3 minute read

una riflessione antropologica (M. Bettini

Orazio nel TEMPO

Presso i contemporanei Grande fu la fa-

ma di Orazio già presso i contemporanei: dopo la morte di Virgilio (19 a.C.), egli apparve come il poeta più rappresentativo della sua epoca, e a lui, come si è visto, si rivolse Augusto per il solenne Carmen Saeculare. Alla raffinatezza stilistica della poesia oraziana rende omaggio un passo dei Tristia (IV, 10, 49-50 [T17, cap. 5]) di Ovidio: «affascinò le mie orecchie Orazio ricco di ritmi, / mentre toccava sulla lira ausonia carmi di dotta fattura». Già nel commiato al I libro delle Epistole [T27 ONLINE], Orazio aveva del resto immaginato la diffusione della propria opera fin nei centri più remoti dell’impero.

In età imperiale Divenuto ben presto un classico, Orazio fu studiato nelle scuole imperiali e commentato dai grammatici. Alla fine del I secolo d.C. Quintiliano (Inst. or. X, 1, 96) lo considera quasi il solo poeta lirico degno di essere letto, motivando il giudizio con precise osservazioni stilistiche: «infatti talvolta si leva in alto ed è pieno di grazia e di fascino ed è vario nelle figure e audace molto felicemente nella scelta delle parole». Petronio, sia pure attraverso la voce di un personaggio ambiguo e beffardo come il poeta Eumolpo, loda apertamente la squisitezza formale della poesia di Orazio e la sua curiosa felicitas (Satyricon 118), espressione con la quale vuole indicare una felicità espressiva frutto di accurata ricerca formale. Altrettanto grande la fortuna della poesia satirica oraziana, a cui si ispirano nel corso della prima età imperiale sia Persio che Giovenale. Quintiliano considera Orazio «satiro» molto più terso e puro di Lucilio (X, I, 94), in ogni caso il più grande (praecipuus) nel genere.

In età cristiana e nel Medioevo Con

l’avvento della cultura cristiana, l’interesse si concentra sui contenuti etico-morali della poesia oraziana. La ricerca della saggezza, la valorizzazione dell’interiorità, il disinteresse per gli onori pubblici, la riflessione sulla brevità della vita e sull’ineluttabilità della morte, l’aspirazione alla solitudine erano temi che potevano adattarsi pienamente ai nuovi modelli di vita cristiana. Tra le singole opere, tuttavia, sono i Sermones e le Epistulae a godere di maggior fortuna. «Orazio satiro» lo definì ancora Dante in Inferno IV, 89, rivelando implicitamente che per lui, come per i contemporanei, Orazio era il poeta dei Sermones, non dei Carmina.

In età umanistica Le Odi di Orazio ritornano ad essere lette e a influenzare in modo decisivo la poesia occidentale solo con l’età umanistica. Nel Canzoniere del Petrarca le corrispondenze riguardano i temi, fondamentali per entrambi i poeti, della morte e della fuga inesorabile del tempo: «ora mentre ch’io parlo il tempo fugge» (LVI, 3): Dum loquimur, fugerit invida / aetas (Carm. I, 11, 7-8 [T12]); «Veramente siam noi polvere et ombra» (CCXCIV, 12): pulvis et umbra sumus (Carm. IV, 7, 16 [T23]).

Tra Cinquecento e Settecento Nel XVI

secolo Orazio lirico divenne l’autore per eccellenza del Rinascimento paganeggiante, il cantore degli amori, del vino e dei piaceri. Per lo stesso motivo cadde poi in disgrazia nell’età della Controriforma, ritornando in auge nelle corti galanti del Settecento, dove fu letto come maestro di libertinaggio e di saggezza epicurea. Continuava d’altra parte la fortuna delle Satire, già imitate dai poeti satirici in lingua latina dell’età umanistica e successivamente (fra il 1517 e il 1524) in lingua volgare dall’Ariosto. Fondamentale fu soprattutto tra Cinquecento e Settecento la lettura dell’Ars poetica, che informò di sé per almeno due secoli il gusto poetico internazionale: direttamente al testo oraziano si ispira l’Art poétique di Boileau (1674), manifesto del classicismo francese (ed europeo). Ancora a metà del XVIII secolo Parini concludeva una

This article is from: