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Anno XXXVII - N. 1 - Settembre/Ottobre 2018 - Imprimé à Taxe Réduite
LA RIVISTA CONTINUA IN RETE (vedi pag. 2)
TipiCittà
Venezia
in un giorno
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www.elimagazines.com
Ciao ragazzi! Ben ritrovati tra le nostre pagine. Oggitalia vi aspettava con una novità che ci accompagnerà per tutto l’anno: nella rubrica qui accanto, che abbiamo chiamato “TipiCittà”, vi suggeriremo un giro turistico in una delle città italiane più interessanti. Nell’ultima pagina, prima di chiudere la rivista, scoprirete quale personaggio tipico potrete sicuramente incontrare visitandola. Sarà uno stimolo a viaggiare e, una volta lì, a tenere gli occhi ben aperti! Questo numero vi aspetta con tantissimi protagonisti da scoprire: Barbara Jatta, Roberto Bolle, Kiara Fontanesi, i personaggi dell’ultimo romanzo di Giuseppe Catozzella, e la descrizione di una “gustosa” mostra preparata per il Fuorisalone 2018. Buona lettura!
Silvia
Sommario TipiCittà
Inchiesta
Spettacolo
Arte & Design
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Settembre/Ottobre 2018 Direttore responsabile Lamberto Pigini Redazione Paola Accattoli Grazia Ancillani Cristina Ciarrocca
Responsabile editoriale Daniele Garbuglia Per la vostra corrispondenza: “Oggitalia” ELI P.O. box 6 - 62019 Recanati (MC) Italia www.elimagazines.com
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Venezia in un giorno
Le tappe e le mete di un breve giro turistico, tra i monumenti e le attrazioni assolutamente da non perdere, che ti farà scoprire la bellezza di una città famosa in tutto il mondo www.gioia.it
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Barbara Jatta: «Io, prima donna capo dei Musei Vaticani»
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Roberto Bolle e l’importanza dei sogni
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Brand italiani, una storia “da favola” al Fuorisalone
di Michela Tamburrino da www.lastampa.it Classe 1962, bella e sempre elegante, riceve in uno studio con una vista straordinaria. Dal 2016 guida una delle istituzioni artistiche più frequentate al mondo, con oltre sei milioni di visitatori che ogni anno si mettono in fila per ammirare la Sistina, le stanze di Raffaello, la Pinacoteca, solo per citare i capisaldi
di Andrea Cominetti da www.vanityfair.it Nel one-man show che ha aperto il 2018, Danza con me, il ballerino è riuscito a far amare il balletto a numerosi telespettatori. Lo scorso giugno ha travolto Milano con OnDance. Accendiamo la danza: «Sono felice e orgoglioso del mio percorso artistico, di quello che ho realizzato con passione e sacrificio»
Anche quest’anno il Salone del Mobile ha radunato a Milano un vastissimo pubblico. Tra le tante iniziative della settimana, nell’ostello temporaneo che, nei giorni del Salone, porta gli ospiti a vivere in un contesto innovativo, il Design Hostel, ha preso vita un progetto inedito da www.ansa.it
Sport
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Kiara, il quinto titolo come una favola
Letteratura
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Giuseppe Catozzella: «Nel mio nuovo romanzo la paura dello straniero»
Giochi e attività
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Attività divertenti e stimolanti sugli articoli di “Oggitalia”
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di Mario Salvini da www.gazzetta.it «Mi sono tolta un grande peso dopo la vittoria dello scorso anno, che mi ha permesso di vivere un intenso inverno di allenamento senza pressioni, divertendomi e svolgendo un ottimo lavoro con il team. Questo mi consente di avere come unico obiettivo la vittoria del sesto titolo mondiale!» spiega la pluricampionessa del motocross femminile
di Pier Luigi Razzano da www.repubblica.it Nell’estate in cui per Pietro giunge il momento di crescere, abbandonare una parte di sé e aprirsi alla scoperta del suo “personale splendore”, si intrecciano due avvenimenti importanti: la scomparsa della madre e il ritrovamento del nascondiglio di una famiglia di sette stranieri, tra cui un bambino come lui
TipiCittà Le tappe e le mete di un breve giro turistico, tra i monumenti e le attrazioni assolutamente da non perdere, che ti farà scoprire la bellezza di una città famosa in tutto il mondo
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TRATTO DA
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Vai a pag. 15 per scoprire un personaggio che potresti facilmente incontrare in questa città!
Venezia in un giorno 5. Palazzo Ducale: proprio accanto alla grande piazza San Marco, come estensione nello spazio è nata la piazzetta San Marco, dove sorge il bellissimo Palazzo Ducale (1442). Si tratta del migliore esempio di gotico veneziano e una delle migliori opere architettoniche dell’arte rinascimentale. È stata la sede del governo della Repubblica Marinara di Venezia.
Ti stai chiedendo cosa andare a vedere a Venezia, se hai soltanto un giorno a disposizione per visitare quella che è una delle città più romantiche del mondo? Premettiamo* che un giorno non è proprio un tempo sufficiente per Venezia: luoghi di grande interesse non mancano di certo! Possiamo suggerirti quali dovrebbero essere, secondo noi, le tappe obbligatorie, in un itinerario adatto a riempire un’intera giornata. 1. Ponte di Rialto: è il ponte più famoso di Venezia e, fino al 1854, era l’unico ad attraversare il Canal Grande. È assolutamente la prima cosa da andare a vedere. Il ponte che ammiriamo oggi è stato costruito nel 1588, sostituendo un ponte levatoio in legno che ha fermato il passaggio di navi di grandi dimensioni. 2. Canal Grande: attraversare il Canal Grande in gondola, taxi o vaporetto è una delle cose da non perdere. È il più grande e più frequentato canale della città, difatti è la sua arteria principale. Largo tra i 30 e i 50 metri e con una profondità di quasi 6 metri, il suo percorso di 4 chilometri divide
Venezia in due parti, disegnando una S. Tra i più importanti palazzi veneziani che si affacciano* di fronte al Canal Grande, ci sono: Ca’ Pesaro (che ospita la Galleria Nazionale d’Arte Moderna), Ca’ Rezzonico (Museo del Settecento veneziano), Ca’ Corner (Museo di Arte Contemporanea), Palazzo Grassi e lo splendido Ca’ d’Oro. 3. Piazza San Marco/Cattedrale di San Marco: a Venezia è l’unica che porta il nome di “Piazza” (tutte le altre sono chiamate “Campo”). Dal modo in cui i palazzi sono allineati e per il suo spettacolare decoro, questa piazza è considerata la più bella del mondo. Nella parte inferiore, si trova la bellissima cattedrale di San Marco, tra le più famose attrazioni di Venezia, con la sua imponente facciata piena di mosaici, le guglie gotiche e le torrette che dominano tutta la piazza. Non si possono perdere, all’interno della cattedrale, le imponenti colonne e soprattutto i suoi mosaici dettagliati, con sfondo dorato. 4. Torre dell’Orologio: un vero e proprio capolavoro d’ingegneria e di bellezza, la Torre dell’orologio è uno dei monumenti più consigliati quando si fa il tour di Venezia. Si possono andare a scoprire il suo interessante meccanismo e la sua vista panoramica.
6. Ponte dei sospiri: dirigendosi verso il molo delle gondole di fronte al Palazzo Ducale, si trova questo bellissimo ponte costruito con pietra bianca, che collegava il vecchio tribunale alla prigione. Anche se il suo nome evoca* un certo romanticismo e sembra collegato alla sua bellezza, questo ponte è stato chiamato “dei sospiri” perché, un tempo, veniva attraversato dai prigionieri che passavano di lì a piedi per raggiungere la prigione e sapevano che sarebbe stata l’ultima volta che lo avrebbero visto, prima di essere giustiziati. È tra le cose da vedere a Venezia di sera. 7. Chiesa di Santa Maria della Salute e Le Zattere: una delle chiese di Venezia da visitare è stata costruita nel 1631, in segno di gratitudine a Dio per la fine della peste (una grave malattia che ha ucciso tre quinti della popolazione veneziana in quel periodo). Questa è la zona sud di Venezia, che si estende dalla chiesa di Santa Maria della Salute fino al porto/ferrovia della città, Le Zattere. La bellezza di queste ultime, Le Zattere, è che hanno un ampio marciapiede lungo un chilometro sul bordo del mare.
Glossario evoca: richiama nella mente premettiamo: diciamo prima di iniziare il discorso si affacciano: sono sul bordo, lungo il Canal Grande
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Inchiesta
Barbara Jatta: «Io, prima donna capo
dei Musei Vaticani»
Succede a volte che Barbara Jatta, storica dell’arte, guadagni* la Terrazza del Nicchione e da lì veda Roma, il Vaticano con i suoi giardini, ai piedi della parte più alta del Palazzetto del Belvedere che circonda il Cortile della Pigna. Una bella
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TRATTO DA
di Michela Tamburrino
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Classe 1962, bella e sempre elegante, riceve in uno studio con una vista straordinaria. Dal 2016 guida una delle istituzioni artistiche più frequentate al mondo, con oltre sei milioni di visitatori che ogni anno si mettono in fila per ammirare la Sistina, le stanze di Raffaello, la Pinacoteca, solo per citare i capisaldi
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prospettiva che le fa dire quanto questo posto, più di ogni opera d’arte, la metta in contatto con la bellezza. Un’affermazione forte considerando che Barbara Jatta siede ai vertici dei Musei Vaticani, la prima donna a ricoprire questo incarico in cinquecento anni di storia. Jatta, si è mai chiesta: perché io? «Potevano scegliere altre persone invece hanno voluto me e questo mi onora. Anche come donna. Un gesto significativo di cambiamento da parte di papa Francesco. Ma al tempo stesso anche una scelta sicura, visto che sono un’interna, non dei Musei ma conto vent’anni di lavoro alla Biblioteca Vaticana». Innovazione, appunto. Si dice che abbia inaugurato la diplomazia dell’arte per quanto riguarda i rapporti con la Cina, finora non troppo distesi. «Io sono una storica dell’arte ma spero nel buon auspicio* di una mostra congiunta con 80.000 pezzi che partono dal 1925,
doni di fedeltà delle missioni, opere d’arte mandate dalla Cina, dalla Città Proibita, pezzi preziosi, una mostra che ci riporta laggiù con manoscritti, stampe. Anche questo fa diplomazia». Innovazione anche nel rapporto instaurato con l’esterno, nella comunicazione di quanto avviene e si prepara. «Il mio impegno è vario, all’inizio è stato uno choc per la vastità del lavoro. Si va dalle riunioni per i restauri ai tanti cantieri aperti contemporaneamente, ai convegni, alle mostre da fare qui e all’estero, da Santiago del Cile a Città del Messico, e questo implica attività editoriale di ricerca. Abbiamo quaranta titoli pubblicati e il bollettino per i comitati scientifici. Stiamo preparando per ottobre una riunione con i grandi musei, Louvre, Hermitage, Metropolitan, Getty e Prado, per ragionare sulla manutenzione preventiva. Un modo per confrontarci su problematiche comuni». Com’è nato l’amore per l’arte? «Mio nonno era architetto, mamma restauratrice e pittrice. Mia nonna era una pittrice ritrattista, Assia Busiri Vici. Noi nipoti andavamo da lei, in via Giulia o a Fregene e venivamo ritratti e intrattenuti per farci stare fermi. Ci stupiva sempre. Ho un ricordo bellissimo di lei. Poi ho vissuto a Roma, sull’Appia Antica, che era una comune* di artisti. Uno di loro mi portò a seguire una lezione di storia dell’arte e capii che volevo fare quello». Era solo l’inizio. L’insegnamento a Napoli, il gabinetto di arti grafiche e la Biblioteca sono un naturale prosieguo*. «Una fortuna avere prefetti e cardinali illuminati che mi hanno fatto avviare la digitalizzazione e la riorganizzazione. Un lavoro bellissimo, tra disegni di Botticelli, Bernini, Borromini, tutto il barocco. Il disegno è il padre della arti». […]
ereditato una situazione felice e una squadra che funziona». E come si vede? «Come una ragazzina di 56 anni, che è poi l’età dell’esperienza pregressa e dell’energia». E di energia ce ne vuole tanta? «Ci vuole un fisico bestiale*. Mi sveglio alle 6:40 e arrivo ai Musei per le 8, il tragitto lo sfrutto per telefonare. E voglio essere a casa per le 20: mi piace cenare con i miei, non sono una fan della cucina però mangio volentieri. Nel tempo libero, poco, bicicletta e cani, all’aria aperta». Lei è sposata con un medico e ha tre figli: riesce a conciliare, come si dice, lavoro e famiglia? «Con mio marito stiamo insieme da trentacinque anni e gli ho messo in casa tante opere d’arte. Lui fa ricerca in campo medico e capisce il tempo dedicato allo studio. In più, dirige una struttura di emergenza e ha dimestichezza con ferie, turnazioni, attenzione al servizio e all’utenza. Un figlio lavora in finanza a Milano, la seconda è una studiosa di antropologia. Il piccolino ce lo tiriamo per la giacchetta*». Come si considera? «Una persona normale che ha umanizzato i Musei. E l’ho potuto fare perché ho
È vero che ha un filo privilegiato con papa Francesco? «Ma se ancora non è venuto a vedere il bellissimo restauro dell’icona bizantina Salus Populi Romani alla quale è particolarmente devoto... Ha tante priorità, però ci ha ringraziato e ha promesso che verrà presto».
Glossario auspicio: circostanza, augurio bestiale: forte ce lo tiriamo per la giacchetta: metafora per dire che è ancora in casa con i genitori comune: comunità guadagni: raggiunga prosieguo: proseguimento
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Spettacolo
Roberto Bolle
e l’importanza dei sogni [
TRATTO DA
]
di Andrea Cominetti
Nel one-man show che ha aperto il 2018, Danza con me, il ballerino è riuscito a far amare il balletto a numerosi telespettatori. Lo scorso giugno ha travolto Milano con OnDance. Accendiamo la danza: «Sono felice e orgoglioso del mio percorso artistico, di quello che ho realizzato con passione e sacrificio»
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Buona la seconda per Roberto Bolle. Dopo il successo dello scorso anno di La mia danza libera, l’étoile è tornato con Danza con me, un one-man show impreziosito dalla presenza di ospiti di prim’ordine* (da Sting a Tiziano Ferro, passando per Virginia Raffaele e Miriam Leone, fino a Marco D’Amore, co-conduttore della serata) che ha il dichiarato scopo di avvicinare i telespettatori a un mondo percepito spesso come lontano. Ne ha tenuti attaccati allo schermo cinque milioni (22% di share), che hanno seguito le esibizioni di Bolle in prima serata: brani tratti dal repertorio classico, neoclassico e contemporaneo, con coreografie di Roland Petit, Rudolf Nureyev e Mauro Bigonzetti, alternati a creazione inedite. Tra queste, a colpire in maniera particolare è quella dell’étoile con il ballerino Lil Buck, il cosiddetto “Baryshnikov in sneakers”, per la prima volta in Italia. Insieme i due
ballano insieme sulle note di Inshallah, brano di Sting sul dolore dei rifugiati di tutto il mondo, che – per l’occasione – l’artista inglese canta dal vivo. In trasmissione a ballare sono perfino gli ospiti comici: Pif, che prova a non sfigurare* accanto alle allieve dell’Accademia Teatro alla Scala, Virginia Raffaele, che fa – benissimo – la parodia dello spot pubblicitario di un profumo, e Geppy Cucciari. A lei, in un’intervista a metà tra serietà e ironia, Bolle svela di cos’è fatta la propria quotidianità («non mangio un’amatriciana* da vent’anni», confessa) trascinando, nel finale, l’attrice sarda in un lento. La colonna sonora è quella de Il tempo delle mele e, per l’occasione, non mancano né le cuffiette anni Ottanta, né il walkman d’ordinanza*.
propongono un pezzo che è soprattutto un esercizio di stile. Anzi, di stili: la migliore danza classica che incontra il miglior jookin’, un coinvolgente genere di street dance. Tra gli assoli, invece, stupisce quello sulle note di Mad World di Gary Jules, in cui il corpo di Bolle diventa una tela dove le luci dipingono un quadro meraviglioso e in divenire: fiamme, galassie e poi un cuore che ritorna e batte incessante.
Dal “contagio” della danza si salvano giusto gli ospiti musicali. Da Fabri Fibra a Tiziano Ferro, che si esibiscono nei rispettivi inediti. Con il cantante di Latina, inoltre, il ballerino si lascia andare a un emozionante viaggio sul viale dei ricordi, grazie all’aiuto di una serie di fotografie di quando – a sette anni, vestito da Arlecchino – ha mosso i primi passi sul palcoscenico. Il momento diventa così l’occasione per ribadire il valore dei sogni, l’importanza di crederci fino in fondo e di non vergognarsene mai. Il momento più emozionante è senza dubbio l’incontro con Ahmad Joudeh. Palestinese cresciuto in un campo profughi siriano, 27 anni, una vita passata a combattere per la danza, un padre che arriva a prenderlo a bastonate sulle gambe e l’Isis che lo minaccia di morte. Ahmad non si arrende: si tatua
sul collo la scritta «Danza o muori» e continua a ballare, caricando i propri video su YouTube, fino a venire notato da un filmaker olandese e ammesso* al Dutch National Ballet di Amsterdam. Una storia di speranza, di luce nelle tenebre, rappresentata da una coreografia di Massimiliano Volpini. Bolle e Joudeh
Glossario amatriciana: piatto tipico (buonissimo ma calorico) del centro italia ammesso: accettato, fatto entrare perché idoneo d’ordinanza: come voleva la moda degli anni Ottanta di prim’ordine: di ottima qualità sfigurare: fare brutta figura
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Arte & Design
Brand italiani, una storia “da favola” al Fuorisalone
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TRATTO DA
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Un vecchio telefono Sip all’ingresso: basta comporre un numero e una voce risponde conducendo il visitatore dentro una storia: sono le “favole al telefono” ospitate per il Fuorisalone 2018 dal Design Hostel e pensate per raccontare alcuni storici marchi gastronomici italiani. Che cos’è il Design Hostel? A Bovisa, nel distretto industriale di Milano ora divenuto parte integrante della Milan Design Week, chiamato “distretto dell’innovazione”, si promuove un progetto inedito all’interno di una delle fabbriche storiche dell’area. All’ultimo piano di questa vecchia fabbrica verticale, si propone il format “A letto con il design: Design Hostel”, un ostello temporaneo di quindici camere, che porta gli ospiti a vivere in un contesto innovativo, immaginando una nuova ritualità nei giorni del Salone. Un luogo dove la vita si mischia all’esposizione, in uno spazio in cui quotidianamente le idee prendono forma.
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Anche quest’anno il Salone del Mobile ha radunato a Milano un vastissimo pubblico. Tra le tante iniziative della settimana, nell’ostello temporaneo che, nei giorni del Salone, porta gli ospiti a vivere in un contesto innovativo, il Design Hostel, ha preso vita un progetto inedito
L’esposizione di quest’anno, progettata da IDEAS Bit Factory, con design dello studio Ghigos, ha visto protagonisti brand con almeno ottant’anni di storia, come la senape Orco, il tonno Callipo, le pastiglie Leone, la caramella Rossana
e il riso Acquerello. Ispirata all’opera di Gianni Rodari del 1962, la mostra iniziava al telefono e proseguiva nelle stanze dell’hotel, dove si accendevano proiezioni che accompagnavano le favole tra documenti storici, paesaggi di regioni
lontane, storie di prodotti. Per assaggiare i prodotti, occorreva invece spostarsi in diversi punti della città, in una sorta di caccia al tesoro culinaria*. Le favole raccontate prendevano spunto dalle reali storie dei marchi, come quella della caramella Rossana, che nasce a Perugia nel 1926 e deve il suo nome alla bella dama seicentesca amata da Cyrano di Bergerac. Per la capacità evocativa* del nome o per il gusto del suo ripieno cremoso, non appena uscì sul mercato fu un grandissimo successo e in due mesi si vendette la produzione programmata per l’intera annata*. Nota anche come “signora in rosso”, ha mantenuto negli anni uno stile inimitabile che richiama gli stessi tratti grafici ideati dal primo grande pubblicitario italiano, Federico Seneca. […] Per restare sul “dolce”, le pastiglie Leone vengono ancora prodotte come nel 1857, con i tradizionali stampi in bronzo. Con le loro confezioni semplici e raffinate, sono riconosciute come delle icone del made in Italy: oggetti di design simbolo della “dolce vita”, in grado di evocare il ricordo
di atmosfere e sapori del passato. La delicatezza dei colori delle pastiglie, abilmente abbinati ai sapori di una volta, e il rumore che fanno dentro le inconfondibili lattine rappresentano un’esperienza che accomuna l’infanzia di
diverse generazioni. Ogni anno vengono confezionati circa tre milioni di scatolette di pastiglie, in quaranta diversi gusti. Tra i più venduti di sempre svettano* le pastiglie alla violetta, alla cannella e le intramontabili miste dissetanti. Composte per il 96% da puro zucchero, le pastiglie non hanno data di scadenza*. Le iconiche* tonalità pastello sono ottenute esclusivamente con colori naturali. Dopo il passaggio dell’impasto negli antichi stampi in bronzo, marchiati con la “L” di Leone, che creano la forma a cilindro, si passa alla fase di essiccazione, cruciale per il raggiungimento della fragranza*: trentasei ore in essiccatoi ad aria calda.
Una volta terminato il processo, vengono racchiuse, oggi come un tempo, nelle scatolette di carta gialla e oro con fregi sabaudi e poi avvolte, a seconda dei gusti, con incarti dai colori pastello e illustrazioni fiabesche, o custodite in caratteristiche lattine, veri e propri tesori da collezione.
Glossario annata: anno culinaria: relativa alla cucina data di scadenza: data fino alla quale è possibile mangiarle evocativa: capace di evocare, cioè richiamare nella mente fragranza: profumo iconiche: caratteristiche svettano: emergono
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Sport
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TRATTO DA
Di Mario Salvini
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Dovrebbe esser sufficiente dire che come lei non c’è mai stata nessuna nella storia del motociclismo. Un anno fa ha vinto il titolo mondiale numero 5, più di chiunque altra in qualsiasi specialità femminile. Tra qualche settimana scopriremo se conquisterà anche il sesto. Ma siccome ha 24 anni, bisogna aggiungere che ad arrivare a 5 ha fatto più in fretta anche di tutti gli uomini. Compresi i più grandi di sempre. Un mese più rapida di Marc Marquez, molto di più di tutti gli altri: Valentino Rossi (aveva 24 anni), Angel Nieto (25), Giacomo Agostini (27) e, restando nel suo sterrato*, di Tony Cairoli (26) e Stefan Everts (29). E questo è ancora poco rispetto a come Kiara
Kiara, il quinto titolo come una favola «Mi sono tolta un grande peso dopo la vittoria dello scorso anno, che mi ha permesso di vivere un intenso inverno di allenamento senza pressioni, divertendomi e svolgendo un ottimo lavoro con il team. Questo mi consente di avere come unico obiettivo la vittoria del sesto titolo mondiale!» spiega la pluricampionessa del motocross femminile
Fontanesi ha fatto a conquistarlo, il quinto titolo. Cioè, ha detto sua mamma Roberta, «In un modo che ti fa pensare ci sia qualcuno, lassù, che abbia proprio voluto muovere i fili giusti*». […] E quindi com’è andata? Chi ti ha detto che avevi vinto il Mondiale? «In gara non son riuscita a fare i calcoli, troppo difficile. E poi ero troppo impegnata a stare in equilibrio. Non avevo nemmeno ben capito in che posizione ero arrivata. Nell’intervista tv, in inglese, il giornalista mi ha fatto i complimenti. “Ho vinto la gara?”, gli ho chiesto. “No, hai vinto il Mondiale!” Ho buttato la moto. Ho cominciato a urlare. È arrivato Scott ad abbracciarmi. A dire la verità, non mi sembra ancora vero. Non ho del tutto realizzato». Da quarta a prima all’ultima gara: è un titolo meritato? «Il più meritato di tutti. Per come ho lavorato, per come sono stata costante e precisa per tutto lo scorso anno. Non avevo mai voluto così tanto un risultato. Dopo un 2016 difficilissimo mi ero detta che dovevo
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comportarmi come se il 2017 fosse il mio ultimo anno: tutto doveva andare alla perfezione. Sono persino andata in over training: la mia testa andava oltre il mio fisico, che a un certo punto, a inizio stagione, non ha più retto. Tra palestra, moto, crossfit, ho dovuto darmi una calmata».
È il titolo più bello? «Il più bello dopo il primo. Perché il primo non si dimentica mai. Questo è stato il titolo del ritorno. Ritorno dopo un anno difficilissimo, giocato fino all’ultimo giro dell’ultima manche. Ho dimostrato a tutti, e prima di tutto a me
stessa, che c’ero ancora. Però non sono contenta di come l’ho vinto. Per come ero preparata non dico che avrei dovuto vincere tutte le manche ma quasi. Ma ogni volta me ne capitava una, ho avuto problemi meccanici, di meteo e così sono arrivata quarta all’ultimo GP…» Dopo i primi quattro Mondiali vinti con la Yamaha, sei passata alla Honda, ma il feeling non è mai decollato… «Non mi trovavo per niente. Non mi sono mai divertita, sono riuscita veramente a fare quello che so fare sì e no tre volte». […] I complimenti più belli sono stati di… «Quelli di Valentino e di Marc Marquez».
Hai corso anche contro gli uomini, in MX2… «Mi è piaciuto molto. Era una cosa che volevo fare da sempre. Penso che avrebbe senso riprovarci, e che potrei anche far meglio» (sulla sabbia di Valkenswaard fu trentatreesima e trentesima). A 24 anni già 5 titoli: più di qualsiasi donna. Alla tua età solo Marquez ne ha già così tanti… «Mi fa effetto, ma quasi non mi rendo conto: faccio fatica a immaginare cosa significhi. È la cosa brutta di chi vive in
prima persona cose così belle: non sai dare la dimensione a un risultato simile». Di questo passo potresti arrivare dove non è arrivato nessuno. Cosa vuole, ancora, Kiara Fontanesi? «Intanto quest’anno sono ancora in pista, ero impaziente di ricominciare. Questo anche se ho sempre pensato che il quinto titolo sarebbe stato una chiusura. Che avrei potuto lasciare da campionessa per fare quello che, con questa vita tutta concentrata sulla moto, non riesco fare». Ovvero? «Il mio obiettivo è provare a fare snowboardcross. Il mio sogno è fare una gara di Coppa del Mondo». Ne saresti all’altezza? «Non lo so. So che, ovunque vada, dopo due giorni sono la più veloce di tutti. E sono convinta che dopo che hai guidato al massimo una moto da cross puoi fare qualsiasi cosa. Io guido moto da strada, mi lancio con il paracadute, ma il mio obiettivo è quello: la Coppa del Mondo si snowboadcross. Per ora l’ho solo accantonata*, ma prima o poi ci proverò».
Glossario accantonata: lasciata da parte muovere i fili giusti: far andare bene le cose sterrato: terreno
Gregorio Paltrinieri
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Letteratura
Giuseppe Catozzella: «Nel mio nuovo romanzo
la paura dello straniero»
Nell’estate in cui per Pietro giunge il momento di crescere, abbandonare una parte di sé e aprirsi alla scoperta del suo “personale splendore”, si intrecciano due avvenimenti importanti: la scomparsa della madre e il ritrovamento del nascondiglio di una famiglia di sette stranieri, tra cui un bambino come lui
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TRATTO DA
Di Pier Luigi Razzano
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È l’estate che cambia la vita per sempre, apre gli occhi, mostra ciò che non sarà più lo stesso. È il momento in cui si cresce e si abbandona una parte di sé. Giuseppe Catozzella nel suo ultimo romanzo, E tu splendi, coglie quell’istante nella vita di due ragazzi, Pietro e Nina, in vacanza nella casa dei nonni. Giocano, tentano di dimenticare
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un dolore profondo che li ha marchiati*; Pietro farà una scoperta sconvolgente, che gli farà capire la complessità e la durezza del mondo. In un’estate diventerà grande. Giuseppe Catozzella è stato finalista al Premio Strega 2014 con Non dirmi che hai paura, con cui ha vinto lo Strega Giovani e il premio Carlo Levi 2015.
Catozzella, cosa accade ad Arigliana, dove si svolge E tu splendi? «Il piccolo Pietro, spedito dal padre, con la sorella Nina, in questo paesino del meridione, dopo la morte della madre, scopre, mentre gioca con i suoi amici nella piccola piazza del paese, che all’interno dell’antica torre normanna si nasconde una famiglia di sette stranieri, tra cui un
confronti della propria terra. Poi ci sono quelli meno sospettosi, più aperti».
bambino come loro. Una scoperta che equivale* a una rivelazione e cambierà radicalmente la statica vita della comunità di duecento abitanti che per secoli è stata legata al dominio della terra, strutturata su antiche e rigide regole». Una scoperta che è anche un rito di passaggio, per Pietro. È l’estate che segna l’ingresso nella vita adulta. Quanto è doloroso, quanto è traumatico questo momento? «Cerco proprio di raccontare l’istante in cui abbandoniamo per sempre il momento dell’essere bambini, quando ci affidiamo completamente ad altri. Da un momento all’altro non ci sarà più nessuno a prendersi cura di noi. Saremo soli all’improvviso. Succede nella vita in un attimo. Avviene il momento della frattura, è doloroso, ma è un lutto fondamentale per scoprire il proprio “personale splendore”, come lo chiamo nel libro, ovvero la consapevolezza che nessuno ti può insegnare a essere chi sei. O ci arrivi da solo oppure mai». E Pietro lo scoprirà in quell’estate? «È stato mandato dal padre nella casa materna, dei nonni, e ha bisogno di cercare i segni della madre nella grande casa di pietra dove anche lei è stata
bambina ed è cresciuta. Pietro cerca una risposta, perché alla madre, la mattina in cui scompare – non torna perché muore –, ha fatto una domanda, e lei gli ha detto che avrebbe risposto al ritorno. Ma Pietro resta senza risposte. Lui e la sorella sono abituati a sentirsi disorientati. Sono stranieri nella periferia di Milano dove vivono, perché figli di meridionali, di “terroni”*. Sono abituati a essere stranieri e lo sono doppiamente. A Milano, perché “terroni”. Nella comunità di Arigliana, perché “polentoni nordici”* visti con sospetto». Così Pietro giocando scopre che nella torre normanna si nasconde una famiglia di stranieri, di rifugiati. Da dove arrivano? «Nel romanzo non lo specifico. E tu splendi è ambientato agli inizi degli anni Novanta, nella torre c’è una famiglia albanese arrivata con la prima grossa ondata di immigrazione. Sono stranieri e in tutto e per tutto simili, uguali a noi. Sono come noi. Per la presenza di questi stranieri la comunità si spacca in due. Ci sono quelli che mettono in atto tutti i meccanismi del rifiuto, anche per un sentimento di protezione e paura nei
La paura per lo straniero inteso come diverso, il barbaro pronto a distruggere e invaderci, a destabilizzare: ormai l’altro da noi è visto solo in questo modo. Secondo lei, accade ciò per paura, voglia di difendersi da chiunque, per ignoranza? «Ho riflettuto spesso su questo che è il tema di oggi: c’è anche di più. Noi italiani siamo un popolo che è sempre migrato. Non solo dal sud Italia, da ovunque. E verso ogni zona del mondo. Ora riceviamo ondate di migranti che, psicologicamente, ci ricordano che lo siamo stati anche noi. Ciò provoca fastidio, vergogna, qualcosa che vorremmo rimuovere. Non vorremmo ritrovarci più in quella situazione. Eppure siamo tornati a migrare. Nel 2017 i dati dicono che 180.000 italiani se ne sono andati, mentre 170.000 sono arrivati. Quindi, più partenze che arrivi. Lo sappiamo, la crisi provoca movimento, genera nuova spinta a cercare una soluzione, risposte alle proprie necessità. Quindi ci dà fastidio dover ammettere che alla fine l’essere migrante appartiene a tutti gli esseri umani e di sicuro agli italiani». Questo è il suo quinto romanzo, quanto si differenzia dagli altri? «Il tema dello straniero è cruciale* nei miei romanzi, perché io sono figlio dell’emigrazione. I miei genitori hanno lasciato il Sud con la grande ondata degli anni ʼ’60 e ’70, venendo a Milano. Mi sono sempre sentito straniero a casa mia. Da quando ero piccolo. I miei amici milanesi erano molto duri, direi razzisti. Facevano i cori contro i meridionali. Era la mia quotidianità. Ciò ha scavato dentro di me il sentimento di essere straniero a casa mia, e dovevo cercare di raccontare questo sentimento, capire cosa c’è nell’animo umano quando si trova di fronte l’altro, lo straniero. Scrivo per addomesticare* lo spaesamento*».
Glossario “polentoni nordici”: insulto nei confronti delle persone che vengono da Nord “terroni”: insulto nei confronti delle persone che vengono da Sud addomesticare: educare, tenere buono cruciale: decisivo equivale: è come… marchiati: segnati, fatti cambiare spaesamento: disorientamento, il sentirsi straniero
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Giochi e attività
Barbara Jatta: «Io, prima donna capo dei Musei Vaticani»
Rileggi l’articolo-intervista e scegli come completare le risposte della direttrice dei Musei.
Poi ho vissuto a Roma, sull’Appia Antica, che era una comune di
a.
artisti. Uno di loro mi portò a seguire una lezione di storia dell’arte
Stiamo preparando per ottobre una riunione con i grandi
b.
musei, Louvre, Hermitage, Metropolitan, Getty e Prado, per ragionare sulla manutenzione preventiva.
Con mio marito stiamo insieme da trentacinque anni e gli ho
c.
messo in casa tante opere d’arte. Lui fa ricerca in campo medico
Mi sveglio alle 6:40 e arrivo ai Musei per le 8, il tragitto lo
d.
sfrutto per telefonare. E voglio essere a casa per le 20:
Potevano scegliere altre persone invece hanno voluto me e
e.
questo mi onora. Anche come donna.
1. Un gesto significativo di cambiamento da parte di papa Francesco. 2. e capisce il tempo dedicato allo studio. 3. Un modo per confrontarci su problematiche comuni. 4. e capii che volevo fare quello. 5. ho ereditato una situazione felice e una squadra che funziona. 6. mi piace cenare con i miei, non sono una fan della cucina però mangio volentieri.
Mi considero una persona normale che ha umanizzato
f.
i Musei. E l’ho potuto fare perché
Brand italiani, una storia “da favola” al Fuorisalone
Rileggi l’articolo sulla mostra nel Design Hostel di quest’anno e correggi le frasi false. a. Il Design Hostel era un vecchio albergo che ormai è chiuso.
V
F
b. L’esposizione “favole al telefono” ha raccontato la storia di alcuni storici marchi gastronomici italiani. c. Per assaggiare i prodotti occorreva fare una telefonata. d. Le pastiglie Leone sono scadute al 96%.
Soluzioni Barbara Jatta: «Io, prima donna capo dei Musei Vaticani». a. 4; b. 3; c. 2; d. 6; e. 1; f. 5. Brand italiani, una storia “da favola” al Fuorisalone. a. F; b. V; c. F; d. F. Professione gondoliere. gondola – canzoni – trasporto – legno – turistico – matrimoni – veneziane – simboli – paesaggio.
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Professione gondoliere
[
TRATTO DA
www.carnevale di venezia.it
]
Di Cecilia Aicardi
Nell’incantevole città di Venezia, attraversando un ponte o costeggiando un rio, è possibile vedere dei singolari personaggi muniti di cappello, tipicamente di paglia con nastro rosso, maglia a righe e pantaloni neri: i gondolieri Nell’incantevole città di Venezia, attraversando un ponte o costeggiando un rio, è possibile vedere dei singolari personaggi muniti* di cappello, tipicamente di paglia con nastro rosso, maglia a righe e pantaloni neri: i gondolieri. Questi spingono con impressionante destrezza* le imbarcazioni caratteristiche della laguna negli stretti e affollati rii, tanto da essere appunto diventati una vera e propria icona. Se si è fortunati, si può persino assistere a una delle famose serenate in ..........................................., che consistono in cortei formati da una decina di imbarcazioni che, percorrendo i canali, trasportano un cantante che allieta* le rive
intonando ……………....................... tipiche in dialetto veneziano. Che cosa desiderare di più? Data la geografia del luogo, i canali sono stati sempre la via di comunicazione prediletta e, di conseguenza, le gondole hanno giocato un ruolo fondamentale
Il lavoro del gondoliere, nonostante oggi possa sembrare principalmente di carattere ……………......................., in realtà ha diverse funzioni, tra cui quella di traghettare durante cerimonie importanti come ……………....................... e funerali. In passato ha avuto anche l’arduo* compito
nella storia come mezzo di ........................................... di grande efficienza. La loro lunghezza varia tra i 10 e gli 11 metri e l’intera imbarcazione è fatta di ..........................................., o meglio, di diverse tipologie di legname. Le gondole hanno avuto diverse modifiche nel corso degli anni per raggiungere la forma che hanno adesso; persino il colore ha subìto dei mutamenti. […]
di condurre famose personalità politiche durante i cortei in Canal Grande. Il ruolo dei gondolieri era talmente importante che, in passato, il numero di colori che avevano il prestigio di chiamarsi tali era di 420 e potevano essere assunti nuovi membri solo in caso di dipartita*, mantenendo così invariato il numero. Oggi sono 433 i titolari attivi, ai quali è stata consegnata la licenza per avere il posto fisso come custode delle tradizioni ........................................... . Insomma, tra le sue mille attrazioni, Venezia possiede anche il fascino dei gondolieri che, con le loro imbarcazioni, sono diventati uno dei ........................................... della città. Passeggiare per la Serenissima non ha prezzo, ma concedersi un piccolo tragitto in gondola per assaporare il ........................................... e i canali da questa nuova prospettiva è qualcosa di unico che non può mancare durante un soggiorno nel capoluogo veneto. Venezia in gondola, guidata dalle doti esperte del suo gondoliere, sarà uno di quei ricordi che si custodiscono gelosamente nel cuore per tutta la vita.
Leggi bene l’articolo e completalo utilizzando le seguenti parole. ATTENZIONE: una di queste non ti servirà. canzoni • gondola • legno • matrimoni • paesaggio • pizza • simboli • trasporto • turistico • veneziane
Glossario allieta: rallegra arduo: difficile destrezza: abilità dipartita: morte muniti: forniti/dotati di…
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Energia per la tua classe Audio e Note per l’insegnante da scaricare gratuitamente sul sito: www.elimagazines.com
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