Moreno Giannattasio
Gli Acrobati del futuro
CLIMA e AMBIENTE
Moreno Giannattasio
Gli Acrobati del futuro
EquiLibri è un percorso intrapreso dal Gruppo Eli, in collaborazione con l’università di Macerata, per promuovere una cultura delle pari opportunità rispettosa delle differenze di genere, della multiculturalità e dell’inclusione.
Si tratta di un progetto complesso e in continuo divenire, per questo ringraziamo anticipatamente il corpo docente e coloro che vorranno contribuire con i loro suggerimenti al fine di rendere i nostri testi liberi da pregiudizi e sempre più adeguati alla realtà.
Moreno Giannattasio
Gli Acrobati del futuro
Responsabile editoriale: Beatrice Loreti
Art director: Marco Mercatali
Responsabile di produzione: Francesco Capitano
Impaginazione: Curvilinee
Illustrazioni: Arianna Operamolla
© 2024 La Spiga Edizioni
Via Brecce, 100 – Loreto tel. 071 750 701
info@elilaspigaedizioni.it www.gruppoeli.it
Stampato in Italia presso
Tecnostampa - Pigini Group Printing Division - Loreto - Trevi 24.83.269.0
ISBN 978-88-468-4490-3
Le fotocopie non autorizzate sono illegali. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione totale o parziale così come la sua trasmissione sotto qualsiasi forma o con qualunque mezzo senza previa autorizzazione scritta da parte dell’editore.
INVITO ALLA LETTURA
Comunque la si pensi, il cambiamento climatico è in azione sul nostro piccolo pianeta. Il dibattito si è acceso per capire se il genere umano sia responsabile, oppure se ciò che sta avvenendo sia frutto della normale azione della Natura. Ciò che rimane sotto gli occhi di tutti è che numerosi eventi climatici estremi stanno mettendo a dura prova le nostre città e il nostro modo di vivere e di relazionarci con l’ecosistema che ancora ci ospita. Qualcuno dice che l’umanità rischia di scomparire. E allora che si può fare? Anche se fosse vero che inquinamento e cementificazione non sono direttamente responsabili, in qualche modo tocca a noi trovare una soluzione. La prima cosa è conoscere, avere consapevolezza, per cambiare i modi di pensare che hanno contribuito al danno. Per stimolare questa evoluzione, ognuno di noi deve mettersi nei panni di chi vivrà nel futuro, volendogli bene e augurandogli di sopravvivere. Ecco come possiamo diventare “acrobati del futuro” ed essere noi stessi il cambiamento. La letteratura ci fa conoscere lo spirito di chi è vissuto prima di noi, per portarci a comprendere ciò che verrà; l’amicizia sarà la benzina per alimentare il motore del miglioramento del mondo. E allora andiamo a scoprire come un gruppetto di nuovi amici da ogni parte del mondo può trasformare il nostro modo di vedere il cosiddetto climate change.
L’Autore
Prologo
Cosa ci fanno tre ragazzini delle medie seduti in uno studio televisivo di un canale nazionale e in prima serata? Perché con loro c’è uno scienziato, che era stato dato per scomparso? Come mai i tre ragazzini appartengono a tre zone diverse del mondo, così lontane ma con lo stesso problema di sopravvivenza?
Questo è il succo delle domande, che appaiono in sovrimpressione alle immagini dello studio della più nota trasmissione televisiva del momento, quella con gli ascolti maggiori di tutti.
La presentatrice annuncia il tema della serata, elencando gli ospiti famosi che interverranno. Si parlerà di cambiamento climatico.
Ma prima un blocco pubblicitario di qualche minuto.
Poi i riflettori si accendono e gli schermi nei salotti delle case, quelli in streaming su computer, tablet e cellulari vari, mostrano in diretta una ragazzina, chiaramente di origini africane, un piccoletto di qualche posto del sud dell’Asia e una biondina, tutti e tre affogati nel divano che solitamente accoglie adulti. Accanto a loro un tipo più grande con la barba rossiccia tagliata a pizzetto intorno alla bocca che tamburella nervosamente le dita sul bordo in pelle rosso scuro della sua seduta.
La conduttrice è raggiante, felice di avere per le mani un vero scoop1. Mostra la sua irrinunciabile cartellina con il logo della trasmissione in bella vista. Sorride a mille denti, cordiale come deve esserlo una perfetta padrona di casa, ma allo stesso tempo rapace come un agente segreto durante un interrogatorio.
Ma come siamo arrivati a questo punto?
1 Pubblicazione in esclusiva di una notizia; colpo giornalistico.
Capitolo 1
Sela: lontano nel mondo
L’alba accende la luce sul cammino di Sela, undici anni da compiere fra qualche giorno. La ragazzina procede lentamente, attenta a non infilare un piede nelle spaccature del terreno, così arso dalla sete.
La siccità ha fatto ritirare la terra, rattrappita come una granita rimasta in fondo al bicchiere, quando si è aspirato tutto il succo con una cannuccia. Durante le ore di buio qualcuno si è preso una storta ed è rimasto indietro, forse troppo. Sela ha sentito i lamenti e le imprecazioni; così ha deciso di rimanere ancora più concentrata sui suoi passi, attenta a dove appoggiare le scarpe.
Ora si ferma, si volta e guarda dietro di sé. Sua madre e i tre fratellini ci sono ancora; Sela riesce a riconoscerli dalle t-shirt coi colori delle squadre di calcio italiano preferite.
– Ehi, mami, tutto ok? – grida, sollevando il braccio in alto, per farsi riconoscere tra le ombre del gregge umano che tutti insieme dipingono sul sentiero.
Sono in marcia da quattro o cinque ore, insieme alle altre circa trecento persone, disposte in un lungo serpente, che si srotola su ciò che rimane della savana, un tempo così rigogliosa. In silenzio hanno camminato tutta la notte, con pochi bagagli sulle spalle e bottiglie d’acqua appena sufficienti ad arrivare in città.
– Sì, piccola. Attenta a dove metti i piedi – le grida la donna, con gli occhi a cercare sullo schermo del suo smartphone le tacche del campo, che ancora non vogliono comparire.
– Quanto manca? – chiede Sela a un’anziana del suo villaggio, in marcia proprio lì accanto.
– Dovremo sostare tra un paio d’ore, quando il sole sarà troppo caldo per poter proseguire, – spiega quella, spingendo lo sguardo avanti, oltre il corteo umano, come se da lì potesse vedere la periferia della capitale.
Sela non è mai stata ad Harare2, la loro meta, il punto di partenza per un viaggio ancora infinito. Questo va pensando, solo per riuscire a intuire il desiderio di traguardo nella traiettoria visiva della donna. Sa bene che mancano ancora un po’ di giorni di duri chilometri; abbassa lo sguardo sulle sue sneakers: cominciano a perdere pezzettini di suola.
– Sarà dura – mormora tra sé – molto dura.
Hanno tagliato per la riserva naturale. Fra poco, quando la temperatura sfiorerà i 50°, dovranno per forza fermarsi e ripararsi all’ombra. Altrimenti moriranno o qualcosa del genere.
La luce finalmente inonda l’altopiano che stanno attraversando. Poi ci sarà il fiume e il riparo sotto le fronde di qualche mopane3.
– Ancora un’ora sulla pelle secca e vecchia di questa pianura e ci siamo – commenta la donna accanto a Sela.
– La pelle vecchia? – domanda la ragazzina.
2 Capitale dello Zimbabwe, stato dell’Africa centrale.
3 Albero perenne della famiglia delle leguminose, noto anche come albero farfalla.
– Certo, non vedi che sembra di camminare sulla mia pancia, quella tipica dell’anziana del villaggio, tutta consumata e piena di rughe e crepe?
– A me sembra di più quella di un elefante – commenta Sela, coprendosi la fronte con una mano per osservare meglio la distesa senza fine, tutta intorno a loro.
– Bah! Contenta tu – dice la donna, intenta a riportare la concentrazione sul ritmo dei suoi passi, accorciati dall’impedimento del lungo abito tradizionale.
Lo scambio di battute finisce lì, bisogna risparmiare fiato.
Sela si prende un sorso dalla sua ultima bottiglia. Non c’è rimasto un granché, meno della metà. Ma una volta al fiume, potrà riempire di nuovo le sue bottiglie di plastica, riposte al sicuro nello zaino. Prova a respirare profondamente, annusando l’aria; vuole riempirsi col fresco del fiume, ma le arriva solo l’odore della polvere della terra, che la fa quasi tossire.
Allora accelera il passo; vuole essere tra i primi a scorgere l’acqua.
– Sela, attenta... non correre – le grida sua madre, non appena vede la figlia che accenna una corsetta.
La ragazzina respinge con un gesto l’inutile raccomandazione. Lei sa come si deve camminare. È leggera come la piuma di un falco giocoliere, il simbolo della sua terra. Quando corre le pare di volare e sembra davvero così per chi si ferma a osservarla.
Per non confondere la vista, si è infilata sulla testa, a contenere i capelli lunghi e neri, un berretto di McDonald’s, anche se in verità non ha mai messo piede dentro uno degli shop della famosa catena di rivendita di panini. Nel suo villaggio c’è solo un bazar con un po’ di questo e di quello, gestito da un vecchio con l’aiuto dell’UNHCR4.
4 Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati; agenzia specializzata nel portare protezione e aiuti umanitari a chi vive una lunga e drammatica condizione di povertà e persecuzione.
Ha finalmente raggiunto la testa della fila, proprio quando manca poco meno di un chilometro al pendio che scivola fino al fiume. Il sole troneggia alla sua sinistra. – Sarà davvero un bello spettacolo – pensa Sela. – Poter scorgere i pachidermi che si abbeverano, insieme a zebre e bufali. Cose che... solo in televisione –riflette ora, dando ancora più forza alla sua corsa, diretta all’inizio della discesa verso l’acqua. Immagina già la frescura dell’acqua corrente, il venticello che smuove le foglie e i barriti felici degli elefanti, intenti a spruzzarsi con le loro lunghe proboscidi.
Sela non ha mai acceso il telefono finora, ha voluto risparmiare la batteria per poi fare un sacco di foto ai pachidermi. Le farà vedere a suo padre, quando finalmente riusciranno a raggiungerlo in Europa, nell’altro mondo.
Supera con un balzo il ciglio del sentiero, prima di tutti, pronta a riempirsi occhi e anima con la bellezza della sua Africa. Invece si blocca, esterrefatta5. Laggiù, più avanti, c’è solo il deserto e la morte.
Nella valle di sotto il fiume è scomparso, lasciando spazio solo a qualche pozza di acqua stagnante. E intorno solo i corpi di almeno venti elefanti, che non ce l’hanno fatta a sopportare la fame e gli stenti. Gli alberi sono secchi, grovigli di rami spettrali si spingono in alto per trovare l’acqua che non trovano sottoterra. Il vento caldo solleva la terra ridotta in cenere contro lo sguardo abbattuto di Sela, che si ripara gli occhi col braccio. Poi crolla seduta a terra sul pendio. Abbraccia le sue lunghe gambe magre e nemmeno si accorge delle lacrime che le solcano il viso, scavando dei piccoli torrenti nella sabbia grigia che l’ha ricoperto. Sela si asciuga con la mano, pulisce il volto e riporta alla luce la sua pelle scura, nera come il colore del suo umore, adesso.
Il silenzio di lutto della valle smorza il chiacchiericcio della sfilata di migranti, muto di fronte allo scempio che sconvolge uno degli angoli più belli dello Zimbabwe e di tutta l’Africa centrale.
5 Stupita, in preda al terrore.
– Forza! Un po’ d’acqua per noi c’è ancora – mormora la madre, con quell’ottimismo dettato dalla disperazione; poi tocca con una carezza le spalle curve di Sela. Le madri sanno sempre trovare un briciolo di luce anche nella cecità, se si tratta di incoraggiare i figli.
– Mamma, perché accade tutto questo? – chiede la giovane, spalancando con un gesto ampio il triste spettacolo di fronte a loro.
– Il mondo sta cambiando; forse si è stancato del lavoro degli uomini. La natura cerca il suo equilibrio e sono le creature di Dio a farne le spese – dice la donna, sedendosi accanto a Sela. I tre fratellini sono già giù, a osservare da vicino la carcassa del primo elefante.
Rimangono lì accovacciate, lasciando scivolare la gente, che in silenzio sciama verso il fondovalle, a recuperare un po’ d’acqua per proseguire il viaggio.
– Diamoci da fare anche noi – dice la mamma – riempiamo le bottiglie, prima che finisca anche la poca acqua rimasta.
– Va bene, mami.
Sela sa che il resto del viaggio sarà cupo e silenzioso. Nessuno avrà voglia di chiacchierare o cantare. Ma bisogna proseguire con coraggio; l’Italia, dove suo padre li aspetta, la terra delle squadre di calcio preferite dai suoi fratellini, è ancora molto lontana.
Capitolo 2
Amal: dall’altra parte del mondo
Un’altra mattina a vagare per i campi deserti dello Sri Lanka, privi dei frutti della terra. Amal corre sui sentieri rialzati tra quelle che, fino a poco tempo prima, erano le floride coltivazioni della sua famiglia: riso e cannella. Rimbalza sulle sue gambe agili da undicenne, pieno di voglia di spiccare il volo. Un ciuffo ribelle dei suoi capelli castani ondeggia fino a impedirgli di vedere bene. Con una mano continua a spostarlo, un tormento che gli serve per scaricare la tensione.
Poco più avanti incrocia sua nonna, piegata con le gambe nell’acqua fino a sopra le ginocchia. È intenta ad accarezzare con delicatezza le poche piante di riso, quelle che sono riuscite a salvarsi dall’onda lenta di acqua salata che è giunta fino a lì.
Sì, perché nella notte il mare è arrivato sulla soglia della loro casa, bruciando la vegetazione per chilometri.
– Allah ci manda la sua maledizione – mormora la vecchia signora, raddrizzandosi con le mani sui fianchi per aiutarsi a trovare di nuovo la posizione eretta.
– Ma quale Allah! – grida Amal, ancora sul terrapieno in alto – A scuola ci hanno detto che il mare si è alzato perché si sono sciolti i ghiacci.
– Ragazzaccio impertinente! – esclama la nonna, schizzando un po’ d’acqua in direzione del nipote, che la evita con un balzo – Che cosa vuoi saperne tu, mocciosetto, di acqua e ghiaccio. Ti dico che siamo maledetti.
Amal allora solleva le spalle, per scrollarsi di dosso quei discorsi superstiziosi6 e riprende il suo percorso esplorativo. Vuole
6 Chi crede che il soprannaturale e il magico influenzino la vita reale.
Gli Acrobati
spingersi all’interno, per scoprire fin dove l’acqua salata è arrivata. Non gli interessano le maledizioni della nonna – Roba da vecchi bacucchi! – mormora senza farsi sentire, chiudendo definitivamente la discussione.
Dopo almeno venti minuti di cammino i suoi passi lo conducono ai bordi della foresta. Il mare bagna anche le radici dei cinnamomo7. Quest’anno rischia di andare in malora anche la preziosa cannella, la fonte più ricca per il sostentamento della sua famiglia. Perché in campagna puoi produrre ciò che ti serve per vivere, a patto che il terreno sia fertile, annaffiato e coltivato bene.
Amal capisce già che sarà un bel problema. Allora si arrampica agilmente sul primo fico che trova; vuole almeno vedere se le scimmie hanno risparmiato qualche frutto succoso, tanto per fare merenda. Salta da un ramo all’altro, da un albero all’altro, grazie alla sua muscolatura nervosa che affiora dalla pelle delle sue braccia, già robuste per uno della sua età.
– Nemmeno un fico! – grida, risentito dall’ingordigia di quelle bestiacce.
Il suo compito allora sarà quello di andare a caccia di quelle ladre, che si pappano ciò che di commestibile rimane nei campi. Torna a terra e si riempie le tasche di pietre. Qualche sassata ben assestata per mostrare alle povere bestie chi comanda.
Trascorre così il suo intero giorno festivo, fino a quando il sole gli dice che è ora di tornare a casa per il pasto in famiglia.
– Sei sempre l’ultimo – dice suo padre, seduto a capotavola come un sovrano davanti alla sua corte.
7 Albero sempreverde dal quale si ricava la cannella.
– Scacciavo le scimmie dentro la foresta.
– Dai, siediti e mangiamo. Lascia che quelle bestie trovino ciò di cui sfamarsi, almeno loro.
Amal, la nonna, la madre, la zia, cioè sorella della mamma e ancora nubile, lo zio paterno con moglie e tre figli; tutti iniziano a consumare il riso con i germogli che riempie i loro piatti di coccio scuro.
– Ma non è buono per niente! – esclama Amal con una smorfia di disgusto dipinta sul volto.
– Mangia, che c’è solo questo! – ordina sua nonna, mentre la mamma gli tocca il piede sotto il tavolo.
– Meglio lasciar perdere, davvero – sembra dire in silenzio.
Amal si ficca un altro boccone in gola, senza protestare. Sente il sapore amaro della sconfitta – Certo che l’acqua salata non fa bene al riso, proprio per niente – pensa, masticando lentamente per non dover sputare tutto nel piatto. Si aiuta con un bel bicchierone di tè freddo e riesce finalmente a mandare giù il suo misero pasto.
Il padre si schiarisce la voce con un colpetto di tosse, il suo modo tipico di richiamare l’attenzione. Ora tutti lo osservano, sanno già che dirà qualcosa di grave.
– Qui ci scappa un discorso serio – pensa subito Amal.
– Vi devo parlare – dice il capofamiglia con le mani chiuse sul bordo del tavolo, come se gli servisse un punto d’appoggio per trovare la spinta giusta a dare forza alle sue parole.
I cucchiai appoggiati sul ciglio dei piatti, le mani ferme e gli avambracci contro il tavolo, tutti fissano l’uomo. Già sanno cosa dirà; è da giorni che la faccenda gira nell’aria.