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Capitolo 1 Notte insonne
1 Spazzatura che raccoglie avanzi organici che sono riciclabili per produrre concimi per l’agricoltura. 2 Trasmissione televisiva dove un conduttore fa discutere gli ospiti intorno a un argomento specifico.
– Va sempre a finire così! – esclama Silvia, con le mani già infilate nei guanti di gomma gialli; non le va affatto di rovinarsele col detersivo dei piatti. Per non parlare poi degli scarti da rovesciare nell’umido1: mai sopportati. – Su, senza fare storie... – dice sua madre Susanna, senza nemmeno sollevare lo sguardo dalla scopa, in rapido movimento a riunire le briciole in un bel mucchietto. – Bisogna dare una mano in casa, mettitelo in testa. Cosa credi, che a me faccia piacere?
Silvia sbuffa, senza voglia di aggiungere altro, tanto… Allora fa partire il suo pezzo preferito dallo smartphone, il compagno più fidato dei suoi dodici anni. L’asse di legno del tagliere, sul quale è appoggiato, fa da amplificatore naturale. – Almeno così si sente più forte – pensa, mentre lo scrosciare dell’acqua calda si mescola alle note, che già riempiono l’aria. – Uno, due, tre… – dice, contando con le dita in alto. – Abbassa il volume! – grida dal soggiorno Antonio, il papà, che si è già fiondato sul divano a stordirsi con il talk2 di mezza sera, mentre Luigi si è già isolato con le sue cuffiette e sghignazza davanti al solito video idiota. – E che palle! – sbuffa Silvia, mentre allunga una mano insaponata a premere sul tasto laterale del telefonino. – Meglio obbedire, sennò chi lo sente. E tanto fra cinque secondi dorme già – mormora tra sé.
Susanna le rimprovera subito quella maleducazione; intanto dal soggiorno la voce della presentatrice aumenta insieme alle tacchette del volume, in crescita esponenziale sullo schermo della tivù. – Una gabbia di matti – dice la mamma, scuotendo la testa.
Luigi, seccato dal rumore come un animale domestico, si alza e se ne va verso la zona notte, non prima di aver fatto una linguaccia a Silvia, che lo fulmina con lo sguardo. – Ma perché devo lavarli sempre io, i piatti? – si lamenta Silvia con sua mamma, mettendo tutta la rabbia nello strofinare con la spugna verde la pentola incrostata. – Lui se ne va a farsi i fatti suoi; io qui incollata a fare la schiava! – Ma tu sei una ragazza e devi imparare i lavori di casa! – dice Susanna, mentre con uno scatto stende in aria la tovaglia e la ripiega al volo, riducendola a un quadrato grande come una cartellina da disegno. – Sì, sempre così; la maledizione di essere una femmina in questo mondo qua! – Ma dai, lo sai che sono femminista e non mi piacciono ‘ste parole. – E allora perché non li lava anche lui? È pure più grande. Dov’è il femminismo, eh? – Luigi non li lava perché poi mi fa un macello e ci metto un’ora a ripulire il resto della cucina. – Seee, tutte scuse... – Dai, che hai già quasi finito. E che sarà mai, due piatti... Io alla tua età...
Sempre la stessa scena, ogni dannata sera.
Terminate le attività di lavaggio e dopo aver messo ad asciugare le stoviglie, Silvia borbotta qualcosa in segno di protesta, senza troppa convinzione. Poi infila i suoi passi verso la cameretta, dove almeno potrà starsene in pace, lontano da tutti. Non fa nemmeno caso al commento sull’adolescenza che sale dal divano, mormorato da suo padre Antonio, tanto per placare l’irrequietezza di Susanna, che non ha mai sopportato le lamentele sulle faccende casalinghe.
– Ognuno deve fare la sua parte! – dice sempre la donna; ma Silvia non ha ancora capito qual è quella di suo fratello Luigi, che ha appena due anni più di lei e non fa un bel niente, a parte saccheggiare il frigorifero di ogni bene commestibile. Ultimamente lei è addirittura arrivata a nascondere qualcosa da sgranocchiare nel cassetto dei calzini, in cameretta. – Per non morire di fame – si ripete ogni volta che infila in quel rifugio una merendina, dei crackers o un tubo di patatine.
Silvia capisce benissimo che sua madre non può fare tutto lei, però i maschi di casa potrebbero impegnarsi un po’ di più. – E che cavolo! – ringhia, richiudendosi la porta della sua tana alle spalle.
E così la sera la accoglie, quel momento della giornata in cui anche le anime tormentate ritrovano un po’ di tranquillità, quando riaffiora la speranza che il domani possa almeno sembrare migliore.
Ora Silvia si lascia andare a digitare sulla tastiera virtuale della chat del gruppo di amiche, cioè la stragrande maggioranza della 2a C della secondaria di primo grado del quartiere.
Silvia: Mi sono rotta. Chiara: Di cosa? (Chiara è la sua migliore amica e compagna di classe.) Silvia: Tocca sempre a me lavare i piatti. Chiara: Noi abbiamo la lavastoviglie. Silvia: Beata... Chiara: Però mi tocca stirare. Meglio i piatti, fidati. Silvia: Potremmo almeno fare a turno con mio fratello. Sarebbe giusto, no? Chiara: Tranqui... tanto si parla sempre di parità, ma poi nei fatti... Silvia: Uno schifo di vita. Chiara: Dai, stai su. Domani interroga in scienze? Silvia: Boh, io sono già a posto. Elena: Ha detto che interroga. (Elena è quella che sa sempre tutto.) Chiara: Meglio che ripassi, mi sa che mi tocca...
Antonella: Qualcuno si guarda la serie nuova? Una fila di sì, yes, certo, wow da un bel po’ di membri del gruppo. Marta: Io sono a cena fuori da parenti, aiutoooo. Ester: (Elena: Ha detto che interroga.) Non accetta nemmeno volontari. Chiara: Mi sa che sarò ammalata. Ester: Bella idea. Silvia: (Chiara: Mi sa che sarò ammalata.) No dai, devi venire a scuola!
Una tempesta di cuori, faccine varie e meme inutili, tutto solo per chiudere la conversazione.
Silvia allora si spara due puntate della serie di cui tutti parlano sui social, anche se non la convince più di tanto. Anche lì le ragazze non fanno altro che parlare di trucco, vestiti, scarpe e matrimoni. Non che questi argomenti le diano noia, però è sempre così: i ragazzi che pensano solo al sesso; si ubriacano, cercano di convincere la vittima di turno a bere, per poi provarci da vigliacchi. Poi tutti a pentirsi e ognuno a rincorrere il tipico schema principe o principessa in salsa contemporanea. Almeno a volte ci ficcano dentro qualche amore lgbt, ma solo per non farsi mancare niente. – Guarda che i gay sono una bella fetta di consumatori! – ha detto Matteo, che gliel’ha spiegato suo cugino che studia sociologia all’università.
Silvia comunque è rapita da quell’attore che fa un po’ lo sfigato, ma sotto sotto ha un sacco di talento. Non vede l’ora che la storia glielo faccia venir fuori. – Allora sì che ne vedremo delle belle – pensa, trattenendo un gridolino di gioia non appena lo vede comparire in scena. Col suo cappuccio tirato su e le spalle piegate dal peso del suo fardello3 insostenibile, che non può rivelare a nessuno. Ora la ragazzina stringe il cuscino fissando il soffitto, in attesa che sul bianco del muro compaia qualcosa che la porti lontano da lì.
3 L’insieme di doveri e preoccupazioni che ognuno è costretto a subire nella vita.
– Dai, forza, è ora di spegnere la luce. Domani c’è scuola – arriva la voce della mamma dal corridoio. – Ok, adesso spengo – dicono in coro Luigi e Silvia, ognuno dalla sua stanza.
L’adesso è un tempo indefinito, che può durare anche mezz’ora, almeno finché la ripetizione dell’ordine di chiudere la giornata torni a farsi sentire, magari con un tono di voce più deciso e seccato. – Sì, adesso spengo! – sbuffano ancora i due ragazzi.
Ora finalmente regna il silenzio, almeno così parrebbe ai più distratti o a coloro che hanno il sonno facile e non si accorgono di come l’oscurità nasconda il brulicare della vita notturna. Ma un orecchio attento potrebbe captare i movimenti rapidi delle dita che scorrono sugli schermi, mimetizzati dalle coperte per non far filtrare nessun barlume di luce all’esterno, dove il rimprovero è sempre in attesa.
Non passano nemmeno venti minuti, che arriva la voce di papà, con il comando inappellabile di spegnere quei maledetti affari e chiudere gli occhi. Inutile dire che i due ragazzi obbediscono senza fiatare. Magari durante la notte, in caso l’insonnia li svegliasse, potrebbero provare a vedere chi c’è in chat.
Ma ora è tempo di dormire. – Buonanotte! – grida Silvia dal suo letto.
Un mugugno simile a un muggito arriva dalla camera matrimoniale, segno che la mamma già è sprofondata nel regno dei sogni, mentre lo scroscio dello sciacquone di papà in bagno è l’ultimo rumore di quella lunga giornata. – Ecco come chiudere una serata da schifo – pensa Silvia, infilando la presa della carica nel suo smartphone, a terra vicino al letto come un cane da guardia.
Il sonno non ne vuole sapere di catturare la mente della ragazza. Anzi, pare proprio l’anima a non volersene rendere conto, presa com’è a lambiccarsi4 sulle note stonate del disagio di una giovane esistenza.
4 Scervellarsi alla ricerca di una soluzione.
– Ma come fanno a venirmi in testa ’ste cose strane – pensa Silvia, mentre non trova la posizione giusta e si rigira in continuazione. Ormai le lenzuola sono un groviglio inestricabile e lei si sente intrappolata nelle sue gambe troppo lunghe. Quando il corpo cresce, a volte così troppo velocemente, si fa persino fatica a riconoscersi allo specchio.
E poi c’è il cattivo umore, che diventa un compagno di viaggio sempre presente, interrotto a volte da momenti di vera felicità. Quando l’euforia sale come un’onda del mare, allora Silvia si sente bene, senza capire il perché. Ecco che le si stampa in faccia un sorriso un po’ ebete, quello che a volte si trasforma in ridarella per qualsiasi cosa, anche la più stupida. – Hai l’età della stupidera – le ripete sempre sua mamma, contagiata a sua volta da quelle iniezioni di gioia improvvisa.
In quei momenti Silvia si sente vicina alla donna che l’ha messa al mondo, avverte una comunione di sentimenti rara e preziosa, che le scalda il cuore. Si sente amica di sua madre, compagna di femminilità e anche compresa nel profondo. Non sa quanto sia evidente questo suo sentiero dell’anima, che a Susanna fa dimenticare tutto il resto. In quei momenti non contano più il malumore, il disordine della stanza, gli indumenti sporchi abbandonati sul davanzale del bagno, gli infiniti capelli sparsi tra lavandino e pavimento, dopo ore a spazzolarsi per uscire in piazza al sabato.
Silvia ora si sente in pace, come se per magia tutto si fosse messo in ordine. Le cose le appaiono più semplici. Allora si alza, senza far rumore, sistema le lenzuola e sbircia fuori dalla finestra, attraverso le lamelle socchiuse della persiana accostata ai vetri.
In strada, la luce di un lampione, proprio lì sotto, illumina una porzione di asfalto e una fetta di marciapiede pavimentato da poche settimane. – Mi piaceva di più l’asfalto – commenta Silvia, ricordandosi le corse sui pattini a rotelle intorno all’isolato, fino alla pista in mezzo al parchetto nelle vicinanze.
Sono appena le 11 di sera e la visuale viene tagliata da un ragazzo che corre in tenuta sportiva, segno che solo a quell’ora ha tempo di dedicarsi allo sport.
– Certo che al buio respira solo l’anidride carbonica sbuffata fuori dalle piante – riflette Silvia, ripassando a mente la fotosintesi clorofilliana, che sarà l’argomento dell’interrogazione del giorno dopo. Allora apre la finestra, per controllare coi propri polmoni se è vero che nell’aria ci sia meno ossigeno.
Qualche istante più tardi passa una donna sui trent’anni o poco meno. Cammina svelta sui tacchi, stringendo al corpo la sua borsetta lucida. È vestita bene, bella gonna con giacca abbinata, l’indizio che stia rientrando a casa dopo una cena o una festicciola. Silvia la osserva procedere, intenta a schivare con abilità le congiunture5 delle piastrelle nuove del marciapiede. – Probabile che non voglia rischiare di rompersi un tacco; lo dicevo io che era meglio l’asfalto liscio!
Nel momento in cui la sconosciuta sta per uscire dal cono di luce del lampione acceso, i fari di un’auto in arrivo la illuminano nuovamente. Lei pare farsi un po’ più vicina al muretto, che divide la strada dal giardino del palazzo di Silvia, come per allontanarsi da quella luce. L’auto scura rallenta e Silvia sente distintamente un commento un po’ volgare provenire da una voce maschile dentro l’abitacolo, col contorno di sghignazzate di altri maschi.
La ragazza si blocca contro il muro e impugna il cellulare, smanettando sullo schermo con le dita agitate. L’auto allora riparte con una sgommata e si infila nella notte. La donna alza un braccio come per mandarli a quel paese e riprende la sua strada. Cammina ancora più veloce di prima, quasi corre.
Silvia richiude la finestra e torna a sdraiarsi nel suo letto.
Quell’episodio l’ha turbata, davvero.
Una scena in bianco e nero, al rallentatore che le si è fissata in testa come una scritta su un muro.
Il ragazzo che correva probabilmente non aveva nulla da temere, se non una rapina; mentre la donna ha dovuto vivere con la paura di essere solamente donna e per questo sentirsi meno libera o sicura di girare per strada di sera.
5 Gli spazi di stucco tra una piastrella e l’altra.
– Non è giusto! – pensa Silvia, immaginando di trovarsi lei in quella situazione. Le viene in mente che quelli potevano scendere e continuare a offendere e farle prendere un bello spavento, oppure costringerla con la forza a fare cose che non voleva. Lei avrebbe preso un sasso o un bastone e li avrebbe picchiati, schivando il loro tentativo di afferrarla e magari lasciandosi alle spalle qualche testa rotta.
Il fantasticare sull’essere in grado di difendersi da un’aggressione la porta lentamente nel mondo dei sogni. E si spera siano migliori di ciò che è appena accaduto.