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T 13 Per la morte della regina Cleopatra (Carmina I, 37) LAT
T 13
Carmina I, 37 LATINO
Nota metrica:
sistema alcaico, composto da due endecasillabi alcaici seguiti da un enneasillabo e da un decasillabo alcaici.
Per la morte della regina Cleopatra
L’ode testimonia del clima di esultanza e del senso di sollievo che si diffusero in Roma alla notizia del suicidio di Cleopatra (agosto del 30 a.C.), poco dopo la resa di Alessandria e la morte di Antonio, a quasi un anno di distanza dalla battaglia di Azio (2 settembre del 31). Lo spunto iniziale è già in un carme di Alceo (fr. 332 Lobel-Page), che esprime con irruenza passionale la propria gioia alla notizia della morte di Mírsilo, tiranno di Mitilene: «Ora bevete tutti, ubriacatevi, / magari a forza: è morto Mirsilo!» (trad. di G. Perrotta). Ma il tono impetuoso subito si smorza nel ricordo solenne delle antiche cerimonie sacre di Roma (vv. 2-4) e l’interesse si sposta gradatamente sulla figura drammatica di Cleopatra, caratterizzata prima dal delirio dei suoi rovinosi piani politici (vv. 6-8) e dalla depravazione dei costumi (vv. 9-14), poi dal senso di paura e di fragilità che l’assale nella sconfitta e nella fuga (le similitudini al v. 18), infine dal coraggio che dimostra nell’affrontare la morte da regina piuttosto che cadere prigioniera del vincitore (vv. 21-32).
Nunc est bibendum, nunc pede libero pulsanda tellus, nunc Saliaribus ornare pulvinar deorum tempus erat dapibus, sodales.
5 Antehac nefas depromere Caecubum cellis avitis, dum Capitolio regina dementis ruinas funus et imperio parabat
[1-4] Ora si deve bere, ora con piede libero si deve danzare, ora è tempo di ornare il letto degli dèi con vivande degne dei Salii, o amici.
Nunc ... nunc ... nunc: l’ode si apre con un impetuoso, liberatorio scatto di esultanza; la triplice anafora scandisce l’intensità della gioia evocando mimeticamente il ritmo della danza cui il poeta invita ad abbandonarsi senza freno. Nunc si contrappone con forza ad Antehac (v. 5). – est bibendum: costruzione perifrastica passiva impersonale con il gerundio di bibo, e ˘ re («bere»). – pede ... tellus: lett. «si deve battere la terra con piede libero», ossia lanciarsi in una danza sfrenata. La costruzione perifrastica passiva (pulsanda [est]), come la precedente (bibendum est), non esprime una semplice esortazione, ma equivale a un imperativo ineludibile («si deve»). Il ritmo frenetico della danza viene sottolineato anche dall’allitterazione in p (pede ... pulsanda). – nunc ... tempus erat: l’imperfetto erat, unito a nunc, ha suscitato non poche perplessità; ma certo si tratta di un modo felicemente ardito di esprimere il desiderio di veder subito attuato ciò che si attendeva con impazienza: «ora – ed era tempo! – si deve ornare». – Saliaribus... dapibus: i banchetti dei Salii, uno dei più antichi collegi sacerdotali romani, erano proverbiali per fasto e abbondanza. Dapibus, dal femminile daps, dapis, è vocabolo di ascendenza rituale e sacrale che designa il «cibo», la «vivanda» imbandita in un banchetto sacrificale, comunque festivo, e per metonimia il banchetto o convito stesso. – pulvinar: lett. «cuscino»; per sineddoche vale lectus. Orazio allude alla solenne cerimonia religiosa del lectisternium, durante la quale alle statue degli dèi, adagiate su letti tricliniari, veniva offerto un banchetto di supplica o di ringraziamento.
[5-12] Prima d’ora non era lecito trar fuori il Cècubo dalle cantine degli avi, fintanto che una regina preparava folli rovine al Campidoglio e sterminio all’impero col [suo] branco infetto di uomini deturpati dal morbo, sfrenata [tanto da] sperare ogni cosa ed ine-
briata dalla dolcezza della fortuna. Antehac: si contrappone a Nunc (v. 1); l’antitesi è rafforzata dalla collocazione simmetrica dei due avverbi di tempo in apertura di strofe consecutive. – nefas: sott. erat, da cui dipende l’infinitiva soggettiva depromere Caecubum. Il vocabolo esprime «ciò che non è lecito» secondo la legge divina, pertanto l’espressione vale «era sacrilegio», in quanto violazione di un sacro divieto. – Caecubum: vino pregiato del Lazio meridionale. La menzione del Cecubo vale a contrapporre il vino italico, da versare durante un rituale rendimento di grazie agli dèi, all’egizio, inebriante vino Mareotico (v. 14), che scatena il furor di Cleopatra (e dell’innominato Antonio [Leggere un testo critico, p. 229]). – cellis avitis: ablativo di separazione o allontanamento. Al sostantivo femminile cellis (cella, ae; genericamente «deposito») occorre
contaminato cum grege turpium 10 morbo virorum, quidlibet inpotens sperare fortunaque dulci ebria. Sed minuit furorem
vix una sospes navis ab ignibus, mentemque lymphatam Mareotico 15 redegit in veros timores Caesar ab Italia volantem
sottintendere vinariis. – regina: Cleopatra, che non viene mai nominata nel testo. Si noti che non compare qui alcun riferimento, neppure indiretto, ad Antonio: la guerra aziaca viene presentata, secondo l’impostazione ufficiale della propaganda augustea, come un conflitto fra la res publica romana e il dispotismo orientale, non già come una guerra civile. – dementis: accusativo plurale concordato per ipallage con ruinas invece che con regina, alla quale logicamente si riferisce («una folle regina»); la figura retorica, conservata nella traduzione («folli rovine»), ha una potenza espressiva che ben si addice alla ricerca stilistica oraziana in quest’ode. – Capitolio: dativo di svantaggio da collegare a parabat, in vistoso iperbato. Il colle del Campidoglio, sede dell’antichissimo e venerato tempio di Giove Ottimo Massimo, è qui assunto dal poeta a simbolo per eccellenza della civiltà romana fin dalle più remote origini, minacciata dalla distruttiva brama di dominio della regina egiziana. E si osservi infatti l’accostamento antitetico, enfatizzato dall’enjambement (vv. 6-7) Capitolio/regina, nome (come il corrispondente maschile rex) notoriamente inviso ai Romani. – funus et = et funus, anastrofe; il sostantivo neutro in caso accusativo, oggetto di parabat (come ruinas, v. 7) ha come primo significato «funerale», «sepoltura»; per estensione, «morte»; pertanto, nel contesto, «rovina», «catastrofe». – imperio: dativo di svantaggio (come Capitolio, v. 6). – contaminato ... virorum: costruisci cum grege contaminato virorum turpium morbo. Sprezzante e sarcastica l’immagine, sottolineata dalle scelte lessicali: gli eunuchi della regina sono detti ironicamente «uomini» (virorum) dopo essere stati definiti spregiativamente «branco», «mandria» (grege). – contaminato cum: anastrofe. Il costrutto di cum + ablativo (contaminato ... grege), da collegare a regina ... parabat, esprime il complemento di compagnia. – morbo: dal punto di vista semantico, il termine può designare la perversione sessuale o, in senso più specifico, la condizione degli eunuchi, evirati che spesso acquisivano notevole influenza e venivano innalzati a posizioni di potere secondo un diffuso costume orientale, ripugnante per i Romani. – quidlibet: lett. «qualsiasi cosa», pronome indefinito neutro in accusativo, oggetto di sperare. – fortunaque dulci ebria: lett. «ebbra per la dolce fortuna»; fortuna ... dulci è ablativo di causa retto dal nominativo ebria, aggettivo (riferito come il precedente inpotens a regina) usato qui in senso metaforico, ma che già allude all’ebbrezza provocata dal vino (v. 14). Cleopatra è detta ebria sia perché incapace di cogliere la realtà effettuale e posseduta da una sorta di invasamento; sia perché dedita al vino, nello scenario degli orgiastici banchetti di corte che fornivano abbondante materia alle accuse di corruzione morale mosse dalla propaganda augustea contro la regina e contro Antonio.
[12-21] Ma frenò la sua follia una sola nave a stento scampata alle fiamme, e la sua mente sconvolta dal vino Mareotico ricondusse a reali timori Cesare, incalzando a forza di remi lei che fuggiva a volo dall’Italia, come lo sparviero [insegue] le tenere colombe o il veloce cacciatore la lepre sui campi della nevosa Emonia, per dare alle catene quel fatale prodigio.
Sed: l’avversativa in forte rilievo introduce la sezione centrale dell’ode, nella quale vengono in primo piano le immagini della battaglia di Azio e la figura salvifica di Ottaviano. – minuit: perfetto indicativo di minuo, e ˘ re («diminuire», «reprimere», ma anche «distruggere», «spegnere»). Il soggetto è una ... navis (v. 13) – furorem: la folle frenesia di Cleopatra, anticipata da termini quali dementis (v. 7) ed ebria (nello stesso v. 12); Orazio vi insiste ancora, poco più oltre, con lymphatam (v. 14). – sospes ... ab ignibus: l’aggettivo sospes, ı˘tis («salvo», «incolume») è costruito con l’ablativo di separazione o allontanamento retto da ab. Si noti nel v. 13 il doppio iperbato incrociato. – mentem ... lymphatam: oggetto di redegit, il cui soggetto è Caesar. L’aggettivo lymphatus (o lymphaticus) deriva dal greco nýmphe («ninfa») e propriamente designa, secondo un’antica credenza, chi è impazzito per aver veduto una ninfa. – Mareotico: «per il vino di Mareia»; ablativo di causa dell’aggettivo neutro Mareoticum (sott. vinum), un vino bianco e dolce che si produceva sulle rive del lago o palude Mareotide, ove sorgeva Mareia, città non lontana da Alessandria, celebre per i suoi vini. – in veros timores: Ottaviano «riconduce», «riporta» (redegit, da redı˘go, e ˘ re, composto di ago) la mente di Cleopatra, in preda al delirio della follia, dalle infondate speranze alla realtà, e perciò alla paura. – Caesar: viene infine espresso il soggetto della proposizione coordinata (vv. 14-15), in realtà soggetto logico anche della principale (Sed minuit ... ab ignibus, vv. 12-13), lungamente rinviato per acuire l’attesa, con l’effetto di conferire al nome il massimo rilievo. Si noti che Ottaviano è designato con il cognomen Caesar, assunto per adozione da Giulio Cesare, il che non manca di sottolinear-
remis adurgens accipiter velut mollis columbas aut leporem citus venator in campis nivalis 20 Haemoniae, daret ut catenis
fatale monstrum. Quae generosius perire quaerens nec muliebriter expavit ensem nec latentis classe cita reparavit oras;
ne il prestigio e la potenza guerriera. – ab Italia volantem: sott. eam (= reginam); il participio presente in accusativo è oggetto di adurgens. – remis: ablativo strumentale («con i remi»), retto da adurgens; verosimilmente sineddoche per navibus, sebbene non sia affatto da escludere la possibilità di una traduzione più vicina al significato proprio («a forza di remi»), che metta in rilievo la tempestività e l’efficacia dell’accanito inseguimento espresso dal verbo. – adurgens: participio presente in nominativo (da adurgeo, e ˉ re, «incalzare», «dare la caccia») riferito a Caesar, in funzione di participio congiunto dipendente da redegit (v. 15). – accipiter ... columbas: costruisci velut accipiter (adurget) mollis (= molles) columbas. – aut leporem ... venator: costruisci aut (velut) citus venator (adurget) leporem. Ellissi del verbo in entrambe le similitudini, dove inoltre i soggetti (accipiter; venator) e i complementi oggetti (columbas; leporem) si dispongono con studiata eleganza in un chiasmo; in modo altrettanto raffinato sono dosati poi gli attributi, l’uno (mollis) a qualificare il complemento oggetto della prima similitudine, l’altro (citus), all’estremo opposto del verso 18, il soggetto della seconda similitudine. – nivalis: l’aggettivo in caso genitivo concorda con Haemoniae, ma potrebbe riferirsi per ipallage a campis («nei campi innevati dell’Emonia»). – Haemoniae: antico e poetico nome della Tessaglia; da Emone, padre di Tessalo, eroe eponimo della regione. – daret ut = ut daret, anastrofe (come al v. 17 accipiter velut). La congiunzione ut introduce una proposizione finale in dipendenza da adurgens, il cui soggetto è sempre Caesar. – catenis: dativo plurale retto da daret; «per dare alle catene», ossia «per mettere in catene». Il disegno di Ottaviano era di catturare viva la regina per condurla incatenata dietro al suo carro nel corteo del trionfo. – fatale monstrum: oggetto di daret ... catenis, ovviamente riferito a Cleopatra. L’espressione, rilevata dall’enjambement, nella sua ambiguità prepara il passaggio all’ultima parte dell’ode, in cui la figura dell’egiziana viene investita di una nuova luce di tragica dignità. Infatti monstrum significa «mostro», «prodigio» in quanto fenomeno contro natura, che suscita orrore, ma anche stupore per la sua eccezionalità; soprattutto, è un «segno» degli dèi, che rappresenta, secondo etimologia, un «ammonimento» (da moneo). D’altro canto fatale designa ciò che avviene per decreto del fato, e può assumere quindi il significato di «letale», «funesto» (fatum, nel suo statuto di vox media, è anche uno dei numerosi eufemismi per «morte», «rovina»). Il sintagma dunque, nel contesto, vale «essere prodigioso voluto dal fato».
[21-24] Ma essa, volendo morire più nobilmente, non ebbe paura, da donna, della spada, e neppure cercò un rifugio con la veloce flotta su lidi remoti;
quae = at illa. Il pronome relativo ha valore avversativo e si riferisce al soggetto logico dominante, la regina, che viene da questo momento in poi rappresentata nella sua dignità regale. – generosius: comparativo dell’avverbio generose, dall’aggettivo generosus («nobile», «magnanimo»), a sua volta derivato dal sostantivo neutro genus, e ˘ris («stirpe», «schiatta»; specialmente usato per indicare una «nobile origine»). Cleopatra sceglie di morire «più nobilmente», «in modo più onorevole» rispetto alla sorte che le avrebbe riservato Ottaviano. – quaerens: participio congiunto, regge l’infinito perire (costrutto poetico di quaero). – muliebriter: lett. «come una donna», ossia «con debolezza femminile»; dopo generosius (v. 21), è il secondo avverbio cui è affidato (qui mediante la forma negativa della proposizione) l’aperto riconoscimento della dignità e del virile coraggio della regina. – nec ... expavit ensem: la prima delle due proposizioni coordinate introdotte da nec in anafora; ensem, oggetto di expavit, perfetto indicativo di expavesco, e ˘ re («paventare», «aver paura di»), indica «la spada» di Ottaviano, metonimia che storicamente si riferisce all’avanzata delle sue legioni verso l’Egitto. – nec latentis ... oras: latentis = latentes, accusativo plurale del participio-aggettivo latens («nascosto» da lateo, e ˉ re) concordato con oras, oggetto del perfetto indicativo reparavit. Si allude probabilmente a un tentativo degli sconfitti di trovar rifugio sulle rive lontane, inaccessibili (latentis ... oras) del Mar Rosso, trasportandovi la flotta dalle acque del Mediterraneo attraverso l’istmo di Suez, fallito per l’opposizione degli abitanti dell’Arabia Petraea (Plutarco, Vita di Antonio 69). – classe cita: ablativo strumentale, in allitterazione.
25 ausa et iacentem visere regiam voltu sereno, fortis et asperas tractare serpentes, ut atrum corpore conbiberet venenum,
deliberata morte ferocior: 30 saevis Liburnis scilicet invidens privata deduci superbo non humilis mulier triumpho.
[25-28] anzi, ebbe anche il coraggio di guardare con volto sereno la sua reggia abbattuta, e di maneggiare da forte i serpenti irti di squame, per berne con [tutto] il corpo il nero veleno,
ausa: sott. est; lett. «osò», perfetto indicativo di audeo, ausus sum, e ˉ re, semideponente; oppure participio perfetto con valore di presente («osando»). – et ... visere: et = etiam («anche», «persino»); è possibile che et sia invece correlativo dell’altro et al verso seguente (fortis et ... tractare, v. 26). L’infinito presente vise ˘ re (viso, intensivo di video) è retto da ausa. – iacentem ... regiam: oggetto di visere. Il participio presente in accusativo (da iaceo, e ˉ re) significa che Cleopatra ebbe la forza di contemplare impassibile la sua «reggia», per metonimia la sua corte, umiliata e sconfitta, «prostrata»; ossia l’annientamento del suo potere regale. Il poeta rende qui omaggio alla regina attribuendole una stoica fermezza, qualità notoriamente ammirata dai Romani. – fortis et ... serpentes: la struttura sintattica qui è ambigua; nella traduzione proposta si interpreta come una proposizione coordinata mediante la congiunzione et posposta in anastrofe a fortis predicativo, per cui tractare dipende da ausa (est). Discussa anche l’interpretazione di asperas, aggettivo in caso accusativo riferito a serpentes (femminile), oggetto di tractare: può valere «ruvidi», «squamosi» al tatto, come sembrerebbero confermare il verbo e l’insistita allitterazione in s; oppure «terribili», «feroci»; o ancora, forse meglio, «inferociti», aizzati dalla regina stessa che, secondo una delle varie versioni della sua fine, riferita da Plutarco, irritò l’aspide nascosto in un orcio pungendolo con un fuso d’oro. – ut ... conbiberet: proposizione finale; conbiberet, più intenso ed espressivo del verbo semplice (cum + bibo, e ˘ re) vale qui «assorbire». – corpore: ablativo strumentale. L’allitterazione in c lega i due termini contigui dando impressionante rilievo al deciso gesto di morte della regina, che non indietreggia e non trema di fronte all’orrore. – atrum: «nero», «fosco» è detto il veleno degli aspidi per gli effetti che provoca (annerimento e gonfiore della pelle), ma soprattutto perché il nero è il colore della morte. Per traslato, in ogni caso, atrum è ampiamente attestato nel significato di «atroce», «terribile», «funesto».
[29-32] più fiera dopo aver deciso la morte, vietando – s’intende – alle spietate Liburne di condurla in qualità di privata, lei donna regale, nel superbo trionfo.
deliberata morte: ablativo assoluto con valore causale-temporale, oppure ablativo di causa retto dal comparativo ferocior («più fiera per la morte [da lei] decisa»). – saevis ... triumpho: costruisci scilicet invidens saevis Liburnis deduci superbo triumpho, privata, non humilis mulier. La costruzione sintattica è discussa: in quella da noi accolta saevis Liburnis è dativo retto da invidens, mentre superbo triumpho è ablativo strumentale retto da deduci. Secondo altri saevis Liburnis sarebbe ablativo strumentale retto da deduci e superbo triumpho dativo di scopo: «rifiutando di essere condotta sulle spietate Liburne... per il superbo trionfo». – saevis Liburnis: le Liburnae, così chiamate dai Liburni, una popolazione marinara dell’Illiria, erano navi velocissime e leggere particolarmente adatte agli spazi ristretti per la loro agilità di manovra, usate da Ottaviano; al contrario le navi di Antonio erano più grandi, lente e pesanti, fattore non secondario nell’esito della battaglia aziaca. Mediante l’aggettivo saevae («spietate», «crudeli»), alle navi Liburne personificate viene attribuita l’implacabilità del vincitore, ovviamente deciso a infliggere un’offesa e una degradazione intollerabili per la dignità regale di Cleopatra. – scilicet: avverbio (= scire licet, lett. «è lecito sapere»); «evidentemente», «naturalmente». – invidens: participio presente di invideo, e ˉ re («rifiutare», «togliere la possibilità»). – privata: «da donna privata», «come una donna qualunque», non più regina; predicativo del soggetto connesso a deduci. In latino privatus (da privo, a ˉ re), aggettivo e sostantivo, si contrappone a publicus; il «privato» etimologicamente designa colui che è «privo» di cariche. – deduci: infinito presente passivo di deduco, e ˘ re, lett. «essere condotta», retto da invidens. – non humilis mulier: litote; lett. «donna di non umile condizione». Nelle tre ultime strofe (dal v. 21, quae generosius) si registra una graduale espansione dei cola sintattici, fino al più ampio (vv. 3032) che «chiude con energica grandiosità tutta l’ode» (A. La Penna). E si noti, nei due versi conclusivi, la ricercata e complessa disposizione dei vocaboli: non humilis si colloca in antitesi con privata (v. 31), simmetricamente entrambi in principio di verso, mentre superbo corrisponde a triumpho in fin di verso; nel v. 31 privata forma un’ulteriore antitesi con superbo ai due estremi del verso, come non humilis nel v. 32 con triumpho.
LETTURA e INTERPRETAZIONE
Nunc est bibendum: la “risposta” all’Epodo 9
Orazio riprende l’esordio irruente di Alceo, citato nell’introduzione, secondo un modulo caratteristico della sua tecnica compositiva (il “motto” iniziale), ma al tempo stesso si richiama a un proprio precedente componimento, “rispondendo” finalmente, dopo un anno di ansiosa attesa, alla domanda posta nei versi d’apertura dell’Epodo 9 [T2 ONLINE] a Mecenate per la vittoria di Azio:
«Quando sarà che il Cecubo riposto per i conviti festivi, lieto per la vittoria di Cesare io beva insieme a te (se a Giove sarà grato) nella tua alta casa, o Mecenate beato, mentre la lira farà risuonare il suo canto misto a quello dei flauti, questa sul ritmo dorico, quelli sul ritmo barbarico [= frigio o lidio]?»
La figura di Ottaviano
Il riconoscimento della grandezza dell’avversario non era inconsueto nella tradizione epica e storiografica latina: d’altra parte, rendere omaggio al valore dei nemici vinti era anche un modo di esaltare la potenza dei vincitori. I furori della regina sono domati dalla risolutezza di Ottaviano, disegnato nelle strofe centrali dell’ode (vv. 15-20) come su un bassorilievo celebrativo nell’atto di inseguire la sua preda. Alla figura drammatica e mossa di Cleopatra, al pathos tragico della sua morte, fanno riscontro la solidità olimpica e la forza interiore di Ottaviano: i moduli sono quelli della propaganda contemporanea, che aveva fatto della guerra combattuta con Antonio e Cleopatra uno scontro fra l’Oriente irrazionale e mostruoso e l’Occidente romano fondato sull’ordine della legge e della ragione.
Al centro dell’ode due similitudini: Omero e Callimaco
Due similitudini, immediatamente consecutive ma molto diverse fra loro (vv. 17-20), conferiscono bellezza eroica all’impresa e tensione immaginativa al motivo encomiastico. La prima è omerica: proviene da Iliade XXII, 138 sgg., con l’immagine di Achille che si slancia su Ettore tremante «come uno sparviero sui monti, il più veloce degli uccelli, si avventa speditamente dietro una trepida colomba» (trad. di G. Tonna). Nella seconda similitudine, invece, la precisa ambientazione della scena venatoria e la scelta della nominazione ricercata, mitologicamente allusiva, nonché dell’epiteto convenzionale (la Tessaglia «nevosa») rispondono al gusto alessandrino dell’erudizione geografica; la probabile fonte del vivido quadretto è un epigramma di Callimaco (che già Orazio aveva ripreso in Sermones I, 2, 105-106).
Lo stile dell’ode: il modello pindarico
Rispetto allo stile tenue e classicamente equilibrato delle Odi, qui Orazio sceglie un modello più complesso, ispirato agli epinici («canti di vittoria») pindarici: stile grandioso, potenza vigorosa delle immagini, periodo sintattico in continua espansione, con l’uso, tipicamente pindarico, di participi e di aggettivi che aprono nuove proposizioni al di là della misura composta del verso e della strofa. Nei versi 10-11, ad esempio, è particolarmente audace l’insolita costruzione del participio-aggettivo inpotens, «incapace di frenarsi» (in + possum), riferito a regina (v. 7), con l’infinito (sperare), rilevata dal forte enjambement.
Testa della regina Cleopatra, I secolo a.C. Londra, British Museum.