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T 9 L’impresario del Curculio (Curculio, 462-486) IT

Lo stile Si è detto come Orazio riconosca in Lucilio l’inventor del genere, rimproverandogli tuttavia lo stile fangoso (lutulentus) e sovrabbondante. Adeguandosi ai dettami delle poetiche alessandrine, la satura oraziana acquista una misura e un rigore formale sconosciuti a quella luciliana.

Raffinatezza ellenistica, naturalezza colloquiale e tono medio sono i caratteri di questa poesia che si avvicina alla prosa pur conservando le movenze eleganti del verso. «Satira nitida ed elegante è un ossimoro: la satira oraziana realizza appunto questo ossimoro nel senso che riesce a conciliare la dimensione “satirica” dell’(apparente) informalità e casualità, del senso vivo della quotidianità, con un rigoroso e raffinato esercizio di stile» (Citroni). Ritorno al sermo Fra il 30 e il 23 a.C. Orazio si dedica integralmente alla poesia lirica. Solo dopo tale data ritorna all’ispirazione giovanile dei sermones con un libro di epistole, dedicato a Mecenate, che viene pubblicato nel 20. Non c’è dubbio che le

Epistole (titolo non oraziano) ripropongano il progetto di una poesia di tono medio e di carattere morale che era stato delle Satire: lo testimoniano l’uso dello stesso metro (l’esametro), l’affinità dei temi affrontati e soprattutto la definizione di sermones che Orazio stesso estende alle nuove composizioni (II, 1, 250). Ciò che tuttavia le distingue dalle satire è la forma utilizzata dal poeta: l’epistola in versi, di cui finora si erano avuti soltanto sporadici esempi in lingua latina. Varietà delle epistole Come nelle Satire, i temi delle singole lettere sono molto vari: un bigliettino di raccomandazione (I, 9), un invito a pranzo (I, 5), uno sfogo sulla propria condizione esistenziale (I, 11), una polemica letteraria a difesa della propria poesia (I, 19), richieste di consigli per un soggiorno al mare (I, 15), avvertenze su come comportarsi con i potenti (I, 17 e I, 18), lodi della vita campestre (I, 10 e I, 14), e naturalmente riflessioni di argomento filosofico e morale (ad esempio

I, 6). L’ultima lettera (I, 20 [T27 ONLINE]), rivolta al proprio stesso libro, chiude la raccolta con il tradizionale commiato; la prima, indirizzata a Mecenate, svolge invece la funzione di proemio, spiegando le ragioni che hanno spinto il poeta a intraprendere la composizione della nuova opera. La forma epistolare L’uso della forma epistolare condiziona indubbiamente la sostanza e i toni del discorso che Orazio svolge, contribuendo in misura determinante, come si è detto, a differenziare il libro delle epistole da quelli delle satire. Il tono è più intimo: si infittiscono i momenti di riflessione e di sentenziosità morale, mentre spariscono quasi completamente non solo gli aspetti propriamente “satirici” e aggressivi ma anche quelli mimici e drammatici, così come quelli comici. I vivaci interlocutori delle Satire si trasformano ora in destinatari assenti e silenziosi, e la voce del poeta può espandersi in modo uniforme in tutte e venti le lettere.

I momenti autobiografici e introspettivi acquistano più spazio e più rilievo. La ricerca della verità e della saggezza La lettera a Mecenate che dà inizio alla raccolta registra con acutezza il nuovo stato d’animo del poeta, che a poco più di quarant’anni si sente ormai vecchio e ritiene sia giunto il momento di dedicarsi integralmente alla ricerca di ciò che è vero e di ciò che è bene, al fine di conseguire la serenità e l’equilibrio interiore. Non a caso questa prima epistola è stata da vari studiosi accostata, per la forma e il tono del discorso, a un protrepticon, cioè un trattatello di esortazione alla filosofia.

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