Aurea dicta edizione Gialla - V2 - Selezione di pagine

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PERCORSO ANTOLOGICO

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an tacitum silvas inter reptare salubris, curantem quidquid dignum sapiente bonoque est? Non tu corpus eras sine pectore: di tibi formam, di tibi divitias dederunt artemque fruendi. Quid voveat dulci nutricula maius alumno, qui sapere et fari possit quae sentiat, et cui

diretta quid... dicam, congiuntivo dubitativo («che posso», «che debbo dire?») oppure futuro («che cosa dirò?»), con la stessa sfumatura di dubbio, dipende l’infinitiva oggettiva te... facere. – in regione Pedana: fra Tivoli, Tuscolo e Preneste, non lontano da Roma, dove sorgeva l’antica Pedum, cittadina all’epoca di Orazio già scomparsa. Tibullo, nato forse a Gabii sulla via Prenestina, possedeva terre in quella regione. – Scribere... vincat: sott. dicam te. Dall’infinito Scribere dipende la relativa impropria consecutiva nel modo congiuntivo quod... vincat (lett. «ciò che superi», «qualcosa [tale] da superare»), che ha per oggetto opuscula, specificato dal genitivo Cassi Parmensis Di Cassio di Parma, intransigente nemico di Ottaviano, che perciò lo fece uccidere, ci è rimasto un solo verso. Opuscula fa pensare a una produzione di elegie ed epigrammi; una fonte antica lo menziona come autore di tragedie. – an tacitum... salubris: costruisci an (dicam

te) reptare tacitum inter silvas salubris (= salubres); an introduce il secondo membro dell’interrogativa diretta doppia disgiuntiva. L’aggettivo tacitum, accusativo, concorda con il soggetto sottinteso dell’infinitiva (te) reptare dipendente da dicam; silvas inter = inter silvas per anastrofe; salubris, accusativo concordante con silvas, sottolinea implicitamente il contrasto fra l’aria pura e salutare della verde campagna e quella malsana della città, ma certo allude anche alla pace della vita appartata nel rus, benefica all’animo. – quidquid: lett. «qualunque cosa che», pronome relativo neutro (quisquis, quidquid); soggetto di dignum... est, predicato nominale. – sapiente bonoque: ablativi retti da dignum. [6-11] Non sei mai stato un corpo senz’anima: gli dèi ti diedero bellezza, ti diedero ricchezze e l’arte di goderne. Che cosa potrebbe augurare di più la cara nutrice al suo dolce figlio di latte, se non che egli possa essere saggio ed [in

grado di] esprimere il suo pensiero, e che gli tocchino in abbondanza favore, buon nome, salute, e un decoroso tenore di vita con una borsa non sprovvista? Non... eras: il tempo verbale non implica che ora Tibullo sia mutato; in tal caso il poeta avrebbe impiegato il perfetto, mentre l’imperfetto esprime una condizione che perdura nel presente. – di tibi... di tibi: l’enfasi asseverativa dell’anafora è potenziata dalle vistose serie allitteranti (vv. 6-7). – formam: nella breve Vita svetoniana Tibullo è detto insignis forma cultuque corporis observabilis («insigne per bellezza e degno di nota per l’eleganza e la cura della persona»). – divitias: sappiamo che Tibullo era di condizione agiata, sebbene avesse perduto parte delle sue terre in seguito agli espropri di cui beneficiarono i veterani delle guerre civili. – dedĕrunt: la desinenza del perfetto di terza persona plurale con la penultima sillaba breve è un arcaismo dovuto a esigenze metri-

Le FORME dell’ESPRESSIONE Collocatio verborum Nei testi oraziani l’attenzione è rivolta in modo particolare alla sapiente collocazione delle parole, che si rivela uno degli espedienti tecnico-stilistici di maggiore efficacia espressiva messi in atto dal poeta.

▰ Omnem crede diem tibi diluxisse supremum (v. 13) In posizione forte, al centro dell’esametro prima della cesura, e ulteriormente enfatizzata dalle espressive allitterazioni, sta diem, la parola-chiave; diluxisse, il verbo che indica precisamente il sorgere del sole e l’inizio del nuovo giorno, evoca con singolare intensità anche a livello fonico e quasi irradia da sé, nelle sillabe centrali, la «luce» (lux) che è fonte concreta e insieme metafora poetica della vita, mentre con l’aggettivo che immediatamente lo segue, supremum («estremo», «ultimo») subentra il pensiero della morte.

▰ Grata superveniet quae non sperabitur hora (v. 14) Anche nel verso successivo la scelta e la

collocazione delle parole sono curate con magistrale perizia e straordinaria efficacia: all’inizio e alla fine del verso l’aggettivo (grata, predicativo) e il sostantivo (hora), esprimono la serena felicità conquistata dal saggio e insieme l’accettazione consapevole della brevità e fugacità di ogni cosa umana; al centro, legati dall’allitterazione, i due verbi nel tempo futuro, superveniet («giungerà in sovrappiù», «si aggiungerà») e non sperabitur, in antitesi, mediante la decisa negazione, con spem (v. 12).

▰ Un monito di matrice epicurea In questi tre

versi (12-14) è racchiuso il monito che il poeta rivolge all’amico Tibullo, un vero e proprio Leitmotiv oraziano di chiara matrice epicurea. Già Filodemo di Gàdara, filosofo epicureo e poeta ancora attivo durante la giovinezza di Orazio, aveva scritto che il saggio deve essere «grato per ogni istante raggiunto, come se avesse conseguito una fortuna insperata» (De morte IV, 14).

249 © Casa Editrice G. Principato


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