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Le FORME dell’ESPRESSIONE Simplex munditiis: una callida iunctura oraziana

qui nunc te fruitur credulus aurea, 10 qui semper vacuam, semper amabilem sperat, nescius aurae fallacis. Miseri, quibus

giovinetto inesperto (insolens), troppo fiducioso (credulus) e ignaro (nescius) della tempesta che si prepara, cioè della volubilità amorosa di Pyrrha. – quotiens… insolens: costruisci quotiens flebit fidem mutatosque deos et insolens emirabitur aequora aspera nigris ventis. – flebit: futuro di fleo, e ˉ re («piangere») usato transitivamente, ha per oggetti gli accusativi fidem/ mutatosque deos; il soggetto è ovviamente il puer (v. 1), così come dell’altro futuro emirabitur (v. 8), che regge quale complemento diretto aspera... aequora, accusativo neutro plurale. – fidem... deos: fides, nel lessico della poesia erotica, indica il patto di reciproca fedeltà tra gli amanti (il catulliano foedus amoroso). Con l’espressione mutatos... deos il poeta sembra sottolineare ulteriormente l’ingenuità dell’inesperto amante, che di fronte agli immancabili tradimenti vorrà attribuirli alla capricciosa volubilità degli dèi d’amore. Nigris... ventis è ablativo di causa, da connettere ad aspera. È detto niger il vento apportatore di tempesta; albus o candidus, per contro, il vento che spira nel cielo sereno. – emirabitur: da emiror, a ˉri, deponente (e/ex intensivo + miror) – insolens: «non avvezzo», «non solito» (in, prefisso negativo, + soleo, e ˉ re), dunque «inesperto» – qui nunc... aurea: l’aggettivo credulus è predicativo del soggetto, espresso dal pronome relativo qui; fruitur, presente indicativo del deponente fruor, fruitus e fructus sum, frui («usufruire», «godere»; qui evidentemente in accezione erotica), regge l’ablativo te, concordato con aurea. Quest’ultimo aggettivo, riferito a Pyrrha, oltre a formare paronomasia con aurae (fallacis; v. 11), evoca nuovamente il fulgore della bellezza di lei e insieme, con raffinata variazione, il colore dei suoi capelli; ma già in Omero è un epiteto della divinità, e in particolare dell’«aurea Afrodite», dea dell’amore. – qui semper... sperat: costruisci qui sperat (te) semper vacuam, semper amabilem. Due aggettivi in funzione predicativa dell’oggetto sottinteso (te): vacuam, lett. «vuota», ossia «libera», «disponibile»; amabilem, nello specifico significato potenziale-passivo degli aggettivi in -bilis, «che può essere amata», «che si lascia amare».

[12-16] Miseri, quelli cui ancora ignota risplendi! Quanto a me, la sacra parete [del tempio] indica con una tavola votiva che ho dedicato le [mie] umide vesti al dio signore del mare.

Miseri: nel lessico della poesia erotica miser è termine “tecnico” a designare l’innamorato infelice, tradito o comunque preda del tormento amoroso. – quibus: sott. ii, concordato con il nominativo esclamativo Miseri. – intemptata: lett. «non sperimentata» (in prefisso negativo + participio perfetto di tempto, a ˉ re); «senza che ti abbiano sperimentata», «quando ancora non ti conoscono». – nites: «risplendi» (da niteo, e ˉ re). – Me tabula... maris deo: costruisci paries sacer tabula votiva indicat me suspendisse uvida vestimenta deo potenti maris. – Me: pronome personale in accusativo,

Le FORME dell’ESPRESSIONE

Simplex munditiis: una caratteristica callida iunctura oraziana

▰ Che cos’è la callida iunctura L’espressione callida

iunctura, che si può tradurre con «accostamento sagace», designa uno degli stilemi più originali e caratteristici della scrittura oraziana: il poeta ricerca inedite combinazioni espressive risemantizzando vocaboli di uso comune, che grazie all’inconsueta collocazione sprigionano nuovi e imprevisti significati. ▰ Simplex munditiis L’aggettivo e il complemento formano un ricercato ossimoro: simplex indica ciò che è genuino, schietto, non artefatto; munditiis è ablativo plurale del sostantivo munditia, che invece rinvia agli artifici e alle raffinatezze dell’eleganza, specialmente femminile (nell’abbigliamento, nell’acconciatura, nelle maniere). L’ambiguità dell’accostamento ossimorico viene accentuata dalla non facile determinazione dell’esatto valore sintattico dell’ablativo munditiis, che può essere di limitazione o di causa, ma anche concessivo («semplice, nonostante la tua eleganza»). In ogni caso l’espressione, pressoché intraducibile nelle sue sottili sfumature, allude a una perfetta fusione di semplicità e di eleganza, e al tempo stesso vale a definire in una memorabile sintesi le caratteristiche dell’arte di Orazio, del suo gusto classico. ▰ Altri esempi di callidae iuncturae Sempre nell’ode

a Pyrrha, ai vv. 6-7 aspera... aequora forma, mediante l’accostamento ossimorico, un’altra callida iunctura tipicamente oraziana; infatti aequora, dall’aggettivo aequus («eguale», «liscio») indica una distesa tranquilla e piana, mentre aspera denota una superficie increspata, mossa e ineguale (le acque marine improvvisamente sollevate dal moto ondoso); e ancora potremmo citare l’ode a Taliarco, dove troviamo virenti canities (Carmina I, 9 [T10]; cfr. la nota al v. 17).

intemptata nites! Me tabula sacer votiva paries indicat uvida 15 suspendisse potenti vestimenta maris deo.

è soggetto dell’infinitiva oggettiva dipendente da indicat, il cui predicato è suspendisse, infinito perfetto attivo di suspendo, e ˘ re, propriamente «appendere». In posizione di rilievo e in forte antitesi con Miseri, il pronome di I persona vale a contrapporre energicamente, secondo una movenza stilistico-espressiva ricorrente in Orazio (me-Stil) l’atteggiamento e le scelte del poeta a quelli altrui (cfr. I, 7, 10). – tabula... votiva: ablativo strumentale. Si tratta, secondo un’usanza antichissima, perdurata nei secoli e ancor oggi diffusa, di un ex voto: «I naufraghi scampati alla morte, mantenendo un voto fatto al dio del mare nel momento del pericolo, gli offrivano un quadretto che indicava le circostanze del voto esaudito, e i vestiti che portavano durante il naufragio» (La Penna). Fuor di metafora, il poeta, fatta esperienza dell’incostanza di Pyrrha (e forse delle donne in generale), dichiara con garbata ironia di essersi sottratto appena in tempo alle insidiose attrattive di lei, e di trovarsi ormai in condizione di evitare, o di aver saggiamente rinunciato ad affrontare, il rischio di ulteriori, amari disinganni. – uvida: «umide», «bagnate»; aggettivo neutro plurale (uvidus, a, um) concordato con vestimenta (v. 16). – potenti: non è aggettivo ma sostantivo, concordato con il dativo deo; lett. «che ha, che esercita il potere», dunque «signore». Il «dio signore del mare» è ovviamente Poseidon-Nettuno.

Ritratto femminile, particolare di un affresco della Villa dei Misteri a Pompei.

LETTURA e INTERPRETAZIONE

Complessità strutturale e stilistica dell’ode

A Pyrrha, la donna dai capelli fulvi, d’oro e di fuoco, si rivolge il poeta in quest’ode di squisita eleganza, nitidamente semplice in apparenza, in realtà complessa, sia dal punto di vista strutturale e stilistico, sia sul piano interpretativo.

Strofa I: un quadretto di gusto ellenistico

Il componimento si apre con un raffinato quadretto di gusto ellenistico, nel quale si fondono armoniosamente grazia, sensualità e sottile ironia: in una grotta deliziosa, su un giaciglio di rose, un giovinetto profusamente cosparso di unguenti odorosi

si stringe alla bellissima donna. Splende al centro della scena la chioma biondo-rossa di Pyrrha, simplex munditiis: nella callida iunctura, così caratteristicamente oraziana, si racchiude l’essenza del fascino seduttivo di questa figura femminile, enigmatica e distante nel suo splendore, volubile e insidiosa come il mare.

Strofe II-III-IV: metafore marine

Nelle strofe successive, legate fra loro mediante un gioco di forti contrasti, si sviluppa infatti una serie di metafore marine: l’inesperto puer ben presto piangerà, allo scatenarsi dell’impreveduta tempesta (i tradimenti, il discidium; strofa II), lui che ora gode dei piaceri d’amore fidando ciecamente che durino per sempre, come la dolce, ingannevole brezza che spira sul mare calmo (strofa III); invece il poeta, naufrago miracolosamente scampato ai flutti scatenati, dedica, ormai salvo e al sicuro, un ex-voto al dio del mare quale rendimento di grazie (strofa IV).

La donna e il mare: una lunga tradizione nel segno di Afrodite

La raffigurazione della donna come forza della natura, e in particolare l’immagine del mare mutevole e pericoloso quale metafora dell’incostanza femminile, ha dietro di sé una lunga tradizione nella letteratura antica, dai giambi misogini di Semonide di Amorgós a Plauto; in particolare, le metafore marine ricorrono diffusamente negli epigrammi erotici dell’Antologia Palatina, che giocano con ingegnose variazioni sulle mitiche prerogative di Afrodite, la dea dell’amore nata dalla schiuma del mare. E anche qui, infatti, dietro la figura dell’aurea Pyrrha splende quella della dea (v. 9). Ma Orazio va ben al di là della ludica leggerezza alessandrina, così come della tradizionale misoginia.

Il personaggio-poeta e il giovane ingenuo

Come accade in altre, famose odi, il poeta ama rappresentarsi come un uomo maturo, esperto e consapevole, di contro a figure di giovanissimi ingenui (qui il puer; altrove saranno Taliarco o Leuconoe), cui somministra, con distacco ironico e insieme con umana partecipazione, non senza un’ombra di malinconia, insegnamenti di disincantata saggezza.

Una sottile ambiguità

Nondimeno, l’atteggiamento del personaggio-poeta sfugge a una così precisa determinazione: alcuni interpreti ritengono infatti che il sentimento dominante nell’ode a Pyrrha sia la gelosia, e che vi affiorino i segni di una passione non del tutto superata. Così, una sottile ambiguità pervade l’intero componimento, non ultima ragione del suo fascino.

Analizzare il testo

1. Il poeta si rivolge a una donna di nome Pyrrha. Si tratta di un “nome parlante”? Che cosa significa?

Vi sono altre espressioni e immagini nel testo che si connettono allusivamente a questo nome? 2. Al v. 9 Pyrrha è detta aurea. Spiega il significato e le implicazioni di questo aggettivo nel contesto dell’ode. 3. Chi sono i “personaggi” dell’ode? Come vengono rappresentati? In particolare, il poeta si sofferma sul puer, caratterizzandolo mediante numerosi aggettivi e forme verbali fra loro coerenti e

funzionali a darne un “ritratto” piuttosto preciso: quali? 4. Analizza il testo dal punto di vista strutturale, dividendolo in sequenze, a ciascuna delle quali dovrai assegnare un breve titolo-didascalia, e osservando se le parti individuate corrispondono, più o meno esattamente, alle singole strofe. 5. Individua le metafore presenti nell’ode I, 5 e spiega a quale campo semantico appartengono, illustrandone il significato.

T 10

Carmina I, 9 LATiNO ITALIANO

LETTURA METRICA

Il monte Soratte

La poesia inizia (vv. 1-8) con la descrizione di un raggelato paesaggio invernale, cui il poeta oppone una scena d’interno domestico allietata dal fuoco e dal vino. «Piove, e dal cielo grande tempesta scende/ e sono gelate le correnti dei fiumi… Scaccia il freddo ammucchiando gran fuoco e mescendo senza risparmio vino dolce», aveva scritto il poeta greco Alceo in un frammento giuntoci in cattive condizioni (fr. 338 Lobel-Page). Orazio rinnova lo spunto alcaico con l’immagine del Soratte innevato, un paesaggio al contempo familiare e interiore. Seguono tre strofe (vv. 9-18) di carattere gnomico, che svolgono motivi caratteristicamente oraziani: la brevità della vita, l’esortazione a godere del presente (come in I, 11 [T11]) prendendo atto con lucida, rassegnata consapevolezza che tutto «il resto» (v. 9) è in mano agli dèi, cioè alle forze ignote e possenti che governano quanto sfugge al controllo umano. Nell’ultima parte dell’ode ci spostiamo dalla campagna alla grande città (e dall’inverno alla primavera): in una Roma galante e notturna si svolge una graziosa scena di gusto realistico e alessandrino (la ragazza nascosta che ride e poi si lascia sfilare, fingendo ritrosia, un braccialetto o un anello, pegno d’amore per il prossimo appuntamento).

Nota metrica:

sistema alcaico, composto di due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici. Vides ut alta stet nive candidum Soracte nec iam sustineant onus silvae laborantes geluque flumina constiterint acuto.

5 Dissolve frigus, ligna super foco large reponens atque benignius deprome quadrimum Sabina, o Thaliarche, merum diota.

Vedi come si erge candido di neve alta il Soratte, né più sostengono il peso le selve affaticate e per il gelo acuto i fiumi si sono fermati.

5 Sciogli il freddo gettando legna sul fuoco senza risparmio, e più largamente mesci vino vecchio di quattro anni, o Taliarco, dall’anfora sabina.

2. Soracte: monte di modesta altezza che sorge a una quarantina di chilometri a nord di Roma. 8. Thaliarche: forse un giovane amico del poeta; verosimilmente si tratta di un nome fittizio e simbolico, dato che in greco significa «re del convito» (nonché, al tempo stesso, «re della gioia»). – merum: vino schietto, non miscelato (com’era costume nel mondo antico) con acqua. – diota: significa «a due orecchi », dunque un’anfora a due anse.

Permitte divis cetera, qui simul 10 stravere ventos aequore fervido deproeliantis, nec cupressi nec veteres agitantur orni.

Quid sit futurum cras fuge quaerere, et quem Fors dierum cumque dabit, lucro 15 adpone, nec dulcis amores sperne puer neque tu choreas,

donec virenti canities abest morosa. Nunc et Campus et areae lenesque sub noctem susurri 20 conposita repetantur hora,

nunc et latentis proditor intumo gratus puellae risus ab angulo pignusque dereptum lacertis aut digito male pertinaci.

Lascia il resto agli dèi: appena hanno placato 10 i venti sul mare fervido furiosi, né i cipressi né i vecchi frassini più agitano le cime.

Del domani non darti pensiero, qualunque giorno ti darà la sorte 15 contalo tra i guadagni e i dolci amori non disprezzare, e le danze,

già che sei giovane e la canizie scontrosa ti è lontana. Ora il Campo e le piazze e i lievi sussurri sul far della notte 20 devi cercare all’ora convenuta,

ora il gradito riso che da angolo appartato tradisce la fanciulla nascosta e il pegno d’amore strappato al braccio o al dito che finge di resistere.

(trad. di A. Roncoroni)

17. virenti canities: esempio di callida iunctura oraziana, dove all’antitesi concettuale (giovinezza/vecchiaia) si aggiunge un vivido contrasto coloristico: virenti (da vireo) significa propriamente «a te che verdeggi»; canities deriva da canus («bianco», «canuto»). 18. Campus: il Campo Marzio.

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