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Orazio nel tempo
Orazionel TEMPO
Presso i contemporanei Grande fu la fa-
ma di Orazio già presso i contemporanei: dopo la morte di Virgilio (19 a.C.), egli apparve come il poeta più rappresentativo della sua epoca, e a lui, come si è visto, si rivolse Augusto per il solenne Carmen Saeculare. Alla raffinatezza stilistica della poesia oraziana rende omaggio un passo dei Tristia (IV, 10, 49-50 [T17, cap. 5]) di Ovidio: «affascinò le mie orecchie Orazio ricco di ritmi, / mentre toccava sulla lira ausonia carmi di dotta fattura». Già nel commiato al I libro delle Epistole [T27 ONLINE], Orazio aveva del resto immaginato la diffusione della propria opera fin nei centri più remoti dell’impero.
In età imperiale Divenuto ben presto un classico, Orazio fu studiato nelle scuole imperiali e commentato dai grammatici. Alla fine del I secolo d.C. Quintiliano (Inst. or. X, 1, 96) lo considera quasi il solo poeta lirico degno di essere letto, motivando il giudizio con precise osservazioni stilistiche: «infatti talvolta si leva in alto ed è pieno di grazia e di fascino ed è vario nelle figure e audace molto felicemente nella scelta delle parole». Petronio, sia pure attraverso la voce di un personaggio ambiguo e beffardo come il poeta Eumolpo, loda apertamente la squisitezza formale della poesia di Orazio e la sua curiosa felicitas (Satyricon 118), espressione con la quale vuole indicare una felicità espressiva frutto di accurata ricerca formale. Altrettanto grande la fortuna della poesia satirica oraziana, a cui si ispirano nel corso della prima età imperiale sia Persio che Giovenale. Quintiliano considera Orazio «satiro» molto più terso e puro di Lucilio (X, I, 94), in ogni caso il più grande (praecipuus) nel genere.
In età cristiana e nel Medioevo Con
l’avvento della cultura cristiana, l’interesse si concentra sui contenuti etico-morali della poesia oraziana. La ricerca della saggezza, la valorizzazione dell’interiorità, il disinteresse per gli onori pubblici, la riflessione sulla brevità della vita e sull’ineluttabilità della morte, l’aspirazione alla solitudine erano temi che potevano adattarsi pienamente ai nuovi modelli di vita cristiana. Tra le singole opere, tuttavia, sono i Sermones e le Epistulae a godere di maggior fortuna. «Orazio satiro» lo definì ancora Dante in Inferno IV, 89, rivelando implicitamente che per lui, come per i contemporanei, Orazio era il poeta dei Sermones, non dei Carmina.
In età umanistica Le Odi di Orazio ritornano ad essere lette e a influenzare in modo decisivo la poesia occidentale solo con l’età umanistica. Nel Canzoniere del Petrarca le corrispondenze riguardano i temi, fondamentali per entrambi i poeti, della morte e della fuga inesorabile del tempo: «ora mentre ch’io parlo il tempo fugge» (LVI, 3): Dum loquimur, fugerit invida / aetas (Carm. I, 11, 7-8 [T12]); «Veramente siam noi polvere et ombra» (CCXCIV, 12): pulvis et umbra sumus (Carm. IV, 7, 16 [T23]).
Tra Cinquecento e Settecento Nel XVI
secolo Orazio lirico divenne l’autore per eccellenza del Rinascimento paganeggiante, il cantore degli amori, del vino e dei piaceri. Per lo stesso motivo cadde poi in disgrazia nell’età della Controriforma, ritornando in auge nelle corti galanti del Settecento, dove fu letto come maestro di libertinaggio e di saggezza epicurea. Continuava d’altra parte la fortuna delle Satire, già imitate dai poeti satirici in lingua latina dell’età umanistica e successivamente (fra il 1517 e il 1524) in lingua volgare dall’Ariosto. Fondamentale fu soprattutto tra Cinquecento e Settecento la lettura dell’Ars poetica, che informò di sé per almeno due secoli il gusto poetico internazionale: direttamente al testo oraziano si ispira l’Art poétique di Boileau (1674), manifesto del classicismo francese (ed europeo). Ancora a metà del XVIII secolo Parini concludeva una
delle sue odi di maggior impegno civile (La salubrità dell’aria) con versi che riecheggiavano il precetto oraziano di miscere utile dulci: «Va per negletta via/ ognor l’util cercando/ la calda fantasia/ che sol felice è quando/ l’utile unir può al vanto/ di lusinghevol canto».
All’avvento del Romanticismo La cul-
tura romantica, passionale e irrequieta, bandisce d’un colpo la poetica del classicismo e il gusto oraziano. Resta celebre il giudizio del Foscolo, che nella Notizia intorno a Didimo Chierico (immaginario “doppio” del poeta) aggiunta alla traduzione del Viaggio sentimentale di Sterne, poteva scrivere: «Richiesto da un ufficiale, perché non citasse mai le odi di quel poeta [cioè di Orazio], Didimo in risposta gli regalò la sua tabacchiera fregiata d’un mosaico d’egregio lavoro, dicendo: Fu fatto a Roma d’alcuni frammenti di pietre preziose dissotterrate in Lesbo». Il Foscolo rimproverava insomma ad Orazio di essere un semplice intarsiatore di motivi poetici sottratti ad Alceo e a Saffo (entrambi nativi dell’isola di Lesbo). Per il Romanticismo tutto ciò che non scaturiva da una personale ispirazione andava considerato nient’altro che fredda e monumentale letteratura.
Nella seconda metà dell’Ottocento:
Carducci e Pascoli In Italia Orazio godette tuttavia di grande fortuna nella seconda metà dell’Ottocento, soprattutto per merito del Carducci e del Pascoli. Non casuale che nel nome di Orazio si apra la poesia d’esordio degli Juvenilia, primo libro poetico del Carducci secondo l’ordinamento predisposto dal poeta stesso: Orazio rappresentava per Carducci, polemico nei confronti della cultura tardoromantica, l’immagine di una poesia nitidamente classica. Oraziani fin dal titolo sono poi gli aggressivi Giambi ed epodi composti successivamente dal Carducci, che nelle Odi barbare si cimentò anche nel tentativo di riprodurre nella lingua italiana i metri classici; oraziani il ricorrente motivo del vino e del convito, nonché gli stessi nomi poetici delle donne amate (Lalage, Lidia). Più sfumato e intimistico è invece l’Orazio pascoliano, rielaborato e imitato soprattutto nella produzione poetica in lingua latina (si veda ad esempio il Fanum Vacunae, nel Liber de poetis). Meno sensibile l’influenza oraziana sulla poesia del Novecento (ma si leggano gli interventi di vari poeti contemporanei sull’Ars poetica in un volume curato da Claudio Damiani e citato in bibliografia).
Edizione del 1479 delle Opere di Orazio con annotazioni di Filippo di Pietro. Biblioteca Marciana, Venezia.