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COMPITO DI REALTÀ

T 11

Carmina I, 9 LATiNO ITALIANO

LETTURA METRICA

Nota metrica:

sistema alcaico, composto di due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.

Il monte Soratte

La poesia inizia (vv. 1-8) con la descrizione di un raggelato paesaggio invernale, cui il poeta oppone una scena d’interno domestico allietata dal fuoco e dal vino: lo spunto è già in Alceo [Dialogo con i modelli], ma Orazio lo rinnova rendendolo concreto e familiare con la visione del Soratte innevato e il richiamo al vino sabino. Seguono tre strofe (vv. 9-18) di carattere gnomico, che svolgono motivi caratteristicamente oraziani: la brevità della vita, l’esortazione a godere del presente (come in I, 11 [T12]) prendendo atto con lucida, rassegnata consapevolezza che tutto «il resto» (v. 9) è in mano agli dèi, cioè alle forze ignote e possenti che governano quanto sfugge al controllo umano. Nell’ultima parte dell’ode ci spostiamo dalla campagna alla grande città (e dall’inverno alla primavera): in una Roma galante e notturna si svolge una graziosa scena di gusto realistico e alessandrino (la ragazza nascosta che ride e poi si lascia sfilare, fingendo ritrosia, un braccialetto o un anello, pegno d’amore per il prossimo appuntamento).

Vides ut alta stet nive candidum Soracte nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint acuto.

5 Dissolve frigus, ligna super foco large reponens atque benignius deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota.

Vedi come si erge candido di neve alta il Soratte, né più sostengono il peso le selve affaticate e per il gelo acuto i fiumi si sono fermati.

5 Sciogli il freddo gettando legna sul fuoco senza risparmio, e più largamente mesci vino vecchio di quattro anni, o Taliarco, dall’anfora sabina.

2. Soracte: monte di modesta altezza che sorge a una quarantina di chilometri a nord di Roma. 8. Thaliarche: forse un giovane amico del poeta; verosimilmente si tratta di un nome fittizio e simbolico, dato che in greco significa «re del convito» (nonché, al tempo stesso, «re della gioia»). – merum: vino schietto, non miscelato (com’era costume nel mondo antico) con acqua. – diota: significa «a due orecchi », dunque un’anfora a due anse.

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