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Un giocoso autoritratto

10 gratia, fama, valetudo contingat abunde, et mundus victus non deficiente crumina?

Inter spem curamque, timores inter et iras omnem crede diem tibi diluxisse supremum: grata superveniet, quae non sperabitur, hora. 15 Me pinguem et nitidum bene curata cute vises, cum ridere voles, Epicuri de grege porcum.

che. – artemque fruendi: artem, accusativo oggetto, come formam e divitias, di dederunt, regge il gerundio genitivo di fruor, frui, deponente. È la dote più importante, e l’espressione-chiave che segna il passaggio alla seconda parte dell’epistola: senza la «capacità di goderne» (o la volontà di esercitarli) i doni degli dèi sono vani, come Orazio ricorda in diversi luoghi della sua opera. – Quid... alumno: costruisci Quid maius nutricula voveat dulci alumno. – voveat: congiuntivo presente potenziale di voveo, e ˉ re («far voti», «augurare»). Nelle neniae che cantavano cullando i lattanti per farli dormire, le nutrici e le madri scongiuravano le forze ostili di tenersi lontane dal piccolo e invocavano per lui un felice avvenire. – dulci... alumno: dativo di vantaggio. Propriamente alumnus designa chi viene «nutrito», «alimentato» (da alo, ale ˘ re): il «lattante», perciò anche il «figlio»; per la balia o nutrice si usava l’espressione «figlio di latte». – nutricula: diminutivo-vezzeggiativo del sermo cotidianus, soggetto di voveat. Intraducibile, richiede in italiano l’ausilio di un aggettivo («cara», «tenera»). – qui... et cui: i due pronomi introducono proposizioni relative improprie dipendenti da voveat nel modo congiuntivo, che alcuni studiosi considerano completive di valore finale (= nisi ut is possit... eique... contingat: così nella nostra traduzione); altri le ritengono proposizioni temporali («quando uno può... e a lui tocchino»), altri infine ipotetiche («se uno può... e se gli tocchino»). – gratia, fama, valetudo: eenumerazione per asindeto; rispettivamente la felice condizione di chi può contare su solide «amicizie», una reputazione senza macchia e una buona salute (valetudo è vox media). – contingat: il verbo al singolare si riferisce a ben quattro soggetti, enumerati nei vv. 10-11 (gratia, fama, valetudo... victus). – mundus: l’aggettivo significa propriamente «pulito», e per traslato «dignitoso», «decoroso». – non deficiente crumina: ablativo assoluto di valore causale-strumentale; la crumı ˉ na, altro vocabolo del sermo familiaris (attestato in Plauto), è una piccola borsa che si portava appesa al collo, ed indica per metonimia il denaro in essa contenuto.

[12-14] Fra la speranza e gli affanni, fra i timori e le collere, fa conto che ogni giorno spuntato sia per te l’ultimo: gradita si aggiungerà l’ora non sperata.

Inter spem... et iras: enumerazione delle passioni che turbano e affliggono la vita; spem e timores si riferiscono al futuro, curam e iras al presente. L’anafora della preposizione inter, che regge l’accusativo, esprime il dibattersi dell’uomo assalito da ogni parte e senza tregua dalle passioni; timores inter = inter timores, per anastrofe. – omnem... supremum: costruisci crede omnem diem diluxisse tibi supremum, lett. «credi che ogni giorno sia spuntato per te [come] ultimo»; supremum è predicativo del soggetto dell’infinitiva oggettiva (omnem... diem... diluxisse) dipendente da crede. – grata... hora: costruisci hora quae non sperabitur superveniet grata.

[15-16] Quando vorrai ridere, verrai a trovare me, grasso e lustro con la pelle ben curata, un porcello del gregge di Epicuro.

Me... voles: costruisci cum ridere voles, vises me pinguem et nitidum bene curata cute. – pinguem: habitu corporis... brevis atque obesus («di piccola statura e ben pasciuto») lo dice Svetonio nella Vita Horatii, citando poi una lettera in cui Augusto lo prendeva amichevolmente in giro per il suo aspetto (tibi statura deest, corpusculum non deest, «ti manca la statura, non ti manca la pancia»). Peraltro il biografo ricorda che così Orazio si descriveva da sé nelle sue opere (cfr. ad es. Epistulae I, 20, 24 [T24 ONLINE]). – bene curata cute: l’ablativo causale che spiega nitidum («lucido», «splendente»), evoca cura del corpo e pinguedine, due tratti tipici dello stereotipo denigratorio dell’epicureo. – vises: futuro di viso, e ˘ re (intensivo di video), «visitare»; è cortese formula d’invito. – Epicuri... porcum: nei versi finali la serietà profonda dell’ammonimento filosofico si stempera in uno scherzo affettuosamente autoironico che culmina nella chiusa arguta e inattesa, un vero e proprio aprosdóketon.

Un giocoso autoritratto

Epicuri de grege porcum: la conclusione scherzosa e autoironica dell’epistola è diventata famosa e quasi proverbiale. Ma un’analisi puntuale dei versi 15-16 permette di individuare una complessa rete di richiami e di allusioni: con una movenza tipicamente oraziana il pronome Me (v. 15) si contrappone circolarmente a te (v. 2); all’aura malinconica che pervade il ritratto di Tibullo fa riscontro un autoritratto giocosamente caricaturale modellato sul tipo dell’epicureo “volgare” costruito dagli avversari, dotti e indotti. Particolarmente efficace l’ambiguità dell’espressione de grege: infatti grex, che designa un «gregge», una «mandria» di animali, è anche termine tecnico per indicare una «scuola», una «setta» filosofica. Quanto a porcum, mentre riprende ed esaspera con spiccato sense of humour l’immagine del poeta «grasso e lustro» (v. 15), non manca di alludere ancora una volta a un luogo comune nella rappresentazione popolare degli epicurei, ossia il paragone con gli animali, e specialmente con i porci.

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