UN AMORE ILLECITO
Immagine di sfondo di copertina: Iakov/despositphotos
Titolo originale dell'edizione in lingua inglese: The Roman Lady's Illicit Affair
Harlequin Mills & Boon Historical Romance © 2020 Greta Gilbert
Traduzione di Francesca Barbanera
Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises ULC.
Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.
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© 2023 HarperCollins Italia S.p.A., Milano
Prima edizione I Grandi Romanzi Storici aprile 2023
Questo volume è stato stampato nel marzo 2023 da CPI Black Print, Spagna, utilizzando elettricità rinnovabile al 100%
I GRANDI ROMANZI STORICI
ISSN 1122 - 5410
Periodico settimanale n. 1350 del 18/04/2023
Direttore responsabile: Sabrina Annoni
Registrazione Tribunale di Milano n. 75 dello 01/02/1992
Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale
Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA
Distribuzione canale Edicole Italia: m-dis Distribuzione Media S.p.A. Via Carlo Cazzaniga, 19 - 20132 Milano
HarperCollins Italia S.p.A. Viale Monte Nero 84 - 20135 Milano
A Michael James Gordon, con tutto il mio amore.
Roma, 122 e.v.
Quando Vita vide il perizoma della donna sullo scrittoio del marito, rise fino alle lacrime. Quel pezzo di stoffa aveva un'aria tremendamente buffa; era appeso mollemente sullo stilo di Magnus, come sempre ben ritto nel suo supporto di legno.
L'indumento intimo di un'altra donna sulla penna dritta di suo marito... non era forse la cosa più ironica del mondo?
Ah!
Vita appoggiò la lucerna a olio e sfilò il perizoma dal suo supporto. Era di tessuto pregiato, probabilmente egiziano, e gli splendidi ricami della cintura erano arricchiti da perle dorate.
Perle dorate!
Non c'erano dubbi che appartenesse a una donna di status elevato, probabilmente dell'ordine equestre, o quanto meno a una che mirava a raggiungere una condizione privilegiata. A quanto pareva, invece, le mire di suo marito si erano concentrate su quella donna, probabilmente proprio su quello scrittoio.
Ah, ah!
Vita si chiese chi fosse, pensando alle ospiti di sesso femminile che avevano preso parte al banchetto di quella sera. Erano solo tre, tutte bellissime, tutte di rango elevato e tutte molto sposate.
Non che lo stato coniugale di una donna avesse mai rappresentato un problema per Magnus... Da inguaribile adultero quale era, apprezzava tanto la compagnia delle donne nubili quanto quella delle donne sposate.
E le donne apprezzavano la sua, in quanto parte del suo ruolo di vigile di Roma era tutelare la loro sicurezza.
Agli occhi di gran parte di loro, il marito di Vita non era Magnus, ma Enea o Adone, un gigante potente e muscoloso la cui forza fisica era equiparabile solo alla grandezza delle sue imprese eroiche e alla sua straordinaria bellezza. In poche parole, lui poteva prendersi tutte le donne che voleva... e infatti lo faceva.
Tuttavia, un incontro clandestino nel tablinium era un passo sconsiderato perfino per lui.
Ah, Magnus...
Chi era questa volta? Gaeta, la moglie del mercante di olive, con la sua risata irresistibile e quella splendida cascata di riccioli? O Numeria, la moglie dell'esattore, che spesso balbettava e strizzava gli occhi in presenza di Magnus? Forse era Lollia Flamma, la moglie dell'architetto, la cui bellezza giovanile era andata sprecata in un matrimonio con un uomo molto più vecchio di lei o, almeno, questo era stato il commento di Magnus in proposito.
Chiunque fosse la donna scelta da Magnus quella sera, il banchetto non aveva offerto ai due amanti molte possibilità di appartarsi senza essere visti. E, di tutti
i posti, avevano scelto di rifugiarsi proprio nel tablinium! Anziché nascondersi in un ambiente secondario, erano andati nella sala principale della casa, quella in cui Magnus gestiva tutti gli affari domestici.
E che affari domestici! Ma quando era successo... il fatto?
Vita cercò di ricostruire mentalmente i movimenti di suo marito quella sera, ma non riuscì a ricordare molto oltre al cipiglio e ai brontolii degli ospiti.
Cibo pessimo, servizio terribile e poco vino... Come poteva accorgersi dell'infedeltà di suo marito quando l'unica cosa che vedeva era la sua reputazione che andava in mille pezzi?
Di certo Magnus aveva dato dei segnali eloquenti. Lo faceva sempre. Doveva solo concentrarsi sul banchetto, cercando di richiamarli alla memoria. Chiuse gli occhi e si costrinse a tornare con la mente al disastroso convivio di quella sera. Di colpo era di nuovo lì e si aggirava nei pressi del suo triclinio mentre i suoi ospiti assaggiavano con esitazione la prima immangiabile portata del banchetto...
«Questi gnocchi hanno il sapore della sconfitta» mormorò Gaeta.
«Una specialità evocata dagli Inferi» ridacchiò Numeria.
«Non siate così impietose, signore» commentò Lollia. «Bisogna riconoscere che con questo impasto si potrebbero fare degli splendidi sandali di cuoio.»
Ci fu un'ondata di risatine sommesse proprio mentre Vita entrava nel triclinio. «Miei cari ospiti, stanno arrivando le ostriche» annunciò, facendo finta di non avere sentito i commenti delle altre donne.
«Ah, ottima notizia!» esclamò uno dei loro mariti.
«In tal caso preferisco non riempirmi troppo» disse un altro, allontanando il piatto di gnocchi.
Vita sorrise e prese fiato per spiegare ai presenti cosa era successo: la donna che aveva assunto per cucinare era ebbra e gli gnocchi erano il disastroso risultato di questa sua condizione. Proprio quando stava per aprire bocca, però, arrivarono le ostriche, che attirarono l'attenzione di tutti i commensali.
Siano ringraziati gli dei! Le ostriche!, pensò Vita. Di certo quelle specialità ostiensi avrebbero cancellato dalla memoria degli ospiti il sapore degli gnocchi. Le ostriche fresche, servite su grandi vassoi da due schiave germaniche affrancate che lei aveva assunto su insistenza della cuoca, erano una prelibatezza che di certo avrebbe portato eleganza in qualunque banchetto. Eppure i suoi invitati sembravano ancora perplessi.
Per Giove! Le ostriche erano ancora chiuse! Ma la cosa peggiore era che le due germaniche non avevano preso gli appositi coltelli che Vita aveva dato loro e stavano cercando di aprire i gusci con le mani e con le unghie.
«È così che fanno in Germania?» pigolò Gaeta.
«È già tanto che non provino ad aprirle con i denti» commentò Numeria.
«Barbari disgustosi» bofonchiò Lollia.
Vita sorrise con amarezza. La sua defunta madre era una donna barbara. Nata e cresciuta in Britannia, era stata portata a Roma in catene durante il regno dell'Imperatore Domiziano ed era stata comprata e veduta molte volte prima di arrivare nella casa dell'uomo che poi era diventato il padre di Vita.
«Potete lamentarvi quanto volete» disse uno dei mariti, «ma senza i barbari i campi di Roma resterebbero incolti e i nostri pitali colmi. È per questo che il
nuovo Imperatore deve portare avanti la conquista dei loro territori.»
Un altro marito scosse la testa, in evidente disaccordo. «L'Impero è già troppo grande. L'Imperatore Adriano fa benissimo a fortificare le difese, soprattutto lungo il confine germanico.»
Seguì un'accesa discussione che Vita si sforzò di non ascoltare. L'espansione dell'Impero Romano era avvenuta all'insegna del dolore e della schiavitù, della crudeltà e della morte, eppure molti Romani ne parlavano come se fosse solo un gioco da tavolo.
Cercò di tenersi occupata riempiendo le coppe degli ospiti, ma il vino non sembrava mai abbastanza per loro. Versò l'ultima goccia nella coppa di suo marito.
«Il problema non è il confine germanico, ma quello britannico» stava dicendo Magnus. Buttò giù tutto il vino in un sorso solo e proseguì: «Ecco perché presto l'Imperatore Adriano costruirà un muro lì».
«Allora è vero?» chiese Gaeta. «Adriano costruirà un muro che attraverserà tutta la Britannia?»
«Ho sentito dire che sarà lungo più di settanta miglia e che andrà da un mare all'altro» commentò Numeria.
«Bah!» esclamò Lepidus, il marito di Lollia, con palese scetticismo.
Calò il silenzio e tutti gli occhi puntarono verso quell'uomo calvo dalla barba grigia, che di recente aveva ottenuto una posizione di rilievo come architetto militare nell'esercito di Adriano.
«Onestamente non capisco il senso di costruire un muro così a nord» commentò infine Gaeta.
«Ma è ovvio: per separare i Romani dai barbari» rispose Numeria.
«Non è questa la ragione del muro» bofonchiò Le-
pidus, prendendo un acino d'uva e iniziando a sbucciarlo.
«Ma è chiaro, si tratta di un pretesto per tenere le legioni occupate» argomentò Magnus. «Senza una guerra da combattere, i soldati non hanno niente da fare.»
«Neanche questa è la ragione del muro» borbottò Lepidus, continuando a sbucciare il suo acino.
«L'obiettivo di Adriano è sicuramente il controllo del commercio» ipotizzò uno dei mariti. «Meglio i tributi che i conflitti armati.»
«Neanche questa è la ragione del muro.» Lepidus sollevò l'acino sbucciato e lo osservò attentamente, come se avesse in mano un piccolo mondo in miniatura.
«Deve essere per motivi di difesa» disse un altro marito. «Quei barbari su a nord sono una razza diversa. O abbiamo già dimenticato cos'è successo con la battaglia della foresta di Teutoburgo?»
Di colpo, una delle donne germaniche sussultò e l'ostrica che aveva in mano volò via, attraversando tutta la stanza e schiantandosi contro la parete opposta, per atterrare ai piedi del busto del primo Imperatore.
Qualcuno rise, qualcun altro sbuffò.
«Un pessimo presagio» commentò Lepidus.
Si riferiva al tuono che improvvisamente aveva squarciato l'aria, preannunciando un temporale estivo.
Le donne germaniche cominciarono a gridare, diedero i vassoi a Vita e fuggirono dalla stanza, terrorizzate.
«Dove state andando?» gridò lei e loro risposero che il banchetto era maledetto.
Vita pensò che forse avevano ragione, perché la pioggia cominciò a cadere così intensamente che la
vasca per la raccolta dell'acqua piovana tracimò e l'atrio si allagò; con suo grande imbarazzo, presto l'acqua raggiunse l'entrata del triclinio in cui si trovavano gli invitati.
«Peccato che non abbia portato le reti da pesca» scherzò uno degli ospiti.
Magnus insinuò che la colpa era di Vita, perché non svuotava con regolarità la cisterna. «Non sarebbe successo se mia moglie si prendesse cura di questa casa come si deve.»
Era una bugia bella e buona. Lei svuotava la cisterna dell'acqua piovana alle calende di ogni mese e lui lo sapeva. L'inondazione era dovuta a un accumulo di sedimenti così grande che Vita non riusciva a eliminarlo da sola. Da anni pregava Magnus di rivolgersi a qualcuno affinché risolvesse quel problema.
In quel momento, però, non riuscì a dire niente in sua difesa, perché le braccia stavano per cederle sotto il peso dei due pesanti vassoi di ostriche abbandonati dalle servitrici.
«Qualcuno vuole altre ostriche?» chiese, forse con eccessivo brio.
Gli ospiti si limitarono a fissare le loro coppe, senza dire niente.
«Torno subito» cinguettò Vita, poi guadò l'atrio in direzione della cucina, cercando di non lasciarsi demoralizzare dalle circostanze. Fu allora che le venne in mente l'anfora di Falerno che custodiva in cucina. Un bicchiere di buon vino poteva risolvere le crisi peggiori e il Falerno era il vino più pregiato che ci fosse.
Quando entrò in cucina per prenderlo, però, trovò l'anfora vuota sul pavimento, proprio accanto alla cuoca addormentata.
«Che hai fatto?» gridò, ma la donna continuò a russare indisturbata.
Vita, con il cuore in gola, corse fuori dalla cucina verso l'ingresso. Aveva bisogno di respirare un po' d'aria fresca e di riaversi. Spalancò la porta di ingresso e si precipitò fuori, ma andò a sbattere contro un ostacolo così massiccio che avrebbe potuto essere il famoso muro di Adriano.
Per un attimo rimase senza fiato e barcollò all'indietro, rischiando quasi di cadere. «Maledizione!» esclamò.
Una volta riacquistato l'equilibrio, alzò lo sguardo e vide di fronte a sé un uomo imponente, dal petto ampio, che se ne stava immobile fuori dalla porta. La pioggia gli bagnava i capelli scuri, disegnando la forma della testa e scivolando lungo i suoi lineamenti duri.
«Chiedo scusa» disse Vita, ma lui non diede segno di averla notata. Per un attimo lei si chiese se fosse vero, tanto assomigliava a una statua: un guerriero senza tempo scolpito dalla pioggia. «C'è qualcosa che non va, signore?» gli domandò. «Mi sentite?»
Lui le lanciò un'occhiata fugace, come se Vita fosse un torsolo di mela gettato in terra.
«Non avete intenzione di chiedermi scusa?» lo incalzò lei.
«Chiedervi scusa per cosa?»
«Per avermi urtato!»
«Io non vi ho urtato» affermò lui, tornando a fissare la pioggia.
Per tutti gli dei! Aveva ragione. Era stata lei ad andargli contro. Ma che le prendeva?
«Scusate» rispose, «ma oggi non sono in me. Sono uscita per prendere un po' d'aria.»
L'uomo continuava a fissare la pioggia, immobile.
«Vedete, il mio banchetto è un vero disastro» continuò Vita. «Il cibo è scadente, la servitù è fuggita e l'atrio è allagato.»
Proprio non sapeva perché sentisse il bisogno di confidarsi con lui. Era uno sconosciuto, probabilmente la guardia del corpo di uno degli ospiti, e di certo non aveva alcun interesse ad ascoltare le sue lamentele.
Nonostante questo, le lacrime cominciarono a rigarle le guance, mescolandosi con la pioggia. «Mio marito mi disprezza. I nostri amici mi considerano ridicola. Per quanto mi impegni, non riesco mai a compiacerli.»
Vita osservò la pioggia, desiderando che lavasse via il ricordo di quel banchetto dalla mente dei suoi ospiti e che tutto andasse avanti come se quella serata non fosse mai esistita. A dire il vero, avrebbe voluto lavare via tutti i ricordi degli ultimi dieci anni della sua vita.
«La mia reputazione è distrutta» continuò. «E anche il mio matrimonio.»
Scrutò il volto dello sconosciuto per cogliere una reazione di qualche genere, ma lui rimase impassibile come una maschera. Vita seguì il percorso di una goccia di pioggia lungo le sue braccia muscolose, fino al pavimento di pietra ai suoi piedi.
Si asciugò le guance e fece per andarsene.
«Nella vita ci sono cose peggiori» fece lui all'improvviso.
«Come dite?»
Lui scosse la testa, come a voler cancellare le sue parole.
«Chiedo scusa, cosa avete detto?» insistette Vita.
Si spostò di fronte a lui e alzò gli occhi sul suo volto. Con grande sorpresa, notò che aveva dei lineamen-
ti ampi e decisi, che facevano pensare a un politico o a un uomo di spettacolo. La sua attenzione fu catturata in particolar modo dalla forma del naso, triangolare e ben definito, che si assottigliava disegnando una linea insolita e che gli conferiva un aspetto erudito, accentuato dall'espressione pensosa della bocca.
Quella bocca... di certo era piena di opinioni, ma le labbra erano così sensuali che non sembravano fatte per argomentare solo con le parole. Vita avrebbe voluto vedere anche gli occhi, ma lui continuava a evitare il suo sguardo. Fu allora che notò qualcosa di strano. C'erano tre lettere sottili marchiate sulla sua fronte: FGV. Fuggitivo.
Avrebbe dovuto immaginarlo. Era lo schiavo di uno degli ospiti, probabilmente di Lepidus, che era l'uomo di rango più elevato quella sera. Forse era stato proprio questi a ordinare di marchiarlo in quel modo; il vecchio architetto equestre, infatti, possedeva molti schiavi ed era rinomato per la brutalità delle punizioni che infliggeva loro.
Di colpo Vita si sentì una sciocca. «Avete ragione, signore. Nella vita ci sono cose peggiori» gli rispose. «Molto peggiori. Vi chiedo scusa.»
Finalmente lui si decise a guardarla e Vita avvertì un'inattesa ondata di calore diffondersi sotto la pelle. I grandi occhi verde scuro di quell'uomo erano perfettamente proporzionati ai suoi lineamenti, eppure spiccavano prepotentemente sul viso, al punto che ne restò totalmente rapita. Sembrava quasi che riuscissero a vedere dentro di lei.
«Probabilmente i miei ospiti si staranno chiedendo che fine ho fatto» mormorò. «Vi chiedo ancora scusa.»
Avrebbe dovuto stare più attenta nei movimenti, ma
nella fretta valutò male la distanza tra di loro e, chissà come, quando gli passò accanto le loro mani si sfiorarono.
Vita sobbalzò, sgomenta. Era come se avesse passato la mano su una fiamma. Quel calore continuò ad avvolgere le sue dita mentre si precipitava dentro casa, senza nemmeno preoccuparsi di chiudere la porta.
Quando era ormai a metà dell'androne, lo sentì parlare di nuovo.
«Non disperate» le disse, dietro le spalle. «Andrà tutto bene.»
Vita finse di non avere sentito, ma quelle parole riecheggiarono a lungo nella sua mente, dandole forza, così come l'immagine di quegli occhi verdi e intensi, che era impressa in maniera indelebile nella sua memoria.
«Dov'eri?» le chiese Magnus appena la vide rientrare nel triclinio. «Vogliamo altro vino.»
«Il vino è finito.» Stentava a riconoscere la sua voce: non c'era la minima traccia di costernazione o dispiacere. «Se volete, però, abbiamo una bella scorta di posca» aggiunse, prendendo una brocca di quella bevanda acidula.
Magnus fece una smorfia contrariata.
«Niente vino?» mormorò qualcuno mentre sul volto di diversi commensali si dipingeva un'aria di estremo disappunto. Seguì una serie di sbuffi infastiditi.
«Credo che sia meglio congedarci» annunciò Gaeta, aggiungendo dopo una breve pausa: «Sapete, per via della pioggia».
«Sì, sarà meglio che ce ne andiamo anche noi» intervenne subito Numeria, «prima che la Via Appia si riempia di fango.»
«E le rane, poi!» squittì Lollia. «Presto le strade si
trasformeranno in una distesa di cadaveri!»
E così il banchetto finì che non era ancora arrivata la prima ora della sera: una vera vergogna per qualsiasi padrona di casa degna di questo nome.
Vita si ritrovò a pensare che in quel momento, anche se erano passate solo poche ore, la vergogna per il banchetto finito in un disastro sembrava poca cosa in confronto all'umiliazione rappresentata dal perizoma che teneva in mano. Il marito aveva portato la sua ultima amante in casa loro.
Nonostante gli sforzi, non riusciva proprio a capire quando fosse avvenuto quell'incontro amoroso o chi fosse la donna, anche se ricordava di avere visto Magnus che osservava attentamente Lollia mentre si allontanava sul piazzale battuto dalla pioggia insieme al marito e alla loro imponente guardia del corpo.
Era stato un attimo prima che Magnus si girasse verso di lei e le desse uno schiaffo. «Donna incapace!» le aveva gridato, per poi allontanarsi e sparire nella luce grigia del crepuscolo.
«Donna incapace» ripeté piano Vita, sfiorando una delle perle dorate del perizoma. Non era la prima volta che Magnus la chiamava così, e non sarebbe stata certo l'ultima.
Lei non aveva mai sollevato obiezioni a quelle parole. In fondo, Magnus era il pater familias di quella casa, perciò aveva sicuramente ragione. Se la chiamava così, voleva dire che lei era davvero un'incapace.
Vita lo aveva sempre accettato senza fiatare.
Tuttavia, si chiese se quella definizione fosse davvero fondata. Sapeva di non essere la migliore padrona di casa di Roma: non era brava a cucinare, né a fare conversazione e ormai non poteva certo definirsi gio-
vane e bella. Ma era davvero un'incapace?
Sapeva cucire, e molto bene anche. Dalla vendita dei suoi pregiati mantelli ricavava sesterzi a sufficienza per rifornire la casa di olio e di vino; si occupava anche di altre spese, compresi i servizi del fullo e del fornaio e perfino dei tributi annuali. I proventi della sua attività contribuivano in molti modi a mandare avanti la loro casa, quindi perché Magnus le dava dell'incapace?
Portò il perizoma al naso e inspirò a fondo. Lavanda, con qualche nota di mirra: era il profumo di una donna capace.
«Voglio divorziare» disse di getto, poi alzò lo sguardo, certa che un tuono stesse per squarciare il silenzio... o che una mano stesse per colpirla.
Invece incontrò gli occhi di alabastro del suo venerabile bisnonno. Suo padre le aveva donato quel busto il giorno delle nozze e, anche se Vita non andava spesso a fargli visita, quella sera rivolse un saluto deferente al vecchio soldato.
«Chiedo il permesso di parlare, Comandante.»
«Permesso accordato» rispose il suo illustre antenato. «Dichiarate il motivo della richiesta.»
«Mio marito, Comandante» affermò Vita.
«Qual è il problema?»
«Mi è stato infedele fin dal primo giorno del nostro matrimonio. Non apprezza il contributo che do in questa casa. Mi trova disgustosa, spesso mi colpisce e mi dà dell'incapace.»
«Capisco» rispose il centurione dagli occhi di pietra, che un tempo aveva servito nell'esercito di Giulio Cesare.
«Voglio divorziare da lui, con il vostro permesso» continuò Vita.
«Non ho niente da obiettare in proposito» acconsentì il comandante. «Dove andrete?»
Vita non ne aveva la più pallida idea.
A Roma, la maggior parte dei matrimoni erano unioni sine manu. La donna andava a vivere con il marito, ma rimaneva sotto l'autorità del padre per tutta la durata del matrimonio e questo rendeva il divorzio una pratica semplice e molto diffusa. Quando lasciava il marito, la donna recuperava la sua dote e tornava nella casa del padre in attesa del successivo pretendente.
Il padre di Vita, però, aveva fortemente voluto un accordo cum manu, trasferendo di fatto a Magnus la sua autorità sulla figlia, così come la dote e tutti i suoi averi.
«Se divorzierete da Magnus, non avrete più una casa» le fece notare il centurione.
«Lo so, Comandante.»
Lo sapeva fin troppo bene. Era in parte questa la ragione per cui era rimasta con suo marito per tanti anni. Quando suo padre l'aveva data in sposa a Magnus, le aveva concesso una dote straordinariamente generosa: la casa in cui vivevano. Era solo per quello che Magnus aveva acconsentito a sposarla, anche se all'epoca Vita non lo sapeva ed era erroneamente convinta che il suo futuro marito provasse qualcosa per lei.
«Troverò un posto in cui vivere» ripeté più volte, come se pronunciare quelle parole bastasse a trasformarle in realtà. «E lo farò prima di divorziare da Magnus» aggiunse infine.
«Questo mi sembra un buon piano, ma siete sicura di volerlo fare?» domandò il busto. «Sapete, una volta passato il Rubicone...»
Vita annuì, consapevole che con ogni probabilità a-
vrebbe trascorso il resto della sua vita nella miseria, lottando per sopravvivere. Era questa prospettiva ad averla tenuta legata per troppo tempo a un uomo che non la voleva, ma non poteva più andare avanti così. Nella vita c'erano cose più importanti dell'agiatezza... la dignità, per esempio.
Sollevò il perizoma controluce e lo scrutò attentamente, come se stesse studiando un testo sacro. Notò due piccole iniziali ricamate, bianche come la stoffa dell'indumento: L.F.
Lollia Flamma, l'ultima amante di Magnus.
Mistero risolto. Vita si rimproverò per non essersene accorta prima. Quella giovane dai capelli corvini era la donna di rango più alto tra le ospiti della serata, e anche la più bella.
Magnus l'aveva osservata a lungo mentre lasciava la loro casa quella sera e poco dopo se ne era andato. Probabilmente l'aveva seguita fino a casa, poi i due amanti erano tornati di nascosto sull'Aventino e avevano fatto l'amore nel loro tablinium mentre Vita dormiva.
Ah, ah, ah!
Si spostò al centro dell'atrio e alzò lo sguardo al cielo.
Per Giunone, era davvero magnifico! Di solito il fumo dei focolari di Roma creava un'enorme coltre scura, ma quella notte la pioggia aveva lavato via il grigiore e il cielo ora assomigliava a un tappeto di stelle scintillanti.
Le stelle sembravano infinite e piene di nuove promesse... come la libertà.
Decise che avrebbe divorziato da Magnus. Forse non subito, ma molto presto.
Aveva resistito per anni, ripetendosi che non aveva
bisogno del suo affetto, che poteva accontentarsi di vivere in una bella casa e in un quartiere rispettabile, con una cerchia di conoscenti di alto lignaggio e un marito con un ottimo mestiere.
Ma che importanza avevano tutte quelle cose, se doveva rinunciare alla sua dignità? Continuava a girare e rigirare il perizoma tra le mani. Quattro pareti, un giaciglio, un posto sicuro in cui tenere le stoffe per il cucito... non le serviva altro.
Ebbene sì, era deciso: avrebbe trovato un posto in cui rifugiarsi e poi sarebbe fuggita dalla vita con Magnus senza mai voltarsi indietro.
«Non disperare» mormorò tra sé e sé. «Andrà tutto bene.»
Chiuse gli occhi e, al posto delle stelle, vide comparire i grandi occhi verdi di quell'uomo. Riuscivano a vedere dentro la sua anima e la rassicuravano.
All'improvviso un rumore ruppe il silenzio, una sorta di mugolio leggero, subito seguito da una risata acuta. Vita si immobilizzò all'istante.
Eccolo di nuovo... un altro mugolio, ma stavolta così forte e profondo da assomigliare più a un gemito. Forse la cuoca ubriaca aveva ricominciato a russare.
«Oh, Magnus» miagolò una voce suadente. Non era la cuoca ubriaca.
«Fai silenzio, donna» mormorò Magnus. La sua voce proveniva dal triclinio in cui si era svolto il banchetto poche ore prima. «Così sveglierai mia moglie.»
Vita restò senza fiato. Magnus era nel triclinio insieme a Lollia, a meno di cinque passi da lì, e lei li aveva colti in flagrante!
Si guardò intorno, cercando un posto in cui nascondersi. Se si fosse rifugiata in una delle stanze che si affacciavano sull'atrio, gli amanti avrebbero sicuramente
sentito il rumore dei suoi sandali sul pavimento ancora bagnato. Se fosse rimasta ferma lì, d'altro canto, presto i due le sarebbero passati accanto e l'avrebbero vista.
Doveva assolutamente nascondersi, ma dove? Si avvicinò al bordo della cisterna e osservò l'acqua torbida al suo interno.
«Andiamo, devi tornare a casa» disse Magnus, sempre più vicino.
A quanto pareva, Vita non aveva altra scelta. Trattenne il fiato e scivolò giù, dentro la cisterna dell'acqua piovana.
Si immerse completamente, sprofondando nel fango e nei detriti fino alle cosce. Sentì dei passi e dei mormorii avvicinarsi e poi svanire. Se ne stavano andando, grazie al cielo. Aveva fatto la cosa giusta.
Eppure, in quel momento provò un grande odio per se stessa. Era una vigliacca, incapace di affrontare la realtà. Perfino la cisterna, quel piccolo angolo così poco utilizzato della casa, recava la traccia dei suoi fallimenti: era così piena di sedimenti che Vita riusciva a stento a muoversi.
Si disse che non era tutta colpa sua. Anche Magnus aveva trascurato la cisterna; non una volta, in tutti quegli anni, si era offerto di aiutarla a ripulirla e così i sedimenti erano aumentati sempre di più. Erano i residui di un matrimonio fallito.
Ormai non riusciva quasi più a trattenere il fiato. Sopra la sua testa non sentiva né movimenti né mormorii. Gli amanti dovevano essersene finalmente andati... o almeno così sperava, perché non riusciva più a stare sott'acqua. Si spinse verso la superficie, aggrappandosi al bordo della cisterna e prendendo una grossa boccata d'aria mentre riemergeva.
Suo marito e la sua amante erano lì, a pochi passi di distanza, e la fissavano con aria sbigottita.
Magnus fece per dire qualcosa, ma poi scoppiò a ridere. «Vita? Hai perso la testa?»
Lei uscì dalla cisterna e guardò la sua gonna intrisa di fango. Forse la risposta a quella domanda era un sì.
«Sembri una creatura della palude!» continuò lui, divertito, dando una gomitata leggera a Lollia, che rise piano e poi abbassò lo sguardo con aria colpevole.
«Tutto qui quello che hai da dire, marito?» gli chiese Vita, con il cuore che batteva all'impazzata.
«Che altro dovrei dire?» fece lui. Poi si rivolse a Lollia: «Mi spiace, mia cara. Come vedi, mia moglie è fuori di senno. Vieni, fuggiamo da questa casa di matti». Prese la mano dell'amante e fece per andarsene.
«Io divorzio da te, Magnus» mormorò Vita.
Lui si fermò e si voltò. «Come hai detto?»
«Io divorzio da te, Gaius Magnus Furius, per la crudeltà del tuo cuore e per l'egoismo delle tue azioni. Io divorzio da te, perché in tutti questi anni non hai fatto altro che tradirmi. Io divorzio da te, che Giove mi sia testimone. D'ora in poi saremo divorziati!»
Volse lo sguardo verso il pugno di Magnus, convinta che stesse per colpirla.
Invece suo marito fece solo un grande sorriso. «Per tutti gli dei, Vita! Perché ci hai messo tanto?»
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