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Non iam illud quaero, contra ut me diligat illa, aut, quod non potis est, esse pudica velit; 25 ipse valere opto et taetrum hunc deponere morbum. O di, reddite mi hoc pro pietate mea.

Non chiedo già questo, che lei ricambi il mio amore, o, ciò che è impossibile, voglia divenire pudica; 25 sono io che voglio guarire e liberarmi di questo orribile morbo. O dèi concedetemi questo, in cambio della mia devozione.

(trad. di L. Canali)

lessicali addensate intorno al campo semantico del morbus, della «malattia»: pestem perniciemque (v. 20), valere e so-

T 25

carme 85

LATINO

Nota metrica: distico elegiaco.

Odi et amo

Forse il carme più famoso del Liber, che concentra in una sintesi di folgorante brevità e potenza espressiva il dissidio interiore di Catullo, lacerato fra i due sentimenti opposti e inconciliabili, ma paradossalmente compresenti, dell’odio e dell’amore. Non si tratta di uno sfogo, di un grido incontrollato: il poeta si rivolge a un immaginario interlocutore ricalcando il serrato andamento dimostrativo di un dialogo filosofico (affermazione – interrogazione – risposta dubitativa – nuova e conclusiva affermazione). Né sostantivi, né aggettivi: lucido e rigoroso nello scavo autoanalitico, evitando qualsiasi riferimento alle circostanze esteriori, Catullo sceglie qui di impiegare soltanto verbi (le azioni, i modi dell’essere). Tuttavia, il risultato dell’indagine non è una (impossibile) spiegazione, né l’approdo a un filosofico dominio delle passioni, ma la nuda constatazione di un’acuta sofferenza che lo attraversa e lo invade totalmente, preda di forze misteriosamente incontrollabili. In questo senso è significativo il passaggio dalle forme verbali attive (Odi et amo; faciam, v. 1) a quelle passive (fieri; excrucior, v. 2).

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris.

Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

1-2 Odio e amo. Chiederai forse come ciò sia possibile. Non lo so, ma sento che accade [proprio così], e mi tormento.

Odi: da odi, odisse, verbo difettivo; la forma del perfetto è utilizzata con valore di presente. – Quare id faciam: interrogativa indiretta dipendente da requı ˉris; lett. «perché io faccia questo». Nella traduzione proposta (in particolare la soluzione adottata per questa frase, «come ciò sia possibile», si deve a Quasimodo) va perduta quella che è forse la svolta determinante del discorso, il passaggio attivo/ passivo (faciam/ fieri), a favore di una prattutto taetrum... morbum (v. 25). Per questo aspetto cfr. 51, vv. 9-12 [T19]; va detto inoltre che l’assimilazione

più agevole comprensione del concetto nella lingua italiana. Del resto, la densità e la complessità del testo, apparentemente così chiaro e lineare, sono tali che qualsiasi scelta di traduzione comporta in pratica una perdita di significato o un parziale travisamento. – requiris: presente indicativo da requı ˉ ro, «tu chiedi». Varie le interpretazioni di questa seconda persona (un amico, la donna amata, un «tu» retorico e impersonale), ma sembra di ravvisarvi piuttosto uno sdoppiamento introspettivo dell’io (l’io che razionalmente analizza e indaga; l’io che sente e soffre), quale si riscontra in altri dell’amore a una malattia diventerà un topos ampiamente sviluppato e variato nell’elegia augustea.

componimenti catulliani, ad esempio 8 [T9] e 76 [T24]. – excrucior: il distico culmina e si chiude su questa parola dai suoni aspri e duri, prolungati e faticosi, che letteralmente significa «sono posto in croce», estensivamente «sono torturato», supplizi crudeli e infamanti di norma riservati agli schiavi; per questo alcuni commentatori vogliono vedervi un’allusione al servitium amoris. Peraltro il termine, che troviamo anche nel già citato carme 76 (excrucies, v. 10 [T24]), non sembra appartenere al linguaggio erotico della poesia neoterica, mentre ricorre più volte nei testi dei comici.

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