Invito alla lettura
Dando vita ai giovanissimi protagonisti di questa storia, Molnár ha rappresentato se stesso e i suoi compagni, l’adolescenza trascorsa per le strade ancora poco trafficate della vecchia Budapest. A quei ragazzi fieri e coraggiosi, a quelli che si sarebbero avvicendati dopo di loro lungo la via Pál, e a quelli che continuano a vivere nascosti nel profondo di ogni adulto, l’autore ha idealmente dedicato un romanzo indimenticabile, dai sentimenti vividi e attuali, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo.
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€ 8,80
I RAGAZZI DELLA VIA PÁL
I ragazzi della via Pál
Ferenc Molnár
Fin dalla prima pubblicazione a puntate, nel lontano 1906, I ragazzi della via Pál ha riscosso un enorme successo. La popolarità e l’attualità del capolavoro di Molnár arrivano fino agli adolescenti di oggi, abituati a trascorrere il proprio tempo libero in modi e luoghi molto diversi rispetto ai protagonisti della storia. Tuttavia, la longevità e il successo di questo romanzo spingono ancora oggi i ragazzi a riflettere sul fascino dell’avventura, il desiderio di spazi aperti in cui mettere alla prova fantasia, amicizia e lealtà, il tradimento e il dolore sperimentati per la prima volta. In una sola parola: la vita.
I GRANDI CLASSICI
LeggerMENTE è la collana di narrativa per la scuola secondaria. Il suo obiettivo principale è offrire ai ragazzi libri classici o inediti, storie di attualità o di fantasia, per riscoprire pagina dopo pagina il piacere della lettura.
I GRANDI CLASSICI
Ferenc Molnár
I RAGAZZI DELLA VIA PÁL a cura di Marco Giuliani
I GRANDI CLASSICI
Ferenc Molnรกr
I RAGAZZI DELLA VIA Pร L a cura di Marco Giuliani
Ferenc Molnár I ragazzi della via Pál Edizione integrale a cura di Marco Giuliani Responsabile editoriale: Beatrice Loreti Art director: Marco Mercatali Responsabile di produzione: Francesco Capitano Redazione: Carla Quattrini Progetto grafico: Airone Comunicazione – Sergio Elisei Impaginazione: Airone Comunicazione – Enea Ciccarelli Foto: Alamy Stock Photo, archivio Eli-La Spiga Edizioni Illustrazioni: Fabio Sardo Copertina: Adami Design
© 2019 Eli – La Spiga Edizioni Via Brecce – Loreto tel. 071 750 701 info@elilaspigaedizioni.it www.elilaspigaedizioni.it Stampato in Italia presso Tecnostampa - Pigini Group Printing Division - Loreto - Trevi 19.83.053.0 ISBN 978-88-468-3892-6 Le fotocopie non autorizzate sono illegali. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.
Indice Nota introduttiva.............................................................................. 5 Capitolo 1 ........................................................................................... 6 Capitolo 2 ........................................................................................... 20 Capitolo 3 ........................................................................................... 35 Capitolo 4 ........................................................................................... 59 Capitolo 5 ........................................................................................... 81 Capitolo 6 ........................................................................................... 93 Capitolo 7 ........................................................................................... 115 Capitolo 8 ........................................................................................... 130 Capitolo 9 ........................................................................................... 163 Capitolo 10 ........................................................................................ 167 Focus Il tempo e i luoghi dei ragazzi della via Pál .......................... 188 L’autore: Ferenc Molnár ........................................................... 191 Dossier Incontro immaginario con l’autore ........................................ 192 Intervista all’illustratore ........................................................... 195 Percorsi di lettura ............................................................................. 196
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Il Grund per un ragazzo di Budapest è la sua pianura, la sua prateria, il suo deserto. Rappresenta l’infinito e la libertà. Oggi anche sul Grund della via Pál si erge malinconicamente un palazzone a quattro piani, pieno di inquilini nessuno dei quali forse sa che quel briciolo di terra racchiude il segreto più profondo della giovinezza di un gruppo di ragazzi poveri di Budapest. Chi vive in campagna non può forse capirlo, ma è senz’altro vero che per un ragazzo di città un campo in periferia rappresenta la libertà, e diremo meglio la libertà nell’infinito. Solo lì il ragazzo si accorge che cosa voglia dire respirare, e che allettante mistero di felicità ci sia nell’impulso di correre e correre... (Ferenc Molnár)
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Nota introduttiva Le poche righe di Ferenc Molnár, riportate nella pagina a fianco, bastano a toccare il cuore anche del più distratto dei lettori, rinnovando la magia del successo che il suo romanzo più famoso ha riscosso sin dalla pubblicazione a puntate, nel lontano 1906. Una popolarità che arriva fino agli adolescenti di oggi, abituati a trascorrere il proprio tempo libero in modi e luoghi molto diversi rispetto ai protagonisti della storia. Tuttavia, la longevità e il successo di questo romanzo spingono ancora oggi i ragazzi a riflettere sul fascino dell’avventura, il desiderio di spazi aperti in cui mettere alla prova fantasia, amicizia e lealtà, il tradimento e il dolore sperimentati per la prima volta. In una sola parola: la vita. E possiamo essere ragionevolmente sicuri che, dando vita ai giovanissimi protagonisti di questa storia, Molnár ricordasse se stesso e i suoi compagni, l’adolescenza trascorsa per le strade ancora poco trafficate della vecchia Budapest. A quei ragazzi fieri e coraggiosi, a quelli che si sarebbero avvicendati dopo di loro lungo la via Pál, e a quelli che continuano a vivere nascosti nel profondo di ogni adulto, l’autore ha idealmente dedicato un romanzo indimenticabile, dai sentimenti vividi e attuali, nonostante lo scorrere inesorabile del tempo. Ai ragazzi della via Pál di ieri e di oggi che ho avuto la fortuna di incontrare nel mondo della scuola. Marco Giuliani
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Capitolo 1 Il suono della campanella annuncia ufficialmente la fine di un altro giorno di scuola, vengono presentate le caratteristiche fisiche e psicologiche dei piccoli protagonisti di questa storia. Boka, il leader del gruppo, serio e tranquillo. Nemecsek, biondo, gracile e onesto, a cui nessuno bada mai e che spesso veste il ruolo della vittima. Gereb dal carattere impetuoso e geloso di Boka. Accanto a loro ci sono altri ragazzi, come l’elegante Csele, il forte Csonakos, Barabas e Kolnay, Weisz e Csengey, il migliore della classe. Emerge con chiarezza il ruolo di Boka, che riesce a placare gli animi di Csele e Gereb mentre litigano per un pezzo di torrone. Boka ascolta poi indignato il racconto della dichiarazione di guerra da parte dei fratelli Pasztor. Alle dodici e tre quarti, nell’aula di fisica la fiamma incolore del becco di Bunsen1 si tinse di un bel colore verde smeraldo, fu allora che dalle viuzze adiacenti la scuola si udirono le note di un organetto. Il professore era riuscito a dimostrare che il miscuglio impiegato per l’esperimento aveva appunto la proprietà di colorare di verde la fiamma, ma gli studenti avevano perso ogni concentrazione: in quella splendida giornata di marzo la musica entrava allegra con la brezza di primavera. Era una canzone popolare ungherese ma, sentita suonare così, a distanza, da quell’organetto, la si sarebbe detta piuttosto una marcia militare il cui ritmo, come tutte le cose avvincenti, affascinava letteralmente i ragazzi in attesa della fine delle lezioni. Ora altri rumori si aggiungevano all’organetto. Attutiti, dalla vici Il becco di Bunsen è un bruciatore a gas usato in chimica. Prende il nome da Robert Wilhelm Bunsen, il chimico e fisico tedesco al quale è erroneamente attribuita l’invenzione.
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Capitolo 1
na piazza giungevano i colpi secchi dei campanelli dei tram; voci confuse e scalpicciare di passi affrettati si udivano nella via sottostante; dalla finestra di una piccola casa di fronte alla scuola usciva un tenue canto femminile, una voce tremula, come di chi piangesse con abbandono. Nel becco di Bunsen la fiamma verde continuava a brillare vivamente. Ma solo gli alunni dei primi banchi indugiavano ancora a guardarla con interesse; gli altri vagavano con lo sguardo fuori della finestra sui tetti delle case vicine e più lontano sull’orologio della chiesa protestante la cui lancetta si avvicinava incoraggiante al numero dodici, o impiegavano gli ultimi minuti nei preparativi per l’uscita. Boka, per esempio, stava chiudendo accuratamente il suo rosso calamaio tascabile, dotato di un portentoso meccanismo per cui non perdeva una goccia d’inchiostro se non quando era in tasca. Csele raccoglieva i fogli sparsi dei suoi libri. Poiché era un elegantone non si portava appresso tutti i volumi occorrenti: ne staccava di volta in volta le sole pagine che gli servivano per le lezioni del giorno e alla fine le sistemava ordinatamente nelle numerose tasche del vestito. Csonakos nel suo glorioso ultimo banco sbadigliava e si dimenava come un ippopotamo annoiato. Weisz si stava rivoltando le tasche per farne uscire le numerose briciole: miseri avanzi del panino sgranocchiato di nascosto durante tutta l’ora di scienze. Gereb stropicciava i piedi contro il pavimento, forse per accentuare la sua intenzione di alzarsi e uscire. Barabas, senza starci a pensare troppo, si era steso sulle ginocchia la tela cerata2 e già vi stava chiudendo i libri ammucchiati per ordine di grandezza. Solo il professore, severo e indifferente come sempre, sembrava ignorasse che la fine della lezione era prossima. Qualche istante dopo però, poiché i ragazzi si facevano sempre più inquieti, parve risvegliarsi anche lui: - Che succede? - gridò. E li guardò severamente. 2
La tela cerata è un tessuto impermeabile. Veniva utilizzato per molteplici usi, ad esempio per custodie e rilegature.
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I ragazzi della via Pál
Nell’aula si rifece subito un silenzio di tomba. Barabas abbandonò la cinghia con cui stava legando il pacco dei libri; Gereb rimise i piedi sotto il banco; Weisz levò le mani di tasca; Csonakos cessò di sbadigliare; Csele tolse i fogli dalle tasche; Boka invece si cacciò prontamente in tasca il calamaio rosso che, naturalmente, a contatto diretto della stoffa, cominciò a spandere il suo bell’inchiostro turchino. - Che cosa succede? - ripeté il professore. Ma tutti avevano ormai ripreso il loro atteggiamento abituale. L’insegnante si accorse allora della finestra aperta da cui continuavano a giungere gli irriverenti rumori, primo fra i quali, l’allegro suono dell’organino. Aggrottò le ciglia e comandò: - Csengey! Chiudi quella finestra! Il piccolo Csengey, il primo del primo banco, si alzò e con quella sua aria seria da ometto andò alla finestra e la chiuse. Nello stesso istante Csonakos si sporse dal banco e bisbigliò all’indirizzo di un ragazzino biondo che sedeva tre banchi avanti: - Attento, Nemecsek! Il ragazzo guardò per terra e poté seguire per l’ultimo tratto una pallina di carta che finì rotolando ai suoi piedi. Attese un momento che il professore non guardasse e la raccolse. Di sotto il banco la stese e lesse: “Da passare a Boka”. Egli era un ragazzo retto e, per niente al mondo, si sarebbe permesso di leggere una lettera non indirizzata a lui. Arrotolò dunque di nuovo il foglietto, attese il momento propizio e poi, sporgendosi a sua volta dal banco, disse piano: - Pss, Boka! Anche Boka seguì con la coda dell’occhio sul pavimento quell’invio regolare di comunicazione interscolastica. Raccolse la pallina, la stese e lesse quello che al biondino Nemecsek l’onore aveva vietato di leggere: “Alle tre, assemblea generale sul campo. Elezione del presidente. Da trasmettere agli interessati”. Intascò il biglietto e prese ad avvolgere i suoi libri: era l’una precisa. 8
Capitolo 1
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I ragazzi della via Pál
La campanella fece udire il sospirato segnale, e anche il professore dovette arrendersi all’evidenza: la lezione era veramente finita. Spense il becco di Bunsen, assegnò in fretta un tema da svolgere per compito, e, dopo aver salutato, si rintanò nell’annesso gabinetto3 di scienze naturali passando per una porticina che lasciava intravedere alcuni animali impagliati: quadrupedi ed uccelli, posti, questi ultimi, in ordine su alti scaffali; e, in un angolo buio, il mistero dei misteri, l’orrore di tutti gli orrori: uno scheletro umano ingiallito dal tempo. In un batter d’occhi l’aula fu vuota. Gli scolari cominciarono a scendere precipitosamente, non rallentavano la loro andatura che quando incrociavano l’alta figura di qualche insegnante; il silenzio si rifaceva, allora, per qualche secondo: il tempo che l’insegnante sparisse; poi la gazzarra4 riprendeva con doppio impeto. Giù nella via, la grande porta della scuola riversò senza alcuna interruzione sciami di ragazzi che si dispersero in tutte le direzioni. Se passava qualche professore, coloro che lo scorgevano si levavano precipitosamente il cappello. Tutto prese, sotto lo stimolo dell’appetito, un ritmo vertiginoso. Si aveva una sensazione di stordimento a guardarli così vivi, così esuberanti. Si sarebbero potuti scambiare per dei prigionieri che uscissero ora, dopo anni di segregazione, dal buio di un carcere. Essi barcollavano, quasi, per l’improvvisa libertà dell’aria, per il troppo sole che inondava la città, in quel brulicare del creato, in quel quartiere di Buda. Case, vetture, vie, tutto sembrava fremere di nuova vita. E tra questo caos, bisognava ritrovare la propria strada. Sotto un portone, accanto alla scuola, Csele si impelagò in una discussione di carattere commerciale con il venditore di dolciumi: un italiano che aveva vergognosamente aumentato i suoi prezzi. Si sa bene, in effetti, che ovunque un etto di torrone
Il gabinetto è una piccola stanza a uso riservato. Con il termine gazzarra si intende chiasso, baccano.
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Capitolo 1
costa un heller5. O meglio - poiché il venditore dà un po’ a caso il suo colpo d’accetta - il pezzo che ne stacca costa comunque un heller. La bancarella dell’italiano è una specie di piccolo magazzino a prezzo unico, dove ogni articolo costa un heller. Così, per questa somma, voi potete avere indifferentemente o un involtino con tre prugne candite conficcate in uno stecchetto, o tre fichi con la mandorla in mezzo, o un pezzo di torrone, o una focaccia d’orzo. Per un heller potete avere anche un cartoccio contenente il cosiddetto “bocconcino dello studente”, propriamente un’occasione per gli scolari, confezionato con quattro o cinque capi diversi di queste specialità: confetti, nocciole, chicchi d’uva di Corinto e di Malaga, mandorle, granelli di polvere, pezzetti di carruba e mosche. Come vedete, per un solo heller, in questi “bocconcini dello studente”, voi potete gustarvi un assortimento veramente eterogeneo di prodotti dell’industria, nonché del mondo vegetale e animale. Csele ragionava dunque animatamente con l’italiano. Chiunque conosca, anche solo elementarmente, le leggi che regolano il commercio mondiale, sa che i prezzi delle merci sono proporzionati ai rischi che si corrono per esse. Ora, il mercante di dolci sapeva che il suo commercio era minacciato. Correva voce infatti che il preside avesse l’intenzione di vietargli la sosta nelle vicinanze della scuola. Ed egli aveva un bel far sorrisi mielati ai professori, non sarebbe mai arrivato a placarne lo sdegno, poiché essi lo consideravano nientemeno che un corruttore della gioventù. - I ragazzi lasciano tutti i loro soldi da quell’italiano - dicevano. E il povero italiano sentiva bene che, presto o tardi, sarebbe stato costretto a trasportare la sua bancarella in altri paraggi, e non troppo prossimi. Pertanto aveva aumentato i suoi prezzi. Perché non approfittare di tutte le buone occasioni possibili prima che lo avessero fatto sloggiare? E lo disse chiaramente a Csele: 5
L’heller era una moneta di origine tedesca. Si diffuse in Germania, Svizzera, Austria e Ungheria.
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I ragazzi della via Pál
- Prima costava un heller. A partire da ora, costa tutto due heller. Così dicendo, agitava ferocemente la sua piccola accetta. Gereb, che si era pure fermato, sussurrò sottovoce al ragazzo: - Csele, butta il tuo cappello sul banco! Al piccolo acquirente l’idea parve geniale: quale piacere sarebbe stato vedere quel ben di Dio sparpagliarsi per terra in ogni direzione! E quale spasso per i compagni! Gereb, con spirito malvagio, continuò a tentarlo. - Ebbene, che cosa aspetti? Getta dunque il cappello! È un imbroglione, non vedi? È uno strozzino! Csele guardò il suo cappello. - Il mio bel cappello?... - mormorò titubante. Ahi! Il colpo era sfumato. Gereb aveva mancato di psicologia: come aveva potuto dimenticare che Csele era un elegantone che non portava a scuola che i fogli staccati dei suoi libri? - Tieni dunque tanto al tuo cappello? - gli disse. - Sì - rispose lui. - Ma non devi pensare che io sia un vigliacco. È che non voglio perdere un così bel cappello. Per provarti che non è il coraggio che mi manca, se vuoi sono pronto a gettare il tuo. Ma non era così che si doveva parlare a Gereb. Egli giudicò insolente la frase di Csele. - Non ho affatto bisogno di te per far questo. Io ti dico che è un imbroglione e se tu hai paura, ti consiglio di andartene. E con un gesto risoluto si levò il cappello, pronto a gettarlo in mezzo ai dolciumi diligentemente ammucchiati in bella mostra. Proprio nell’istante in cui stava per lanciare quel proiettile di nuovo genere, qualcuno gli fermò la mano. Una voce grave, quasi virile, gli disse. - Che stai facendo, Gereb? Gereb si voltò e scorse Boka, che ancora gli chiese: - Che cosa vuoi fare Gereb? - con voce dolce e severa nello stesso tempo. Il ragazzo si mise a brontolare, come un leoncino davanti al 12
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domatore. Ma finì col rimettersi in testa il cappello. - Lasciate tranquillo questo buon uomo - aggiunse Boka, sottovoce. - È bene essere coraggiosi, ma di sfoggiarlo così, il coraggio, non vale la pena. Venite! E tese loro una mano tutta sporca d’inchiostro: il calamaio tascabile aveva sparso il suo contenuto azzurro ed aveva sporcato la mano che Boka teneva in tasca. Ma la cosa era senza importanza. Però, per scrupolo di coscienza, il ragazzo passò la mano sul muro e vi lasciò una bella impronta scura senza che, per altro, la sua mano si facesse più pulita. Chiuso questo piccolo incidente, Boka prese Gereb a braccetto e tutt’e due si incamminarono lentamente. L’elegante Csele invece rimase presso la bancarella dell’italiano. E i compagni poterono ancora sentirlo dire, con rassegnazione: - Ebbene, poiché da oggi tutto costa due heller, mi dia due heller di torrone. L’italiano sorrise, probabilmente pensando che l’indomani avrebbe potuto portare il prezzo anche a tre heller; ma non era che un sogno, come chi vede, dormendo, il suo heller trasformarsi per incanto in un fiorino. Lasciò cadere l’accetta sulla grande massa bianca e marrone del torrone. Poi raccolse i frammenti caduti e li mise in poca carta, che diede al ragazzo. Csele gli lanciò, con le due monete, uno sguardo colmo d’amarezza e di sdegno. - Ma ora lei me ne dà meno di ieri con un solo heller!... - gli disse con voce strozzata. Il venditore, soddisfatto del successo, poté mostrarsi anche sfrontato. - Diamine!... Poiché è più caro, è giusto che debba dartene di meno. E si volse ad un nuovo cliente. Costui, avendo assistito alla scena, si era affrettato a preparare i due heller. Così la piccola accetta dell’italiano ricadde di nuovo sul torrone; e altre volte ricadde, come fosse la scure di un carnefice medioevale che decapitasse piccoli buoni uomini dalla testa grossa quanto una nocciola, un 13
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carnefice che procedesse ad un vero massacro tra quei suoi condannati di zucchero. - È disgustoso! - disse Csele ad un altro ragazzo prima di andarsene. - Non dare niente a quest’imbroglione! Si cacciò in bocca il torrone, con carta e tutto. - Aspettatemi! - gridò poi, a bocca piena, a Boka e a Gereb. E si mise a correre per raggiungerli. Li riprese prima che avessero voltato l’angolo. Si mise a lato di Boka, attaccato al suo braccio; Gereb dall’altra parte. Boka, che camminava nel mezzo e parlava a voce bassa per abitudine, aveva quattordici anni; dal viso però non li dimostrava, ma bastava che aprisse bocca per stimarlo di qualche anno più vecchio. Infatti aveva un’inflessione vocale grave, dolce e profonda. Tutto quello che diceva era, come la sua voce, ben ponderato e giusto. Raramente si trovava ad aver detto qualche sciocchezza e non aveva nessuna inclinazione per gli scherzi degli scolari. Non amava neanche intromettersi nelle liti dei compagni, pur essendo più d’ogni altro in grado di farlo, per il suo ascendente. Quando gli domandavano di arbitrare certe questioni, cercava sempre di esimersi da questo onore: sapeva per esperienza che il giudizio, qualunque fosse, lasciava fatalmente malcontenta una delle due parti in causa e che questo malcontento si sarebbe poi riversato sul giudice. Però, quando la questione si faceva seria al punto da rendere necessario l’intervento di qualche professore, allora Boka entrava in scena per far pacificare gli avversari. La gente non serba mai rancore ad un conciliatore. Per finire, insomma, egli sembrava un ragazzo intelligente, e tutto portava a credere che, qualora non fosse riuscito a salire tanto in alto nella scala sociale, sarebbe diventato comunque un uomo onesto, ligio ai propri doveri e generoso verso il prossimo. Dopo aver percorso la via Sorokari, svoltarono nella via Koztelek inondata di sole; qui trovarono una calma e un silenzio incredibilmente riposanti. Dal fondo della strada perveniva soltanto un leggero ronzio, forse all’altezza della Manifattura Tabacchi. Però si vedevano bene due ragazzi fermi in atteggiamento di ascolto. Erano il forte e robusto 14
Capitolo 1
Csonakos ed il piccolo biondo Nemecsek. Nello scorgere i tre che se ne venivano a braccetto, Csonakos si ficcò due dita in bocca e fece un fischio acuto, assordante come quello di una locomotiva. Pochi fra i suoi compagni sapevano fischiare così; si può dire anzi che nella scuola intera solo Cinder poteva imitarlo. Ma Cinder aveva cessato di fischiare dal giorno in cui era stato eletto presidente dell’Associazione Scolastica, poiché stimava il fischiare incompatibile con la dignità delle sue funzioni. Csonakos dunque, dopo aver fischiato, attese che giungessero i tre amici prima di chiedere a Nemecsek: - Non gliel’hai ancora detto? - No - rispose il biondino. - Cosa? - chiesero gli altri incuriositi. Ma fu Csonakos a rispondere, invece del piccolo Nemecsek: - Hanno fatto ancora l’einstand, ieri nel giardino del Museo! - Chi? - chiese Gereb. - E chi mai, se non i fratelli Pasztor! Si fece un profondo silenzio. Conviene sapere che l’einstand, nel gergo scolaresco di Budapest, serve a indicare l’operazione, sommariamente illegittima, che effettua un ragazzo più forte per impadronirsi delle palline, dei pennini o delle figurine con cui dei ragazzi più piccoli, o comunque non in grado di opporsi con altrettanta forza, sono intenti a giocare. Nell’annunciare l’einstand il ragazzo più forte dichiara che considera gli oggetti come suo bottino, e che userà la forza contro coloro che oseranno resistergli. Così, pertanto, l’einstand è un vero e proprio ultimatum, che annuncia, in forma concisa ma assai eloquente, lo stato di assedio, la legge del taglione e l’avvento del regno della pirateria. Csele ruppe per primo il silenzio, con voce tremante: - È proprio vero? Hanno dunque fatto l’einstand? - È vero sì! - rispose pronto Nemecsek incoraggiato dall’effetto prodotto dalle parole di Csonakos. - Così non può più durare! - esclamò Gereb - Io ho già detto 15
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che sarebbe ora di agire, ma Boka ritiene che ancora non sia il tempo! Ebbene: io penso che, se continua così, non solo quelli ci razzieranno anche i fazzoletti da naso, ma verranno a prenderci in giro pure sul nostro stesso campo. Csonakos si ricacciò le dita in bocca, come per fischiare nuovamente: quando si trattava di battersi egli era sempre contento; ma Boka lo fermò in tempo: - Csonakos, tu finirai col rendermi sordo! - gli disse. Poi si rivolse al piccolo Nemecsek: - E tu, racconta dettagliatamente, ma non ti dilungare nei particolari inutili. Se vogliamo agire contro di loro, dobbiamo conoscere l’esatta verità, la verità nuda e cruda. Sentendosi il centro dell’interesse generale, cosa che a lui non capitava che molto raramente, Nemecsek provò una viva emozione. Nei giochi dei compagni, infatti, il biondino era un’entità trascurabile, come il numero 1 nelle divisioni o nelle moltiplicazioni. Nessuno si curava di lui. Era un bimbetto gracile, mingherlino, dall’aspetto insignificante; la sua inferiorità fisica sembrava peraltro predestinarlo ad un ruolo di eterno gregario6. Ma questa volta era proprio al centro dell’attenzione generale. Tutti pendevano dalle sue labbra. - Dunque - cominciò, - noi avevamo deciso di andare dopo pranzo al Museo; e ci andammo, Weisz, Richter, Kolnay, Barabas e io. Prima si voleva giocare a palla nella via, ma poi, vedendo che non si poteva perché c’erano già altri ragazzi, decidemmo di giocare a palline; ce n’erano anche due di vetro colorato, grosse così. Ad un tratto Richter disse precipitosamente: “Smettiamo il gioco: stanno arrivando i Pasztor”. In effetti i Pasztor avanzavano lentamente, ma decisamente verso di noi: le mani in tasca, la testa bassa, e l’aria truce come sempre. Non si ebbe subito paura: eravamo in cinque, è vero, ma essi sono così forti e litigiosi che da soli sarebbero capaci 6
Gregario è il soldato semplice.
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Capitolo 1
di tener testa a dieci. Lo sapete, no? E poi non potevamo neanche dire di essere in cinque, poiché sapete bene che Kolnay appena succede qualcosa è il primo a svignarsela, e come lui si può dire anche Barabas. Potevamo dire di essere in tre, ecco, tutt’al più. Non era da escludere, però, che me la sarei data a gambe anch’io, così sarebbero rimasti in due. Ma poi, anche se fossimo scappati tutti e cinque, non avrebbe voluto dir niente lo stesso, perché i Pasztor corrono più forte di tutti e ci avrebbero presto raggiunti. I due, dunque, si avvicinavano sempre più, senza perder d’occhio le palline. Io dissi a Kolnay: “Pare che abbiano l’aria di volerci rubare le nostre palline”. E Weisz, che la sa sempre più lunga degli altri, aggiunse: “Vedrete che bell’einstand faranno se vengono qui”. Da parte mia pensai che, siccome noi non avevamo fatto mai niente di male a loro, anch’essi avrebbero dovuto lasciarci tranquilli. In principio infatti si accontentarono di guardarci giocare, anche se uno diceva sottovoce: “Che belle palline!” e l’altro: “Le prendiamo noi?”. Kolnay allora mi disse: “Dici che sia meglio interrompere la partita?”. Io gli risposi, sempre a voce bassa perché i Pasztor non mi udissero, che non volevo si interrompesse il gioco proprio ora che, dopo Richter, toccava a me tirare. “Ora tiro io - gli dissi - e se vincerò ce ne andremo”. Intanto Richter aveva fatto il suo tiro, ma la mano gli tremava dalla paura e così non aveva preso niente. Toccava a me, e lanciai la mia pallina. Non so per quale straordinario caso, poiché la mia mano tremava anche più di quella di Richter, riuscii a colpire, con la mia, l’altra pallina e vinsi. Andai dunque per raccogliere la vincita; pensate che c’erano più di trenta palline per terra, e per di più di vetro colorato, ma non m’ero ancora chinato che il più giovane dei Pasztor mi balza d’innanzi e mi grida: “Einstand!”. Io mi volto, perché di primo acchito mi venne di fuggire, e vedo Kolnay e Barabas che se la filano a gambe levate. Weisz è sempre vicino al muro, ma è bianco come un panno lavato; Richter sembra indeciso se scappare o no. Io allora tento le buone maniere e dico ai Pasztor: “Scusate, ma non avete nessun diritto di far questo!”. 17
I ragazzi della via Pál
Come se non avessi nemmeno fiatato, il maggiore dei fratelli si mette a raccogliere le palline e a intascarle. Il giovane invece mi prende per il petto e, tirandomi il bavero della giacca, mi grida sul muso: “Non mi hai sentito? Non ho forse detto Einstand?”. Naturalmente mi toccò lasciar fare. E così, mentre Weisz si era messo a piangere contro il muro e Barabas e Kolnay spiavano da lontano, i Pasztor finirono tranquillamente di raccogliere le palline e se ne andarono per la loro strada senza più aprir bocca o degnarci d’uno sguardo. Ecco tutto. - Incredibile! - sbuffò Gereb, profondamente indignato. - Furto vero e proprio! - rincarò Csele. Csonakos fischiò alla sua potente maniera, forse per far capire che le affermazioni di Csele e di Gereb erano proprio giuste e rispecchiavano anche il suo pensiero. Boka invece restò silenzioso e rifletteva. Gli sguardi dei ragazzi si concentrarono tutti su di lui, poiché tutti erano ansiosi alla stessa stregua di conoscere la decisione che avrebbe preso dopo questo ennesimo incidente toccato ai compagni. La loro attesa non andò delusa: l’ingiustizia evidente dell’accaduto indignò infatti anche Boka. - Per ora - disse - andiamo a mangiare. Ci ritroveremo poi sul campo. Parleremo di tutto là e decideremo il da farsi. Intanto vi dico che ciò è semplicemente orribile, che questa volta hanno passato il segno. Tutti furono soddisfatti di questa dichiarazione. E più che soddisfatti furono quando negli occhi neri di Boka lessero l’indignazione: si entusiasmarono e avrebbero voluto abbracciarlo. Si incamminarono. Dalla chiesa della Jozsefvaros poco lontana di lì, giunse un festoso suono di campane. Il sole splendeva alto nel cielo e tutto intorno sembrava partecipare con i cinque ragazzi alla gioia, allo sdegno e all’entusiasmo per l’impresa che si sarebbe compiuta. Si diressero dalla parte di viale Ullói. Csonakos però restò un po’indietro con Nemecsek. Volgendo il capo, prima di girare l’angolo, Boka li vide fermarsi presso una finestra della Manifattura Tabacchi. Stavano ad osservare il 18
Capitolo 1
davanzale coperto di un leggero strato di polvere gialla: polvere di tabacco. - È tabacco da fiuto! - si mise a gridare Csele, improvvisamente, e dopo aver mandato un fischio, si riempì il naso di polverina. Nemecsek si mise a ridere; poi, come una piccola scimmia, anche lui prese un pizzico di polvere e se ne riempì le narici. Infine tutti allegri per la scoperta, si incamminarono per la via Kòztelek, starnutendo e ridendo. Gli starnuti di Csonakos sembravano cannonate e quelli di Nemecsek degli sbuffi di un porcellino d’India, così, starnutendo, ridendo e sbuffando finirono presto col dimenticare anche la grande ingiustizia che il silenzioso e cauto Boka aveva definito orribile.
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Capitolo 2 Il campo della via Pál, un terreno accidentato e vuoto vicino a una segheria a vapore, circondato da uno steccato cadente, per i ragazzi rappresenta la libertà, un luogo capace di diventare qualsiasi cosa. Quel campo diventa una “base militare” in cui i ragazzi, ricoprendo ruoli come capitano, tenente o soldato semplice (ruolo rivestito solo da Nemecsek), si costruiscono fortini e castelli. Compare ora un altro personaggio, Feri Áts, capo delle Camicie Rosse dell’Orto Botanico, rivali dei ragazzi della via Pál. Áts ruba la bandiera rosso verde, simbolo dell’esercito dei nostri protagonisti. Se tu, caro lettore, sei un ragazzo di campagna, sei fortunato! Ti basta fare un passo per trovarti in spazi senza confini, sotto l’immensa volta del cielo. Abituato a guardare orizzonti lontani, non puoi capire cosa vuol dire stare rinchiuso tra i muri grigi di una città. Non puoi nemmeno comprendere cosa significhi, per un ragazzo della capitale, un piccolo prato abbandonato. Per lui è il luogo dove si gioca, è la fuga dalla realtà, è il regno della libertà. Oggi sul terreno della via Pál si innalza, triste e severo, un tozzo fabbricato di quattro piani, e chi vi abita ignora completamente che cosa ha rappresentato per una squadra di poveri scolari di Budapest il quadrato di terra su cui sorge la casa. Ma allora il posto era vuoto. La palizzata che chiudeva frontalmente il riquadro, dava sulla vecchia via Pál, ed era delimitata, ai due estremi, da due case. Dietro la palizzata, dalla parte opposta, il terreno era occupato da una segheria, e su buona parte di esso si ergevano alte cataste di tronchi, vicinissime una all’altra, tanto da permettere il passaggio solo ad una persona per volta e, per di più, non molto voluminosa. Era insomma un labirinto che si snodava fra alti mucchi di legna. A sinistra di queste cataste sorgeva il capannone della segheria meccanica. Era una casaccia bizzarra in 20
Capitolo 2
legno e mattoni; i muri esterni d’estate si ricoprivano di piante rampicanti: edera, glicine, vite selvatica, che lasciavano nudo, sul tetto, solo il grande fumaiolo nero che sbuffava fuori ad intervalli regolari vampate di vapore. Da lontano si sarebbe potuto credere che, ferma tra le case per qualche incantesimo, indugiasse una locomotiva in procinto sempre di sfrecciare via. A sinistra della segheria, più verso le cataste, vegetavano alcuni alberi mezzo disseccati. Appoggiato ad uno di questi c’era un capanno di legno, l’abitazione del guardiano del cantiere, uno slovacco dall’aria burbera ma non cattiva. Di giorno non si faceva quasi mai vedere poiché dormiva, dovendo vegliare di notte che non scoppiassero incendi o che qualcuno non rubasse. Si poteva trovare un migliore campo da gioco? I ragazzi non potevano neanche concepire che ce ne fosse uno più bello; per loro questo era l’ideale. Il suolo liscio sostituiva meravigliosamente le praterie americane quando giocavano ai pellirosse. Quanto alle cataste di legno, con un po’ di buona volontà, con un briciolo d’immaginazione, potevano diventare ogni cosa: città, foreste, montagne rocciose, case, fortezze... a seconda delle circostanze. Dicevamo fortezze. Ecco, su qualcuna delle cataste più grandi essi avevano rimosso dei tronchi, e avevano aggiunti degli altri, ed ora sembravano vere fortezze, in cima ad ognuna delle quali sventolava una bandierina rossa e verde. Il lavoro manuale di queste modifiche e di questi assestamenti bellici spettava a Csonakos e a Nemecsek. Boka dirigeva le operazioni e stabiliva quale punto dovesse essere fortificato. Gli altri non lavoravano perché erano tutti ufficiali. Anche Csonakos era un ufficiale, ma gli piaceva lavorare. In tutto il campo, tenenti e sottotenenti comandavano ad un unico soldato: solo lui doveva fare le esercitazioni, le finte manovre, la pulizia, solo lui poteva essere punito con gli arresti se avesse commesso qualche atto d’insubordinazione. Forse non è nemmeno il caso di dire che questo unico soldato era Nemecsek, il piccolo e biondo Nemecsek. Capitani, tenenti, sottotenenti, quando si incontravano si salutavano portando negligentemen21
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te la mano ad un’immaginaria visiera. Solo il povero Nemecsek, unico soldato semplice, doveva mettersi ogni volta sull’attenti e salutare i superiori che incontrava ad ogni batter di ciglia, e che non mancavano ogni volta di fargli qualche osservazione: - Su dritto! - Tacchi uniti! - Petto in fuori! - Pancia in dentro! - Testa alta! E Nemecsek obbediva a tutti: era uno dei pochi ragazzi che trovano piacere nell’ubbidienza. La maggioranza preferisce comandare: è logico. Appunto per questo, nell’armata di via Pál tutti avevano un grado; tutti meno Nemecsek. Alle due e mezza, sul campo non c’era ancora nessuno. Steso su una coperta da cavalli, davanti al suo casotto, lo slovacco sonnecchiava beatamente. La sega a vapore strideva regolarmente e dal pinnacolo nero uscivano a intervalli regolari gli sbuffi di vapore. Qualche minuto dopo la mezza, la porta della via Pál si aprì con un leggero scricchiolio e Nemecsek entrò. Subito trasse di tasca un grosso pezzo di pane, si guardò attorno e, non vedendo nessuno, si mise a mangiucchiarlo svogliatamente. Prima però aveva chiuso accuratamente la porta perché il regolamento stabiliva che chiunque entrasse dovesse chiuderla; chi non lo faceva era passibile di grave punizione, poiché al campo vigeva una severa disciplina militare. Nemecsek si era seduto su una pietra e mangiava il suo pane. La riunione di oggi doveva avere un interesse eccezionale, egli pensava. Grandi avvenimenti si preparavano. Ed egli si sentiva fiero di appartenere ad una squadra - anche se da semplice soldato - come quella della via Pál. Si alzò, sempre sgranocchiando il pezzo di pane, andò a fare un giretto tra le cataste. Ad un tratto si trovò davanti il grosso cane nero del guardiano. - Ettore! - lo chiamò con voce invitante, e gli tese il pezzo di pane. Ma il cane non lo degnò d’uno sguardo. Agitò soltanto la coda, ciò che per un cane equivale al gesto di un uomo frettolo22
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I ragazzi della via Pál
so che saluti qualcuno di là dalla strada, e continuò ad annusare. Poi tutto d’un tratto prese a ringhiare minacciosamente, ma non all’indirizzo del ragazzo. Ringhiò per qualche istante, poi si slanciò. Nemecsek lo seguì stupefatto. Il cane fece un paio di volte il giro della catasta (si trattava di una di quelle adibite a fortezza), poi si fermò di colpo e si mise ad abbaiare verso l’alto. Il ragazzo alzò gli occhi, ma non vide che la bandierina sventolare leggermente dalla cima della sua asta. - Cosa potrà essere? - si domandava; e intanto accarezzava il cane per farlo acquietare. Poiché quello continuava ad abbaiare, provò a chiedergli: - Che cos’hai? Che cosa senti? Bisogna sapere che loro due si intendevano assai bene: erano sempre stati buoni amici forse per il fatto di essere i soli a non avere gradi nella compagnia. Naturalmente però, con tutta la sua buona volontà, il cane non poté rispondere o, meglio, il ragazzo non riuscì a decifrare la sua risposta. Allora guardò ancora verso l’alto della catasta di legna. Questa volta gli parve di sentire qualcuno muoversi cautamente fra i tronchi. Il cuore prese a battergli a grandi colpi: è inutile negarlo, si sentì subito addosso qualcosa che poteva assomigliare alla paura. Ma il sentirsi vicino all’inquieto compagno lo rinfrancò e finì per riacciuffare il briciolo di coraggio che in qualche recondita parte del suo “io” se ne restava dubbioso. Con quello si decise a scalare la catasta. - Non aver paura, Nemecsek - si diceva arrampicandosi con cautela. E ad ogni passo per darsi coraggio replicava accanitamente: - Non aver paura, Nemecsek; non aver paura, Nemecsek! Finalmente le sue mani si aggrapparono all’ultimo tronco. Si issò con un ultimo sforzo, sporse la testa e... - Dio santo! - gridò. Per poco non abbandonò l’appiglio. Si lasciò scivolare giù più in fretta che poté. Quando si sentì di nuovo la terra sotto i piedi, per poco il cuore non gli balzò dal petto. Tentò d’inghiottire qualcosa che gli si era fermato in gola, ma che 24
Capitolo 2
non volle scendere per quanti sforzi facesse. Involontariamente guardò in alto: vicino al pennone della bandiera, ritto a gambe larghe sul cornicione, c’era Feri Áts, il nemico numero uno di quelli della via Pál, il capo della squadra dell’Orto Botanico, con indosso una camicia rossa così larga che il vento gliela faceva svolazzare. Guardava Nemecsek con un sorriso pieno di sarcasmo e due occhi beffardi. - Non aver paura, Nemecsek! - gli gridò. Ma il biondino quando aveva paura, l’aveva come nessun altro e scappava così precipitosamente che nessun ostacolo lo avrebbe più fermato. Il cane lo seguì immediatamente, non per mancanza di coraggio - diamogliene atto - bensì per spirito di solidarietà. Da lontano la voce di Áts li seguì: - Non aver paura, Nemecsek! Dillo anche al tuo cane di non aver paura! Quando, arrivati presso la palizzata, Nemecsek e il cane si volsero, non videro più la camicia rossa del terribile nemico. Con lui era scomparsa anche la bella bandiera del forte, la bandiera rossa e verde cucita con tanto amore dalla sorella di Csele. Il capo nemico aveva dunque portato via il vessillo ed ora probabilmente stava fuggendo per la porta di via Maria. Ma, a pensarci bene, non era da escludere che si fosse nascosto tra le cataste, dove magari lo aspettavano i suoi amici Pasztor. Al pensiero che i Pasztor potevano essere lì, al campo, Nemecsek fu assalito da un brivido così forte che anche il groppo della gola se ne scivolò giù nei meandri oscuri dell’esofago. Egli sapeva bene che cosa voleva dire un incontro con i terribili fratelli, ma era la prima volta che si trovava faccia a faccia con Feri Áts. Nonostante la paura che gli aveva fatto, doveva però confessare che era un bel ragazzo, fiero, robusto; e poi con quella camicia rossa sembrava un piccolo eroe garibaldino! Tutti i ragazzi dell’Orto Botanico, seguendo l’esempio del loro capo, portavano la camicia rossa. In quel momento si udirono, ad intervalli regolari, quattro colpi sulla porta della palizzata. Nemecsek mandò un sospiro di sollievo: quei colpi erano il segnale 25
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regolare di quelli della via Pál. Egli corse ad aprire. Entrò Boka, accompagnato da Csele e da Gereb; anzi Boka entrò per ultimo, prima entrarono gli altri due. Il ragazzo aveva fretta di comunicare ai compagni il terribile accaduto, ma questa fretta non gli fece dimenticare i suoi doveri di semplice soldato in presenza dei superiori. Si mise sull’attenti e fece un impeccabile saluto militare. - Salve! - gli dissero i nuovi venuti. - Novità? Nemecsek si riempì d’aria i polmoni, come se poi la dovesse espellere tutta d’un colpo. - È spaventoso - gridò. - Cosa? - Una cosa!... Voi non ci crederete di certo... - Vuoi spiegarti? - Feri Áts è stato qui! I tre restarono a bocca aperta e si guardarono spaventati. - È impossibile! - fece Gereb. Nemecsek portò la mano sul cuore: - Lo giuro! - Non giurare! - ordinò Boka. E per dare maggior efficacia al suo comando, ordinò: - Mettiti sull’attenti! Nemecsek scattò. Boka si avvicinò e gli disse: - Fa un rapporto dettagliato! - Signorsì. Stavo gironzolando tra le cataste quando il nostro cane si mise ad abbaiare. Io lo chiamai un poco meravigliato perché non vedevo nessuno, ma il cane, anziché smettere, cominciò a girare attorno alla fortezza e poi ad abbaiare verso l’alto. Io guardo in su e sento dei rumori sospetti. Allora salgo, salgo e, arrivato in cima, chi trovo? Feri Áts in camicia rossa. - Era lassù sulla fortezza? - Sulla fortezza, proprio... E di nuovo fece per portare la mano al cuore per confermare con il giuramento le sue asserzioni. Boka però lo fermò in tempo. 26
Capitolo 2
- Lascia stare i giuramenti e continua - gli disse con voce severa. - ...E ha portato via la bandiera. - La bandiera! - gridò Csele, punto sul vivo. - Sì, la bandiera. Tutti e quattro corsero alla fortezza centrale; Nemecsek modestamente per ultimo, pensando ai vantaggi della sua posizione di soldato semplice, poiché Feri Áts poteva essere ancora là, e... si arrestarono davanti alla catasta in preda a una viva eccitazione: la bandiera era veramente sparita. Boka che conservava quasi tutto il suo sangue freddo, rivolto a Csele disse: - Dovrai dire a tua sorella che ci prepari un’altra bandiera per domani. - Va bene - rispose, - ma non c’è più tela verde. Di rosso ce n’è ancora, ma di verde no. - Di bianca ne avete? - Sì. - Ebbene, che faccia una bandiera rossa e bianca. Da oggi questi saranno i nostri nuovi colori. Il problema era così risolto. - Soldato Nemecsek! - gli gridò Gereb. - Agli ordini, signor tenente. - Provvedete subito a modificare il nostro statuto in questo senso: “In data odierna la bandiera rossa e verde viene sostituita dalla bandiera rossa e bianca”. - Signorsì, signor tenente. Agli ordini. Dopo di che il tenente Gereb, vedendo che il biondino rimaneva lì impalato, come se avesse inghiottito una sciabola, si degnò di dare l’ordine: - Riposo! Gli altri due intanto erano saliti sulla fortezza e appurarono che Feri Áts, per rubare la bandiera, aveva rotto alla base l’asta che la sosteneva e che ora affiorava dai tronchi solo un misero moncone. 27
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Di lì a poco si udirono, dalla parte della via Pál, dei richiami: - Ao! O! Ao! O! Era il segnale convenzionale. I compagni erano dunque giunti e li stavano cercando. Csele fece segno al biondino di avvicinarsi. - Soldato Nemecsek! - Agli ordini, signor tenente. - Rispondete loro! - Signorsì, signor tenente. Giunse le mani alla bocca come un imbuto e con la sua tenue voce rispose: - Ao! O! Ao! O! Poiché Boka e Gereb erano intanto scesi dalla catasta, tutti si diressero verso il centro del campo. Questa volta però il soldatino marciava in testa a tutti con poco rispetto del regolamento militare. Sul campo trovarono Csonakos, Weisz, Kende, Kolnay ed altri ancora. Al sopraggiungere di Boka, il più elevato in grado, tutti scattarono sull’attenti. - Salve a tutti - egli disse. Kolnay si staccò dal gruppo e si avvicinò al comandante. - Signor capitano, annuncio rispettosamente che quando noi siamo entrati, la porta della Via Pál era aperta. Ciò è contrario al regolamento che prescrive, sotto pena di punizione, che chi entra debba chiudersi la porta alle spalle con il paletto. Boka guardò severamente i ragazzi che per primi erano arrivati al campo. Gli altri guardavano anche loro i tre, ma i più fissavano il biondino sicuri della sua colpevolezza. Nemecsek si stava già portando la mano sul cuore per giurare, quando Boka chiese: - Chi è entrato per ultimo? Si fece un profondo silenzio. Nessuno sembrava essere entrato per ultimo. Ma di colpo il viso di Nemecsek si rischiarò: - Per ultimo è entrato il signor capitano - disse. - Io? - fece Boka sorpreso. - Signorsì. 28
Capitolo 2
Il capitano si fermò un attimo a riflettere pensieroso. Poi disse decisamente: - Hai ragione: ho dimenticato di chiudere la porta. Signor tenente la prego di segnare il mio nome nel libro nero. Gereb trasse di tasca una piccola agenda nera e vi scrisse a grandi caratteri JANOS BOKA. Poi, per meglio ricordarsi di che si trattasse, aggiunse tra parentesi: “porta”. Il gesto di Boka piacque a tutti. Aveva dato loro un esempio di disciplina degno della storia antica e delle virtù romane, come si sentivano ricordare in ogni momento nelle lezioni di storia e di latino. Ma anche Boka era pur sempre un misero mortale e come tale soggetto a debolezze. Ordinò che si segnasse il suo nome, ma poi si rivolse subito a Kolnay che aveva denunziato il fatto e gli disse: - Tu però parli troppo: il nostro regolamento vieta di fare la spia. E rivolto a Gereb: - Signor tenente, segni anche il nome di Kolnay. Nemecsek, che se ne stava dietro a tutti, non stava in sé dalla gioia per essere sfuggito, una volta tanto, alla punizione. In effetti il suo nome era sempre il solo a figurare nel libro nero. Si scriveva il suo nome per i più diversi e futili motivi. La Corte Marziale, che si riuniva ogni giovedì, non aveva che lui da giudicare, da condannare, perché era l’unico soldato semplice. Finalmente si tenne consiglio. Tutti seppero che Feri Áts era venuto ed aveva rubato la bandiera. Lo sdegno fu generale. Poi cominciarono ad interrogare Nemecsek che, pressato dalle domande, finiva con l’aggiungere sempre nuovi dettagli al suo racconto sensazionale. - E ti disse qualcosa? - domandò uno. - Sicuro! - rispose Nemecsek tutto fiero. - Che cosa ti disse? - Mi gridò: “Non hai paura Nemecsek?” - Come, come? - Non hai paura Nemecsek? E qui si fermò il tempo di inghiottire un po’ di saliva, perché, quando si dice una bugia, la gola diviene subito secca. E lui sa29
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peva di aver detto una bugia. Pareva quasi che fosse stato molto coraggioso e che Feri Áts, meravigliandosi, gli avesse chiesto se non avesse paura. - E tu non hai avuto paura? - Paura io? Mi arrampicai in cima alla fortezza e lui scese dall’altra parte e scappò. - Bugiardo! Feri Áts non è mai scappato davanti a nessuno. Boka guardò meravigliato Gereb. - Si direbbe che tu lo difenda... - Non lo difendo. Dico soltanto che non si può credere che Áts abbia avuto paura di Nemecsek. Tutti risero, perché era veramente una cosa incredibile che il capo delle Camicie Rosse avesse avuto paura del piccolo Nemecsek. Il ragazzo divenne rosso ed alzò le spalle tutto confuso. Fortuna che Boka attrasse l’attenzione dei compagni. - Bisogna fare qualcosa! - gridò. - Per oggi, se non sbaglio, era fissata l’elezione del presidente. Eleggeremo dunque il presidente e gli daremo pieni poteri. Tutti dovranno ubbidire ai suoi ordini senza discussioni. Può darsi che la situazione si aggravi e si venga alla guerra. C’è bisogno di uno che comandi gli altri come nelle vere guerre. Soldato Nemecsek... - Il biondino si fece avanti convinto di ricevere qualche punizione. - ...soldato Nemecsek: preparate tanti foglietti quanti sono i presenti. Ognuno dovrà scrivere sul biglietto che gli verrà consegnato il nome del suo candidato, cioè di colui che desidera sia eletto presidente. Poi raccoglieremo in un cappello le schedine e procederemo allo spoglio. Chi avrà ottenuto il maggior numero di voti sarà eletto nostro presidente. Grida di giubilo1 accolsero le parole di Boka. Csonakos si cacciò due dita in bocca e fece un fischio che sembrava quello di una locomotiva. Qualcuno cominciò a strappare le pagine da un taccuino nero per fare i bigliettini e Weisz trasse fuori la mati1
Con giubilo si intende un sentimento di incontenibile gioia, esultanza.
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Il tempo e i luoghi dei ragazzi della via Pál
La casa delle palme all'interno dell’Orto Botanico.
Talvolta gli autori, scrivendo una storia, la ambientano in un luogo reale e in una precisa epoca storica, ma in altri casi lasciano invece ai lettori il compito di intervenire con la loro fantasia per collocare le vicende in un contesto immaginario. Si tratta di due modi diversi di definire le coordinate spazio-temporali che fanno da sfondo a ogni narrazione. Ogni storia, infatti, sia fantastica sia realistica, è necessariamente definita da un dove e un quando in cui si svolgono i fatti raccontati. Per fare un esempio: i luoghi scelti dall’autore de I promessi sposi per ambientare le avventure di Renzo e Lucia esistono realmente. Si trovano nelle vicinanze del lago di Como, in Lombardia, e sono diventati noti come “luoghi manzoniani”, appunto perché descritti da Alessandro Manzoni nel suo celebre romanzo. Anche l’epoca storica in cui si svolge la storia è precisa e ben definita: Renzo e Lucia, nella fantasia dell’autore, si conoscono e si innamorano nel 1600, durante la dominazione spagnola in Italia. Altri romanzi, invece, hanno un contesto meno definito, o addirittura volutamente immaginario, come avviene in generi letterari che riscuotono ampio consenso soprattutto tra i lettori più giovani, come il fantasy o la fantascienza. In questo caso possiamo dire che il romanzo è utopico e ucronico, cioè è collocato in un tempo e in uno spazio realisticamente indefiniti.
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È proprio dalla caratterizzazione di questi due elementi, lo spazio e il tempo, che derivano i diversi generi della scrittura. Se ci soffermiamo sui poemi epici che narrano le imprese dei mitici eroi greci come Ulisse e Achille, o sui romanzi cavallereschi della tradizione feudale che raccontano le storie di Re Artù, o sulle novelle del Decameron scritte da Giovanni Boccaccio nel 1300, oppure se leggiamo la saga di Harry Potter... be’, ci rendiamo conto che le coordinate spazio-temporali sono profondamente diverse e caratterizzano ogni opera. Ferenc Molnár, l’autore de I ragazzi della via Pál, è nato a Budapest nel 1878 ed è morto a New York nel 1952. Per raccontare le vicende di un gruppo di adolescenti, Molnár, ormai adulto (il libro è stato pubblicato quando l’autore aveva 28 anni), si è ispirato a dei ragazzi che vedeva giocare nei pressi di un campo ancora non edificato in quella che, nei primi anni del ’900, era la periferia della capitale ungherese. Oggi i luoghi descritti da Molnár rappresentano una meta turistica irrinunciabile per chi visita Budapest: la via che dà il nome al romanzo si trova quasi nel centro di Pest, la parte bassa della città, proprio accanto alla stazione “Corvin negre” Prima edizione (1907). della linea metropolitana 3. Uscendo dalla stazione si imbocca la via József Körut e, dopo soli cinquanta metri, ecco via Práter sulla destra e via Pál sulla sinistra. Di fronte al civico 11 di via Práter, proprio nel marciapiede di fronte alla scuola, svetta un gruppo di statue in bronzo che ritraggono a grandezza naturale cinque dei giovani protagonisti del romanzo. La scena rappresentata è narrata nelle prime pagine: i due fratelli Pasztor (appartenenti alla banda rivale), in piedi accanto alla porta della scuola, osservano con atteggiamento scanzonato i più piccoli (fra cui il “pulcino” del gruppo, Nemecsek) che giocano a biglie un po’ più in là, in un angolo dell’edificio, mentre le cartelle con i libri di scuola sono abbandonate a terra. Dalle loro espressioni e dai loro gesti trapela la vivacità e la voglia di vivere dei cinque adolescenti.
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Statua in bronzo dei ragazzi.
A poca distanza si trova l'Orto Botanico, oggi proprietà dell’Università di Buda, dove le Camicie Rosse fissarono il loro quartier generale. Si tratta di un’istituzione fondata nel 1770, che si estende per circa tre ettari e contiene una notevole varietà di piante autoctone ed esotiche. Nella fervida fantasia dell’autore, fu qui che i ragazzi della via Pál effettuarono le loro incursioni segrete, scavalcando il muraglione e inoltrandosi nella serra, tra le palme e la vegetazione esotica che conferivano alle loro imprese un’atmosfera davvero mitica. Nell’orto possiamo vedere ancora il laghetto dove il piccolo Nemecsek venne gettato dai temibili fratelli Pasztor, riportando le terribili conseguenze che ne determinarono la morte prematura. Certamente da allora molto è cambiato. La capitale in cui Molnár viveva non era certo la metropoli che conta 1 milione e 700 mila abitanti di oggi, e che ebbe il suo maggiore sviluppo urbanistico proprio negli anni in cui accadono le vicende del romanzo. La crescente urbanizzazione e la conseguente mancanza di luoghi in cui giocare liberamente sembrano essere stati l’ispirazione che indusse Molnár a raccontare le avventure dei ragazzi della via Pál. Quel campo infatti venne ben presto cementificato per far spazio a nuovi quartieri residenziali. L’esigenza di costruire nuovi palazzi appariva, agli occhi dell’autore, inconciliabile con la possibilità di vivere il gioco liberamente e all’aperto, che dovrebbe caratterizzare l’infanzia di ognuno. Il campo della via Pál, conteso tra la Società dello Stucco e le Camicie Rosse per poter giocare a calcio, non si limita a fare da sfondo alle vicende, ma determina, sin dalle prime battute, riflessioni modernissime e attuali sull’eccessiva urbanizzazione delle nostre città, e continua a esercitare lo stesso fascino a distanza di molti anni.
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L’autore: Ferenc Molnár La vita di Ferenc Molnár (in realtà questo è lo pseudonimo scelto dallo scrittore al posto del suo vero cognome, che era Neumann) attraversa l’ultimo scorcio del 1800 e si protrae per la prima metà del Novecento, in tempo per conoscere la fine dell’Impero austro-ungarico e la follia delle persecuzioni razziali naziste in Europa. Molnár nasce il 12 gennaio del 1878 a Budapest, al numero 83 della circonvallazione Jozsef, da una famiglia della borghesia ebraica. Viene avviato agli studi presso il ginnasio della città, in seguito si iscrive alla facoltà di Giurisprudenza a Ginevra, in Svizzera. Qui, oltre che agli studi, si dedica ad affinare le sue qualità artistiche sia nell’arte pittorica sia in quella musicale. Prosegue gli studi di diritto nella città natale, ma poi li abbandona per entrare, nonostante le resistenze del padre, nella redazione del giornale Budapesti Napló (Diario di Budapest), dove si distingue per la capacità di scrittura. Pubblica a sue spese la sua opera prima, una raccolta intitolata Maddalena e altri racconti. Una seconda raccolta viene pubblicata a puntate sul giornale A Hét. Il primo romanzo di Molnár è datato 1900 (La città affamata), ma il successo editoriale giunge solo l’anno successivo, con il romanzo sentimentale Storia di una barca senza padrone (la versione italiana si intitola invece Danubio blu). Un preludio al capolavoro I ragazzi della via Pál si ha con la serie di racconti umoristici intitolata Pino e altre piccole
commedie, del 1902, ispirata al mondo dei ragazzi. Nello stesso anno compone la prima opera teatrale, la farsa Il signor dottore, che gli vale buone recensioni da parte della critica. In questi anni di inizio secolo, la produzione letteraria di Molnár acquisisce una dimensione internazionale con il capolavoro I ragazzi della via Pál e grazie al buon successo conseguito dalla commedia Il diavolo. La produzione teatrale di Molnár riscuote in quegli anni un successo mondiale. Con le prime avvisaglie della politica razziale nazista, Molnár decide di migrare negli Stati Uniti, dove continua a scrivere soprattutto per il teatro. La sua vita privata in questo periodo è tuttavia rattristata dalla morte per suicidio della moglie. Molnár si spegne nel 1952 a New York.
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Incontro immaginario con l’autore Ferenc Molnár (1878-1952)
Non tutti sanno che Ferenc Molnár, alla vigilia dello scoppio della seconda guerra mondiale, ha scelto di lasciare il paese di origine, l’Ungheria, per vivere negli Stati Uniti. La decisione di abbandonare l’Europa fu dettata dalla violenza dei pogrom: questo termine della lingua russa indica le aggressioni violente con cui vennero perseguitati gli ebrei in Russia e per estensione nell’Europa dell’Est. Incontriamo lo scrittore nell’appartamento del New York Plaza Hotel, dove l’autore ungherese vive e lavora, mentre il sole di un pomeriggio autunnale filtra debolmente dai tendaggi tirati sulle ampie finestre che si affacciano su Central Park. Sin dalla calorosa stretta di mano con cui ci accoglie, Molnár appare cordiale e affabile, al punto da creare un’atmosfera distesa, quasi amichevole.
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Signor Molnár, vorrebbe essere così gentile da spiegare ai giovani lettori il motivo che la spinse ad adottare questo pseudonimo al posto del suo vero cognome? Ma certo, anzi, sono io che ringrazio lei per fornirmi l’occasione di spiegare che la scelta di un cognome di evidente origine ungherese, al posto del più tedesco Neumann, fu determinata dal forte senso di appartenenza che ho sentito da sempre verso il mio paese, l’Ungheria. Come sa, sono nato a Budapest nel lontano 1878. Così ho potuto vedere la fine dell’impero austro-ungarico nel 1918 e l’avvento della dittatura che condusse il mio paese alla tragedia della seconda guerra mondiale, che sconvolse tutta l’Europa.
Immagino allora che la scelta di andarsene dall’Ungheria le sia costata molto in termini affettivi. Dice bene. Fu un dilemma per certi versi drammatico, come per molti altri ebrei nel mio paese e negli altri stati europei che come il mio erano attraversati, in quegli anni che precedevano la seconda guerra mondiale, dal più feroce antisemitismo che l’Europa avesse mai conosciuto. Mi creda: è difficile comprendere, per chi non li abbia vissuti direttamente, i momenti drammatici che hanno sconvolto la mia vita e quella di milioni di persone discriminate e rifiutate improvvisamente. Eravamo ritenuti diversi in quanto ebrei. Era difficile credere che i miei concittadini, quelli che come me erano figli dell’Ungheria, improvvisamente
pensassero che per il fatto di essere ebreo io fossi diventato un nemico. Mi rifiutavo di crederlo, nonostante l’evidenza confermasse che era proprio così. Alla fine decisi di andarmene, prima che fosse troppo tardi; fu quando compresi che non si trattava del sentimento di ostilità che da sempre aveva reso gli ebrei invisi ai cattolici ungheresi, ma si trattava di una vera e propria campagna organizzata dalle autorità del regime fascista nel più ampio quadro dei totalitarismi che si erano affermati anche in Germania e in Italia. Del resto, l’America mi accolse a braccia aperte. Ero già uno scrittore affermato, anche grazie alle mie commedie umoristiche, rappresentate con successo di pubblico in tutto il mondo.
Xilografia di Budapest del 1932.
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La sua quindi era una famiglia di origine ebraica. Già. Mio padre era un medico piuttosto affermato a Budapest, aveva consolidato una posizione di prestigio e agiatezza per la nostra famiglia. Per questo scelse di mandarmi a studiare Giurisprudenza in Svizzera: voleva fare di me un avvocato di successo. Anche allora io dimostrai la mia indole ribelle preferendo interrompere gli studi per scrivere sul quotidiano Budapesti Naplò. Da giovani tutto ci sembra a portata di mano e io credevo di vivere davvero il sogno della mia vita, quello di fare lo scrittore. Di tutte le sue opere, quella che resta legata indissolubilmente al suo nome è un romanzo per l’infanzia. Le dispiace? Perché dovrebbe dispiacermi? La definizione di romanzo per l’infanzia non svilisce la dignità letteraria de I ragazzi della via Pál: il pubblico dei più giovani è tanto esigente quanto sincero nel decretare il successo o l’insuccesso
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di un’opera. Il fatto che le avventure di Nemecsek, Boka e gli altri membri della Società dello Stucco riescano ad affascinare i ragazzi di oggi come quelli del 1907 sta a significare che il romanzo ha colto l’essenza dell’adolescenza, che resta la stessa in ogni tempo: il bisogno di sognare, di lottare, di vivere sensazioni forti che facciano sentire vivi. Se questo fosse vero anche per gli adulti, il mondo sarebbe un posto migliore. (Mentre pronuncia queste ultime parole, negli occhi di Molnár per un istante balena la stessa luce che immaginiamo risplendere nello sguardo dei piccoli protagonisti del suo romanzo). Ora mio malgrado devo lasciarla, mi aspetta la solita passeggiata serale in compagnia del mio sigaro. A questo punto, Molnár si solleva lentamente dalla poltrona, controlla che in tasca ci sia il sigaro che lo accompagnerà nella sua passeggiata lungo i viali di Central Park, quindi tende la mano per un’altra vigorosa stretta.
Intervista all’illustratore – Fabio Sardo
Com’è nata la tua passione per il disegno? È facile rispondere a questa domanda. Come tutti i bambini amavo il disegno: se vedevo qualcosa che mi interessava o mi piaceva in modo particolare, volevo disegnarlo. Era un po’ come far mia quella cosa e interpretarla. Oltre a ciò che mi circondava, spesso disegnavo i personaggi dei miei cartoni animati preferiti.
Che cosa caratterizza il tuo stile? Questa è più difficile. Direi l’atmosfera giocosa e l’intenzione di suscitare emozioni. Inizialmente avevo uno stile più realistico, poi ho optato per uno stilizzato che mi permette di avere maggiore libertà nella scelta delle forme. Qual è la regola per essere un bravo illustratore? Essere fedeli al testo, ma riuscire allo stesso tempo a raccontare qualcosa in più con le immagini. Si tratta di aggiungere un racconto “parallelo” e complementare a quello testuale. Sei anche un buon lettore? Ora che sono papà, il tempo da dedicare alla lettura purtroppo si è ridotto. Però, quando posso e non sono troppo stanco, cerco sempre un buon libro da leggere. Mi definirei un lettore “stagionale”, nel senso
che cambio genere letterario a seconda della stagione. In inverno prediligo i saggi e leggo pochi romanzi, mentre d’estate, in vacanza, mi piace leggere i polizieschi. Che cosa ti ha colpito di questo romanzo? La capacità dell’autore di descrivere i sentimenti e le sensazioni dei ragazzi. Personalmente, posso dire che leggendo il testo ho piacevolmente ricordato quel clima di amicizia e l’importanza che il “gruppo” aveva durante l’adolescenza. Nel leggerlo ho quasi dimenticato la mia età anagrafica. Che libro consiglieresti ai nostri ragazzi? Le avventure di Tom Sawyer, che ho riletto recentemente. È una storia che si legge tutta d’un fiato. Davvero un bel modo di passare un pomeriggio. Un messaggio importante: Il vero divertimento è porsi degli obiettvi, avere qualcosa per cui impegnarsi, e ricordare sempre che nessuno è mai riuscito in qualcosa senza prima affrontare difficoltà e problemi. Quello che vorrei dire è: sii qualcuno che trova una soluzione per ogni problema, e non un problema per ogni soluzione.
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PERCORSI DI LETTURA Capitolo 1 1 Sin dalle prime righe del capitolo iniziale, Molnár descrive i giovani protagonisti del romanzo mentre in classe il professore sta portando a termine un esperimento di chimica. Costruisci una tabella a tre colonne in cui, accanto ai nomi dei ragazzi, riporterai le parole dell’autore usate per descriverli, quindi una tua definizione della loro personalità. 2 Csele ragionava dunque animatamente con l’italiano. Perché? 3 Che ruolo ha Boka nell’episodio che vede Csele e Gereb protagonisti? 4 L’autore descrive Boka sottolineando alcuni particolari fisici che rimandano alla sua personalità. Quali? 5 Che cosa si intende col termine einstand nel linguaggio dei ragazzi della via Pál? Conosci dei termini gergali usati comunemente nel tuo gruppo o nella comunicazione tra ragazzi? 6 Perché Nemecsek si sente particolarmente emozionato? 7 Quella di Nemecsek è una lunga retrospezione (o flashback): si tratta di una soluzione narratologica che serve a narrare un episodio avvenuto precedentemente. Secondo te, quindi, la struttura narrativa del romanzo segue la fabula o si sviluppa secondo un intreccio? PAROLE SOTTO LA LENTE • Nell’aula si rifece subito un silenzio di tomba. In questa frase si trova una figura retorica. Quale? Spiega perché. • Per definire l’entusiasmo degli studenti finalmente usciti da scuola, l’autore usa una similitudine. Quale? Rifletti sulla funzione che svolgono la metafora e la similitudine, si tratta di un procedimento retorico simile. • L’insegnante si accorse allora della finestra aperta da cui continuavano a giungere gli irriverenti rumori. L’aggettivo irriverenti è usato in modo metaforico. Con quale altro aggettivo di significato affine lo potresti sostituire?
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PERCORSI DI LETTURA Capitolo 2 1 Si poteva trovare un migliore campo da gioco? I ragazzi non potevano neanche concepire che ce ne fosse uno più bello. Che cosa rende speciale la segheria agli occhi dei ragazzi? Hai mai provato questa sensazione per un luogo che hai scelto per giocare o per incontrarti coi tuoi amici? 2 E Nemecsek obbediva a tutti: era uno dei pochi ragazzi che trovano piacere nell’ubbidienza. La personalità del piccolo Nemecsek è caratterizzata proprio dalla sua disposizione a obbedire che, specialmente oggi, non sembra una qualità molto diffusa e apprezzata. Pensi che obbedire sia un sintomo di rispetto dell’autorità o di debolezza verso chi è più forte? 3 Nell’episodio centrale del capitolo, che ha per protagonisti Nemecsek e Feri Áts, emerge il valore che la Società dello Stucco attribuisce all’uguaglianza trai suoi membri. Perché? PAROLE SOTTO LA LENTE • All’interno del flashback prevalgono i discorsi diretti o indiretti? Che tempi verbali vengono usati per esprimere l’idea di una azione passata rispetto al momento presente? • Guardava Nemecsek con un sorriso pieno di sarcasmo e due occhi beffardi. Cerca sul dizionario il termine sottolineato e usalo per costruire tre frasi. • Che differenza c’è tra ironia e sarcasmo? Con l’aiuto del dizionario prova a spiegarlo per iscritto. Capitolo 3 1 Avresti potuto aggiungere una bella ingiuria. La rappresaglia nell’Orto Botanico è la risposta dei ragazzi della via Pál all’incursione delle Camicie Rosse. Che cosa distingue però il codice di comportamento delle due bande? 2 Boka chiede a Csonakos di fargli una promessa. Di che si tratta? 3 Perché Boka è insospettito dall’assenza di Gereb? Che sentimenti prova Gereb verso Boka?
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PERCORSI DI LETTURA 4 Nemecsek e Csonakos sono sinceramente devoti a Boka. Rintraccia nel testo i passi dove direttamente o indirettamente viene espresso questo sentimento. 5 Per scampare all’ispezione del guardiano dell’Orto Botanico, Boka e i suoi due compagni si rifugiano nelle rovine del castello. Che cosa trovano casualmente? Dove sono arrivati? 6 Dopo aver attraversato il lago, i tre fanno una scoperta sconvolgente: chi scoprono seduto insieme al gruppo delle Camicie Rosse? 7 Ecco, la guerra fra quei ragazzi fu decisa come vien decisa la guerra fra le nazioni. Il narratore interviene qui commentando la scena, con una osservazione che rivela amarezza. Perché? PAROLE SOTTO LA LENTE • A essere sinceri avevano anche una certa fifa. La parola sottolineata è un sinonimo di paura, ma appartiene a un registro linguistico informale. Cerca altri sinonimi con lo stesso significato, rilevando il registro linguistico a cui appartengono (informale, medio, aulico). • Nemecsek indugiava titubante. Cerca il significato dell’aggettivo sottolineato e trova almeno tre sinonimi. • L’aggettivo che hai analizzato deriva da un verbo, di cui è il participio presente. Accade di frequente infatti che dal participio (presente o passato) di un verbo derivino direttamente degli aggettivi. Fai un esempio di questo processo. Capitolo 4 1 Il narratore, come in altri passaggi del romanzo, si serve dell’ironia per commentare le vicende. In questo caso come definisce la sala dei professori dove sono condotti i protagonisti?
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PERCORSI DI LETTURA 2 L’elegante Csele si avvicinò al tavolo dietro cui sedeva il professore, deciso a mostrare una romana fermezza di carattere. Che cosa intende evidenziare l’autore utilizzando l’aggettivo romana associato al sostantivo fermezza? 3 La bandiera della Società dello Stucco contiene una scritta con un errore ortografico. Come reagisce il professore? Chi interviene a risolvere la situazione? Con quale stratagemma? 4 Il professor Rácz sottopone i membri della Società dello Stucco a un interrogatorio durante il quale emergono ulteriormente i caratteri dei ragazzi. Costruisci una tabella dove accanto al nome di ciascuno dei componenti della banda riporterai sinteticamente gli aggettivi, i racconti, le osservazioni e le reazioni che lo definiscono. 5 Mentre la Società dello Stucco è nuovamente riunita, che cosa riesce a scoprire Nemecsek? 6 Chi viene in aiuto di Nemecsek? PAROLE SOTTO LA LENTE • Coloro che si sentivano nettamente eclissati dal subordinato. Cerca sul dizionario l’aggettivo sottolineato. Da quale linguaggio settoriale deriva? Conosci altri termini che appartengono a un linguaggio settoriale ma vengono poi usati abitualmente in ambiti generici? Fai alcuni esempi. • Nemecsek poté udire dapprima dei bisbigli confusi. Il sostantivo sottolineato è di origine onomatopeica. Se non lo sai, cerca sul dizionario il significato del termine onomatopeico. Conosci certamente altre parole di origine onomatopeica. Individuane almeno tre. • Gereb si fermò e si volse. Vide chi lo chiamava e scoppiò a ridere: una risata strana, sarcastica, cattiva. Poi di scatto fuggì via. La sua risata beffarda si ripercosse contro i muri della via Pál. Cerca sul dizionario l’aggettivo sottolineato e scrivi due frasi che lo contengano.
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PERCORSI DI LETTURA Capitolo 5 1 Quando Nemecsek cade in mano alle Camicie Rosse la sua vicenda sembra esser giunta all’epilogo, invece cosa avviene? 2 Perché l’intervento di Feri Áts è decisivo nello sviluppo di questo episodio? 3 Mentre i vestiti bagnati di Nemecsek gocciolano, il sorriso di Gereb cambia. Che cosa avviene dentro di lui? Perché? 4 Anche all’interno delle Camicie Rosse vige un severo codice d’onore. Ripercorri il capitolo e cerca le espressioni e le situazioni che lo dimostrano. PAROLE SOTTO LA LENTE • Il dialogo tra Feri Áts e Gereb mette in evidenza le profonde differenze nel carattere dei due ragazzi. Sottolinea le parole che dimostrano questa diversità. • Il piccolo Nemecsek, che interviene nel dialogo tra Gereb e le Camicie Rosse, paga il suo gesto di coraggio finendo per l’ennesima volta in acqua. Il narratore per descrivere la scena ricorre ad alcune similitudini tra Nemecsek e il mondo animale: rintracciale nel testo. • Cerca ora la novella Nedda scritta dal narratore siciliano Giovanni Verga nel 1874; dopo averla letta scoprirai quanto siano simili le scelte fatte dai due autori riguardo all’uso della similitudine tra uomini ed animali. Scrivi un breve testo per illustrarle. Capitolo 6 1 2 3 4
Perché lo stucco si è irrimediabilmente seccato? Chi anima la protesta dei membri della Società dello Stucco? A cosa è paragonato l’aspetto del pezzo di stucco? Incitando i suoi compagni alla battaglia contro le Camicie Rosse, cosa esige Boka dai ragazzi della via Pál? 5 Chi illustra dettagliatamente il piano del combattimento? 6 Era un ragazzo intelligente, è vero, ma non aveva ancora capito che gli esseri umani non erano tutti uguali; verità che si impara
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PERCORSI DI LETTURA tutti i giorni a prezzo di dolorose esperienze. Commentando quanto accaduto a Nemecsek, l’autore interviene con un’amara osservazione. Sei d’accordo col suo punto di vista? 7 (Boka) fantasticava su quello che sarebbe stato il suo avvenire... cosa sarebbe diventato mai? Ti capita di pensare, come il protagonista del romanzo, al tuo avvenire? Cosa pensi che farai da grande? 8 Al centro del capitolo, Boka si distingue definitivamente per il ruolo di leader del gruppo. Rintraccia nel testo tutti i passaggi che sottolineano questa sua caratteristica. A quale grande personaggio storico viene paragonato? 9 Il capitolo si chiude con l’intervento del padre di Gereb che, credendo a suo figlio, accusa Nemecsek di averlo calunniato. Una scena che può suggerirci una riflessione più generale sul valore della sincerità nel rapporto tra genitori e figli. Sviluppa un testo riflessivo sull’argomento. PAROLE SOTTO LA LENTE • La colpa era indiscutibilmente del presidente Kolnay, che con negligenza criminale non lo aveva masticato in tempo utile. Cerca sul dizionario il sostantivo sottolineato. Qual è il suo contrario? Capitolo 7 1 Il capitolo si apre con una scena di vita scolastica che sicuramente evoca anche in te il ricordo di situazioni analoghe. L’aula è uno dei luoghi ricorrenti della storia narrata da Molnár. Che idea ti sembra voglia darci l’autore relativamente alla scuola? Nonostante le evidenti differenze, potrebbe essere in qualche modo ancora attuale? 2 Tra il bidello del liceo e l’italiano venditore ambulante di dolciumi c’è reciproca inimicizia. I due personaggi sono descritti, sia psicologicamente che fisicamente, in modo antitetico. Sottolinea nel testo le espressioni che ti sembrano funzionali alla loro caratterizzazione.
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PERCORSI DI LETTURA 3 Dal fianco di Csele, divenuto aiutante di campo del comandante, pende una trombetta. Qual è la sua funzione? Come è stata acquistata? 4 La lunga lettera indirizzata da Gereb a Boka ristabilisce i contorni della verità e rende onore al piccolo Nemecsek. Come ti sembra che venga riproposto dall’autore il personaggio di Gereb? 5 Il capitolo si sofferma sulla visita dei fratelli Pasztor a Nemecsek. Si tratta di un passaggio importante del romanzo. Come ti sembrano descritti dall’autore gli avversari dei ragazzi della via Pál? Si tratta di personaggi positivi o negativi? PAROLE SOTTO LA LENTE • All’uscita della scuola i compagni della classe attorniarono i ragazzi della via Pál e propinarono loro una quantità di consigli infallibili. Cerca sul dizionario il verbo sottolineato. Con quale sinonimo lo potresti sostituire? • Chi insegnava, anche con esempi pratici, l’arte dello sgambetto, chi dava lezioni di lotta greco-romana, chi si offerse di... Vedi sottolineata la forma ormai poco usata del passato remoto del verbo offrire. Cerca sul dizionario il verbo e leggi attentamente la nota dove troverai le forme irregolari della sua coniugazione. Lo stesso fenomeno riguarda altri verbi, come ad esempio dare, che al passato remoto può avere le forme diede e dette. Ne conosci altri? Capitolo 8 1 Sventolando una bandiera bianca, Csele guida una delegazione di tre ambasciatori fino all’Orto Botanico. Che cosa chiede quando è al cospetto di Feri Áts? 2 Che effetto suscitano lo stile e l’eleganza di Csele nelle Camicie Rosse? 3 (Barabas) rivolto a Boka, gridò: - È vero signor generale che gli avete dato il permesso di cambiare il suo posto con il mio? Da cosa è motivata la domanda che Barabas rivolge a Boka? 4 Come commenta l’autore questa scena? Sei d’accordo?
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PERCORSI DI LETTURA 5 Lo storico deve essere preciso e minuzioso, anche a costo di riuscir pedante. Come avviene frequentemente, l’autore interviene nella narrazione. Stavolta definisce se stesso col termine sottolineato. Tutto il capitolo infatti sembra descrivere la battaglia con lo stile degli storici che ci hanno consegnato le scene di imprese compiute dai grandi condottieri del passato. Ricerca nel testo le descrizioni e le scelte lessicali che hanno lo scopo di rendere l’atmosfera solenne. 6 Qual è, secondo l’autore, il maggior pericolo per le truppe in campo? 7 Il ritmo del capitolo è scandito da alcuni colpi di scena. Sai dire quando si fa più incalzante? 8 Nonostante sia in gran parte dedicato allo scontro tra le due bande, il capitolo si chiude con un’atmosfera malinconica e con l’incontro trai due comandanti. Ti sembra che in questa ultima parte prevalgano sequenze descrittive, narrative, dialogiche o riflessive? Perché secondo te? PAROLE SOTTO LA LENTE • Su tutte le fortezze sventolava la bandiera rossa e verde, tranne nella numero 3 dalla quale l’aveva proditoriamente sottratta Feri Áts. Cerca sul dizionario il significato dell’avverbio sottolineato. • Wendauer, con la bandiera in mano, era rimasto impalato a bocca aperta vicino a lui e il comandante lo aveva apostrofato. Cerca sul dizionario il verbo sottolineato quindi individua un sinonimo con cui lo sostituiresti e, se occorre, modifica la struttura della frase. • Un istante dopo comandante e cannoniere sparirono dietro il baluardo. Il termine evidenziato in corsivo appartiene al registro militare. Cercalo sul dizionario e trova un sinonimo con cui sostituirlo. Individua inoltre almeno altri tre termini appartenenti allo stesso registro. • Allora tutti si accorsero di Nemecsek e gli si assieparono intorno. Dopo le grida di giubilo seguì un costernato silenzio. Cerca sul dizionario i due termini sottolineati e rifletti: il primo è un verbo che deriva da un sostantivo. Quale? Il secondo è un aggettivo. Individua un sinonimo.
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PERCORSI DI LETTURA CAPITOLO 9 1 Il capitolo riporta integralmente il verbale redatto durante la riunione della Società dello Stucco, durante la quale si discute anche la riabilitazione di Nemecsek. Oltre a questo atto dovuto, cosa viene dibattuto dai membri della società? Chi muove l’accusa contro Kolnay e chi lo difende? 2 Dalla riunione risulta che quella dello stucco è una società fondata sulla democrazia, dove la libertà di parola e il diritto di voto sono garantiti a tutti. Rifletti sulle esperienze che hai potuto fare a tale riguardo nella tua comunità scolastica e cerca in rete tra gli articoli fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana quelli che ritieni siano ispirati a questi valori fondamentali. Sintetizza il contenuto commentandolo personalmente. PAROLE SOTTO LA LENTE • Visto che in ogni caso ce ne può benissimo bastare una sola; si decide che la Società provveda a farsi restituire il capitale sociale. I ragazzi riuniti in assemblea si esprimono con un lessico che varia dal registro informale a quello economico-legale. Cerca il significato dell’espressione sottolineata. • Con tre voti di maggioranza l’assemblea delibera di infliggere una nota di biasimo al suo presidente signor Paul Kolnay. Cerca sul dizionario il termine sottolineato e pensa a un sinonimo che potresti utilizzare al suo posto. Qual è il suo contrario? CAPITOLO 10 1 Che cosa racconta Boka a Nemecsek gravemente ammalato? 2 Mentre Nemecsek sta riposando arriva, in ritardo, la delegazione della Società dello Stucco. Che cosa stanno portando all’amico ammalato? 3 Dopo essere tornato al campo, in cerca di un luogo in cui isolarsi, Boka assiste, senza esser visto, all’incontro tra Kolnay e Barabas. Cosa avviene tra i due?
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PERCORSI DI LETTURA 4 Casualmente Boka apprende da Jano una notizia che lo sconvolge, destinata a modificare radicalmente l’epilogo della storia. Di che si tratta? 5 Il romanzo si conclude senza un lieto fine, anche per questo le avventure dei ragazzi della via Pál risultano realistiche senza tuttavia perdere l’atmosfera epica. Sviluppa un testo valutativo, in cui esprimerai il tuo giudizio sul romanzo che hai letto. PAROLE SOTTO LA LENTE • Quando ebbero eletto il nuovo capo e smesso di far gazzarra… Cerca sul dizionario il sostantivo sottolineato. Si tratta di un termine di derivazione araba. Nella nostra lingua, che deriva dal latino, esistono molte parole che hanno origine dall’arabo, come alchimia o algoritmo, o dal longobardo come ad esempio fazzoletto o pantalone. Possiamo concludere quindi che la lingua di ogni popolo, grazie ai fenomeni migratori che si sono verificati o alle trasformazioni scientifiche, tecniche e sociali, sia un codice in continua evoluzione. Ci sono parole che cadono in disuso e altre introdotte di recente, è per questo che i dizionari vengono redatti con periodici aggiornamenti che registrano queste mutazioni.
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I GRANDI CLASSICI
ORA E POI
G. Boccaccio Decameron Amori, duelli, magie. L’epica medievale a cura di A. Cristofori M. Shelley Frankenstein B. Stoker Dracula A. Mazzaferro La storia di Odisseo F. H. Burnett Il giardino segreto M. Maggi Enea D. Alighieri La Divina Commedia A. Manzoni I Promessi Sposi M. de Cervantes Don Chisciotte W. Shakespeare Tragedie e commedie E. Salgari Sandokan J. London Il richiamo della foresta J. Verne Ventimila leghe sotto i mari M. Twain Le avventure di Tom Sawyer A. de Saint-Exupéry Il piccolo principe L. Pirandello Novelle scelte L’ira di Achille a cura di M. Maggi R.L. Stevenson L’isola del tesoro Vamba Il giornalino di Gian Burrasca G. Verga I Malavoglia L. Ariosto Orlando furioso F. Sarcuno Mitica Grecia C. Goldoni Pazzi per le vacanze Boccaccio e altri autori Novelle comiche e di beffa A. Dumas Robin Hood F. Molnár I ragazzi della via Pál Il diario di Anna Frank a cura di M. Maggi
La Seconda Guerra Mondiale a cura di M.C. Sampaolesi Carte da lettera a cura di V. M. Nicolosi R. Melchiorre Sulle tracce di Gandhi F. Piccini, S. Savini Sotto il segno della bilancia G. Di Vita Onde - Uomini in viaggio G. Di Vita Alya e Dirar G. Di Vita Il Muro M. Maggi Quando si aprirono le porte M. Maggi E il vento si fermò ad Auschwitz E. Colonnesi, S. Galligani Storia di Zhang E. Colonnesi, S. Galligani Viaggio a Kabul C. Scarpelli Il bullo innamorato F. Sarcuno Il diario di Edo R. Melchiorre Madiba M. Papeschi Sulle tracce della Grande Guerra A. di Prisco Il poeta favoloso M. Strianese Il domatore di libri M. Giannattasio Trappola nella rete R. Melchiorre Il ragazzo di Capaci C. Scarpelli Mi piace R. Melchiorre Il diario segreto di Leonardo da Vinci
RACCONTI D’AUTORE Favole di ieri, di oggi, di sempre a cura di M. Maggi E.A. Poe Racconti di paura C. Dickens Canto di Natale R.L. Stevenson Dr Jekyll e Mr Hyde G. Verga Rosso Malpelo J.K. Jerome Storie di fantasmi per il dopocena O. Wilde Il fantasma di Canterville A.C. Doyle Le avventure di Sherlock Holmes La rosa rossa a cura di M. Giuliani Mistero e paura a cura di M.C. Sampaolesi Il filo di Arianna a cura di M. Giuliani
NON SOLO LETTERE M. Carpineti Un occhio nello spazio A. Cristofori Viva Verdi P. Ercolini Il valzer del bosco M. Papeschi, S. Azzolari 1848 L. Corvatta Una missione speciale A. Sòcrati L’uovo cosmico
ATTUALMENTE G. Di Vita Costituzione e legalità. La convivenza civile come arricchimento e libertà V. Giuliani E tu? Percorsi di cittadinanza attiva per comprendere il nostro tempo S. Lisi, C. Piccinini, F. Senigagliesi Sguardo sul mondo. Problematiche di attualità e spunti di riflessione R. Melchiorre Storie di oggi. L’attualità raccontata ai ragazzi L. Pagliari Cyberbullismo. Le storie vere di chi lo ha sconfitto