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fontivisive Gli Uccelli di Aristofane
T 7
carme 5
LATINO
Nota metrica:
endecasillabi faleci.
«Viviamo, mia Lesbia»
Il primo e più celebre carme del cosiddetto “dittico dei baci” (l’altro è il 7 [T8]) si apre con un’esortazione a vivere e amare, senza curarsi del biasimo dei vecchi moralisti. Nel breve spazio dei versi successivi (vv. 4-6) si concentra una riflessione sulla caducità della vita umana, in contrasto con la ciclica rinascita della natura. Di qui, dal pensiero della morte che inesorabilmente ci attende, risorge l’invito all’amore, con la richiesta di infiniti baci; ma è proprio l’intensità “eccessiva” di quell’ebbrezza d’amore a destare un sussulto di ansia superstiziosa, che si risolve in un inatteso gesto apotropaico.
Vivamus, mea Lesbia, atque amemus, rumoresque senum severiorum omnes unius aestimemus assis.
Soles occidere et redire possunt; 5 nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum, deinde usque altera mille, deinde centum. 10 Dein, cum milia multa fecerimus,
1-3 Viviamo, mia Lesbia, e amiamo, e i borbottii dei vecchi troppo severi tutti [insieme] non stimiamoli un soldo.
Vivamus... amemus: congiuntivo presente con valore esortativo, come aestimemus (v. 3). – rumores: termine del sermo familiaris (lett. «mormorii», «brontolii») che Catullo impiega, non senza ironia (sottolineata dai giochi allitteranti in funzione onomatopeica) nel significato di «maldicenze», «chiacchiere», anche «rimproveri»; oggetto di aestimemus. – severiorum: comparativo assoluto dell’aggettivo severus. I senes severiores sono i vecchi, arcigni moralisti. – unı ˘us... assis: genitivo di stima; letteralmente «stimiamoli un solo asse». L’asse (as, assis) era una moneta di rame il cui basso valore era divenuto proverbiale.
4-6 Il sole può tramontare e ritornare [a sorgere]: noi, quando una sola volta è tramontata la nostra breve luce, dobbiamo dormire un’unica, perpetua notte.
Soles: soggetto di possunt, al plurale in quanto metonimia per «giorni»; ma i due verbi (occidere et redire) permettono di intendere sol anche nel significato proprio, esattamente come accade nel carme 8 (v. 3 e v. 8), aprendo su una prima immagine di luce sfolgorante; inoltre soles al plurale accentua la contrapposizione con brevis lux. – cum semel: introduce una subordinata temporale nel modo indicativo («non appena», «una volta che»). – occidit: può essere sia presente che perfetto. La ripetizione del medesimo verbo (occidere; occidit) in poliptoto dà particolare risalto alla contrapposizione fra la perenne, ciclica vicenda della natura e il percorso lineare e irreversibile della vita umana. – lux, nox: anche lux è metonimia per «giorno», «giornata», a sua volta metafora di uso comune per «vita» (l’espressione brevis lux vale «la nostra breve giornata»), così come «notte» (nox) per «morte». – perpetua... dormienda: costruzione perifrastica passiva con il gerundivo del verbo dormire, in latino anche transitivo: il soggetto è nox, mentre nobis è dativo d’agente.
7-9 Dammi mille baci, poi cento, poi altri mille, poi altri cento, poi senza sosta altri mille, poi [ancora] cento.
mi: forma arcaica contratta del dativo mihi. – basia: plurale di basium, vocabolo del sermo familiaris di probabile origine celtica, introdotto da Catullo per quanto si sa, nella lingua letteraria. Passerà poi nelle lingue romanze, mentre osculum e i suoi derivati si perderanno completamente. – dein: apocope di deinde, come al v. 10. La serie incalzante dei numerali, retta dall’imperativo iniziale Da, rivela una calcolata struttura simmetrica fondata sull’iterazione: dein e deinde in anafora, mille nella parte iniziale e centrale dei versi, tutti e tre conclusi da centum in epifora.
10-13 Poi, quando ne avremo fatte [= sommate, totalizzate] molte migliaia, li scompiglieremo [= confonderemo le somme], per non sapere [quanti sono], e perché nessun malvagio possa invidiarci [= gettarci il malocchio], sapendo che c’è una tale quantità di baci.
fecerı ˉ mus: futuro anteriore, con la i lunga, che nel latino arcaico lo distingueva da fecerı ˘ mus, congiuntivo perfetto. – milia multa: sottintende basiorum, genitivo partitivo come al v. 13. – ne sciamus: proposizione finale negativa, coordinata alla successiva ne... possit invidere. Nei vv. 10-11 compaiono due termini (fecerimus; conturbabimus) che in un significato più specifico rinviano al linguaggio della contabilità: così il generico facere vale «sommare», «totalizzare», mentre conturbare (rationes) significa «confondere le somme», «alterare i conti».