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T 23 Funestus veternus: una malattia dell’anima (Epistulae I, 8) LAT IT
Analizzare il testo
1. Suddividi il testo in sezioni o parti strutturali distinte, assegnando a ciascuna un titolo adeguato, con una breve didascalia esplicativa. 2. Di quali elementi si compone il ritratto del poeta malinconico? Rintraccia e analizza le precise espressioni latine usate da Orazio. 3. Si può definire il componimento un’epistola consolatoria? Spiega per quali motivi, mediante puntuali riferimenti al testo. A quali argomenti ricorre Orazio per porgere conforto all’amico? 4. Individua i vocaboli che appartengono al registro colloquiale del sermo cotidianus o familiaris,
commentandoli con riferimento allo stile oraziano dei Sermones (Satire ed Epistole). 5. Anche in questo componimento il poeta fa un uso mirato e intensamente espressivo dell’allitterazione. Individua e commenta i casi più significativi.
Confrontare i testi
6. Grata superveniet quae non sperabitur hora: in quali componimenti oraziani a te noti il poeta esprime, in altri termini, il medesimo concetto?
T 23
Epistulae I, 8 LATINO ITALIANO
Nota metrica:
esametri.
Funestus veternus: una malattia dell’anima
Orazio risponde a Celso Albinovano, amico e poeta che nell’inverno del 21-20 sta accompagnando il giovane Tiberio Nerone (futuro imperatore e successore di Augusto) durante una missione diplomatica in Oriente. La lettera segue lo schema consueto del galateo epistolare: i saluti iniziali all’amico, cui si augura successo e felicità (vv. 1-2); notizie dello scrivente (vv. 3-12); richiesta di informazioni sulla salute e le vicende del destinatario, con l’aggiunta di un precetto finale (vv. 13-17). Il tono è giocosamente solenne: il poeta affida il compito di salutare l’amico alla Musa, che resta mediatrice di ogni messaggio fino al termine dell’epistola. All’interno di questa cornice manierata e cortese, Orazio inserisce una confessione riguardante il proprio abituale stato d’animo, dominato dall’insoddisfazione e dall’irrequietezza, da una sorta di smania e insieme di torpore esistenziale, quel taedium vitae di cui l’epicureo Lucrezio aveva già denunciato le manifestazioni in versi di impressionante forza descrittiva (De rerum natura III, 1046-1070) e che può essere accostato allo spleen di Baudelaire e alla «noia» leopardiana [Letture parallele, p. 252]. I due avverbi del v. 4 (recte; suaviter) definiscono i due obiettivi diversi, e quasi opposti, delle due maggiori scuole filosofiche del tempo, la rettitudine stoica e il piacere epicureo, considerati fonti di felicità e di benessere spirituale: ma Orazio è costretto ad ammettere il proprio scacco, l’inefficacia della saggezza filosofica nei confronti del suo insidioso malessere, sul quale non sembrano aver potere i fidi medici del v. 9 (sia che di veri medici si tratti, sia, metaforicamente, dei filosofi «medici dell’anima»). Anche per questo suona amaramente ironica la scherzosa esortazione alla misura che conclude l’epistola.
Celso gaudere et bene rem gerere Albinovano Musa rogata refer, comiti scribaeque Neronis. Si quaeret quid agam, dic multa et pulchra minantem vivere nec recte nec suaviter, haud quia grando
Musa, ti prego di dire a Celso Albinovano, compagno e segretario di Nerone, di star bene e di passarsela bene. Se ti chiederà che cosa faccio, digli che promettevo di fare molte belle cose e invece non riesco a vivere né bene, né lietamente, non perché la grandine abbia
2. comiti scribaeque: i comites erano i componenti della cohors al seguito di Tiberio durante la sua spedizione in Oriente. Celso era scriba, cioè segretario personale del futuro imperatore (figliastro di Augusto e figlio di Tiberio Claudio Nerone).