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4 Le Odi

Quattro libri Orazio si dedica alla composizione delle Odi (Carmina in latino) dopo il 30 a.C.: nel 23 pubblica i primi tre libri; verso il 14-13 il IV; ad essi si deve aggiungere il Carmen Saeculare, che gli fu commissionato per i ludi Saeculares del 17 a.C. Una struttura architettonica Le liriche sono organizzate in modo da creare un’architettura ricca di simmetrie e di rispondenze: le odi di apertura e di chiusura sono indirizzate a personaggi importanti (Mecenate, Augusto, Pollione) o dedicate a questioni di poetica (ad esempio III, 30 [T19]); la prima ode del I libro e l’ultima del III (che ha funzione di commiato) sono composte sul medesimo metro (l’asclepiadeo minore, che non ritorna in nessun’altra composizione dei primi tre libri) così da rendere ancor più significativa la loro collocazione. La struttura si fonda sulla norma ellenistica della variatio, attuata sia sul piano metrico-formale sia su quello dei contenuti. Le prime nove odi del I libro, ad esempio, utilizzano nove metri differenti. Carmi di carattere privato vengono sapientemente alternati ad altri di carattere civile; a uno stile alto segue uno stile più tenue e leggero. In un tale contesto, diventa ancora più rilevante e significativa la presenza di sequenze monotematiche: le prime sei odi del III libro, ad esempio (le cosiddette «odi romane»), affrontano temi civili e nazionali. Modelli lirici Come già negli Epodi, ellenistica è l’organizzazione strutturale e la raffinatezza compositiva dell’opera; orientata verso il mondo classico è invece la scelta dei modelli: negli Epodi Archiloco; nelle Odi Alceo e Pindaro (ma non mancano spunti da Saffo, da Simonide, da Bacchilide e soprattutto da Anacreonte).

Alceo e Pindaro non rappresentano solo due diversi modi della lirica classica (monodica e corale) ma anche i due poli della lirica oraziana: Alceo per i carmi di materia e di stile tenue; Pindaro per quelli di tono e di contenuto più alto. Alceo Di Alceo (a cui si fa riferimento in numerose odi, a cominciare da I, 1 e III, 30 [T19]) Orazio apprezza la molteplicità dei temi e dell’ispirazione (dalla poesia civile agli inni religiosi alla poesia erotica). Restano, naturalmente, profonde le differenze fra i due poeti: Alceo era un aristocratico che aveva partecipato impetuosamente alla vita politica della sua città, mentre Orazio si limita su questo fronte a svolgere motivi di carattere celebrativo, restando ai margini degli eventi pubblici; i versi di Alceo nascevano da precise occasioni sociali (simposii, festività religiose) ed erano destinati a un’esecuzione orale per un uditorio circoscritto e ben definito, mentre la poesia di Orazio è il frutto di una civiltà cosmopolita fondata sulla scrittura e sulla circolazione del libro. Pindaro Più complesso il rapporto con Pindaro, che Orazio considera inimitabile per la potenza fantastica ed espressiva delle sue liriche: in IV, 2, ad esempio, al fiume smisurato e ribollente della poesia pindarica Orazio oppone i propri operosa carmina, composizioni costruite secondo un principio di laboriosità artigianale.

Orazio si rifà al modello pindarico soprattutto nei momenti più alti e solenni della sua poesia: in I, 37 [T13], ad esempio, nelle «odi romane» del libro III o in numerose composizioni del libro IV (si veda a questo proposito [T21 ONLINE]), dove fa uso di uno stile grave e sublime, di metafore grandiose, di passaggi bruschi e potenti, di una sintassi ampia e in continua espansione che tende a straripare

dai confini della strofe metrica, diversamente dai moduli più semplici e misurati della poesia di stile tenue (di cui può costituire un esempio significativo l’ode di congedo dal I libro [T14]). Orazio poeta-vates Pindaro rappresenta, agli occhi di Orazio, un esempio di vates, di poeta sacro ispirato da forze superiori, guida spirituale di una comunità: da lui deriva anche, non a caso, il tema dell’immortalità della poesia, sul quale si conclude la raccolta dei primi tre libri delle Odi [T19]. È anche questo un segno del profondo mutamento di indirizzo artistico e culturale intervenuto nell’età di

Augusto: Orazio, come Virgilio, è un poeta di formazione alessandrina e neoterica che si orienta verso tematiche di maggior respiro e di più alto impegno civile rispetto alla poetica ellenistica del lusus e del divertissement erudito. Alla poesia, in assenza di speranze ultraterrene, viene dunque affidato l’altissimo compito di vincere il tempo e la morte, di esprimere una forza salvifica, simboleggiando l’armonia e l’ordine universale delle cose. Rapporto con i modelli Un modello, per i poeti latini, non rappresentava uno schema vincolante da seguire in maniera passiva, ma un orizzonte, una stella polare che definiva un orientamento, senza per questo limitare la libertà compositiva dell’autore. Il rapporto di Orazio con i modelli classici ed ellenistici si sviluppa attraverso i tradizionali procedimenti allusivi diffusi in Roma dall’esperienza della poesia alessandrina e neoterica: l’imitazione si traduce allora in emulazione, in una sfida al modello preesistente, che non viene occultato bensì esibito, proprio perché il lettore sia messo in grado di verificare la novità e l’originalità delle soluzioni adottate. Giorgio Pasquali ha indicato nel «motto» uno dei procedimenti più caratteristici di Orazio lirico: alludere vistosamente nei primi versi di un carme a un componimento greco, per poi distaccarsene immediatamente prendendo una strada diversa. I versi del poeta greco funzionano come un motto, una «formula elegante» (Pasquali) che dichiara aperta la gara con il modello. Si vedano a questo proposito gli esempi di I, 9 [T10] e di I, 37 [T13], dove il motto, in entrambi i casi, corrisponde a una “citazione” da Alceo. Varietà di temi e motivi Le Odi, in tutto 103, svolgono temi e motivi molto vari.

La preminenza che possiamo accordare agli uni piuttosto che agli altri dipende almeno in parte dal nostro gusto di lettori moderni, portati a privilegiare la poesia di ispirazione privata e autobiografica su quella di ispirazione pubblica e civile (le odi romane, le celebrazioni di Augusto, i carmi di soggetto religioso-sacrale).

Gli interessi filosofici, già presenti nella produzione epodica e soprattutto in quella satirica, continuano a prevalere nella poesia delle Odi. Non mutano gli orientamenti: la ricerca dell’autosufficienza interiore (autárkeia) e della tranquillitas animi, perseguibili solo attraverso la pratica della moderazione (modus). Aurea mediocritas (II, 10, 5) chiama il poeta, con fulminante sintesi poetica, tale regola di vita: mediocritas traduce il termine greco metriótes («il giusto mezzo», dunque la moderazione); ma l’aggettivo aurea conferisce al concetto uno splendore sconosciuto al discorso filosofico. Destinata storicamente a ugual fortuna è l’espressione aequa mens (II, 3, 1-2 [T15 ONLINE]), che designa l’animo imperturbato (aequus, cioè che non muta, che resta sempre uguale a se stesso) nella sventura come nella prosperità. L’affinità con il mondo delle satire è tuttavia solo di ordine contenutistico; cambiano invece il tono e il codice espressivo: nelle Odi «non si argomenta,

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