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La bellezza di Bressanone e Chiusa
Vivere come i cavalieri di un tempo
Due atleti olimpici si raccontano
La bellezza abita qui! L’inverno e la cultura, dalla montagna al centro storico
Wo es schmeckt! Ein Heft über den Genuss und die Berge
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MOUNTAIN DAYS SÜDTIROL BRESSANONE · RIO PUSTERIA C H I U S A E D I N T O R N I · LU S O N · N A Z-S C I AV E S
ne o i z a s n Se na montag
2 2 .0 5 . – 14.06. 2020 W W W. M O U N TA I N D AY S . I T
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Hanno collaborato a questa edizione: 1 COR è, neanche a dirlo, una vera questione di cuore per la nostra fotografa Caroline Renzler! “Sono molto felice di aver preso parte per la seconda volta a questo appassionante progetto”, racconta. L’articolo che le è piaciuto di più? La doppia intervista ai campioni dello slittino! “Anch’io mi diverto molto a fare le gite con lo slittino”, spiega, “ma vado molto più pianino, per evitare di uscire dalle curve”. 2 No, non è un nano da giardino. Questo è un nano da castello! Se ne sta lì, all’ombra delle secolari mura, a sorvegliare il cortile interno di Castel Trostburg. Mentre la nostra protagonista, Terese Gröber, accompagnava Lenz Koppelstätter, il caporedattore di COR, a visitare le infinite stanze del maniero, il nano controllava che nessuno entrasse inosservato...
3 Tutti i fili della trama di questa rivista passano tra le mani di Valeria Dejaco, la nostra publishing manager. E ciò significa tanto, ma tanto lavoro! Come riesca, nonostante ciò, ad andare anche a sciare d’inverno e a camminare tra i monti d’estate, rimane un mistero. Nata e cresciuta a Bressanone, conosce alla perfezione tutti i rifugi lungo le piste da sci. Il suo preferito: quello in vetta alla Plose. “Perché da ragazza trascorrevo lì pomeriggi interi a giocare a carte e a mangiare Germknödel, i canederli dolci al lievito”, racconta.
Cor. Il cuore. Das Herz. Batte per la bellezza. Per la natura, per l’inverno cristallino, per lo sport. È un cuore che batte anche per la libertà dello spirito, dell’arte, della cultura. Bressanone, Rio Pusteria, Chiusa, Naz-Sciaves e Luson offrono entrambe: la natura e la cultura che assieme animano il cuore vitale di questa terra. Abbiamo incontrato persone e luoghi che vivono questa bellezza, ne sono l’essenza, la interpretano. Abbiamo vissuto storie emozionanti e le abbiamo raccontate. A voi la lettura. Buon divertimento!
Cordialmente, la redazione
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Che spettacolo! Quattro espressioni di luce e colore
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Buone nuove Notizie dal territorio
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Tre domande a… Johann Mantinger, il più veloce affettatore di speck dell’Alto Adige
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Elogio della bellezza Bressanone e Chiusa raccontate da chi le ama
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Alla scoperta della lentezza L’irriducibile sciatrice che ha imparato ad amare le ciaspole
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Sciare? È un piacere! Dieci rifugi imperdibili
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Seguiamo le tracce Un indovinello a quattro zampe
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Io resto qui In visita a Terese Gröber, la custode di Castel Trostburg
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Un paese, due campioni Intervista agli atleti olimpici Erika Lechner e Dominik Fischnaller
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T come tappo I consigli della sommelière Alexandra Erlacher
Solo il meglio I prodotti del territorio
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Una giornata con… Konrad Unterkircher, battipista
Il cavaliere nero Capolavori in dettaglio
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L’Alto Adige per principianti 2a puntata: la mia vita tra i fanatici della montagna
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Piccolo dizionario sudtirolese Il nostro dialetto, spiegato bene
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Toccare il cielo con un dito Lo sci, quello di una volta
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Il mio posto preferito… d’inverno Gli abitanti svelano i loro segreti
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Lo scatto perfetto Tre consigli per foto a regola d’arte
Colophon EDITORI Bressanone Turismo Soc. Coop. Associazione turistica Gitschberg Jochtal Società Cooperativa Turistica Chiusa, Barbiano, Velturno e Villandro Società Cooperativa Turistica Naz-Sciaves Associazione turistica Luson IDM Südtirol – Alto Adige CONTATTI info@cormagazine.com
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REDAZIONE Ex Libris www.exlibris.bz.it PUBLISHING MANAGEMENT Valeria Dejaco (Ex Libris), Stefanie Unterthiner (IDM) CAPOREDATTORE Lenz Koppelstätter ART DIRECTION Philipp Putzer www.farbfabrik.it
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AUTORI Valeria Dejaco, Maria Gall Prader, Josef Gelmi, Cassandra Han, Marianna Kastlunger, Lenz Koppelstätter, Ariane Löbert, Debora Nischler, Lisa Pötschko, Fabio Raineri FOTOGRAFIE IDM Alto Adige, Acquarena/Helmuth Rier, AlpsVision, Leonhard Angerer, Archivio provinciale di Bolzano (archivio Planinschek, collezione Schlern Verlag, collezione Sommavilla Romeo), Associazione turistica Gitschberg Jochtal, Bressanone Turismo Soc. Coop., Dekadenz, dpa picture alliance/Alamy, Jürgen Eheim, Cantina Valle Isarco, Embawo, Alex Filz, Wolfgang Gafriller, Matthias Gasser, Ingrid Heiss, Hofburg Bressanone, Sonya Hofer, Hubenbauer, ITAR-TASS News Agency/Alamy, Martin Kitzberger, Andrea Klement, Köfererhof, Manuel Kottersteger, Kuenhof, Annelies Leitner, Mauritius images, Andreas Mierswa, MIYUCA, Helmut Moling, A. Nestl, Hannes Niederkofler, Judith Niederwanger/ Alexander Pichler, Horst Oberrauch/Rotwild, Damian Pertoll, Michael Pezzei, Pichlerhütte, Philipp Pliger, pngimages, Flavio Prinoth, privata, Simon Profanter, Pupp, Caroline Renzler, Arnold Ritter, Santifaller Photography, Scuola sci Valles Jochtal, Stefan Schütz, Shutterstock, Tiberio Sorvillo, Spoon Agency/ Valentin Geiseder, Andreas Tauber/FlipFlop Collective & Dreisatz OG, Andrea Terza, Tschott, Wikimedia, Harald Wisthaler ILLUSTRAZIONI Michael Szyszka TRADUZIONI E REVISIONE Ex Libris (Valeria Dejaco, Milena Macaluso, Tiziana Panfilo, Federica Romanini) STAMPA Tezzele by Esperia, Lavis Con il generoso supporto di
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Che spettacolo! Vigneti fiammeggianti e montagne innevate: a incantarci è sempre la bellezza dei contrasti. Quattro immagini, un tripudio di luci e di colori
Un fenomeno rarissimo e impressionante: negli anni in cui le gelate primaverili colpiscono il territorio, i vignaioli difendono il vino che verrĂ accendendo i fuochi tra i filari. Il calore emanato dalle fiaccole protegge le viti durante la notte.
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Conosciuto per essere particolarmente adatto alle famiglie, il comprensorio sciistico di Rio Pusteria conta 3 piste da slittino, 15 impianti di risalita e 24 piste da sci. Le tipiche malghe e i rifugi punteggiano lo spettacolare panorama delle montagne altoatesine.
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Costruita come lazzaretto per malati di peste e di colera in epoca medievale, Malga Fane sorge in quota, sopra il paese di Valles, ed è oggi un paradiso per gli amanti della natura, per gli escursionisti, e anche per le mucche e i pastori.
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Ogni anno, nel periodo natalizio, uno spettacolo di luci e musica trasforma il Palazzo Vescovile di Bressanone – la Hofburg – in un mondo fiabesco, onirico e variopinto.
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BUONE NUOVE Notizie e curiosità dal territorio
Se la risata è donna ESISTE UN UMORISMO tipicamente femminile? Le donne ridono in modo diverso? Fanno battute diverse rispetto agli uomini? Sono le questioni che Anna Heiss sta studiando a fondo. Ha 31 anni e dal 2017 dirige il leggendario “Dekadenz” di Bressanone, cantina-teatro di cabaret e spettacolo. La sua missione in questa
Anna Heiss dirige dal 2017 il leggendario “Dekadenz”, cantina-teatro di cabaret. La 31enne sta portando in scena sempre più energia femminile.
stagione teatrale è quella di portare le donne al potere, o meglio, sui palcoscenici dell’umorismo. “Il cabaret e il teatro di varietà sono caratterizzati da un taglio maschile. Quindi mi sono detta: questa volta voglio rovesciarne l’impianto”, ci spiega la brissinese e prosegue: “In questo nostro spazio, gli spettacoli proposti da donne funzionano meglio, forse perché in generale sono più le donne ad andare a teatro. Se il 70 per cento del pubblico è femminile, perché a calcare il palcoscenico dovrebbero esserci al 70 per cento gli uomini?” Prima di fare carriera come direttrice del cabaret, Anna Heiss ha vissuto a Vienna, dove ha studiato Scienze della comunicazione, del cinema e degli
La Plose, dove i gestori dei rifugi hanno rinunciato completamente alle bottiglie di plastica, è pronta a diventare una montagna plastic free. Le bottiglie di acciaio inox dell’iniziativa “Refill” si possono riempire di acqua potabile certificata alle fontane del comprensorio escursionistico e sciistico.
Addio plastica! T H E L O C A L M AG A Z I N E
LA PLOSE, la montagna per eccellenza di Bressanone, è un massiccio montuoso composto da diverse cime: il monte Telegrafo con i suoi 2486 metri, il monte Fana alto 2547 metri e il monte Gabler che raggiunge i 2576 metri. Oltre a essere un noto comprensorio sciistico, è conosciuta anche per la sua acqua di sorgente, ottima
spettacoli e management culturale. Ha collaborato a diversi progetti teatrali e fa parte dell’ensemble teatrale VonPiderZuHeiss. Si è avvicinata al teatro fin da piccola, come componente di un gruppo giovanile di teatro danza di Bressanone. Al “Dekadenz” – spazio teatrale nella storica cantina Anreiter nel quartiere di Stufles – si portano in scena due autoproduzioni l’anno, a cui si aggiungono le esibizioni di musica jazz e di artisti teatrali provenienti dai Paesi germanofoni. La speranza di Anna Heiss è che in futuro il genere non abbia più un ruolo determinante nel mondo del cabaret. Ma sperare non le basta: proprio per questo, a compiere un primo passo è lei stessa.
acqua minerale. Adesso la montagna, il cui nome deriva da un termine tedesco che indica la nudità della sua cima spoglia e arrotondata, fa parlare di sé per un’iniziativa ecologica. Dall’estate del 2019 in tutti i rifugi della Plose sono state bandite le bottigliette di plastica e i gestori hanno ridotto al minimo l’uso della plastica in generale. Contemporaneamente ha preso il via l’iniziativa “Refill”: in tutti i rifugi della Plose, escursionisti e sciatori possono reperire le belle bottiglie di acciaio inox, oppure utilizzare le borracce portate da casa, e riempirle d’acqua potabile a chilometro zero alle fonti della Plose, segnalate con la targhetta “Refill” che certifica il controllo qualità delle acque. Un modo piacevole per gustare la buona acqua di sorgente e al tempo stesso contribuire al rispetto dell’ambiente. La Plose, grazie a questa iniziativa pionieristica, è il primo comprensorio escursionistico e sciistico delle Alpi libero dalla plastica. www.brixen.org/km0
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LA TORRE PENDENTE? Non c’è solo quella di Pisa: ne troviamo una anche a Barbiano. La pendenza del campanile di San Giacomo è ben visibile, tanto che la sua punta è inclinata di 1,57 metri rispetto all’asse verticale. La chiesa parrocchiale è menzionata per la prima volta in un documento del 1378 e pare che la pendenza del campanile, alto 37 metri, fosse già stata riscontrata durante la costruzione… ma non fu mai corretta. La causa è da ricercarsi sicuramente nella composizione del suolo, in parte terroso e in parte roccioso. Nel XIX secolo, il parroco decise addirittura di vietare lo scampanio per il timore di un crollo. Oggi la pendenza è costantemente controllata e il campanile è saldamente ancorato alla chiesa.
Sapevate che… ci sono i distributori automatici per la frutta? erlomeno questo è ciò che accade a Naz e Sciaves, i paesini gemelli nei pressi di Bressanone famosi per i loro meleti: ora mele, prugne e albicocche si possono acquistare in due nuovissimi distributori automatici di frutta. Uno si trova nella piazza del paese di Naz e l’altro presso il ristorante Putzerhof di Sciaves, lungo la strada Statale della Val Pusteria. L’idea è venuta a Klaus e Peter Überbacher, agricoltori del maso Tschanggerhof di Rasa (Naz-Sciaves). Questi distributori non sono certo orribili come i soliti distributori di metallo per le bibite ma sono rivestiti in legno di larice locale. E quante monetine servono per gli acquisti… vitaminici? Per una mela si inseriscono 60 centesimi, per 250 grammi di fragole 2 euro, per 250 grammi di lamponi 3 euro.
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E come… emozioni in malga L’autunno, in montagna, ha un fascino particolare. La natura generosa ci offre frutti, noci e altre prelibatezze e tinge ancora una volta di colore il paesaggio prima che arrivi il bianco inverno. La rassegna “Emozioni in malga” festeggia l’atmosfera speciale di questa stagione. Di cosa si tratta? Di tutto ciò che l’autunno regala e che sta particolarmente a cuore agli abitanti di questo territorio. Ogni malga invita gli ospiti a conoscere da vicino la vita contadina, offrendo anche tutti i sapori della
stagione autunnale. A volte l’attenzione è rivolta alla mela, che in ogni vallata viene utilizzata per delizie diverse. Oppure alle erbe aromatiche, o al “Watten”, il tipico gioco delle carte che non può mancare in nessuna stube. Tanti sono i temi e le esperienze a cui si è invitati a partecipare in prima persona: un’escursione al tramonto, la magia delle fiabe e leggende locali, la vita dei contadini di montagna! Per informazioni sul programma del prossimo anno visitate www.emozioni-in-malga.it
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L’acqua è vita, la luce è arte Per risvegliare l’attenzione e la consapevolezza nei confronti dei cambiamenti climatici e della scarsità d’acqua e perché questo elemento ha sempre svolto un ruolo fondamentale per Bressanone, la città ospiterà nel mese di maggio la quarta edizione del Water Light Festival. La rassegna, nata nel 2017, ogni anno riempie le strade e le piazze della città di spettacoli, mostre d’arte e iniziative in difesa dell’ambiente. La monumentale opera al neon “Ice Melting Ice” dell’artista italiano Stefano Cagol, installata durante l’edizione del 2019 alla confluenza di Isarco e Rienza, è un monito: i ghiacciai stanno scomparendo, il ghiaccio si scioglie, l’acqua scarseggia. Per contrastare questi fenomeni dobbiamo agire ora. www.brixen.org/waterlight
È l’amore, baby!
“You and I on the motorbike / getting high on the modern life. You and me side by side / You and me side by side / Mi ami, mi ami, mi ami? Amami…” C’è tanto da amare nelle canzoni degli ANGER. Il loro sound è multiforme, a volte pungente, a volte onirico, a volte pop. Hanno conquistato la scena alternativa: sono
Nora Pider e Julian Angerer, entrambi di Bressanone. Sono una coppia e una band, oppure anche una band e una coppia. Va bene comunque. Dopo l’EP del loro debutto, Liebe und Wut (2018), nel 2019 hanno scalato le classifiche austriache con il singolo Baby. Si sono conosciuti quando erano ancora molto giovani e assieme partecipavano alle performance del gruppo teatrale VonPiderZuHeiss. Nel 2017 a Vienna hanno fondato la loro band, il cui nome riprende il cognome di Julian ma evoca anche la via in cui Nora è cresciuta, la via Anger di Bressanone. Nel settembre del 2019 è uscito il loro primo album, Heart/Break (Phat Penguin Records), che contiene dieci brani nei quali mescolano il tedesco, l’inglese e l’italiano, tra questi i singoli Baby, All over e Miami. E cantando di amore e cuori infranti, il duo brissinese riesce anche a infrangere le convenzioni musicali e di genere. www.weareanger.com
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I quattro assi dello sci
Il comprensorio sciistico della Plose
1: Trametsch
2: Mitt erling
Doppietta perfetta per sciatori
Nome: Trametsch Plose Comprensorio sciistico: tri di pista, la più lunga Particolarità: 9 chilome e Adig dell’Alto ti del posto: “Una pista che Cosa ne pensa la gente parla!”
a panoramica su BressaPerché ci piace: per la vist none erti e in forma Una pista per: sciatori esp fiato corto Non è adatta a: chi ha il
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Mitterl ing Compr ensorio sciistic o: Rio Partic Pusteri olarità a : una d e ll e Cosa n piste p e pens iù ripid a la ge e d’Ita cosce!” lia nte de l posto : “Ti fa Perché bruciare c le penden i piace: perc hé ha fi za no al 3 8 p Una pis er cento ta per: di sperico lati e p Non è rofessio adatta a: gino nisti cchia d eboli
Rio Pusteria Numero di piste: 24 Impianti di risalita: 15 Chilometri di piste: 55 Punto più elevato delle piste: 2510 m Rifugi e malghe: 22 Piste da slittino: 3 Inoltre: Rio Pusteria è tra i comprensori sciistici per bambini più amati d’Italia, con tre parchi in cui divertirsi sulla neve e un servizio di assistenza che copre tutta la giornata. www.riopusteria.it
Ride ria y Fun Puste Gimm : e lom, m o: Rio No orsi sla ciistic s io l, r e perc o n s n n u e t r , e Comp e ripid : curv era i ì alla s olarità e ic t r a : “Cos ir P o lp t o s c o da del p figure gente ” che ensa la tano subito p e n cili ma Cosa addormen ono fa s i i lt s a i s bimb rché i ce: pe é ci pia h c r e P a ne! famigli emozio tutta la : r e p no al ista un fre Una p ettere m : a adatta Non è ento im t r e iv d
Alle aree sciistiche di Rio Pusteria e della Plose si può accedere con un unico biglietto: lo “Skipass Rio Pusteria – Bressanone”, plurigiornaliero, è acquistabile presso gli uffici skipass dei comprensori.
4: Pfannspitz
Nome: Pfanns pitz (Monte Fa na) Comprensorio sciistico: Plos e Particolarità: la pista è al co nt empo blu, ross in base alla va a e nera, riante scelta Cosa ne pens a la gente del posto: “Da prov lutamente più are assovolte, in tutte le varianti” Perché ci piac e: per la vista sul Sass de Pu parte più alta, tia nella per le morbide curve nel bosc parte finale o nella Una pista per: sciatori che am ano la varietà Non è adatta a: chi vuole an noiarsi
Plose Numero di piste: 18 Impianti di risalita: 7 Chilometri di piste: 42 Punto più elevato delle piste: 2505 m Rifugi e malghe: 14 Piste da slittino: 2 Inoltre: dal 2019, una nuova pista nera, da Monte Fana fino alla località Rifugio Sci, attende i più coraggiosi sulla Plose. Dedicata all’ex sciatore della nazionale azzurra e pioniere dello sci Erwin Stricker, la discesa ne porta il soprannome: “Crazy Horse”, cioè “Cavallo Pazzo”. www.plose.org
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Tre domande a…
Johann Mantinger, 62 anni, è più veloce a tagliare lo speck di quanto non lo sia un’intera squadra di calcio a mangiarne la stessa quantità.
Johann Mantinger, il più veloce affettatore di speck dell’Alto Adige
Signor Mantinger, ma come si fa a diventare il più veloce ad affettare lo speck di tutta la provincia? Beh, partecipo a tutti i concorsi possibili. A volte sono gare di precisione, a volte di pura velocità. Una volta sono riuscito a primeggiare su 18 concorrenti: ho affettato il doppio delle porzioni rispetto a chi si è piazzato al secondo posto. In un’altra occasione mi sono dovuto confrontare con un’intera squadra di calcio, un gruppo amatoriale di Colonia: ho scommesso che avrei impiegato meno tempo a tagliare cinque chili di speck, di quanto avrebbero impiegato loro a mangiarlo. Un’altra sfida vinta... Produce anche lei lo speck? Certamente! Sono un contadino, con una piccola azienda e i miei venti maiali. Lo speck è la mia passione, sia nella vita privata sia nella professione. Mi occupo dei miei maialini come se fossero i miei bimbi. Deve
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sapere che sono molto famoso: sono stato in tivù con Chef Rubio, anche la BBC mi ha già intervistato. E dappertutto mi chiamano “Gletscher-Hans”, che in italiano vuol dire “Giovanni del ghiacciaio”. “Giovanni del ghiacciaio”? E perché non “Giovanni dello speck”? Perché per anni sono stato maestro di sci. Il mio nome era troppo complicato per una delle mie allieve, perciò ha deciso di ribattezzarmi. E da allora mi chiamano così: “Gletscher-Hans” in tedesco e “Giovanni del ghiacciaio” in italiano!
Istruzioni per l’uso Il vero intenditore di speck lascia da parte l’affettatrice. Ha bisogno soltanto di un coltello affilato, di un tipico tagliere in legno e di forza di braccia! Taglia una fetta spessa circa tre centimetri dalla baffa, elimina la cotenna e taglia lo speck a fettine sottilissime. Se usato per i tradizionali canederli, lo speck va invece tagliato a dadini.
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INFORMAZIONE PUBBLICITARIA
Alla scoperta della cittadina degli artisti Shopping, cultura e buona tavola a Chiusa Orari dei negozi + Dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 15 alle 19 Sabato dalle 9 alle 12 www.klausen.it/shopping
Museo Civico di Chiusa + Il museo è aperto da fine marzo ai primi di novembre, dal martedì al sabato dalle 9.30 alle 12 e dalle 15.30 alle 18. Chiuso domenica, lunedì e giorni festivi. www.museumklausenchiusa.it
Natale Medievale + Il mercatino di Natale di Chiusa fa rivivere il fascino del Medioevo nei quattro fine settimana dell’Avvento, dal venerdì alla domenica dalle 10 alle 19
Chiusa, la piccola città della bassa Valle Isarco, fa parte del circuito dei “Borghi più belli d’Italia”, che comprende i più affascinanti piccoli centri storici della penisola. Con la sua atmosfera medievale, le vie strette e le case dalle facciate variopinte questa cittadina ha ammaliato artisti e poeti di ogni epoca. La valle è dominata dal Monte Sabiona, sulla cui cima svetta l’antichissima residenza dei vescovi che da qui in tempi antichi amministravano tutto il Tirolo. Oggi è un convento di monache Benedettine e con le chiese gotiche della città, il Convento dei Cappuccini e l’imponente Castel Branzoll costituisce una testimonianza di quella che nel Medioevo era un’importante città doganale. La cittadina di circa 2500 abitanti è immersa in un pittoresco scenario di vigneti e boschi di castagni, che raccontano di una tradizione agricola secolare. Ispirò inoltre la celebre incisione su rame “Grande Fortuna” di Albrecht Dürer, in cui la dea greca Nemesi si libra in aria su una sfera proprio sopra la città di Chiusa. Oggi le numerose piccole botteghe a conduzione familiare e le boutique allineate lungo la storica via principale invitano a piacevoli passeggiate all’insegna dello
shopping. L’offerta di prodotti locali, regionali e del commercio equo e solidale è ampia e spazia dai colorati negozi di fiori alle botteghe di artigianato tradizionale e moderno, fino alle boutique per i modaioli. Nell’intricata rete di vicoli del centro ci si imbatte in locande tradizionali che offrono ospitalità da molti secoli, da quando cioè la strada che collegava il Brennero e il Sud passava ancora per il centro di Chiusa. Oggi vi si possono gustare i piatti tipici altoatesini, rigorosamente fatti a mano, ma anche specialità della cucina italiana.
Durante il periodo dell’Avvento, grazie al suggestivo Natale Medievale di Chiusa, gli stretti vicoli e le facciate variopinte delle case storiche si illuminano di candele e fiaccole.
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Bressanone e Chiusa: due cittĂ dal ricco patrimonio culturale e dal passato illustre, capaci di sorprendere anche con una vivace vita culturale ed eccellenti proposte culinarie. Due cittĂ raccontate con affetto e molti utili consigli su arte, architettura, gusto e vita cittadina
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BRESSANONE. LA SONTUOSA Se fossi il dirigente di un’agenzia di rating, assegnerei a Bressanone una “tripla A”. Vivo qui dal lontano 1949 e posso dire di conoscere davvero bene la città. Dal 1998 al 2017 sono stato presidente della Hofburg, il Palazzo Vescovile di Bressanone, una funzione che mi ha visto coinvolto in molti accadimenti della vita cittadina. In questa città, che amo molto e che più volte ho descritto, trascorro oggi la mia pensione. Di Bressanone apprezzo la posizione geografica, il clima salubre e l’importante passato. Ciò che più mi affascina è tuttavia la compresenza di passato vescovile, mentalità austriaca e savoir-vivre italiano. Dell’incontro e della fusione tra la cultura tedesca e quella italiana fu già simbolo Nicolò Cusano, geniale cardinale e principe vescovo di Bressanone, in carica dal 1450 al 1464, che dedicò grande impegno al progetto della pace tra le diverse religioni e culture. Bressanone sorge nel punto in cui la Valle dell’Isarco si allarga in una fertile conca, incorniciata da alte cime, boschi rigogliosi e pittoreschi vigneti. Questo luogo speciale affascina e conquista da sempre chi vi giunge. Come le popolazioni che, circa diecimila anni fa, si insediarono per prime nel verde bacino. O i vescovi di Sabiona, sopra Chiusa, che nel 990, durante il vescovato di Alboino, decisero di trasferire la propria residenza a Bressanone, scegliendo come sede la “curtis Meierhof Prihsna”, donata loro da Ludovico IV il Fanciullo già nel 901. L’ora fatidica per Bressanone scoccò però nel 1027, quando l’imperatore Corrado II, per assicurare l’importante via del Brennero, conferì al vescovo Hartwig la contea dell’Isarco e dell’Inn. Questo avvenimento segnò l’inizio della lunga ascesa di Bressanone. Nel 1048 Poppo, vescovo di Bressanone, salì addirittura al soglio pontificio con il nome di Damaso II. Nel 1179 l’imperatore Federico I concesse ai vescovi di Bressanone il diritto regale di imporre tributi, riscuotere dazi e battere moneta. Da allora in poi, i vescovi di Bressanone vennero insigniti del titolo di principi del Sacro Romano Impero e sedettero alla Dieta dell’impero con diritto di voto. Bressanone divenne così la capitale di un principato ecclesiastico e lo rimase fino alla secolarizzazione, avvenuta nel 1803.
Nel XVIII secolo, dopo un lungo declino seguito alla Riforma, iniziò per la città una fase di notevole espansione urbanistica. I principi vescovi Kaspar Ignaz von Künigl (in carica dal 1702 al 1747) e Leopold von Spaur (dal 1747 al 1778) fecero della cittadina medievale un gioiello di urbanistica barocca, conferendo incarichi importanti a celebri architetti e artisti dell’epoca. Il mio stupore si rinnova ogni volta che penso alle opere realizzate in questo periodo. Nel 1711 fu completata la Hofburg, nel 1745 la chiesa delle Dame Inglesi, nel 1754 il nuovo duomo e nel 1756 il giardino di corte dei principi vescovi. Nel 1758 fu portata a termine la ristrutturazione della chiesa parrocchiale e nel 1765 iniziò infine la costruzione del seminario maggiore con la chiesa e la sala della biblioteca annesse. Di particolare interesse è soprattutto la biblioteca che, insieme alla chiesa del seminario, rappresenta il capolavoro del rococò brissinese. Franz Anton Zeiller vi affrescò sei cupole trompe-l’œil con allegorie delle diverse discipline teologiche. L’affresco più pregiato ritrae Girolamo seduto su un leone, il cui muso feroce riproduce le fattezze dell’allora principe vescovo Leopold von Spaur. Le malelingue dicono che l’artista volle così vendicarsi per la scarsa remunerazione ricevuta. Comunque stiano le cose, è indubbio che l’affascinante lungimiranza dei due principi vescovi conferì a Bressanone ciò che ancora oggi ne rappresenta la quintessenza. Agli albori del XX secolo Bressanone conobbe un periodo di intensa modernizzazione grazie al sindaco Otto von Guggenberg, considerato il pioniere
La sfarzosa città vescovile si è trasformata, a partire dal XIX secolo, in meta di villeggiatura. Nel 1883 sorsero i 1 Giardini Rapp, un parco alla confluenza dei fiumi Isarco e Rienza.
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3× Bressanone per gli amanti della cultura
DOVE L’ARTE È DI CASA La Galleria Civica sotto i Portici Maggiori, rinnovata nel 2019, si muove a partire dal 2020 verso l’arte contemporanea, sotto la direzione del Südtiroler Künstlerbund, l’associazione degli artisti altoatesini. Tra i segnali di questa nuova era? Senz’altro l’installazione del collettivo Butch-ennial che nel 2019 ha allagato la galleria trasformandola in un laghetto per pesci Koi... La Galleria Civica ospita da quattro a cinque esposizioni l'anno, con diversi curatori.
PICCOLA CITTÀ, GRANDE MUSICA La rassegna Forum Cultur fa confluire regolarmente la musica all’interno di Forum Bressanone, attraverso concerti di musica classica e contemporanea, opera e spettacoli teatrali. Un’atmosfera particolare si vive all’interno del Duomo di Bressanone durante i grandi concerti promossi da Musik und Kirche. www.forum-brixen.com www.musik-kirche.it
www.dekadenz.it www.tschumpus.com
www.kuenstlerbund.org
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Nel Chiostro del Duomo, il gioco più bello è andare alla ricerca dello strano affresco dell’elefante: l’artista non ne aveva mai visto uno e, semplicemente, disegnò il pachiderma con la sua tromba così come se lo immaginava.
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2 CANTINA O GALERA? L’Anreiterkeller, antica cantina di vini e di carbone adibita a locale per spettacoli di varietà, cabaret e jazz, che con autoironia porta il nome di Dekadenz, è oggi riconosciuto come uno dei quattro teatri cittadini dell’Alto Adige. D’estate, invece, gli appassionati di teatro e musica si danno appuntamento sotto al palco a cielo aperto Tschumpus, allestito nel cortile interno dell’ex carcere della città, accanto al Duomo.
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dell’industria turistica locale. A questa fase seguirono i grandi sconvolgimenti provocati dall’annessione del Sudtirolo all’Italia nel 1919, quindi dal regime fascista, dal sistema delle opzioni e infine dall’occupazione nazista. Nel secondo dopoguerra, sotto la guida del sindaco Zeno Giacomuzzi, Bressanone visse tra il 1969 e il 1988 un periodo di rinascita economica e culturale. Giacomuzzi, che stimo molto, è, proprio come me, originario della Val di Fiemme. Siamo per così dire degli immigrati, dei brissinesi “non autoctoni”. Nel corso del suo mandato, Giacomuzzi è riuscito a compiere per la città uno straordinario lavoro di ampliamento e riassetto urbanistico. A lui si devono le aree scolastiche e sportive, la zona industriale e la zona residenziale Zinggen-Rosslauf. È difficile trovare un’altra città che riesca a offrire in uno spazio così ristretto tante e straordinarie opere d’arte di epoche diverse, dal Romanticismo all’età moderna. Piazza Duomo, considerata una delle piazze più belle dell’arco alpino, unisce il complesso della cattedrale a est con il complesso della Hofburg, posto a ovest. Il 4 Chiostro, è un vero e proprio gioiello architettonico. Di qui il nome “Camposanto di Pisa in miniatura”, che gli è stato talvolta attribuito. Quando mi soffermo nel Chiostro durante le mie visite guidate, richiamo sempre l’attenzione sull’elefante con la tromba. Questo curioso affresco è opera del celebre pittore Leonhard von Brixen, che lo realizzò intorno al 1450 senza avere evidentemente mai visto un elefante. Del resto, fu soltanto nel 1551 che un vero pachiderma di nome Soliman giunse nella città sull’Isarco. L’affresco sulla facciata dell’Hotel Elephant ricorda questo evento sensazionale, a cui alcuni anni fa è stato dedicato un meraviglioso spettacolo di luci nella corte centrale della Hofburg. Un altro capolavoro architettonico di Bressanone è la 5 Hofburg, il Palazzo Vescovile con il Museo Diocesano, che ospita una delle più belle raccolte di opere d’arte dell’intera area compresa tra Verona e Monaco di Baviera. Tra le numerose attrazioni una specia-
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La Hofburg di Bressanone, nel cuore della città, custodisce una delle più belle collezioni di arte sacra tra Verona e Monaco di Baviera.
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le menzione spetta al dipinto su tavola “l’Uomo dei dolori”, risalente al 1450 e attribuito a Jos Amann di Ratisbona. Nel 2015 fui contattato da Alberto Crespi, noto professore e avvocato milanese, grande appassionato d’arte e di musica, amico di Bressanone ed estimatore della cultura tedesca, il quale mi chiese se la Hofburg avrebbe apprezzato il dipinto che aveva intenzione di donarle. Mi informai dapprima sulle eventuali condizioni, essendo fin da subito consapevole dell’eccezionale valore dell’opera. La tavola raffigura al centro Cristo sofferente, affiancato da sant’Ambrogio, patrono della diocesi di Milano, e sant’Agostino, che ricevette il battesimo proprio da Ambrogio a Milano. Sopra le tre figure si innalza una fine scansione architettonica dal fondo dorato. Al centro sono ritratti Dio Padre e la colomba dello Spirito Santo. Il nimbo della colomba è lo
I ristoranti “Alter Schlachthof” e “Decantei” sono oggi dei locali alla moda ma le loro mura raccontano ancora delle loro originarie funzioni, quelle di macello e di sede del decano.
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3 × Bressanone per gli amanti del gusto 3 DECANTEI Nel Medioevo il suo nome indicava la casa del canonico, dietro il duomo di Bressanone, protetta da alte mura. È lì, dove risiedevano i vescovi, che sorge la locanda Decantei: due accoglienti cortili interni, cucina regionale rivisitata, buona birra e le linee pure degli arredi disegnati da Pedevilla Architects, per far battere il cuore anche ai fan della bella architettura.
BRIX 0.1 Nel futuristico locale all’interno di un piccolo parco a sud della città, i brissinesi si incontrano per il brunch domenicale, nel pomeriggio sono le famiglie con i bambini ad affollare la terrazza, mentre di sera il cubo di vetro si illumina e si trasforma in un ristorante gourmet. Ivo Messner e Philipp Fallmerayer presentano creazioni innovative, di alta cucina, di grande carattere.
www.decantei.it www.brix01.com
6 ALTER SCHLACHTHOF Le piastrelle bianche alle pareti e le travi sul soffitto ci raccontano che un tempo questi spazi ospitavano il macello, “Schlachthof” in tedesco. Oggi è il salotto e la buona tavola della gioventù di Bressanone; la carne a chilometro zero però è ancora di casa. Sono popolarissimi i burger di pulled pork o cervo locali ma ci sono anche piatti vegetariani, oltre a musica dal vivo con gruppi del posto. www.schlachthof.it
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stemma della celebre casata nobiliare dei Visconti di Milano. Il dipinto, che si trovava originariamente nella Chiesa di Sant’Ambrogio a Brugherio, vicino a Milano, entrò in possesso dell’antiquario milanese Ruggero Longari, dal quale il professor Crespi l’aveva acquistato. In virtù dei soggetti raffigurati, l’opera sembrava predestinata al Museo Diocesano del capoluogo lombardo. Ma Crespi, che al museo milanese aveva già donato alcuni dipinti non ricevendo la dovuta riconoscenza da parte della direzione ecclesiastica, decise di cedere il dipinto alla Hofburg o all’Abbazia di Novacella, a nord di Bressanone. Mi sono impegnato con passione e dedizione affinché fosse la Hofburg a ricevere la tavola. Ne seguirono un intenso scambio epistolare e innumerevoli telefonate. Finalmente si giunse all’accordo: il 6 giugno 2016 mi recai a Milano assieme al direttore del Museo Diocesano, Johann Kronbichler. Dopo avere espletato le formalità notarili e completato l’imballaggio, caricammo l’opera in un mezzo appositamente noleggiato. In quel preciso istante iniziò a piovere violentemente su tutta Mila-
no. Pensai: vedi, Milano piange per questa dolorosa perdita. E continuò a piovere fino alle porte di Bressanone. Qui, all’improvviso, il cielo si dipinse di un azzurro splendente. Il cielo gioiva, e noi con lui. Il giorno stesso il capolavoro gotico ricevette un posto d’onore all’interno della Hofburg. La stampa locale e importanti testate come la Repubblica e l’Osservatore Romano ne diedero notizia. In ottobre tornai a Milano con il sindaco Peter Brunner e una delegazione brissinese per ringraziare nuovamente il professor Crespi per la generosa donazione. Concludo sempre le mie visite guidate di Bressanone davanti al nuovo edificio della Cooperativa Bressanone Turismo, uno dei miei luoghi preferiti. Da qui si apre una vista spettacolare sulla storia secolare della città. Grazie alla ristrutturazione, perfettamente riuscita, di via Bastioni Minori e in parte di viale Ratisbona, questo luogo ha acquisito ancora maggior fascino. In direzione nord si vedono, a partire da destra, la Porta Croce, risalente al Medioevo e da allora spesso rimaneggiata, e la contigua porta parallela, realizzata agli inizi del XX secolo. Segue quindi un tratto di mura cittadine risalente al XIII secolo, dietro al quale si trova il 7 Giardino di corte, che Johann von Spaur, coadiutore e poi principe vescovo, fece realizzare in stile rinascimentale nel 1570 e che
La mia top 5 di Bressanone L’artista AliPaloma ci racconta la sua città natale Il rione medioevale di 8 Stufles, che è il posto che in assoluto amo di più di Bressanone. Qui si trova anche il mio Atelier 18, lo studio che condivido con i miei co-worker, il regista Lorenz Klapfer e l’attrice Petra Rohregger, e dove nascono i miei progetti. Stufles è l’anima creativa di Bressanone: dietro l’angolo ci sono altri atelier, come quello dell’artista Hartwig Thaler.
AliPaloma, classe 1992, lavora tra Bressanone e Innsbruck, in Austria. Tra le sue ultime opere: “Sotto la pelle” (Hofburg, Bressanone), “Allein im Schwarm” (Space Nouvelle, Innsbruck) e “Born to Kill” (50x50x50 ART Südtirol, Fortezza). Dall’8 novembre 2019 partecipa con le sue opere alla mostra collettiva “economy goes culture” nella Galleria Civica di Bressanone. www.alipaloma.com
La cantina Anreiterkeller, sede del teatro 9 Dekadenz, e il suo programma culturale. La scorsa estate ho realizzato qui la scenografia per uno spettacolo del drammaturgo tedesco Jakob Nolte, autoprodotto da Dekadenz.
Stufles, il più antico rione di Bressanone, è molto amato dai creativi della città come luogo di lavoro. Tra i diversi atelier, si trova qui anche quello di AliPaloma (sullo sfondo). T H E L O C A L M AG A Z I N E
Il nuovo accesso al fiume Isarco dalla passeggiata che da Bressanone prosegue in direzione di Novacella. Il posto dove mi sono goduta gli ultimi raggi di sole a fine estate, dove ho bagnato i piedi nell’acqua gelida e ho fatto il pieno di vitamina D per l’inverno. Il mercato contadino in piazza Hartmann il sabato mattina. Qui si trova di tutto: verdura, formaggio, uova, tutti prodotti coltivati e raccolti dai contadini della zona e con
cui arricchire la tavola di prelibatezze nel fine settimana. Da non perdere lo stand che vende le trote, e poi i freschissimi “Tirtln” fritti sul posto, ripieni di spinaci oppure crauti. Quando non trovo l’ispirazione giusta, passeggio volentieri nel Chiostro di Bressanone. È un luogo così piacevole, così tranquillo: tutt’al più si sentono cinguettare gli uccellini che fanno il nido tra le volte gotiche.
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nel 1992, su un progetto del 1831, fu reso accessibile ai visitatori. Sollevando lo sguardo, si scorgono le torri barocche del duomo. Davanti alle antiche mura si trova invece un muro più basso in stile liberty. Non passa infine inosservata la Fontana del leone, realizzata in stile neoclassico. Durante il Water Light Festival, nel maggio scorso, i visitatori dovevano scoprire come far ruggire il felino. Dietro alla fontana si riconoscono l’ala occidentale della Hofburg, eretta nel 1711 sotto il principe vescovo Kaspar Ignaz von Künigl, e le graziose torrette della chiesa di corte. Segue quindi via San Cassiano con le antiche mura del giardino della Hofburg, documentato sin dal 1265. In lontananza, nel paese di Millan sul versante orientale della conca della di Bressanone, si scorge infine la Chiesa della Madonna della Sabbia, eretta nel 1464. Qui, dove un tempo sorgeva un monumento ai caduti e in seguito il vecchio padiglione dell’Associazione turistica progettato dal famoso architetto brissinese Othmar Barth, l’architetto Matteo Scagnol (anch’egli di Bressanone) ha realizzato nel 2018 la nuova sede della Cooperativa Bressanone Turismo. L’intreccio dinamico e futuristico delle linee non smette di emozionarmi. Scagnol ha voluto creare un luogo d’incontro, con un’affascinante vista sul Palazzo Vescovile. Un elemento centrale è rappresentato dal grande albero, che guarda contemporaneamente “al passato e al futuro” e sembra abbracciato all’edificio . Quasi dirimpetto, la sede della Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano, eretta nel 2004 con una struttura vetrata a quattro piani, rimanda a sua volta alla sagoma della Hofburg. Come l’edificio di Scagnol, anch’essa crea un interessante elemento di contrasto rispetto al nucleo storico della città.
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L’autore
Bressanone è uno dei centri spirituali e culturali dell’Alto Adige. Alla mia città auguro di non fermarsi mai, di continuare a coltivare la sua vitalità culturale e, pur non rinunciando alla tradizione, di trovare il coraggio di aprirsi alle novità.
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Il prof. Dr. Josef Gelmi nasce a Cavalese nel 1937. Studia Filosofia e Teologia a Bressanone, quindi Storia della Chiesa e Storia a Roma. Professore di Storia della Chiesa e Storia diocesana presso lo Studio Teologico Accademico di Bressanone negli anni 1973-2007. Dal 1998 al 2017 presidente della Hofburg di Bressanone (Museo diocesano e Archivio diocesano). Autore di numerose pubblicazioni sulla storia del Papato e della Chiesa tirolese. Nel 1996 vince il premio Walther von der Vogelweide, nel 2001 riceve la Decorazione al merito del Tirolo, con la Croce d’onore austriaca per le scienze e le arti di I classe; nel 2009 viene insignito della Medaglia d’onore della città di Bressanone. Ricopre dal 2016 la carica onorifica di Canonico della Cattedrale di Bressanone. Nel 2017 riceve la Medaglia al merito della Diocesi di Bolzano e Bressanone.
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CHIUSA. L A C I T TÀ D E G L I A RT I ST I La Colonia degli artisti che un tempo popolò Chiusa è un tema affascinante, che già di per sé potrebbe riempire un intero programma di visita. Se nel corso di un tour guidato della città si tentasse di approfondire tutti gli aspetti legati alla colonia artistica, probabilmente non si farebbe neppure in tempo a mostrare il centro storico con i suoi angoli incantati e i vicoletti assonnati. Per il nostro approfondimento, varchiamo virtualmente la soglia della sala un tempo chiamata “Lampl”, che ospita oggi la sala del consiglio, offrendo inoltre una degna cornice a matrimoni civili e cerimonie minori. Nel 1874 l’affabile oste Georg Kantioler ribattezzò la sala con il nome di “Walthersaal”. Noti artisti, tra i quali Alexander Köster, Franz v. Defregger, Alois Gabl, Mathias Schmid e Robert Ruß vi trascorsero allegre serate, per nulla intimoriti dal motto che fregia la parete: “Non beve bene, chi beve troppo”. Nell’ormai celebre libro degli ospiti dell’albergo “Gasthof zum Lamm” si trovano nomi di artisti, le cui opere sono esposte alla Vecchia Pinacoteca di Monaco di Baviera. L’ospite più fedele fu senza dubbio Ernst Lösch, disegnatore e umorista di Norimberga nonché autore di due volumetti sugli amabili e un po’ stravaganti abitanti di Chiusa. La sala Walther è una sorta di scrigno che custodisce un tesoro prezioso. In seguito a due interventi di restauro, la sala si presenta oggi come 150 anni fa,
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Le case della città alta si stringono alla parete rocciosa su cui sorge il monastero di Sabiona. Ai giardini di queste case si accede… dalla soffitta!
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quando venne decorata da Ernst Lösch, Charles Palmié e dagli altri artisti della loro cerchia. A eccezione di alcune concessioni funzionali alla modernità, l’ambiente è rimasto intatto, compreso l’imponente lampadario, che pende dal soffitto con la sua ruota di ferro e gli artistici decori su cartone – quanto rimane di un fine settimana trascorso dagli artisti all’insegna del vino e dell’allegria. Prima che l’oste del Lampl potesse rendersene conto, Palmié e i suoi amici avevano già trasformato la sala degli artisti secondo i loro gusti romantici. In seguito, Lösch ebbe modo di raccontare che il buon Kantioler si mostrò dapprima piuttosto infastidito dall’arbitraria decorazione della locanda ma, quando si accorse che i pittori gioivano come bambini orgogliosi della propria opera, la sua fronte aggrottata tornò a distendersi.
Gli articoli scientifici e la persuasiva personalità del professore tirolese finirono per attirare in Valle Isarco artisti di ogni sorta, provenienti dalla Germania e dall’Austria. Gli insoliti ospiti raggiungevano l’Alto Adige con la linea ferroviaria da poco inaugurata. Una volta scesi dal treno, scoprivano un’assonnata cittadina medioevale, perfettamente in sintonia con il loro spirito romantico. Nei vicoli di Chiusa il tempo sembrava essersi fermato. Anno dopo anno, pittori, scrittori, scultori e studiosi iniziarono a trascorrere qui i mesi estivi, in un fecondo clima di scambio e ispirazione reciproca. Se poi l’idillio e la tranquillità venivano loro a noia, potevano comodamente riprendere il treno alla stazione presso l’albergo Krone e fare ritorno al trambusto delle grandi città. →
A cavallo tra il XIX e il XX secolo, la sala Lampl non era l’unico ritrovo degli artisti di Chiusa, che amavano frequentare anche la stube gotica dell’osteria del Mondschein, l’atelier Gallmetzer in piazza Duomo, la famosa locanda Batznhäusl (la “Rauterstube”), il ristorante Zur Post, l’atelier Rabensteiner e l’atelier Köster a Griesbruck. Di questi ritrovi non è rimasto molto, ma nella sala Walther c’è ancora un dipinto che ricorda il poeta Walther von der Vogelweide. Del resto, è anche a lui che Chiusa deve l’improvvisa fama che riscosse sul finire del XIX secolo. Ignaz Vinzenz v. Zingerle, docente di Innsbruck, e alcuni altri studiosi ritennero infatti di avere individuato nel maso Innervogelweiderhof, nel vicino paese di Laion-Novale, il luogo natale del celebre menestrello.
Il progetto “Kunst boden_nah” invita giovani artisti a vivere e lavorare a Chiusa. Di loro rimane traccia nelle opere esposte nei luoghi pubblici, e forse anche in qualche nuovo punto di vista.
A cavallo del secolo, assieme all’attività artistica fiorirono a Chiusa anche osterie e taverne. Artisti come Ernst Lösch e Charles Palmié se la spassavano nelle locande della città.
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3× gastronomia e cultura a Chiusa 10 KUNST BODEN_NAH Il progetto di arte contemporanea “è una sorta di galleria ambulante, che non si lega ad alcun luogo fisso”. Giovani resident artists provenienti da tutto il mondo sono invitati a vivere e lavorare a Chiusa e, in cambio di vitto e alloggio, popolano con le loro opere le piazze e gli spazi commerciali vuoti della città. Tre sono i giovani artisti invitati a partecipare all’edizione 2020 (mostra: 7-14 agosto 2020).
11 GASSLBRÄU Uno degli otto birrifici artigianali dell’Alto Adige, il Gasslbräu si trova al centro dell’abitato storico di Chiusa. Il mastro birraio Norbert Andergassen produce bionde, scure e weizen secondo la tradizione germanica ma anche craft beer stagionali più creative, come l’apprezzatissima birra di castagne. Tutte da abbinare ai piatti tipici della locanda.
GOLDENE ROSE Nella “Rosa d’Oro”, ristorante più antico della città, si pranza come ai tempi della leggendaria colonia degli artisti di Chiusa. Sull’antica cucina a legna si preparano i piatti come una volta, dalle trippe allo stoccafisso con le patate. Per poi accomodarsi nella più mondana cantina nella roccia, ventilata naturalmente, per gustare gin e sigaro.
www.gassl-braeu.it
www.goldene-rose.it
www.kunstbodennah.it
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Nel primo dopoguerra, la Colonia degli artisti subì un rapido declino. Da qualche tempo a questa parte, Chiusa tenta di riallacciarsi ai suoi anni d’oro: ne sono testimonianza le mostre temporanee del Museo civico, l’iniziativa “Artists in Residence”, il gemellaggio con altre città d’artisti e il progetto “Kunst boden_nah”. E in tutto ciò non manca un aspetto sorprendente: grazie a Sonya Hofer e Astrid Gamper, l’arte ha assunto tratti femminili. Chiusa città di artiste! Le tematiche che propongono sono profonde. Astrid Gamper avvolge i corpi femminili di strati leggeri per poi scoprirli in parte nuovamente, rivelando così, attraverso un intenso processo di applicazione e rimozione, la vulnerabilità e la forza della donna. Sonya Hofer sperimenta al momento con l’argilla e le conchiglie, simbolo dell’origine della vita.
Quello che un tempo era il monastero dei Cappuccini con il suo tranquillo cortile interno, ospita oggi il Museo Civico che, con le sue mostre di arte contemporanea, si riallaccia agli anni d’oro della Colonia artistica di Chiusa.
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Lasciamo ora la sala Lampl e, uscendo, volgiamo un rapido sguardo alla splendida insegna del ristorante. A Chiusa le 12 insegne in ferro battuto si trovano ancora ovunque, anche nelle case che da tempo non accolgono più avventori, ma in passato ospitavano le locande Mondschein, Grauer Bär e Weißes Rössl. Sul lato opposto della strada non passa inosservata la trattoria Walther von der Vogelweide, il cui edificio merlato è già menzionato in tempi remoti come albergo e bagno per ospiti abbienti. Il lato rivolto verso l’Isarco presenta un’affascinante facciata signorile, decorata da un affresco che ritrae un cantastorie medievale. Kantioler, l’oste del Lampl, aveva acquistato (e ribattezzato) l’antica trattoria Löwenwirt per farne una dependance del suo locale. La trattoria divenne celebre per il giardino mediterraneo, che giungeva fino alle rive dell’Isarco, e come luogo di ritrovo degli artisti. “Il Vogelweide”, come lo chiamano affettuosamente gli abitanti di Chiusa, è oggi noto soprattutto per la sua meravigliosa terrazza. E il giovane proprietario, Simon Rabensteiner, si sta dedicando con successo alla ristrutturazione delle camere per creare un piccolo art-hotel. Proseguendo verso sud lungo il vicolo principale, scorgiamo sulla sinistra un edificio verde. Questa casa, dalla facciata larga meno di tre metri, è la più stretta di Chiusa: cento metri quadrati per cinque piani, poggianti su una cantina scavata nella roccia. Scendendo lungo il contiguo vicolo del Trogolo fino alla passeggiata dell’Isarco, si nota un piccolo giardino accanto a una casa: un fazzoletto di terra coperto di ghiaia, con un vecchio pero che dispensa ombra d’estate.
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Tutte le case della città alta hanno un giardino. Nelle case vicine all’Isarco, per raggiungere il giardino si deve passare per la cantina, mentre in quelle che sorgono a ridosso della roccia di Sabiona vi si accede dalla soffitta! Le case del centro storico di Chiusa, tutte costruite su un pendio, sembrano aggrapparsi al versante roccioso di Sabiona, come a volersi proteggersi dall’acqua dell’Isarco, che a intervalli regolari minaccia di allagarle. I concittadini di madrelingua italiana hanno coniato un’espressione particolare per i giardini a ridosso del monte Sabiona, “i giardini segreti di Chiusa”, perché sono quasi invisibili, ma dal loro interno si gode di una vista meravigliosa. Torniamo nel vicolo principale di Chiusa, che nel corso della storia fu attraversato da ben 66 tra re e imperatori tedeschi, oltre a infiniti mercanti e pellegrini, tutti diretti verso sud. In questo vicolo, stretto come la cruna di un ago, dovevano passare tutte le carrozze provenienti dal Brennero ed era vietato costruire balconi. In compenso, ogni casa ha un bovindo, necessario per farvi entrare la luce e per consentire la vista (per non dire il controllo) dell’intera via. I colori delle case danno vita a una vivace tavolozza di toni pastello, selezionati da un’apposita commissione comunale. Severi sono i vincoli a cui i proprietari delle case devono attenersi per ogni in→
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L’arte contemporanea a Chiusa è declinata al femminile: Sonya Hofer ha ritratto la badessa del Monastero di Sabiona (“Ritratto della badessa Marcellina Pustet”, 2018); Astrid Gamper rappresenta nelle sue opere la vulnerabilità e la forza della donna (opere dalla serie “Hüllen”, involucri, 2018).
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Due artiste Astrid Gamper, Sonya Hofer e la loro città “Di Chiusa amiamo la tranquillità, la natura e la vita culturale. E comunque, grazie ai mezzi di comunicazione contemporanei, siamo sempre collegate con il mondo intero anche da qui, da questa piccola città.” 13 Astrid Gamper, classe 1971, ha studiato grafica e design della moda. Dal 2000 lavora nel suo atelier a Chiusa. La sua ultima mostra: “Sotto la pelle” (Museo Civico di Chiusa).
“Per noi, una delle maggiori attrazioni culturali di Chiusa è il Museo Civico. Ospita cinque mostre temporanee l’anno, presentando un ampio spettro di arte contemporanea.” 14 Sonya Hofer, classe 1948, vive e lavora a Chiusa come artista, ritrattista e mediatrice culturale. La sua ultima mostra: “Schalen” (gusci) (50x50x50 ART Südtirol, Fortezza).
Nel 2018 a Chiusa hanno dato inizio al loro progetto comune: “ars sacra – arte, chiesa e contemporaneità”. www.astridgamper.com www.sonyahofer.it
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tervento edilizio. Quasi tutte le case del centro storico sono state amorevolmente restaurate e compongono oggi un grazioso quadro d’insieme. Vedendole così, addossate l’una all’altra, nel 1867 un giornalista di viaggi tedesco scrisse che un barbiere, “grande e dalle braccia particolarmente lunghe”, avrebbe potuto tagliare comodamente la barba al suo dirimpettaio, da finestra a finestra. Oggi si sfruttano gli spazi stretti per tendere delle corde da una casa all’altra e appendervi oggetti colorati, ombrellini o bandiere per vivacizzare il vicolo. Le accoglienti botteghe della via invitano a fare qualche acquisto o a scambiare quattro chiacchiere con i negozianti, sempre provvidi di consigli. La porta della signorile casa tinteggiata di bianco al centro della città alta sorprende per il suo colore nero intenso, dovuto al mordente applicato dai proprietari per proteggerla dalle intemperie. I due stemmi sulla porta indicano che lo stabile era un tempo di proprietà del vescovato. Il domicilio, ceduto dai vescovi alla città, venne in seguito adibito a municipio ed edificio scolastico. Non è infine difficile intuire il significato della chiave inclinata verso sinistra che figura nello stemma di Chiusa: le porte della città si aprono a chi paga il dazio, ma rimangono chiuse per chi non ha denari. Il secondo blasone, che riporta l’agnello e la bandiera con la croce, è lo stemma del vescovo di Bressanone, a cui Chiusa rimase direttamente sottoposta fino alla secolarizzazione, nel 1803. Al passato ecclesiastico fa chiaramente riferimento anche il vivace affresco dello stemma vescovile visibile sulla facciata della casa della dogana, nei pressi di Porta Bressanone.
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Le case della città alta sono cariche di storia. Ne sono ottimi esempi il municipio attiguo alla chiesa degli Apostoli, la scuola costruita nel 1912 su tre case preesistenti, la casa Neustift che attorno al 1900 ospitava la locanda Zum Schlüssel, l’edificio Altlöwenhaus con gli affreschi degli stemmi e le porte a sesto acuto, la casa Frühmesnerhaus recentemente restaurata dalla famiglia Rabensteiner, il vecchio tribunale che un tempo apparteneva ai nobili di Villandro, la casa Brunnerhaus con la porta lignea di pregiata fattura artistica e molti altri edifici. Tutte hanno storie avvincenti da raccontare. Ma la città alta non vive soltanto della sua storia. Accanto ai negozi e ai numerosi locali, anche gli artigiani continuano infatti a esercitare i loro antichi mestieri: l’orafa Gretl Mair, la giovane calzolaia Nora Delmonego, oppure Hermann Plieger, fabbro d’arte. Passeggiare nel centro storico di Chiusa con gli occhi ben aperti è un po’ come ricalcare le orme della Colonia di artisti che subì il fascino della graziosa architettura medievale di Chiusa e della simpatia dei suoi abitanti.
Nella stretta via principale che attraversa Chiusa, in cui ogni carrozza doveva farsi strada per percorrere la valle, i balconi erano vietati. In compenso, ognuna delle case color pastello ha un luminoso bovindo con vista sulla via.
L’autrice classe 1955, ha studiato Scienze della Formazione e Tedesco come seconda lingua, completando in seguito un dottorato di ricerca in Pedagogia, Didattica e Pedagogia sociale. Lavora come docente e ricercatrice, è guida turistica e autrice. Recentemente ha pubblicato in lingua tedesca un libro dedicato agli abitanti di Chiusa, “Klausen gestern und heit – 30 bsundere Leit” (“Chiusa ieri e oggi – 30 personaggi”, Athesia).
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Che magia l’atmosfera natalizia in città Il mercatino di Natale di BRESSANONE in piazza Duomo è tra i più suggestivi di tutto l’Alto Adige, con tante piccole casette di legno che offrono artigianato locale e specialità gastronomiche. A portare la luce nella stagione buia dell’inverno ci pensano i “maestri della luce” di Spectaculaires: da fine novembre a inizio gennaio trasformano il cortile interno della Hofburg con il loro variopinto show di luci e musica. Le fiaccole illuminano le facciate, le burla di giocolieri e mangiafuoco animano i vicoli del centro storico, mentre dai corni alpini risuonano profonde sonorità d’Avvento. Visitando il Natale medievale di CHIUSA ci si sente immersi in un’altra epoca. In quest’occasione anche gli artigiani e i negozianti indossano abiti storici di lana e velluto per presentare i prodotti delle proprie botteghe.
www.brixen.org www.klausen.it
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Dove l’inverno è slow Insieme, l’Alpe di Rodengo e l’Alpe di Luson formano uno degli alpeggi d’alta quota più vasti d’Europa, di 20 chilometri quadrati. L’alpeggio si estende tra i 1800 e i 2300 metri sul livello del mare e offre lunghi percorsi per lo sci di fondo con i suoi 50 chilometri di tracciati. Con una vista magnifica sulle Dolomiti, le Alpi Sarentine, le Alpi della Zillertal, le Vedrette di Ries e gli Alti Tauri, la zona è adatta anche alla pratica di altre attività invernali, dalle camminate all’escursionismo con le ciaspole, passando per lo scialpinismo e lo slittino.
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Alla scoperta della lentezza Sono sempre stata un’appassionata sciatrice. Fino a quando, quasi controvoglia, ho provato le ciaspole. E ho scoperto un nuovo amore T e s t o
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lcuni miei amici decidono di fare un’escursione con le racchette da neve. E vogliono che vada con loro. Racchette da neve? So che da queste parti vengono chiamate ciaspole. E so che esistono persone che ne fanno uso di loro spontanea volontà. D’altronde viviamo in una società liberale e pluralista: ci sono anche persone che passeggiano nel bosco con i bastoncini, lo chiamano con il termine inglese “nordic walking”, anziché farsi semplicemente una corsa. Ma le ciaspole? No, penso, non fanno per me. “Mi dispiace ma io sono una sciatrice”, rispondo agli amici. Un tempo mi cimentavo anche nelle gare. Una volta sono arrivata addirittura seconda: era uno slalom. Una foto mi ritrae da ragazzina mentre orgogliosa alzo una coppa color argento che è grande quasi quanto me. Sciare è nel mio DNA. I miei genitori sciavano. I miei nonni anche. Sciare è tutto per me, è la mia grande passione. La cosa che amo di più è far correre gli sci a tutta velocità lungo una discesa. Per quale motivo dovrei faticare tanto per risalirla? Non ho scampo. I miei amici mi trascinano. Per lo meno le ciaspole moderne non assomigliano più a delle racchette da tennis, penso, mentre le stringo agli scarponi. Mi accorgo che sono leggere come delle piume. Credevo fossero dei pesanti marchingegni! Va bene, sono pronta. Ci incamminiamo. O meglio: gli altri si incamminano. Io invece inciampo e finisco nella neve con un tonfo poco elegante. “Eccola lì, la nostra sciatrice!”, esclamano i miei amici tra le risate. Adesso basta, mi dico, avete solleticato il mio orgoglio. Mi incammino dietro agli altri, inizialmente un po’ impacciata perché ho paura di rimanere incastrata con le racchette nella radice di un albero. Ma non accade: al contrario, trovo il mio ritmo. La salita si fa più ripida. Sento lo scricchiolio della neve sotto ai miei passi cadenzati, il mio respiro affaticato ma regolare, il mio cuore battere. Fino a che, all’improvviso, il mio camminare con le ciaspole si trasforma in meditazione. Assaporo la lentezza. Io, l’agonista di un tempo! Sopra il limitare del bosco tutto è bianco, infinito, luminoso. Mi tolgo per un attimo gli occhiali e strizzo gli occhi, bagnati di minuscole lacrime per il sole invernale che mi abbaglia. Poco dopo raggiungiamo la malga. Quassù tutto è silenzioso. Non ci sono impianti di risalita, non ci sono folle di persone. Mi accorgo di essere molto affamata. Non avrei mai immaginato che un’escursione con le racchette da neve potesse essere così faticosa e al tempo stesso così appagante. Soltanto il brontolio del mio stomaco disturba la pace della montagna. Prendiamo dallo zaino i nostri panini allo speck e i nostri thermos con il tè. Mi tolgo le ciaspole e per i primi tre, quattro passi brancolo un po’ goffa e traballante. “E il prossimo fine settimana?”, mi chiedono gli amici. Ci ragiono un po’ su. Forse è giunto il momento di osare e di lasciarmi coinvolgere da una nuova passione. O per lo meno di sperimentare un secondo amore accanto a quello per lo sci alpino. “Il prossimo fine settimana? Ciaspole ai piedi e via!”, esclamo e alzo in un brindisi il tappo del mio thermos.
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Sciare? È un piacere! Nei comprensori sciistici Rio Pusteria e Plose, il divertimento non si ferma alle curve disegnate sulla neve ma prosegue negli accoglienti rifugi. Dieci imperdibili malghe a bordo pista
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Rifugio Rossalm Una notte in rifugio
Mentre gli altri sciatori si riallacciano gli attacchi e scendono verso valle, noi appoggiamo i nostri sci alla parete del rifugio. Questa notte ci fermiamo in quota, dormiamo qui, nel cuore del comprensorio sciistico della Plose. Avvolti in morbidi accappatoi, facciamo quattro passi nella neve fino alla botte dell’idromassaggio. Ci immergiamo nell’acqua a 40 gradi, sorseggiamo un calice di Franciacorta Rosé e lasciamo che gli ultimi raggi di sole del tramonto ci accarezzino il viso. Il silenzio che ci circonda è nuovo, a noi sconosciuto, ma piacevole. Entriamo nella piccola casetta che ospita la sauna, rilassandoci nel piacevole calore e osservando dalla finestra le bianche cime ancora illuminate dal sole che tramonta. Poco dopo ci attende la cena: cinque portate accompagnate da vini dell’Alto Adige. Assaporato l’ultimo cucchiaino di panna cotta alla menta, ci dirigiamo in camera sazi e soddisfatti. Diamo ancora uno sguardo al cielo notturno e cadiamo in un sonno profondo, come solo la montagna sa regalare. Al mattino, prendiamo un caldo cappuccino sulla terrazza ancora deserta. Respiriamo l’aria di neve, felici di sapere che oggi, saremo i primi a scendere in pista.
Altitudine: 2180 m Comprensorio sciistico: Plose Stazione a valle: Funivia Plose, via Funivia, 17, 39042 S. Andrea (Bressanone) Piste: Pfannspitz (Monte Fana), Familienabfahrt (Discesa per famiglie) www.rossalm.com
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Rifugio Gitsch Il paradiso dei buongustai
Al posto della stube tirolese, la purezza del legno e design moderno, i tovaglioli piegati con cura, eleganti calici da vino sui tavoli: così ci accoglie il Rifugio Gitsch. Meinrad Unterkircher, gestore e chef, ha realizzato il suo desiderio: un rifugio per sciatori con una cucina gourmet, utilizzando nelle sue ricette esclusivamente ingredienti e prodotti a chilometro zero. Se negli anni settanta in questo rifugio si servivano soltanto panini imbottiti e würstel, oggi ci attende un delizioso menù.
Ordiniamo i saporiti canederli di grano saraceno, un risotto cremoso al formaggio tipico “Graukäse” e – quel che non ti aspetteresti a 2200 metri di quota – un bel piatto di spaghetti allo scoglio. Come dessert la cameriera ci serve una crema di vaniglia con lamponi e uno strudel di mele dall’impasto fragrante. E per finire, Meinrad ci offre il classico grappino, obbligatorio in alta quota. D’altronde, gourmet o no, la tradizione sudtirolese qui è di casa.
Altitudine: 2210 m Comprensorio sciistico: Rio Pusteria – Gitschberg Stazione a valle: Cabinovia, via Mitterecker, 16, 39037 Maranza (Rio Pusteria) Piste: Gitsch, Breiteben, Kanonenrohr www.gitschhuette.com
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Rifugio Trametsch Uno spasso per tutta la famiglia
A piedi, con gli sci o con la slitta: sono tanti i percorsi e i mezzi che conducono al rifugio Trametsch. Osserviamo alcune slitte uscire dal bosco, sfrecciando veloci con i bambini entusiasti che strillano di gioia e i genitori, seduti dietro, concentratissimi alla presa con le ultime curve: la “RudiRun”, la pista da slittino, termina proprio al rifugio. I bimbi scendono dalle slitte e corrono verso il grande alce di legno che sorveglia l’area giochi. Mentre i nostri pargoli, già provetti sciatori, osservano altezzosi i più piccoli e sganciano gli attacchi con maestria, orgogliosi della loro prestazione sportiva: i 9 chilometri della pista Trametsch. Il parco giochi, però, è un luogo magnetico e attira anche i nostri piccoli sciatori, tanto che quando il pranzo è servito dobbiamo impegnarci per staccarli dal tronco d’arrampicata e dal dolcissimo
cane della malga, Flocki. Appena scorgono i “burger Trametsch” di manzo locale e le patatine fritte, smettono di brontolare. Anche la nostra tagliata di manzo ci cattura con la sua bontà e quand’è finita, ci adagiamo soddisfatti sulle sdraio in legno della terrazza per un pisolino. Nel frattempo, i bambini hanno già riconquistato felici e urlanti il tronco per l’arrampicata.
Altitudine: 1110 m Comprensorio sciistico: Plose Stazione a valle: Funivia Plose, Via Funivia, 17, 39042 S. Andrea (Bressanone) Piste: Trametsch, pista da slittino RudiRun www.trametsch-huette.com
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Altitudine: 2008 m Comprensorio sciistico: Rio Pusteria – Jochtal Stazione a valle: Funivia Jochtal, via Jochtal, 1, 39037 Valles (Rio Pusteria) Piste: Talabfahrt (Discesa a valle), Mitterling, Jöchl www.jochtal.info
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Rifugio Anratter Una maratona di canederli
L’ampia pista si snoda lungo il pendio e intravvediamo già da lontano il tetto di scandole di legno del rifugio Anratter. Mentre battiamo gli scarponi per liberarli dalla neve, non vediamo l’ora di raggiungere la baita e il calore della sua stufa in maiolica. Che fortuna! Riusciamo ad accaparrarci proprio il tavolo accanto alla stufa e a riscaldarci con la schiena appoggiata alla sua bianca superficie arrotondata. Non abbiamo bisogno di studiare il menù, oggi sappiamo già cosa ordinare: i canederli. Scelta doverosa, di fronte a quindici orgogliose variazioni di questo classico tirolese! Ordiniamo i più tradizionali: canederli di speck, al formaggio e agli spinaci. Appena il gestore ci porta in tavola i piatti fumanti, all’improvviso ci ammutoliamo. E coniamo un nuovo proverbio contadino: “Un buon canederlo allo speck
Altitudine: 1824 m Comprensorio sciistico: Rio Pusteria – Jochtal Stazione a valle: Funivia Jochtal, via Jochtal, 1, 39037 Valles (Rio Pusteria) Piste: Hinterberg, Seepiste www.anratterhof.info
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non ha bisogno di tante parole!”. Spinti dall’invidia per il dessert adocchiato sul tavolo accanto, ordiniamo anche noi un paio di canederli con cuore di gianduia. E mentre ci gustiamo anche l’ultimo soffice boccone, valutiamo se sdraiarci sulla panca della stufa per sfruttare al meglio l’abbiocco post canederlo… prima di tornare sulla neve belli e carichi di energia.
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Ristorante di montagna Jochtal Per i nottambuli
Potrebbe sembrare strano risalire lungo una pista da sci, anziché scendere. Ma non è un caso che molti sudtirolesi, dopo aver trascorso la giornata seduti in ufficio, infilino gli sci da alpinismo in auto e si dirigano verso la montagna – anche noi non potremmo immaginare serata migliore. E così, mentre gli sciatori diurni se ne stanno già da un po’ in sauna, al bar del loro albergo o sul divano di casa, noi al tramonto ci incamminiamo e difilato risaliamo la pista. Come ogni martedì sera, i 4 chilometri della discesa a valle sono riservati agli scialpinisti e agli escursionisti con le ciaspole. I gatti delle nevi stasera non passano e non c’è bisogno di attraversare alcun pendio fuoripista: siamo in completa sicurezza. Mantenendoci sempre sul bordo pista, poniamo un piede davanti all’altro con i nostri sci, sotto ai quali abbiamo montato le pelli di foca per non scivolare. Nonostante l’aria fredda della sera, iniziamo presto a sudare. Attorno a noi, soltanto il buio del bosco, e quel silenzio che c’è soltanto in montagna, nelle fredde notti d’inverno. Piano piano iniziamo a pensare alla giusta ricompensa alle nostre fatiche che ci attende in cima, al ristorante Jochtal: un boccale di birra e un piatto di uova all’occhio di bue con speck e patate arrosto. Volendo, poi, la festa continua con le serate de “Il ballo dei vampiri”, con la musica DJ fino alle ore 23.30. E infine, degna conclusione della serata, ci aspetta il piacere della discesa, illuminata soltanto dal cono di luce della nostra lampada frontale.
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La Finestra L’aperitivo a 2000 metri
Siamo partiti con l’idea di sfruttare il meteo favorevole di questa giornata invernale per fare qualche curva in pista. Ma appena scesi dalla cabinovia, il nostro sguardo si è fermato, oltre che sulla gigantesca scritta “Plose” con l’enorme “O”, anche sull’affollata terrazza bar del rifugio La Finestra, con le panciute bottiglie di spumante immerse nei lucenti secchielli del ghiaccio. I calici di Spritz con l’Aperol luccicano al sole d’alta quota, lo speck appena affettato bacia i carciofi sott’olio: a 2050 metri di altitudine sembrano sfumare i confini tra ciò che è alpino e ciò che è mediterraneo. Osserviamo divertiti gli scambi di saluti tra avventori del posto, mentre il barista fa saltare un altro tappo. Quando, all’ora di pranzo, i primi sciatori con il viso arros-
sato dal vento e dalla velocità si fermano in terrazza, ordiniamo anche noi il piatto per eccellenza del locale: “la finestra di canederli”, ovvero, un tris di canederli con insalata di cavolo cappuccio, il tutto scenograficamente adagiato su una piccola finestra di legno al posto del piatto. Degli sci, nel frattempo, ci siamo quasi scordati.
Altitudine: 2050 m Comprensorio sciistico: Plose Stazione a valle: Funivia Plose, via Funivia, 17, 39042 S. Andrea (Bressanone) Piste: Plose, Trametsch www.lafinestra-plose.com
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Rifugio P3 Tutti in pista… da ballo!
Mentre nel tardo pomeriggio scendiamo a larghe curve la nostra ultima discesa della pista Trametsch, udiamo già da lontano la musica che ci fa capire: la tripla “P”, quella del nome del rifugio, non sta solo per Plose… ma anche e soprattutto per party. Ci fermiamo, sganciamo gli sci e ordiniamo finalmente il nostro meritato “Hugo”, tipico spritz di queste parti fatto con la menta e il succo di sambuco. Sotto le travi in legno del rifugio si affollano gli avventori, sciatori e non, e anche qualche maestro di sci si è fermato a fare quattro chiacchiere nel meritato dopolavoro. Dalle casse pompano i brani di Billie Eilish e qualcuno sta già ballando. Il DJ troneggia alto sopra di noi dal balcone in legno intagliato, la ritmica dei bassi fa tentennare i vecchi sci di legno appesi alla parete della baita. Noi, nel frattempo, siamo passati a un gin tonic perfettamente miscelato, felici di non avere altre piste da scendere. Un’altra giornata sugli sci ci attende domani… e un altro party! Altitudine: 1067 m Comprensorio sciistico: Plose Stazione a valle: Funivia Plose, Via Funivia, 17, 39042 S. Andrea (Bressanone) Piste: Trametsch, Randötsch www.plose.org
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Un classico dell’après ski Birra, vino, aperitivo? No, il re dei cocktail dell’après ski in Alto Adige è senza dubbio il Bombardino, chiamato anche Schneewittchen (Biancaneve) in tedesco. La dolce bevanda è perfetta per riscaldarsi dopo una lunga giornata sugli sci ma si prepara molto facilmente anche a casa: · 3 parti di liquore allo zabaione (vov) · 1 parte di brandy o rum · panna montata · cannella o cacao in polvere Riscaldate lo zabaione senza farlo bollire. Mescolando, aggiungete il brandy e versate in un bicchiere di vetro spesso, resistente al calore. Guarnite con abbondante panna montata e spolverate con un pizzico di cannella o cacao. Si serve caldo.
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Rifugio Plose Sopra le nuvole
È incredibile. È mozzafiato. E non ci stancherà mai. Stiamo parlando del panorama dalla vetta della Plose, sempre pronto ad affascinarci quando con un elegante sobbalzo saltiamo dalla seggiovia e lasciamo scivolare gli sci lungo i pochi metri fino al rifugio Plose. Dietro di noi: il monte Fana, dove ci siamo appena dilettati con il carving. Davanti a noi: il maestoso Sass de Putia e le Odle della Val di Funes – le Dolomiti talmente vicine che sembra di poterle toccare. Ci giriamo lentamente e lasciamo che la vista tutt’attorno eserciti il suo fascino su di noi: le Alpi austriache dell’Ötztal, delle valli Zillertal e Stubai, il gruppo dell’Ortles, il gruppo del Brenta e dell’Adamello. Ed ecco che, abbassando lo sguardo, vediamo Bressanone, adagiata nella conca e illuminata dal sole invernale. Qualche nuvola innocua offusca la splendida giornata, ma sono più basse di noi. Qui, a quasi 2450 metri sul livello del mare, ci sentiamo come slegati dalla realtà. Ma ecco che torna subito a riprenderci: in effetti fa un po’ freddino, e poi, non è quasi ora di pranzo? Invitanti profumini ci attirano magicamente verso la porta del rifugio. All’interno ci accoglie un benefico calore. I Carabinieri del soccorso piste si godono un caffè e due chiacchiere appoggiati al bancone, mentre ai tavoli gioca a carte, tra risate ed esclamazioni, la gente del posto. Manca soltanto un bicchiere di vino.
Altitudine: 2447 m Comprensorio sciistico: Plose Stazione a valle: Funivia Plose, Via Funivia, 17, 39042 S. Andrea (Bressanone) Piste: Plose, Plose Est, CAI www.plosehuette.com
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Rifugio Pichler E oggi, una gita in slittino
Curva dopo curva, facciamo a gara a chi arriva primo. All’improvviso l’amico in testa frena di colpo, spruzzando la neve con i pattini della sua slitta e gridando: “Pausa canederli!”. Il tracciato della nuova pista da slittino di Rio Pusteria, la Brimi Winter Run lunga 6 chilometri, passa proprio davanti al rifugio Pichler. Dalla piccola terrazza panoramica, scattiamo qualche
foto della vallata che si apre ampia davanti a noi, poi appendiamo i nostri caschetti accanto agli altri lungo la grondaia della baita in legno, ingrigita dal sole. Dopo aver gustato le tagliatelle fatte in casa al ragù di cervo e le mezzelune Schlutzkrapfen ripieni di spinaci e ricotta – e l’amico citato poc’anzi, ovviamente, i suoi canederli – ci dividiamo anche un piatto di profumati krapfen al papavero. Infine, Matthias Hofer Grünfelder, gestore del rifugio, ci mostra alcune foto del maso Pichlerhof che fa parte della malga e da cui si rifornisce di speck, latte, erbe aromatiche e molti altri prodotti. Più chilomentro zero di così non si può. A proposito di chilometri. Siamo soltanto a metà della pista e non abbiamo ancora terminato la nostra gara di slittino…
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Per gli appassionati di slittino A pagina 56: due campioni olimpici di slittino raccontano la loro vita all’insegna della velocità
Quando si scia con i bambini, come oggi, è bello poter arrivare facilmente al rifugio alle prime avvisaglie di fame. Scendiamo quindi lungo la facile pista Seepiste e arriviamo alla malga Linderalm. Una morbida coltre di neve imbianca le montagne e i boschi circostanti. In baita ci aspetta una golosità particolare: il formaggio Graukäse, il pregiato “formaggio grigio” di Ewald Mair, con cui ha vinto anche un premio. Certo, i bambini storcono il naso solo a sentirne il nome e si fiondano entusiasti su un piatto di Kaiserschmarrn, la dolce frittata stracciata . Mentre noi ascoltiamo volentieri la breve spiegazione del gestore: scopriamo che il Graukäse è un formaggio a coagulazione acida, molto magro e dal sapore intenso e saporito, tipico della tradizione altoatesina. Ci dice, inoltre, che le sue note amare si sviluppano con l’avanzare della stagionatura. Assaggiamo un formaggio di media stagionatura, nell’abbinamento classico con pane nero e burro. Incuriositi dal nostro entusiasmo, adesso anche i pargoli vogliono provare. Chi l’avrebbe mai detto? Forse diventeranno anche loro dei piccoli intenditori di formaggio grigio...
Altitudine: 1862 m Altitudine: 1918 m Comprensorio sciistico: Rio Pusteria – Gitschberg
Comprensorio sciistico: Rio Pusteria – Jochtal
Stazione a valle: Cabinovia, Via Mitterecker 16, 39037 Maranza (Rio Pusteria)
Stazione a valle: Funivia Jochtal, via Jochtal, 1, 39037 Valles (Rio Pusteria)
Piste: Nesselwiese, Mitterwiese, pista da slittino Brimi Winter Run
Piste: Sonnenhang, Seepiste
www.pichlerhuette.com
www.riopusteria.it
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Seguiamo le tracce Chi è stato a lasciare le impronte sulla neve? Un indovinello
A Il cervo Il cervo è un ungulato. Infatti, cammina sempre sulla punta delle dita e appartiene alla famiglia dei Cervidi. Gli zoccoli posteriori sono leggermente più piccoli di quelli anteriori e vengono appoggiati, al passo o al trotto, nelle impronte più grandi degli zoccoli anteriori. Al galoppo e nel salto, le impronte risultano una dietro l’altra e le unghie appaiono molto divaricate. Nella parte posteriore dell’impronta il segno del cuscinetto è molto marcato e compone un terzo dell’orma. Le impronte del cervo si possono trovare soprattutto nei boschi.
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La lepre La lepre corre a balzi su campi e prati. Posiziona le due zampe posteriori, che sono molto più lunghe, davanti alle zampe anteriori più corte. Più veloce è il balzo della lepre, più grande risulta la distanza tra le coppie di impronte, che può misurare fino a tre metri.
C Lo scoiattolo Lo scoiattolo predilige i boschi, i parchi e i giardini. Sul terreno ha un’andatura a balzi simile a quella della lepre. Dato che la distanza tra le zampe posteriore è più grande di quella tra le zampe anteriori, la traccia lasciata dal gruppo di impronte ha una forma trapezoidale. La zampa anteriore presenta quattro dita, mentre quella posteriore ne ha cinque.
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D La volpe La volpe vive nelle zone boschive e a prato ma frequenta anche le periferie di paesi e città. Le sue zampe anteriori e posteriori hanno quasi la stessa grandezza. Ha una postura digitigrada, ovvero cammina appoggiando al suolo i cuscinetti delle dita. Appoggia le zampe posteriori nelle orme delle zampe anteriori e quindi le impronte della zampa destra e di quella sinistra compaiono sulla stessa traccia. Le impronte della volpe si confondono facilmente con quelle del cane. Quelle della volpe però sono più piccole e strette, i cuscinetti delle due dita centrali si trovano un po’ più avanzati rispetto a quelli del cane.
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1 = E; 2 = C; 3 = F; 4 = D; 5 = B; 6 = G; 7=A Soluzione
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La martora
L’essere umano
La martora predilige i boschi, i campi e i paesi. La sua tipica andatura al suolo è caratterizzata dal cosiddetto doppio salto. Anche la martora è un digitigrado come la volpe.
Un misterioso plantigrado. Si muove lungo i sentieri ma spesso anche li abbandona. Solitamente indossa scarpe robuste che conferiscono alle sue impronte sulla neve forme e strutture molto particolari e insolite. Le orme sono straordinariamente grandi. Un essere spaventoso e imprevedibile.
Il tasso Il suo ambiente è composto dai boschi di latifoglie e dai boschi misti. È tipica delle sue impronte la leggera rotazione della zampa verso l’interno. Il tasso ha generalmente un’andatura un po’ goffa, durante la quale appoggia le zampe posteriori leggermente dietro alle orme delle zampe anteriori.
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Io resto qui A Castel Trostburg, dove un tempo risiedevano conti e cavalieri, oggi vive solo Terese Gröber. Quando guida i visitatori tra le antiche mura, nei suoi racconti rivivono le affascinanti storie del passato
T e s t o — L E N Z K O P P E L S T Ä T T E R F o t o g r a f i e — C A R O L I N E R E N Z L E R
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Q “Sono felice e grata di poter vivere quassù”, dice Terese Gröber. Il castello per lei è casa e patria allo stesso tempo.
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uando Terese Gröber, che tutti chiamano affettuosamente “la Tresl di Castel Trostburg”, si accosta alla finestra della sontuosa sala rinascimentale e lascia scorrere lo sguardo sulla valle Isarco, è come se tutto il passato si affacciasse sul presente. Alle spalle dell’anziana donna, avvolti nel silenzio, si scorgono i ritratti in stucco dei conti di Wolkenstein. Da qui la vista spazia fino ai paesini di Barbiano, Laion e Villandro, che sembrano aggrapparsi al ripido versante, circondati da prati e boschi. Giù in basso, nel fondovalle, la frenesia del mondo moderno non conosce sosta. Le automobili sfrecciano, i fari lampeggiano: la follia della civilizzazione. Fra le possenti mura di Castel Trostburg, sopra Ponte Gardena, regna invece la pace. Un silenzio benefico. La Tresl del castello fa un respiro profondo. “Sono felice e grata di poter vivere quassù”, dice. Terese Gröber, che oggi ha 73 anni, ha trascorso qui tutta la vita. La sua famiglia, alle dipendenze dei conti di Wolkenstein, ha provveduto per lunghi anni a mantenere in buono stato la proprietà. Oggi la signora Gröber accompagna i visitatori tra le mura dell’antica dimora e narra loro le storie dei cavalieri, dei baroni e dei conti che un tempo vi risiedevano. Terese parla anche del presente, di una vita fatta di fatiche e del perché, nonostante tutto, non voglia lasciare questo posto: il castello è la sua casa e, se vi si spegnesse anche l’ultima fiammella di vita, andrebbe ben presto in rovina. Castel Trostburg svetta, a 627 metri di altitudine, sulla gola che il fiume Isarco ha scavato nella roccia nel corso dei millenni. La sua storia risale al XII secolo, quando a risiedervi erano i signori di Velturno. In-
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torno al 1290, tacciati d’essere dei briganti, dovettero tuttavia cedere il castello al Conte del Tirolo. Questi lo concesse a sua volta in feudo ai signori di Villandro e in seguito alla dinastia dei Wolkenstein, che lo elesse a propria residenza per 600 anni. Il maniero subì un ampliamento tra il XIV e il XVI secolo, per essere infine rinnovato in stile rinascimentale nel XVII secolo a opera del conte Engelhard Dietrich von Wolkenstein. Da allora in poi il castello fu utilizzato soltanto come residenza estiva. Terese Gröber ci invita a varcare la soglia. Solleviamo istintivamente lo sguardo: la saracinesca del portale con i suoi puntali di legno incute ancora un certo timore, e le bertesche, che nel Medioevo aiutavano a tenere lontano il nemico, non hanno perso il loro aspetto cupo. significa anche attraversare la storia delle famiglie, dei Il cortile interno emana invece un’atmosfera idilliaca, tanti bambini, dei soldati e dei parroci che abitarono il con i suoi gerani, gli oleandri, le ortensie piantate adcastello nel corso dei secoli. Sentiamo una corrente d’adirittura dalla madre di Terese, con le colonne, gli archi ria e il sìbilo del vento. “Il vento è di casa nel castello”, e la scala che conduce all’interno del castello. Un dice la signora Gröber, prima di spiegarci affresco decora una parete esterna: raffigura l’alche il nome “Trost”, in tedesco medieva“Al mattino dovevamo bero genealogico dei conti di Wolkenstein. Tra gli le, significava “regnante”, “signore”, ma antenati si trova il nome di Engelhard Dietrich, parlare pianissimo perché anche “fiducia”. Ci apre il portone della ma anche quello di Oswald von Wolkenstein, il cappella, che stride e cigola: inginocchiala contessa amava celebre menestrello generalmente ritratto con un toi di legno antico e scuro, un sobrio altadormire fino a tardi.” occhio chiuso. re. Dal soffitto, ci osserva una Madonna A destra si apre una cucina nera di fuliggine, che tiene tra le braccia il Bambin Gesù. mentre la porta successiva conduce alla stanza Negli affreschi si scorge spesso la figura del caminetto. Più avanti si trova il mastio, daldi sant’Antonio abate: monaco egiziano, le mura spesse ben due metri e mezzo, che un tempo asceta, eremita e “padre del monachesimo”, raggiunto offriva riparo in caso di pericolo. I passi rimandano un nel deserto dalla visione del diavolo. I credenti, da quesuono inquietante. Attraversare questi antichi locali ste parti, lo chiamano Fåckn-Toni, “il Toni dei maiali”. Il santo è infatti il patrono dei contadini, dei macellai e degli allevatori di maiali. “Ancora oggi”, racconta Terese, “ogni tanto qualche anziana contadina sale al castello e chiede di poter entrare nella cappella per pregare per la cucciolata della propria scrofa”. La signora Gröber racconta della sua infanzia, delle giornate trascorse a giocare nel bosco assieme ai fratelli e alle sorelle e di come i bambini aiutassero nei lavori di stalla. “Al mattino dovevamo parlare pianissimo, perché le nostre voci rimbombavano tra le mura del castello disturbando la contessa, che amava dormire fino a tardi”, ricorda. Già, la contessa. Ai bambini la nobildonna raccontava del mondo, del Sud, del mare. Di tutti quei luoghi che Terese non ha mai visitato, se non in sogno. “Ho preferito restare qui”, afferma in tono asciutto. A un certo punto, però, non fu più possibile arrestare il declino del castello. I conti se ne andarono, →
Terese Gröber
Venerabile età La storia di Castel Trostburg risale al XII secolo.
Terese Gröber ha 73 anni e qui ha trascorso la vita intera. Su incarico dei conti von Wolkenstein, la sua famiglia provvedeva a mantenere il castello in perfetto stato. Oggi la signora Gröber accompagna i visitatori tra le mura del castello e racconta agli ospiti le storie dei cavalieri, dei conti e baroni che un tempo vi risiedevano.
Le mura del mastio arrivano fino a due metri e mezzo di spessore: il castello offriva riparo in caso di pericolo.
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“Il castello mi appartiene e io appartengo al castello. Non mi sento sola: c’è tantissima gente che viene a trovarmi quassù.”
Anche il celebre menestrello Oswald von Wolkenstein, spesso ritratto con un occhio strizzato perché cieco, apparteneva alla casata dei proprietari del castello. Oggi Castel Trostburg è un museo e sede dell’Associazione dei castelli dell’Alto Adige.
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Nel giardino del castello crescono ancora le ortensie piantate dalla madre di Terese. La cappella del castello è consacrata a sant’Antonio abate, patrono dei contadini, dei macellai e degli allevatori di maiali.
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i genitori di Terese morirono, i fratelli e le sorelle si trasferirono a valle. Soltanto Terese voleva restare. Ma come fare? Nel 1967 i membri dell’Associazione dei castelli dell’Alto Adige fondarono una società privata per salvare Castel Trostburg dalla rovina. Qualche anno più tardi, il castello diventò un museo e la sede ufficiale dell’Istituto dei castelli dell’Alto Adige. E Terese poté rimanere. Per occuparsi del castello. “Il castello mi appartiene e io appartengo al castello”, afferma. Nei decenni passati da allora, la signora Gröber ha fatto da guida ai visitatori. In più pulisce, strofina con spazzola e sapone i pavimenti, accudisce una cavalla e il suo puledro, alcune galline e tre gatti. Anni fa, racconta, scendeva in paese un giorno sì e un giorno no, e naturalmente la domenica per la prima messa del mattino. Camminando sulle pietre scivolose del ripido sentiero. Oggi lascia il castello soltanto ogni due settimane per fare la spesa: pane, burro, latte. La solitudine? Terese fa cenno di no. “Tanto viene moltissima gente a trovarmi quassù”, dice. Alcuni visitatori che si credono provetti alpinisti giungono sudati e ansimanti al portone del castello. La signora Gröber sorride. Un tempo lei saliva e scendeva camminando sui tacchi. Ora una nuova strada è in costruzione e presto ci sarà anche un collegamento internet. Adesso ride: “Internet?”. Terese ci invita nella sua stube, subito a sinistra dell’ingresso. Santini, fotografie di famiglia, una stufa in maiolica, un vecchio telefono a rotella. Un vecchio televisore. A volte, quando c’è il temporale, salta la corrente e le tocca munirsi di torcia. E se le batterie si scaricano, allora accende un paio di candele. “Internet”, ripete divertita. I suoi occhi vispi luccicano, uno dei gatti le si strofina attorno alle gambe. “Sarà pure indispensabile, oggigiorno. Io però non ne sento il bisogno”, aggiunge. Quando la sera guarda il telegiornale e apprende del mondo di “laggiù” con i suoi ritmi indiavolati, allora è davvero felice di vivere “quassù”. In questo mondo diverso, un mondo soltanto suo.
Ripide gole e mura possenti Altri castelli da visitare Castel Trostburg – Museo dei castelli dell’Alto Adige
La Chiusa di Rio Pusteria
+ Via Burgfrieden, 22, 39040 Ponte Gardena 0471 654 401 Orari: dal giovedì prima di Pasqua a fine ottobre, mar-dom
+ Chi da Bressanone imbocca la strada verso la Val Pusteria, subito dopo Rio Pusteria non può che imbattersi nelle rovine, in buona parte conservate, della Chiusa. Nel Medioevo, era un’importante fortificazione e fungeva inoltre da stazione doganale. Qui, a partire dal 1271, passava infatti la linea di confine tracciata da Mainardo II tra la Contea di Görz (Val Pusteria) e la Contea del Tirolo. Fino agli anni novanta la Statale della Val Pusteria passava attraverso la rovina, che oggi è costeggiata da una pista ciclabile.
www.burgeninstitut.com
Castel Velturno + Un tempo residenza estiva dei principi vescovi di Bressanone, il castello custodisce uno degli esempi più straordinari dell’arte dell’intarsio in Europa, risalente al tardo XVI secolo. Via Paese, 1, 39040 Velturno 0472 855 525 Orari: da marzo a novembre, mar-dom www.schlossvelthurns.it
Strada statale, 49, 39037 Rio Pusteria 0472 886 048 Orari: da giugno a settembre, lun www.muehlbacherklause.it
Castel Rodengo + Il maestoso complesso, ubicato sopra la gola della Rienza, risale all’incirca al 1140 ed è uno dei più grandi castelli fortificati dell’Alto Adige. Il castello, ancora abitato e nel contempo adibito a museo, custodisce le segrete, la coloratissima sala nuziale e una collezione d’armi. Gli affreschi del Ciclo di Yvain, realizzati nel XIII secolo, sono annoverati tra le pitture murali profane più antiche dell’area di lingua tedesca. Via Vill, 1, 39037 Rodengo 391 74 89 492 Orari: da maggio a ottobre, dom-ven schloss.rodenegg@gmail.com
Castel Sommo + Eretto come opera difensiva, il castello si erge alto sulla Valle Isarco. Nel XIV secolo fu sede della corte di Gudon, la cui giurisdizione si estendeva fino all’Alta Val Badia. Nel 1880, Ignaz Vinzenz v. Zingerle, germanista e studioso di tradizioni popolari, ereditò il grande maniero. Il castello è ancora abitato, pertanto sono visitabili soltanto i cortili interni. Via Nafner, 39043 Gudon 0472 847 424 Orari: da luglio a settembre, lun (solo previa prenotazione) www.klausen.it
Informazioni su altri castelli: Istituto dei castelli dell’Alto Adige (Südtiroler Burgeninstitut) www.burgeninstitut.com
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Alexandra Erlacher Nata nel 1978, è cresciuta a Bressanone. Si è diplomata sommelière nel 2014, dopo aver frequentato un corso di formazione presso l’Associazione Sommelier dell’Alto Adige. Da circa un anno e mezzo è brand ambassador della Cantina Valle Isarco.
T come tappo Degustare il vino, berlo, parlarne da intenditori: come cavarsela in ogni situazione? Alexandra Erlacher, sommelière della Cantina Valle Isarco, ci dà qualche consiglio.
Il vino mi piace ma non me ne intendo. Da dove posso iniziare per saperne di più? È molto importante non avere paura del vino! E non temere di dire cose sbagliate. Innanzitutto, il vino va assaggiato! Bisogna bere vini buoni e anche vini meno buoni. Soltanto abituandosi a degustare spesso si è in grado di riconoscere le differenze e le finezze. Ci consiglia un libro e un film sul vino? Il libro “Atlante mondiale dei vini” di Hugh Johnson e Jancis Robinson è scritto in modo semplice ed è molto completo. Lo consulto sempre molto volentieri. E rivedrei subito il film “Un’ottima annata”! Per il vino e, ovviamente, per Russell Crowe, un agente di borsa senza scrupoli che eredita uno Château francese, diventa vignaiolo e trova il grande amore.
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La sommelière mi versa un goccio di vino e mi osserva speranzosa. Cosa devo fare? Come posso evitare una figuraccia? Come faccio a capire se sa di tappo? Mantenendo il sangue freddo! Si fa roteare un po’ il vino nel bicchiere, preferibilmente tendendolo appoggiato sul tavolo e facendolo girare delicatamente. Si annusa e si assaggia un piccolo sorso. Se il vino piace, si fa cortesemente cenno di sì al cameriere. Capire se il vino presenta effettivamente un difetto da tappo, non è, in realtà, così facile. In ogni caso, prima di esclamare “sa di tappo!”, ricordatevi di osservare la chiusura della bottiglia e di accertarvi che non sia un tappo a vite o di vetro… I vini senza tappo di sughero sono vini meno buoni? No. L’utilizzo di chiusure alternative per vini di alta qualità, come ad esempio il tappo a vite, oggi è diffuso in tutto il mondo, ad esempio per alcuni Grand Cru della Germania.
Non ho una cantina e non voglio acquistare una costosa cantinetta per il vino. Cosa posso fare per conservare comunque il vino in buono stato? Non è necessario conservarlo in casa. La soluzione migliore è rivolgersi alla propria enoteca di fiducia, da cui rifornirsi regolarmente di qualche buona bottiglia. Tuttavia, se avete qualche vino importante in casa, mantenetelo sempre a temperatura fresca e costante. I vini con il tappo di sughero vanno conservati in posizione orizzontale per evitare che il sughero si secchi.
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1 PER L’APERITIVO Un vero classico della Valle Isarco: il Kerner è fruttato, speziato e ha un’acidità morbida e piacevole. Non c’è da meravigliarsi che sia così amato in patria: lo si beve di preferenza servito molto fresco come aperitivo, naturalmente abbinato a qualche stuzzichino o a speck e formaggio, oppure lo si accompagna agli antipasti e ai primi freddi. Valle Isarco Kerner 2017 – Köfererhof 91 su 100 punti
Da provare Tre vini della Valle Isarco hanno riscosso il plauso e ottenuto un alto punteggio dai critici americani della famosa testata “Robert Parker Wine Advocate”.
2 PER INVITARE GLI AMICI Un vino bianco secco, equilibrato e digeribile, che si accompagna bene anche a piatti leggeri di carne di vitello. Gli intenditori amano la sua longevità: si conserva a lungo ed è sempre pronto per essere stappato con gli ospiti… anche inaspettati. Valle Isarco Sylvaner 2017 – Kuenhof 91 su 100 punti
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3 PER ABBINAMENTI SORPRENDENTI Il Grüner Veltliner è fresco e pepato, si accompagna magnificamente al pesce, ad esempio alla trota dell’Alto Adige oppure ad altri classici della cucina locale, dalla testina di vitello agli Schlutzkrapfen. Ma sa fare anche altro: la sua nota aromatica è sorprendente e si abbina perfettamente alla cucina asiatica, dal riso al curry ai ravioli con salsa agrodolce. Valle Isarco Grüner Veltliner 2018 – Cantina Valle Isarco 90 su 100 punti
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Il cavaliere nero uesta statuina di un cavaliere nero fa parte di un presepe Giner, chiamato così perché proviene dalla bottega di Johann Giner, intagliatore di presepi, noto come fondatore dell’arte tirolese del presepe. A un primo sguardo, la figura non sembra avere nulla di particolare e, a dire la verità, non è neppure intagliata con particolare precisione, come se l’artista avesse avuto fretta oppure non avesse avuto voglia di realizzarla. Tuttavia, il contesto in cui fu creato il cavaliere è affascinante. Johann Giner, nato nel 1756 a Thaur in Tirolo e morto nel 1833, visse nell’epoca dell’Illuminismo e delle guerre napoleoniche, in un clima di scetticismo religioso. A quei tempi, la costosa arte cristiana e le opulente feste natalizie dei regnanti erano passate di moda, si direbbe oggi. A Vienna nel 1782, l’imperatore Giuseppe II aveva addirittura vietato l’esposizione pubblica di presepi troppo decorati. Giner, intagliatore di presepi, si trovava in grosse difficoltà a ottenere incarichi. Ben presto decise di intagliare
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statuine soltanto per sé e lo fece in uno stile completamente diverso da quello ormai decaduto, pomposo e barocco dei suoi predecessori. Invece di realizzare santi o reali creò figure semplici, popolari, rappresentanti dei ceti bassi: i pastorelli con i vestiti di ogni giorno, oppure, come nell’immagine, i cavalieri con le trombe al seguito dei tre Re Magi. I soggetti di Giner sono ricchi di esotismo orientale e sicuramente influenzati dalle guerre che l’Austria condusse nel XVII secolo per difendersi dagli Ottomani. Le statuine non sono statiche come quelle dell’epoca barocca ma sembrano vive, si ha l’impressione che possano provare dei sentimenti. I pastori sono raccolti in gruppo, discutono tra loro, tengono i bambini per mano, lasciano che gli angeli indichino loro la via. I cavalli sollevano cocciutamente gli zoccoli anteriori e i cavalieri, con le guance rigonfie, fanno risuonare le trombe. L’arte di Giner piacque molto: le sue figure e i suoi presepi diventarono presto dei bestseller.
Museo Diocesano di Bressanone + Il Museo Diocesano ha sede nella Hofburg – il Palazzo Vescovile di Bressanone – e raccoglie, accanto a preziosi esempi di arte cristiana del Medioevo e dell’età moderna, anche un’ampia collezione di presepi, esposti in più di 80 vetrine. Tra questi si possono ammirare anche presepi di avorio, di terracotta e un esemplare del XVIII secolo che conta più di 5000 figure. La collezione di Bressanone è considerata la più importante raccolta di presepi al mondo. + Piazza Palazzo Vescovile, 2, 39042 Bressanone, 0472 830 505 www.hofburg.it
Statuina del presepe: cavaliere nero Epoca: realizzata circa 220 anni fa Provenienza: Thaur presso Innsbruck, Tirolo, Austria Materiale: legno dipinto
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Un paese, due campioni
A unirli, la passione per lo slittino agonistico e il loro paese natale: Maranza. A dividerli, quasi cinquant’anni e un oro olimpico: vinto da lei e ambito da lui. Abbiamo incontrato Erika Lechner, leggenda dello slittino, e Dominik Fischnaller, il più forte slittinista della nazionale azzurra.
I n t e r v i s t a — A R I A N E L Ö B E R T F o t o g r a f i e — C A R O L I N E R E N Z L E R
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Intervista
Dominik Fischnaller Dominik Fischnaller, classe 1993, nel 2010 debuttò in Coppa del Mondo, dove il suo miglior piazzamento complessivo fino a oggi è stato il terzo posto nella stagione 2013/2014. Vinse l’oro ai Campionati Mondiali Juniores del 2013 a Park City. Nel 2014 si guadagnò il bronzo nel singolo ai Campionati Europei di Sigulda, nel 2017 il bronzo nello sprint e nel singolo ai Mondiali di Igls. Nel 2018 alle Olimpiadi di Pyeongchang perse la medaglia di bronzo per pochissimo, nel 2019 ha vinto l’oro a squadre ai Campionati Mondiali di Oberhof. Dominik Fischnaller vive a Maranza.
Dominik Fischnaller, è vero che ha scoperto lo slittino sportivo grazie al fratello della signora Lechner? DOMINIK FISCHNALLER: Sì! Qui, a Maranza, abbiamo una piccola pista da slittino su cui ci si può allenare per le partenze. Da bambini eravamo sempre lì a giocare e abbiamo conosciuto Emil Lechner. Un bel giorno, Emil mi portò sul tracciato ghiacciato di Imst in Tirolo, assieme a mia sorella e a un amico. La cosa ci piacque moltissimo e fu così che iniziammo con lo slittino. Non ha avuto paura la prima volta su una pista ghiacciata? FISCHNALLER: Eccome! È impressionante vedere una pista di quel genere per la prima volta. Ma non siamo partiti subito dal punto più alto. Abbiamo fatto soltanto le tre, quattro curve più in basso e quindi tutto si ridimensiona. E mi sono divertito moltissimo. Quindi lo slittino l’ha subito conquistata? FISCHNALLER: In realtà giocavo anche a calcio e facevo gare di sci. Ma lo slittino era la cosa che mi piaceva più di tutte. Ed ero abbastanza bravo sin dall’inizio, quindi ho proseguito. Signora Lechner , cosa l’ha portata allo slittino? ERIKA LECHNER: Era semplicemente il nostro passatempo invernale! A quei tempi, oltre allo slittino e allo sci, non c’era molto altro. Scendevamo lungo il sentiero fino a valle: ancora non c’era nessuna strada che portasse a Maranza. Poi, arrivati a Rio Pusteria, tornavamo su in funivia… oppure a piedi.
Attualmente, diversi slittinisti impegnati in Coppa del Mondo sono proprio di Maranza. È stata forse Lei a dare il via a questa tradizione di paese? LECHNER: Lo è stata piuttosto la pista delle partenze che Dominik ha già citato e che ha visto crescere alcuni giovani talenti. Mio fratello ha svolto sicuramente un ruolo importante, perché ha trasmesso la passione per lo sport dello slittino a molti ragazzi di Maranza. FISCHNALLER: Emil, tra l’altro, produce ancora gli spikes per i nostri guanti. Lo fa da sempre… e lo fa alla perfezione. LECHNER: Mio fratello è fabbro di mestiere e ai miei tempi era uno slittinista anche lui. Ma gli spikes allora non li avevamo, usavamo dei guanti normalissimi. Credevo che l’intera attrezzatura odierna fosse realizzata da aziende internazionali altamente specializzate… FISCHNALLER: No, no, ogni nazione realizza autonomamente molta dell’attrezzatura necessaria. E oggi dove si allena, signor Fischnaller? FISCHNALLER: Sempre qui, a Maranza, sulla pista delle partenze che viene coperta di ghiaccio anche d’estate. Abbiamo anche una palestra per il potenziamento e un campo sportivo. Nei mesi estivi ci alleniamo cinque giorni a settimana, dalle 8 fino alle 16.30 circa. A partire da ottobre, poi, riprendiamo ad allenarci sulle grandi piste internazionali, sulle quali si disputano anche le gare di Coppa del Mondo. →
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Signora Lechner, ci ha fatto vedere il suo slittino delle Olimpiadi del 1968: non sembra molto diverso dalle slitte per il tempo libero che si usano oggi… LECHNER: Sì, infatti, usavamo ancora la cinghia per dare la direzione… e riuscivamo a vedere la pista. FISCHNALLER: Se voglio posso vederla anch’io la pista. Ma se non la guardo sono più veloce! A quei tempi lo slittino era più pericoloso di oggi? FISCHNALLER: Oggi tutto è costruito in modo che sia praticamente impossibile volare fuori dalla pista. Un tempo non era così. LECHNER: Nelle curve veniva spesso applicata soltanto una sorta di telone. Ho visto alcuni atleti morire accanto alla pista e molti feriti gravemente.
Oggi lo slittino è uno sport da professionisti. Ai suoi tempi, signora Lechner, era tutto molto diverso. LECHNER: Sì, mi allenavo al mattino o alla sera, in base alla disponibilità di tempo. E al termine della stagione di gare ci davano in mano un piano di allenamento e su quello dovevamo lavorare, in autonomia. Come e dove, lo decidevi tu. Quando devi cavartela da solo, a volte è difficile riuscire a trovare la forza di volontà. Si può confrontare lo slittino di allora con quello di oggi? Possiamo dire che sia ancora lo stesso sport? LECHNER: Non credo che Dominik riuscirebbe ad arrivare in fondo alla pista con il mio vecchio slittino, e a mia volta io non ci riuscirei con il suo. FISCHNALLER: È probabile! LECHNER: Forse lui con il mio ci riuscirebbe ma io con il suo sicuramente no. Ai miei tempi ci costruivamo gli slittini da soli. Avevamo un falegname e i pattini li realizzava in parte mio fratello. Ci pagavamo tutto da soli. Oggi gli slittini sono adattati perfettamente al corpo degli atleti. Le nostre piste, poi, non erano refrigerate come quelle odierne. La prima pista artificiale, come quelle che conosciamo oggi, fu inaugurata nel 1969 a Königssee, in Germania, e nel frattempo è stata ricostruita già due volte. Alle Olimpiadi di Grenoble del 1968 dipendevamo ancora completamente dal meteo. Alcune volte abbiamo gareggiato a notte fonda per avere condizioni accettabili. Non c’erano spettatori, non c’era nessuno, solo noi e gli allenatori.
Ai suoi tempi i tedeschi erano già fortissimi nello slittino e lo sono ancora oggi. Perché? LECHNER: Rispetto a noi, i tedeschi già allora avevano più finanziamenti. E poi avevano le piste: nella Repubblica Federale c’erano quelle di Königssee e Winterberg, e la Germania dell’Est ne aveva ancora molte di più. FISCHNALLER: La situazione oggi non è cambiata. Adesso hanno quattro piste a disposizione, quelle di Königssee, Winterberg, Oberhof e Altenburg. Si possono allenare quando lo desiderano e testare i materiali in ogni momento. Noi, tutto questo, non lo abbiamo. A Cortina per le Olimpiadi del 2026 verrà costruita una nuova pista. FISCHNALLER: Sì, questo darà sicuramente nuovo slancio allo slittino italiano. Prima però ci sono le Olimpiadi del 2022 a Pechino. Speriamo che abbia un pizzico di fortuna in più rispetto alla Corea del Sud, dove per un soffio, per due millesimi di secondo, ha perso il bronzo… FISCHNALLER: È stato terribile. Ma quell’esperienza mi ha dato ancora più motivazione. La sete di vittoria non si è placata, anzi. Chi sono i suoi idoli, signor Fischnaller? Armin Zöggeler, l’eccezionale ex slittinista altoatesino, oppure sono altri? FISCHNALLER: Zöggeler lo è stato certamente ma anche il tedesco Georg Hackl: entrambi hanno dominato per decenni la disciplina dello slittino. →
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Erika Lechner Erika Lechner, classe 1947, fu campionessa italiana di slittino per la prima volta nel 1964. Seguirono altri sei titoli nazionali. Nel 1968 ottenne l’oro olimpico a Grenoble, vincendo la prima medaglia d’oro in assoluto di un’atleta italiana ai Giochi Olimpici invernali. Nel 1971 a Imst vinse i Campionati Europei e ai Campionati Mondiali di Valdaora arrivò seconda per un soffio. Nel 1972 terminò la sua carriera di atleta e diventò albergatrice. Assieme ai suoi fratelli ha gestito fino a pochi anni fa l’Hotel Erika di Maranza, paese in cui vive.
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“Dominik non riuscirebbe ad arrivare in fondo alla pista con il mio vecchio slittino, e io non ci riuscirei con il suo.” Erika Lechner
10 REGOLE PER LO SLITTINO Per praticarlo in tutta sicurezza: 1. Prestare attenzione ad altri slittini e ai pedoni che camminano in salita 2. Tenere sempre sotto controllo la propria velocità 3. Restare sempre all’interno della corsia e rallentare agli incroci 4. Effettuare sorpassi o soste soltanto in punti ben visibili 5. Non utilizzare mai lo slittino sulle piste da sci 6. Osservare cartelli e segnaletica 7. In caso di incidente: mettere in sicurezza il luogo dell’incidente e assistere le persone ferite 8. Praticare lo slittino soltanto con l’attrezzatura adeguata, compresi guanti e scarponi robusti 9. In discesa indossare sempre il casco 10. Non utilizzare mai lo slittino dopo aver consumato alcolici
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Signora Lechner, aveva anche Lei dei modelli a cui si ispirava? LECHNER: Il mio grande esempio è stata Ortrun Enderlein, una delle ragazze della Germania dell’Est. A quei tempi era considerata la slittinista perfetta. A proposito, si riusciva a entrare in contatto con le atlete della DDR? Si dice che fossero sempre molto isolate e protette da chi le accompagnava. LECHNER: Per noi italiani era possibile, fino a un certo punto. Ma i tedeschi dell’Ovest non si avvicinavano affatto. Si trattava del nemico di classe, non c’era nulla da fare. Una volta, tramite l’Associazione Sport Invernali di Bressanone, invitammo ufficialmente Ortrun Enderlein a Maranza ma non poté venire. Ne fui molto dispiaciuta perché in realtà avevamo un buon rapporto. C’è un’altra storia che la lega a Ortrun Enderlein. Quella in cui nel 1968 a Grenoble Lei vinse l’oro olimpico nonostante in gara fosse arrivata soltanto terza… LECHNER: È stata davvero un’esperienza pazzesca! In allenamento ero stata la più veloce ma in gara dopo tre prove arrivai soltanto terza, dietro alle due atlete della Germania dell’Est Ortrun Enderlein e Anna-Maria Müller e davanti ad Angela Knösel, che si era piazzata al quarto posto, anche lei della DDR. Alla fine, però, le tre atlete della Germania dell’Est furono squalificate perché i pattini dei loro slittini erano stati riscaldati. Avevano lasciato gli slittini nel locale della caldaia fino a poco prima della partenza. In seguito a questa esperienza, a Valdaora testammo anche noi l’efficacia dei pattini riscaldati: in partenza danno fino a mezzo secondo di vantaggio, che non puoi più recuperare lungo la pista. Da allora i pattini sono sempre controllati prima delle gare. Ma in fondo mi è dispiaciuto molto per le ragazze. Non credo che le atlete sapessero tutto ciò che facevano gli allenatori e gli accompagnatori. Per l’oro olimpico ricevette in dono due automobili. LECHNER: Esatto, due Fiat Cinquecento! Una dall’Associazione Sportiva di Bressanone e l’altra dalla Federazione Italiana Sport Invernali. Però a quei tempi a Maranza non arrivava ancora nessuna strada… LECHNER: … e io non avevo nemmeno la patente. Una delle due auto la diedi a mio fratello e con l’altra ci viaggiai io, dopo che a 21 anni potei finalmente fare la patente.
È vero che si deve proprio a Lei e alle sue due automobili la costruzione della strada che da Rio Pusteria porta su a Maranza? LECHNER: In realtà c’era già il progetto per costruire una strada, però soltanto una stradina stretta stretta. Qualcuno mi pregò, allora, di scrivere una lettera al Presidente della Repubblica per chiedere che la strada venisse costruita possibilmente più larga. Beh, alla fine lo feci e, in effetti, il progetto venne modificato e la strada fu costruita più larga. A pochi anni dalla vittoria olimpica decise di abbandonare lo slittino. Perché? Aveva soltanto 24 anni. LECHNER: Avrei proseguito volentieri con lo slittino ma assieme ai miei fratelli avevamo costruito un albergo e dovevo sostenere una serie di esami per poterlo gestire. Semplicemente, occuparmi di tutto questo contemporaneamente allo sport non era possibile. Ogni tanto andate anche voi in slitta solo per puro divertimento? LECHNER: Qualche volta. Abbiamo, tra l’altro, una buona pista naturale qui a Maranza. FISCHNALLER: Non ho il tempo per farlo. Ma una volta sono sceso anch’io lungo la nostra pista naturale. E com’è? L’esperienza dello slittino sportivo aiuta? FISCHNALLER: No, è una cosa completamente diversa. È come paragonare la guida della Formula 1 a quella di un’auto normale. Tutta l’esperienza dello sport agonistico, in questo caso, non serve a nulla. Secondo Lei, signora Lechner, cosa contraddistingue lo slittinista Dominik Fischnaller? LECHNER: Dominik è molto diligente e ha tutte le qualità per essere uno dei migliori a livello mondiale. E Lei cosa pensa della slittinista Erika Lechner? FISCHNALLER: I suoi erano altri tempi: all’epoca si doveva sicuramente avere una forte volontà e tanta ambizione per poter puntare in alto. Senza tutto il sostegno che abbiamo oggi. Insomma, ha tutta la mia ammirazione!
DOVE PROVARE LO SLITTINO + Nell’area vacanze Rio Pusteria e nei dintorni di Bressanone e di Chiusa, lo slittino si pratica soprattutto per divertirsi all’aria aperta nel tempo libero. Nel paese degli slittinisti, a Maranza, oltre alla pista di allenamento dei professionisti c’è anche una pista naturale adatta a tutti: si tratta della Brimi Winter Run che parte dalla stazione a monte della cabinovia Nesselbahn e porta verso valle lungo una discesa di più di 6,75 chilometri, terminando poco prima della stazione a valle. Suggestiva e immersa nella natura, è la slittata presso la baita Kurzkofel nella vicina frazione di Valles. Sempre in paesaggi incantati, ma raggiungibili soltanto a piedi, sono i percorsi di malga Kreuzwiesen a Luson e di malga Ackerboden a San Leonardo nei pressi di Bressanone. La fatica della salita è ripagata dal ristoro tipico e accogliente delle malghe e dall’emozionante discesa. E per chi ama i numeri da record, sopra Bressanone trova la pista da slittino più lunga dell’Alto Adige: dalla stazione a monte della cabinovia Plose si scende in slitta per 9 chilometri lungo la RudiRun. Il tracciato Lahnwiesen, invece, è la pista naturale di Lazfons, perfettamente preparata, tanto da ospitare anche gare di Coppa del Mondo. Gli slittinisti di tutto il mondo la scelgono regolarmente per i propri allenamenti su pista naturale. Il noleggio slittini è disponibile nei comprensori sciistici di Rio Pusteria e Plose, oltre a essere offerto in alcune malghe. Ma attenzione: in slitta, anche quella per il tempo libero, bisogna imparare ad andarci. Prima di scendere in pista, esercitatevi nelle virate e nelle frenate su un leggero pendio.
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Rassegna di prodotti del territorio
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1 L’ESSENZA DEL LEGNO Partendo da una materia prima versatile e pregiata come il legno, Embawo realizza originali borse, valigie e complementi d’arredo. L’ondulato vassoio per le tazze del caffelatte o del tè, pensato per la colazione a letto, ha due facce, una di legno e l’altra rivestita in pelle. Il vassoio in legno affumicato di noce oppure di rovere, completo di tazze di ceramica, è disponibile online a 210 euro. www.embawo.com
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2 FOGLIE LUMINOSE MIYUCA, studio di design multidisciplinare di Bressanone, produce lampade utilizzando le foglie autunnali. Dal materiale ha avuto origine il nome del prodotto, LAAB, che significa “foglie” in dialetto sudtirolese. Le foglie, raccolte in autunno, vengono suddivise per colore ed essiccate. Le diverse varietà di fogliame consentono di ottenere paralumi unici, originali, che donano una calda atmosfera agli ambienti. Realizzati a mano. A partire da 540 euro.
3 OH! UNA OEHLI! Nella sua manifattura, la “Fashion Factory”, Markus Oehler crea accessori unici in pelle. La collezione comprende borse, cinture e altri oggetti moda. Originali, con sofisticati dettagli in metallo, le borse sono realizzate a mano interamente a Bressanone e ognuna è un pezzo unico. In vendita nelle boutique Oehler a Bressanone oppure online a partire da 69 euro. Il modello clutch “MVII”, nella foto, costa 189 euro. www.oehler-fashion.it
www.miyuca.it
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6 IL PIACERE DI CAMMINARE Quaranta proposte di itinerari a piedi, dalla facile gita nel fondovalle al percorso più impegnativo in ambiente alpino: ecco cosa offre la prima guida escursionistica del territorio, pubblicata dalla Cooperativa Bressanone Turismo e dall’Associazione turistica di Chiusa, Barbiano, Velturno e Villandro. La guida è reperibile gratuitamente presso tutti gli uffici turistici della zona.
7 FRUTTA CREATIVA Quando la natura è sottovetro. La famiglia Kainzwaldner coltiva frutta nel proprio maso, lo Tschotthof di Villandro, e la trasforma in bontà spalmabili: classiche marmellate di frutti di bosco, albicocche e prugne ma anche creazioni originali, come l’abbinamento di ciliegia e fiori di sambuco, in vendita a 4 euro a vasetto direttamente nel negozietto del maso.
www.brixen.org www.klausen.it
www.tschott.com
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4 BIRRA DEL POSTO Il birrificio Hubenbauer, dell’omonima osteria contadina a Varna, produce birra artigianale dal 2010. Oltre alla classica bionda, creata secondo le prescrizioni di purezza tedesche, l’assortimento conta anche le craft beer, tra cui la Hubenbauer Alpengold Pale Ale, che si abbina perfettamente agli antipasti e a pietanze leggere. A quest’ultima, prodotta con orzo dell’Alto Adige, luppolo proprio e l’acqua del rio Scaleres “dietro casa”, è stato conferito il marchio di Qualità Alto Adige. In vendita da Hubenbauer a Varna presso Bressanone, a 2,50 euro a bottiglia.
5 LA REGINA DELLE BRIOCHE La gente del posto lo chiama “brioche” in italiano o “Gipfele” nel dialetto sudtirolese, ma è sempre lui, il dolce, profumato cornetto. E i più gettonati li troviamo nella pasticceria Pupp, a Bressanone. Al civico 37 di via Mercato Vecchio, la famiglia Pupp sforna cornetti dal lontano 1918 e la colazione con il loro famosissimo cornetto al cioccolato è da tempo ormai un’esperienza “cult” per intenditori, autoctoni o villeggianti. Al Caffè Pupp il cornetto è servito a 2,50 euro.
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www.pupp.it
www.hubenbauer.com
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Una giornata con… un battipista Sulle piste, lui, ci sta giorno e notte. Il comprensorio sciistico di Rio Pusteria è il regno di Konrad Unterkircher. Lo abbiamo accompagnato T e s t o — M A R I A N N A K A S T L U N G E R F o t o g r a f i e — M I C H A E L P E Z Z E I
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“Mi diverto da matti a guidare questi mostri. Ma prima di padroneggiarli alla perfezione, ci vuole un sacco di tempo.�
Il comprensorio sciistico di Rio Pusteria si estende dai 1300 ai 2500 metri sul livello del mare e assicura divertenti e piacevoli sciate su 55 chilometri di piste.
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Il modello che Konrad Unterkircher guida attualmente è lungo quasi dieci metri, pesa 14 tonnellate e costa mezzo milione di euro. Ha 530 cavalli, due motori e una larghezza di lavoro di sei metri.
ore 3.00 Se a determinare il proprio lavoro, ogni giorno, sono il vento, le bufere, il sole, la neve e la pioggia, la flessibilità diventa indispensabile. E Konrad Unterkircher è una persona molto flessibile. Non è che abbia molta scelta: in questo mestiere, deve esserlo. Nelle notti come questa, in cui una coltre di neve scende a coprire i Monti di Fundres, il 62enne capo piste si alza quando la montagna è ancora avvolta nell’oscurità, e si presenta sul versante sud assieme ai suoi due colleghi. Hanno cinque ore e mezza di tempo per battere la neve fresca con i loro gatti delle nevi. Cinque ore e mezza di precisione, di massima concentrazione. Soltanto quando per gli sciatori arriva il momento di dare il via a una nuova giornata in pista, Unterkircher potrà concedersi una pausa. Una pausa soltanto: la giornata di lavoro non è finita, anzi è ancora lunga. In realtà è appena cominciata. “L’orario fisso? Non esiste”, Konrad ride.
ore 11.30 Unterkircher è capo piste, gattista e controllore di pista, tutto in uno. Da decenni ormai fa parte, in un certo senso, dell’inventario del comprensorio. Il suo luogo di lavoro, l’area sciistica di Rio Pusteria, si estende dai 1300 ai 2500 metri sul livello del mare e assicura piacevoli sciate su 55 chilometri di piste. Cresciuto al maso dei suoi genitori contadini a Vallarga, gli escavatori e i veicoli cingolati lo affascinavano sin da piccolo. Sulle piste, ormai, la notte la nevicata sono passate. Se ne sono andate le nuvole: il sole splende, e Konrad fa altrettanto. Ha parcheggiato il gatto e si è messo gli sci ai piedi. A vederlo scodinzolare giù per il pendio, non si direbbe che stia lavorando. E invece si tratta proprio del suo lavoro: “Eh sì, mi tocca fare anche il controllo piste”. Deve verificare che tutte le discese siano innevate alla perfezione. E vuole farlo personalmente. Davanti al rifugio Gitschhütte, Unterkircher si ferma e si toglie gli sci. Suo figlio Meinrad, che gestisce il rifugio da quindici
anni, sta organizzando per questa sera un party après ski sulla terrazza. Il padre, non solo esperto di piste ma anche cuoco provetto, dà sempre un aiuto dove serve. Tutti lo conoscono, e lui saluta tutti con cordialità. Dagli altoparlanti si sente una famosissima canzone tedesca: “Sopra le nuvole la libertà non ha confini”. Il figlio fa la spola tra il bancone e la cucina, mentre il padre serve gli ospiti, portando in tavola canederli al formaggio, omelette e fumanti piatti di gulasch.
ore 14.11 Unterkircher controlla il gatto delle nevi che al mattino presto aveva parcheggiato dietro al rifugio. Il bestione ha molti nomi: battipista, cingolato da neve, fresa. “In dialetto sudtirolese lo chiamiamo Schneakåtz, che appunto vuol dire gatto delle nevi”, spiega Unterkircher. Per condurlo servono la patente C e un’ulteriore formazione specifica per la guida dei cingolati. Unterkircher è alla guida di questi mezzi già dagli inizi degli anni settanta, nei mesi invernali lo fa quasi ogni giorno. Nel corso dei decenni ha utilizzato dodici modelli diversi, e li ha adorati tutti: “Mi diverto da matti a guidare questi mostri. Ma prima di padroneggiarli alla perfezione, ci vuole un sacco di tempo”. Il modello sul quale Unterkircher lavora attualmente è lungo quasi dieci metri, pesa la bellezza di 14 tonnellate e costa mezzo milione di euro. 530 cavalli, due motori e una larghezza di lavoro di sei metri. La manutenzione è giornaliera: il livello dell’acqua è a posto? Il carburante è sufficiente? Unterkircher verifica anche il sistema idraulico e il livello dell’olio motore. Ed ecco che il gatto delle nevi è di nuovo pronto per entrare in servizio. →
Lo sapevate che… …la parola “sci” deriva dalla parola “skíð” dell’antica lingua nordica e significa “pezzo di legno”? …in Cina gli archeologi hanno scoperto dipinti di 5000 anni fa che raffigurano i nostri antenati con gli sci? …al mondo si contano 2000 comprensori sciistici e un totale di circa 27000 impianti di risalita? Un terzo si trova sulle Alpi. …il record di velocità con gli sci è di 255 chilometri all’ora? La velocità media con gli sci è di 50 chilometri orari.
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“Dobbiamo conoscere il terreno alla perfezione”, spiega Unterkircher, “per potercela cavare anche in caso di nebbia o di cattivo tempo”.
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La seggiovia Gitschberg si è fermata. Gli ultimi sciatori scendono a serpentina verso valle. Lentamente la montagna torna a essere un posto solitario. Unterkircher chiama i suoi due colleghi con la ricetrasmittente: tutti e tre i gattisti sono pronti a ripartire. Battono insieme le piste attorno alla vetta. Il loro saliscendi, stagliato davanti a un meraviglioso tramonto alpino, sembra una danza sincronizzata. Il rumore dei mezzi è incredibilmente delicato: sembra quasi che gli enormi gatti facciano le fusa. Prima dell’ultima discesa su questa parte della pista, Konrad scende dal mezzo e fa un salto alla piattaforma panoramica. La vista, da qui, si apre in tutte le direzioni, sono più di 500 le cime visibili: dai Monti di Fundres alla Plose, fino alle pallide vette delle Dolomiti. “Bello, no?”, dice e si sofferma. Ma soltanto per un attimo: il lavoro lo attende. Lo spazio di manovra è ridotto. Unterkircher guida il macchinario con concentrazione, costeggiando ripidi precipizi. “Oggi la visibilità è buona, è facile muoversi”, dice. La sua cabina di guida è comoda, un computer di bordo facilita la conduzione e fornisce i dati relativi all’altezza del manto nevoso mentre lo si batte. “In ogni caso dobbiamo conoscere il terreno alla perfezione”, spiega Unterkircher, “per potercela cavare anche in caso di nebbia o di cattivo tempo”.
ore 17.15 “Alfred, qui non c’è più nessuno, soltanto lo staff dei rifugi”, comunica Konrad al collega con la ricetrasmittente. Ora che tutti e 15 gli impianti del comprensorio hanno terminato il loro servizio, i tre addetti alle piste sono rimasti completamente soli. Sempre per radio si mettono d’accordo e si suddividono le altre piste da battere. Se uno di loro dovesse avvistare ancora qualche sciatore in pista, avvertirebbe subito gli altri. Oggi Unterkircher prende in carico le piste Segerwiese e Nesselwiese: pendenze da brivido, fino al 37 per cento. Sui pendii talmente ripidi si utilizza il verricello, per sicurezza. Di solito è facilmente gestibile con il telecomando ma oggi sembra faccia le bizze. “Per me son le batterie”, sospetta il capo
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L’Alto Adige conta circa 30 comprensori sciistici con 1211 chilometri complessivi di piste, preparate quotidianamente per l’attività sciistica.
“Adoro questo panorama, in ogni stagione e con tutti i colori della luce di montagna. Ci sono sempre nuove sfumature da scoprire.”
piste, saltando giù dalla cabina di guida per controllare il verricello. È proprio così: le batterie hanno smesso di funzionare. Konrad allontana manualmente il verricello dal veicolo, tira per qualche metro la fune di metallo con il pesante gancio e lo aggancia a un apposito palo di cemento, che serve da ancoraggio durante le operazioni in forte pendenza.
ore 17.52 La fune di metallo, lunga quasi 1200 metri, supporta il gatto delle nevi soprattutto nella risalita dei pendii più ripidi. “Quando la fune è tesa, però, non deve esserci assolutamente nessuno nelle vicinanze perché è pericolosissima”, dice Konrad. Indica verso l’alto proprio nel momento in cui il verricello riavvolge la fune. Tesa dalla crescente trazione sul pendio, la fune schiocca sulla pista con un’improvvisa, violentissima frustata. È per questo che i gattisti iniziano a lavorare soltanto dopo la chiusura delle piste, mentre i gestori dei rifugi si organizzano in base agli orari degli impianti. Per gli appassionati di sci alpinismo si riservano, a cadenza settimanale, delle aree apposite per le escursioni notturne in piena sicurezza. Inoltre gli addetti si esercitano regolarmente alla corretta gestione del verricello. Lo fanno anche i conducenti esperti come Unterkircher, che svolge il mestiere già dal 1972, soli due anni dopo l’apertura del comprensorio sciistico. “Allora ero l’unico battipista. Ho dovuto imparare tutto da solo”, spiega. In seguito, ha curato lui stesso la formazione dei suoi futuri colleghi. Cosa apprezza di più del suo mestiere? “Il risultato immediato: lasciare dietro di me una pista perfetta”, dice senza tanti giri di parole. Sia sincero: c’è anche qualcosa che non le piace? Konrad alza soltanto le spalle. E sorride soddisfatto.
ore 21.00 ore 20.45 Pian piano tutte le piste, ondulate e piene di mucchi di neve, si trasformano in superfici lisce e uniformi. “Oggi la neve è morbida e facile da battere”, spiega Unterkircher: è sufficiente che il gatto delle nevi passi una volta sola. L’attuale manto nevoso naturale facilita il lavoro, mentre la neve artificiale può essere più ostinata. “Per prepararla dobbiamo fare tre passaggi di fresa a notte.” Lavoro di precisione. Unterkircher fa molta attenzione alle zone di unione e di passaggio, in modo che i bordi delle diverse superfici fresate siano lisci e amalgamati tra loro. “Così facendo, evito che si formino grumi che poi si induriscono durante la notte”, spiega. Nononstante non abbia mai fatto una sosta, Konrad non sembra affatto stanco. Forse perché il suo posto di lavoro è così scenografico. “Adoro questo panorama, in ogni stagione e con tutti i colori che la luce di montagna sa regalare. Ci sono sempre nuove sfumature da scoprire”.
Questa sera, grazie alle temperature favorevoli che gli hanno consentito di plasmare al meglio la neve ammorbidita, Konrad Unterkircher riesce a staccare prima del solito. È ora di ritrovarsi con i colleghi per cenare in compagnia. Ma tra un boccone e l’altro, i tre gattisti sbirciano continuamente gli aggiornamenti delle previsioni meteo. Il cielo si è annuvolato di nuovo. Stanotte nevicherà ancora: dovranno essere di nuovo in pista prima dell’alba. E tutto riprenderà da capo.
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L’Alto Adige per principianti
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La mia vita tra i fanatici della montagna
Quando facevo ancora la traPassò qualche tempo e un escursionista inglese scrisduttrice, uno dei miei incarise per raccontare “i momenti di grande paura” vissuti chi era quello di rispondere quando la moglie, scivolata giù lungo il pendio innevato, alle recensioni in lingua ingleatterrò, non proprio dolcemente, su un mucchio di neve. se di un rifugio alpino su un Da quel momento in poi, il rifugio iniziò ad accompaportale online. Mio marito Lognare gli ospiti con la motoslitta. renzo rispondeva a quelle italiane. Il rifugio sorgeva a quaIn tutto ciò, sia ben chiaro, queste persone non erano si 3000 metri sul livello del certo le più scoordinate. E non erano neppure in cattive mare e la pista da sci passava condizioni fisiche. proprio davanti. Ma anche chi Semplicemente non erano veri altoatesini. non sciava aveva la possibilità Mi accorsi, effettivamente, che l’affastellarsi di recensiodi raggiungerlo a piedi dalla funivia. ni e commenti di questo tipo mi aveva rivelato la schietI proprietari avevano descritto il tragitto a piedi che ta verità: l’altoatesino medio gode di una condizione conduceva al rifugio nel modo seguente: “Il nostro rifisica incredibilmente buona rispetto a tutti noi, comuni fugio è facilmente raggiungibile con una breve e piacemortali” Da ciò ne consegue che non possa essere del vole passeggiata che parte dalla stazione a monte della tutto attendibile nel momento in cui fornisce a un non funivia. Il sentiero è ben segnalato e non è molto ripido. sudtirolese una sua valutazione del grado di difficoltà di Tempo di percorrenza a piedi: 20 minuti”. un’escursione, di un percorso in bicicletta o di una pista Un bel giorno tra i commenti inviati al portale, lessi la da sci. recensione di un turista milanese. I miei amici americani, quando venDescriveva il sentiero come una gono a trovarmi, anche loro ispirati “L’altoatesino medio “salita vertiginosa e pericolosissima” ovviamente dagli autoctoni, si cone metteva a confronto il suo propogode di una condizione vincono a voler intraprendere un’esito di raggiungere il rifugio con le scursione, sì, una di quelle: per nulla fisica incredibilmente fatiche di Sisifo che, nella mitologia faticosa, per niente ripida, la fai in greca, era costretto a spingere un buona rispetto a tutti noi, mattinata prima di pranzo, sarai così comuni mortali.” masso di roccia verso la cima delfelice di averla fatta, vedrai. la montagna per poi farlo rotolare Però, dopo essere stata additata nuovamente a valle. Su e giù, per come la responsabile di alcune espel’eternità. rienze… naufragate, ho imparato Tra i commenti anche il verdetto, questa volta meno a elargire ai miei impavidi ospiti diretti in montagna poetico, di una newyorkese: “Non è breve. Non è pianon solo panini imbottiti di speck ma anche cupi avvercevole. Certamente non è una passeggiata. Assolutatimenti: “Dopo le prime cinque o sei ore sentirai i polmente troppo ripida. Tempo d’arrampicata: 60 minuti. moni bruciare. Poi ti verrà una nausea tremenda. A un Sempre che tu sia un atleta olimpico”. certo punto, fai attenzione, ti assalirà il terrore che le tue Di conseguenza modificammo il testo indirizzato agli cellule cerebrali possano morire per la mancanza d’osospiti di fuori provincia: “Il rifugio, per chi non scia, è sigeno. A molte infatti accadrà proprio questo ma, non raggiungibile a piedi. Informiamo i gentili ospiti che il temere, l’essere umano ne ha molte di più di quelle che lungo itinerario ha una pendenza elevata e presenta le gli servano veramente. Ma è fantastico lassù, vedrai. Didifficoltà di un’escursione d’alta montagna”. vertiti, ci vediamo stasera!”.
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Piccolo dizionario sudtirolese Pillole di dialetto quotidiano Bisogna ammettere, senza invidia ovviamente, che gli altoatesini hanno un vantaggio genetico, del tutto scorretto: i loro antenati pascolavano le greggi di bestiame per sei, sette ore al giorno su e giù dalle montagne, ancora prima di sedersi a pranzo in qualche confortevole malga. Mentre i miei avi… vabbè… anche per portare un boccale di birra Guinness ripetutamente dal tavolo alla bocca ci sarà voluta una certa prestanza fisica. E quindi ormai do il benvenuto a ogni visitatore dell’Alto Adige con questo pratico consiglio: fatele pure, tutte quelle gite in montagna. Ne vale davvero la pena. Ve lo garantisco. Ma prima di partire per un’escursione, ricordatevi di chiedere sempre, sempre, sempre alla gente del posto quanto ci vuole fino in cima e quanto tempo, secondo loro, ci impiegherete voi, da alpinisti alle prime armi. Poi, per sicurezza, triplicate il tempo stimato. E organizzate il resto della giornata di conseguenza. Oppure, ancora meglio: dopo aver scelto il percorso della vostra prossima escursione, presentatevi nel locale ufficio turistico. E chiedete ai collaboratori di tradurvi la descrizione dell’itinerario dall’altoatesino standard al linguaggio dei comuni mortali. Loro sono… bilingui.
pippln [ˈpɪpln̩ ] Si dice in Alto Adige quando si beve con molto entusiasmo ma anche quando si beve (o si… sbevazza) un po’ troppo.
Schellrodl [ˌʃɛlˈʁɔ͜ ʊdl̩ ] Chi “sta sempre sulla Schellrodl” – termine dialettale che si potrebbe tradurre con “slitta con le campanelle” – non sfreccia instancabile con lo slittino: piuttosto si usa per indicare chi non sta mai a casa ed è sempre e volentieri in giro “a zonzo”, soprattutto per “fare bisboccia”.
Hosch Fiffa? [hɑʃ ˈfɪfa] Cassandra Han Nata e cresciuta negli USA, nel 2008 si è trasferita in Alto Adige, terra d’origine della famiglia del marito Lorenzo. In questa rubrica racconta come abbia imparato a conoscere le stranezze dell’Alto Adige e di come, a poco a poco, sia diventata lei stessa una vera altoatesina.
In Alto Adige, quando uno sciatore inesperto scruta impaurito la ripida discesa della pista nera e la paura fa novanta, gli si chiede in dialetto altoatesino “Hosch Fiffa?”, prendendo in prestito dall’italiano l’espressione “hai fifa?”, voce scherzosa di origine settentrionale.
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Toccare il cielo con un dito Torniamo indietro nel tempo fino ai primordi dello sci, quando prima di sciare si conquistava il pendio a spina di pesce. Quando il vento freddo fischiava nelle orecchie mentre il cestello svolazzava traballante in quota. E quando sulle terrazze mondane la moda incontrava lo sci
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La seggiovia Pfannspitz (Monte Fana), prima seggiovia della Plose, con le Odle sullo sfondo in una cartolina del 1965
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Su e giù Non c’erano gli skilift, l’abbigliamento tecnico, le piste battute dal gatto delle nevi: sciare, all’epoca, nei dintorni di Bressanone era un’avventura e per viverla era sufficiente un dosso innevato. Si conquistava faticosamente la cima a spina di pesce e si scivolava giù con la neve fino ai polpacci. Per appiattire la neve, la si batteva passo dopo passo con gli sci ai piedi. Ben presto si era capito che la tecnica telemark importata dalla Norvegia non era adatta alle forti pendenze alpine. Si svilupparono così nuove tecniche, cambiarono gli attacchi e le linee degli sci. Era nato lo sci alpino.
Allenamento a secco Marzo 1946, Maranza. Sci in spalla e scarponi di cuoio, un gruppo di sciatori si avvia verso le distese di neve del Monte Gitschberg. Pratica ancora molto spartana, lo sci a quei tempi non era sinonimo di impianti di risalita: esisteva un’unica funivia che, dal 1957, da Rio Pusteria conduceva a Maranza. Se già a partire dagli anni venti alcuni intraprendenti contadini altoatesini avevano adibito le loro malghe a rifugi e le prime e semplici seggiovie erano entrate in servizio negli anni trenta, si dovette attendere il dopoguerra per assistere allo sviluppo del turismo invernale. In tutta la provincia sorsero impianti, rifugi, alberghi di montagna: con i turisti arrivò la comodità che avrebbe risparmiato le faticose salite a piedi dei pionieri dello sci.
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Sospesi nel cestello Sulla Plose tutto iniziò nel 1950 con una modesta sciovia. Ma sul finire degli anni cinquanta partì lo sviluppo dell’industria sciistica: una funivia collegava Bressanone al paese di Sant’Andrea e da qui una seconda funivia portava sulla montagna. L’8 dicembre 1964 fu inaugurata la cestovia o “bidonvia” che rimase in servizio fino al 1985: partiva proprio accanto alla stazione a monte di Valcroce e arrivava fino alla vetta della Plose. Il cestello poteva trasportare due persone, si stava in piedi, c’erano lunghe code di attesa per salire. Spesso, durante il tragitto un vento gelido fischiava nelle orecchie e nelle giornate particolarmente fredde, prima di salire nel cestello, gli sciatori ricevevano una coperta di lana in cui potersi avvolgere. Giunti in cima, la riconsegnavano.
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Sole, neve e allegria “Sulla Plose, che allegria! Neve, sole, pronti… via!”, diceva più o meno così lo slogan in tedesco di una vecchia campagna pubblicitaria del comprensorio sciistico. Erano gli anni settanta: un decennio particolarmente importante per il turismo invernale in Valle Isarco. Questo manifesto pubblicitario della Plose, con il famoso Sass de Putia sullo sfondo, è del 1971. Nel 1970 furono costruiti i primi quattro impianti di risalita sul Gitschberg sopra Rio Pusteria, e nel 1976 fu inaugurato il comprensorio sciistico di Jochtal.
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Le vecchie lire Secondo un listino prezzi in lingua tedesca di cinquant’anni fa, nella stagione invernale 1968/69 lo skipass giornaliero della Plose, di domenica, costava 2200 lire, che corrispondono oggi a circa 20 euro. Con 7500 lire, all’incirca 70 euro odierni, si poteva sciare per una settimana intera, in alta stagione. L’offerta per gli sciatori comprendeva soltanto quattro piste e quattro impianti di risalita, oltre alla cabinovia da Bressanone. Il collegamento con il Pfannspitz (Monte Fana), che oggi fa parte del comprensorio sciistico, all’epoca ancora non esisteva.
La mondanità arriva a Valcroce Gli Erler, famiglia di imprenditori di Bressanone, costruirono un albergo montano a Valcroce, proprio ai piedi della collina su cui qualche anno dopo sarebbe sorta la stazione a monte della funivia. Le terrazze in legno dell’albergo diventarono ben presto un punto d’incontro molto amato dagli appassionati di sci. Nel 1953 l’albergo si dotò persino di un proprio skilift sul pendio accanto all’hotel, chiamato appunto “Erlerlift”. Al suo posto sorge oggi la partenza della moderna seggiovia a quattro posti “Schönboden”. L’hotel, invece, fu purtroppo devastato da un incendio nel 1990.
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I segreti di chi vive qui
Il mio posto preferito… d’inverno
1 La stufa con la panca
“Per me l’inverno è una stagione emozionante e frenetica. Sono il Cavaliere, un concierge delle piste: il mio mestiere è occuparmi degli ospiti, grandi o piccini, del comprensorio sciistico di Rio Pusteria. Sono una sorta di ufficio turistico in movimento per tutta la giornata, mi diverto, scherzo con gli sciatori e li accompagno alla scoperta del mio territorio. Adoro il mio lavoro e il contatto con le persone, stare all’aperto, il sole, l’aria fresca ma nelle mie giornate libere ho bisogno di tranquillità, di un luogo silenzioso in cui rifugiarmi per un po’. Riesco a trovare tutto questo tra le calde mura di un maso, il rifugio Zingerle sull’Alpe di Fane. Cammino da Valles fino all’alpe e dopo aver pranzato e sorseggiato un grappino mi distendo sulla panca della stufa, dove faccio un sonnellino (qui in dialetto lo chiamano un Naunggerle). E al risveglio sono pronto per nuove avventure.” Tiziano Stimpfl, 33 anni, “Il Cavaliere” sulle nevi di Rio Pusteria
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2 Al laghetto con i pattini “Negli inverni freddi, l’acqua del piccolo lago del biotopo Laugen a Naz-Sciaves si ghiaccia e diventa una pista perfetta per i miei due piccoli pattinatori. Aspettano sempre con ansia questo momento! Il biotopo è un’area naturale protetta, per cui non ci sono ristoranti, bar, noleggio pattini o spogliatoi. Soltanto i cristalli di ghiaccio che scricchiolano tra le canne, un’infinità di sassi e bastoni per giocare a hockey e un piccolo ponte di legno da cui posso tenere d’occhio i miei bambini. Quando poi mi vengono incontro con il naso rosso dal freddo, prendo subito dallo zaino i biscotti e il thermos con il tè caldo alla frutta.” Evi Überbacher, 36 anni, albergatrice
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3 Il luogo in cui rinasco “Da 25 anni ormai lascio le mie orme solitarie nel paesaggio alpino innevato e silenzioso dell’Alpe di Luson. Il mio percorso mi porta oltre la piccola cappella di San Giacomo – che in paese chiamiamo Joggilestöckl – e attraverso una cresta
per niente pericolosa, fino ad arrivare al punto panoramico di Campill. Da lì si gode di un panorama mozzafiato delle Dolomiti e della cresta alpina principale. Per me, muovermi con le ciaspole nella solitudine dell’alpe vuol dire prendermi cura di me stesso. È un’esperienza incomparabile, di energia positiva, in un luogo in cui mi sento rinascere.” Franz Hinteregger, 59 anni, albergatore
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4 Caldo e rilassante “Il posto che amo di più quando fuori tutto è ormai imbiancato, fa molto freddo e i fiocchi di neve scendono lenti, è l’Acquarena di Bressanone e in particolare la vasca salina. Dopo qualche bracciata tonificante nella piscina grande, mi immergo nella vasca salina e nuoto dall’interno alla parte esterna per poi distendermi sulle sedute dell’idromassaggio. Il sole tramonta dietro alle cime mentre fluttuo leggera nell’acqua calda del benefico massaggio. Il vapore si diffonde illuminato dalle luci della piscina. Non c’è niente di più rilassante!”
caldo e il profumo dell’abete di Natale. Qui a Rodengo, da qualche anno, si organizza il Ronegga Platzladvent, un piccolo e curato mercatino natalizio nella piazza dell’abitato di Villa. Ghirlande di luci decorano gli alberi, le musiche d’avvento risuonano mentre si sorseggia un vin brulè o un tè caldo e si assaggia un dolce fatto in casa, i tipici biscotti tirolesi, zelten e stollen speziati. Il mercatino offre tante idee regalo, le corone d’avvento, tutti oggetti realizzati a mano e il cui ricavato è in parte destinato alla beneficenza.” Marion Pitscheider, 23 anni, infermiera
Vera Profanter, 30 anni, collaboratrice di Bressanone Turismo Cooperativa
6 Raggi di sole
5 Biscotti e brulè “A me piace il Natale di una volta. Con quell’atmosfera tutta magica. Quando si sta in famiglia, tra amici: le candele accese, i guanti di lana, il tè
“Nelle fredde giornate di sole, quando gli altri sfrecciano sulle piste da sci, preferisco fare una tranquilla passeggiata fino alla chiesetta a Snodres. Partendo da Velturno, mi incammino e salgo per una ventina di minuti lungo il sentiero Sonntagsweg fino ad arrivare alla chiesetta tardogotica. Poi mi siedo sulla panchina al sole e mi riposo, proprio come fa la natura che nella stagione invernale si assopisce e si
prepara all’arrivo della primavera. Mi piace fermarmi qui e guardarmi attorno: mi sento protetta dalla chiesetta di San Giorgio e al tempo stesso non mi stanco mai di ammirare il panorama che si apre davanti a me.” Anita Gasser, 42 anni, contadina
7 Il silenzio e la neve “L’Alpe di Villandro è lontana dalle piste da sci, dalle funivie. Mi piace camminare in questo paesaggio incontaminato, soprattutto d’inverno, quando gli alpeggi sono imbiancati e silenziosi, mi rilasso molto a lasciare le mie impronte nella neve. Questo è il posto in cui riesco a rilassarmi totalmente, a ritrovare la serenità immerso nel panorama invernale. E poi mi scaldo volentieri in uno dei tanti accoglienti rifugi dell’alpe, con le loro calde stube, il tè al rum, e un buon classico immancabile Kaiserschmarrn!”
8 Benvenuta primavera! “Trascorsi i mesi invernali, che passo prevalentemente in ambienti riscaldati, sento proprio l’esigenza di stare all’aria aperta, di respirare aria pura, fresca. Il mio posto preferito per tornare a riempire i polmoni in primavera è un vecchio bunker a Spinga, nei pressi di Rio Pusteria, un relitto bellico che è stato riadattato a pacifica area ricreativa e parco giochi. Sul tetto del bunker c’è una torre panoramica di legno, è il posto ideale per i miei esercizi di respirazione: i profumi balsamici del bosco, della terra bagnata, di tutta la natura che si risveglia sono il mio elisir di primavera.” Gabi Stolz, 44 anni, impiegata e wellness trainer
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Rupert Steiner, 42 anni, agricoltore, si occupa della manutenzione dei sentieri
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Lo scatto perfetto… anche d’inverno Che siate a caccia di bellezza con una macchina da professionisti o soltanto con lo smartphone, non perdetevi i consigli dei foto blogger altoatesini Judith Niederwanger e Alexander Pichler
CONSIGLIO #1
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CONSIGLIO #2
CONSIGLIO #3 FATE CASO AI DETTAGLI LUNGO IL SENTIERO Non puntate lo sguardo – e l’obiettivo della vostra macchina fotografica – soltanto
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LA FOTO PIÙ BELLA DEI LETTORI “Quest’immagine è meravigliosa, ha una magnifica luce e dà l’idea di tanta tranquillità, tanto che si vorrebbe essere proprio lì a vivere questo momento!” Judith e Alex
CAMBIATE PROSPETTIVA! Ci vuole una certa prestanza fisica e una buona agilità acrobatica… ma a tutto vantaggio della creatività. Provate qualche scatto dalla prospettiva aerea o dal basso, anziché fotografare sempre all’altezza dello sguardo: otterrete angolazioni completamente nuove. A volte è proprio questo il segreto della fotografia perfetta. E in questo modo il vostro scatto – anche se ritrae un soggetto spesso fotografato – riuscirà a emergere dalla massa di foto simili tra di loro presenti su Instagram.
TROVATE UNA CORNICE NATURALE Gli elementi in primo piano, utilizzati come cornice per il soggetto principale, danno più profondità e ampiezza all’immagine. Possono essere dei rami innevati che si stagliano nell’immagine ma anche l’apertura in una coltre di nuvole, lunghe ombre serali oppure un elemento architettonico come l’arco di un portone. La cornice può essere a fuoco o meno, tonda o squadrata: non ci sono limiti alla vostra creatività.
Autunno a Verdines presso Chiusa, foto Instagram di Annelies Leitner (@wiesnliesl)
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Judith Niederwanger e Alexander Pichler gestiscono un blog fotografico di successo in lingua tedesca: “Roter Rucksack”, lo zaino rosso. Sull’omonima pagina Facebook hanno 13000 fan, su Instagram quasi 9000 follower. Nel 2019 hanno pubblicato un libro con una selezione delle più belle escursioni e location fotografiche dell’Alto Adige. Inoltre, con i loro scatti migliori realizzano ogni anno splendidi calendari. www.roterrucksack.com
Inviateci i vostri scatti più belli! in lontananza su panorami meravigliosi: una carrellata di fotografie di questo genere, ancor più se scattate durante un’escursione invernale, può apparire monotona. Osservando con attenzione, si scoprono
tante cose belle subito al margine del sentiero. La fotografia a distanza ravvicinata svela anche i minimi dettagli e crea composizioni affascinanti, quasi astratte.
Postate le vostre foto di Bressanone, Rio Pusteria, Chiusa e dintorni su Facebook o Instagram con l’hashtag #cormagazine (oppure inviatele a info@cormagazine.com)! Anche nel prossimo numero pubblicheremo uno scatto, selezionato tra le più belle immagini inviateci dai nostri lettori.
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