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T 7 Una rivelazione sconvolgente (Hecyra, 361-408) IT
T 18
Carmina II, 7 ITALIANO
Per il ritorno di un antico compagno d’arme
Dopo molti anni Orazio può riabbracciare un amico, Pompeo Varo, con il quale aveva combattuto a Filippi condividendo l’infamia della fuga. Si rinnovano i motivi più vivi e profondi della sua poesia: l’amicizia, il convito, il vino simbolo di vitalità e ospitalità, il racconto di memorie comuni, il desiderio di un angulus (il giardino del poeta nella sua villa sabina) dove vivere riparati dalle tempeste del mondo. L’ode ha carattere autobiografico, ma Orazio inserisce gli episodi forse più delicati della sua storia personale all’interno di una cornice intenzionalmente letteraria, utilizzando un tono elegantemente scherzoso: nella terza strofa ricorre al topos antichissimo dello scudo abbandonato (presente in poeti greci come Alceo e Archiloco); in quella successiva fa la parodia di una tipica situazione omerica. Invitando l’amico a riposarsi all’ombra del suo lauro (v. 19), può così riaffermare dinanzi al lettore il proprio ruolo di poeta, dispensatore di conforto e di superiore saggezza.
O tu che spesso con me fosti spinto nell’estremo pericolo sotto il comando di Bruto, chi ti ha restituito cittadino romano1 agli dèi patrii e all’italo cielo,
o Pompeo, il più caro fra i miei compagni, insieme col quale spesso spezzai col vino il giorno che indugiava, con la corona sui capelli lucenti di unguento di Siria?
Con te provai Filippi2 e la veloce fuga, abbandonato poco onorevolmente lo scudo3 , quando la virtù fu infranta e i soldati prima minacciosi toccarono il turpe suolo col mento4 .
1. cittadino romano: nel testo originale Quiritem, cittadino romano optimo iure, che gode cioè di tutti i diritti civili e politici. Ottaviano nel 29 a.C. aveva concesso un’amnistia ai nemici sconfitti. 2. Filippi: località tra Tessaglia e Macedonia, dove si combatté, nel 42, una celebre battaglia tra l’esercito di Bruto e Cassio da una parte e quello di Ottaviano e Marco Antonio dall’altra: il combattimento, dapprima di esito incerto, solo dopo due giorni di furibondi scontri si trasformò in una disfatta per i cesaricidi, che sbandarono e furono costretti a un’ingloriosa fuga. La descrive Plutarco nella Vita di Bruto (38-52). 3. abbandonato... lo scudo: il motivo è già in numerosi poeti greci arcaici, in particolare Archiloco, che aveva scritto (fr. 6 D.): «Del mio scudo ora qualcuno dei Sai si fa bello: presso un cespuglio abbandonai quell’arma perfetta, a malincuore; ma salvai la vita: che m’importa di quello scudo. Vada alla malora: me ne procurerò un altro non peggiore» (trad. di A. La Penna). I Sai erano una popolazione della Tracia. Il riferimento letterario permette a Orazio di ridimensionare scherzosamente la vergogna del gesto inglorioso; e del resto il poeta stesso si era già definito imbellis («non fatto per la guerra») in Epodi 1, 16. 4. il turpe... mento: si allude alla resa umiliante del vinto, costretto a prostrarsi davanti ai vincitori.
Ritratto a encausto dell’uomo con vino rosso e corona di petali di rosa da Er-Rubayat, IV secolo d.C. Santa Monica, Getty Museum.