ANNO XXIX - N° 1
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Panorama della stampa italiana
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Oggitalia ®
ANNO XXIX • N° 1 • Agosto • Settembre • Ottobre 2011 • Imprimé à Taxe Réduite
Marco Bellocchio
Omaggio a un grande del cinema italiano
Sommario Eventi e anniversari
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Dossier rifiuti
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Le opere di Lorenzo Lotto nelle Marche, il Festival Internazionale del Film di Roma e nuove monete commemorative per i 150 anni dell’Unità d’Italia: sono le cose belle di fine estate in Italia…
Separati in casa
Il rebus della raccolta differenziata. Di Alberto Fiorillo da “Il Venerdì di Repubblica”
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Riciclare o regalare? Di Arnaldo Greco da “D di Repubblica”
I problemi e le soluzioni degli italiani nella pratica del riciclo.
Musica
Nathalie, sospesa tra le note
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Di Claudio Facchetti da “Dimensioni nuove”
Intervista ad una giovane cantautrice romantica e grintosa.
Itinerari
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I matti della collina Di Michele Neri da “D di Repubblica”
Storie di chi ha cercato una nuova vita a metà strada tra il mare e la montagna.
Poster
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Italiani globali
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Urbino
L’Italia si racconta a fumetti Di Silvia Santirosi da “L’Espresso”
Manuel Fior, fumettista italiano che vive all’estero, crea una storia a fumetti per l’Italia del futuro.
Cinema
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Omaggio a un grande nome del cinema italiano Da “La Stampa”
Bellocchio in famiglia Di Roberto Escobar da “Dimensioni nuove”
In occasione del premio, esce Sorelle Mai, un’antologia di dieci cortometraggi realizzati dal grande regista.
Le fotocopie non autorizzate sono illegali.
Storie d’Italia
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A1, l’epopea di un’autostrada Di Michele Smargiassi da “Il Venerdì di Repubblica”
Intervista all’autore del romanzo, ispirato agli uomini che fecero l’impresa degli anni ‘60.
Grandi scrittori
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Giochi e attività
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Sapori italiani
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Italo Calvino, le sorprese di uno scrittore inatteso Di Severino Cagnin da “Dimensioni nuove”
La multiculturalità di un grande autore del ‘900 ancora attualissimo.
Una pagina di attività divertenti e stimolanti sugli articoli di Oggitalia.
Fettuccine o tagliatelle Di Gianfranco Vissani da “Il Venerdì di Repubblica”
La ricetta di un grande chef italiano.
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Eventi e anniversari Lorenzo Lotto nelle Marche
Cari lettori di Oggitalia, ben tornati! La vostra rivista di italiano vi aspetta con notizie stimolanti per il ritorno alle attività: mostre d’arte e di cinema, commemorazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia… L’inchiesta di questo numero vi propone il tema dei comportamenti ecologici in Italia e gli itinerari alternativi vi chiamano a visitare le colline marchigiane. La musica della giovane Nathalie conquista gli italiani, mentre ricordiamo il grande scrittore Italo Calvino con le sue storie fantastiche e universali. Il disegnatore Fior cittadino d’Europa fa omaggio alla storia d’Italia con i fumetti. Ma le storie del nostro paese passano anche per l’Autostrada A1 e, infine, la cucina italiana si fa onore con consigli e ricette per tutti i gusti. Buona lettura!
Gigliola
“Oggitalia” Agosto • Settembre • Ottobre Direttore responsabile Lamberto Pigini Redazione Paola Accattoli Grazia Ancillani Gigliola Capodaglio
Responsabile editoriale Daniele Garbuglia Per la vostra corrispondenza: “Oggitalia” ELI P.O. box 6 - 62019 Recanati (MC) Italia www.elimagazines.com
Festival Internazionale del Film di Roma Dal 27 ottobre al 4 novembre 2011
La sesta edizione del Festival Internazionale del Film di Roma si svolgerà dal 27 ottobre al 4 novembre 2011 presso l’Auditorium Parco della Musica di Roma, il complesso architettonico firmato dal celebre architetto Renzo Piano. La manifestazione occuperà tutti gli spazi del complesso. Le cinque sale - Santa Cecilia, Sinopoli, Petrassi, Teatro Studio, Studio 3 – accoglieranno proiezioni e incontri, mentre negli spazi di Foyer, AuditoriumArte, Spazio Risonanze e il museo Archeologico ospiteranno numerose iniziative. Durante il Festival, i 1300 mq del viale che conduce alla spettacolare Cavea dell’Auditorium saranno trasformati in uno dei più grandi Red Carpet del mondo, una passerella unica dove sfilano le stelle del cinema internazionale, ma anche gli spettatori, veri e propri protagonisti della manifestazione. Accanto agli spazi dell’Auditorium sorgerà il Villaggio del Cinema, un complesso di oltre 6.000 mq. Nel Villaggio verranno messi a disposizione info point, biglietterie, un’ampia area Food. Come ogni anno, l’atmosfera unica del Festival Internazionale del Film di Roma si estenderà all’intera città: la capitale sarà animata da iniziative dedicate al cinema, allestite nei luoghi storici della città, presso le sue istituzioni culturali e le varie associazioni di settore. www.romacinemafest.it
Nato a Venezia nel 1480, Lorenzo Lotto è uno dei più grandi protagonisti del Rinascimento italiano. Capace di interpretare in modo geniale gli umori inquieti della Riforma protestante, Lorenzo Lotto operò soprattutto per confraternite e ordini religiosi. Una scelta che lo portò a dipingere nei piccoli centri, come nelle città marchigiane tra la provincia di Ancona e Macerata, dove il pittore trascorse molti anni della sua vita. I rapporti del Lotto con le Marche sono infatti continui e ripetuti nella prima metà del ‘500, fino alla sua morte avvenuta a Loreto fra il 1556-57. L’itinerario lottesco nelle Marche attraversa quattro località principali non lontane dalla riviera del Conero: Ancona, Jesi, Loreto, Recanati. Presso le pinacoteche di queste cittadine è possibile acquistare un biglietto unico che consente la visita a tutte le 23 opere del pittore veneziano conservate nelle Marche. Il percorso lottesco può essere allargato alla visita di altri tre piccoli centri nell’entroterra marchigiano: Cingoli, Mogliano e Monte San Giusto, dove le opere del Lotto sono conservate all’interno di alcune chiese ad ingresso libero. Il Biglietto Unico è disponibile presso le Pinacoteche di Loreto, Recanati, Jesi, Ancona e l’Azienda di Promozione Turistica Regionale. www.turismo-marche.com
Medaglie storiche per il 150° dell’Unità d’Italia OMEA è l’azienda italiana più nota nel mondo per il conio di medaglie d’arte. È una delle più antiche “officine” specializzate nella produzione di oggetti in metallo prezioso e comune. Attiva dal 1887 ha ideato infinite serie di medaglie, targhe, trofei, lingotti che hanno tramandato il ricordo di personaggi ed eventi storici di rilievo nella nostra storia. Dai re della dinastia Savoia ai grandi Papi del ventesimo secolo, dai protagonisti del Risorgimento (Mazzini, Garibaldi, Cavour) a politici e personaggi storici come Mussolini, Marx, Lenin. La serie di medaglie del 150° è un trittico composto da formati diversi dello stesso soggetto sia sul fronte, sia sul rovescio. Sul fronte sono riprodotti i quattro artefici dell’unità d’Italia Vittorio Emanuele II°, Cavour, Garibaldi e Mazzini, mentre sul retro è raffigurata l’allegoria dell’Italia. www.omea.it info@omea.it
Le fotocopie non autorizzate sono illegali.
Editoriale
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Dossier rifiuti
Separati in casa Il rebus della raccolta differenziata e le sue diverse soluzioni in Italia.
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TRATTO DA
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di Alberto Fiorillo
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Si fa presto a dire plastica. Almeno finché non si spalanca davanti, interrogativa, la bocca della pattumiera*. Delle bottiglie dell’acqua o del flacone dello shampoo è ormai scontata la destinazione finale. Ma il pupazzetto rotto? Dove si butta? Nel raccoglitore della differenziata? No. E la bacinella? Nemmeno. Piatti e posate monouso? Per carità. Il barattolo della colla? Ma mi faccia il piacere… Inutile obiettare che si tratta sempre dello stesso materiale: il cassonetto della plastica, quasi in ogni città, ci respingerà schifato, vietandoci di mettere dentro questo e quell’altro ancora. E come si affrontano i prodotti eterogenei, tipo il pacchetto di sigarette? Sezionandoli: la scatola nella carta, il cellophane nella plastica, il mozzicone nell’indifferenziato, la stagnola con le lattine. Bene, allora sarà più semplice sbarazzarsi degli escrementi degli animali domestici. Lo sanno tutti che lo sterco è organico.
Il problema è che la differenziata, dove si fa, impone di dar retta a tutte le campane. Ogni municipio ha le sue regole, le sue «Tavole di Mendeleev», il lungo elenco di elementi riciclabili e non, le sue prescrizioni che assegnano una precisa collocazione al chilo e mezzo di immondizia prodotta quotidianamente da ogni italiano (oltre mezza tonnellata l’anno). Cambiando città, cambiano gli articoli che si possono separare dagli scarti destinati alla discarica* o all’inceneritore*, i sistemi di raccolta (domiciliare o stradale, con cassonetti mono o multimateriale), sono diversi persino i colori: per la carta, Brescia o Messina usano il bianco, mentre Bologna o Bari preferiscono l’azzurro. Inoltre non aiuta avere cognizione del ciclo di vita di un prodotto. Per dire: i tappi di sughero possono essere rimessi in circolazione sotto forma di pannelli per isolamento. L’unico scoglio sta nel trovare la cantina che collabora con gli enti locali di una delle cinque regioni (Piemonte, Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto ed Emilia-Romagna) dove sperimentalmente hanno da poco iniziato a ritirarli. Né è sufficiente conoscere la direttiva europea che impone, dal 2008, di smaltire separatamente le apparecchiature elettriche ed elettroniche, un concentrato di sostanze* non biodegradabili e dannose per l’ambiente. I negozianti dovrebbero
riprendersi radio guaste e monitor scassati, ma sono costretti a farlo solo quando si acquista un altro prodotto. L’alternativa è portarli all’isola* ecologica, i centri dove consegnare rifiuti ingombranti, speciali o pericolosi come le batterie dell’auto. A patto che il nostro comune ce l’abbia. Altrimenti sarà difficile essere ecologically correct con il tecnopattume. C’è, insomma, un perfetto federalismo dagli avanzi di cibo. Addirittura l’azienda capitolina della nettezza urbana avverte
Amiat, la municipalizzata dell’igiene urbana di Torino, «tende a creare disomogeneità». C’è chi va bene (Torino tra le grandi città è quella che se la cava meglio, col 42 per cento di differenziata), c’è chi va male (Messina e Palermo sono sotto il 5). «Comunque» aggiunge l’ingegner Cometto «la regola d’oro dovrebbe essere quella di semplificare la vita ai cittadini. Non posso mica pretendere che uno abbia una laurea in chimica per riconoscere al volo i diversi polimeri: per molti è semplicemente plastica. Sarò io a dovermi preoccupare di smistare i vari materiali, per evitare che la differenziata diventi una seccatura». A Torino funziona così: i contenitori della plastica sono praticamente onnivori, poi un impianto separa gli imballaggi dal resto. «Ci vuole chiarezza» reclama Cometto «per far apprezzare l’importanza della separazione dei rifiuti per l’ambiente e la qualità urbana». E la chiarezza impone che vengano sfatate alcune leggende metropolitane: è sicuramente opportuno lavare la bottiglia dell’olio o quella della passata prima di inserirle nel vetro, ma non perché gli avanzi inibiscano il riciclo. È una regola soprattutto igienica, per tenere puliti i cassonetti e le strade dove sono piazzati. Ed è per precauzione che alcuni amministratori scelgono di non compostare la cacca dei cani: si può fare, ma è meglio non correre rischi. Per dissipare ogni dubbio, le città stampano depliant, allestiscono siti internet o, è successo a Bologna, ricorrono a un tutor che va in giro per le case a spiegare i segreti dell’immondizia. Nel 2007, anche la presidenza del Consiglio dei ministri ha prodotto un opuscolo su Come trasformare i rifiuti in risorse e l’ha ripubblicato alla fine del 2008. Peccato che la guida rifili qualche bidone: segnala che
piatti e posate di plastica «sono utensili non riciclabili» così come le damigiane e che la differenziata è possibile solo per «i vestiti in fibre naturali come cotone, lino, canapa e lana che possono essere riposti nell’organico», trascurando i tanti cassonetti che servono a rimettere in circolazione gli abiti usati. «In ogni caso dovremmo preoccuparci più dei macromateriali che dei coriandoli» sottolinea Cometto. «Al nostro call center riceviamo oltre duecentomila telefonate l’anno e molti hanno dubbi sul fiammifero: va nel legno, nell’indifferenziato o nell’organico? Poi c’è qualcuno che compra la tv* al plasma nuova e butta dove non dovrebbe tutto l’imballo: cartone, polistirolo e plastica. Basta avere la pazienza di portare il vecchio mobilio a un’isola ecologica, cosa che non tutti fanno, e questa azione, da sola, vale centinaia di migliaia di fiammiferi». Gli addetti ai lavori concordano tutti sull’utilità di lavorare, in prospettiva, su standard più uniformi in tutta Italia, a partire dal colore dei cassonetti. Ma secondo Daniele Fortini, presidente di Federambiente (l’associazione delle municipalizzate dei rifiuti), ci sono prima altre due priorità: far decollare la raccolta differenziata in tutto il Paese, visto che sono ancora molti i centri urbani con percentuali ridicole, e cambiare la mentalità dei cittadini. «Molti ragionano ancora così: separo i rifiuti se mi dai qualcosa in cambio, un incentivo economico, un bonus sulla bolletta» sottolinea Fortini. «Dovremmo invece passare da una logica premiale alle sanzioni per chi non differenzia, studiando un meccanismo analogo alla patente a punti. A chi non passa con il rosso, d’altronde, mica si dà la lode: ha solo fatto il suo dovere. È vero che il riciclaggio impone agli utenti di essere un po’ netturbini*» conclude Fortini, «ma non è mica un lavoro in più: si fa la stessa fatica a buttare una cosa nel posto giusto piuttosto che in quello sbagliato».
Glossario discarica: luogo dove sono depositati i rifiuti senza una selezione inceneritore: impianto per distruggere i rifiuti con l’alta temperatura isola ecologica: luogo dove sono raccolti i rifiuti selezionati di tutte le dimensioni netturbini: lavoratori che si occupano della pulizia delle città pattumiera: recipiente in cui si raccolgono i rifiuti domestici riciclabile: che può essere riutilizzato (la plastica, il vetro, ecc.) sostanze non biodegradabili: sostanze che non si decompongono (ad es. le materie plastiche) tv al plasma: televisore moderno con lo schermo piatto
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che mettere nel cassonetto della differenziata «piccole quantità di questi rifiuti potrebbe rendere tutto il resto non riciclabile*». Chi ha ragione? In realtà piatti e posate di plastica (o anche le custodie di cd e dvd) potrebbero diventare materia prima per un pullover in pile o un cestino della spesa. Se questo non avviene, non è per motivi tecnici. Gli ostacoli, semmai, sono normativi ed economici. Le leggi comunitarie, infatti, impongono ai produttori di materie plastiche di contribuire alle spese per il corretto smaltimento dei soli imballaggi. Così le aziende pagano ai municipi un contributo per la raccolta differenziata della scatola delle uova o del flacone del bagnoschiuma, senza farsi carico dei costi del recupero di altri oggetti, come le stoviglie o la confezione del cd, che è considerata parte integrante del prodotto e non contenitore. Risultato: per molti Comuni diventa troppo oneroso riciclarli e preferiscono sotterrarli in discarica o impiegarli come Cdr (il combustibile derivato dai rifiuti) negli impianti che bruciano rifiuti per recuperare energia. «La gestione locale del servizio» spiega Diego Cometto, direttore generale di
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Dossier rifiuti
Riciclare
o regalare? Una riflessione ironica e critica sulle pratiche quotidiane per essere ecologicamente corretti.
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TRATTO DA
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di Arnaldo Greco
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“Mia nonna se n’è andata il mese scorso. Viveva nella stessa casa da 30 anni”, mi racconta Gino. “Ma non era sua, era in affitto. Quindi ci toccava liberarla. E in fretta, pure. Avere la ricicleria* qui a due passi, è stato molto comodo. Sarò venuto a scaricarci spazzatura già venti volte. Ogni volta i Rom* erano lì, all’ingresso. Qualche volta gli ho dato qualcosa, altre volte ho finto di non aver niente che gli potesse servire. Perché di certo non potevo mettermi a spiegargli i miei dubbi. Ma non so ancora se ho fatto la cosa giusta”. All’inizio di Via Tortona, a Milano, a pochi metri da uno dei centri della Settimana del Design, dai suoi vernissage e dai suoi studi sui materiali, c’è stato per anni un traffico di materiali pregiati un po’ diverso. Tutto ruotava attorno alla ricicleria di Piazzale delle Milizie, una delle tre aree della città in cui è possibile liberarsi di pile vecchie, lampade al neon, vetro, pneumatici, pezzi di ferro, lavatrici e tutte quelle cose che per via della differenziata e dell’ecologia non si possono più lasciare ai cigli delle strade di campagna o accanto ai cassonetti. Per accedere alla ricicleria tocca* percorrere una breve stradina piena di polvere, cartacce,
macchine parcheggiate a spina di pesce. C’è spazio per il passaggio - lento - di una sola auto. Appena imboccata la stradina, capita sempre che alcuni uomini si avvicinino. Sia a destra che a sinistra. Chiedono curiosi cosa stai andando a buttare. Non ti spieghi subito il senso della domanda. Rispondi onestamente, e perché non dovresti? D’altra parte loro sono gentili, e se ti mostri affabile anche loro ricambiano. In una vecchia puntata dei Simpson, Bart si arricchisce rapidamente con la new economy, ma altrettanto rapidamente torna nullatenente allo scoppiare della bolla* finanziaria. C’è una scena divertente in cui il proprietario della società si ritrova con in mano tonnellate di azioni che valgono zero, e non gli resta altro che invitare i colleghi a rubare con lui fili di rame dal muro, stracciandoli. È l’unico valore che resta. Lo sanno bene anche i Rom che stazionano davanti alla ricicleria. Siamo abituati alle foto dei cumuli di monnezza di Napoli, ai sacchetti neri stracciati, alle scorze di anguria, ai cumuli che abbracciano le automobili e anche alla spazzatura bruciata. Ma i container della ricicleria sono diversi. Qui il legno va con il legno, i gabinetti vanno con i bidè, i rami freschi con i rami freschi, i computer vecchi con l’elettronica vecchia. Gli uomini fuori, invece, accettano solo metallo, o quegli oggetti che, bruciando, possono restituirne. Di tanto in tanto anche altri rifiuti, materassi, giochi per i bambini, tende o teloni, ma fondamentalmente metallo. Oltre all’elemosina, è l’unica forma di sostentamento di una piccola comunità che come in una megalopoli del Centrafrica - ma qui saremmo nel centro di Milano - vive con gli scarti degli scarti di tutti. Ma qual è
la “cosa giusta” di cui parlava Gino? Si può davvero spiegare a qualcuno che è meglio gettare una lavatrice piuttosto che dargliela, soprattutto quando questa lavatrice vecchia significa una giornata di lavoro con fatica, tempo e impegno? Non c’entrano le frontiere, i furti o l’elemosina. Non c’entrano neppure i Rom, il razzismo o le opinioni politiche. È una domanda molto più semplice: quale delle due è la cosa giusta? Riciclare o regalare? Ho provato a chiederlo a qualcuno dei frequentatori della discarica. E, al* netto dei commenti violenti, vengono fuori alcune tendenze, riassumibili così: “Non glielo puoi spiegare perché non gli puoi dare la tua spazzatura, ma è così. Al punto in cui siamo è più importante l’ambiente delle persone”. Oppure questo: “Ho raccolto batterie, lampadine e vecchie lampade per un pezzo. Oggi volevo liberarmene, ma mi hanno preso alla sprovvista. Ragionare su qualcosa non è come rifiutare a sangue freddo un aiuto gratis a un tizio, guardandolo in faccia”. E ancora: “Se vogliamo parlare davvero per assurdo, allora ti dico che rispetto all’ambiente loro consumano un centesimo di quanto consuma uno di quelli che viene qui in macchina a buttare due neon solo per sentirsi in pace con la coscienza”. O “La differenziata doveva servire a responsabilizzare la gente, invece guarda cosa fanno in Via Tortona: stampano e producono qualsiasi cosa, perché tanto poi si butta e si ricicla”. E “Quand’ero ragazzo dicevano che non serviva a nulla la solidarietà, che facevamo un piacere ai potenti facendo solidarietà, che dovevamo lasciare tutto così com’era perché a un certo punto tutto sarebbe saltato e avremmo ricominciato da zero e per bene. Guarda invece cos’è successo”.
Per un abitare ecologico (ed economico)
Glossario al netto: al di là, a parte baraccopoli: insieme di case-capanne costruite con materiali di fortuna bolla finanziaria: quando tutti acquistano un certo prodotto perché si pensa che conviene campare: vivere melamina: composto chimico ricco di azoto metrature: (qui) misurazioni di una superficie in metri quadrati prefabbricati: elementi costruiti separatamente e poi messi insieme ricicleria: impianto di selezione dei rifiuti Rom: gruppo etnico nomade (senza un’abitazione fissa) sostenibilità ambientale: quando le risorse naturali sono in grado di riprodursi tocca: (qui) bisogna
È stata fatta una convenzione con il Comune di Milano per l’avvio della prima realizzazione Casa Bosco, in via Parenzo, sul Naviglio Grande. Il progetto prevede 11 Un nuovo progetto alloggi di varie metrature*, per un totale ecosostenibile, che garantisce di circa 1000 mq di superficie costruibile. La costruzione verrà realizzata dalle abitazioni sicure, rispettose società Agnoletto S.r.l. ed Ecosisthema, dell’ambiente e a basso costo. azienda specializzata in edifici, pubblici Nato da un’idea di Stefano Boeri e Camillo e privati, ecosostenibili. Verrà sfruttato solo il 67% della potenzialità edificatoria Agnoletto, Casa Bosco è un progetto della zona, per poter valorizzare anche la disegnato dagli architetti Chiara Quinzii e Corrado Longa, che prevede la realizzazione qualità dello spazio aperto, come giardini privati, camminamenti pubblici e orti di moduli abitativi a basso costo e di urbani. Lo sviluppo dell’edificio è limitato rapida esecuzione, realizzati tramite elementi costruttivi prefabbricati* in legno in altezza (massimo 2,5 piani fuori terra) e proveniente solo da foreste gestite in modo sfrutta il massimo ingombro in profondità, sostenibile. Fortemente sperimentale, sia dal per avere fondamenta sicure. punto di vista architettonico sia da quello Gli alloggi saranno dati in affitto per tecnico-costruttivo, Casa Bosco si basa sui trent’anni. Passati i primi otto anni, però, i temi della modularità e della flessibilità interna e viene realizzato utilizzando sistemi residenti potranno decidere di acquistare il proprio alloggio al prezzo di una normale costruttivi e accorgimenti che favoriscono edilizia convenzionata (massimo 2.000 il risparmio energetico e la sostenibilità* euro/mq circa), a condizione che i requisiti ambientale. Gli alloggi prefabbricati di reddito non aumentino oltre i parametri saranno costruiti su superfici urbane che stabiliti nella convenzione con il Comune. non sono attraenti per grandi complessi Tale meccanismo offre a queste categorie residenziali. Inoltre, la bonifica di queste aree, già dotate di infrastrutture di servizio, di cittadini con reddito contenuto l’opportunità di accedere alla proprietà favorirà la riqualificazione dei quartieri in della prima casa, dopo un periodo di cui i progetti saranno realizzati. locazione a canone moderato. Per saperne di più: www.casabosco.net
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E per finire: “Tutti quanti dobbiamo campare*. Anche chi vive qui e non ne può più della puzza di bruciato la sera”. Per via di quest’attività, poco alla volta s’era creata una piccola baraccopoli* sui binari del treno, all’ombra del cavalcavia del piazzale. Tra il Naviglio Grande e la Ricicleria. Lì passano solo regionali. Di giorno i treni facevano tremare tutto, ma di notte si dormiva tranquilli e poi era vicino al lavoro. In italiano siderale e siderurgia hanno la stessa etimologia, vengono tutti e due da sideros, ferro in greco. Gli antichi greci non conoscevano l’estrazione del ferro (la siderurgia), e l’unico ferro che avevano era proprio quello che trovavano sulla Terra, arrivato come meteorite (siderale). Tant’è che nell’Iliade, quando ci sono i giochi per la morte di Patroclo, uno dei premi consiste proprio in un pezzo di ferro. Quando svanisce il costo degli oggetti e resta solo la materia inerte, l’unica cosa che ha valore è il buon vecchio metallo. Solo queste persone oggi riescono a dargliene uno. Ma niente plastiche, divani fuori moda, oggetti che saranno hi-tech solo per una primavera, forme ellittiche e melamina* colorata. Vale solo quello che c’era all’inizio di tutto. Il ferro e il rame.
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Musica
Nathalie
sospesa tra le note Intervista ad una giovane cantautrice romantica e grintosa.
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TRATTO DA
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di Claudio Facchetti
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Se al titolo del suo cd Vivo sospesa si aggiungesse una “coda”, tra le note, si avrebbe un ritratto senza dubbio preciso di Nathalie Giannitrapani. Lei, infatti, praticamente vive tra le note musicali, fin dall’età di 13 anni, quando inizia a studiare sugli spartiti. Una passione impetuosa, che si alimenta di giorno in giorno, e che fa decidere alla giovane artista romana di seguire un’unica strada: quella della musica. Percorso tortuoso e non facile, ma Nathalie non si risparmia. Partecipa e vince dei concorsi, fa concerti, forma la band nu metal Damage Done, che poi si scioglie, entra a far parte del cast dei musical Les Misérables e La storia infinita. Insomma, le occasioni per mettersi in mostra non mancano e lei sembra sempre a un passo dal fare quel grande salto che, però, non arriva mai. Arriva invece l’anno scorso X Factor, un’altra chance per dare una scossa alla carriera. E la scossa, finalmente, c’è: Nathalie vince il popolare talent show con una sua canzone, In punta di piedi, e con l’omonimo EP entra ai piani alti delle classifiche. È il passaporto che serve alla cantautrice per sbarcare all’ultima edizione del Festival di Sanremo, dove presenta Vivo sospesa. Non vince, e non* si piazza nemmeno fra
i primi tre, ma la settimana dopo il suo omonimo cd di debutto è tra i più venduti, segno inequivocabile che Nathalie è piaciuta. L’album, d’altra parte, delinea un’artista dalla forte sensibilità con undici canzoni composte da lei stessa, in equilibrio tra ruvidezze rock e delicati intimismi, sostenute dalla sua bella voce, duttile ed espressiva. Un esordio*, insomma, di valore. Quali “sensazioni” ti sono rimaste di Sanremo? Sensazioni belle e vorticose. In effetti, mi avevano annunciato che sarei finita in una specie di frullatore mediatico che, al di là della frenesia dei continui appuntamenti, mi ha comunque divertita: una volta nella vita si può fare. Certo, l’aspetto più coinvolgente riguarda ovviamente l’esibizione. Ero molto curiosa di scoprire che cosa si potesse provare a cantare sotto i riflettori dell’Ariston e con una grande orchestra alle spalle... E che cosa hai provato? Un’emozione travolgente. Avevo cercato di prepararmi un po’ nel salire sul palco, ma una volta davanti al microfono, ho “sentito” davvero l’importanza di quel palcoscenico, sai che lì è passata buona parte della storia della musica leggera italiana. E rimanere tranquilli è davvero difficile. Sei soddisfatta del risultato ottenuto? L’importante, per me, era andarci con un brano che mi rappresentasse in pieno, che avesse una sua coerenza artistica con il mio percorso. Il piazzamento nella gara, poi, conta fino a un certo punto: la risposta che sta avendo il mio cd dal pubblico è largamente positiva, segno che le mie canzoni sono apprezzate. Hai accennato alla “coerenza artistica”. Quanto è stato difficile mantenerla intatta?
In realtà, sono sempre riuscita a seguire una mia strada senza dover fare delle “guerre” per imporre le mie idee. È fondamentale capire cosa si vuole e se ciò che si fa possa essere anche adatto a contesti diversi da quelli cosiddetti underground che ho frequentato. Nel mio caso, ho sempre fatto musica per esprimere i miei stati d’animo, senza forzature, perché è anche il modo migliore per farmi stare bene. Se poi le mie canzoni trasmettono emozioni ad altre persone, non posso che essere felice. Hai fatto tante esperienze diverse, anche rilevanti. Eppure per emergere c’è voluto X Factor. Ho deciso di giocare la carta del talent show perché bisogna ammettere, con tutta onestà, che campare di sola musica o arte, ieri come oggi, è quasi impossibile se lavori nelle retrovie. X Factor mi ha dato quindi un’altra possibilità per amplificare la mia musica. E anche qui, ci sono andata con le idee chiare, presentando canzoni che mi rappresentassero. Poi non avrei mai immaginato che sarei riuscita a vincere. Il tuo cd sembra rivelare una doppia anima, delicata e grintosa a seconda dei pezzi. È proprio così? Sì, e riflette un po’ la mia identità. Ho un lato più “aggressivo”, pur essendo di indole pacifica e timida, che si sfoga in brani dall’andamento rockeggiante, frutto anche dell’ascolto e dell’ammirazione per artisti come Janis Joplin o i Pink Floyd; e poi c’è l’altro lato, quello intimista, che tocca la sfera personale, dove cerco di cristallizzare o superare alcuni momenti significativi della mia vita. Nei tuoi testi tornano con una certa frequenza parole come “paura” e “tempo”. Che relazione hanno con te? Non è facile spiegarlo, anche perché scrivo in modo istintivo e spesso è
“Vivo sospesa tra sogno e quotidianità…”
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TRATTO DA
]
di Alessandro Alicandri Emozioni e commenti dal concerto di Nathalie a Milano. L’atmosfera è di quelle tipiche inglesi, in una performance rock straniante ma anche rilassata e naturale. C’è stata molta timidezza nel rapporto con il pubblico ma anche molta voglia di emozionare. E ci è riuscita. L’artista con i suoi 31 anni, minuta e con le spalle strette, racconta di essere tornata sul palco di Milano “in una situazione diametralmente diversa”. Il talent show X Factor insieme al miracolo della TV hanno cambiato le dimensioni del pubblico, ma non lei. La platea è composta soprattutto da persone nuove e curiose. La band, formata da percussioni, chitarra, basso e violoncello, ha regalato due ore di musica coinvolgente in un live che ha privilegiato il suo gothic rock intimista. La punta* di diamante è proprio lei, capace di esibire attraverso una voce precisa e trascinante la sua emotività. Il corpo si muove insieme alle note del suo piano e della chitarra, rivelando la sua intimità con la musica. (…)
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il suono stesso delle parole che si plasma con la frase musicale, dando loro un ulteriore significato. Poi, per esempio, la paura è uno stato d’animo che tocca tutti quanti e piuttosto che rimuoverla, io preferisco affrontarla o accettarla in qualche modo. D’altra parte, scrivere è anche una maniera di esorcizzare alcune problematiche della vita: mi piace l’idea della canzone come rito di passaggio, come aiuto per superare momenti difficili o capire determinate cose. Nel brano Vivo sospesa dici: “La vita si trasformerà cambiando colore, rendendo il dolore un punto di forza in tempeste di vento”. Come si rende il dolore un punto di forza? È un discorso molto soggettivo. Con il dolore, prima o poi, dobbiamo tutti inevitabilmente fare* i conti e non sono mai passaggi belli della vita. Tuttavia, sono convinta che serve per rafforzarci, per conoscerci e per capire come affrontare le cose domani: in noi, ci sono tante risorse per andare avanti, magari senza dimenticare ciò che si ha, eredità indispensabile da usare per quando tornerà il bello. Chiudi il cd con un pezzo in francese, Manteau noir, ispirato al surrealismo. Ami questa corrente artistica? Sì, mi piace ciò che esprime sia dal punto di vista pittorico, con i grandi Magritte e Dalì, sia letterario con Apollinaire. In verità, il brano non è stato scritto pensando a qualcuno in particolare, ma è il risultato dell’atmosfera che si è creata quando l’ho composto ad avermi condotta al surrealismo, a quel tipo di mondo dove albergava la fantasia, il sogno, la libertà.
Glossario esordio: inizio, debutto fare i conti: avere a che fare, scontrarsi, affrontare non si piazza: non arriva punta di diamante: ciò che ha più valore, che spicca
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Itinerari
I “matti”
della collina Hanno lasciato la città per costruire una felicità pratica, terrena, ecologica. Chi sono e che cosa fanno questi “matti”?
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TRATTO DA
con un Pil diversificato e un comune ad alto indice di felicità, ma dopo un po’ di curve, l’ipotesi prende corpo. Grazie a gente “matta”, riservata ma ospitale; nessuna distanza tra vita e lavoro, accomunati dalla ricerca di una terza strada, oltre la corsa del progresso o il suo abbandono.
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di Michele Neri
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Parto da Pesaro (nelle Marche) un mercoledì a pranzo, ma trascorsi dieci minuti, appena comincio a salire sulle prime colline sopra la cittadina adriatica, diventa sabato, un sabato luminoso, ventoso, promettente di tempo senza intoppi, parole e sguardi senza fretta, con sfumature diversamente felici. Comincia un viaggio, tra quanti che hanno lasciato la costa e si sono spinti di tre o trenta chilometri verso ovest, verso la terra ondulata e intrecciata di strade bianche o che si sono trasferiti qui, dopo un lungo viaggio, geografico o esistenziale, da Trieste, Milano, Bretagna, Catalogna. E sono diventati costruttori di una felicità pratica, terrena, spesso legata a un ecologico salto indietro nel tempo di una generazione. È velleitario* e forse condizionato dall’allegro, rumoroso clima umano delle coste, da statistiche sulla sostenibilità di Pesaro e dintorni, pensare che in questa provincia ondulata delle Marche ci sia un popolo
Con la luce giusta per pensare di essere finiti in una canzone dei Beatles, “The Fool on the Hill”. Tommaso, 27 anni e due figli insieme ad Alessandra, è rinato quando due famiglie di api sono arrivate nella sua casa di Pesaro. Ha lasciato il lavoro di imbianchino, ha abbandonato «una città sterile e senza sostanza», ha «cercato di fare cose con le mani», si è portato dietro, nella roulotte, famiglia e un’arnia* vecchia, si è fermato qui, sulla collina delle Cesane, perché voleva un nido e lo voleva non caro. Con la capacità di restaurare da solo la casa in cui vivono e una furibonda passione per l’apicoltura biologica. «Le api sono il futuro, mi piace star loro vicino, riportarle a una selezione naturale. Le voglio aiutare, andando a cercare ecotipi* in cui possano sopravvivere». Cioè caricarsi in macchina le cassette di api, che quando poi trovano il fiore migliore parte il primo insetto, si orienta e poi richiama le altre. Significa dividere il casolare con i vicini, lei tedesca, lui di Pesaro, i loro tre figli; un cortile dove tutto è in comune. Tutti sostenuti dal miele, venduto soltanto nel mercato locale e attraverso i Gruppi di acquisto solidale, i Gas, uno degli invisibili pilastri di queste colline. Hanno più o meno la stessa età di Alessandra e Tommaso.
Ma a parte questo e un’operosità senza orari, cambia tutto quando si arriva da Clio, nata in queste terre, e Vincenzo, napoletano. Siamo più a nord, quasi al confine con la Romagna, sulla strada che va da Gradara di “Paolo e Francesca” a Tavullia di Valentino Rossi. Un angolo di Messico, tra palme, vetrate inverdite, una piscina scavata in una duplice, slanciata piattaforma di cemento. È una coppia fortunata quella che vive nella casa costruita dal papà di Clio. La figlia è attrice teatrale, esperienze diverse, ora protagonista insieme alla mamma di una compagnia di teatro che si chiama Mestieri Misti. Stare qui è abitare vicino al vecchio allevamento di scimmie del prozio marinaio, ora novantenne con le mani ancora nella terra; è sapere che c’è un pianoforte, i giochi prima sezionati e poi riassemblati da Vincenzo, un laboratorio dove si può recitare, ballare, suonare, un palco sul tetto di cemento, davanti cento chilometri d’aria, San Marino, Romagna, mare e nuvole. Come riassume Clio, tra queste mura di cui vorrebbe fare un luogo di incontro per arti varie: «Viaggi, fai, ma sai che in realtà qui si sta bene, così bene che ti chiedi perché fare qualcosa? Anche quelli che se ne vanno, poi ritornano». Scendendo qualche chilometro verso il mare, una collina con nome da insetto di cattivo umore, il Boncio. Per centinaia di melomani*, scoprire nel 1984 la prima, famosa, rappresentazione del Viaggio a Reims di Ronconi/Abbado al Rossini Opera Festival di Pesaro, ha spinto all’esplorazione di questa terra dolce, riservata come si addice a chi è in silenzio e ascolta. Tra questi, Chiara
esperienza, nel 2008, con duecentomila euro chiesti in prestito, un posto fisso lasciato in una società di packaging, un figlio appena nato a testa, una passione per la biodinamica*, e una scelta: «Provare a fare qualcosa secondo i criteri di sostenibilità. Qui», indicando una vasto campo in leggera discesa, «tutto deve essere vivente, e aiutare l’autodifesa delle piante». La felicità? «Il lavoro fisico», «Vedere la serra piena». Paura? «Il mutuo*». Il sogno? «Cercare uno scambio più in grande: offrire il cibo per un anno a cento famiglie, in cambio dell’aiuto a costruire una casa qui. Saremmo i loro contadini». Se l’azienda Mega di Emilio e Antonio mostra qualcosa di acerbo ma stabile, il piccolo gruppo di nomadi insediati in sette più sei figli (due di questi in arrivo) nel microvillaggio di Caimercato, sulle colline vicino a Fossombrone, ha solo l’acerbo. Nelle case in pietra che dividono con otto vecchi del luogo coltivano l’autosussistenza e l’orto sinergico, con l’idea favolosa che «non si deve lavorare la terra, dovrebbe fare tutto lei da sola»; hanno da vendere aglio, lenticchie, cipolle e pane. Gabriele, che era educatore a Milano, costruisce giochi in legno; tutti fanno wwoofing: si appoggiano a una rete internazionale che avvicina chi è disponibile a essere ospitato, in cambio di mezza giornata di lavoro gratis, in una azienda agricola organica. L’affitto della casa a 80 euro. Forse perché hanno molto tempo, lo usano anche per «cercare di arrivare tra di noi a una comunicazione non violenta; senza critiche, giudizi, moralismi». Appollaiata sopra la statale 73bis, che taglia il paese all’altezza di Fano e Grosseto, una bella casa in pietra. Qui, a Canavaccio, lo scultore romano Pino Mascia vive dal 1989. È stato lui a ristrutturare casa insieme alla moglie americana Mary. Insegna a Urbino, all’Accademia di Belle Arti, un’isola felice. Ha un’idea precisa del lavoro (solo opere pubbliche), dei materiali (che conosce molto bene, da quelli tradizionali ai sintetici). Dell’ospitalità: la casa diventa in estate
un bed & breakfast, ma pur grande, «l’affitto solo a gruppi di quattro persone perché devono stare in pace!». Di questa collina ama la luce «giusta, non opprimente, che lascia respirare gli oggetti, questa pace luminosa è il meglio forse dell’Adriatico». La casa degli artisti di Andreina De Tomassi a Sant’Anna del Furlo, impegnata nella difesa dell’arte e della natura. In arrivo la seconda edizione di “SPLASH”, progetto di Land Art con artisti internazionali distribuiti tra le colline. Arrivo che il sole tramonta sopra un piccolo porto di mare, un angolo che si oscura lentamente con tre punti di luce: un forno a legna dove tre donne preparano un pane che domani venderanno al mercato, un’arnia trafitta dal sole arancio del tramonto, un raggio preciso sulla piccola stalla. La fattoria dei Cantori, su una collina vicino a Urbino, ha un padre triestino che di cognome fa Podgornik, una mamma catalana che di nome fa Montserrat, due figlie scatenate, persone che arrivano e si fermano mesi a imparare a fare pane e miele. Celebrano la pasta madre, i nomi dei tipi antichi di grano, il “bolero” per la forza, il “gentilrosso” per il sapore. La felicità è raccontare della gioia dei bambini con e senza handicap che vengono qui per imparare. E sapere che arriverà un mulino nuovo. E provare le tradizionali piade* dai poderosi poteri onirici di “Maria” a Novilara. Ricordare un’acqua ancora ricca di pesce davanti a voi, quando da “Gennaro” vi portano il brodetto*, sulla litoranea di San Bartolo. Raccogliere fiori e piante sui prati di San Bartolo, tra gente che sembra felice, guidata dagli esperti del Parco naturale o raccogliere stelle, la notte di San Lorenzo, in una delle piane più romantiche della collina di fronte, l’Ardizio. E se non sei felice, comunque l’avrai desiderato.
Glossario arnia: luogo dove si tengono le api biodinamica: tipo di agricoltura che migliora la qualità del terreno brodetto: piatto a base di pesce ecotipi: luoghi in cui possono vivere certi organismi per le loro caratteristiche in lungo: (qui) abito da sera melomani: amanti dell’opera lirica mutuo: prestito di denaro che bisogna ripagare nel tempo piade: prodotti alimentari tipici della Romagna rotoballe: rotoli di erba secca velleitario: irrealizzabile
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Gelmetti, milanese, viaggiatrice solidale, che offre la sua idea locale di felicità: «Puoi fare il bagno di giorno, risalire, e poi la sera andare all’opera in* lungo e in motorino». E qui ha portato da cinque anni la sua passione per la danza antica, dal Medioevo al Barocco, insegna in un annesso sopra le forsizie e gli ulivi, vengono da tutto il mondo, per la scherma antica, per la danza, il canto. Insegna anche nella vicina Gradara. È sorpresa di come sia stato facile interessare ai suoi progetti il Comune. Mentre insegue pecore e capre bianchissime, Marina Marini, da dieci anni esiliata sul perduto Monte Paganuccio, oltre Fossombrone, non lontano dalle gole del Furlo, e aspetta che il marito Roberto svolga una delle rotoballe* per nutrire il gregge, ricorda ridendo quando tutti, nel 2001, le dicevano: «Ma come, cinque anni di economia e commercio per fare il pastore!». Non è inconsapevole dell’estremismo della scelta. Roberto viene da una famiglia contadina. Ma non è servito a molto. «Perché», si tratti di allevamento, di produzione di ortaggi, Sangiovese senza solfiti, legumi o grano, nell’azienda agricola di Colle Baeto, «il problema è che occorre saltare indietro di una generazione. Abbandonare le scelte di sfruttamento intensivo, le monoculture industriali, il glutine messo a palate e scegliere per tutto la via biologica. Inventarsi: agricoltori, trasformatori, venditori; collegarsi con il mercato locale e i Gas. Significa partire con 40 milioni in tasca e fare un mutuo per 480, non essere mai andati via per più di mezza giornata in dieci anni, aver fatto nascere le due figlie, due e quattro anni, in casa, non averle vaccinate, vuol dire cercare grani di cent’anni fa; avere come vicini altri matti, un anarchico trevisano in roulotte, un inglese che vive sempre solo. Tra strani ci si ritrova su queste colline». A colpirmi è una frase: «Noi diamo un nome alle cose, non riusciamo più a parlare con chi non è preciso». Con la tuta uguale, appena scesi dal trattore, Antonio ed Emilio, «un designer e un grafico» fuggiti dagli uffici milanesi e piombati qui, senza
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Poster
Urbino
Oggitalia
Italiani globali
L’Italia si racconta
a fumetti Il disegnatore italiano Manuel Fior, cittadino del mondo, fa un omaggio all’Italia a fumetti.
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di Silvia Santirosi
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Il mondo del comics ha una nuova stella. Si chiama Manuel Fior, è italiano ma vive da nomade - Parigi dopo Berlino e Oslo - ha 35 anni, ed è stato uno dei principali protagonisti del Salone Internazionale del Fumetto di Barcellona. Soprattutto ha vinto, a sorpresa, la Palma d’Oro al Festival internazionale del Fumetto di Angoulême (una specie di Oscar della categoria).
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In questo momento sta lavorando a una storia, in bianco e nero a inchiostro e carboncino. Avrà al centro le scelte e le esistenze di quattro personaggi che vivranno nell’Italia del 2040. “Vorrei parlare del mio Paese, e sto usando un espediente per raccontare e ragionare sulla contemporaneità dalla giusta distanza”, dice. E spiega: “Una volta Marzena Sowa, l’autrice di “Marzi” (Coconino - Fandango) mi ha chiesto perché nessuno di noi realizza un fumetto “sull’era berlusconiana”. Non so, forse c’è il rifiuto che nasce dal desiderio di preservare per se stessi una zona franca*. Comunque
io ci provo. Ragionare, in apparenza sul futuro, ma partendo però da oggi, dalla realtà attuale”. Fior è un autore capace come pochi di esprimere i desideri e le angosce della generazione dei trentenni. Il suo ingresso tra i massimi creatori del cartoon (la Palma d’Oro, appunto) è dovuto al testo “Cinquemila chilometri al secondo” (Coconino Press). La velocità evocata nel titolo non ha però niente a che fare con il futurismo o il mito delle automobili e degli aeroplani. È invece simbolo e metafora del rapido mutare delle situazioni in cui i trentenni vivono. Nato a Cesena, friulano d’adozione, laureato in architettura all’università della capitale tedesca, Fior è l’ennesimo talento nostrano che per trovare spazio è dovuto emigrare. Lui minimizza: “Non è stata una scelta tragica e neanche difficile. È una condizione comune alla mia generazione. La minore solidità economica corrisponde a un più ampio ventaglio di direzioni in cui muoversi. Non siamo degli
“emigranti” come i nostri nonni. Loro si spostavano in cerca di lavoro e avevano un obiettivo: guadagnare per mantenere la famiglia, mettere da parte qualcosa e tornare a casa. Noi partiamo invece senza sapere dove andare e questo si riflette nell’idea che abbiamo del sesso e dell’amore: instabili, fluidi”. Anche il cartoon è una scelta generazionale? “Sì. Il fumetto è una forma* ibrida, riproducibile, pop, flessibile e aperta a nuove esperienze, come lo sono le vite dei trentenni. È una forma in continua osmosi* con le altre arti”. E aggiunge: “Il contatto con il lettore è diretto, si basa su “mi piace, non mi piace”, senza mediazione. Il cartoon è economico, con 15 euro lo acquisti. È fuori dalle gallerie e dai circuiti dell’arte contemporanea. Tutto ciò ci permette di conservare la nostra purezza”. “Cinquemila chilometri al secondo” (“Ma è un lavoro concluso, ora penso quasi solo all’Italia del 2040”) è questo: una riflessione realistica sulla purezza, sull’amore, sulla precarietà.
Ama il pop, non vuole mediazioni, ma quella di Fior è una generazione che, contrariamente a quanto si dica, è di ottime letture. Lui spesso cita Pasolini e l’idea della sessualità che aveva lo scrittore. E per spiegare le sue vere fonti va dritto alle radici antiche: “Ho riflettuto sul mito di Medea, la maga capace di parlare con gli elementi naturali e che lascia la sua casa per amore. Quando vi fa ritorno, dopo anni, dopo che è stata abbandonata dal suo amato e ha ucciso i suoi figli, non riesce più a recuperarne il contatto. Una volta recise, le radici non possono ricrescere e nuove radici hanno bisogno di tempo per riformarsi da un’altra parte”. Gli albi di Fior danno l’impressione di essere una continua variazione sul tema, in cui l’autore sperimenta
tecniche e soluzioni narrative sempre diverse. In “Rosso Oltremare”, storia di un giovane architetto che si intreccia con il mito di Dedalo e Icaro, gli accostamenti cromatici vengono dalle cartoline di Cnosso: sfondo rosso, capitelli neri, luce bianca. Nessuna sfumatura, tutto è netto, caldo o freddo, come nelle arti classiche. Ne “La signorina Else”, adattamento del racconto di Schnitzler, l’immaginario è quello della secessione* viennese. E dappertutto molta emozione: “Che nasce nella lotta - è un’intuizione freudiana - e dal contrasto tra parole e immagini. Al contrario dell’illustrazione, il fumetto è dinamico, veloce. Lo si fa alla maniera in cui Truffaut dirigeva i film. Lui chiedeva sempre ai suoi attori di rifare la stessa scena, ma “un po’ più rapidi”. Come lo siamo noi, i trentenni”.
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Piero e Lucia, i protagonisti, vivono negli anni una passione idealizzata dalle distanze, scelgono momento per momento. Ma quando provano a ritrovarsi, scoprono che nulla è cambiato. A parte loro stessi.
Glossario forma ibrida: forma costituita da elementi di natura diversa osmosi: (qui) scambio, contatto secessione: separazione zona franca: che non appartiene a nessuno
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Cinema
Marco Bellocchio
Omaggio a un grande
del cinema italiano
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“Camminatore instancabile, esploratore del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia” Alla Mostra del Cinema di Venezia viene dato a Marco Bellocchio il Leone d’oro alla Carriera.
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È stato attribuito al regista italiano Marco Bellocchio, una delle personalità più influenti del cinema italiano degli ultimi decenni e uno tra i maggiori autori del cinema contemporaneo, il Leone d’oro alla carriera della 68esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia (31 agosto - 10 settembre 2011). La decisione è stata presa dal Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia presieduto da Paolo Baratta, su proposta del Direttore della Mostra Marco Mueller. Nella presentazione della proposta di Leone d’oro alla carriera 2011, il Direttore Marco Mueller ha scritto tra l’altro: «Seguire il cinema di Marco Bellocchio ti porta, in ogni suo nuovo film, sempre verso
altre destinazioni da quelle che ci sembrava di aver raggiunto e scoperto». «Camminatore instancabile, traghettatore di idee, esploratore del confine instabile tra se stesso, il cinema e la storia, ha utilizzato come mappa, per orientarsi, il mondo che comincia oltre i confini della realtà visibile (e nell’inconscio). E ha così trovato - ha sottolineato Mueller - i modi di espressione più vitali e ‘giusti’, per raccontare l’urgenza di saperi, individuali e collettivi, indeboliti, o svaniti». Marco Bellocchio è stato più volte protagonista alla Mostra di Venezia, dove ha presentato il suo secondo lungometraggio La Cina è vicina (1967), che ha ottenuto il Premio Speciale della Giuria. Successivamente ha presentato
Bellocchio in famiglia TRATTO DA
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di Roberto Escobar In Sorelle Mai, un’antologia di dieci corti, il regista propone un’opera autobiografica. Ambientata in un casale di campagna sugli Appennini, estate dopo estate.
nel 1975 Matti da slegare in Proposte di nuovi film, quindi nel 1980 il mediometraggio* Vacanze in Valtrebbia in Officina Veneziana, e nel 1982 Gli occhi, la bocca in Concorso. Due le partecipazioni negli anni ’90, con il cortometraggio* Il sogno della farfalla (1992) e il mediometraggio La religione e la storia (1998). Nel 1997 è stato Presidente della Giuria di Corto Cortissimo, e nel 1999 ha fatto parte della Giuria del Concorso presieduta da Emir Kusturica. Nell’ultimo decennio ha presentato nel 2002 il mediometraggio dedicato a Verdi Addio del passato (Nuovi Territori), nel 2003 in Concorso Buongiorno, notte, che ha ricevuto un premio speciale, e nel 2010, Fuori Concorso, Sorelle Mai.
“Ai ricordi del passato, a un sogno mai sognato, a un attimo d’amore che mai più ritornerà”: in frac e cilindro*, intonando la vecchia, famosa canzone di Domenico Modugno, lentamente un uomo (Gianni Schicchi) scende nella corrente di un fiume, tra i sassi. Finché può, una macchina da presa lo segue, gli sta addosso, lo avvolge come in un abbraccio. Non si tratta che di cinema, certo. E però, inattesa, nella finzione irrompe la realtà. Scomparso sott’acqua, l’uomo non riemerge, e inutilmente l’operatore si tuffa per salvarlo. Così, con un congedo* malinconico e dolce dal mondo, finisce Sorelle Mai.
Marco Bellocchio lo ha girato nel corso di una decina d’anni, questo suo film inusuale*. Anzi, non di un film si tratta, ma di dieci piccoli film, ognuno progettato e girato in autonomia dagli altri. Il suo lavoro inizia nel 1999, quando esce La balia, e si conclude nel 2008, mentre sta nascendo lo splendido Vincere. Si tratta del periodo più maturo e più grande dell’autore piacentino, che in quegli anni, estate dopo estate, torna a Bobbio, sull’Appennino. A richiamarlo nei luoghi della giovinezza è “Fare cinema”, un laboratorio aperto a giovani aspiranti cineasti*. Con loro, appunto, realizza i dieci cortometraggi che ora, rimontati, stanno tutti insieme in un’opera unitaria. A Bobbio, e proprio nella casa dove nel ‘65 Bellocchio girò I pugni in tasca, vivono le due anziane sorelle Mai, insieme con la piccola Letizia (Letizia Bellocchio), figlia della nipote (Donatella Finocchiaro). Ogni tanto, da Roma, torna l’altro nipote (Pier Giorgio Bellocchio), che in quei luoghi soffre un’angoscia venata di nostalgia. Le due sorelle, del resto, ne sono prigioniere: “mai” se ne sono allontanate, “mai” hanno avuto una vita che fosse davvero loro. Ma ne sono anche le guardiane, e addirittura le sacerdotesse. È difficile non scorgere in tutto ciò riferimenti autobiografici di Bellocchio. Le sorelle del titolo sono le sue sorelle. La piccola Letizia è sua figlia. E suo, certo, è I pugni in tasca, le cui immagini in bianco e nero spesso entrano nel montaggio gravate del peso d’una memoria antica. E però questo piccolo film inusuale non è un ritorno al passato. Tenera e colma d’affetto, Sorelle Mai è comunque l’opera di un autore che ha preso felicemente congedo dai fantasmi. Ed è per questo che ora li può avvolgere e abbracciare con la sua macchina* da presa. Ma può anche lasciare che la corrente del Trebbia, il fiume della sua giovinezza, li porti lontano.
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Glossario cilindro: tipo di cappello cineasti: registi, persone che fanno i film congedo: atto di andarsene cortometraggio: film di durata non superiore a 30 minuti inusuale: diverso dal solito macchina da presa: apparecchio per girare i film mediometraggio: film di durata compresa fra i 30 e i 60 minuti
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Storie d’Italia
A1
l’epopea di un’autostrada
Dal ’56 al ’64 il nostro paese realizzò un’opera «impossibile»: in un romanzo oggi si racconta questa storia italiana.
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di Michele Smargiassi
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Un esercito, un fronte che avanza, una battaglia da vincere, eroi e martiri, capitani coraggiosi, uomini dalla schiena dritta come la strada che vollero costruire. Sembra un romanzo di guerra e invece è un romanzo d’amore: d’amore e d’asfalto. «È stata l’Italia migliore di sempre. Un paese orgoglioso di sé, fiducioso in sé come non sarebbe più stato, e lo dimostrò con un’impresa irripetibile». L’Autostrada del Sole, 755 chilometri di strada, viadotti e gallerie costruite in appena otto anni, dal 1956 al 1964, quasi senza soldi e del tutto senza esperienza. «Nessuno fece più nulla del genere». L’uomo che ama l’autostrada è Francesco Pinto, già direttore di RaiTre, ora a capo del Centro di produzione Rai di Napoli. Voleva rendere omaggio a quegli uomini che «fecero l’impresa», e l’ha fatto con un’epopea: mescolando personaggi simbolici, eventi pubblici e storie private, in un romanzo corale, “La strada dritta” (Mondadori), che inaugura un genere letterario inedito: l’epica* autostradale con annessa morale civile.
Lei è un uomo di televisione, come è arrivato ai viadotti*? Ero bambino, e un giorno mio padre mi caricò in macchina, accese l’autoradio, e mi portò a vedere l’Autosole appena costruita. Partimmo da Napoli la mattina, pranzammo nel Mottagrill alle porte di Roma e tornammo indietro con l’impressione di aver toccato con mano la modernità. Era un Paese che voleva correre. Allora puntavamo in alto, eravamo orgogliosi, ambiziosi e coraggiosi. Allora pensò a un romanzo? Non ero sicuro di saperlo fare, suggerii l’idea a un caro amico, Roberto Saviano. Che mi rispose: no, devi farlo tu. Una docu-fiction sull’autostrada? Non è un libro-inchiesta e neppure un romanzo storico. Forse è un memoriale di guerra. Guardi queste foto dall’alto, cosa vede? Fango, automezzi, sembra una scena del Giorno più lungo. O forse ho scritto un western…
L’eroe c’è. Fedele Cova. Primo amministratore delegato della Società autostrade. Non so se fosse un eroe. Ho visto solo le sue foto: un volto severo, quasi ruvido, sincero. Doveva essere un uomo pratico, diretto, con grandi capacità di comando. Non so poi se
si rimette in piedi da soli, mai più col cappello in mano. Progetti italiani, imprese italiane, soldi italiani… Pochi… Inventati. Si partì con un bluff, senza finanziamenti*, senza progetto esecutivo, senza esperienza, con mappe che sembravano il gioco della Settimana Enigmistica “unire i puntini”… Con cento metri di autostrada finta, a San Donato, a beneficio dei giornalisti, per produrre il fatto compiuto. Non era certo l’Italia del “non è di mia competenza”. C’erano dietro grandi interessi: Eni, Fiat, Pirelli, Italcementi… C’erano, ma non pensarono solo ai soldi. Vollero fare qualcosa di bello, che restasse. Il segno di un’epoca e di un orgoglio. L’A1 si vede dal satellite. Nessuno al mondo aveva ancora costruito un’autostrada così ardita, con quei dislivelli. Ci costò cara, decine di morti sul lavoro. Ma otto anni dopo avevamo una cosa che nessuno aveva. Lo sa che il MoMa di New York dedicò una mostra all’Autostrada, nel ’64, e la intitolò Un’opera d’arte italiana? Quell’autostrada aprì la porta alla mobilità privata, al dominio dell’automobile. L’auto ha dominato il Novecento. Non era possibile fare altrimenti: il boom bussava alle porte. Il punto è un altro. Qualcuno accettò quella sfida invece di subirla. Uno dei suoi eroi, finita l’opera, fa una riflessione malinconica: “Non hanno rispetto per la nostra autostrada, per loro è solo un pezzo d’asfalto, per arrivare presto a destinazione”. Sembra una battuta dal Ponte sul fiume Kwai. Sì, in fondo credo che molti la vivessero così, come un’opera da fare per se stessa, per gratificazione personale, più che per la sua utilità. E se anche fosse? Questo rende solo più acuta la domanda nascosta del mio libro: perché allora eravamo coraggiosi, e ora siamo vili?
Glossario epica: racconto, narrazione finanziamenti: prestiti (aiuti) in denaro viadotti: (qui) collegamenti autostradali
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il mio Cova sia quello vero, non ho neppure voluto cercare gli eredi per farmelo raccontare. Forse era diverso da come l’ho immaginato, ma non importa. Per me è il simbolo di una generazione di italiani che credeva in se stessa. Di certo era un uomo che non voleva passare alla storia. Nei servizi Rai sull’inaugurazione il suo nome non viene neppure citato. Poi ci sono gli eroi di fantasia. Nigro, l’ingegnere con le scarpe nel fango dei cantieri, tornato dalla campagna di Russia con un segreto inconfessabile nel cuore. E Gaetano, l’operaio meridionale emigrato al Nord che comincia a costruire la strada a Milano perché vuole tornare assieme a lei a Napoli. La guerra e il ritorno a casa. Nigro è il peso morale di una guerra vergognosa e codarda, da riscattare. Gaetano è il desiderio di un’Italia finalmente unita, unita dagli italiani in carne ed ossa e non dai proclami. E l’Autosole unì l’Italia? Non so se ci siano riusciti: per me conta che quegli uomini lo
vollero. Credettero davvero che un nastro d’asfalto potesse portare il Meridione nella modernità. In quei cantieri rischiosissimi e impensabili, sull’Appennino, lavorò un’Italia che aveva una gran voglia di essere una nazione, senza retorica, senza mai dire patria, che allora era una parola sospetta, solo costruendo piloni di cemento. Fu il momento più alto dell’unità nazionale, forse l’unico in tutti questi 150 anni. Un libro pieno di nostalgia? Tutt’altro, un libro pieno di domande su un’epoca che è vicinissima a noi, in cui hanno vissuto persone che abbiamo conosciuto, che sono come noi, che siamo noi, mica Garibaldi e Mazzini… Un’epoca in cui non eravamo ancora quel che poi siamo diventati. L’Autosole non è la prima autostrada italiana. Mussolini ne costruì diverse, e anche lui ne fece un simbolo: «Segno certissimo della nostra costruttiva potenza…». Erano tronchi isolati, monumentini retorici e inutili. L’Autostrada del Sole fu una struttura portante del Paese, non un’opera di regime. Neanche del regime democratico? Non fu la politica a volere le autostrade. Le due culture dominanti, cattolica e comunista, erano anzi diffidenti per motivi diversi verso quel tipo di modernità dei consumi. In quegli anni poi i governi erano deboli, non avevano tempo né competenze per le grandi opere. Ma alla guida delle aziende pubbliche c’erano invece uomini forti, erano gli anni di Mattei. Decidevano loro, la politica seguiva. Disinteressati? Qualcuno finì successivamente in qualche scandalo, ma non è la carriera dei singoli che ho voluto raccontare, è lo spirito di un decennio magico quando tutto sembrava giovane e pulito. Mandavamo satelliti in orbita, ospitavamo le Olimpiadi, la lira era la moneta più stabile del mondo, battezzavamo l’Europa. In quegli anni ci buttammo alle spalle l’angoscia della guerra per diventare un grande Paese, sapendo di potercela fare da soli. Copiando magari gli svincoli dagli americani, ma senza il loro aiuto: ci
Grandi scrittori
Italo Calvino
Autore originale, di varie esperienze letterarie, politiche e scientifiche. I suoi incontri con culture opposte lo rendono sempre attuale e sorprendente.
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TRATTO DA
Le sorprese di uno scrittore inatteso
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di Severino Cagnin
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“Ci sono giorni in cui ogni cosa che vedo mi sembra carica di significati: messaggi che mi sarebbe difficile comunicare ad altri, definire, tradurre in parole, ma che appunto perciò mi si presentano come decisivi. Sono annunci o presagi* che riguardano me e il mondo insieme, e di me non gli avvenimenti esteriori dell’esistenza ma ciò che accade dentro, nel fondo; e del mondo non qualche fatto particolare ma il modo d’essere generale di tutto”. Questa espressione tratta da Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) può essere una chiave di lettura di ogni opera di Calvino, perché ne giustifica la profondità e l’universalità delle affermazioni, pur mascherate sempre da una ironica e divertente fantasia. La vediamo realizzata perfettamente e in modo diverso, in tre opere, che non sono quelle che hanno ottenuto maggior successo di pubblico e consensi della critica ufficiale, ma in pagine da alcuni poco apprezzate e, forse, meno comprese nella loro provocatoria* acutezza.
“Una volta, secondo Sir George H. Darwin, la Luna era molto vicina alla Terra. Furono le maree che a poco a poco la spinsero lontano: le maree che lei Luna provoca nelle acque terrestri e in cui la Terra perde lentamente energia”. È l’incipit de Le Cosmicomiche del 1965, nel primo dei 12 racconti, La distanza della Luna. Le fantasie dello scrittore sono imprevedibili: il vecchio Qfwfq
si ricorda che una volta la Luna passava nella sua orbita ellittica vicino alla Terra e le persone vi salivano per prendere il latte lunare. Ma una volta si fermò un mese perché innamorato della moglie del comandante della navicella spaziale, che ricambiava suonando l’arpa e non volle più scendere sulla Terra. Bastano questi cenni per cogliere al volo i suggerimenti che lo scrittore suscita e i richiami all’Astolfo sulla luna di Ariosto, al primo scrittore di fantascienza Jules Verne e alle sonate di Chopin e Beethoven. Il gioco tra scienza e finzione si ripete all’infinito in tutta l’opera, come si può intuire dai titoli degli altri racconti: Sul far del giorno parla del primo giorno della creazione e, quando alla sera piomba il buio, sembra la fine del mondo, invece è l’inizio di un nuovo giorno e di una settimana e di un mese, finché cambia la luna e la vita continua. Altri titoli: Un segno nello spazio, da ritrovare 200 milioni di anni dopo; Tutto in un punto, Senza colori, Giochi senza fine, in cui si gioca a far volare le galassie, Lo zio acquatico, Quanto scommettiamo?, I dinosauri, La forma dello spazio, Gli anni luce, La spirale. Si è molto parlato dei rapporti di Calvino con la scrittura fantascientifica. Per lui non fu un caso o un tentativo. I suoi genitori erano studiosi e docenti universitari di queste discipline e lui nacque a Las Vegas presso L’Avana in un bungalow del coloratissimo giardino botanico tropicale, diretto dal padre Giacomo, agronomo di origine sanremese e dalla madre Evelina, sarda, laureata in Scienze Naturali e assistente di Botanica all’università di Pavia. Nel 1926 decidono di ritornare in Italia,
perché un uragano ha distrutto la casa e il terreno per le culture. Però lui costruisce le storie in modo diverso: mentre la fantascienza tratta del futuro, egli si rifà ad un passato remoto, una sorta di mito delle origini (vedi la trilogia araldica Gli Antenati, dove inserisce sempre spunti di poesia e richiami alla creazione artistica.
Lo scrittore della leggerezza Calvino spiega cosa intende per “leggerezza” in Lezioni americane, che fu invitato a tenere all’università di Harvard nel Massachussetts nell’anno accademico 1985 – 1986 e che preparò tutte al completo, eccetto l’ultima e comprendono : la leggerezza, la rapidità, la esattezza, la visibilità, la molteplicità e la coerenza (solo progettata). «Dedicherò la prima conferenza all’opposizione leggerezza-peso e sosterrò le ragioni della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo penso che sulla leggerezza ho più cose da dire». Così inizia Lezioni americane e subito esplicita il senso di «definizione complessiva per il mio lavoro» e propone questa: «La mia operazione è stata il più delle volte una sottrazione di peso; ho cercato di togliere il peso ora alle figure umane, ora ai corpi celesti, ora alle città, soprattutto ho cercato di togliere peso alla struttura del racconto e al linguaggio». L’opera, di massima importanza per capire il metodo di lavoro dello scrittore e i suoi criteri sul linguaggio, offre anche appunti utili per orientarsi nelle trasformazioni che apparivano davanti ai suoi occhi negli anni Ottanta. L’informatica è ancora configurata nell’ambito numerico,
Palomar, l’uomo nuovo per il terzo millennio? Il mondo guarda il mondo: in seguito ad una serie di disavventure intellettuali , poco importanti, il signor Palomar ha deciso che la sua principale attività sarà guardare le cose dal di fuori. Un po’ miope, distratto, introverso, egli non sembra rientrare per temperamento* in quel tipo umano, che di solito viene definito un osservatore. Assomiglia un po’ all’ingenuo Marcovaldo del racconto I boschi dell’autostrada. Eppure gli è sempre successo che certe cose – un muro di pietre, un guscio, una conchiglia, una foglia, una teiera – gli si presentino come chiedendogli un’attenzione prolungata (potremmo aggiungere: come guardare una natura morta di Giorgio Morandi!). Egli si mette ad osservarle, quasi senza rendersene conto e il suo sguardo comincia a percorrere tutti i dettagli, e non riesce più a staccarsene. Il signor Palomar ha deciso che d’ora in avanti raddoppierà la sua attenzione: primo, nel non lasciarsi sfuggire questi richiami che gli arrivano dalle cose; secondo, nell’attribuire all’operazione dell’osservare l’importanza che essa merita. Risulta chiaro che Palomar
non è così dipendente dalle cose, come a prima vista sembrerebbe, ma ha con loro un duplice legame di attrazione-controllo: “l’universo come specchio”. Capita anche nei rapporti con il prossimo: invidia le persone che hanno il dono di trovare sempre la cosa giusta da dire, il modo giusto di rivolgersi a ciascuno, che si sentono a loro agio con chiunque si trovino e che mettono gli altri sempre a loro agio. Però tendono a muoversi con leggerezza tra la gente, capiscono quando devono difendersi e quando guadagnarsi la simpatia e la confidenza; danno il meglio di sé nel rapporto con gli altri e invogliano gli altri a dare il loro meglio: ma, poco o tanto, non siamo tutti anche noi dei Palomar? La risposta ce la dà Calvino stesso, facendo capire che Palomar non è una persona! Il nome è quello di un celebre telescopio di un osservatorio della California, potente nello scrutare i particolari anche più piccoli degli astri: il comportamento umano deve seguire le medesime norme: concentrarsi ogni volta su un fenomeno isolato, chiaramente distinto. Senza questa “messa a fuoco” preliminare, nessuna forma di conoscenza è possibile, anche se, all’atto pratico, risulta ogni volta meno semplice di quello che si credeva. Galileo ha scritto di limiti, difficoltà e grandezza del sapere umano, massimo dono, affidato da Dio Onnisciente ad ogni persona. Anche il difetto di Palomar è speculare*: taciturno, forse, perché ha vissuto troppo a lungo in un’atmosfera inquinata dal cattivo gusto della parola, intercetta segnali fuori di ogni codice, assorbito dalla massa, intreccia dialoghi muti, tenta di costruirsi una morale, che gli consenta di restare* zitto il più a lungo possibile. Forse è per rintracciare il filo del discorso, che scorre là dove le parole tacciono, che egli tende l’orecchio al silenzio degli spazi infiniti o al fischio degli uccelli, e cerca di decifrare l’alfabeto delle onde marine e delle erbe di un prato.
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ma Calvino propone suggerimenti che vanno ben al di là di queste applicazioni. In tutte Le lezioni egli sottolinea la sua predilezione per testi brevi e aggiunge osservazioni meno ovvie: considerare la scrittura come sistema di controllo del pensiero e l’importanza del ritmo, anche nelle narrazioni in prosa. Ogni lezione si riferisce a sue opere precedenti, quasi una rivisitazione critica, sottolineando per ciascuna uno specifico valore della composizione, che lui riteneva importante e che considerava alla base della letteratura per il nuovo millennio. Troviamo inattese citazioni dalle Metamorfosi di Ovidio nell’episodio di Perseo e la Medusa e da Piccolo testamento di Montale, con riferimenti anche agli ultimi risultati della ricerca scientifica: «Oggi ogni ramo della scienza sembra ci voglia dimostrare che il mondo si regge su entità sottilissime come i messaggi del DNA, gli impulsi dei neuroni, i quark, neutrini vaganti nello spazio dall’inizio dei tempi… bit senza peso…».
Glossario presagi: segni che rivelano qualcosa provocatoria: che costringe a pensare, lancia una sfida restare zitto: non parlare speculare: che si riflette temperamento: natura interiore, carattere
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Giochi e attività Una luce verde Osserva l’immagine e rifletti. Secondo te, qual è il messaggio di questa pubblicità? Parlane con i tuoi compagni. Anche nel tuo Paese esistono spot di questo tipo? Secondo te, quali comportamenti dobbiamo avere nei confronti dell’ambiente?
Le parole sospese di Nathalie Leggi il testo della canzone Vivo sospesa di Nathalie e inserisci le parole giuste. • ferite • calore • nuovi • quotidianità • cambiate • sospiri • tempesta • forme • dolore • cambiando
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Vivo sospesa tra sogno e ……………………… Io mi ero persa Per strade sconosciute già ………………. prima di arrivare Nel mio percorso speranze e possibilità nei ………………… giorni la vita si trasformerà cambiando colore rendendo il ………………… un punto di forza in una ………………. di vento fragile forma consumata dal tempo Vivo sospesa E un giorno io ti rivedrò a ogni respiro la vita io trasformerò
………………….. i miei giorni rendendo i miei sogni Punti di forza in tempeste di vento fragili forme consumate dal tempo trasformerò le ………………… profonde e le parole in sospiri di amanti proteggerò i miei sogni più puri si sveleranno al ………………. del giorno Punti di forza in tempeste di vento fragili …………………… consumate dal tempo trasformerò le ferite profonde e le parole in ……………….. di amanti Punti di forza in tempeste di vento fragili forme consumate dal tempo trasformerò le ferite profonde e le parole in sospiri di amanti
Ognuno al suo posto Completa la griglia: scrivi al posto giusto i nomi degli oggetti. • giornale • bicchieri di vetro • barattolo di pelati • gusci di uovo • lampadine • bottiglia di aranciata • lenti di occhiali • buccia di banana • carta argentata per alimenti • tubetto vuoto di colla • scatoletta di tonno • busta per lettere • penna a sfera • avanzi di cibo • quaderno vecchio • specchio rotto • pane vecchio • lattina • bottiglia di shampoo • biglietto del cinema
VETRO
ALLUMINIO
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Le soluzioni sono a pagina 23.
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Soluzioni P. 22 Una luce verde: produzione libera. P. 22 Le parole sospese di Nathalie: quotidianità, cambiate, nuovi, dolore, tempesta, cambiando, ferite, calore, forme, sospiri. P. 22 Ognuno al suo posto: Vetro: bicchieri di vetro, lampadine, lenti di occhiali, specchio rotto; Alluminio: barattolo di pelati, carta argentata per alimenti, scatoletta di tonno, lattina di Cola; Carta: giornale, busta per lettere, quaderno vecchio, biglietto del cinema; Plastica: bottiglia di aranciata, tubetto vuoto di colla, penna bic, bottiglia di shampoo; Organico: gusci di uovo, buccia di banana, avanzi di cibo, pane vecchio.
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Box 190, Waterloo, Ontario N2J 3Z9, Tel. +1 (519) 885 0826, Fax. +1 (519) 747 5629 - sales@theresourcecentre.com CROATIA - VBZ Ltd Velikopoljska 12, 10010 Zagreb, Tel. +385 (01) 6254 671, Fax +385 (01) 6235 418 tanja.krizanec@vbz.hr - www.vbz.hr/stranijezici CYPRUS - GM PUBLICATIONS Kleomidous 2, 10443 Athens, Greece, Tel. +30 (210) 5150 201-2, Fax +30 (210) 5143 383 gmflbook@otenet.gr - www.elicyprus.synthasite.com CZECH REPUBLIC (Russian, Italian) - INFOA Nova 141, 789 72 Dubicko T + 420 (583) 456810 infoa@infoa.cz - www.infoa.cz DENMARK - FORLAGET LØKKE A/S Postboks 43 Porskaervej 15, Nim 8740 Braedstrup, Tel. +45 (75) 671 119, Fax +45 (75) 671 074 alokke@get2net.dk - www.alokke.dk EIRE - EUROPEAN SCHOOLBOOKS LTD Ashville Trading Estate, The Runnings, Cheltenham GL51 9PQ, UK, Tel. +44 (01242) 245252, Fax +44 (01242) 224137 direct@esb.co.uk - www.esb.co.uk FRANCE - EDITIONS DU COLLEGE 26110 Vinsobres Tel.+ 33 (04) 75 27 01 12, Fax. + 33 (04) 75 27 01 11 contact@editions-du-college.fr - www.editions-du-college.fr F.Y.R.O.M. - T.P. ALBATROS Bul. III Makedonska Brigada 23/1191000 Skopje, Tel./Fax +389 (02) 2463 849 - kasovskib@yahoo.com GERMANY - ZAMBON VERLAG und VERTRIEB Leipziger Straße 24, 60487 Frankfurt/Main, Tel. + 49 (0)69 779223, Fax + 49 (0)69 773054 - zambon@zambon.net GREECE - GM PUBLICATIONS Kleomidous 2, 10443 Athens, Tel. + 30 (210) 5150 201-2, Fax + 30 (210) 5143 383 gmflbook@otenet.gr - www.gm-books.com HONG KONG - TRANSGLOBAL PUBLISHERS SERVICE 27-E Shield Industrial Centre - 84 Chai Wan Kok Street Tsuen Wan, Hong Kong, Tel. +852 24135322 info@transglobalpsl.com - www.transglobalpsl.com HUNGARY - LIBRO-TRADE Kft Pesti Ut. 237, 1173 Budapest, Tel. + 36 (01) 254 0254 / 254 0273, Fax + 36 (01) 254 0274 periodicals@librotrade.hu - www.librotrade.hu ICELAND / FAER ØER - FORLAGET LØKKE A/S Postboks 43 Porskaervej 15, Nim 8700 Horsen, Denmark, Tel. +45 (75) 671 119, Fax +45 (75) 671 074 alokke@get2net.dk - www.alokke.dk ISRAEL - ALNUR FOR PEDAGOGY P.O.Box 100, Daliat el-Carmel 30056, Tel. +972 (04) 8390426, Fax +972 (04) 8391150 - nur@barak.net.il ITALIA - ELI srl, C.P. 6, 62019 Recanati, Tel. 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ET TOI 30-433 Kraków, Ul. Horaka 1, Poland, tel. +48 695 593 454, fax. +48 12 396 58 67 www.ettoi.pl - info@ettoi.pl RUSSIA – EVROKNIGA ZAO 3 Marksistskaya, 109147 MOSCOW, Tel/Fax +7 (495) 956 41 33 / 34 / 35 / 36, Fax +7 (09) 59564136 info@evrokniga.ru - www.evrokniga.ru SERBIA - PLANETA Asistencioni Servis Resavska 30B 11000 Belgrade, Tel. +381 (011) 303 5080, Fax +381 (011) 323 4452 - elicentar@eunet.yu SLOVACCHIA - DIDAKTIS, s.r.o. Hyrosova 4 ,811 04 Bratislava, Tel/Fax +421 (02) 5465 2531 - didaktis@didaktis.sk - www.didaktis.sk SLOVENIA - MLADINSKA KNJIGA TRGOVINA Slovenska Cesta 29, 1000 Ljubljana, Tel. +386 (0) 1 588 7444, Fax + 386 (0)1 588 7540 urska.ravnjak@mk-trgovina.si - www.centeroxford.com SOUTH AFRICA - INTERNATIONAL JOURNALS P.O.Box 29005, Sandringham 2131, Orange Grove 2119, Johannesburg, Tel. 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TRATTO DA
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Le fotocopie non autorizzate sono illegali.
di Gianfranco Vissani
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La fettuccina* o tagliatella, è una delle creazioni mitiche della nostra gastronomia. È un formato di pasta antichissimo, e la differenza tra le due denominazioni è piuttosto arbitraria. Secondo alcuni, a parità di larghezza, la fettuccina sarebbe più spessa della tagliatella, secondo altri, invece, la fettuccina sarebbe più larga della tagliatella oppure più sottile. Si possono individuare delle differenze anche nella composizione dell’impasto: la classica tagliatella bolognese o mantovana prevederebbe almeno dieci uova per un chilo di farina, mentre la fettuccina romana, abruzzese o umbra si farebbe con qualche tuorlo in meno. Tutte queste discussioni sui nomi ci fanno capire quanto sia ricca la nostra cucina territoriale e ci spingono a usare la creatività per trovare soluzioni sempre nuove. Le tagliatelle o fettuccine, sono gradevolissime con un buon sugo di trota e sono valorizzate dal profumo della salvia.
Preparazione Per prepararle, stendete la pasta a uno spessore sottile e fate delle fettuccine. Togliete la pelle e le lische alla trota, poi tagliate la carne a cubetti di un centimetro di lato. Fate andare in una padella l’aglio con un filo d’olio, salvia, rosmarino e un pizzico di peperoncino e fate dorare*. Aggiungete la trota, lasciate insaporire, poi bagnate con il brodo vegetale e cucinate per qualche minuto. Filtrate un po’ di questo condimento e, con una frusta, montatelo in un padellino a parte con una noce di burro ben freddo, in modo da ottenere un’emulsione* omogenea. Friggete delle foglie di salvia in olio caldo, in modo che risultino ben croccanti, e fatele scolare su carta assorbente. Scottate le fettuccine in acqua salata, scolatele, saltatele nel condimento di trota, poi adagiate una porzione al centro del piatto, irrorate* con l’emulsione e decorate con qualche foglia di salvia fritta. Completate il piatto con un filo d’olio.
Ingredienti • • • • • • • •
200 g di trota salmonata 200 g di pasta all’uovo aglio – salvia – rosmarino peperoncino in polvere pecorino grattugiato una noce di burro olio per friggere olio extravergine d’oliva
La trota La trota normalmente commercializzata in Italia è la salmo trutta, un pesce d’acqua dolce che deriva dalla specie tipica (salmo trutta trutta), varietà di pesce marino delle coste nordiche europee che depone le sue uova nei fiumi, come il salmone. La trota salmonata, a carne rosa, non è una varietà specifica ma una normale trota nella cui alimentazione compaiono crostacei, o farina di crostacei, che ne colorano le carni. È considerata tra le più pregiate. Oltre alla varietà fario (dorso scuro, fianchi argentei e piccole macchie rosse) in Italia è oggetto di intenso allevamento anche la varietà iridea o arcobaleno, che proviene dal Nord America, con una banda rosa sui fianchi. La qualità dipende molto dalle tecniche d’allevamento, dal mangime e dall’ambiente.
Glossario dorare: (qui) far cuocere leggermente gli ingredienti finché l’aglio non diventa di colore più scuro emulsione: composto liquido fettuccina (o tagliatella): pasta all’uovo caratterizzata da strisce lunghe e sottili irrorate: bagnate
Oggitalia n. 7 - 2011 - Poste Italiane S.P.A. - Sped. in abb. post. - D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 1, DCB - Ancona
Fettuccine o tagliatelle
Il famoso cuoco italiano ci offre una tradizionale e gustosa ricetta di pasta con sugo di pesce.
Tassa Riscossa/Taxe Perçue
Sapori italiani