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Educazione CIVICA Damnatio memoriae e cancel culture

Nella campagna di diffamazione che impegnava i due rivali a colpi di lettere, pamphlets e pubblici discorsi, Antonio fece ricorso ai soliti topoi della vecchia maniera aristocratica, accusando Ottaviano di vigliaccheria e di slealtà e rinfacciandogli l’oscurità delle sue origini, mentre i seguaci di Ottaviano sfruttarono senza pietà il tema della sua identificazione mitologica col dio Dioniso. Dopo la rottura definitiva, gli attacchi contro Antonio si fecero brutali: lo accusavano di essere ormai un degenerato, un effeminato e un senza dio, sempre ubriaco e succube di Cleopatra. Come spiegare altrimenti il fatto che un generale romano donasse i territori conquistati ai figli della regina d’Egitto, e disponesse nel suo testamento di essere sepolto in Alessandria al fianco di Cleopatra? Antonio non era più un Romano, e una guerra contro di lui non poteva essere una guerra civile: «Nei dipinti e nelle statue si faceva raffigurare insieme a Cleopatra come Osiride o Dioniso, mentre la regina era Selene o Iside. Fu soprattutto questo a suscitare l’impressione che Antonio fosse stregato da lei» (Dione Cassio 50, 5). Questa campagna di diffamazione volta a mobilitare l’Italia in vista della guerra ebbe naturalmente il suo punto forte nei pubblici discorsi, ma non mancano testimonianze figurative da cui risulta, anche in questo caso, un intreccio indissolubile di parola e immagine: ed è proprio dal ricorso a determinate immagini che l’attacco verbale traeva la propria efficacia. Le statue che raffiguravano Antonio nelle vesti di Dioniso si potevano vedere solo in Oriente, ma il partito di Ottaviano fece tutto il possibile per evocare il fatto scandaloso, né la cosa presentava difficoltà. Dappertutto si potevano vedere statue di Dioniso su cui richiamare l’attenzione, e i loro tratti femminei potevano suggerire facilmente l’immagine di Antonio. [...] Contro l’accusa di ubriachezza Antonio si difendeva in un’orazione, purtroppo andata perduta (ma conservatasi fino ai primi anni dell’impero), dall’eloquente titolo de ebrietate sua. Oltre a respingere le accuse ingiustificate è probabile che Antonio vi facesse anche l’elogio del suo dio, il Liberatore e il nemico degli affanni.

(P. Zanker, Augusto e il potere delle immagini, Einaudi, Torino 1989, pp. 62-66 passim)

Educazione CIVICA

Damnatio memoriae e cancel culture

Né nell’Epodo 9 [T2 ONLINE] né in Carmina I, 37 [T13] è dichiarato il nome dei due nemici, l’effeminato e dionisiaco Antonio e la pericolosa e stregonesca Cleopatra. Marco Antonio, già oggetto della violenta denigrazione ciceroniana, è probabilmente la prima vittima romana di una sistematica damnatio memoriae: per volontà di Ottaviano il senato decretò la rimozione del suo nome e delle sue immagini: perciò di lui si conserva molto poco, e le testimonianze storiche sono regolarmente ostili. Viceversa, enfatizzare la minaccia rappresentata dalla regina straniera, riconoscendone così anche la fosca grandezza manipolatrice, era funzionale alla visione propagandistica di una guerra contro una potenza orientale. Nella storia contemporanea, in particolare negli ultimi due decenni, si è presentato spesso, e in più contesti, il fenomeno della cancel culture, «cultura della cancellazione». Movimenti d’opinione negli Stati Uniti hanno richiesto l’eliminazione di nomi e opere di personaggi pubblici (del mondo universitario come di quello dello spettacolo) coinvolti in scandali sessuali, ma anche semplicemente sospettati di comportamenti giudicati disdicevoli o non rispettosi del “politicamente corretto”. Con azioni più decisamente politiche, sono state abbattute o decapitate statue di personaggi storici coinvolti con lo schiavismo o con il colonialismo (da Cristoforo Colombo a Thomas Jefferson); in Italia è stata oggetto di vandalismo la statua del giornalista Indro Montanelli, per eventi legati al suo passato di ufficiale dell’esercito fascista nelle colonie d’Africa. Iniziative di questo tipo hanno suscitato dubbi e interrogativi: la rimozione dei simboli di un passato sanguinoso vale il rischio della perdita della memoria del male commesso? E quanto queste decisioni sono frutto di una manipolazione interessata dell’opinione pubblica? Inoltre, è sensato condannare all’oblio i meriti di personaggi storici importanti, perché essi hanno condiviso pregiudizi ed errori caratteristici della loro epoca? Più in generale, è giusto rimuovere la memoria di grandi imprese o di opere d’arte eccellenti per colpe certe o presunte dei loro autori? Con la cancellazione, insomma, ci si alleggerisce di un fardello o si apre un “vuoto di memoria”?

T 14

Carmina I, 38 LATINO

LETTURA METRICA

Convito simbolico

Siamo sul principio dell’autunno (come si ricava dall’accenno alle ultime rose dei vv. 3-4), nella luce tenue e quieta di un pergolato (vv. 7-8). Il poeta si rivolge a un puer, uno schiavo giovinetto premurosamente affaccendato nei preparativi del convito, esortandolo a tralasciare ogni lusso superfluo: basteranno ghirlande di «semplice mirto» (v. 5). L’ammonimento affettuosamente ironico al ragazzo (interlocutore “ingenuo” della lirica, come Leuconoe [T11]) tocca il cuore della poesia oraziana, rinnovando alcuni dei suoi grandi temi: il motivo simposiaco, un ideale di aurea mediocritas, la dolcezza della vita rustica. Ma l’ode è anche l’ultima del I libro, e svolge funzione di commiato, assumendo implicitamente (come accadeva spesso nei poeti ellenistici) il valore di una dichiarazione di poetica. Il richiamo alla semplicità non è solo una scelta morale ed esistenziale ma anche stilistica ed estetica: come la vita, anche la poesia deve essere improntata a un ideale di sobrietà e di equilibrio. Il vino e il mirto, i due oggetti più luminosi della lirica, acquistano così un improvviso valore simbolico, e finiscono per rappresentare la poesia conviviale (il vino) e la poesia amorosa (il mirto, da sempre  consacrato a Venere).

Natura morta, affresco da Pompei. Napoli, Museo Archeologico Nazionale.

Nota metrica:

strofe saffica minore, composta da tre endecasillabi saffici e un adonio. Persicos odi, puer, adparatus, displicent nexae philyra coronae; mitte sectari, rosa quo locorum sera moretur.

[1-4] Non amo, ragazzo, lo sfarzo persiano, né mi piacciono le corone intrecciate con filo di tiglio; lascia di cercare dove ancora indugi la rosa tardiva.

Persicos... adparatus: lett. «gli apparati persiani»; lo sfarzo dei banchetti orientali era proverbiale. Il sostantivo plurale adparatus della IV declinazione (da adparo, a ˉ re, «preparare», «allestire») designa i «preparativi» del convito e indica, per metonimia, i banchetti stessi, in particolare lussuosi e magnifici. – odi: perfetto con valore di presente, dal verbo difettivo odisse; in italiano il primo significato («odiare») sarebbe troppo forte, così come suonerebbe eccessiva la traduzione letterale («mi dispiacciono»), nel verso successivo, di displicent; è opportuno quindi ricorrere all’attenuazione della litote. – displicent... coronae: nexae, participio perfetto di necto, nexui e nexi, nexum, e ˘ re («legare insieme», «connettere», «intrecciare») è riferito a coronae, nominativo plurale soggetto di displicent (dis + placeo, e ˉ re); philyra ˉ, ablativo strumentale da unire a nexae, è un grecismo prezioso in luogo del latino e più domestico tilia. Le ghirlande di fiori che i convitati si ponevano sul capo venivano intrecciate con un filo sottile (detto anch’esso philyra) ricavato dalla corteccia interna del tiglio. – mitte = omitte: «tralascia», «smetti»; usato correntemente in latino come formula, lievemente eufemistica, di proibizione. – sectari: infinito presente di sector, a ˉri, deponente, frequentativo-intensivo di sequor, vale «cercare alacremente», «continuamente», anche «affannosamente». L’imperativo di mitte ˘ re (o di altro verbo dal significato analogo, come fuge ˘ re) + infinito equivale a un imperativo negativo (cfr. fuge quaerere in Carmina I, 9, 13 [T10]). – rosa... moretur: proposizione interrogativa indiretta dipendente da sectari, dove l’anastrofe dell’ablativo quo e l’iperbato in enjambement danno rilievo al soggetto e all’attributo rosa... sera, forse un singolare per il plurale, le ultime rose sul finire dell’estate o nei primi giorni autunnali. L’immagine del-

5 Simplici myrto nihil adlabores sedulus curo: neque te ministrum dedecet myrtus neque me sub arta vite bibentem.

la «rosa tardiva» suscita l’idea della rarità e della ricercatezza, ma nel contempo allude forse, nel suo languore lievemente malinconico, al motivo della fuga del tempo. Il genitivo locorum ha valore partitivo (lett. «in quale dei luoghi»); moretur è congiuntivo presente di moror, a ˉri, deponente («indugiare», «attardarsi»).

[5-8] Non voglio che tu, premuroso, ti affanni ad aggiungere altro al semplice mirto; il mirto non è sconveniente né a te che servi a tavola né a me che bevo sotto il folto pergolato.

Simplici myrto: il mirto, arbusto assai comune nei giardini mediterranei, è detto «semplice» in contrapposizione ai fiori rari e preziosi; lo conferma la posizione forte del sintagma all’inizio della strofe, in simmetrica antitesi con Persicos... adparatus (v. 1). Ma l’espressione si può tradurre anche «al solo mirto», in quanto è l’unica pianta delle cui fronde il poeta desidera incoronarsi; non è improbabile che i due significati siano compresenti. – nihil adlabores... curo = non curo quicquam adlabores. Il pronome nihil nega curo (lett. «non m’importa», «non ci tengo») ed è nel contempo oggetto di adlabores (ad + laborare), che regge il dativo Simplici myrto; un verbo molto probabilmente coniato da Orazio, che unisce l’azione di «aggiungere» (ad) con quella di «affaticarsi»; infatti nella traduzione italiana è necessario ricorrere a due verbi distinti, per non perdere l’uno o l’altro dei significati. – sedulus: «premuroso», «zelante», con una sottintesa sfumatura di eccesso («troppo premuroso»); aggettivo in funzione predicativa del soggetto sottinteso tu, che si può rendere anche con un avverbio («premurosamente»). – neque... bibentem: costruisci myrtus neque dedecet te ministrum neque me bibentem sub arta vite. – neque... dedecet = et decet, litote, che intensifica il concetto anziché attenuarlo; dedecet, come il suo contrario decet («si addice», «è conveniente») regge l’accusativo della persona a cui conviene o sconviene qualcosa (te... me). – ministrum: sostantivo maschile singolare in caso accusativo, apposizione di te; equivale a ministrantem (da ministro, a ˉ re, «servire a tavola»). In taluni casi, tuttavia, minister è usato nel significato più specifico di «coppiere» (cfr. Catullo 27): «a te che fungi da coppiere», «che mesci il vino». – arta: ablativo femminile singolare dell’aggettivo artus, a, um («stretto») che nel contesto dell’ode può avere due significati: «fitto», «folto», a indicare un luogo gradevolmente fresco e ombroso; oppure «angusto», «ristretto», un altro emblema di vita semplice. – vite: ablativo concordante con arta; un pergolato formato di tralci di vite.

Analizzare il testo

1. Che cosa significa adlabores (v. 5)? Definisci a livello sintattico la proposizione di cui è il predicato, nonché la struttura dell’intero periodo. Cerca inoltre sul dizionario i significati dell’aggettivo simplex e traduci nei diversi modi possibili. 2. Individua gli enjambement presenti in questi versi, e osserva se pongono in rilievo parole-chiave. 3. Nel testo dell’ode compaiono vari nomi di fiori e di piante: si può darne un’interpretazione sul piano simbolico? 4. Spiega in che senso e per quali aspetti l’ode I, 38 rappresenta una dichiarazione di poetica.

T 15

Aequa mens Carmina II, 3 ONLINE

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