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Nomi e parole degli antichi Regna vini
15 vitae summa brevis spem nos vetat inchoare longam. Iam te premet nox fabulaeque Manes
et domus exilis Plutonia; quo simul mearis, nec regna vini sortiere talis, nec tenerum Lycidan mirabere, quo calet iuventus 20 nunc omnis et mox virgines tepebunt.
oggetti di pulsat. Tabernas, che designa le umili capanne dei poveri, è vocabolo “basso” e prosastico; turris (= turres), sineddoche per i magnifici palazzi ornati di torri dei ricchi e dei potenti, è termine poetico. – O beate Sesti: solo ora viene pronunciato il nome del destinatario, subito dopo la riflessione di sapore gnomico sul comune destino di morte dei ricchi e dei poveri. Infatti beatus significa «felice», «fortunato», a designare colui al quale non manca alcun bene morale né materiale. – vitae ... longam: costruisci: summa brevis vitae vetat nos inchoare spem longam, dove summa brevis vitae, lett. «la somma breve della vita [= la somma breve, il numero limitato degli anni, dei giorni che ci è concesso di vivere]», è soggetto di vetat, da cui dipende l’infinitiva oggettiva nos... inchoare (lett. «che noi incominciamo», «intraprendiamo»; nos è accusativo soggetto dell’infinitiva); spem longam è oggetto di inchoare. Implicita l’esortazione (carpe diem) espressa nell’ode I, 11 a Leuconoe, dove ricorrono analoghi concetti, termini-chiave e immagini, e in particolare i medesimi aggettivi in antitesi (et spatio brevi / spem longam reseces, vv. 6-7 [T11]).
[16-20] Presto su di te incomberà la notte, e i Mani, [vuote] favole, e l’incorporea dimora di Plutone; e là, quando vi sarai entrato, non trarrai a sorte coi dadi il regno del convito, e non contemplerai il tenero Licida, per cui ora tutti i giovani ardono, e fra poco si scalderanno le fanciulle.
premet: futuro di premo, e ˘ re, singolare con tre soggetti (nox ... Manes ... domus Plutonia). Il verbo esprime potentemente l’angoscioso senso di oppressione, di chiusura degli spazi, di costrizione che si immagina afferri colui che è precipitato nel regno dei morti. Non si dimentichi peraltro che alle immagini mitiche e poetiche corrisponde, sul piano filosofico-razionale, secondo la dottrina epicurea professata da Orazio, il puro e semplice annientamento (ne è spia fabulae). – nox: secco monosillabo; è probabile che agisca qui la memoria del carme 5 di Catullo (v. 6). La «notte», oscurità dell’oltretomba sotterraneo e metafora della morte. – fabulaeque Manes: fabulae, nominativo plurale, è apposizione di Manes («i Mani [che sono] favole», leggende prive di fondamento); secondo altri è genitivo singolare («i Mani della favola»), senza sostanziale mutamento di significato. – exilis: «esile», «sottile», inconsistente come le ombre che l’abitano, è attributo di domus ... Plutonia. Sono state proposte altre interpretazioni di exilis: «misera», «squallida»; o ancora «angusta», «ristretta». – quo simul mearis: quo simul = simul quo, per anastrofe; quo, avverbio di moto a luogo, funge da nesso relativo; simul, avverbio di tempo, è qui impiegato come congiunzione temporale a introdurre il predicato mea ˉris (= meave ˘ris), futuro anteriore di meo, mea ˉ re («passare», «entrare» in una via tracciata), arcaismo. – nec ... nec: anafora. – regna... talis: regna vini (lett. «i regni [= il regno] del vino») è oggetto di sortie ˉ re (= sortie ˉris), seconda persona singolare del futuro di sortior, ı ˉri (deponente), che regge l’ablativo plurale strumentale talis – tenerum Lycidan: nome greco di un ragazzo con desinenza greca dell’accusativo, oggetto di mirabere; l’aggettivo tener allude insieme alla delicata bellezza e alla giovanissima età dell’efebo. – mirabe ˘ re: futuro (= mirabe ˘ris), da miror, a ˉri, deponente. – quo: ablativo causale del pronome relativo, riferito a Lycidan. – iuventus: metonimia per iuvenes (l’astratto per il concreto), con cui concorda il nominativo femminile singolare omnis. – calet: da caleo, e ˉ re («ardere di passione», come flagrare), presente indicativo; il soggetto è iuventus. Si fa riferimento al costume ellenico degli amori efebici, diffuso ormai da tempo in Roma soprattutto nelle cerchie intellettuali e aristocratiche. – mox: «ben presto», «fra poco», cioè quando Licida non sarà più un fanciullo e incomincerà a suscitare il desiderio delle ragazze (virgines), mentre perderà di attrattiva per i giovani; si contrappone a nunc. – tepebunt: futuro di tepeo, e ˉ re (lett. «esser tiepido»; per traslato «innamorarsi»). Il finale dell’ode, che evoca immagini di vita mondana e schermaglie amorose, sortisce un effetto piuttosto marcato di alleggerimento rispetto a quanto precede.
NOMI e PAROLE degli ANTICHI
Regna vini: l’espressione oraziana (letteralmente «i regni [= il regno] del vino») si riferisce a un’usanza importata dalla Grecia, secondo la quale nei conviti si sorteggiava, gettando i dadi, il rex convivii («re del convito»), detto anche arbiter o magister bibendi («arbitro», «reggitore del bere»), in greco symposíarchos («simposiarca»). Al rex designato dalla sorte i convitati dovevano obbedienza; egli imponeva le sue “leggi”, che regolavano la quantità e i modi del bere, la proporzione in cui il vino doveva essere mescolato con l’acqua, e così via, vigilando che non sorgessero contese tra i commensali.
LETTURA e INTERPRETAZIONE
Datazione e destinatario dell’ode
Il componimento occupa nella raccolta dei Carmina oraziani un posto d’onore, il quarto, subito dopo le odi dedicate a Mecenate (I, 1) ad Augusto (I, 2) e a Virgilio (I, 3): è indirizzata infatti al console del 23, anno di pubblicazione dell’opera, Lucio Sestio Quirino. Quest’ultimo, fervente seguace di Bruto, prese parte come Orazio alla guerra di Filippi (42 a.C.) a fianco dei cesaricidi; il poeta potrebbe averlo conosciuto già a quel tempo. In seguito Augusto gli perdonò la giovanile militanza repubblicana e ne favorì la carriera politica, coronata dalla dignità consolare. A lui Orazio si rivolge con un vocativo (O beate Sesti, v. 14) che lo rappresenta come uomo ricco e fortunato. Non è improbabile tuttavia che l’ode risalga a diversi anni prima: lo attesterebbe il metro epodico, che secondo alcuni studiosi contrassegna i testi più antichi della raccolta (fra questi I, 7); inoltre, è abbastanza evidente che a Sestio il poeta attribuisce qui implicitamente anche il dono della spensierata giovinezza.
Armonia strutturale
La struttura dell’ode è limpida, armoniosa e classicamente bilanciata: a una sezione d’esordio, coincidente con le prime due strofe, che descrive il ritorno della primavera (vv. 1-8), segue la strofa centrale, con l’invito ai rituali festeggiamenti in onore della bella stagione (vv. 9-12); le due ultime strofe segnano il brusco passaggio alla meditazione sulla morte sempre in agguato e dunque alla constatazione della brevità della vita e della fugacità di ogni gioia (vv. 13-20).
Forti contrasti di luce e di colore
Alla ripresa delle attività umane dopo la lunga sosta invernale (vv. 1-4), il poeta fa seguire immaginosamente una sorta di analogo “risveglio” nel mondo degli dèi, rappresentando due scene mosse e animate, in forte contrasto luministico e coloristico: all’armoniosa danza di Venere, delle Grazie e delle Ninfe nella fresca luce argentea della luna, si contrappongono le forge infuocate dei possenti Ciclopi e di Vulcano nelle oscure caverne sotterranee, rischiarate soltanto dai rossi bagliori delle fiamme (vv. 5-8). Ai vividi colori e all’atmosfera gioiosa dei versi precedenti (segnalata anche a livello metrico-ritmico dal predominio dei dattili, veloci e leggeri, nel v. 9) si contrappone violentemente l’incipit del v. 13, con l’irrompere improvviso della Morte personificata con il suo cadaverico pallore, cui seguono angosciose immagini di tenebra e d’oltretomba (vv. 16-17).
Perfetto equilibrio tra cupe visioni di morte e luminosa vitalità primaverile
Ma le visioni cupe e desolate della notte perpetua e delle dimore di Ade non prevalgono sulle immagini luminose e sulla vitalità gioiosa delle strofe primaverili, lasciando filtrare, sia pure in forma negativa e indiretta (nec ... nec, vv. 18-19) una rinnovata esortazione a godere nel presente dei piaceri del convito e dell’amore, che prende forza e necessità, in un perfetto equilibrio, proprio dalla riflessione sulla fuga inarrestabile del tempo e sull’ineludibile richiamo della morte eguagliatrice.
Analizzare il testo
1. Dal punto di vista strutturale (e tematico), è possibile dividere l’ode in parti o sezioni chiaramente distinte? Si può parlare di un’architettura bipartita o tripartita? 2. Il testo è palesemente costruito su un gioco di immagini antitetiche. Individua, analizza e commenta le immagini di vitalità e rinascita, e per contro quelle di morte. 3. Ai forti contrasti che si instaurano fra le immagini corrisponde una chiara contrapposizione di piani temporali: individuali, analizzando le forme verbali e gli avverbi di tempo presenti nel testo. 4. Qual è la funzione logico-sintattica degli ablativi stabulis, igni (v. 3) e pruinis (v. 4)? 5. Per quale ragione troviamo mearis, futuro anteriore, al v. 17?
Confrontare e interpretare i testi
6. Sviluppa un confronto tra l’ode I, 4 a Sestio e la I, 11 a Leuconoe [T11], con particolare riguardo ai seguenti aspetti: a) il motivo del carpe diem; b) la meditazione sul tempo e sulla morte; c) le strutture antitetiche, in particolare la contrapposizione fra presente e futuro (tempi verbali; avverbi di tempo). 7. Dopo aver letto l’ode IV, 7 [T20], rintraccia gli elementi comuni e le differenze sul piano tematico e stilistico-espressivo.