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fontivisive Le maschere teatrali
5 Zmyrna cavas Satrachi penitus mittetur ad undas, Zmyrnam cana diu saecula pervoluent.
At Volusi annales Paduam morientur ad ipsam et laxas scombris saepe dabunt tunicas.
Parva mei mihi sint cordi monumenta <sodalis>, 10 at populus tumido gaudeat Antimacho.
La Smirna giungerà fino alle acque profonde del Sàtraco; la Smirna leggeranno a lungo i secoli canuti. Ma gli annali di Volusio moriranno subito lì, vicino a Padova, e daranno spesso larghi involucri agli sgombri. Mi stiano nel cuore i brevi carmi del mio amico, il volgo si goda finché vuole il gonfio Antimaco.
5. Satrachi: nome di un fiume e di una città dell’isola di Cipro. – cavas... undas: altri intende, per enallage, «le sponde profondamente incassate», ovvero «le onde che scavano profondamente le rive». 6. cana: i secoli futuri (o «le generazioni», «le età») sono detti «canuti», cioè invecchiati, con ardita metafora antropomorfica, per il lungo trascorrere del tempo. 7. Volusi annales: opera-emblema dell’epica tradizionale di stampo enniano: vengono irrisi ancor più pesantemente in 36, 1 e 20 (Annales Volusi, cacata charta [T17 ONLINE]). – Paduam: nome volgare di Patavium, la città di Padova, passato poi nell’italiano; secondo altri, denominazione di un ramo del Po (Padus). 8. laxas: non occorrerà economizzare la carta, data la lunghezza dell’opera di Volusio! – scombris: non a caso Catullo sceglie un pesce assai comune, di qualità non troppo fine. 10. Antimacho: è probabile che qui Catullo intenda definire l’oscuro Volusio, per antonomasia, «l’Antimaco romano». Antimaco di Colofone (V-IV sec. a.C.) scrisse un vasto poema epico, la Tebaide, e una raccolta di elegie, Lyde. Lodato da Platone, fu invece duramente attaccato da Callimaco, che per la Lyde parlò di «scrittura grossa» (di qui forse tumido) e «non perspicua».
T 29
carme 101
LATINO
LETTURA METRICA
Sulla tomba del fratello
Insistente ritorna nella poesia di Catullo il doloroso rimpianto per il fratello rapito da una morte prematura nella lontana Troade: «con te è sepolta tutta la nostra casa, con te perirono tutte le nostre gioie» (68a, 22-23; cfr. anche 65, 5-14). L’amorosa devozione per il fratello è un aspetto della pietas romana di Catullo, del suo senso religioso degli affetti e dei legami familiari che ora lo conduce, oltre le distese del mare, in una terra remota e straniera, a rendere finalmente l’estremo omaggio alle ceneri del congiunto, seguendo scrupolosamente il rito ancestrale (prisco... more parentum, v. 7). In questa lirica, che è stata definita una breve elegia funebre, Catullo si rivolge al fratello perduto con parole cariche di pathos che esprimono lo strazio del distacco (vv. 5-6; 9) e il senso desolato di un vuoto, di un’irrimediabile assenza (et mutam nequiquam alloquerer cinerem, v. 4). Ma a queste si intrecciano altre, antiche parole, che rimandano al linguaggio della tradizione sacrale (inferiae, v. 2 e v. 8; munus, v. 3 e v. 8); il carme si chiude con il saluto rituale (ave atque vale) che per tre volte risuonava alla fine dei funerali romani, quando, composte le ceneri nel sepolcro, i parenti davano al defunto l’estremo addio.