo gli ingredienti per i contorni classici. Quando Cubby ha visto che facevo sul serio, mi ha insegnato tutto dell'attività, dalla griglia al bar. All'epoca ero troppo giovane per lavorarci, ma lui era un bravo insegnante.»
«Mi sembra un buon inizio» commentò Ida.
Margot annuì. «Mi piaceva tanto, anche le parti faticose. Cubby è un maestro del barbecue, uno dei migliori del mondo. Il suo arrosto di punta di petto di manzo è tanto tenero che sembra cotto nel burro. La gente faceva chilometri per assaggiare le salsicce fatte in casa di Queen, i panini vegani ai funghi con una rémoulade cremosa e la torta texana con la glassa al formaggio.»
«Fantastico. Ora capisco che cos'ha ispirato il tuo menu» disse Ida.
Sentendo squillare il telefono, entrò nell'ufficio della pasticceria per rispondere. Margot non era una chiacchierona, ma ormai per lei Ida era un'amica. Le ricordava Queen Watson, una donna forte che sembrava in grado di resistere alle intemperie. Essendo entrambe di colore, sicuramente avevano dovuto affrontare delle avversità. La forza d'animo di Queen aveva ispirato Margot, spronandola a sopravvivere quando era più vulnerabile, e percepiva in Ida uno spirito affine.
Margot aveva sedici anni quando si era presentata nella cucina dei Watson a Banner Creek, in Texas, in cerca di lavoro, qualsiasi lavoro.
Aveva alle spalle un passato d'incertezze e disperazione, ma li aveva guardati negli occhi e a testa alta, prima Cubby, che era un tipo bonario e tranquillo, con mani abili e piene di talento e braccia robuste, in grado di gestire i grossi tagli di carne nel barbecue esterno, e poi Queen, che scrutava con occhi impassibili Margie, dai capelli biondi alle gambe ossute.
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