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T 3 Excursus sulle origini di Roma (frr. 6; 24 Traglia) LAT IT

Il carme 68 prototipo dell’elegia latina Il carme 68 è considerato il prototipo dell’elegia latina. In età augustea i poeti elegiaci – in particolare Properzio – ne riprenderanno infatti, sviluppandoli e fissandoli in un genere autonomo, motivi e caratteristiche fondamentali: la notevole estensione del componimento (160 versi, ben oltre i limiti consueti dell’epigramma in distici); l’andamento lirico-narrativo almeno apparentemente libero e come ondeggiante tra diverse sollecitazioni mediante associazioni improvvise, che cela in realtà un calcolatissimo gioco d’incastri e di simmetrie compositive; l’ampio spazio concesso alla rievocazione delle vicende personali, in particolare amorose, del poeta, proiettate nella dimensione nostalgica o dolente del ricordo; il motivo del servitium amoroso; soprattutto il continuo trapasso dal piano dell’autobiografia a quello del mito.

I carmina docta

Il gruppo degli otto carmi lunghi (61-68), situato per tradizione al centro del Liber, si apre con due canti epitalamici (cioè canti intonati durante le cerimonie nuziali). Il primo tra i carmina docta (61), in metri lirici, composto per le nozze del nobile Lucio Manlio Torquato con Vinia Aurunculeia, ha inizio con un inno ad Imeneo, la divinità delle nozze; segue la rappresentazione della deductio, il corteo festoso che all’ora vespertina accompagna la sposa alla casa del marito. Il secondo (62), in versi esametri, è strutturato in forma di contrasto fra due cori, uno di giovani, l’altro di ragazze, che invocano Imeneo mentre si attende, al calar della sera, l’arrivo della sposa. Il carme 63, un epillio in galliambi, narra di riti esotici e crudeli: il giovane Attis, giunto per mare in terra di Frigia, durante le feste notturne in onore della Magna mater Cibele, invasato dal furore orgiastico, si evira per consacrarsi al culto della dea. Ritornato in sé, si pente del suo gesto, ma la terribile divinità non permette ormai che si sottragga al suo dominio. Nel carme 64, anch’esso un epillio, il più ampio e complesso testo di questa sezione (408 versi esametri), si narra delle nozze di Peleo e Teti; nella storia principale viene inserita, mediante la tecnica della ékphrasis, una seconda storia, quella di Arianna abbandonata da Teseo sull’isola di Dia e poi tratta a salvamento da Bacco, che giunge improvviso sul lido deserto con il suo gioioso corteo. Il carme 65 è indirizzato all’amico Ortalo: il celebre oratore aveva chiesto in dono dei versi che Catullo, prostrato dalla morte del fratello, non può dare; ma darà, in segno del suo immutato affetto, una traduzione della Chioma di Berenice di Callimaco. Il carme 66 [T22 ONLINE] è appunto la traduzione catulliana della Chioma, l’episodio che concludeva il IV libro degli Aitia callimachei. Berenice, moglie fedele e innamorata del sovrano d’Egitto Tolomeo III Evergete, consacra agli dèi, per propiziare il successo dello sposo partito per una spedizione militare, un ricciolo della propria chioma, che misteriosamente scompare; ma l’astronomo Conone lo riconosce in una nuova costellazione, da allora denominata, come oggi, la «Chioma di Berenice». Segue (67) una variazione dialogica in distici elegiaci sul motivo del paraklausíthyron (il «canto dinanzi alla porta chiusa»): il poeta si rivolge alla porta della casa appartenente a un certo Cecilio, inducendola a rivelare gli scandalosi costumi sessuali dei suoi padroni. Nel carme 68, infine, ancora in distici elegiaci e in forma di epistola poetica a un amico, Catullo intreccia motivi autobiografici (il dolore per la morte del fratello; la rievocazione del primo convegno con Lesbia) con un racconto mitico (gli amori di Protesilao e Laodamia).

Statua della dea Cibele, I secolo a.C. Copenaghen, Ny Carlsberg Glyptotek.

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