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Leggere un TESTO CRITICO Il mondo degli schiavi in Roma (Y. Thébert

Dialogo con i MODELLI

L’ode sublime di Saffo

Dell’ode di Saffo (fr. 31 LobelPage) tradotta da Catullo è stato tramandato un ampio frammento nell’anonimo Del sublime (X, 2), un trattato di stilistica e critica letteraria greco del I secolo d.C. All’epoca di Catullo il testo doveva essere ben noto in Roma: già Valerio Edituo lo aveva imitato in un epigramma (fr. 1 Morel), mentre Lucrezio lo tiene presente nella descrizione dei sintomi provocati dal terrore (De rerum natura III, 154-156). Decifrare con esattezza la situazione iniziale della lirica di Saffo è lievemente problematico. Saffo con ogni probabilità si rivolge a una fanciulla del tìaso da lei appassionatamente amata, forse vicina alle nozze, sebbene nulla autorizzi a identificare lo sposo o l’innamorato nell’uomo che le sta accanto. Catullo traduce propriamente soltanto il primo verso; poi l’imitazione prende la strada dell’aemulatio, dando luogo a una rielaborazione originale. Saffo esprime l’ardore del sentimento e l’ineluttabilità della forza di Eros enumerandone con nuda essenzialità gli effetti fisiologici, mentre Catullo tende piuttosto ad analizzare i fenomeni psicologici della passione amorosa. Infatti omette la quarta strofa dell’ode saffica, che contiene i particolari più realistici, forse eccessivamente crudi per il suo gusto alessandrino. Un gusto che risalta evidente nella stilizzazione retorica raffinatissima della terza strofa, dedicata ai sintomi della patologia amorosa. Il poeta latino, inoltre, amplia la riflessione (se è vero che la quarta strofa appartiene al carme 51) a considerazioni di carattere etico e sociale; del resto anche l’inciso (si fas est) del secondo verso, totalmente assente in Saffo, riflette uno scrupolo religioso caratteristicamente romano.

Testa della poetessa Saffo, copia romana di un originale greco. Istanbul, Museo Archeologico. Uguale agli dèi a me pare l’uomo che siede innanzi a te, e ascolta intento te che parli dolcemente, e ridi amorosa

5 impaura, nel mio petto, il cuore appena ti vedo, la lingua d’un colpo si fa muta, si spezza

un fuoco sottile scorre 10 sotto la mia pelle, è buio negli occhi, romba il sangue negli orecchi,

sudo freddo, un tremito tutta m’afferra, sono 15 più verde dell’erba, né lontana pare morte.

Ma tutto si può sopportare, poiché...

17. Il verso «è irrimediabilmente corrotto, e le sue tracce servono solo ad accertare che la poesia continuava» (Del Corno).

T 20

carme 52

LATINO

Due ignobili arrivisti

Catullo è assalito da un improvviso desiderio di morire vedendo salire alle più alte cariche dello Stato personaggi indegni, partigiani di Cesare e di Pompeo che debbono le loro fortune politiche soltanto al favore dei loro potenti protettori. Il disgusto e la riprovazione morale si allargano pessimisticamente a coinvolgere tutto un mondo: l’aspetto ripugnante di Nonio, la tracotanza di Vatinio divengono emblemi della corrotta, degradata vita politica di Roma. La composizione del carme va collocata probabilmente intorno al 55-54 a.C., ultimissimi anni della vita di Catullo, nel periodo cioè immediatamente successivo agli accordi di Lucca fra Cesare e Pompeo (56 a.C.), quando, col rinnovarsi dei patteggiamenti fra i triumviri, che si spartiscono il potere al di fuori e contro gli ordinamenti legali, entra ormai nella fase terminale la crisi dell’assetto costituzionale repubblicano.

Nota metrica:

trimetri giambici archilochei. Quid est, Catulle? Quid moraris emori? Sella in curuli struma Nonius sedet, per consulatum peierat Vatinius: quid est, Catulle? Quid moraris emori?

1-4 Che fai, Catullo? Perché indugi a morire? Siede Nonio scrofola nella sedia curule, Vatinio spergiura per il suo consolato. Che fai, Catullo? Perché indugi a morire? (trad. di E.V. D’Arbela)

Quid... Catulle?: lett. «Che c’è, Catullo?». La vivace movenza colloquiale si può meglio rendere con «E allora, Catullo?», oppure mediante la soluzione, altrettanto valida, adottata dal traduttore. Il pronome interrogativo Quid, in caso nominativo, è soggetto di est; con il vocativo Catulle il poeta rivolge la consueta apostrofe a se stesso. – Quid... emori?: non necessariamente perché Catullo, forse già gravemente ammalato, senta vicina la morte; è sufficiente interpretare la domanda come un’estrema reazione di disgusto. Il secondo quid interrogativo del v. 1 è accusativo avverbiale; moraris, presente indicativo (da moror, a ˉ ri, deponente), regge l’infinito presente emo ˉri, (da emorior, deponente della III coniugazione); intensivo e perfettivo di mori, denota l’annientamento totale e definitivo di un individuo: «cancellarsi», «sparire [dal mondo]». – Sella in: anastrofe (= in sella). La sedia o sella curule era un sedile senza spalliera con braccioli e quattro piedi incrociati, ornato di borchie preziose; era riservato ai più alti magistrati, che vi sedevano nell’esercizio delle proprie funzioni. Nella Roma repubblicana costituiva uno dei più prestigiosi simboli del potere. – struma: «scrofola», un’affezione delle ghiandole linfatiche che provoca bubboni e fistole purulente. Un ributtante difetto fisico, forse addirittura un soprannome («lo scrofoloso»), oppure una metafora (come dire «quella peste di Nonio»). Notevole la scelta del sostantivo, in luogo dell’aggettivo (strumosus) come ci si aspetterebbe: Nonio è «la scrofola» personificata. – per consulatum: lett. «sul», oppure «in nome del [proprio] consolato». Nel primo caso Vatinio giura «sul» proprio consolato, come si giura su cosa certissima, tanto è sicuro di ottenerlo; nel secondo caso, quasi fosse già insignito della carica, presta giuramento «in nome del» consolato; in ogni caso Catullo intende dire che i giuramenti di Vatinio non possono essere altro che spergiuri. – peierat = perierat, forma sincopata (da perierare, per + iurare).

Denario in argento con la raffigurazione della sella curule, I secolo a.C.

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Struttura e stile del componimento

La struttura del testo è bilanciata con perfetta misura: si apre e si chiude con due versi identici, che mediante il consueto modulo catulliano del soliloquio esprimono con una sorta di cupo sbigottimento l’indignatio del poeta; al centro, inserite con sapiente disposizione chiastica (Nonius sedet... peierat Vatinius) le due spregevoli figure che ne sono la causa, rese indimenticabili da icastici tocchi descrittivi (il contrasto fra la venerabile immagine della sella curulis e le fattezze di chi la occupa). Il labor limae profuso nella brevissima lirica è testimoniato anche da altri accorgimenti retorico-stilistici: la paronomasia (moraris emori), la figura etimologica (Sella... sedet), posta in risalto dall’anastrofe (Sella in), l’insistente allitterazione in sal v. 2, che culmina al centro del verso con il termine più denso e forte (struma).

Nonio e Vatinio: chi erano costoro?

Il Nonius nominato da Catullo al v. 2 e bollato con il ripugnante epiteto di struma, potrebbe essere Lucio Nonio Asprenate, in seguito legato di Cesare in Africa e in Spagna, che forse aveva raggiunto il grado di pretore (alto magistrato cui spettava la sella curulis); oppure il pompeiano M. Nonio Sufenate, tribuno della plebe nel 56 a.C., che in ricompensa dei servigi prodigati ai triumviri potrebbe aver conseguito l’edilità curule nel 54. Più sicura l’identificazione di Vatinius (v. 3): si tratta di Publio Vatinio, creatura di Cesare e partigiano di Clodio, tribuno nel 59, pretore nel 55 dopo un’elezione scandalosa nella quale fu preferito a Catone. Nel carme di Catullo leggiamo che in questo momento ostenta, con sfrontata sicumera, di avere già in tasca il consolato; di fatto sarà soltanto consul suffectus nel 47 (dunque dopo la morte di Catullo) e per pochi giorni. Catullo lo attacca in altri due carmi, dove si parla di odio Vatiniano (14, 3) e di Vatiniana... crimina (53, 2-3), in entrambi i casi con riferimento all’amico e poeta novus Licinio Calvo, celebre avvocato notoriamente anticesariano, che sostenne l’accusa in ben tre processi (uno dei quali nel 55) a carico di Vatinio. Contro quest’ultimo resta anche una violenta invettiva di Cicerone (In Vatinium testem, del 56), che lo dipinge come un essere spregevole, fra l’altro dandogli apertamente dello spergiuro.

Analizzare il testo

1. Quale situazione storico-politica fa da sfondo all’invettiva catulliana? 2. Individua puntualmente le figure retoriche e gli artifici stilistici concentrati dal poeta nel serrato giro dei quattro versi, esempio di feroce invettiva politica ma anche di raffinatissimo labor limae.

Confrontare i testi

3. Il carme contro Nonio e Vatinio rappresenta con ogni evidenza un indiretto attacco a Cesare; leggi, oltre al carme 93 [T27], la feroce invettiva scagliata da Catullo nel carme 29 [T14 ONLINE] contro Mamurra, illustrando l’atteggiamento del poeta nei confronti dei potenti personaggi che dominano la scena politica a lui contemporanea.

T 21

carme 58

LATINO ITALIANO

Invettiva infamante contro Lesbia

Catullo confida all’amico Celio il proprio sdegno per la dissolutezza di Lesbia: non solo la donna tanto amata, quantum amabitur nulla (8, 5 [T9]), lo tradisce, ma si concede a tutti come una prostituta d’infimo ordine, frequentando i luoghi più malfamati della città. Il breve componimento è costruito su un potente, calcolato effetto di contrasto fra due momenti antitetici per tono e per linguaggio, il primo intensamente patetico (vv. 1-3), il secondo aggressivamente ingiurioso (vv. 4-5). Nei primi tre versi Catullo, ripetendo con una sorta di doloroso stupore il nome di Lesbia, rievoca la profondità e l’autenticità del suo amore per lei, non diverso da quello che si prova per i propri familiari (v. 3; cfr. 72, 3-4 [T23]);

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