Racconti di paura

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Invito alla lettura

Una lettura intrigante, arricchita da un apparato di note e approfondimenti semplice, chiaro e rassicurante. Focus di appofondimento: • La psicologia • La psicanalisi e l’ipnosi • L’eredità di E.A. Poe Percorsi di lettura Espansioni online

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Racconti di paura

Racconti di paura

E. A. Poe

Allan Poe è stato un maestro nella creazione di universi fantastici. Le sue storie ci trascinano in situazioni senza tempo, giocano con le nostre paure più profonde. Ai ragazzi piacciono i racconti di paura perché la paura nei libri aiuta a non aver paura nella vita. Il sentimento di inquietudine che caratterizza i cinque racconti qui contenuti, il concetto di conscio e inconscio, i sogni, gli istinti, lo stato di coscienza e le sue alterazioni sono tutti temi affascinanti, con cui si comincia a fare i conti proprio nella prima adolescenza.

RACCONTI D’AUTORE RACCONTI D’AUTORE

LeggerMENTE è la nuova collana di narrativa per la scuola secondaria. Il suo obiettivo principale è offrire ai ragazzi libri classici o inediti, storie di attualità o di fantasia, per riscoprire pagina dopo pagina il piacere della lettura.

Edgar Allan Poe

Racconti di paura a cura di Massimiliano Sossella


Indice Nota introduttiva................................................................... 3 Capitolo 1 ................................................................................ 7 I La caduta della casa degli Usher .................................. 10 Capitolo 2 ................................................................................ 34 II La maschera della Morte Rossa.................................... 37 Capitolo 3 ................................................................................ 46 III La verità sul caso del signor Valdemar........................ 49 Capitolo 4 ................................................................................ 62 IV Il cuore rivelatore ........................................................... 64 Capitolo 5 ................................................................................ 72 V Ligeia.................................................................................. 75 Capitolo 6 ................................................................................ 95 Dossier Incontro immaginario con l’autore ............................ 97 Intervista all’illustratore ................................................ 101 Focus La psicologia .................................................................... 102 La psicanalisi e l’ipnosi ................................................... 104 L’eredità di E.A. Poe ........................................................ 106 Percorsi di lettura .................................................................. 112 6


Capitolo 1 Matteo aveva 12 anni e non sapeva giocare a calcio. Era un disastro anche in matematica ed era innamorato senza speranza di Noemi, quella al primo banco che non parlava mai con nessuno, tanto meno con lui. Era convinto di essere sfortunato. O almeno, pensava che tutti gli altri fossero più fortunati di lui. Avevano delle case più belle, giocavano meglio alla playstation, erano tra i primi ad essere scelti quando si facevano le squadre all’oratorio per giocare la partita. Venivano portati a fare viaggi bellissimi in posti lontani che lui poteva vedere solo sull’atlante geografico. E soprattutto, avevano dei genitori migliori. Belli, simpatici, guidavano dei macchinoni pazzeschi e sembravano quasi dei ragazzi ma solo un po’ più grandi. Come fossero degli amici, dei fratelli maggiori, ma non noiosi come i veri fratelli maggiori. Paghetta a go go e via. Matteo invece aveva dei genitori che sembravano proprio dei genitori, ma di quelli che non vanno più di moda. La mamma non aveva scarpe coi tacchi e nemmeno una macchina sua. Suo padre si metteva d’impegno per rendersi insopportabile. Non fare questo, fai quello, attento a questo, fai quell’altro. Adesso, per esempio, si era messo in testa che Matteo doveva fare sport. Così tre volte alla settimana gli toccava percorrere la strada per andare a judo, dove era proprio una schiappa, e l’istruttore sembrava farlo apposta a farglielo notare, così i compagni di corso ridevano e lui, vestito con quella specie di pigiama, si sentiva morire. Sono sfortunato. A questo pensava Matteo tornando da judo, la borsa da palestra in spalla, gli occhi a terra, il morale sotto terra. Quando, in quella viuzza laterale, sotto un albe7


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ro striminzito, vide qualcosa brillare. Incuriosito svoltò in quella stradina deserta, che non aveva mai percorso, e andò a guardare. Mezzo nascosto dall’erba secca e da una busta di patatine, c’era uno smartphone. Ora, Matteo era l’unico in tutta la sua classe a non possederne uno. Suo padre diceva che era troppo presto per la sua età, che costava troppo, che ai suoi tempi lui non aveva niente, eccetera eccetera. La solita solfa. I compagni di classe ne sfoggiavano di nuovissimi, coloratissimi, ci facevano un sacco di cose, foto, messaggi, giochi. E lui niente. Ma adesso eccolo lì, uno smartphone abbandonato. Sembrava in buone condizioni, anche se un po’ sporco di terra. Matteo si guardò intorno, alla ricerca di qualcuno che lo avesse perduto. La via era vuota, la sera stava scendendo. Di colpo si chinò e lo raccolse. Toccò lo schermo e una nuvola di colori balenò tra le sue mani. Non c’era codice di sicurezza, le icone delle app apparvero subito sotto i suoi occhi. Era il suo giorno fortunato. Finalmente! Ora era uno di loro, avrebbe potuto scambiare il numero di telefono con i compagni di classe, magari mandare dei messaggi a… be’, non era certo che avrebbe mai avuto il coraggio di chiederle il numero di telefono. Non aveva mai usato uno smartphone, ma sapeva benissimo come funzionava perché aveva visto innumerevoli volte i suoi compagni farlo. A una prima occhiata sembrava che non ci fosse nessuna app particolare se non quelle predefinite: posta, rubrica, messaggi, internet, eccetera. Tranne una. Era un’icona arcobaleno, con una faccina sorridente. Sotto c’era scritto: P.O.E. Matteo era così felice, così entusiasta dell’incredibile fortuna che all’improvviso l’aveva baciato, uno smartphone quasi nuovo tutto per lui! Non vedeva l’ora di farci qualcosa. La luce stava scomparendo, era il crepuscolo, quell’ora in cui il sole non c’è più ma puoi percepire come un’eco di luce, prima che le tenebre scen8


Capitolo 1

dano ad avvolgerti. Sfiorò l’icona e lo schermo cominciò ad animarsi, comparve la scritta “Play Or Exit”. Inglese: facile! “Gioca o lascia”. Toccò “Play” e subito apparve una spirale di mille colori, luminosissima perché tutto attorno a Matteo non c’era nessuna luce, niente vetrine, tapparelle chiuse, anche le lampade dell’illuminazione pubblica non funzionavano, ci doveva essere un guasto. Oh, era così suggestiva quella nuvola di colori, quella spirale lo faceva star bene, era come se qualcosa di bello e di buono volesse abbracciarlo, cullarlo, trasportarlo in un paradiso… Piano piano tutto quello che c’era intorno sparì, forse era calato il buio, Matteo si sentì strano, come senza corpo, come se non ci fosse separazione tra lui e lo schermo, come se lui ora fosse nello schermo e si stesse inoltrando in una strada di luce, lasciandosi tutto alle spalle… Poi i colori si affievolirono, diventarono pallidi, quasi lividi. Matteo avvertì sotto di sé qualcosa che oscillava lentamente, qualcosa di animale. Si sentì più alto, più vecchio e più spaventato…

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Era un giorno di dicembre, triste, cupo, il cielo era gonfio di nuvole basse e opprimenti. Sul mio cavallo avevo attraversato in solitudine una landa desolata e ora, mentre si faceva sera e le ombre cominciavano ad allungarsi, mi ritrovavo nelle vicinanze della malinconica casa degli Usher. Non so perché ma provai subito una sensazione di depressione quasi intollerabile. Non c’era niente di poetico o pittoresco in quello squallore: la casa, l’aspetto della tenuta, i muri anonimi, le finestre come occhiaie vuote, i pochi cespugli dall’odore sgradevole, alcuni tronchi d’albero bianchi ricoperti di muffa... Contemplavo ogni cosa con un senso di angoscia simile al risveglio dopo un sogno fantastico, il ritorno amaro alla vita quotidiana, il pauroso squarciarsi del velo delle allucinazioni. Mi sentivo abbattuto, avevo freddo, nausea e la mia mente era come paralizzata. Che cos’è, provavo a capire, che cos’è che mi immalinconiva tanto guardando la casa degli Usher? Mistero. E mentre meditavo, avevo come la sensazione che intanto mondi fantastici e inafferrabili mi stessero girando attorno. Alla fine dovetti ammettere: esistono combinazioni di oggetti naturali e semplicissimi che hanno il potere di influenzarci in questo modo. Ma capire perché succeda è qualcosa che va al di là delle nostre possibilità. Forse anche solo una piccola diversità nella disposizione dei particolari della scena sarebbe bastata a modificare, o forse anche ad annullare, la sua capacità di impressionarmi così penosamente. Portai il mio cavallo sull’orlo scosceso di un laghetto artificiale che distendeva il suo specchio lucido, livido e oscuro nelle vicinanze della casa, e lo osservai. Fu peggio: guardando da questa nuova angolazione le immagi10


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ni riflesse sulla superficie, i cespugli grigi, i tronchi d’albero spettrali, le finestre aperte come occhiaie vuote, mi scosse un brivido più intenso di prima. Eppure era proprio in questa casa così lugubre che avevo programmato di soggiornare per qualche settimana. Il suo proprietario, Roderick Usher, era stato uno dei miei compagni di infanzia più cari. Di recente una sua lettera mi aveva raggiunto in un luogo remoto del paese. Il suo tono era stato così angoscioso e pressante che, anche se non l’avevo mai più rivisto da allora, non potei far altro che correre qui di persona. Usher mi aveva scritto in un evidente stato di agitazione nervosa. Parlava di una malattia in fase acuta, di un disordine mentale che lo faceva star male e del desiderio impaziente di vedermi, perché io ero il suo migliore amico, il più intimo, l’unico in grado di rasserenarlo. Ma era stato soprattutto il modo in cui mi aveva raccontato tutto questo e altro ancora, era il cuore febbrile che accompagnava questa strana richiesta, che non mi avevano permesso di esitare. Per questo avevo obbedito senza incertezze a quella che consideravo ancora adesso un’ingiunzione un po’ inopportuna. Anche se da ragazzi eravamo stati, direi, persino intimi, in realtà io conoscevo molto poco del mio amico. Era sempre stato di una riservatezza quasi patologica. Però sapevo che la sua famiglia era di origine antichissima e nei secoli si era distinta per una particolare sensibilità nei confronti dell’arte e della musica. Varie generazioni di Usher avevano sostenuto in modo discreto ma concreto artisti che avevano tutti una caratteristica in comune: non creavano opere tradizionali e rasserenanti, quanto piuttosto visioni angosciose o esaltate e melodie complicate e febbrili. Un’altra caratteristica interessante era che la casata degli Usher, in tutti quei secoli, non aveva mai fatto germogliare uno o più rami se11


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condari. La discendenza dell’intera famiglia si era sempre tramandata in linea diretta, di padre in figlio. Ed era proprio la trasmissione diretta dell’intero patrimonio, col relativo nome, che aveva prodotto quell’identificazione tra il luogo e la famiglia, per cui i contadini parlavano della “casa degli Usher” senza che si capisse se intendevano la casata o il castello. E chi lo sa se la personalità cupa e deprimente di quel palazzo, dove tutte le diverse generazioni di Usher avevano vissuto, non avesse finito per influenzare il carattere dei discendenti di chi lo aveva abitato per secoli. Il mio esperimento puerile di guardare la casa riflessa nello stagno, per ribaltare le mie sensazioni negative, era stato un fallimento. E più sentivo crescere la mia inquietudine e più mi angosciavo, perché è questo il meccanismo che alimenta ogni sentimento basato sul terrore. E fu sicuramente per questa angoscia ormai delirante che quando tornai ad alzare gli occhi verso la casa, distogliendoli dalla sua immagine riflessa nello stagno, si insinuò nella mia mente un’impressione bizzarra, talmente bizzarra e paradossale che la riferisco unicamente per dimostrare quanto fosse intensa la forza delle sensazioni che mi attanagliavano. La mia fantasia era talmente esaltata che mi sembrò di percepire come una sorta di campo d’energia, invisibile ma reale, che si sprigionava dal castello e dalle immediate vicinanze e si amplificava attraverso gli alberi ammuffiti, i muri grigi, lo stagno silenzioso, come un vapore pestilenziale e sacro al tempo stesso, opaco, lento, soffuso di una sfumatura plumbea. Scuotendomi da quello che doveva essere stato un sogno, ripresi a osservare più da vicino l’aspetto reale dell’edificio. Più che altro sembrava essere terribilmente vecchio. Lo scolorimento del tempo era stato enorme. Tutta la facciata esterna era ricoperta di muschio che pendeva dalle grondaie come una ragnatela intricata e finissima. Non è che fos12


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se un decadimento vero e proprio: la muratura era rimasta intatta e sembrava esserci una strana incongruenza tra la struttura perfettamente solida dell’architettura e lo stato di rovina delle singole pietre. Mi ricordava l’aspetto di certe strutture in legno rimaste per anni a marcire in un sotterraneo abbandonato, senza essere in alcun modo intaccate dall’aria esterna. Ma all’infuori di questo indice di decadenza dell’insieme, la costruzione non rivelava gravi tracce di instabilità. Forse un osservatore attento avrebbe notato una fessura appena percettibile che, partendo dal tetto, sulla facciata dell’edificio, attraversava il muro in direzione obliqua fino a perdersi nelle acque imbronciate dello stagno. Dopo aver osservato tutte queste cose mi avviai verso la casa, lungo un breve viale lastricato. Un servitore mi prese il cavallo e io entrai sotto l’arcata gotica dell’ingresso. Un valletto dal passo felpato mi condusse da lì, silenziosamente, attraverso molti ambienti bui, labirintici, sino allo studio del suo padrone. Molto di quel che incontrai sul mio cammino contribuì, non so perché, ad aumentare quel senso di vaga paura di cui ho già detto. Le decorazioni del soffitto, le tappezzerie a tinte cupe delle pareti, il nero d’ebano dei pavimenti, i trofei stravaganti e le armature che al mio passaggio vibravano con un rumore metallico non erano di per sé degli oggetti sconosciuti. Erano cose che io ero stato abituato a vedere sin dall’infanzia, avevano un aspetto familiare. Però... in questo contesto evocavano in me fantasticherie che nulla avevano a che vedere con le mie esperienze passate. Su una delle scale d’accesso incontrai il medico di famiglia. Aveva una strana espressione, un misto di furbizia meschina e di perplessità. Mi passò accanto trepidante e si allontanò. Subito dopo il domestico spalancò una porta e m’introdusse alla presenza del suo padrone. 13


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Incontro immaginario con l’autore L’indirizzo dovrebbe essere questo, all’angolo tra Grand Concourse and Kingsbridge Road, al Bronx, New York. Una villetta scrostata, non certo un bel quartiere. Cani che abbaiano alla sera che scende, bambini che piangono, grida di uomini ubriachi. Mi vengono i brividi. Dalle finestre scure si vede il bagliore di una candela. Busso. Nessuno risponde. – Signor Poe! – chiamo. Dopo qualche secondo sento dei passi trascinati avvicinarsi alla porta. Mi apre un fantasma con i baffetti Edgar Allan Poe tristi, la fronte alta, i capelli scarmigliati e gli occhi febbricitanti. – Cosa vuole? Chi la manda? Ve l’ho già detto, non posso saldare. Ma… ma verso la fine del mese una rivista dovrebbe pagarmi un paio di racconti. Torni a fine mese! – Lei non mi deve pagare nulla! Sono solo venuto a conoscerla. Io ammiro i suoi racconti. Il fantasma mi guarda con stupore, i grandi occhi si addolciscono. – Davvero? – chiede come farebbe un bambino. Poi, con un sorriso esitante, aggiunge: – Ha per caso portato qualcosa da bere? – No. Mi dispiace, non ci ho pensato. Gli occhi vitrei si riempiono di delusione. Mi volta le spalle e ciabattando mi dice: – Chiuda la porta. C’è brutta gente in giro. La casa è avvolta dalla penombra, ma si intravedono pochi mobili sconquassati, tappeti consumati, sporco, disordine, abbandono. Seguo Poe in un salottino. L’unica luce proviene dalla stanza attigua, dove arde una candela. Si sente tossire, poi un lieve gemito femminile. Poe mi fa segno di sedermi su un divanetto. È scomodo, c’è una molla che mi punge. 97


La psicanalisi e l’ipnosi Il termine psicanalisi deriva da psiche, “anima” o “mente”, e analisi: analisi della mente. È una teoria elaborata da Sigmund Freud (1856-1939) che, oltre ad avere trasformato la psicologia e la medicina, ha influenzato anche la filosofia, le scienze sociali e l’arte, tanto da poter rappresentare una vera e propria rivoluzione culturale. È basata sulla teoria dell’inconscio. Il termine inconscio indica tutte le attività Sigmund Freud mentali che non sono presenti alla coscienza di un individuo. È una zona della psiche che contiene pensieri, emozioni, istinti, immagini e modelli di comportamento che spesso influenzano il nostro agire ma di cui non siamo consapevoli. È un concetto che in filosofia era già stato introdotto da pensatori come Cartesio, Locke e Leibniz, ma che Freud rielaborò sulla base delle sue esperienze. A partire dalle sue teorie, Freud inventò una terapia per la cura dei disturbi mentali. Fino alla fine dell’Ottocento, questi disturbi venivano trattati da psichiatri e neurologi negli ospedali con farmaci e pratiche a volte crudeli. Freud ipotizzò che alla base dei disturbi mentali ci fosse un conflitto tra richieste psichiche contrarie. La psicoanalisi cerca di risolvere questo conflitto attraverso l’indagine dell’inconscio del paziente, utilizzando una serie di tecniche tra cui l’interpretazione dei sogni e l’ipnosi. Attraverso queste tecniche è possibile accedere ai “contenuti rimossi dalla coscienza” che si suppone generino il conflitto. L’ipnosi è una particolare condizione di sonno apparente (o “trance”), che può essere indotto da un operatore, in cui però il soggetto dormiente continua a interagire con l’operatore stesso. Fino alla metà del Settecento tutti i fenomeni che oggi chiamiamo ipnosi erano spiegati come manifestazioni divine o diaboliche, oppure come risultato di pratiche magiche. Franz Anton Mesmer (1734-1815), sulla base di alcuni Franz Anton Mesmer 104


esperimenti di tipo ipnotico, formulò nel 1779 la teoria del magnetismo animale. Questa teoria fu condannata dall’Accademia delle Scienze e dalla Facoltà di Medicina di Parigi nel 1784. Nella seconda metà dell’Ottocento un nuovo interesse si sviluppò attorno all’ipnosi. A Parigi il professor Jean-Martin Charcot (presso cui Freud compì un tirocinio di alcuni mesi nel 1885), fondò la Scuola di neuropsichiatria della Salpétriere e si dedicò allo studio delle pratiche ipnotiche, che utilizzò soprattutto per Jean-Martin Charcot curare casi di isteria. Queste ricerche furono fondamentali per la psicoanalisi, perché rivelarono che certe lesioni fisiche come paralisi, insensibilità e contratture, erano causate da fenomeni dell’inconscio che l’ipnosi era riuscita a rivelare. Sono diverse le potenzialità dell’ipnosi documentate scientificamente. Il soggetto in ipnosi può modificare la percezione del mondo esterno, alterare la propria sensibilità, controllare il dolore, ampliare o ridurre le sensazioni che provengono dall’interno del corpo, influenzare il battito cardiaco, il ritmo respiratorio, la temperatura corporea. Con l’ipnosi è possibile entrare nella propria storia e modificare i significati che abbiamo dato in passato alle nostre esperienze. Si possono inoltre ottenere dei cambiamenti nella memoria, provocando amnesie parziali o totali, come è anche possibile riuscire a ricordare avvenimenti anche molto remoti. Mentre nello stato di veglia il controllo delle emozioni può essere difficile, in ipnosi queste possono essere amplificate o ridimensionate. C’è inoltre la possibilità di passare istantaneamente da un’emozione all’altra sulla base dei suggerimenti che vengono impartiti dall’ipnotizzatore. Ma, contrariamente a quanto si crede, la persona sotto ipnosi non solo mantiene la capacità di usare la volontà o la ragione, ma dimostra anche di essere meno manipolabile, al punto che non è in alcun modo possibile costringerla ad agire contro il suo volere. 105


Percorsi di lettura I LA CADUTA DELLA CASA DEGLI USHER 1 Il racconto è scritto in prima persona o in terza persona? .......................................................................................................................... 2 Come descriveresti la casa Usher vista dall’esterno? .......................................................................................................................... .......................................................................................................................... 3 Come descriveresti la personalità di Roderick Usher? .......................................................................................................................... .......................................................................................................................... 4 Chi è Lady Madeline? Che cosa le accade? .......................................................................................................................... .......................................................................................................................... 5 Che cosa succede la sera tra il settimo e l’ottavo giorno dopo la tumulazione di Lady Madeline? .......................................................................................................................... .......................................................................................................................... 6 Come descriveresti le diverse sensazioni provate dal narratore nel corso del racconto? .......................................................................................................................... ..........................................................................................................................

PAROLE SOTTO LA LENTE 1 Descrivendo un vapore che si solleva dallo stagno antistante la casa degli Usher, il narratore parla di un sapore soffuso di una sfumatura plumbea. Che cosa significa soffuso? Ventoso Confuso Soffiato Colorato

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Percorsi di lettura

Che cosa significa plumbea? Subacquea Triste Pesante Metallica

2 Trova un sinonimo per ciascuna delle seguenti parole presenti nel racconto: esangue: ....................................................................................................... scarno: .......................................................................................................... fetido: ............................................................................................................ tetro: .............................................................................................................. ossessivo: ..................................................................................................... 3 Qual è il significato della parola inumazione? Cremazione del cadavere Seppellimento del cadavere Vestizione del cadavere Riesumazione del cadavere 4 Trova quanti più sostantivi possibili appartenenti al campo semantico della paura. L’esercizio è avviato. terrore, angoscia, spavento, .................................................................. ......................................................................................................................... 5 Nelle seguenti frasi, sottolinea con colori diversi i sostantivi e gli aggettivi. - L’uragano infuriava ancora in tutta la sua collera mentre attraversavo l’antico sentiero lastricato. - La mia mente vacillò quando i miei occhi videro le mura possenti spalancarsi. - Si udì un lungo urlante rumore simile al frastuono acqueo di mille cascate. - Il profondo stagno ai miei piedi si chiuse cupo e silenzioso.

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