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fontivisive L’Arringatore

T 14

Invettiva contro Mamurra carme 29

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T 15

carme 30

LATINO ITALIANO

Alfene immemor...

Catullo rivolge un accorato rimprovero all’amico Alfeno, accusandolo di aver tradito i doveri dell’amicizia in circostanze che restano indeterminate. L’amicizia è per Catullo un vincolo sacro, esattamente come il patto d’amore, non a caso definito altrove sanctae foedus amicitiae (109, 6 [T30]); ne sono garanti gli dèi, e soprattutto la Fides (v. 11), che puniranno immancabilmente il factum impium (v. 4). Di qui, da questa concezione appassionata e insieme religiosamente profonda del legame fra i sodales, dipendono le scelte stilistiche del componimento, lontane dai toni dell’invettiva e improntate piuttosto a una ricerca di gravità e sostenutezza mediante il ricorso a stilemi elevati e alla solennità del linguaggio giuridico-sacrale. In particolare i vv. 4 e 11-12 riecheggiano le forme espressive delle antiche prescrizioni religiose, quali arcaismi (Nec per non), allitterazioni (paeniteat postmodo), paronomasie (facti faciet), omoteleuti (facta impia fallacum hominum). Ma il poeta mira nello stesso tempo ad effetti intensamente patetici, affidati alle anafore (iam... Iam... iam, vv. 2-3), a domande ed esclamazioni, ai vocativi in gradazione ascendente (immemor, false, dure, perfide, inique), ai diminutivi affettuosi (amiculi, v. 2). A creare un clima di tensione emotiva contribuisce anche la scelta di un metro lirico raffinato e raro (un unicum nel Liber catulliano), l’asclepiadeo maggiore: un verso lungo, dal ritmo spezzato, quasi fosse interrotto da singhiozzi di pianto.

Nota metrica:

asclepiadei maggiori. Alfene immemor atque unanimis false sodalibus, iam te nil miseret, dure, tui dulcis amiculi?

Iam me prodere, iam non dubitas fallere, perfide?

Nec facta impia fallacum hominum caelicolis placent: 5 quae tu neglegis, ac me miserum deseris in malis.

Alfeno, immemore e infedele verso i tuoi compagni devoti, oramai non hai più alcuna compassione, o crudele, del tuo dolce amico? Già non esiti a tradirmi, o perfido, già non esiti a ingannarmi? E tuttavia non piacciono agli dèi celesti le empie azioni degli uomini fallaci; ma tu non te ne curi, e mi abbandoni infelice in mezzo ai mali.

1. Alfene: probabilmente P. Alfeno Varo di Cremona, giureconsulto e consul suffectus nell’anno 39. – immemor: il componimento, che presenta una ricercata struttura «ad anello», si apre e si chiude circolarmente sul motivo dell’oblio colpevole (Si tu oblitus es..., v. 11), posto in forte antitesi con quello della memoria (at di meminere, at meminit Fides, v. 11). 3. perfide: propriamente «sleale», «spergiuro», colui cioè che ha violato la fides. Ma tutte le scelte lessicali insistono sul motivo centrale: l’infrazione, sul piano etico e insieme, inscindibilmente, religioso-giuridico, della fides e della pietas (prodere; fallere e i suoi derivati false e fallacum; impia; inique; irrita). 4. caelicolis: il composto caelicolae è calco omerico enniano di tono elevato e solenne (come il termine caelites di 11, 14 [T11]). Ma tutto il verso sembrerebbe una reminiscenza dell’Odissea (XIV, 83: «No, gli dèi beati non amano le azioni scellerate»).

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