COR - The Local Magazine (IT Edizione 1/2019)

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L O C A L

UNO

M A G A Z I N E

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ESCURSIONI

ARTIGIANATO

ENIGMI

Sette camminate da non perdere

I segreti di un intagliatore

Sulle tracce dell’Uomo dei ghiacci

Qui sì che c’è gusto! Sapori, piaceri e culture di una montagna tutta da scoprire

B R E S S A N O N E

·

C H I U S A

·

R I O

P U S T E R I A

·

N A Z - S C I A V E S

·

L U S O N


Rio Pusteria – Bressanone GITSCHBERG JOCHTAL 100 chilometri di piste & 25 impianti – 1 Skipass - BRIXEN 100 KM SLOPES | 25 LIFTS

» Rio Pusteria: 55 km e 15 impianti » Bressanone Plose: 40 km e 7 impianti » & Velturno, Val di Funes e Luson Gitschberg / Maranza - Meransen MÜHLBACH - MERANSEN 201 202 POBIST 203 BRUNNER SKI EXPRESS 204 206 MITTERWIESE NESSELBAHN 207 208 GITSCHBERG 211 BERGBAHN

Plose Bressanone - Brixen PLOSE 101 102 SCHÖNBODEN 103 RIFUGIO CAI PALMSCHOSS 104 105 ROSSALM PFANNSPITZE 107 114 RANDÖTSCH

JOCHTAL 2100 m

WILDE KREUZSPITZE PICCO DI CROCE 3132 m

PLATTSPITZE

MÖSELER MESULE

ALTFASSTAL

207 307

307

701

204

206

301

2059 m

Parchi bambini bambini// Kinderparks /Kidsareas areas Kinderparks/Kids Snowpark

Family Fun

hot spot WIFI gratuito kostenloser WIFI-Hotspot free WIFI hotspot

RODENECKER ALM

2110 m

GROSSBERG

304 305

OFFICE

THURNERKAMP

2210 m

KLEINGITSCH

SP Snowpark Skipass

TELEGRAPH M. TELEGRAFO 2505 m

LÜSEN LUSON 1050 m

PLOSE 2465 m

103

2043 m

105

OCHSENALM 2085 m

308 WANDERWEGE SENTIERI

WANDERWEGE KIENER ALM 1750 m

SP

VALS VALLES 1354 m 306

211

KREUZTAL VAL CROCE

104

MERANSEN MARANZA 1414 m

SP OFFICE

EISACKTAL VAL D’ISARCO

202

MITTEWALD MEZZASELVA

SKIHÜTTE RIFUGIO SCI 1890 m

2010 m

1394 m

203

107

2050 m

SERGS

VALSERTAL VALLE DI VALLES

ROSSALM 2200 m

SENTIERI

102

1620 m

OFFICE

PEITLERKOFEL SASSO DI PUTIA

GABLER M. FORCA 2570 m

PFANNSPITZE M. FANA 2507 m

GITSCHBERG 2512 m

303

BRENNER BRENNERO

HOCHFEILER GRAN PILASTRO

208

OLPERER

GAISJOCH

Jochtal / Valles - Vals 301 JOCHTAL 303 RESTAURANT 304 HINTERBERG STEINERMANDL 305 306 TASA SCHILLING 307 308 GAISJOCH 401 MADERS - VELTURNO/ FELDTHURNS 501 FILLER - FUNES/VILLNÖSS SKILIFT RUNGG - LÜSEN/LUSON 701

SP OFFICE

PALMSCHOSS PLANCIOS 1760 m

SP

ST. MAGDALENA S. MADDALENA

OFFICE

201

VILLNÖSS FUNES 1280 m

ST. GEORG IN AFERS S. GIORGIO EORES

ST. LEONHARD S. LEONARDO

501

BRUNECK BRUNICO SPINGES SPINGA

MÜHLBACH RIO DI PUSTERIA 777 m

NAUDERS

RIE

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RIENZ

FRANZENSFESTE FORTEZZA

VIUMS FIUMES

AICHA AICA

EI

RODENECK RODENGO

SCHABS SCIAVES

RAAS RASA

SP

GIFEN

OFFICE

ST. PETER S. PIETRO

ST. JAKOB IN AFERS S. GIACOMO EORES

1067 m

ST. ANDRÄ S. ANDREA

KARNOL

MELLAUN MELLUNO

NATZ NAZ AFERER TAL VAL DI EORES

KLERANT

ELVAS

VILLNÖSSTAL VAL DI FUNES

SA CK ISARCO

MILLAND MILLAN

NEUSTIFT NOVACELLA

TEIS TISO

SARNS SARNES

AUSFAHRT BRIXEN/PUSTERTAL USCITA BRESSANONE/VAL PUSTERIA

PINZAGEN PINZAGO

www.cormar.info

TILS TILES

ALLE RECHTE VORBEHALTEN · TUTTI I DIRITTI RISERVATI · ALL RIGHTS RESERVED

TSCHÖTSCH SCEZZE

GUFIDAUN GUDON

ALBEINS ALBES

AUSFAHRT KLAUSEN USCITA CHIUSA

A22

A22

VAHRN VARNA

© by

NAFEN

EISA ISAR CK CO

BRIXEN BRESSANONE 567 m

SCHALDERS SCALERES

101

114

SCHNAUDERS

FELDTHURNS VELTURNO 851 m

KLAUSEN CHIUSA

1080 m

401

www.riopusteria-bressanone.com

GARN

LATZFONS LAZFONS


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1 “L’articolo che mi è piaciuto di più in questo numero?” Philipp Putzer, l’art director, non ha bisogno di rifletterci a lungo. “Quello dedicato a Ötzi, naturalmente! Mi cimento da quindici anni con la sua storia ma la sua narrazione non si esaurisce mai. L’équipe di ricercatori continua, infatti, a studiare Ötzi e a pubblicare sempre nuove scoperte.”

Cordialmente, la redazione

2 Servizio fotografico? Se proprio insistete, avrà pensato Kiwi, il cane della malga Zirmait. In cambio però ha preteso che per mezz’ora la nostra squadra giocasse con lui al lancio del bastone. 3 L’autrice Lisa Maria Kager è rimasta colpita dalla pace interiore di Adelheid Gasser, la contadina ritratta nella nostra immagine di copertina. D’ora in poi seguirà il suo suggerimento: ogni giorno un sonnellino dopo pranzo!

BOZEN BOLZANO

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Hanno collaborato a questa edizione

Cor. Il cuore. Das Herz. Perché qui batte il nostro cuore. Perché la vista delle nostre montagne apre il cuore a chi le visita. Perché per noi Bressanone, Chiusa e i dintorni sono una questione di cuore. E lo è anche questa rivista: COR. The Local Magazine. Perché amiamo raccontare questi luoghi, le persone che vivono qui, dove batte il loro cuore e la loro cordialità non smette mai di incantarci. Perché col cuore in mano vi vogliamo raccontare questa storia.

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valles

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Gitschberg

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fundres

Jochtal maranza

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Naz -Sciaves

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Spelonca

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32 Rodengo luson

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Alpe di Luson

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Scaleres

Varna

novacella

bre ssa non e Velturno

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Plose

80 31 Sass de Putia

40 52 Verdignes

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Chiusa

Villandro

laion barbiano

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val di funes

Gruppo delle Odle


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Colophon EDITORI Bressanone Turismo Soc. Coop. Associazione turistica Gitschberg Jochtal Associazione turistica Chiusa, Barbiano, Velturno, Villandro Associazione turistica Naz-Sciaves Associazione turistica Luson IDM Südtirol – Alto Adige

6

Il piacere della bellezza Quattro momenti magici

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Buone nuove Notizie dal territorio

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Tre domande a… Thilo Neumann, proprietario della casa più stretta dell’Alto Adige

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Quelli di lassù Una famiglia in malga

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Vetta contro malga Elogio dell’alpinismo… e dell’escursionismo

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La grande varietà della montagna Sette itinerari da scoprire

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H2O! L’acqua: numeri e curiosità

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Una questione bollente In visita alla regina degli Strauben

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CONTATTI info@cormagazine.com REDAZIONE Ex Libris www.exlibris.bz.it PUBLISHING MANAGEMENT Valeria Dejaco

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Tra masi e stelle Il meglio della cucina del territorio

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Il tesoro perduto Capolavori in dettaglio

CAPOREDATTORE Lenz Koppelstätter ART DIRECTION Philipp Putzer www.farbfabrik.it AUTORI Valeria Dejaco, Cassandra Han, Lisa Maria Kager, Lenz Koppelstätter, Debora Longariva, Lisa Lutzenberger, Matthias Mayr

V come Vino I consigli dell’enologa Fenja Hinz

FOTOGRAFIE IDM Südtirol, Florian Andergassen, Capriz, Dietmar Denger, Alex Filz, Wolfgang Gafriller, Matthias Gasser, Christof Gruber, Armin Huber, Hans Kammerer, Manuel Kottersteger, Helmut Moling, hamphotographie, Hannes Niederkofler, Judith Niederwanger, oooyeah.de, Michael Pedevilla, Franz Pernthaler, Klaus Peterlin, Alexander Pichler, Plose Quelle AG, Caroline Renzler, Helmuth Rier, Arnold Ritter, Rotwild, Santifaller Photography, Stefan Schütz, Stadtmuseum Klausen, Andreas Tauber, privat, Shutterstock (bergamont, baranq, arka38)

30

58

Era della Valle Isarco? Intervista: gli enigmi di Ötzi, l’Uomo dei ghiacci

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Solo il meglio I prodotti del territorio

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Una giornata con… Felix Fischnaller, intagliatore in legno

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L’Alto Adige per principianti 1a puntata: la dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico

73

Piccolo dizionario sudtirolese Il nostro dialetto, spiegato bene

74

La marcia dei Ladini L’antico pellegrinaggio verso Chiusa

80

Il mio posto preferito a... Bressanone Gli abitanti svelano i loro segreti

82

Lo scatto perfetto Tre consigli per foto Instagram impeccabili

ILLUSTRAZIONI Stefanie Hilgarth, Shutterstock (nata_danilenko) TRADUZIONI E REVISIONE Ex Libris (Duccio Biasi, Valeria Dejaco, Milena Macaluso, Tiziana Panfilo) STAMPA Tezzele by Esperia, Lavis

Con il generoso supporto di

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Il piacere della bellezza Piste immacolate, albe di luce dorata: impressioni che incantano tutti i sensi, in ogni stagione. Ecco quattro momenti a dir poco magici

Lo Schßttelbrot, il pane tradizionale, qui è di casa come le montagne o le mucche al pascolo. Fatto con la farina di segale, è duro e croccante e si sposa perfettamente con il vino e lo speck.

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Con i suoi 20 chilometri quadrati di superficie, l’Alpe di Luson e Rodengo è uno degli altipiani più grandi d’Europa. In estate il paesaggio dolcemente ondulato è perfetto per camminare, in inverno per le escursioni con le ciaspole.

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La Galleria Civica di Bressanone è un vero epicentro culturale. Ogni anno vi si organizzano varie esposizioni d’arte contemporanea, tra quadri, installazioni, sculture e fotografie.

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Innevamento garantito, tantissimo sole e panorami spettacolari: i comprensori sciistici di Plose e Rio Pusteria sono tra i piĂš amati del versante alpino meridionale.

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BUONE NUOVE Notizie e curiosità dal territorio

Cosa fa veramente… un cartografo?

Hans Kammerer di Millan, una frazione di Bressanone, disegna da almeno trent’anni mappe topografiche e tematiche e carte panoramiche. L’ottantaseienne è autodidatta ed è un vero pioniere di questo mestiere.

“HO COMINCIATO A INTERESSARMI alla cartografia quando avevo dieci anni. Da allora ho imparato tutto da solo, un passo dopo l’altro. Le prime carte che ho avuto tra le mani erano del dopoguerra ed erano in scala 1:100000. Andavano già bene, ma desideravo un livello di dettaglio maggiore. Ho disegnato la mia prima carta topografica in scala 1:25000 nel 1960: a penna, inchiostro di china e tempera. Oggi naturalmente esistono dei software appositi. Lavoro con il computer da trent’anni e ho seguito tutti i progressi della tecnologia. La cartografia è diventata la mia professione negli anni novanta. Fino ad allora ho

B come… Birmehl “BIR” in dialetto altoatesino significa pera. A Verdignes i peri crescono addirittura nel centro del paese. In passato il “Birmehl”, la farina di pere, era un’alternativa economica allo zucchero. La produzione del dolcificante era molto impegnativa e richiedeva molto tempo: i frutti venivano essiccati e poi macinati per ottenerne la farina. Se una volta Ver-

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dignes aveva l’ironico appellativo di “paese del Birmehl”, oggi i suoi abitanti sono orgogliosi di far rivivere questa tradizione, tanto da averle dedicato un sentiero tematico e una festa: durante l’Autunno del Birmehl i ristoranti e le osterie contadine offrono piatti tipici altoatesini addolciti dal sapore di questo frutto.

coltivato relazioni nella mia tabaccheria nel centro di Bressanone, ho imparato molto sulle carte e ho collaborato per quarant’anni alla gestione dei sentieri con l’Alpenverein, il club alpino sudtirolese. Per il mio primo incarico importante ho controllato personalmente ogni quota e percorso molti sentieri. Ho girato per decenni le montagne dell’Alto Adige e non solo. Oggi disegno carte panoramiche con Photoshop, basandomi sulle riprese di Google Maps. Ormai si rileva tutto con il GPS.”


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500 cime

?

…498, 499, 500. Sono cinquecento le cime che – meteo permettendo – si possono osservare dal belvedere a 360 gradi sulla cima del Monte Cuzzo (Gitschberg), a 2512 metri di quota. Tra esse spiccano numerosi tremila, le Dolomiti, il Gruppo di Brenta, le Alpi della Zillertal, dello Stubai e della Ötztal. Dalla stazione a monte della seggiovia quadriposto del comprensorio sciistico di Rio Pusteria basta percorrere pochi metri per godere di questo panorama straordinario.

Sapevate che… le castagne sono afrodisiache? ià nel medioevo le castagne – insaporite con sale e pepe – erano utilizzate come afrodisiaco, poiché si riteneva che stimolassero la libido e accrescessero la potenza sessuale. All’inizio del XX secolo, invece, furono effettuate ricerche sul profumo inebriante del fiore di castagno. I feromoni contenuti in questo fiore facevano del suo profumo un odor aphrodisiacus, in grado di influenzare la sessualità. A quei tempi, in ogni caso, il castagno era utilizzato come stimolante sessuale solo nelle classi più elevate della società… e di nascosto.

G

Il signore delle piste FRANZ STABLUM fa il contadino al maso Niederthalerhof a Meluno, ma da quasi quarant’anni la Plose è la sua seconda casa. Dal dicembre del 1980, infatti, lavora in questo comprensorio sciistico, dove ha iniziato come addetto agli impianti di risalita per diventare infine il responsabile di tutte le piste. In questi decenni ha vissuto molti cambiamenti. La pista Trametsch è il gioiello della Plose, oltre che la pista più lunga dell’Alto Adige con 9 chilometri di tracciato e un dislivello di 1400 metri. “All’inizio la Trametsch veniva battuta solo ogni settimana”, racconta Stablum, “oggi sarebbe impensabile”. Con il suo team cura ogni giorno 40 chilometri di piste perfette. Gli sciatori apprezzano la

Plose soprattutto quando c’è il sole, ma Stablum lavora anche con la nebbia e il freddo. Eppure questo contadino di Meluno ama ancora le montagne e il loro spettacolo come se fosse il primo giorno. Il suo posto preferito? “La sella dello Schönjöchl in estate, verso sera. Il tramonto visto da lì è semplicemente fantastico.”

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Jerry Line Lunghezza: 4,2 km Dislivello: 300 m Pendenza media: 7%

Hammer Line Lunghezza: 1,9 km Dislivello: 165 m Pendenza media: 8,5%

Palm Pro Line Lunghezza: 2,5 km Dislivello: 265 m Pendenza media: 11%

Sky Line Lunghezza: 6,6 km Dislivello: 900 m Pendenza media: 13%

Bike a Bressanone

DAL 2018 è in funzione il Bikepark di Bressanone sulla Plose, dove gli appassionati di mountain bike possono percorrere quattro “lines” con vari gradi di difficoltà, discese mozzafiato e ampi salti. Tutte le piste sono raggiungibili con la cabinovia Plose dalla località Sant’Andrea e partono direttamente dalla stazione a monte. Inoltre è in funzione la seggiovia di Plancios per riportare in quota i biker.

Express per tutti NELL’AREA SCIISTICA Rio Pusteria ci sono molte novità: la moderna cabinovia a dieci posti “Ski Express” sostituisce gli impianti di Breiteben e Sergerwiese e può trasportare 3000 sciatori all’ora con il massimo del comfort. Una stazione intermedia permette di accedere anche alla pista Breiteben, particolarmente apprezzata dai principianti. Sono nuove anche la pista “Wastl Huber”, allestita di recente e lunga due chilometri, e la “Gimmy Fun Ride” nel comprensorio Jochtal, un chilometro e mezzo di facili salti, ostacoli e curve paraboliche adatti a tutta la famiglia.

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Carte vantaggiose A pagamento: + La Mobilcard consente l’utilizzo illimitato di tutti i mezzi pubblici in Alto Adige.

La nuova passeggiata di Sabiona l Monastero di Sabiona domina Chiusa con il suo splendido profilo, dall’aspetto maestoso e arcaico. La celebre passeggiata di Sabiona, che collega la cittadina degli artisti al Monastero, è stata recentemente riallestita. Il sentiero verso l’“Acropoli del Tirolo” è fiancheggiato da nuove panchine realizzate appositamente e da un’area di sosta nel cuore di antichi vigneti. Dal Monastero si gode una vista eccezionale sulle montagne e sulla valle. Vari pannelli informativi disposti lungo il sentiero spiegano l’importanza del monastero come sede vescovile.

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Per gli amanti del formaggio ALTO ADIGE mecca del vino, dello speck e dei canederli? Certo, ma anche del formaggio. Capriz è un caseificio di qualità con reparti visitabili, esposizione interattiva e bistrò. Qui il latte di capra e di mucca viene lavorato per ottenere formaggi molli con muffa esterna o doppia, mozzarella Caprizella, formaggi freschi o stagionati. Nel mondo Capriz i visitatori scoprono

come dal latte si ricava il formaggio e nel bistrò possono infine assaggiarlo, accompagnato da vini eccellenti e varie prelibatezze. www.capriz.bz

+ La museumobil Card consente l’utilizzo illimitato dei mezzi pubblici dell’Alto Adige per 3 o 7 giorni e un ingresso in ciascuno dei musei dell’Alto Adige. + Con la bikemobil Card si possono utilizzare senza limiti bus, treni e bici a noleggio in tutto l’Alto Adige.

Gratuite (comprese nel prezzo della camera negli esercizi aderenti): + La BrixenCard consente l’accesso libero a mezzi pubblici, musei e castelli in Alto Adige, un ingresso al centro acquatico Acquarena, una corsa con la cabinovia Plose e un ampio programma di visite culturali ed escursioni. + La Almencard, valida nell’area vacanze Rio Pusteria e a Naz-Sciaves, offre corse gratuite in funivia, un programma di escursioni e iniziative per i bambini e le famiglie oltre a riduzioni in musei, rifugi e ristoranti (escluso l’inverno). La Almencard Plus offre inoltre l’utilizzo gratuito dei mezzi pubblici, un ingresso in ciascuno dei musei dell’Alto Adige e un programma di escursioni a Naz-Sciaves. + La Chiusa Card – alps & wine combina i vantaggi della museumobil Card con altre offerte: accesso libero a tre piscine, corse in funivia, utilizzo di autobus estivi e invernali per escursioni, passeggiate guidate, degustazioni di vini e grappe e molto altro.

www.valleisarco.info/carte-vantaggiose

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Tre domande a… Thilo Neumann, proprietario della casa più stretta dell’Alto Adige

Signor Neumann, ma che casa è la sua? È un edificio storico nella città alta di Chiusa, originario del XIII secolo. Oggi è un appartamento per vacanze, che ha conservato tutto il fascino del passato, di quando Chiusa era una colonia di artisti. È larga appena tre metri, i 100 metri quadrati di spazio abitabile sono distribuiti su cinque livelli.

La casa più stretta dell’Alto Adige si trova a Chiusa. La prima registrazione al catasto risale al 1418.

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1° piano 1: Balcone

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Come si vive all’interno? Magnificamente! Molto meglio che negli appartamenti moderni, squadrati e noiosi.

2: Cucina – 8,97 m2 3: Ingresso – 9,04 m2 4: Soggiorno – 12,58 m2

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Lunghezza: 14,22 m

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Thilo Neumann ha ricevuto la casa in eredità dal padre. Lui e la sua compagna Petra Tischendorf amano questo edificio e trovano noiose le abitazioni moderne.

Che storia si nasconde dietro questo edificio? L’edificio è sorto in un’epoca in cui nella vicina e stretta Val Tina l’attività delle miniere era intensa. Le case dei minatori furono costruite a Chiusa perché era l’unica zona dove c’era spazio. La prima registrazione in un catasto risale al 1418. Mio padre l’ha acquistata nel 1972.


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CONTENUTO SPONSORIZZATO

Le migliori etichette della Valle Isarco I dintorni di Bressanone e Chiusa formano l’area vitivinicola più settentrionale d’Italia. Ed è proprio questa posizione a rendere i suoi vini così speciali: il clima fresco, la grande escursione termica tra giorno e notte, la quota elevata dei vigneti terrazzati, la vendemmia tarda e i suoli leggeri contribuiscono a produrre vini di grande carattere, freschi, fruttati e minerali

La zona vinicola della Valle Isarco si estende da Varna, a nord di Bressanone, fino all’altipiano del Renon a sud. Pur essendo un territorio alpino, le precipitazioni sono molto ridotte e il numero di ore di sole è straordinariamente elevato, il che permette di impiantare vigneti anche tra i 400 e gli 850 metri di quota. Date queste premesse i vitigni che crescono meglio sono soprattutto i bianchi, che forniscono l’86% delle uve raccolte in Valle Isarco. Storicamente, fino al XX secolo inoltrato, qui si produceva quasi esclusivamente vino rosso. Alcuni decenni fa, invece, i contadini e i viticoltori locali compresero che il clima di queste vallate alpine è molto più adatto ai vini bianchi. Oggi sono sette i vini bianchi che vantano la denominazione d’origine “Alto Adige Valle Isarco”: Sylvaner, Müller Thurgau, Gewürztraminer, Veltliner, Pinot Grigio, Kerner e Riesling. Il Klausner Leitacher, una cuvée, è l’unico vino rosso con denominazione d’origine Valle Isarco.

Oggi i vini della Valle Isarco sono prodotti da due grandi cantine e 18 piccole aziende vitivinicole dotate di una propria cantina. Tra queste figurano la Cantina Valle Isarco, un consorzio con 130 soci, la Cantina dell’Abbazia di Novacella, con la sua tradizione lunga 876 anni, e l’associazione degli innovativi e indipendenti “Vignaioli Alto Adige”. ETICHETTE PLURIPREMIATE Per creare sinergie tra produttori, ristoratori e associazioni turistiche della Valle Isarco nel 2015 è nata la cooperativa eisacktalWein, allo scopo di rafforzare sia localmente che all’esterno l’immagine della Valle Isarco come zona vinicola. Missione riuscita, dato che la reputazione dei vini della Valle Isarco è in continua crescita e i

sempre più numerosi produttori indipendenti che gestiscono in proprio anche la distribuzione contribuiscono alla varietà e alla visibilità della viticoltura della valle. Non a caso la Valle Isarco è spesso citata come una delle migliori zone vinicole d’Italia. Lo testimoniano i tanti riconoscimenti assegnati ogni anno ai suoi vini dalle più prestigiose riviste di settore, da bibbie dell’enologia italiana come Bibenda, il Gambero Rosso o la guida de L’Espresso fino a testate di punta internazionali come Robert Parker, il Wine Enthusiast o il Wine Spectator.

UNA TRADIZIONE MILLENARIA Nella Valle Isarco si coltivava la vite già nel V secolo a.C., come rivelano le testimonianze più antiche a noi pervenute. All’inizio del Medioevo furono i conventi a promuovere la viticoltura: ad esempio la cantina dell’Abbazia di Novacella, a nord di Bressanone. Qui si vinificava già nel lontano 1142, una tradizione continuata ininterrottamente fino a oggi. Il grande salto di qualità per i vini della Valle Isarco si ebbe dopo il 1960, quando i viticoltori fondarono i primi consorzi e aumentarono le superfici a vite ricavando sui pendii le faticose coltivazioni a terrazza che caratterizzano ancora oggi il paesaggio della valle.

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Quelli di

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Nei mesi estivi, Bernhard Mulser fa il pastore alla malga Zirmait sopra Bressanone, occupandosi di vitelli e maiali assieme alla moglie e ai due figli. Cosa vuol dire, per una famiglia, vivere sui monti, in solitaria? Siamo andati a trovarli T e s t o — M A T T H I A S M A Y R F o t o g r a f i e — M I C H A E L P E Z Z E I

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o, la malga Zirmait non è una malga affollata con le tovaglie kitsch e le cameriere in costume tirolese o con i pantaloni corti di cuoio, i lederhosen. Questa è una malga vera. Lontano dalla quotidianità indaffarata della valle, la vita qui è autentica, come una volta. Con i vitelli che pascolano sui prati scoscesi e i maiali che si avvoltolano nel fango. E i pasti per rifocillare gli escursionisti affamati si preparano sulla stufa a legna. È qui che Bernhard Mulser ha appena passato la sua prima estate in malga, assieme alla sua famiglia. “Abbiamo trascorso ogni giorno da inizio giugno a fine settembre alla Zirmait, lavorando sempre assieme dall’alba al tramonto”, racconta. Un’esperienza così può avere successo? Oppure si rischia di far sprofondare la vita familiare nella lite? La troppa vicinanza può portare a non sopportarsi più a vicenda? Com’è vivere assieme agli altri lassù? La consapevolezza cambia? I pensieri? Le sensazioni? La famiglia Mulser è originaria di Fiè allo Sciliar. Papà Bernhard è falegname, lavora in proprio, mamma Bernadette è commessa. Il figlio Klaus, di 17 anni, cerca un impiego come giardiniere, la figlia Lisa, di 21 anni, ha frequentato la Scuola d’arte della Val Gardena e ora vorrebbe studiare psicologia e arte. La nostra visita capita mentre stanno trascorrendo le ultime giornate estive in malga. Tutti e quattro ripensano con gioia alle settimane passate. Eppure, un’estate così è stancante, le giornate in malga sono lunghe e faticose. Volevano fare qualcosa di diverso. Altri sarebbero partiti per un weekend fuori porta. E invece la famiglia Mulser ha fatto una scelta radicale. Lasciandosi alle spalle la quotidianità, il lavoro e sperimentando qualcosa di nuovo.

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Bernhard Mulser e il figlio Klaus si occupano del bestiame. Quindici vitelli, dall’anno e mezzo ai due anni di età, trascorrono l’estate in malga. Sono animali svegli, curiosi, appartenenti alla razza Grigio Alpina, tipica di questo territorio. I bovini di questa razza danno buon latte e anche buona carne, si adattano perfettamente al pascolo grazie al loro passo sicuro e alla buona capacità di assimilazione del foraggio. Oltre alle Grigio Alpine la famiglia alleva tre maiali di un’antica razza, la Alpina Tirolese. I maiali crescono lentamente e proprio per questo hanno una carne di qualità, povera di colesterolo. In malga possono nutrirsi di fieno, mele e altre leccornie. Ci sono anche altri inquilini a Zirmait: un asino, un cavallo, un pony. Ma anche Kiwi, il Parson Russell Terrier, e i gatti Furbi e Kitti, che assieme alla loro famiglia trascorrono la villeggiatura estiva in quota. Al nostro arrivo i gatti si nascondono, il cane vuole giocare. “Ho imparato a rapportarmi con gli animali da bambino, nel maso dei miei genitori, e poi da pastore in gioventù”, dice il padre. Conoscenze che ogni giorno approfondisce. “In malga devi essere capace di arrangiarti in tutto”, prosegue. “Sono pastore, artigiano, meteorologo, veterinario e guida turistica”. Sua figlia Lisa ha già lavorato per due estati come cameriera in un rifugio, ma il lavoro in una piccola malga è comunque più insolito. Anziché occuparsi soltanto del servizio, è anche cuoca, artigiana, pastora e contadina. I Mulser riassumono la loro estate in due parole: faticosa e piacevole. Giornate lunghe e dure ma che rappresentano una

Malga Zirmait Questa è una vera malga. Lontano dalla quotidianità indaffarata della valle, la vita qui è ancora autentica, come una volta.

La malga Zirmait si trova sotto la cima Quaira ed è facilmente raggiungibile a piedi da Varna, Spelonca oppure da Scaleres. Partendo dalla baita, la cima è raggiungibile in un’ora di cammino. La salita non è particolarmente impegnativa e dalla vetta si apre una spettacolare vista panoramica sulle valli e le montagne circostanti.


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Kiwi, il Parson Russell Terrier, e i gatti Furbi e Kitti trascorrono l’estate in malga assieme alla loro famiglia.

I Mulser allevano vitelli di Grigio Alpina, un asino, un cavallo, un pony e anche maiali di un’antica razza, la Alpina Tirolese.

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“Giù in valle siamo tutti troppo esigenti”, dice Bernhard. “Quassù, ci si accontenta di quello che c’è e si cerca di trarne il meglio”.

pausa dalla quotidianità e sono un’esperienza nuova. “Ma non si tratta di una rinuncia: è questa la vita reale!”, esclama Bernhard. Il figlio Klaus concorda: “Quassù ho tutto ciò che mi serve”. La malga Zirmait sorge a 1891 metri sul livello del mare e si raggiunge a piedi, in circa due ore e mezza, dal paese di Varna a nord di Bressanone, mentre dal parcheggio alla fine della strada transitabile ci vogliono tre quarti d’ora. Da qui la vista si apre ampia e libera sulla Plose, sul Plan de Corones, sulle ripide cime delle Odle e sulle Alpi della Zillertal. La malga è lontana dagli itinerari del turismo di massa, vi trova rifugio soprattutto la gente del posto. La meta degli escursionisti è per lo più la cima Quaira, 2517 metri, che dista un’altra ora e mezza di cammino. Del vitto si occupano mamma Bernadette e la figlia Lisa. La stufa a legna nella piccola cucina è piena di padelle e pentole, emana un tepore accogliente. Il gulasch e la zuppa di verdure cuociono a fuoco lento, il profumo di aglio del sugo al pomodoro per la pasta Zirmait si diffonde nella stanza. Bernadette ha davanti a sé un’enorme terrina di impasto per i canederli e rimesta con le dita agili la “pietanza nazionale” del Sudtirolo. È anche pasticciera per passione: a Zirmait ci sono sempre tanti tipi di torte a scelta.

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Bernhard completa l’esperienza gastronomica con le grappe di sua produzione. Il tempo quassù ha una velocità tutta propria. Il sole determina l’inizio e la fine dei lavori, e di lavoro ce n’è molto. Nonostante ciò, la famiglia Mulser non sembra stressata. “Il tempo bisogna prenderselo”, dice Bernhard. I quattro Mulser si godono il lusso di poter decidere della loro vita in accordo con la natura. E poi la vita in malga è avventurosa. Un impianto fotovoltaico con otto batterie da autocarro produce la corrente per il rifugio. Quando il sole splende alto, la prestazione massima è di 3,5 kilowatt. Nelle giornate di maltempo l’energia va risparmiata in modo che frigorifero e congelatore possano compiere il loro dovere. L’acqua zampilla dalla fonte della malga ma va usata anch’essa con parsimonia. L’estate scorsa, a causa della grande siccità, la malga è rimasta senz’acqua per settimane. Ciò ha reso tutto più complicato ma, secondo Bernhard, non è stato poi così grave. “Giù in valle siamo tutti troppo esigenti. Quassù, ci si accontenta di quello che c’è e si cerca di trarne il meglio.” Davanti alla malga ci sono una terrazza e un’altalena per i piccoli, accanto c’è un piccolo orto di erbe aromatiche. Si produce in casa tutto ciò che è possibile: un ritorno alle origini. La baita stessa

Il tempo quassù ha una velocità tutta propria. Il sole scandisce il ritmo dei lavori, e di lavoro ce n’è molto.

Bernadette è un’appassionata pasticciera. Si occupa del vitto assieme a sua figlia Lisa.


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L’estate in malga ha fatto bene alla vita familiare. “Quest’esperienza ci ha unito ancora di più”, dice Bernhard Mulser.

La ricezione del cellulare quassù funziona solo di quando in quando. Si sentono soltanto le campane delle mucche e ogni tanto una cornacchia.

In malga bisogna fare molte cose assieme: anche la cottura della marmellata di mirtilli rossi.

è piccola: una cucina, una stube per gli ospiti, una stanza per i genitori e un piccolo WC. Il gabinetto a caduta accanto alla stalla ha in realtà ormai soltanto una funzione folcloristica. “Gli ospiti che passano e si fermano per la notte vengono alloggiati in una camerata con i materassi nella soffitta”, racconta Klaus. Lui e sua sorella però non dormono in baita: il loro regno è la stalla, della quale i vitelli d’estate non hanno bisogno e che viene quindi utilizzata come magazzino, dove sono state ricavate due stanze. C’è molto silenzio, in malga. Per la maggior parte del tempo genitori e figli devono rinunciare anche al cellulare. Quassù c’è rete solo di quando in quando. Si sentono soltanto le campane delle mucche e ogni tanto una cornacchia. E se è vero che Zirmait non è proprio fuori dal mondo – con il fuoristrada oppure con il classico trabiccolo di molti montanari sudtirolesi, la Fiat Panda, si arriva a Bressanone in mezz’ora – si ha la percezione che la vita di

città sia infinitamente lontana. Così lontana da non sentirne la mancanza, anzi: i Mulser litigano sempre per decidere chi debba scendere a valle a fare la spesa. In ogni caso l’estate in malga ha fatto bene alla vita familiare. “Quest’esperienza ci ha unito ancora di più”, dice Bernhard Mulser. Non è cosa da dare per scontata, quando per quattro mesi si sta appiccicati l’uno all’altro. “Si conosce meglio la propria famiglia”, dice Lisa, la figlia. Ogni mattino inizia con la colazione tutti assieme: è il momento per organizzare la giornata e pianificare i compiti; dove sono i vitelli, cosa si cucina, abbiamo corrente a sufficienza, chi prende la legna? Non si tratta di decisioni che cambieranno il mondo. Ma in malga ne dipende la sopravvivenza. Giù in valle ognuno va per la propria strada; quassù molte cose vanno risolte assieme. Non si è mai arrivati a grandi litigi, nonostante le tante sfide da affrontare. “Ci sopportiamo ancora”, si rallegra Klaus. Siamo a fine agosto: alla Zirmait si sente che le giornate si fanno più fresche. L’autunno porterà ancora pomeriggi caldi e soleggiati, ma a questa quota, a settembre, può anche nevicare. È giunto il tempo di congedarsi dalla vita in malga. Un’estate bellissima alle spalle, la famiglia pensa già con dispiacere al ritorno a valle. “L’anno prossimo vogliamo tornare assolutamente”, dice Bernadette. E così, il pensiero rivolto alla prossima estate in malga, mitiga la nostalgia.

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Vetta malga La vera felicità è raggiungere le cime più alte. O forse è più che sufficiente una tranquilla camminata in malga? Un elogio dell’alpinismo… e uno dell’escursionismo

OVUNQUE MI TROVI, SE VEDO UNA MONTAGNA, devo salirci. Anche se è soltanto una piccola cima. È proprio dentro di me. Non posso farne a meno. Non voglio nient’altro. È un brivido, arrivare lassù, fino in vetta: lì dove più avanti non si può proprio andare. Lì, dove il mondo per un pezzetto finisce. Lì, dove ti senti un re e al tempo stesso il più piccolo e insignificante battito di ciglia dell’eternità. L’avvertire questa fluttuante combinazione di sensazioni è talmente forte da causare quasi una dipendenza. Alcuni dicono che raggiungere la cima non sia poi così importante: ciò che conta è la natura, ciò che conta è stare all’aria aperta, ciò che conta è fare una sosta in una bella malga. Non credete a questa gente! La magia sta solo nella vetta. Il canederlo della malga non potrà mai essere buono quanto il panino allo speck tirato fuori dallo zaino e gustato in vetta. Raggiungere la cima significa anche mettere alla prova i propri limiti, azzardarsi a fare un passo oltre, capire anche quando è il momento di tornare indietro, raggiungere un traguardo ambizioso, oppure perlomeno provarci. Chi fa una camminata trascorre una bella giornata, sì. Ma chi scala la vetta è padrone del mondo. Scopre nuovi orizzonti… anche dentro di sé.

L E N Z

QUANDO FACCIO ESCURSIONISMO, parto semplicemente per mettermi in cammino. Non ho bisogno di un traguardo, camminare non è una gara. A volte non so neppure se desidero raggiungere una meta. E non lo faccio certamente perché devo. Voglio avere il tempo di guardare a destra e a sinistra. Voglio lasciar vagare lo sguardo e i pensieri. Cammino attraverso la frescura dei boschi, attraverso gli ampi pascoli verdi e osservo le maestose cime delle montagne dal basso. Percepisco una pace profonda dentro di me e mi fermo con rispetto davanti alle bellezze della natura. Vorrei, io, stare lassù sulla vetta e comportarmi come se fossi più grande di tutto questo? No! Camminare per il piacere di camminare? Sì! Non si tratta di mettere alla prova i propri limiti. Si tratta di sentirsi parte del tutto e, in questo, percepire di essere liberi. Chi per questo pensa di dover correre su e giù per vette, non ha capito la natura. Io voglio semplicemente vedere dove porta il sentiero e poi decidere da sola quando tornare indietro. E se proprio devo pormi una meta, alla croce di vetta preferisco davvero una malga… e un buon gulasch.

D E B O R A

L O N G A R I V A

K O P P E L S T Ä T T E R

Antico detto contadino Portan le Odle il cappello il tempo diventerà bello. Invece, una sciabola intorno, non porterà un buon giorno.

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Non sempre il traguardo deve essere la cima. La felicità è anche gustare speck e Kaminwurz (salamini affumicati) in una baita di montagna con vista sulle Odle.

Il gruppo delle Odle Le Odle sono una catena montuosa delle Dolomiti, una cresta tra la Val di Funes e la Val Gardena. La vetta piĂš alta, il Sass Rigais, raggiunge i 3025 metri di altezza sul livello del mare. Le cime frastagliate e le slanciate torri rocciose offrono tanti sentieri escursionistici, itinerari alpinistici e due vie di arrampicata. Numerose malghe fiancheggiano i sentieri.

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La grande varietà della montagna Bressanone, Chiusa e i dintorni invitano a camminare: in ogni stagione, comodamente o sportivamente, per giovani e anziani. Alla scoperta di sette itinerari molto diversi tra loro

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Camminata culturale Sulle tracce di Romani, druidi e streghe

Una facile escursione su un terreno di antiche culture è quella offerta dal Sentiero archeologico di Bressanone. Lungo il percorso troviamo reperti preistorici, insediamenti romani e mistiche coppelle nella roccia, attorno alle quali, così si narra, si riunivano streghe e druidi. Partiamo da Ponte Aquila nel centro storico di Bressanone e seguiamo il Sentiero archeologico che attraversa il pittoresco quartiere di Stufles – il più antico della città – con le sue case storiche e gli stretti vicoli. Proseguiamo verso Kranebitt, lasciandoci alle spalle la città per camminare lungo i frutteti, le vigne e i boschi di latifoglie in leggera salita verso Elvas. Lungo il percorso ammiriamo le coppelle scavate nella stele di Elvas. Si ritiene che queste misteriose coppelle nella roccia fossero luoghi di culto. Oppure, secondo fonti un po’ meno fantasiose, dei profani mortai. In ogni caso emanano qualcosa di magico. Facciamo una piccola sosta in questo luogo e proviamo ad immaginare quello che potrebbe essere il racconto di questi antichi massi.

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Più avanti scorgiamo la ricostruzione in legno di una torre romana. Dato che questo Sentiero archeologico a misura di bambino non ci ha affatto stancati, decidiamo di scalare in pochi minuti anche Colle Pinaz, una piccola cima nelle vicinanze, già abitata all’Età del Bronzo. Un tempo vi sorgeva un insediamento fortificato, in cui gli abitanti commerciavano e trovavano riparo in tempo di guerra. Nel paesino di Elvas, che conta appena 300 abitanti, sono stati scoperti reperti di 9000 anni fa, del neolitico e dell’età del rame. Più tardi pare che anche i Reti e i Romani si siano insediati qui. I nostri piedi poggiano quindi su un antichissimo luogo culturale. Sulla via del ritorno verso la città, superata la chiesa di Elvas, incontriamo altre eredità di epoca romana: antichi solchi dovuti al passaggio dei carri romani. Al termine dell’itinerario ci attende l’artefatto più curioso: “lo scivolo delle streghe”, una roccia segnata da misteriose tracce che potrebbero essere state parte di un culto preistorico della fecondità.

Sentiero archeologico Durata: 2,5 ore Lunghezza: 6 km Dislivello: 300 m Punto di partenza e di arrivo: Bressanone, Ponte Aquila


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Alpinismo

Sass de Putia Durata: 5 ore Lunghezza: 11 km Dislivello: 800 m Punto di partenza e di arrivo: Passo delle Erbe (2007 m)

Puntando in alto

Il Sentiero archeologico, un facile itinerario in un territorio di culture antiche, offre una vista panoramica sulla vallata di Bressanone.

Il tratto più delicato ci attende appena sotto la cima: un paio di passaggi d’arrampicata ci separano dalla croce di vetta del Sass de Putia, 2875 metri sul livello del mare. Ci vuole passo sicuro e non bisogna soffrire di vertigini ma, agli escursionisti allenati, la salita ferrata non dovrebbe causare grandi difficoltà. Dopo pochi tiri arriviamo in cima… e si apre la vista mozzafiato sul Sassolungo e sulle Odle. Chi si mette in cammino molto presto può vivere la meravigliosa esperienza dell’alba da quassù. L’imponente Sass de Putia, il cui nome ladino è “Sass de Pütia” e quello tedesco “Peitlerkofel”, svetta nel Parco Naturale Puez-Odle e segna il limite nordoccidentale delle Dolomiti. Il comprensorio escursionistico è facilmente e velocemente raggiungibile da Luson. Il percorso che ci condurrà in vetta inizia al Passo delle Erbe che, a un’altitudine di 2007 metri sul livello del mare, unisce con il suo valico la Valle Isarco e la Val Badia. Seguendo il sentiero 8A, camminiamo per un breve tratto verso sud e poi svoltiamo a destra, proseguendo sotto la parete nord del Sass de Putia. Attraversiamo i romantici e selvaggi prati di Compaccio, un pendio roccioso e arriviamo al sentiero numero 4, che in un’ora e mezza ci porta alla forcella di Putia (2357 m). Da qui impieghiamo altrettanto per arrivare in vetta.

Scendiamo lungo lo stesso sentiero, deviando però poco dopo la forcella verso il rifugio Genova – alla quale, salendo, non ci eravamo fermati – per un meritato boccale di birra. Chi preferisce rinunciare alla via ferrata, può deviare poco prima della cima e salire sul Piccolo Putia: vedrà quindi il Sass de Putia da lontano. Per fortuna, però, sua maestà il Sass de Putia non è riservato soltanto agli spiriti più avventurosi: chi preferisce ammirarlo a distanza, può semplicemente intraprendere la bellissima escursione circolare dell’imponente montagna. Il punto di partenza è ancora una volta il Passo delle Erbe. Percorrendo il sentiero 8A, alla biforcazione prendiamo la destra e proseguiamo in direzione della forcella di Putia, il punto più alto di questo itinerario. Ma, anziché continuare la salita verso la cima, seguiamo i sentieri 4B e 35, in leggera discesa, lungo meravigliosi pascoli fino al Passo Goma. Dopo circa 13 chilometri e cinque ore di cammino ritorniamo al punto di partenza. Un percorso più breve, ideale per un’escursione con tutta la famiglia, è l’Itinerario dei cirmoli nell’alta Valle di Luson. Passeggiando per circa tre ore e con poco dislivello, si percorre un itinerario circolare dal punto di ristoro Kalkofen fino alla baita Schatzerhütte e ritorno, sempre con vista sul maestoso Sass de Putia.

Lezione di geografia I luoghi citati si trovano tutti sulla cartina di pagina 4

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Più di un giorno Piena immersione nell’escursionismo

A un certo punto, al terzo giorno di cammino, la vescica sul tallone scoppia e in quel momento vorresti aver dato ascolto al vicino supersportivo che ti consigliava il cerotto contro le vesciche. E invece con un finto sorriso lo hai ascoltato e poi ignorato come sempre succede, quando i saccenti sciorinano – senza essere interpellati! – la loro saggezza. Ma un tour di quattro giorni è impegnativo anche per uno sportivo mediamente preparato: dolori muscolari, piaghe ai piedi, la pelle leggermente scottata. Ma l’impresa è più che sopportabile: i meravigliosi panorami che si aprono sulle Dolomiti lungo l’intero percorso, gli accoglienti rifugi, le baite in cui rifocillarsi e le malghe alpine fanno presto dimenticare ogni acciacco. Siamo partiti da Rodengo due giorni fa e da allora camminiamo sugli alpeggi in fioritura e attraversiamo scoscese formazioni rocciose, incontriamo mucche al pascolo e ascoltiamo il fischio delle marmotte. Lungo il percorso il nostro sguardo è rivolto al Sass de Putia che svetta ripido, alle cime delle Odle, al Sassolungo, al Sassopiatto e allo Sciliar. Nel frattempo, i piedi stanno meglio. Infatti, dopo aver raccontato a un altro escursionista del mio piccolo malessere, questi mi ha aiutato volentieri fornendomi dei cerotti. È proprio vero: in montagna

Dolorama Durata: 20 ore (4 tappe da 3 a 6 ore ciascuna) Lunghezza: 60 km Dislivello: numerose salite e discese Punto di partenza: parcheggio Zumis, Rodengo Punto di arrivo: paese di Laion

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ci si aiuta e ci si sostiene a vicenda. Così medicato, posso tornare ad apprezzare i piccoli segreti lungo il sentiero: al Passo delle Erbe alcuni strati geologici affiorano, portando alla luce centinaia di milioni di anni di storia della Terra. Le pareti dolomitiche, che oggi affascinano gli amanti dell’arrampicata, milioni di anni fa erano un fondale marino: gli scheletri calcarei degli abitanti del mare, depositatisi nel tempo, formano oggi le Dolomiti e donano ai “Monti pallidi” il loro colore chiaro e luminoso. Anche la mia scottatura risplende ma, giunti al termine del nostro tour, la felicità mi rende ancora più raggiante: per la prestazione sportiva e per le tante esperienze che mi hanno arricchito.

Un tour di quattro giorni è impegnativo anche per uno sportivo mediamente allenato. Ma il meraviglioso panorama che si apre sulle Odle dal Col di Poma fa dimenticare ogni acciacco.


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Per tutta la famiglia Adatto ai bambini

Più che un’escursione è una passeggiata ma per i più piccoli è un’avventura eccezionale: si tratta del Giro delle baite a Maranza. Il faticoso dislivello per arrivare sul monte Gitschberg lo superiamo con la funivia: per i piccoli un viaggio emozionante con vista fantastica. Ci aspetta poi un facile itinerario attraverso prati in fiore che non comporta alcuna difficoltà ed è percorribile anche dai bambini un po’ più pigri. E se di camminare proprio non avessero voglia, sarà d’aiuto la prospettiva di un piatto di Spätzle con panna e prosciutto o di maccheroni alla pastora. Lungo il cammino, passiamo accanto a invitanti malghe, dall’antico fienile ristrutturato al moderno ristorante di montagna con tutti i comfort. Proseguendo di baita in baita volgiamo continuamente lo sguardo verso le cime circostanti oppure fino in lontananza verso la Val Pusteria ed ecco

che individuiamo lo scenario perfetto per la nostra foto ricordo. E se, per i bambini, sentieri e panorami mozzafiato non sono sufficienti, nessun problema: le opportunità per giocare sono tantissime. Mentre noi genitori ci rilassiamo sulla terrazza al sole, i piccoli si divertono sugli scivoli giganti all’interno del Parco del Sole presso la stazione a monte della funivia Gitschberg. Tutti gli itinerari circolari dell’Area vacanze sci & malghe Rio Pusteria – ad esempio il sentiero panoramico Stoaner Mandl a Valles-Jochtal (2,5 ore, 8 chilometri) oppure l’itinerario Finthersteig di Rodengo (1 ora, 3 chilometri) – sono adatti alle famiglie, tra idillici ruscelli e antichi masi. Per i bambini più grandi e abituati alla montagna ci sono poi numerose vette da conquistare, facili oppure più impegnative. Un suggerimento in più: anche la stazione a monte di Valles-Jochtal è un’ottima meta per un’escursione con il suo Parco Avventura, che offre diverse possibilità per arrampicare, un piccolo zoo, il gioco delle campanelle nel bosco e i giochi d’acqua.

Escursione circolare delle baite a Maranza Durata: 4,5 ore Lunghezza: 12 km Dislivello: 750 m Punto di partenza e di arrivo: stazione a monte della funivia Gitschberg

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Da brividi! Riservato agli amanti dell’avventura

Brrr, no, questo itinerario è effettivamente solo per i temerari. Ci stiamo arrampicando all’interno della miniera di Villandro, in cui l’estrazione di argento e rame iniziò nel Medioevo. Un minatore riusciva a scavare da uno a tre centimetri al giorno: ogni passo rappresentava quasi due mesi di lavoro. Nel 1908, anno in cui la miniera chiuse, i pozzi e le cavità si sviluppavano per 25 chilometri. Le gallerie furono abbandonate fino a quando l’associazione culturale e museale di Villandro rese il sito nuovamente accessibile e ne realizzò una miniera visitabile. Dal soffitto ci cadono addosso grosse gocce mentre con l’acqua fino ai fianchi guadiamo, attraversando i labirinti delle gallerie Matthias, Georg, Elisabeth e Lorenz. In parte ci arrampichiamo (è consigliato avere dimestichezza con le vie ferrate), in parte procediamo a carponi (non consigliato a chi soffre di claustrofobia!). Ci sentiamo dei veri avventurieri? Eccome! Abbiamo paura? No: le nostre guide esperte conoscono il percorso ed emanano sicurezza. Ci sentiamo come degli esploratori, sì, però sappiamo di poter contare su chi ci accompagna.

Dopo tre ore e mezza in lontananza compare un raggio di luce: la galleria ci conduce nuovamente all’aria aperta. Ce l’abbiamo fatta! Ne siamo molto orgogliosi. Pensiamo a quanto dev’essere stato difficile trascorrere giornate intere, settimane, mesi, tutta una vita in questi stretti passaggi, a una temperatura di 8 gradi, senza una buona illuminazione, senza abbigliamento tecnico, senza la certezza di sapere che le gallerie sono state accuratamente messe in sicurezza. Saliamo in superficie, all’aperto, guardiamo il nostro abbigliamento di protezione tutto infangato. Una scolaresca ci passa accanto, anche loro indossano caschetto e tuta di protezione. Stanno per iniziare un itinerario più breve, molto meno impegnativo. Una bambina ci chiede preoccupata: “State bene?”. Annuiamo e ridiamo. Sfiniti ma felici.

Avventura in miniera Sentirsi come degli esploratori: l’associazione culturale e museale di Villandro ha reso accessibili le vecchie gallerie, rendendo visitabile la miniera.

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Durata: 3-4 ore Lunghezza: 3,5 km e 150 m di dislivello (di cui 70 m di arrampicata) Punto di partenza e di arrivo: Miniera di Villandro Su prenotazione: per informazioni su tutti gli itinerari della miniera www.bergwerk.it


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Alpe di Luson Durata: 4 ore

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Escursione invernale Immersi nella neve

Abbiamo scelto un’escursione facile: camminiamo da Luson Monte fino alla cappella Pianer Kreuz, passando per l’Alpe di Luson. Un itinerario ideale per i principianti: proveremo infatti per la prima volta a camminare con le ciaspole. Proviamo un certo rispetto per queste racchette da neve che ci siamo fissati ai piedi e che ci consentono di non affondare nella neve fresca. Ammettiamo che i nostri primi passi sono un po’ traballanti ma, incredibilmente, impariamo in fretta a muoverci con scioltezza sulle nostre ciaspole, lasciando buffe impronte nella neve alta. È proprio vero: per muoversi con le racchette da neve, è sufficiente saper camminare. Le ciaspole consentono all’escursionista di praticare la propria

Lunghezza: 12 km Dislivello: 400 m

passione anche in inverno. E, diversamente dallo sci alpinismo, non è necessario un allenamento specifico o una tecnica particolare. Il rischio è limitato, tuttavia va sempre prestata attenzione ai bollettini valanghe. A Luson ci troviamo sicuramente nel posto giusto, nel paradiso dell’escursionismo invernale: con le ciaspole ai piedi ci si incammina per l’Alpe di Luson, si attraversano i prati di Compaccio oppure si arriva fino all’Alpe di Rodengo. Innumerabili percorsi ci conducono dagli alpeggi alle cime, passando per baite e rifugi che offrono ristoro, sempre con viste panoramiche sulle montagne circostanti. Se chi preferisce praticare lo sci deve stare sempre concentrato su ciò che fa, noi camminando invece possiamo lasciar scorrere i pensieri e lo sguardo. E per quanto lontano si guardi, si susseguono soltanto alpeggi innevati, alberi svettanti, ruscelli ghiacciati e cime che brillano al sole. Perché quassù, attorno a noi, c’è soltanto la natura incontaminata. E la tranquillità. Un paradiso.

Punto di partenza: parcheggio Tulperhof, Luson (1670 m) Punto di arrivo: cappella Pianer Kreuz (1900 m)

Per muoversi con le ciaspole, è sufficiente saper camminare. Non è necessario un allenamento specifico o una tecnica particolare.

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Una mela su dieci è stata coltivata in Alto Adige. L’escursione tra i meleti è particolarmente bella in primavera e in autunno.

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Escursione gustosa Nel verde dei meleti

L’Alto Adige è il meleto d’Europa. La coltivazione delle mele si estende in questo territorio su una superficie che corrisponde a circa 25000 campi di calcio e la raccolta annuale registra quasi 950000 tonnellate. In Europa una mela su dieci proviene dalla provincia di Bolzano. Scopriamo da vicino questa realtà camminando tra i meleti dell’altipiano di Naz-Sciaves. In questa bella giornata di sole la comoda passeggiata ci conduce, senza grandi dislivelli, da Naz a Rasa e ritorno, attraverso i filari dei meli che si alternano ogni tanto a un gradevole tratto di bosco misto. Raggiungiamo anche il biotopo Palù Raier, in cui scopriamo un microcosmo affascinante di flora e fauna. La nostra simpatica guida è un esperto di mele e ci illustra con chiarezza la vita e il mondo dei coltivatori del posto: di questa frutticoltura conosce ogni fiore e ogni gemma. Ma anche da soli raccogliamo molte informazioni grazie alle numerose

Sentiero delle mele a Naz-Sciaves Durata: 2,5 ore Lunghezza: 8 km Dislivello: 150 m Punto di partenza e di arrivo: piazza del paese di Naz

tabelle informative posizionate lungo il sentiero, che illustrano le particolarità della coltivazione delle mele a Naz-Sciaves e del regno delle mele in Alto Adige. Lungo il nostro itinerario impariamo a conoscere varietà di mele antiche e le tipologie moderne. Scopriamo di più sulle salutari sostanze di cui una mela si compone, sul periodo di raccolta e sugli svariati modi di utilizzare questo frutto. Giunti al bivio torniamo indietro, dirigendoci verso Naz. Ma non possiamo non fermarci al belvedere di Ölberg e ammirare il paesaggio dell’altipiano davanti a noi. Seguiamo poi il nostro esperto con lo stomaco che inizia a brontolare, pronto per la degustazione di mele che conclude il nostro percorso. Abbiamo scelto di intraprendere la nostra escursione in primavera perché volevamo cogliere la magia e i colori della spettacolare fioritura dei meli: per alcune settimane, da fine aprile a inizio maggio, migliaia di meli si vestono di rosa e di bianco. La festa della fioritura si celebra il 1° maggio. Ma l’itinerario è bellissimo anche in estate inoltrata, quando i rami sono carichi dei loro frutti sodi. Oppure durante la raccolta nella stagione autunnale: ogni anno, nella seconda domenica di ottobre si tiene la festa della mela con le sue invitanti specialità culinarie.

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“L’acqua è un elemento benevolo per coloro che la conoscono a fondo e sanno come trattarla.” Johann Wolfgang von Goethe

H2O! Senza acqua non c’è vita, né bellezza e neppure piacere. Qualche esempio?

ISARCO L’Isarco è il secondo fiume dell’Alto Adige. Nasce al Passo del Brennero e sfocia nell’Adige a Bolzano dopo aver percorso 99,9 chilometri. Il nome (“Eisack” in tedesco) ha radici indoeuropee: “es” o “is” significava anticamente “acqua che scorre”. 1 LE CASCATE DI BARBIANO Lunghe circa sei chilometri, le cascate superano un dislivello di 1520 metri con vari salti di roccia. La cascata inferiore è, con i suoi 85 metri, la più alta dell’Alto Adige. Nelle sue vicinanze si trova anche un percorso Kneipp. Da fine giugno a fine settembre, ogni giovedì dalle 10 alle 13, vi si svolgono facili escursioni guidate alla scoperta del metodo Kneipp (punto di ritrovo presso l’Ufficio Informazioni di Barbiano). 2 LAGHI DI MONTAGNA

I monti attorno a Bressanone e Chiusa sono disseminati di laghetti alpini. Tra i più belli vanno citati il Lago Grande di Campolago, i Laghi Gelati , il Lago Rodella, il Lago di Ponteletto e il Lago dei Morti.

BIWAK CAMP Dormire nella neve? Si può fare nelle tende o nell’igloo del “Biwak Camp Alto Adige”, all’Alpe di Villandro e Lazfons. Informazioni dettagliate su www.biwakcamp.com

4 70% Dal punto di vista quantitativo l’acqua è l’elemento più importante del corpo umano. Se nei neonati la percentuale corporea di acqua è ancora del 70%, negli adulti si riduce al 60% circa e negli anziani scende al 45%. 5 WATER LIGHT FESTIVAL Tutti gli anni a maggio si svolge a Bressanone il “Water Light Festival”. Nei luoghi d’acqua della città vescovile, artisti di ogni parte del mondo presentano le loro installazioni ispirate ai due elementi. Il risultato sono momenti straordinari in cui si fondono acqua, luce, arte e vita. In contemporanea all’edizione 2019 la città ha anche il grande onore di ospitare il “Festival dell’Acqua”, il congresso nazionale italiano che tratta questo tema sotto l’aspetto scientifico. Per ulteriori informazioni www.brixen.org/waterlight

3 PISCINE NATURALI Quando non c’erano ancora le piscine pubbliche, il Rio Tinne era sfruttato dagli abitanti di Chiusa come piscina naturale. Ancora oggi è una meta ideale per rinfrescarsi nelle giornate più calde. Anche a Luson si può sguazzare nell’acqua circondati dalla natura: il piccolo lago balneabile del paese, incastonato tra prati e boschi pittoreschi, è considerato la prima piscina naturale ufficiale dell’Alto Adige. Ha una superficie d’acqua di 800 metri quadrati, con scivoli e una vasca per i bambini che lo rendono particolarmente adatto alle famiglie.

6 PLOSE Sulla montagna di casa di Bressanone, a 1870 metri di quota, c’è una fonte artesiana di acqua minerale naturale. Da 60 anni la famiglia Fellin imbottiglia l’acqua “Plose” e la vende in molti Paesi del mondo.

20 KM/H Le gocce di pioggia cadono al suolo più lentamente rispetto agli esseri umani: la loro velocità media è di 20 chilometri orari. Dato che le gocce hanno un diametro di soli 2,5 millimetri, la resistenza dell’aria ha su di esse un effetto maggiore trasformandole in microscopici paracadute. Cadendo, non assumono la forma classica a goccia: le gocce di una pioggia leggera sono sferiche, mentre quelle più grandi hanno la parte inferiore appiattita. INONDAZIONE Il 9 agosto 1921 l’Isarco inondò la città di Chiusa, che restò sommersa per vari mesi sotto uno strato d’acqua alto, in alcuni punti, fino a qualche metro. Ancora oggi questo evento è testimoniato dai segni collocati su parecchi edifici.

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Si racconta che Adelheid Gasser cucini i migliori Strauben dell’Alto Adige. Siamo ospiti della contadina nel suo maso Moar zu Viersch a Verdignes

Una questione bollente T e L I F o M I

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In alto. La vista dal maso si apre sui prati di un verde intenso e corre poi fino all’altro versante della valle, alle cime delle Odle e alla Plose. Adelheid Gasser vive qui dal 1958. A destra. La stube e la cucina sono le uniche stanze riscaldate di tutto il maso. T H E L O C A L M AG A Z I N E


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“SENZA LAVORO NON SI OTTIENE NULLA”, esclama Adelheid Gasser mentre col respiro affannoso slaccia i suoi grossi scarponi da stalla, seduta su una panca di legno nel giardino del maso Moar zu Viersch. Nonostante il sole del mattino le illumini già il volto, il fiato dell’anziana contadina disegna una piccola nuvola nell’aria. Sopra alla camicetta a quadretti con le maniche corte indossa un vestito a grembiule blu con una fantasia piccola e delicata. Raramente ha freddo, dice. Neppure quando ogni giorno alle quattro e mezza del mattino va in stalla dalle mucche. Sta rientrando proprio da lì e con fatica prosegue verso il pollaio delle sue galline. “Vado un attimo a prendere un paio di uova per i nostri Strauben”, dice e scompare. Già all’età di dodici anni la giovane Adelheid, che oggi di anni ne ha novanta, dovette iniziare a dare una mano nel maso dei genitori a Lazfons. Durante la guerra nessuno andava a scuola: la sopravvivenza dell’intera famiglia dipendeva in fondo dal lavoro di tutti. “È dal 1958 che sono qui, al Moar zu Viersch”, racconta Adelheid Gasser, mentre con le uova e il latte torna verso la porta d’ingresso del grande maso contadino. Quell’anno si sposò e si trasferì nel maso della famiglia del marito. Da qui, lo sguardo spazia dai prati di un ver-

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de intenso fino all’altro versante della valle, alle cime delle Odle e alla Plose in lontananza. Per tanti anni, ricorda Adelheid Gasser, ogni giorno portava il latte delle sue mucche dal maso fino giù in fondovalle, a Chiusa. Quarantacinque minuti di sentiero a piedi all’andata, con trenta chili di bagaglio sulla schiena, per avere alla fine del mese un piccolo guadagno in tasca. Nel 1978 suo marito morì, non avevano figli. “Cosa ci vuoi fare?”, dice, volge lo sguardo verso il pavimento e con passo pesante si issa sulla scala di pietra che porta al primo piano. È qui che in autunno la contadina accoglie gli ospiti per il tradizionale Törggelen nella calda stube: oltre alla cucina è l’unica stanza riscaldata di tutto il maso. In cucina, assieme alla nipote Mechthild, prepara i ravioli Schlutzkrapfen, la zuppa d’orzo, la carne salmistrata, i crauti, le sfoglie di patate e le castagne. Ma Adelheid Gasser è famosa soprattutto per i suoi dolci fritti: i Krapfen e gli Strauben. L’anziana apre la porta di legno all’inizio del corridoio. Le spesse mura, originarie del IX secolo, e il soffitto della stanza sono ricoperti da una fuliggine nera. Nella camera per l’affumicatura, racconta, può impastare in tutta tranquillità e così in cucina c’è posto ab- →


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Per gli ospiti prepara Schlutzkrapfen, zuppa d’orzo, carne salmistrata, crauti, sfoglie di patate e castagne. Ma Adelheid Gasser è famosa soprattutto per i suoi Strauben e per i Krapfen dolci.

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I bocconi si sciolgono in bocca, soffici, dolci e per niente unti.

bastanza per gli altri aiutanti. Di solito, qui, Adelheid Gasser appende la carne dei propri maiali ad affumicare: una tecnica che permette allo speck di conservarsi a lungo. Oggi però versa una generosa quantità d’olio in una padella nera di ghisa e sotto vi accende la fiamma a gas. Poi prende due uova e separa gli albumi dai tuorli. In una ciotola monta gli albumi a neve e in un’altra mescola i tuorli con una presa di zucchero e di sale, lo zucchero vanigliato, il burro sciolto e il latte delle sue mucche. Poi se ne va per un attimo e riappare con una bottiglia di birra. “Questa ci serve per evitare che gli Strauben assorbano l’olio”, spiega, ride e ne versa un sorso nell’impasto. Poi aggiunge un po’ di farina e infine gli albumi montati a neve. In cucina, dice, non segue mai le ricette. Nei tanti anni di preparazione delle classiche pietanze sudtirolesi ha imparato a sentire con le mani la giusta consisten-

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Ingredienti per quattro Strauben: 2 uova 20 g di burro sciolto sale e zucchero zucchero vanigliato 150 ml di latte 100 ml di birra 200 g di farina all’incirca ½ l di olio per frittura zucchero a velo marmellata di mirtilli rossi, composta o purea di mele cotte

Adelheid Gasser non cucina mai seguendo le ricette. Ha imparato a sentire con le mani la giusta consistenza di ogni impasto.

za di ogni impasto. “Qui manca ancora un po’ di farina, altrimenti il tutto è troppo liquido”, sentenzia e finisce di mescolare l’impasto con un mestolo. Le mani dell’anziana sono disegnate dai solchi del tempo, mentre le guance piene splendono rosse, gli occhi azzurri luccicano. Ha legato i capelli grigi in una treccia, raccolta con una retina. Se la si interroga sul segreto dell’eterna giovinezza, mostra il suo vispo sorriso. “Dopo pranzo una mezz’ora di riposo e i pensieri si acquietano.” L’impasto è pronto, la contadina lo versa in un imbuto per gli Strauben. Con il dito indice tiene chiuso il buco dell’imbuto, poi sposta la mano sopra la padella, toglie il dito e fa colare l’impasto nell’olio bollente con abili movimenti circolari. Mentre il lungo serpentello lentamente si gonfia, diventando dorato, la donna alza ancora un po’ la fiamma e gira lo Strauben nell’olio bollente. Un attimo ancora e il dolce è pronto, lo toglie dalla padella e lo dispone su un piatto. Adelheid Gasser ha imparato da sola a preparare gli Strauben e nel corso dei decenni ha continuato a perfezionare la sua ricetta. Nelle occasioni particolari, quando devono finire nell’olio caldo più di cento Strauben, si fa aiutare dalle giovani contadine del paese, racconta, prelevando il secondo serpente dolce dalla padella dopo meno di un minuto. Guarnita con poco zucchero a velo e con la marmellata di mirtilli rossi, ci offre la delizia da assaggiare: i bocconi soffici, dolci e per niente unti, si sciolgono in bocca. È così, proprio così che devono essere gli Strauben.

Separate gli albumi dai tuorli. In una terrina montate gli albumi a neve e in un’altra unite ai tuorli il burro sciolto, un po’ di zucchero, lo zucchero vanigliato, il sale, il latte e la birra, mescolando a schiuma. Aggiungete la farina setacciata e gli albumi a neve, mescolando fino a ottenere un impasto perfettamente liscio. Utilizzando un imbuto per Strauben, fate colare l’impasto piuttosto liquido nell’olio caldo con movimenti circolari. Friggetelo su entrambi i lati fino alla doratura. Togliete il dolce dall’olio e mettetelo su un piatto, spolverate di zucchero a velo, aggiungete la marmellata di mirtilli rossi, la composta o la purea di mele cotte e servite.

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Quattro vini della Valle Isarco sono stati premiati con “Tre bicchieri” nella guida “Vini d’Italia 2019” del Gambero Rosso: ALTO ADIGE VALLE ISARCO SYLVANER ALTE REBEN 2016 Pacherhof, Andreas Huber ALTO ADIGE VALLE ISARCO SYLVANER LAHNER 2016 Taschlerhof, Peter Wachtler ALTO ADIGE VALLE ISARCO RIESLING 2016 Köfererhof, Günter Kerschbaumer ALTO ADIGE PINOT BIANCO PRAESULIS 2017 Gumphof, Markus Prackwieser

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V come Vino Degustarlo, berlo, parlarne da intenditori: come cavarsela in ogni situazione? Fenja Hinz, enologa della Cantina Valle Isarco, ci dà qualche consiglio

Fenja Hinz Nata nel 1988, è cresciuta a Erlangen, in Germania. Dopo il diploma di viticoltrice ha studiato viticoltura ed enologia alla Geisenheim University. Da tre anni vive in Alto Adige ed è seconda capo cantiniera presso la Cantina Valle Isarco.

Mi trovo davanti allo scaffale dei vini in un supermercato della Valle Isarco e vorrei scegliere una buona bottiglia, ma non ho molta esperienza. Cosa è meglio fare? Punterei sui vini e sui vitigni regionali. In questo campo la Valle Isarco è forte soprattutto per i vini bianchi: sceglierei Sylvaner, Kerner oppure Veltliner. Un po’ bisogna osare, magari provando un vino che non si è mai assaggiato. Oppure non aver timore di chiedere e farsi consigliare. Quanto dovrebbe costare, minimo, un buon vino? Per quanto riguarda il prezzo ognuno ha una propria soglia di tolleranza, verso l’alto e verso il basso. Ma si dovrebbe tenere sempre a mente che la produzione vinicola richiede molto lavoro e dunque ha dei costi elevati. Tanto lavoro manuale, spesso su terreni ripidi, e un solo raccolto l’anno.

Cosa fare se il tappo si rompe o se nel vino cade del sughero? Non è molto elegante ma non c’è niente da temere. Il vino va a male solo se c’è un difetto nel tappo, non perché ci galleggia sopra un po’ di sughero. C’è una frase che va sempre bene quando si degusta, anche quando non si ha la minima idea di cosa dire? Suggerirei di dire sempre qualcosa di positivo. Se si tratta di un’annata giovane direi: “Mmm, sì, direi che può aspettare ancora un po’ di tempo”. È la verità anche quando il vino è già molto buono. Se invece è più vecchio consiglio: “Mmm, sì, nonostante l’età è ancora sincero e aromatico”.

Quando apro una bottiglia di vino sbaglio sempre qualcosa. Come farlo in modo elegante? Primo: dotarsi di un buon cavatappi che permetta di fare leva. Poi posizionare da subito la vite al centro esatto del tappo, e ruotarla fino a quando non si ferma. Con le annate più vecchie bisogna procedere con cautela, perché il tappo potrebbe essere già un po’ più poroso.

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Tra masi e stelle Qui si mangia bene. E non si fa solo per dire: è la verità. Dal ristorante stellato alla locanda contadina, a Bressanone, a Chiusa e nei dintorni fiorisce una cucina affascinante, che apprezza la tradizione e sperimenta le novità

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l 2006 volgeva quasi al termine e l’inverno tardava ancora ad arrivare – fuori faceva ancora caldo come in estate inoltrata – quando MARTIN OBERMARZONER ricevette la sua prima stella. Ben presto tutta la sua città natale di Chiusa ne fu al corrente, soltanto lui non ne sapeva nulla. Gli arrivò un messaggio sul cellulare: “Congratulazioni di cuore”. Il giovane cuoco non capiva: il suo compleanno sarebbe stato di lì a qualche giorno. Quando suo padre rincasò un po’ arrabbiato, Martin iniziò a sospettare. Suo padre sbraitava: perché non gli aveva raccontato nulla della stella? Era stato dal sindaco – doveva chiarire una cosa riguardo ai vigili del fuoco – e tutta la città si era congratulata con lui. Solo allora il figlio aprì il quotidiano… e lesse della sua stella. Sin da piccolo Martin Obermarzoner giocava con le pentole nella cucina dell’albergo dei genitori, l’hotel Bischofhof a Chiusa: direttamente sul pendio, con vista sull’idillica cittadina e sul Monastero di Sabiona illuminato dal sole. Voleva diventare cuoco, già allora. “Non pensai mai a qualcos’altro”, dice oggi e ordina ancora un caffè, il terzo della giornata. Sono le dieci del mattino. Girò il mondo, imparò dagli chef stellati e si fece una promessa: lo diventerò anch’io. “Da allora le stelle sono state il mio obiettivo. Se ci si pone degli obiettivi, tanto vale posizionarli in alto, giusto?” Ancora un sorso di caffè. Nel 2011 arrivò la seconda stella.

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Alexander Thaler prepara una tartare di manzo locale, classica, con burro e pane tostato. Altoatesini e turisti arrivano da ogni dove per assaggiarla.

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Entra in cucina. Accende la radio. Oggi Martin Obermarzoner, assieme alla moglie Marlis, gestisce l’albergo che è di famiglia da tre generazioni, a cui si aggiunge il suo piccolo ma elegante ristorante gourmet, dal nome Jasmin. Cinque, sei tavoli. Altissima arte culinaria. Di solito in cucina fa tutto da solo. Dice che il gesto di spuntare gli spinaci sia la sua meditazione. “Voglio offrire ai miei ospiti i migliori prodotti al mondo”, spiega così la sua filosofia. “Se poi li trovo davanti all’uscio di casa, ancora meglio. E possibilmente voglio utilizzare tutto.” Raccoglie le erbe aromatiche e le verdure nell’orto, le prugne e le cotogne sono degli alberi dietro casa. Passeggia nel bosco con sua moglie e il cane Knuddel alla ricerca di

pigne d’abete. Si mette ai fornelli. Prepara con destrezza un’insalatina di verdure invernali, con sella di maiale iberico Pata Negra, accompagnata da erbette, crescione e fiori. Poi impiatta un risotto con burro di germogli d’abete e gamberi rossi. Nel suo ristorante Jasmin a Chiusa, due stelle Michelin, Martin Obermarzoner incanta i propri ospiti con un’arte culinaria ai massimi livelli. Ma l’Alto Adige si esprime con una cucina eccellente anche in tutta l’ampia varietà della sua ristorazione, dalla cucina gourmet alla stube contadina, riuscendo ad appagare il gusto di tutti. La provincia più settentrionale d’Italia ha vissuto negli ultimi decenni un’impressionante evoluzione gastronomica.


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Ha lavorato con Roland Trettl nel leggendario Ikarus, il ristorante dell’Hangar-7 a Salisburgo, e ha partecipato a show televisivi italiani. “Il lavoro del cuoco mi ha sempre affascinato”, dice mentre gli brillano gli occhi, “perché è creativo e appassionante.” A un certo punto qualcosa lo ha riportato a casa, come succede a tanti altoatesini sparsi per il mondo. E ha voluto mettere in pratica ciò che ha assimilato dell’arte gastronomica internazionale. Il Sunnegg è circondato dai vigneti e dal bosco, in cucina sale il vapore, odori delicati si mescolano. Alla radio si sente cantare Lenny Kravitz. Canta pure Thaler, mentre taglia la cipolla. Sta preparando una classicissima tartare di giovane

Eppure, un tempo era tutto molto diverso. Questa piccola terra tra le montagne offriva soprattutto una robusta cucina contadina. L’Alto Adige era territorio di piatti poveri, in cui non si mangiava molto altro che patate e canederli. Tempi passati! Ormai si sono amalgamate tra loro la cucina mediterranea, quella asburgica, contadina e alpina. Una nuova generazione di cuochi, giovane e cosmopolita, ha riscoperto i sapori tirolesi, ha imparato a celebrare la bontà della cucina semplice, le ha regalato variazioni e l’ha arricchita di emozionanti influenze, anche internazionali. Cuochi, ad esempio, come ALEXANDER THALER del ristorante Sunnegg sopra Bressanone. Il “sole” nel nome del locale non è a caso: i suoi raggi splendono intensi sulla terrazza, proprio dove Thaler sta pulendo i tavoli. La vista spazia fino alla città vescovile più in basso e all’Abbazia di Novacella. Un fico allarga orgoglioso i suoi rami e mostra i frutti maturi. Come Obermarzoner, anche Thaler rappresenta la terza generazione: gestisce il ristorante fondato dal nonno negli anni cinquanta. E anche Thaler ha viaggiato molto.

Il sole splende intenso sulla terrazza del ristorante Sunnegg. La vista spazia fino alla città vescovile di Bressanone più in basso e all’Abbazia di Novacella.

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manzo locale, con burro e pane tostato. I clienti arrivano da ogni dove per assaggiarla, altoatesini e turisti. “Cucina buona e sincera e luoghi della tradizione: adoro questa combinazione”, dice il giovane chef, mentre controlla ancora una volta che i tavoli della stube siano apparecchiati alla perfezione. La sala da pranzo è rivestita con le vecchie assi di un fienile, ci sono stufe di maiolica e anche foto in bianco e nero dei nonni e dei bisnonni. Nella sua piccola cantina Thaler vinifica in proprio Sylvaner, Kerner e Zweigelt, vitigni tipici della Valle Isarco. Thaler e il suo ristorante fanno parte dell’iniziativa “Locanda sudtirolese”: 34 locande a conduzione familiare che si dedicano alla cura e alla riscoperta della cucina tradizionale, utilizzando prodotti locali e stagionali. Thaler coltiva un proprio orto di erbe aromatiche, zucchine, pomodori e tanti altri ortaggi. La carne proviene dall’Alto Adige, da macellai locali. Come tanti suoi colleghi si procura altri prodotti nei dintorni, ad esempio dall’orticoltura del maso Aspinger a Barbiano, che coltiva più di 500 varietà antiche di frutta e verdura. “Non devo cucinare il canguro e non mi serve il vino della Nuova Zelanda”, dice Thaler, mentre serve la tartare, “prestiamo attenzione ai circuiti regionali, alla cucina stagionale”. Thaler e tanti altri suoi colleghi chef costruiscono la loro cucina partendo da approcci nuovi ma non intendono inventare un nuovo mondo culinario. Vogliono cucinare come un tempo, facendo però attenzione a un adeguato mix di tradizione e modernità: per non dimenticare il buono del passato e non negarsi al nuovo.

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Questo fu l’obiettivo che si prefisse PAUL HUBER, quando decise di continuare a condurre l’osteria contadina – Buschenschank, in tedesco – dei suoi genitori. “Non fu una decisione facile, sapevo che avrebbe comportato tantissimo lavoro”, racconta seduto nella stube antica di 250 anni del suo Griesserhof a Varna, mentre ci versa un calice di Sylvaner di produzione propria. “Sapevo però che se avessi deciso di farlo, lo avrei fatto come si deve.” I Buschenschank sono delle locande contadine con attività di ristorazione, offrono soprattutto specialità di produzione propria. “La stube è il centro attorno a cui ruota, da sempre, la vita delle famiglie contadine”, dice Huber. Quante cose ha già vissuto questa sala da pranzo? E quante ancora ne vedrà? Al tavolo accanto una giovane coppia ordina Coca Cola. Il Cristo di legno intagliato osserva astioso dall’alto del crocifisso ad angolo. Huber sogghigna. “Coca non ne abbiamo”, risponde… e serve del succo d’uva fatto in casa. Il Griesserhof è citato per la prima volta in un documento del 1192. L’oste ricorda che quand’era bambino accompagnava il nonno che con il carretto a mano scendeva fino a Bressanone per vendere pane, burro e speck. Negli anni ottanta ci fu un annacquamento della tradizione autunnale del Törggelen, tipica della Valle Isarco, e con ciò del concetto di Buschenschank. “Noi invece vogliamo tornare alle origini”, afferma Huber. Serve un piatto di Schlutzer, i tipici tortelli ripieni di spinaci. Si sciolgono in bocca, hanno il sapore che devono aver avuto in questo maso già cento anni fa e che si spera avranno anche fra altri cento anni. Ogni pietanza racconta

la storia gastronomica di un microcosmo. E la giovane coppia del tavolo accanto ordina altri due succhi d’uva. Origini e futuro. Il ciclo perenne della cucina. A Chiusa si è fatta sera, il ristorante Jasmin si riempie. “In passato mi piaceva cucinare in maniera totalmente folle”, dice Martin Obermarzoner, agita la padella e ride. “Esuberanza giovanile. Oggi ho voglia di semplicità. Ma una cosa importante è rimasta: il piatto deve suscitare emozioni in chi lo assaggia.” Afferma e manda al tavolo dei primi ospiti “il saluto della cucina”. Il contenuto? Una piccola coppetta della più superba zuppa d’orzo.


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Paul Huber serve gli Schlutzer che si sciolgono in bocca. Hanno il sapore che devono aver avuto in questo maso giĂ cento anni fa e che si spera avranno anche fra altri cento anni.

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Il tesoro perduto uesta pisside per le ostie in rame dorato con decorazioni in filigrana d’argento, corallo e pasta di vetro è stata creata a Napoli nell’ultimo quarto del XVII secolo e fa parte del cosiddetto Tesoro di Loreto. Chiusa deve questo “tesoro” alla generosità della regina di Spagna Maria Anna, che intorno al 1700 su richiesta del proprio padre confessore, il frate cappuccino Gabriel Pontifeser, fece costruire un convento proprio nella sua città natale. Inoltre, donò al convento oggetti liturgici, quadri e altre opere d’arte, in gran parte di artisti spagnoli e italiani del XVI e XVII secolo. Il nome della collezione si deve alla Cappella di Loreto in cui fu custodita. E dove rimase per quasi 290 anni, attentamente sorvegliata. Ma nella notte tra il 26 e il 27 marzo 1986 gran parte del tesoro scomparve, in seguito a un furto eccezionale che in Alto Adige fu definito “il colpo del secolo”. Le tracce portavano sino ai trafficanti di droga internazionali. Un anno dopo alcuni pezzi del tesoro furono

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sequestrati a Verona, poi nel 1989 gran parte di esso fu rinvenuta in Svizzera. Riportato a Chiusa, il Tesoro fu esposto nel Museo Civico aperto nel 1992. Gli investigatori riuscirono a ritrovare anche le porcellane cinesi, a eccezione di una tazza: le scovarono nel 1998 durante il sequestro di una partita di droga a Mestre. Ma la parte più preziosa del Tesoro di Loreto – una serie di calici, ampolline e, appunto, questa pisside – sembrava perduta. Almeno fino al 2013, quando un’unità speciale dei Carabinieri riuscì a recuperarla. Dopo un accurato restauro e un’esposizione celebrativa a Roma i 23 raffinati pezzi sono tornati a Chiusa, dove oggi possono essere ammirati nel Museo Civico.

Museo Civico di Chiusa + Il Museo Civico ha sede nell’ex Convento dei Cappuccini. Da non perdere il Tesoro di Loreto e alcune opere della famosa colonia di artisti di Chiusa riunita attorno ad Alexander Koester. + Convento dei Cappuccini, Fraghes 1, Chiusa, tel. 0472 846 148, aperto da fine marzo a inizio novembre. www.museumklausenchiusa.it

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Pisside Epoca: ultimo quarto del XVII secolo Provenienza: Napoli Materiali: rame dorato, decorazioni in filigrana d’argento, corallo e pasta di vetro

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Il museo + L’esposizione permanente del Museo Archeologico dell’Alto Adige è dedicata a Ötzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio. Estesa su tre piani, mostra la mummia stessa e numerosi reperti, dai vestiti all’equipaggiamento. + Nel museo, i visitatori scoprono le circostanze del ritrovamento, le complesse operazioni di recupero, la datazione della mummia oltre alle problematiche relative alla sua conservazione. + Il museo mostra anche la vita quotidiana dei nostri antenati dell’Età del Bronzo. Una vera chicca dell’esposizione è la ricostruzione al vero dell’Uomo dei ghiacci. + Museo Archeologico dell’Alto Adige, Bolzano, via Museo 43, tel. 0471 320 100, aperto dal martedì alla domenica dalle 10 alle 18, ingresso adulti 9 euro www.iceman.it

Ötzi Ötzi fu scoperto casualmente nel 1991 da una coppia di alpinisti sul ghiacciaio della Val Senales. Il ritrovamento ebbe subito un’eco sensazionale: si trattava di una mummia vecchia di oltre 5300 anni, conservata in modo naturale dal ghiaccio. Dopo una serie di indagini accurate si scoprì una punta di lancia conficcata nella scapola sinistra: l’uomo era stato ucciso. Da vivo Ötzi era alto circa 1 metro e 60 e pesava 50 chili. Aveva i capelli scuri di lunghezza media e morì all’età di 45 anni.

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Intervista

Era della Valle Isarco? Cela ancora molti segreti Ötzi, la mummia del ghiacciaio vecchia più di 5000 anni. Angelika Fleckinger, direttrice del Museo Archeologico dell’Alto Adige, ci racconta di scoperte sorprendenti, della Valle Isarco ai tempi di Ötzi e del perché si debba guardare in bocca all’Uomo venuto dai ghiacci per conoscere le sue origini

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ei lavora ormai da una ventina d’anni al Museo Archeologico, che dirige da tredici. Qual è secondo lei il particolare più emozionante che è stato scoperto in tanti anni di studi su Ötzi? La punta di freccia nella sua spalla. Perché ha rivelato che Ötzi è stato ucciso e che la sua storia doveva essere raccontata in modo completamente nuovo. L’Uomo dei ghiacci non è un oggetto di esposizione tradizionale. Viene considerato dai visitatori, e naturalmente anche da noi collaboratori del museo, come una persona che un tempo era viva. Non è un oggetto, era un essere umano. Del quale dobbiamo continuare a rispettare la dignità.

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Da Ötzi si prelevano continuamente dei campioni per ricavare nuove conoscenze sulla sua vita. Così, si è anche scoperto che era originario della Valle Isarco. Come fate a saperlo? Nel 2003 il ricercatore austriaco Wolfgang Müller ha prelevato un piccolo campione di smalto dai denti di Ötzi per cercare la presenza di isotopi di stronzio. Questi ultimi sono presenti nell’ambiente in cui viviamo e fino al quarto anno di vita si depositano nello smalto dei denti, dove restano per sempre, permettendoci di stabilire dove un individuo abbia trascorso la propria infanzia. In seguito, sono stati rilevati i valori di tali isotopi presenti in campioni di terra di varie zone dell’Alto Adige. A giudicare dai reperti Ötzi ha vissuto nella sua infanzia su suoli cristallini, tipici dell’Alta Valle Isarco. I campioni di suolo provenienti da Velturno sono quelli che corrispondono di più.

“Ötzi non è un oggetto espositivo, era una persona. Della quale dobbiamo continuare a rispettare la dignità.”

Ötzi ha vissuto anche in altre zone dell’Alto Adige? Gli isotopi del femore attestano che perlomeno negli ultimi anni della sua vita ha soggiornato in Val Venosta. Sappiamo che a quei tempi le persone cambiavano spesso completamente habitat. Soprattutto le donne in seguito a relazioni familiari o matrimoni trascorrevano la propria vita anche molto lontano dal luogo di nascita.

Dr. Angelika Fleckinger Nata nel 1970, studi di Preistoria, Storia antica, Storia dell’arte e Archeologia classica all’Università di Innsbruck. Dal 1998 al 2004 è stata coordinatrice del Museo Archeologico dell’Alto Adige a Bolzano, di cui è direttrice dal 2005. Ha scritto e curato vari libri, tra cui Ötzi, l’Uomo venuto dal ghiaccio e Ötzi 2.0.

“A Villandro e Velturno già ai tempi di Ötzi si viveva certamente bene.”

La famiglia di Ötzi viveva isolata? No, ha vissuto in una piccola comunità di villaggio. Non sappiamo come fosse strutturata la società del tempo, ma una cosa è chiara: l’Alto Adige aveva una densità di popolazione decisamente molto inferiore a oggi. Perché scegliere di insediarsi in Valle Isarco? Gli uomini si stabilivano sempre in aree relativamente piane, che offrivano la possibilità di dedicarsi all’allevamento e alla coltivazione dei cereali. Naturalmente anche la disponibilità di acqua aveva un ruolo importante. La Valle Isarco è molto ripida e diventa più dolce solo a quote intermedie, come negli altipiani di Villandro o Velturno. Lassù si viveva certamente bene già ai tempi di Ötzi. Anche per il tipo di alimentazione? Certo. Gli uomini dell’Età del Bronzo si nutrivano di animali di allevamento e delle varietà di cereali che coltivavano, ma anche la caccia e la raccolta avevano

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A giudicare dai reperti Ötzi ha vissuto nella sua infanzia su suoli cristallini, tipici dell'Alta Valle Isarco.

un ruolo ugualmente importante nell’alimentazione. In estate negli alpeggi si allevavano certamente pecore, capre e bovini. Perciò si raccoglieva il fieno, esattamente come oggi, per nutrire gli animali in inverno. Esistono ancora oggi in Valle Isarco tracce risalenti all’epoca dell’Uomo dei ghiacci? Abbiamo alcuni ritrovamenti del Neolitico, come il sito archeologico di Plunacker a Villandro o l’area di culto di Tanzgasse a Velturno, entrambi visitabili. Nei luoghi di culto di molte zone dell’Europa meridionale sono state trovate delle statue di pietra, i cosiddetti menhir, ed è così anche a Tecelinga, vicino a Bressanone. Una pietra di questo luogo di culto, che rappresenta una figura maschile, è conservata oggi al Museo Archeologico dell’Alto Adige. A guardare attentamente si riconoscono armi e pugnali incisi sulla superficie. Che importanza avevano i riti e i culti ai tempi di Ötzi? Abbiamo la certezza che a quell’epoca le persone avevano delle credenze religiose, ma purtroppo non esistono testimonianze scritte e non è possibile ricostruire i contenuti esatti della loro religione. Di sicuro il culto degli antenati deve aver giocato un ruolo importante. Naturalmente la religione serbava anche allora una for-

te componente sociale, perché il suo scopo originario è la regolazione delle comunità sociali. I dieci comandamenti sono in fondo un codice di leggi, una serie di istruzioni per il buon funzionamento della società. Regole analoghe di convivenza civile esistevano certamente già ai tempi di Ötzi. Le statue trovate simboleggiavano divinità o – cosa più probabile dal nostro punto di vista – antenati importanti. I discendenti di Ötzi sopravvivono ancora oggi in Valle Isarco? Il genoma di Ötzi è stato decodificato al 97%. La linea genetica femminile ormai è estinta ma il DNA del cromosoma Y di Ötzi può essere rintracciato ancora oggi. Ne consegue che esistono numerosi individui appartenenti allo stesso gruppo genetico dell’Uomo dei ghiacci, il che non significa però che siano suoi discendenti diretti. In prevalenza queste persone oggi vivono in Sardegna o in Corsica. Sul continente europeo le varie linee genetiche si sono mescolate molto di più, ma nessuno può escludere un collegamento diretto con lui. Riceviamo continuamente e-mail di persone che ci dicono di appartenere allo stesso gruppo genetico di Ötzi. Soprattutto dagli Stati Uniti, dove i test del DNA sono ormai di moda. Là le persone si sottopongono al test di →

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Gli uomini dell’Età del Bronzo si nutrivano di animali di allevamento, ma allo stesso tempo erano anche cacciatori e raccoglitori.

propria iniziativa per conoscere le proprie origini, ma anche per ricevere informazioni sulle loro predisposizioni genetiche.

“Ci sono ancora oggi persone che appartengono allo stesso gruppo genetico di Ötzi.”

Da oltre 27 anni la mummia di Ötzi è sottoposta a ogni genere di ricerche. Cosa resta da scoprire? Negli scorsi anni la ricerca ha fatto continui passi in avanti, e ne farà ancora. Ogni anno riceviamo una mezza dozzina di richieste di indagini da ogni parte del pianeta. Ötzi è un caso unico al mondo. È stato conservato dal ghiaccio senza alterazioni, a differenza delle mummie egizie che venivano imbalsamate artificialmente per mezzo di sostanze chimiche o dell’essiccazione. Perciò ha un valore straordinario e ci aiuta ad ampliare le nostre conoscenze sulla sua epoca. A quali domande ancora irrisolte vorrebbe poter dare una risposta nel prossimo futuro? Vorrei poter ricostruire in modo ancora più dettagliato i suoi ultimi giorni. Cos’è accaduto esattamente? Perché è stato ucciso? Sono interrogativi che trovo molto appassionanti.

Al Museo Archeologico di Bolzano è conservato un menhir di Tecelinga, nei pressi di Bressanone.

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CONTENUTO SPONSORIZZATO

Alla scoperta della cittadina degli artisti Shopping, cultura e buona tavola a Chiusa Orari dei negozi + Dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 19 Sabato dalle 9 alle 12 www.klausen.it/shopping

Museo Civico di Chiusa + Il museo è aperto dal 24 marzo al 3 novembre, dal martedì al sabato dalle 9.30 alle 12 e dalle 15.30 alle 18. Chiuso domenica, lunedì e giorni festivi. www.museumklausenchiusa.it

Visite guidate gratuite alla città + Ogni lunedì da metà luglio a fine agosto Punto di ritrovo: Ufficio informazioni di Chiusa, piazza Mercato 1, tel. 0472 847 424

Chiusa, la piccola città della bassa Valle Isarco, fa parte del circuito dei “Borghi più belli d’Italia”, che comprende i più affascinanti borghi storici della penisola. Con la sua atmosfera medievale, le vie strette e le case dalle facciate variopinte questa cittadina ha ammaliato artisti e poeti di ogni epoca. La valle è dominata dal Monte Sabiona, sulla cui cima svetta l’antichissima residenza dei vescovi che da qui in tempi antichi amministravano tutto il Tirolo. Oggi è un convento di monache Benedettine e con le chiese gotiche della città, il Convento dei Cappuccini e l’imponente Castel Branzoll costituisce una testimonianza di quella che nel Medioevo era un’importante città doganale. La cittadina di circa 2500 abitanti è immersa in un pittoresco scenario di vigneti e boschi di castagni, che raccontano di una tradizione agricola secolare. Ispirò inoltre la celebre incisione su rame “Grande Fortuna” di Albrecht Dürer, in cui la dea greca Nemesis si libra in aria su una sfera proprio sopra la città di Chiusa. Oggi le numerose piccole botteghe a conduzione familiare e le boutique allineate lungo la storica via centrale invitano a piacevoli passeggiate all’insegna dello

shopping. L’offerta di prodotti locali, regionali e del commercio equo e solidale è ampia e spazia dai colorati negozi di fiori alle botteghe di artigianato tradizionale e moderno, fino alle boutique per i modaioli. Nell’intricata rete di vicoli del centro ci si imbatte in locande tradizionali che offrono ospitalità da molti secoli, da quando cioè la strada che collegava il Brennero e il Sud passava ancora per il centro di Chiusa. Oggi vi si possono gustare i piatti tipici altoatesini, rigorosamente fatti a mano, ma anche specialità della cucina italiana.

Con le sue strette vie, le facciate variopinte e le numerose botteghe a conduzione familiare, il centro storico di Chiusa invita a piacevoli passeggiate all’insegna dello shopping.

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1 ELEGANZA SENZA TEMPO Pantofole in feltro calde e morbide, tradizionali eppure moderne perché di un’eleganza senza tempo, prodotte da Robert Pflanzer nel suo laboratorio a Rio di Pusteria. Il feltro di lana naturale e il puro cotone consentono al corpo di termoregolarsi senza sudare. Le pantofole sono cucite e non incollate e dunque lavabili a 30 gradi. 54,50 euro.

2 CONFEZIONATE SU MISURA Un negozio di borse piccolo ma colorato che vende solo pezzi unici: nel suo atelier di Chiusa, Ruth Gantioler realizza borsette su misura fatte completamente a mano, complete di ogni dettaglio come borchie, passamanerie, cinghie in cuoio e catenelle. A partire da 165 euro. www.r-lovely-bag.it

3 DOLCEZZE LOCALI Cioccolata vegana prodotta esclusivamente in Valle Isarco, non con massa di cacao o glassa ma con fave di cacao di qualità superiore importate dalla rete del commercio equo e solidale. Le fave sono tostate e macinate in Alto Adige e lavorate fino a ottenere la deliziosa cioccolata Karuna. A partire da 5,40 euro, disponibile presso rivenditori selezionati.

www.orthopant.com www.karunacatering.it

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Solo il meglio Rassegna di prodotti del territorio

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7 UN REGALO DELIZIOSO Ecco un regalo di qualità che non finirà certo dimenticato in un angolo, dato che è troppo buono per durare a lungo. È il “Ronegga Bauerkistl”, un cesto creato dai contadini di Rodengo, che contiene pane di segale croccante, salamini affumicati e speck, miele e marmellata, sciroppo e patate, tutto di produzione locale. 41 euro. www.stampfl.it

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4 BIRRA ARTIGIANALE Dall’acqua limpida della Plose si ricava la Pale Ale altoatesina “Alma”, di colore giallo paglierino. Questa birra rinfrescante dal sapore aspro e con aromi di frutti tropicali si adatta perfettamente ai piatti di curry o al pesce. La bottiglia da mezzo litro a 5,30 euro è in vendita al birrificio Köstlan di Bressanone.

5 MEGLIO CHE NUOVO Nel loro concept store dedicato all’upcycling, Doris Raffeiner e Camila Hernandez de Alba offrono prodotti creati da cooperative sociali locali, artisti e designer del luogo e laboratori per persone con disabilità. Nella loro sartoria nascono borse realizzate con vari materiali di recupero.

6 GRAZIE ALLE CAPRE Tutto inizia con le capre bianche che Richard Zingerle alleva al maso Untereggerhof a Valles, a 1200 metri di altitudine. Con il latte si fa il formaggio, mentre dal siero nascono i prodotti cosmetici di Unteregger Cosmetics. Il siero di latte è ricco di vitamina B, proteine, calcio, potassio, fosforo e iodio e ha un effetto balsamico sulla pelle e i capelli. Da 16,90 euro, disponibili presso il negozio al maso oppure online.

www.wianui.eu

www.unteregger.it

www.koestlan.com

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Una giornata con… un intagliatore in legno In realtà Felix Fischnaller fa il contadino al maso Talrasterhof. Ma la sua grande passione è intagliare il legno: l’abbiamo seguito per capire l’attrazione inesauribile che prova per questo materiale T e s t o — F o t o g r a f i e

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M A T T H I A S M A Y R — M I C H A E L P E Z Z E I


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ore 5.00 Al maso Talrasterhof suona la sveglia. Felix Fischnaller deve andare in stalla, dar da mangiare ai suoi dieci bovini e dare un’occhiata ai quattro asini, ai conigli, ai polli e alle anatre. Per Fischnaller alzarsi così presto non è un problema: quando lavora fuori deve svegliarsi ancora prima, alle cinque è già in auto. Dopo colazione può dedicarsi alla sua passione: il legno. Felix Fischnaller abita nella Valle di Scaleres, sopra Varna presso Bressanone, con la moglie Marlene e le loro tre figlie. Insieme alla famiglia si prende cura degli animali nel maso, ma è ancora più felice quando può stare nel suo laboratorio.

ore 6.56 Alle sette, al più tardi, Fischnaller è nel suo laboratorio, oppure fuori casa per lavoro o nel bosco alla ricerca di un buon pezzo di legno. Oggi ha preparato un vecchio tronco. Questo “cirmolo” – il nome che in Alto Adige si dà al pino cembro – era vecchio almeno duecento anni quando è stato abbattuto. Per altri dieci, Fischnaller l’ha lasciato nel bosco, a marcire esposto agli agenti atmosferici e colonizzato dagli insetti. “In passato, quando lasciavo il legno abbandonato a sé stesso nel bosco per anni, mi guardavano male”, spiega l’intagliatore. Grazie a questo metodo, il tronco – invece di apparire privo di difetti – subisce una trasformazione, diventa qualcosa di unico. Oggi i pezzi di legno deformati e corrosi sono la “firma” di Fischnaller. Gli alberi belli e diritti non l’hanno mai affascinato, piuttosto sono i rami e i tronchi vecchi e contorti ad attrarlo. “Si vede se il legno ha avuto un’infanzia difficile”, dice ridendo sotto i baffi. Esaminando il tronco con uno sguardo da intenditore, Fischnaller cerca di capire cosa se ne potrebbe ricavare. “Non si può imporre la propria volontà al legno”, dice, “perché non si comporta come piace a noi”. Fischnaller ha un diploma di carpentiere in legno, per tredici anni ha lavorato come addetto al montaggio e altri sedici

alla guida di un carrello elevatore. Nei momenti liberi aveva iniziato a realizzare tavoli e panche, e con il tempo le richieste erano aumentate sempre più. Da circa tre anni lavora in proprio.

ore 8.38 Fischnaller ha deciso che questo strano tronco diventerà una panchina. Attentamente esamina il legno, prova a picchiettarlo tutto intorno e ne ascolta il suono. Poi traccia i contorni della panca e ne ricava grossolanamente la forma con la motosega. Con uno “zapin”, una sorta di rampino con cui i taglialegna e gli zatterieri muovono i tronchi d’albero, ne stacca un grosso frammento. Appare così in vista l’interno del tronco, marcio e

I pezzi di legno deformati e corrosi sono la sua “firma” artistica. Gli alberi di bell’aspetto non lo hanno mai affascinato.

divorato dalle larve dei coleotteri. Un profano potrebbe inorridire a questa visione. Da questa roba dovrebbe venire fuori un mobile? Fischnaller sorride soltanto. E si mette al lavoro.

ore 10.10 Con una vecchia ascia Fischnaller scava il tronco, rimuovendone l’interno marcio – compreso un nido di vespe abbandonato – e in poco tempo nell’aria si diffonde il profumo inconfondibile del cirmolo. L’ascia l’ha recuperata in una vecchia officina. È convinto che questo attrezzo pieno di storia sia migliore di quelli nuovi di fabbrica, che a suo avviso non valgono niente: “Al massimo puoi tirarli dietro a qualcuno!”. Ma senza la tecnologia moderna non si combina molto. Per un primo grossolano lavoro di intaglio impiega vari tipi di motosega; nel laboratorio si trovano ogni genere di utensili elettrici, una sega a nastro, una pialla elettrica. Ma l’utensile migliore sono le mani stesse. Fischnaller le immerge nel legno con grande energia per togliere i trucioli. →

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Per un primo grossolano lavoro di intaglio è sufficiente la motosega. Per scavare il tronco, invece, Felix Fischnaller si affida a una vecchia ascia.

Scaleres Il borgo di montagna di Scaleres sorge a 1035 metri sul mare e ha circa 300 abitanti. Per raggiungerlo si percorre una stretta strada dal paese principale di Varna, a nord di Bressanone. Di particolare interesse è la chiesa parrocchiale dedicata nel 1436 a San Volfango. Da Scaleres partono numerosi sentieri escursionistici: seguendo il torrente, ad esempio, si arriva ai bellissimi Laghi Gelati.

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La quantità di schegge che devono restargli conficcate nelle mani è inimmaginabile. Ma ai guanti non ci pensa proprio. “Il legno lo devi toccare, lo devi sentire”, dice. Anche il metro lo usa raramente, in genere lavora a occhio: “Il mio occhio è più preciso di ogni metro”.

ore 12.05

In alto. Un truciolo dopo l’altro l’intagliatore elimina il legno superfluo fino a quando la panchina comincia a prendere la forma immaginata. In basso. Ai guanti Felix Fischnaller non ci pensa proprio. “Devo sentire il legno”, dice.

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Continuando a scavare il legno, diventano visibili le attaccature dei rami, che spuntano nel tronco dall’esterno verso l’interno e danno al pezzo il suo carattere particolare. Fischnaller ormai ha posato l’ascia e ha iniziato il lavoro di precisione con il coltello. Il legno di cirmolo è molle e malleabile grazie all’olio che contiene, tanto che per conficcarvi il coltello Fischnaller si serve di piccoli colpi del pugno invece che del martello. Un truciolo dopo l’altro elimina il legno superfluo fino a quando la panchina comincia lentamente a prendere la forma immaginata. Non sempre viene fuori quello che aveva previsto. “Io continuo a provare”, dice, “tanto non riuscirei comunque a stare con le mani in mano”. Fischnaller ha ereditato il fascino per il legno probabilmente dal padre, che è venuto a mancare quando lui era piccolo. “Trascorreva molto tempo nei boschi”, racconta il figlio. Insieme cercavano il

cirmolo giusto per costruire slitte: non quelle dei bambini, ma le grandi slitte con i pattini ricurvi che i contadini usavano in inverno per portare il fieno a valle dagli alpeggi. Oggi Fischnaller crea sdraio, tavoli e sedie, steccati, giocattoli, altalene e casette da giardino. A volte ricava anche oggetti più particolari: un comodino da notte da un tronco d’albero, oppure un enorme formaggio in legno per un caseificio. Una parte del legno proviene dal bosco di sua proprietà, ma qualche volta acquista anche partite più grandi di legna da ardere non tagliata: spesso ci trova dei pezzi buoni. In ogni angolo del laboratorio troneggiano grandi cataste di legna, che spesso sono lì da anni. Tra tanti materiali grezzi ci sono anche le vecchie assi in legno di un fienile del 1749, che nonostante abbiano oltre un quarto di millennio sono tuttora in condizioni eccellenti. È un legno pieno di carattere: carattere che Fischnaller intende salvaguardare.

ore 13.55 Sarebbe il momento migliore per una pausa pranzo, ma Fischnaller intende proseguire il lavoro. È come ammaliato dal legno. Spesso sua moglie arriva a portargli una “Marende”, il tipico spuntino sudtirolese. Solitamente mangia davanti al laboratorio, su un tavolino da cui si gode una


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A Fischnaller mancano ancora un paio d’ore di lavoro per terminare la panchina. Nel frattempo fa un giro nel bosco e cerca altri tronchi e rami per i suoi lavori.

vista fantastica sulla valle con la chiesa del paese, ma anche sulle cime delle Odle un po’ più lontane. Oggi però Fischnaller lascia perdere lo spuntino panoramico. “Anche se Marlene a volte mi sgrida se non mangio”, ride. Ma sa benissimo anche lei che ormai non potrà più cambiarlo. La vita da contadino, aggiunta a quella da intagliatore, può essere faticosa. Ma Fischnaller non lascerebbe il Talrasterhof per nessun motivo. “Ci sono affezionato”, dice. Ha rilevato il maso nel 1998 e da allora l’ha rinnovato con grande impegno. “Il maso è del 1500: è mio dovere mantenerlo in vita.” Anche perché confida che un giorno una delle sue figlie ne diventerà la conduttrice. Maso e legno, insieme, garantiscono i mezzi per vivere.

ore 16.20 Vera, a undici anni la più giovane delle tre figlie, viene a trovare il papà in laboratorio dopo essere tornata da scuola. Prende un pezzo di legno e un coltello da intagliatore, si siede in un angolo, inizia a intagliare e per lei il tempo non esiste più. “Mi dimentico quasi della sua presenza”, dice il padre. È evidente che ha trasmesso direttamente a Vera la sua passione per il legno, ma anche le altre due figlie, di 18 e 20 anni, amano i lavori manuali.

ore 18.30 A Fischnaller mancano ancora un paio d’ore di lavoro per finire la panchina come la vuole. Nel frattempo, fa un giro nel bosco e cerca altri tronchi e rami per i suoi lavori. Oggi non ha da fare al maso: alla produzione del latte ha rinunciato, anche se nel 2004 aveva ricevuto il premio per i giovani agricoltori di montagna e un riconosci-

In tutto l’Alto Adige ci sono circa 300 milioni di alberi. Per il 99% si tratta di conifere.

mento per il miglior latte dell’Alto Adige. E i bovini da carne in estate sono all’alpeggio e in inverno non richiedono molto lavoro. Lo stesso vale per le trote, che Fischnaller alleva in un piccolo stagno.

ore 21.05 La giornata di Fischnaller si conclude di solito alle nove o alle dieci di sera. Nel frattempo, sua moglie ha rimosso il letame

dalla stalla, si è occupata del bestiame e ha preparato la cena. Trascorrono insieme gli ultimi momenti della giornata, che per l’intagliatore in passato durava ancora di più, quasi fino a mezzanotte. “Ma poi non trovavo più nulla da mangiare”, ride. Perciò ora se la prende un po’ più comoda. Come gli alberi hanno bisogno del tempo giusto per crescere e maturare nel bosco, anche gli esseri umani devono rilassarsi ogni tanto. Una volta non la pensava così, oggi sì. “Sto invecchiando, comincio ad accorgermene”, dice. Però ancora, chi passa dal Talrasterhof a Scaleres, trova Felix Fischnaller all’opera, nel suo laboratorio pieno di legno. Perché non riesce proprio a stare con le mani in mano.

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L’Alto Adige per principianti 1 a PUNTATA:

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La dichiarazione di appartenenza al gruppo linguistico

quasi una settimana dal mio traL’incaricato alla dichiarazione di appartenenza al grupsferimento in Alto Adige, assiepo linguistico (che in tedesco suona così: der Sprachme alla mia famiglia, suonano gruppenzugehörigkeitserklärungsbeauftragte. Sì, ho impiealla porta. Mio marito Lorenzo gato un sacco di tempo a scriverlo correttamente sulla sente cosa ha da dire il cortese vitastiera. No, con tutta la mia buona volontà non lo so sitatore e traduce per me: si tratta pronunciare) non riesce a seguire il nostro discorso e, ne di una specie di censimento della sono certa, il poveretto vuole semplicemente mettere la popolazione. sua crocetta su una delle caselle e sparire velocemente Torno indietro verso la stanza dei dalla casa di questa pazza di un’americana. Ma raccoglie bambini, dalla nostra piccola. Il ancora una volta le sue forze per tenere alto l’onore della visitatore non ci metterà molto a minoranza ladina in Alto Adige e mi comunica una terza contare fino a tre, penso. Ma un possibilità, per me assurda, ma naturalmente molto impaio di minuti più tardi Lorenzo mi grida in inglese: portante in questa terra: “Oppure C, ladino”. “Devi comunicare il tuo gruppo linguistico”. Lorenzo, il traditore, si schiera col nemico e si dimostra “Digli inglese. E un po’ di olandese”, rispondo dalla d’accordo con lui: “Sì, certo, ladino. Lingua che sincerastanza. mente sai parlare altrettanto bene, Mi raggiunge nella cameretta e tanto quanto le altre due…”. “Capisco che si pazientemente mi spiega: “No, Rifletto per un istante. E annuncio tratta di sweetie, non vogliono sapere quale fiera il mio gruppo linguistico: “D, lingua parli. Devi decidere a quale altro”. identità culturale.” gruppo linguistico appartieni”. Ne segue una lunga, accesa discusOra, dovete sapere che io fondasione in dialetto sudtirolese. Mio mentalmente sono una persona marito mi riporta con sguardo formolto cooperativa. Compilo sempre con grande entuzato la brutta notizia: “Mi dispiace, ‘altro’ non esiste”. siasmo i questionari clienti e negli autogrill porto punSalgo sulle barricate. “Come può essere? Cosa si deve tualmente di ritorno il mio vassoio con i piatti sporchi. fare se non si parla il tedesco, l’italiano e neppure il laMa il nostro appartamento è ancora pieno di cartoni da dino?!” svuotare. Nostra figlia non ha alcuna intenzione di adEntrambi mi osservano con un misto di compassione dormentarsi. E io in quel momento ancora non so che e disperazione. Decido di mettere fine alla cosa. “E tu l’appartenenza a un gruppo linguistico è fondamentale cosa ti sei dichiarato?”, chiedo a Lorenzo. per la società altoatesina: in base al gruppo linguistico Non tentenna neppure un secondo: “Italiano”. di appartenenza qui si frequenta ad esempio la scuola Sono confusa: “Ma le tue lingue madri sono l’italiano e in lingua italiana o tedesca e vengono assegnati i posti il tedesco”. di lavoro nel pubblico impiego. “Mi sento più italiano.” Lo dice con pacifica naturalezza. A me non importa: sto iniziando a spazientirmi e la mia “Ah, allora non si tratta della lingua”, osservo io sapiente. piccola piagnucola. Ma vado alla porta d’ingresso: “Va “Bensì di identità culturale”. bene. Quali sono le possibilità di scelta?”. Non lo avessi mai detto. Riparte la discussione in dia“A, tedesco oppure B, italiano”, mi spiega Lorenzo. letto. Me ne sto lì di fianco e penso: per loro è facile. En-

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trambi sanno bene a cosa appartengono. Sembrano percepire intuitivamente il perché sia così importante il quesito sul gruppo linguistico, e hanno una chiara risposta da dare. Più ci penso più cresce la mia insicurezza. Sento un orologio ticchettare con tono di rimprovero, o è solo la mia immaginazione? Nel nostro corridoio il visitatore comincia a essere irrequieto. Vorrei urlargli: “So solo l’inglese! Io sono americana! Sto imparando l’italiano, il tedesco e il dialetto. Se proprio insistete mi metto a studiare anche il ladino. Ma tutto questo non è per niente facile!”. Invece mi arrendo e mi rivolgo a Lorenzo. “Bè, per me, tu sei mio marito e io mi definisco quindi naturalmente attraverso di te”, dico, alzando gli occhi al cielo. “Italiano, scelgo italiano.” Per vostra informazione: ogni volta che fate il checkin in un hotel in Alto Adige, dovete scegliere la vostra appartenenza al gruppo linguistico. Tedesco, italiano o ladino. No, non temete, è solo uno scherzo. Non dovete scegliere, al contrario: suggerisco ai neofiti dell’Alto Adige di prendere ispirazione da tutti i gruppi. Godetevi l’arte italiana del saper vivere! Osservate i locali usi e costumi germanici! Andate alla scoperta delle Dolomiti, dove gli abitanti parlano ancora il ladino, una lingua antica, nata un tempo dal latino volgare. Tre culture in un solo luogo – quale arricchimento!

Piccolo dizionario sudtirolese Il nostro dialetto, spiegato bene

gluschtn [ˈglʊʃtn̩ ] … in Alto Adige si dice quando si ha l’acquolina in bocca, l’appetito stuzzicato da una pietanza golosa.

Sett’ a Plent! [ˈset:ɐ ˈplɛnt] … si dice per lamentarsi perché qualcosa non è andato come previsto, oppure quando non si condivide l’opinione di qualcuno. Il termine “Plent” rimanda all’italiano “polenta” e l’espressione si potrebbe tradurre con: “Che fesseria!” oppure “Accidenti!”.

Rutschelen [ˈʁʊt͜ ʃɛlɛn]

Cassandra Han Nata e cresciuta negli USA, nel 2008 si è trasferita in Alto Adige, terra d’origine della famiglia del marito Lorenzo. In questa rubrica racconta come abbia imparato a conoscere le stranezze dell’Alto Adige e di come, a poco a poco, sia diventata lei stessa una vera altoatesina.

Anche questo termine del dialetto sudtirolese deriva dall’italiano, precisamente dalla parola “riccioli” con uguale significato: indica infatti una capigliatura riccioluta.

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Val Badia

Dislivello: circa 1700 metri per tratta

Chilometri per tratta: circa 50

dei Ladini

La marcia

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Ogni tre anni, mille pellegrini partono dalla Val Badia, attraversando le Dolomiti fino al Monastero di Sabiona. Tre giorni per l’andata e tre per il ritorno. A piedi: pregando, fieri e devoti

Partecipanti: circa 1000

Monastero di Sabiona (Chiusa)


Foto — Albert Piccolruaz

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Foto — Hans Pescoller

Una lunga tradizione A metà giugno circa mille fedeli di tutte le età e di tutte le classi sociali – tutti maschi, in quanto alle donne non è permesso partecipare – partono dalla Val Badia. L’origine del pellegrinaggio si situa probabilmente tra il 1250 e il 1400. È menzionato per la prima volta in un documento del 1503.

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Foto — Freddy Planinschek

Foto — Hans Pescoller

Candele e Kreuzer

Croci e canti

I costi legati al pellegrinaggio ammontavano, secondo il documento del 1503, a sei candele di cera. Alle quali si aggiungeva un compenso in monete di 31 Kreuzer per il prete al seguito.

La processione in ladino è detta prozescinus, oppure jì cun crusc, cioè andare con la croce. Lungo il percorso attraverso le Dolomiti i pellegrini delle dodici parrocchie intonano antichi canti e preghiere. Da generazioni dormono negli stessi ostelli, ma ancora oggi non disdegnano neppure i fienili.

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Fotografie — Freddy Planinschek

L’addobbo delle croci

Rami e fiori

La badessa delle Benedettine di Sabiona lascia la clausura con alcune consorelle per dare il benvenuto ai pellegrini. Durante la messa addobbano con rami di bosso, fiori e nastri colorati le croci portate dai pellegrini e deposte davanti alla chiesa.

Dopo la cerimonia religiosa i pellegrini si mettono rametti e fiori sul cappello, sulla giacca o sullo zaino. I rami di bosso, in ladino erba de JĂŠunn, secondo le antiche credenze popolari servono a tenere lontani gli insetti dannosi.

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Sotto la pioggia e sotto la neve La processione si svolge sempre, anche con la pioggia. Occasionalmente sui passi di montagna ci si imbatte nella neve appena caduta, e talvolta i pellegrini sono sorpresi da tempeste di neve. Al ritorno a casa ogni parrocchia accoglie i pellegrini con il suono festoso delle campane. Gli abitanti vanno loro incontro con il prete, i chierichetti e la banda musicale. I partecipanti appendono i loro rametti di bosso dietro il crocefisso nella stube e all’ingresso della stalla o del granaio.

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Il mio posto preferito a ... Bressanone

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1 Alla ricerca dell’elefante “Quando entro nel chiostro del Duomo di Bressanone ho sempre la sensazione che i battiti del cuore rallentino. Anche se siamo nel centro della città questo luogo irradia uno straordinario senso di pace. Mi piace osservare i coloratissimi affreschi: uno raffigura un elefante che l’artista ha dipinto senza averne mai visto uno vero, basandosi solo su racconti. Da bambina giocavo a camminare con la testa piegata verso l’alto per cercare questo buffo elefante.” Ulrike Vikoler, 42 anni, impiegata

2 Boutique, non catene commerciali “I brissinesi sono molto attenti alla moda. Perciò non sorprende che nel centro storico si possa passeggiare senza sosta guardando le vetrine piene di vestiti, borse, scarpe e gioielli. Per fortuna, qui non ci sono le grandi catene commerciali. Invece si trovano piccole boutique di design italiano e marchi di moda altoatesini. Soprattutto via Bastioni Maggiori, i Portici Maggiori e Minori, ma anche via Fienili e via Mercato Vecchio sono i miei posti preferiti per lo shopping.” Magdalena Kofler, 22 anni, influencer

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3 Vicoletti da scoprire “Il mio posto preferito a Bressanone è anche la parte più antica della città: Stufles. Adoro le sue strette viuzze, le case antiche, la cappella quasi nascosta, la piazzetta con la fontana, le vie lastricate

e i gerani alle finestre. Nelle vetrine delle piccole gallerie, degli orafi e delle botteghe ci sono cose belle da scoprire. E nel periodo natalizio, durante i fine settimana vi si tiene un piccolo mercatino di Natale, con i vicoli che si illuminano di candele.” Alexandra Wieland, 41 anni, commessa


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4 Frittura, che bontà “Adoro la folla operosa del sabato mattina nel centro storico di Bressanone. Quando i brissinesi vanno in giro per acquisti, incontrando a ogni istante persone che conoscono e fermandosi con loro per un caffè o un calice di vino bianco. In piazza Hartmann, all’angolo tra via Bastioni Maggiori e via Bastioni Minori, c’è il mercato contadino dove gli agricoltori dei dintorni vendono verdura fresca, uova, formaggi e altre prelibatezze. Il più affollato è lo stand che vende i Tirtlen, frittelle ripiene agli spinaci o ai crauti, e i Krapfen dolci alla marmellata, fritti direttamente sul posto. Grandiosi!”

timo, una cantina con le volte in pietra, dove si svolgono concerti jazz e il gruppo Dekadenz mette in scena teatro e cabaret in tedesco. Mentre in estate c’è ‘Tschumpus’, che in dialetto locale significa carcere: proprio accanto al Duomo, nella corte interna dell’ex carcere si possono vedere spettacoli teatrali, film e concerti in un’atmosfera molto particolare.”

Evelyn Graber, 39 anni, impiegata

Siegi Gostner, 55 anni, istruttore di yoga

5 Che teatro! “Considero la mia città natale molto vivibile anche perché ha un programma culturale completo. Ci sono due location insolite che frequento molto volentieri. L’Anreiterkeller di Stufles è uno spazio teatrale in-

6 Il mio lungofiume “Nel fine settimana, di mattina presto, mi infilo le scarpe sportive e vado a correre sul Lungoisarco. Per me è il posto perfetto per il running: i piedi rimbalzano sul terreno compatto, in estate un soffitto

verde di fogliame mi protegge dal caldo sole mattutino mentre in inverno il respiro si condensa nell’aria sotto i rami spogli. Per me è il momento per liberare la mente: corro sempre dritto, sulla riva destra o sinistra del fiume, seguendo la direzione della corrente. E quando ho finito mi godo la ricca colazione del sabato.” Andreas Wolf, 43 anni, contabile

7 Un salotto invernale “Sin da bambina trascorro le domeniche d’inverno alla Plose. La nostra ‘montagna di casa’ durante la stagione sciistica diventa il ‘salotto’ in quota dei brissinesi. Ogni volta che si entra in una baita o si prende un impianto di risalita si incontrano conoscenti, si beve un caffè insieme e si discorre – con aria da esperti – della qualità della neve di quest’anno. Quando non ho voglia di sciare mi basta anche una passeggiata, l’importante è che alla fine mi aspetti una bella fetta di strudel di mele.”

8 All’ombra dei castagni “Il mio posticino preferito a Bressanone non è poi così spettacolare: è un piccolo, silenzioso parco nelle vicinanze del centro storico, proprio alla confluenza del fiume Rienza e dell’Isarco. In primavera, estate o all’inizio dell’autunno adoro stare seduto sulle belle panchine all’ombra gradevole dei castagni, mi diverto a vedere i bambini che giocano mentre sfoglio una rivista oppure osservo gli slackliner che provano i loro giochi di abilità.” Klaus Dander, 50 anni, impiegato

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Eva Wachtler, 24 anni, studentessa

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Lo scatto perfetto Seguendo i consigli dei fotoblogger altoatesini Judith Niederwanger e Alexander Pichler i vostri scatti per Instagram saranno impeccabili

CONSIGLIO #1 LA REGOLA DEI TERZI Se il soggetto principale è posizionato al centro dell’inquadratura la foto può diventare noiosa. La regola dei terzi permette di scattare fotografie emozionanti e armoniose allo stesso tempo. Suddividete mentalmente l’immagine con due linee orizzontali e due verticali in modo da ottenere nove rettangoli identici. Posizionate il soggetto in corrispondenza di uno dei quattro punti di intersezione e l’orizzonte nel terzo superiore o inferiore. In molte macchine fotografiche la griglia dei terzi è visibile anche nel mirino o sul display.

CONSIGLIO #2 LINEE DI FUGA E RECINTI IN LEGNO Questo genere di elementi dà profondità all’immagine e orienta lo sguardo verso il soggetto principale. Le linee di fuga possono essere costituite da un sentiero che sale verso la montagna, o da una vecchia recinzione di fianco al sentie-

In alto. Il santuario più alto d’Europa, Santa Croce di Lazfons Al centro. Le Tre Chiese a Barbiano A fianco. La croce del Monte Fana sulla Plose

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ro. Tra l’altro i classici recinti in legno altoatesini sono anche uno splendido soggetto per una foto.

CONSIGLIO #3 FAR PERCEPIRE LE DIMENSIONI DEL SOGGETTO Un problema frequente è quello di riprendere un gruppo di

montagne o una cascata le cui dimensioni non sono immediatamente percepibili. Per rendere la scala del soggetto è utile inserire nella foto un elemento la cui grandezza è chiaramente comprensibile, come una persona, una baita o un animale. In questo modo la scala del soggetto risulta evidente, e si ha un elemento di attrazione in più!

ulle montagne dell’Alto Adige o in giro per il mondo, per Judith Niederwanger e Alexander Pichler viaggiare, fotografare e camminare sono una cosa sola. Gestiscono il popolare blog in lingua tedesca “Roter Rucksack”, lo zaino rosso. Sulla loro pagina Facebook hanno 10000 iscritti, su Instagram oltre 6000 follower. Nel 2019 è uscito il loro primo libro, che propone le escursioni e location fotografiche più belle dell’Alto Adige (Raetia, ca. 180 pp., 19,90 euro, in lingua tedesca). Per ogni tour offrono consigli sulla composizione delle immagini e sulle impostazioni corrette per lo scatto. Delle location più belle o famose sono riportate anche le coordinate GPS.

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www.roterrucksack.com Facebook: RoterRucksack Instagram: @roterrucksack

Inviateci i vostri scatti più belli! Postate le vostre foto di Bressanone, Chiusa e dintorni su Instagram con l’hashtag #cormagazine, oppure inviatele a info@cormagazine.com! Le più belle saranno scelte da Judith e Alex e pubblicate sul prossimo numero di COR.


Emozioni in malga

12.10.2019 – 03.11.2019

www.almgschichten.it


Foto: J. Eheim / Oehler

mybrixen.com


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