10 minute read

Capitolo 3 Una brutta notizia

Quanto tempo ci vuole a salire tre rampe di scale? Di solito mezzo minuto o giù di lì, ma, quando si è presi dai pensieri, il tempo si allarga, ruba spazi ai rintocchi delle lancette dell’orologio, scova nuove stagioni in mezzo a un battito di ciglia.

Silvia ripensa alla forza delle parole. Dimentica il gorgoglio del suo stomaco, che reclama il pranzo. Segue il corso disordinato delle sensazioni che la chiacchierata della supplente Catia le ha smosso nelle viscere.

Non ha mai riflettuto su quanto i modi di dire siano capaci di creare da soli un intero modo di pensare; anzi finora ha creduto proprio il contrario.

Invece la lezione di oggi ha in qualche modo rotto una diga. Finalmente si è resa conto che sono proprio le parole, questo miscuglio di inchiostro e voce, a dare forma e carattere alle figure e alle idee nel nostro cervello. – Ecco perché diventa quasi impossibile far cambiare parere, togliere i pregiudizi nella testa della gente! – esclama, mentre con una mano aggrappata alla ringhiera fa un salto, per passare all’ultima rampa di scale. Rallenta di nuovo la salita e sorride. Di solito conta i gradini, come se ogni volta potessero cambiare di numero, ma non oggi.

Silvia ora sa che bisogna partire dalle parole, dal cambiare le abitudini a dare giudizi senza chiedersi il perché. Si domanda quanti errori ci sono nella sua maniera di dire le cose, di scambiare inutili preconcetti1 con la verità. Una massa confusa di buoni propositi e idee geniali, che ancora non prende forma, ma si

1 Opinioni senza un reale fondamento.

insinua nel suo modo di guardare le cose, che forse non sarà più lo stesso.

E ancora non sa cosa la attende dietro la porta di casa.

Perché la vita è assurda e spesso i cambiamenti travolgono le persone, lasciandole senza fiato. Impreparate a parare i colpi più duri e allo stesso tempo chiamate a modificare la propria esistenza.

Appena varcata la soglia dell’appartamento al terzo piano, Silvia getta un’occhiata in cucina. Suo padre è intento a scolare la pasta, in mezzo alla nuvola di vapore che si solleva dal lavandino. Luigi è già seduto a tavola: novità assoluta, roba mai vista prima.

E la mamma?

Silvia ruota lo sguardo ad abbracciare il soggiorno. Sua madre è seduta sulla punta del divano, col telecomando in mano a tenerle sollevato un braccio, proteso in avanti. Fissa lo schermo, dove passano immagini di sport, una corsa ciclistica. – E da quando le piacciono le biciclette? – pensa Silvia, tornando a indirizzare la sua attenzione ai movimenti in cucina. – Dai piccola! – la incita il papà. – Appoggia lo zaino e vieni a sederti, la carbonara2 è pronta. – Mi lavo le mani e arrivo – risponde Silvia, poi butta un “Ciao ma’ ” verso il divano, ottenendo un flebile3 grugnito come risposta. – Boh! – pensa, mentre si infila in bagno, dopo aver lanciato lo zaino sul suo letto. È una vita che non mangia la pasta alla carbonara...

Gli spaghetti sono buoni; Silvia e Luigi ci si tuffano con impegno, sotto lo sguardo tronfio di papà. – Ma mamma non viene? – chiede Silvia, bofonchiando con la bocca piena. – Adesso arriva – fa Luigi, versandosi un bicchierone di coca cola. – Susanna? – chiama il padre.

2 Ricetta di condimento per la pasta, fatta di guanciale, pecorino e uova sbattute. 3 Appena udibile.

La mamma finalmente li raggiunge, strascicando le ciabatte sul pavimento. Si versa una miniporzione di spaghetti e comincia ad arrotolarli lentamente con la forchetta. – Dai ma’ – dice Silvia, preoccupata – prendine pure di più, ce ne sono tanti. – Non ho molto appetito, oggi – sussurra Susanna, come se la voce facesse una fatica enorme a uscirle dalla bocca. Poi guarda il marito, con gli occhi di chi chiede un po’ di tregua, insieme a un soccorso. – Silvia, oggi la mamma non ha fame, perché al lavoro hanno dovuto lasciare a casa un po’ di persone, a causa della crisi. – Ma mamma è una importante al lavoro… – commenta Silvia. – Non potevano licenziare gli uomini perché sono capofamiglia e hanno mandato via noi donne – spiega Susanna, con la voce rotta. – Però potete ribellarvi – propone Luigi, che è alle superiori e sta imparando a fare i primi scioperi. – No che non possiamo... – Alle donne hanno fatto firmare il licenziamento in bianco – aggiunge il papà. – In bianco, cosa significa? – chiede Silvia, che finora non si è mai interessata di alcunché fuori dal suo mondo. Si impara più in un giorno di problemi, che in cento di relax. – Per paura che le donne rimangano a casa perché incinte o altro, quando le assumono fanno già firmare loro la lettera di licenziamento, così le possono mandare via quando vogliono – spiega l’uomo di casa. – Ma non è giusto! – commenta Silvia, afferrando la mano di sua madre, abbandonata sulla tovaglia. – Non solo non è giusto, ma è pure illegale – aggiunge il padre. – Tutto questo perché è una donna... che schifo – mormora Silvia.

Susanna le accarezza la testa, in silenzio, mentre le lacrime le inondano gli occhi, scivolando sulle guance e sul naso. – Scusate, scusatemi tanto – sussurra, alzandosi e fuggendo in bagno.

Il resto del pranzo si consuma in silenzio, con le sole forchette a tintinnare ogni tanto, il minimo necessario a non disturbare.

Nella mente di Silvia si scatena una vera tempesta. – Possibile che bisogna sentirsi sfortunate a essere femmine? Perché gli uomini pensano sempre che a sacrificarsi debbano essere le donne, sempre? – le domande non smettono di assillarla; Silvia non sente più nemmeno il gusto del cibo, anche se è tra i suoi preferiti. – Ma forse gli uomini non sono tutti uguali. Papà ha cucinato e sistemato la cucina, oggi con l’aiuto di entrambi i suoi figli. Una cosa mai accaduta prima.

Il fatto che i maschi hanno messo le mani dove la mamma, con il solo aiuto a volte di Silvia, sbriga le faccende domestiche, è servito a sottolineare la gravità del momento.

Silvia non è interessata, forse nemmeno se ne rende conto che ci sarà uno stipendio in meno, almeno finché la mamma non troverà un altro impiego. Ciò che la colpisce è il fatto di sentirsi menomata4 in quanto di sesso femminile, quindi sempre e perennemente al secondo posto nel mondo. – Meglio esser nati maschi, ecco – dichiara agli uomini di casa, sistemando la tovaglia piegata nel cassetto, per poi precipitarsi a vedere come sta Susanna, che non è più tornata in cucina.

La sorprende in cameretta seduta sul bordo del suo letto, intenta a osservare i poster e i bigliettini d’auguri, incorniciati e appesi in ogni spazio libero del muro sopra la scrivania. Silvia le si siede accanto in silenzio, poi l’abbraccia. – Ti voglio bene, piccola – le dice sua madre, baciandola sulla testa.

Silvia la stringe ancora di più, soffocando un singhiozzo che le sale dal cuore.

Il pomeriggio scorre via con il solito rituale, fatto di compiti, pause e chat con le amiche. C’è solo quel senso opprimente che

4 Privata dell’integrità, dell’essere completa.

aleggia nell’aria di casa, scivola lungo le pareti e circonda ogni cosa, come una patina di umidità soffocante, come se i colori si spegnessero un poco, nascondendo il luccichio della vita, quello di solito così evidente in ogni piccola cosa. A Silvia le copertine dei manga sullo scaffale sembrano perdere consistenza, una specie di movimento a sbiadire. La ragazzina ha paura che lentamente scompaiano, così come potrebbe svanire anche lei, in mezzo a tutti i nuovi problemi. Una scena uguale a quel film che le piace tanto, dove i ricordi e le persone spariscono nel nulla sotto un incantesimo. Ma ora lei non ne ricorda nemmeno il titolo.

Finalmente arrivano le cinque. È ora di andare agli allenamenti di pallavolo. Per fortuna il coach5 ha voluto intensificare il numero di giorni, sabato compreso. In vista dei play-off di campionato, la sua squadra non può permettersi di perdere troppo, non dopo il buon piazzamento raggiunto durante la stagione.

Silvia prepara la borsa; ci infila le scarpe, l’asciugamano e l’occorrente per il cambio. Poi si immerge dentro la tuta della società sportiva ed esce dalla sua stanza. Attraversa il corridoio. Di Luigi nemmeno l’ombra; o è fuori, oppure rimane chiuso in camera sua a stordirsi coi giochi online.

Silvia si ferma in soggiorno, dove i suoi genitori sono intenti a rovistare in mezzo ai documenti sparsi sul tavolo che usano quando ci sono gli ospiti. Di solito la pratica di rovesciare bollette da pagare, già pagate, contratti bancari e di altro tipo, vecchi resoconti di mutui e via dicendo, serve a costringerli a rimettere in ordine i pensieri e le azioni da fare per affrontare il futuro, soprattutto dal punto di vista della burocrazia.

Silvia non hai mai capito perché lo fanno. Ogni volta riempiono una busta di carta da buttare via, inframezzando il gesto dello strappare qualche carta alle solite esclamazioni. Al ritmo di “Ti ricordi?” oppure “Quanto tempo è passato”, e anche “Qui non c’erano nemmeno i figli”, la scenetta familiare va avanti sempre

5 Allenatore.

uguale. Silvia e Luigi ne hanno sempre riso tra loro, giurandosi che da grandi non metteranno tutto insieme, ma in fascicoli diversi, magari digitalizzati sul computer.

Comunque il rito serve a risvegliare i ricordi, i soldi spesi e guadagnati. Un po’ come prendersi del tempo per riguardare vecchie fotografie e ricordarsi come si era, quali sono stati i motivi che hanno condotto le persone al momento presente.

Susanna però non pare partecipare come invece è abituata a fare. Papà Antonio ce la sta mettendo tutta per coinvolgerla, come se anche lui sapesse che rovistare tra i documenti possa essere una faccenda utile; però Susanna è da un’altra parte. Solleva qualche foglio, lo mette sotto alla luce ma senza vederlo. Fissa oltre la barriera di carta, scruta in un abisso che le toglie la luce dagli occhi.

Silvia se ne accorge, anche perché il volto di suo padre è disegnato da una smorfia, quando invece dovrebbe essere un sorriso. Si vede chiaramente che è troppo preoccupato.

Allora la dodicenne si avvicina a sua mamma, le mormora all’orecchio che va agli allenamenti e le lascia un bacio a riscaldarle il volto. Il calore delle labbra sembra riportarla tra loro. – Ciao Silvia, stai attenta per strada – le raccomanda. – Poi ti veniamo a prendere noi, ok? – promette. – Certo, magari ci fermiamo pure a prenderci un gelato – aggiunge Antonio, con la speranza che un dolcetto possa aiutare a far tornare il sorriso sul volto della sua compagna di vita. – Ah, mamma? – inizia Silvia. – Domani puoi accompagnarmi al centro commerciale? Con Chiara e una sua amica, volevamo fare un po’ di shopping e prendere anche il regalo per Antonella. Ci ha invitate al suo compleanno domenica pomeriggio. Che dici? – Sì certo, non ti preoccupare. Vi ci porto io, tanto ora ho tutto il tempo libero.

Perdere il lavoro è una gran brutta faccenda, però questo fatto di avere la mamma a disposizione non dispiace tanto a Silvia. Anzi, mentre cammina verso la palestra, pensa che forse è meglio così. Avere la mamma a casa significherà vivere nell’ordine e nel

pulito, coi vestiti sempre pronti da mettere, senza attendere che la montagna di panni da stirare diventi così alta da toccare il soffitto. – Esagerata! – mormora la voce della sua coscienza, mentre accelera il passo per non fare tardi e finire in fondo nella scelta delle squadre.

E poi pensarla così significa anche dare forza a chi ritiene che le donne debbano stare sempre a casa, tra figli da crescere e mestieri domestici. Lei comunque, quando sarà grande, si troverà un lavoro e pretenderà che suo marito faccia la metà delle cose. – Ma tanto non mi sposerò nemmeno... meglio andare sul sicuro – pensa, mentre con un braccio alzato saluta una sua compagna di squadra che sta scendendo dal suv del padre. La raggiunge e abbracciate insieme varcano la porta dell’edificio in cemento che contiene la loro palestra, dirigendosi verso gli spogliatoi. – Almeno così la giornata passerà bene! – pensa Silvia, mentre immagina le ore di allenamento, la doccia, la cena e infine il suo letto per la notte.

This article is from: