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Leggere un TESTO CRITICO Un teatro carnevalesco (M. Bettini

Il libro II delle Satire A cinque anni di distanza dal I libro appare il II, che presenta elementi di continuità rispetto al precedente, ma anche sensibili differenze sul piano tonale e strutturale. Prevale intanto (sei satire su otto) la forma dialogica, mentre si riduce decisamente lo spazio riservato alla voce del poeta (sovrastata da quelle, dissonanti, dei vari interlocutori), e di conseguenza il momento autobiografico (limitato sostanzialmente alla satira 6). Al libro viene così a mancare il centro unificante costituito dalla persona del poeta satirico: il filo del discorso morale sembra smarrirsi nella pluralità delle voci e delle opinioni. È stato detto a questo proposito che rinunciando al suo ruolo di protagonista, Orazio mostra di aver perso la fiducia nella funzione della satira, nella possibilità cioè di tracciare empiricamente una linea di condotta morale a partire dall’osservazione della multiforme e contraddittoria realtà sociale contemporanea. Il poeta, che intorno al 33 ha ricevuto da Mecenate il graditissimo dono della villa sabina, sembra ora preferire l’isolamento campestre all’ambiente cittadino. La satira 6 è infatti un elogio della vita rustica, suggellato esemplarmente dall’elegante favola del topo di città e del topo di campagna [T7]. Ma lo stesso Orazio nella satira 7 offre al lettore, per bocca del servo Davo, un autoritratto al negativo che sembra smentire d’un colpo la possibilità di una vita serena ed equilibrata: Orazio viene dipinto dal servo come un uomo collerico e inquieto, incapace di resistere alle seduzioni di banchetti sontuosi o di pericolose avventure d’amore. Orazio non si era mai vestito dei panni del moralista esemplare; ma qui sull’autoironia sembra prevalere l’amara scoperta che ogni uomo è in balìa di forze incontrollabili, e che nessuna saggezza risulta veramente praticabile.

Il secondo libro delle Satire

Satira Argomento

1 I pericoli che corre il poeta satirico non distolgono Orazio dalla propria vocazione poetica, ancora una volta sull’esempio di Lucilio. 2 Ofello, un contadino di Venosa, tesse l’elogio della frugalità, biasimando il lusso eccessivo delle mense cittadine. 3 Lunga diceria di Damasippo, il quale sostiene che tutti gli uomini, tranne il sapiens stoico, sono pazzi: Orazio gli risponde ironizzando sulla sua presunzione e sul suo eccessivo rigorismo. 4 Cazio, amico del poeta, espone minuziosamente le regole dell’arte culinaria, in una spiritosa parodia dei precetti dei filosofi. 5 Denuncia amaramente ironica dell’avidità umana, mediante una giunta parodistica alla nékya omerica: il fantasma di Tiresia istruisce Ulisse sui mezzi per recuperare i beni dilapidati dai Proci; il più sicuro è quello di farsi cacciatore di eredità. 6 Hoc erat in votis: avuta in dono la villa sabina, Orazio è al colmo dei suoi desideri; lontano dall’agitazione cittadina, potrà godere di una vita tranquilla e di semplici gioie. Nella chiusa, la favola esemplare del topo di campagna e del topo di città. 7 Un autoritratto al negativo: il servo Davo, approfittando della libertà di parola concessa durante i Saturnali, rimprovera il padrone accusandolo di incoerenza e di inquieta volubilità. 8 Cena Nasidieni: racconto del lussuoso e pretenzioso banchetto offerto a Mecenate dal ricco e volgare Nasidieno, concluso dal rovinoso crollo del baldacchino che sovrastava le mense.

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