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T 6 Il seccatore (Sermones I, 9) IT

compressis agito labris; ubi quid datur oti, inludo chartis. Hoc est mediocribus illis 140 ex vitiis unum; cui si concedere nolis, multa poetarum veniet manus, auxilio quae sit mihi – nam multo plures sumus –, ac veluti te

Iudaei cogemus in hanc concedere turbam.

Sono i discorsi che tengo con me stesso a bocca chiusa; e se poi mi resta un ritaglio di tempo, mi diverto a metterli in carta. Ecco: questa è già una di quelle tali mie debolezze; e se tu non me la volessi passare, verrà tutta una schiera compatta di poeti a darmi man forte, perché siamo grande maggioranza, e, come fanno i Giudei, obbligheremo te a passare nelle nostre file.

(trad. di A. Ronconi)

143. Iudaei: una folta comunità ebraica si era stanziata in Roma fin dai tempi di Cesare, facendosi subito notare per l’in-

1. via Sacra: la via più antica e importante di Roma, che attraversava il Foro in tutta la sua lunghezza. sistente opera di proselitismo: di qui la battuta scherzosa di Orazio (Satire I,

11. Bolano: evidentemente un tipo irascibile. Il senso della frase è questo: avessi anch’io un carattere come quel9, 69-70 [T6] e Tibullo I, 3, 18 [T2, cap. 4]).

T 6

Sermones I, 9 ITALIANO

Il seccatore

In una Roma descritta con realistica concretezza – vengono nominati con precisione luoghi, vie, edifici, nonché i protagonisti della vita culturale urbana – l’autore ambienta una scenetta di carattere umoristico: un tale, che Orazio conosce appena, ma che vorrebbe essere presentato a Mecenate, perseguita il poeta tallonandolo da una parte all’altra della città. La figura del seccatore è disegnata con vivacità dialogica e finezza di particolari.

Passeggiavo cosí, senza mèta, per la Via Sacra, come uso fare, tutto assorto, meditando non so quali sciocchezze; mi viene incontro uno che conosco solo di nome, mi stringe la mano e: «Come va, carissimo?», dice. 5 «Benone», rispondo «per ora; e ti auguro ogni felicità».

Poiché non mi molla, lo anticipo: «Ti serve qualcosa?»

E lui: «Dovresti conoscermi, sono anch’io un letterato».

«Questo accresce la mia stima per te», di rimando.

Per seminarlo, ora m’affretto, ora mi fermo di botto 10 e parlo all’orecchio del servo; comincio a grondare sudore dalla testa ai piedi. «Come ti invidio, Bolano», dicevo tra me,

lo di Bolano, così potrei sbarazzarmi in fretta di questo seccatore!

«testa calda!»; mentre quello non tace un momento e tesse l’elogio e di una strada e della città; io zitto.

«Crepi di voglia d’andartene, lo vedo da un pezzo», 15 fa lui; «ma non mi sfuggi, ora t’ho preso e ti tengo, ti starò dietro ovunque tu vada». «Non c’è ragione», gli dico, «che tu faccia con me questo giro: vado a trovare uno che nemmeno conosci, che sta fuori di mano, oltre il Tevere, vicino ai giardini di Cesare». 20 «Non ho niente da fare e amo il passeggio; andremo insieme».

Abbasso le orecchie, come il povero asino troppo gravato.

Attacca: «Se ben mi conosco, non potrai in minor conto tenermi di Visco e di Vario; chi supera me nello scrivere versi e anche alla svelta? Chi sa danzare meglio di me? 25 Nel canto, poi, sono l’invidia di tutti, persino di Ermogene».

La misura era colma: «Ma non hai una madre», gli dico,

«un parente piú prossimo, che ci tenga al tuo stato?»

«Non ho piú nessuno, li ho tutti sepolti». «Beati loro: resto io; finiscimi, dunque, ché tanto un destino mi incombe 30 che mi rivelò, quand’ero ragazzo, una vecchia Sabina, scossa l’urna del fato: “Non saranno i veleni né spada funesta a portarti alla tomba; e nemmeno la tosse, la polmonite o la tarda podagra; sarai vittima un giorno di un chiacchierone. Da grande, sta’ attento! Schiva i loquaci”». 35 Giunti eravamo al tempio di Vesta, ed era volato un quarto del giorno; e lui, guarda caso, doveva recarsi, perché citato, in tribunale: non presentandosi, avrebbe perso la causa.

«Se mi vuoi bene», dice, «prestami un po’ d’assistenza».

«Ma non ne so niente di giudici e di sentenze! E poi devo andare». 40 «Sono in dubbio», fa, «se lasciare andar te o la causa».

«Me, senz’altro». «Non sia mai», dice lui; e tira avanti.

Ha vinto; col piú forte soccombi; son costretto a seguirlo.

«Come vanno le cose con Mecenate?», ripiglia; «certo, è uomo di pochi amici, ma di grande cervello. 45 Nessuno ha sfruttato meglio di lui la fortuna.

Sta certo che, se a lui mi presenti, ti sosterrei bene la parte di spalla; mi prenda un colpo se, con tale

19. vicino… Cesare: quelli che Cesare aveva lasciato in eredità al popolo di Roma. Si trovavano ai piedi del Gianicolo: dalla via Sacra, dunque, almeno un’ora di cammino. 23. Visco... Vario: poeti amici di Orazio. Per Vario Rufo, uno dei maggiori letterati del suo tempo, cap. 1.6. 25. Ermogene: ballerino e cantante alla moda. 31. l’urna del fato: dall’urna divinatoria, convenientemente agitata, venivano estratte delle piccole lamine di piombo, con incise le profezie. 35. al tempio di Vesta: piccolo e rotondo, si trovava all’estremità del Foro, tra il Campidoglio e il Palatino, vicino al tribunale del pretore. Nel tempio ardeva costantemente la fiamma sacra di Roma. 35-36. un quarto/ del giorno: fra le nove e le dieci del mattino.

rinforzo, non faresti fuori d’un tratto i rivali».

«Non è fatto cosí Mecenate: non c’è casa piú pura di quella 50 e lontana da tali miserie; non m’importa, sta’ certo, se qualcuno è piú ricco e piú colto di me: lí c’è posto per tutti».

«Gran cosa mi narri, da crederci appena». «Eppure è cosí».

«Mi accresci la voglia di stargli vicino». «Basta volere: il tuo merito è tale che potrai conquistarlo. 55 Si sa vulnerabile, e per questo rende l’approccio difficile».

«Non importa: riuscirò a corromper la gente di casa; respinto oggi, non mollerò l’impresa; troverò il momento opportuno; gli andrò incontro per strada; lo seguirò.

Nulla concede la vita agli uomini se non a prezzo 60 di grandi fatiche». Mentre discorre cosí, mi viene incontro Aristio Fusco, un caro amico che doveva conoscere bene il nostro. Ci fermiamo. «Da che parte vieni?», e: «Dove vai?»: le solite domande e risposte.

Qui comincio a tirargli la veste e a dargli di gomito 65 (ma lui fa finta di niente), a strizzargli l’occhio per farmi cavare d’impiccio. Quell’atroce burlone, ridendo, fa il nesci. Il fegato mi bruciava di bile.

«Non volevi parlarmi», gli dico, «di qualcosa in privato?»

«Ricordo, ma troveremo un momento migliore: è sabato, 70 oggi, ed è luna nuova; non vuoi rispettare i Giudei?»

«Non ho questi scrupoli», dico. «Ma io sí, ho questi problemi, come tanti. Ne riparleremo». Proprio una brutta giornata!

Se ne scappa il vigliacco, e mi lascia sotto il coltello.

Per fortuna, ecco viene diritto verso di noi l’avversario 75 e: «Dove fuggi canaglia?», gli grida a gran voce; e a me: «Mi vuoi fare da teste?» Porgo senz’altro l’orecchio; lo trascina in tribunale: strepito, gente che accorre da tutte le parti. Fui salvo, grazie ad Apollo.

(trad. di G. Manca)

61. Aristio Fusco: grammatico e commediografo, tra i più cari amici di Orazio. 69-70. è sabato… i Giudei?: si tratta di un sabato, giorno festivo per gli Ebrei, che per di più coincide col novilunio, primo giorno del mese lunare (altra ricorrenza importante della religione ebraica). La battuta è ovviamente ironica: non a caso Orazio risponde di non avere «questi scrupoli», cioè di non credere a tali superstizioni. Questa e altre testimonianze indicano la presenza di una cospicua comunità ebraica a Roma (T5, nota al v. 143 di Satire I, 4). che sta per essere immolata sull’altare. 76-77. Porgo… l’orecchio: si poteva trascinare a forza un avversario in tribunale solo in presenza di un testimone, al quale si toccava con un gesto rituale il lobo dell’orecchio, per rammentargli l’impegno; Orazio accetta insomma di far da testimone.

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