Tecniche avanzate per sala e vendita bar e sommellerie - Settore Sala e Bar - Volume unico 3-4-5

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Luigi Manzo

TECNICHE AVANZATE settore sala e bar volume unico iii iv v anno

libro misto con approfondimenti sul web


©2019 EBF – Edizioni Bulgarini Firenze www.bulgarini.it info@bulgarini.it

Realizzazione a cura di GP&C Srl - Milano

Distribuzione esclusiva: Eli - Loreto (AN) www.elionline.com

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi.

Prima edizione: febbraio 2019 Ristampa: 5 4 3 2 1 2019 2020 2021 2022 2023

Nell'eventualità che illustrazioni di competenza altrui siano riprodotte in questo volume, l'editore è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire. L'editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segnalazione, a eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi. Nel rispetto della normativa vigente sulla trasparenza nella pubblicità, le immagini escludono ogni e qualsiasi possibile intenzione o effetto promozionale verso i lettori. Tecnostampa - Pigini Group Printing Division Loreto - Trevi - Febbraio 2018 - 19.83.302.0


Prefazione Luigi Manzo conclude la sua ampia trattazione dedicata agli allievi dei nuovi Istituti Alberghieri con la pubblicazione del “Manuale di Sala e Vendita” per il triennio. Con lo stile semplice e scorrevole che contraddistingue ogni sua opera, l’autore sviluppa gli argomenti del biennio precedente, ampliando le tematiche dedicate alla professione del Barman: dalle origini del lavoro, fino alle nuove tendenze. Vengono approfonditi i distillati, liquori e tutto ciò che riguarda il mondo del bar. Per quanto riguarda l’insegnamento di Sala e Vendita, sono presenti i principi di alimentazione, accostamenti enogastronomici, la professione del Sommelier, passando per le tecniche di Banqueting e Catering, sino all’uso dei software per la ristorazione. Il tutto è sempre corredato da numerose fotografie, che riportano subito l’allievo alla dimensione pratica della disciplina, senza rinunciare comunque a descrizioni complete e minuziose che permettono all’operatore del settore di diventare un professionista. La novità di questo testo è l’integrazione con il web: molti ebook di approfondimento sono disponibili scaricabili con un semplice clic, il che amplia notevolmente le conoscenze accessibili. Luigi Manzo è un Maestro nella scelta dei particolari, nella cura della tavola e del servizio, uniti a una eccellente cultura enogastronomica, che ne fa un professionista completo. Aggiungendo questa trattazione alle altre precedenti, ha ulteriormente contribuito alla formazione dei giovani che vogliono essere determinanti per il successo dell’azienda ristorativa in cui andranno ad operare. Il volume è supportato da materiale multimediale pubblicato sia su www.ristorazionebar.it, sia su Facebook, per una fruizione immediata ed in linea con i canali di comunicazione preferiti dagli alunni.

Antonio D’Ascoli


SEZIONE 1 •ADDETTO DI SALA E VENDITA MODULO 1 • CLASSIFICAZIONE DEI RICONOSCIMENTI DI QUALITÀ DEGLI ALIMENTI E DELLE BEVANDE dop: denominazione di origine protetta igp: indicazione geografica protetta stg: specialità tradizionale garantita crucipuzzle MODULO 2 • IL SOMMELIER, LA DEGUSTAZIONE E LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO il sommelier gli strumenti di lavoro il servizio del vino le caratteristiche organolettiche del vino e l’analisi esaminiamo un vino tipico regionale le degustazioni di classe proviamo a degustare... la birra proposta abbinamenti crucipuzzle

16 17 19 20 23 24 25 26 27 28 30 32 33 35

MODULO 3 • LA CUCINA REGIONALE valle d’aosta piemonte lombardia trentino alto adige veneto friuli venezia giulia liguria toscana emilia romagna marche umbria lazio abruzzo molise campania puglia basilicata calabria sicilia sardegna

36

MODULO 4 • BANQUETING E CATERING le nuove forme di ristorazione: il catering e il banqueting l’organizzazione del catering organizziamo un servizio catering come cena evento crucipuzzle

38 39 39 42 44


SEZIONE 2 • TECNICHE DI MISCELAZIONE E PREPARAZIONE DEI COCKTAIL MODULO 1 • LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE BAR il comportamento dietro al bar la figura del barman/bartender come fidelizzare il cliente i vari tipi di bar le categorie l’educazione al consumo dell’alcol calcolate il contenuto alcolico di un cocktail quiz... quanto ne sai ? crucibarman

48 50 51 52 53 53 55 58 61 62

MODULO 2 • FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA & GIN i vari tipi di distillati il servizio dei distillati la vodka il gin il tequila e mezcal quiz... quanto ne sai? crucibarman

64 67 70 71 73 75 77 78

MODULO 3 • GLI ALTRI SPIRITI: RUM, CACHAÇA, WHISKY & WHISKEY il rum la cachaÇa il whisky e il whiskey quiz... quanto ne sai? crucibarman

80

MODULO 4 • DISTILLATI DI VINO E VINACCIA: GRAPPA,BRANDY, COGNAC, ARMAGNAC & CALVADOS la grappa il brandy il cognac l’armagnac il calvados quiz... quanto ne sai? crucibarman

82

MODULO 5 • I LIQUORI COINTREAU, GRAND MARNIER, CURAÇAO & AURUM il cointreau il grand marnier il curaÇao l’aurum

85


le creme i liquori principali

quiz... quanto ne sai? crucibarman

MODULO 6 • L’APERITIVO, I VERMOUTH & GLI APERITIVI I BOTTIGLIA i vermouth gli aperitivi in bottiglia gli aperitivi analcolici quiz... quanto ne sai? crucibarman

86

MODULO 7 • BIRRA, SPUMANTI & CHAMPAGNE la birra gli spumanti lo champagne quiz... quanto ne sai? crucibarman

88 89 91 92 95 96

MODULO 8 • VINI LIQUOROSI il porto il marsala lo sherry il madeira quiz... quanto ne sai? crucibarman

98

MODULO 9 • L’ACQUA la classificazione lettura dell’etichetta MODULO 10 • CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ il caffè espresso e la regola delle 4m

come preparare un buon espresso espresso: difetti

& soluzioni

il cappuccino e altri caffè i derivati dell’espresso latte art i vari tipi di latte il tè e gli infusi la cioccolata lo zucchero e il suo uso quiz... quanto ne sai? crucibarman

MODULO 11 • IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI cos’è un cocktail la suddivisione dei cocktail iba quali strumenti si usano i dosaggi le tecniche di preparazione dei cocktail

100 100 103 106 109 110 111 115 115 116 118 120 122 123 127 128 130 131 131 132 136 137


preparazione di un cocktail con lo shaker preparazione di un cocktail con il mixing glass preparazione di un cocktail pestato la costruzione di un cocktail costruiamo un cocktail aperitivo o before dinner costruiamo un cocktail dolce o after dinner costruiamo un cocktail long drink tavola della miscibilità degli ingredienti calcolare il costo di un cocktail tecniche di preparazione codificate per bartender quiz... quanto ne sai? crucibarman

138 140 142 143 145 147 149 152 153 155 157 158

MODULO 12 • LE CATEGORIE DEI COCKTAIL le categorie quiz... quanto ne sai? crucibarman

160

MODULO 13 • I COCKTAIL CODIFICATI IBA the unforgettables contemporary classics new era drinks crucibarman

162 163 170 178 184

MODULO 14 • I COCKTAIL ANALCOLICI i succhi di frutta le bibite frizzanti gli sciroppi gli apeiritivi analcolici quiz... quanto ne sai? crucibarman

186

MODULO 15 • IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING gli stili la work station glossario del flair e le attrezzature crucibarman

188 189 190 191 194

MODULO 16 • IL FREE POURING cos’è la free pouring? impugnatura semplice con la mano destra apertura con la mano destra impugnatura semplice con la mano sinistra apertura e chiusura ordinarie con la mano sinistra le routine di pouring quiz... quanto ne sai? crucibarman

196


SEZIONE 3 • TECNICHE DI SALA, VENDITA E SOMMELLERIE MODULO 1 • LA CUCINA FLAMBÉ la cucina flambé i cibi adatti alla cucina flambé i liquori da usare ricettario flambé crucibarman quanto ne sai sulla... cucina flambé?

200

MODULO 2 • IL MONDO DEL VINO l’antica storia del vino la produzione del vino le operazioni fondamentali le altre tecniche produttive del vino ...dopo il 2010 appunti vari e curiosità sul vino l’enografia europea ed internazionale l’enografia extraeuropea gli abbinamenti vino-cibo quali sono le regole per la degustazione la temperatura ideale del vino l’esame visivo l’esame olfattivo l’esame gusto-olfattivo le sensazioni tattili la struttura le schede di valutazione crucibarman quanto ne sai sul... vino?

202 203 206 206 213 217 218 222 232 234 239 242 243 248 253 256 258 259 266 267

MODULO 3 • LE TECNICHE DI VALORIZZAZIONE E I CONCORSI significato di valorizzazione dei prodotti tipici indicazione geografica protetta (igp) specialità tradizionale garantita (stg) valorizzazione dei prodotti nelle realtà locali i concorsi le due categorie classiche per iniziare

270

MODULO 4 • IL CURRICULUM E TROVARE LAVORO OGGI cercare lavoro il curriculum vitae la lettera di presentazione crucipuzzle

272 273 273 274 277

SEZIONE 4 • TECNICHE BAR MODULO 1 • RON, RUM, RHUM i rum agricoli e i rum industriali rum cocktail proof

280


crucibarman

quanto ne sai sul... rum?

MODULO 2 • LUXURY DRINKS impariamo a creare i cocktail deluxe i distillati chiari premium il gin la vodka i rum il tequila i whisky i liquori premium ricette luxury cocktail crucibarman quanto ne sai sul... luxury cocktail?

282

MODULO 3 • LA BIRRA la birra nella storia alcuni stili di birra il servizio della birra il fenomeno dei birrifici artigianali gli abbinamenti con le birre artigianali il decalogo dei bicchieri beer cocktail la degustazione crucibarman quanto ne sai sulla... birra?

284

MODULO 4 • LA COSTRUZIONE DI UN COCKTAIL costruiamo un cocktail costruiamo un cocktail aperitivo o before dinner costruiamo un cocktail dolce o after dinner costruiamo un cocktail long drink tavola di miscibilità degli ingredienti calcolare il contenuto alcolico di un cocktail crucibarman quanto ne sai sulla... costruzione di un cocktail?

286

MODULO 5• GLI AMARI la miscelazione con gli amari amari come aperitivi gli amari dalla A alla Z amaro cocktail le categorie delle erbe crucibarman quanto ne sai sugli... amari?

288

MODULO 6 • INTAGLI E DECORAZIONI conoscere la frutta calendario stagionale della frutta le decorazioni e gli strumenti l’uso delle decorazioni nei cocktail

290


categorie di guarnizioni per cocktail cosa utilizzare per lavorare i fiori in tavola crucibarman

quanto ne sai sugli... intagli di frutta e verdura?

MODULO 7 • IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING gli stili principali la work station glossario del flair e delle attrezzature tecniche di preparazione codificate per bartender cos’è il free pouring? impugnatura semplice con la mano destra apertura con la mano destra impugnatura semplice con la mano sinistra apertura e chiusura ordinarie con la mano sinistra le routine di pouring crucibarman quanto ne sai sul... mondo del flair bartendering?

292

MODULO 8 • IL MONDO DEI FROZEN & ALTRI DRINKS frozen cocktail il ghiaccio le categorie dei cocktail crucibarman quanto ne sai sui... frozen e le tipologie drinks?

294

MODULO 9 • LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE sferificazione e cocktail molecolari cos’è la cucina molecolare crucibarman quanto ne sai sulle... nuove tendenze bar?

296 298 298 308 309

MODULO 10 • BAR MARKETING come proporre e vendere nel proprio locale la regola delle 4 P & il marketing mix le nuove forme di comunicazione la drink list crucibarman quanto ne sai sul... bar marketing?

312 313 315 319 320 324 325

MODULO 11 • ARTE E TERRITORIO

328

MODULO 12 • PREPARIAMOCI ALL’ESAME DI STATO prepariamoci all’esame di stato prepariamo la tesina e la presentazione in powerpoint esempi di seconda prova mappa concettuale

330

CRUCITIME

334

332




Sezione

1

Addetto di sala e vendita


modulo 1

CLASSIFICAZIONE DEI RICONOSCIMENTI DI QUALITÀ DEGLI ALIMENTI E DELLE BEVANDE

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Per tutelare marchi e prodotti, nella Comunità Europea ssono stati introdotti i marchi: • DOP - Denominazione di origine protetta; • IGP - Indicazione geografica protetta; • STG - Specialità tradizionale garantita.

LA TUTELA DELL’ORIGINE GEOGRAFICA Il termine terroir, coniato dai francesi, indica un’area ben delimitata dove le condizioni naturali, fisiche e chimiche, la zona geografica ed il clima permettono la realizzazione di un vino specifico e identificabile mediante le caratteristiche uniche della propria territorialità. Quindi in questo ambito gli “attori” principali sono, per esempio, il terreno, la disposizione, il clima, i vitigni autoctoni e non, i viticoltori, fino ai consumatori del prodotto. Questa parola non può essere banalmente tradotta in altre lingue in “territorio” in quanto il concetto è molto più complesso. Oggi il concetto di terroir comprende anche altri prodotti al di fuori del vino. In Italia alcuni esperimenti di circoscrivere territori per produrre un determinato vino, con una impronta ben definita, si sono avuti tra la Liguria e la Toscana, con il Colli di Luni DOC Etichetta nera. L’Indicazione Geografica è infatti una denominazione che riguarda un prodotto legato ad un territorio determinato. Il prodotto può essere anche un distillato, come nel caso della Grappa. Infatti nell’Unione europea, le bevande spiritose riconosciute IG sono regolamentate e “E-Spirit-Drinks” è la sua banca dati on line.

DOP: DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA

« [...] Si intende per «denominazione d’origine», il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese, la cui qualità o le cui caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produzione, trasformazione e elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata. » (Articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento UE n. 510/2006) Il marchio DOP Questo marchio, in uso nell’Unione Europea per gli alimenti, si riferisce a delle caratteristiche di un alimento, inserito in un particolare ambiente e territorio. L’ambiente geografico gioca un ruolo importante e comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), sia fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità, savoir-faire). Entrambi, una volta combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Oltre all’area geografica delimitata, i produttori che vogliono avere il marchio DOP devono attenersi rigide regole produttive stabilite nel disciplinare di produzione. Su di tutti e sul rispetto delle regole, vigila uno specifico organismo di controllo. Per differenziare i prodotti DOP da quelli IGP, i colori del relativo marchio sono stati cambiati da giallo-blu a giallo-rosso. Il DOP anche per i vini Exq Una precisazione sui marchi DOP va fatta per quanto riguarda i vini. Nel 2009 infatti è stato introdotto un regolamento (491/2009) che definisce le DOP del vino come «il 17


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese, che serve a designare un prodotto [viticolo] la [cui] qualità e le [cui] caratteristiche [siano] dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico ed ai suoi fattori naturali e umani, le [cui] uve [...] [provengano] esclusivamente da tale zona geografica e la [cui] produzione [avvenga] in detta zona geografica e [sia] ottenuto da varietà di viti appartenenti alla specie Vitis vinifera». Questa disciplina sui vini ha sostituito quella precedente (che prevedeva una protezione nazionale dei vini e, a seguire, un riconoscimento comunitario come VQPRD o VSQPRD). Oggi è previsto il riconoscimento come DOP o IGP e le menzioni DOC, DOCG e IGT sono ancora applicabili ai sensi del decreto delegato n. 61/2010, ma solo come menzioni specifiche tradizionali. L’equivalente del marchio DOP in altri Paesi AUSTRIA

g.U.

geschützte Ursprungsbezeichnung

BELGIO

AOP

Appellation d’Origine Protégée

DANIMARCA

BOB

Beskyttet oprindelsesbetegnelse

GERMANIA

g.U.

geschützte Ursprungsbezeichnung

GRECIA

ΠΟΠ Προστατευοµενη Ονοµασια Προελευση

FINLANDIA

SAN

Suojattu alkuperänimitys

FRANCIA

AOP

Appellation d’Origine Protégée

IRLANDA

PDO

Protected Designation of Origin

LUSSEMBURGO

AOP

Appellation d’Origine Protégée

OLANDA

BOB

Beschermde Oorsprongsbenaming

PORTOGALLO

DOP

Denominação de Origem Protegida

POLONIA

CNP

Chroniona Nazwa Pochodzenia

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MODULO 1: CLASSIFICAZIONE DEI RICONOSCIMENTI DELLA QUALITÀ DI ALIMENTI E BEVANDE

REGNO UNITO

PDO

Protected Designation of Origin

SPAGNA

DOP

Denominación de Origen Protegida

SVEZIA

SUB

Skyddad ursprungsbeteckning

UNGHERIA

OEM

Oltalom alatt álló eredetmegjelölés

IGP: INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA Ai fini del presente regolamento, si intende per: a) «denominazione d’origine [...]; b) «indicazione geografica», il nome di una regione, di un luogo determinato o, in casi eccezionali, di un paese che serve a designare un prodotto agricolo o alimentare: come originario di tale regione, di tale luogo determinato o di tale paese e del quale una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche possono essere attribuite a tale origine geografica e a cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata. » (Articolo 2, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (CE) n. 510/2006) IGP è l’acronimo di “indicazione geografica protetta” ed indica un marchio di origine, attribuito dall’Unione Europea a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dall’origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un’area geografica determinata. Pertanto per avere la IGP, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area. Anche in questo caso vi è uno specifico organismo di controllo che segue il disciplinare ed effettua le verifiche. AUSTRIA

g.g.A. geschützte geographische Angabe

BELGIO

IGP

(FR) Indication Géographique Protégée

BGA

(NL) Beschermde Geografische Aanduiding

DANIMARCA

BGB

Beskyttet geografisk betegnelse

GERMANIA

g.g.A. geschützte geographische Angabe

GRECIA

ΠΓΕ

Προστατευοµενη Γεωγραικη Ενδειξη

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

FINLANDIA

SMM

Suojattu maantieteellinen merkintä

FRANCIA

IGP

Indication Géographique Protégée

IRLANDA

PGI

Protected Geographical IndicationIG

LUSSEMBURGO

IGP

Indication Géographique Protégée

OLANDA

BGA

Beschermde Geografische Aanduiding

PORTOGALLO

IGP

Indicação Geográfica Protegida

POLONIA

ChOG Chronione Oznaczenie Geograficzne

REGNO UNITO

PGI

Protected Geographical Indication

SPAGNA

IGP

Indicación Geográfica Protegida

SVEZIA

SGB

Skyddad geografisk beteckning

UNGHERIA

OFJ

Oltalom alatt álló földrajzi jelzés

STG: SPECIALITÀ TRADIZIONALE GARANTITA Il termine specialità tradizionale garantita (o semplicemente STG), è un marchio di origine introdotto dalla Unione europea volto a tutelare produzioni che siano caratterizzate da composizioni o metodi di produzione tradizionali. La certificazione originaria risaliva al 1992, poi aggiornata ed ampliata nel 2006, con il regolamento CE n. 509/2006. Il marchio STG si rivolge a prodotti agricoli e alimentari che abbiano una “specificità” legata al metodo di produzione o alla composizione legata alla tradizione di una zona, ma che non vengano prodotti necessariamente solo in tale zona (tipico esempio la pizza). Così anche una preparazione STG deve essere conforme ad un preciso disciplinare di produzione. Prodotti STG italiani Sono solo due le produzioni italiane che hanno avuto tale riconoscimento: la Pizza napoletana e la Mozzarella. Per confermare e chiarire l’accezione di “specificità 20


MODULO 1: CLASSIFICAZIONE DEI RICONOSCIMENTI DELLA QUALITÀ DI ALIMENTI E BEVANDE

tradizionale” di questi prodotti campani si possono riportare alcuni nessi che legano entrambi ad altre produzioni disciplinate a livello europeo; inoltre, ciò serve anche a mettere in risalto le caratteristiche tradizionali e di appartenenza territoriale indicate nella normativa di riferimento. La mozzarella, se lavorata secondo i modi e con gli ingredienti stabiliti dal disciplinare per la produzione della “Mozzarella di bufala campana”, può intanto godere anche del marchio DOP: questo marchio assicura una lavorazione di lunghissima tradizione casearia e soprattutto garantisce l’utilizzo di materie prime assolutamente selezionate, conferendo alla formula DOP della Mozzarella una specificità che non può essere replicata al di fuori di determinati ambiti territoriali. La pizza (nella sua accezione comune) viene giustamente considerata uno degli alimenti più conosciuti e diffusi al mondo. Al contrario, la pizza napoletana è unica nel suo genere e deve la sua inimitabilità alle molte prerogative che la caratterizzano e distinguono da altri tipi di preparazioni. Su tutte, si riporta quella che salda fortemente la pizza napoletana al proprio territorio d’origine (“napoletano”), come disposto dal disciplinare STG di riferimento. Descrivendone le proprietà (sono enunciate anche le tradizionali lavorazioni di questo prodotto), nel disciplinare viene prescritto l’utilizzo indispensabile di alcuni prodotti tipici campani, in particolare proprio la Mozzarella di bufala campana DOP e la Mozzarella STG. Infine, anche dove non previsto dallo stesso disciplinare, è riscontrato ampiamente dalla consuetudine il fatto che nella realizzazione delle illimitate varianti di questo piatto venga fatto ampio uso di molti altri prodotti a marchio europeo. Quelli più celebri sono il Pomodorino del Piennolo del Vesuvio DOP, il Pomodoro S. Marzano dell’Agro Sarnese-nocerino DOP, la Ricotta di Bufala Campana DOP, il Carciofo di Paestum IGP, la Castagna di Montella IGP, la Nocciola di Giffoni IGP. Naturalmente la pizza nelle sue innumerevoli varianti può prevedere anche altri prodotti agroalimentari tradizionali (PAT) campani (provola, scamorza e fiordilatte; pancetta, prosciutto, salame e salsiccia; funghi, carciofini e olive; acciughe e frutti di mare).

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Note

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Crucipuzzle • 1 A te la parola... Agricoltura

Giffoni

Nocciola

Sigle

Alimenti

Italia

STG

Carciofo

Marchi

Pomodoro S. Marzano

Castagna

Montella

Regioni

Disciplinare

Mozzarella

Regolamento VQPRD

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Terroir Vini

Pizza napoletana


modulo 2

IL SOMMELIER, LA DEGUSTAZIONE E LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO

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IL SOMMELIER Una volta, in Francia, vi era il saumalier, un termine provenzale che designava il conducente di bestie da soma. Con il passare del tempo, è divenuto dapprima addetto ai viveri, poi cantiniere. Oggi il sommelier non è più l’assaggiatore (competente) dei vini, ma una figura complessa che designa un degustatore professionale dei vini, che dispone anche di un’ottima conoscenza e cultura enologica. Oltre a questo, il sommelier deve saper comunicare, “raccontando”, in un certo qual modo il vino, valorizzandolo e proponendolo a chi lo deve scegliere. Anche per questo motivo, è possibile utilizzare (senza esagerare) termini poetici …miscelati con un linguaggio tecnico. I suoi compiti si possono riassumere in: • Valutazione per acquisto dei vini da proporre alla carta • Gestione dell’approvvigionamento, cantina e stesura della carta dei vini. Poi naturalmente affianca il personale di sala, occupandosi appunto delle sue mansioni. Molti ristoranti promuovono corsi di aggiornamento per il proprio personale sulla cultura del vino: infatti non tutti possono permettersi una figura ad hoc. Come si diventa sommelier Negli Istituti di Enogastronomia il percorso di aspirante sommelier inizia ma vi è bisogno di superare degli esami e di approfondire le tematiche. Per questo vi sono delle Associazioni di categoria, in Italia ed all’estero, che preparano a questa specializzazione. Vale la pena di ricordare l’Ais, il cui acronimo sta per Associazione Italiana Sommelier. Essa è stata fondata il 7 luglio 1965. Anni dopo, il 6 aprile 1973, con Decreto n. 539 del Presidente della Repubblica, ha ottenuto il riconoscimento giuridico dello Stato. Una tappa però importante dell’AIS si è avuta nel 1968, quando a Milano, presso il

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Politecnico del Commercio, si tenne il primo Corso di Qualificazione Professionale per Sommelier, con la collaborazione dell’Associazione degli Enotecnici Italiani: da qui si ebbe la prima dispensa ed i primi esami. Venne studiato un percorso successivo, denominato “Enografia Nazionale e Tecnica della Degustazione”, dove viene privilegiata la conoscenza dell’enografia nazionale ed internazionale. Ed infine, successivamente, nel 1979, con il contributo di Nerio Raccagni, Pietro Mercadini, Angelo Solci, Antonio Picciardini e molti altri, fu formato il terzo corso sulla “Tematica dell’abbinamento cibo-vini”, fondato sulle caratteristiche degli alimenti in funzione dell’accordo del vino con il cibo. Oltre all’AIS, esistono anche altre valide associazioni, come l’ONAV, la Fisar, l’ASPI e la FIS.

GLI STRUMENTI DI LAVORO Il tastevin Il primo strumento del sommelier è il tastevin, anche se è oramai non utilizzato e sostituito con il bicchiere tipo ISO. Oggi è il logo dell’Associazione Italiana Sommelier. Ha la forma di ciotola di metallo e sono due le tipologie esistenti: il Bordolese ed il Borgognone, quest’ultimo, adottato da varie associazioni di degustatori, ha un diametro di 8 cm ed è profondo 2 cm. Al centro si trova la bolla di livello che il vino versato non deve mai superare. Bicchiere tipo ISO Questo tipo di bicchiere è il risultato di studi ed esperimenti per trovare un modello in grado di far sentire in maniera “neutrale” (quindi unanime) lo sviluppo di aromi di una bevanda alcolica. Uno dei padri di questo brevetto è stato Jules Chauvet, un enologo francese e degustatore della regione Beaujolais, il quale durante gli anni Cinquanta mise a punto una teoria evidenziante che il rapporto tra il volume del vino e la sua superficie di contatto con l’aria è direttamente legata allo sviluppo di aromi. Il bicchiere ISO si presenta simile a un uovo allungato e grazie alla sua forma unica e le sue dimensioni precise, consente ai sentori dei vini di crescere ed esprimersi. Ne esistono due tipologie: una piccola, utilizzata nelle facoltà di enologia ed una più grande, usata nei ristoranti.

Il cavatappi Il cavatappi è lo strumento indispensabile del sommelier: grazie ad esso provvede ad aprire le bottiglie. Deve essere piccolo, di tipo a leva, con un coltellino estraibile dal manico. Il verme, ossia la spirale che si usa per penetrare nel tappo, deve essere idonea e non troppo corta. Alcuni cavatappi hanno sostituito il coltellino con una rotellina che va fatta scorrere intorno al collo della bottiglia per togliere via la capsula. Il termometro Per servire un vino alla giusta temperatura occorre un apposito termometro. Ne esistono di diversi tipi. Grazie a questo strumento si può valutare se il vino ha raggiunto la giusta temperatura di servizio. 26


MODULO 2: IL SOMMELIER, LA DEGUSTAZIONE E LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO

IL SERVIZIO DEL VINO

L’apertura della bottiglia comincia incidendo la capsula sotto l’anello (detta anche baga). Per fare ciò utilizzate il coltellino del cavatappi. La bottiglia non va ruotata. Una volta tolta la capsula, questa va depositata su un piattino. Una volta asciugata e pulita con un tovagliolino la parte superiore del collo della bottiglia, inserite la punta della spirale del cavatappi nel tappo di sughero... Ruotate il cavatappi fino a che la spirale non penetri all’interno del tappo di sughero, facendo attenzione che questo non fuoriesca dalla parte opposta del tappo....

A questo punto estraete il tappo di sughero, appoggiando la leva del cavatappi sul bordo della bottiglia. Poi pulite il collo della bottiglia con un tovagliolo di servizio... Controllate se vi fossero eventuali difetti annusando il tappo. Fatto ciò, deponetelo su un piattino in modo tale che possa essere controllato dal cliente. Procedete a servire nel bicchiere.

Nei Wine Bar dove è presente il sommelier e dove il servizio lo richiede, si può anche procedere all’analisi organolettica del vino, utilizzando un apposito bicchiere ISO da degustazione.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO E L’ANALISI Tutto quello di cui abbiamo bisogno per analizzare il vino e saperlo “descrivere” sono i nostri sensi, in particolare la vista, l’olfatto ed il gusto. Anche il tatto interviene nel processo, seppur in maniera defilata. L’analisi che andremo a fare è essenzialmente visiva, olfattiva e gusto-olfattiva. L’esame visivo Nell’esame visivo si valutano le caratteristiche del vino legate al colore, alla limpidezza (ossia l’assenza di particelle in sospensione che potrebbero denotare dei difetti del vino), la fluidità (qui interviene anche il tatto) ed eventualmente anche l’effervescenza (nel caso di vini frizzanti o vini speciali). Per svolgere un corretto esame visivo, versiamo non più di 12 cl di vino in un bicchiere formato ISO. Successivamente si porta il calice all’altezza degli occhi per valutarne la limpidezza. Poi aiutandoci con un foglio bianco, si inclina il bicchiere e si guarda l’intensità del colore. Se si tratta di un vino rosso può andare dal rosso porpora al rosso aranciato. La tonalità ci darà importanti indicazioni sulla qualità del vino e soprattutto se siamo davanti ad un vino giovane o maturo. La limpidezza invece ci indicherà se non vi sono particolari particelle in sospensione. Vi sono anche dei vini non filtrati, che si mostrano “torbidi” (come una volta lo erano i vini del contadino). In ogni caso ci si può aiutare con la luce di una candela. Proviamo infine a girare il bicchiere per lo stelo e farlo roteare. In questo caso si valuta la consistenza del vino. Più il polso “faticherà” a far muovere in senso circolare il bicchiere, maggiore sarà la consistenza del vino (dovuto alla presenza di glicerina). Nel caso di spumanti e vini frizzanti, si valuta l’effervescenza, ossia la presenza di anidride carbonica. In questo caso i parametri saranno diversi, poiché sarà evidenziato il perlage, la tipologia delle bollicine, che possono essere più o meno numerose e più o meno grossolane.

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MODULO 2: IL SOMMELIER, LA DEGUSTAZIONE E LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO

L’esame olfattivo Il bicchiere viene portato al naso e si cerca di cogliere le sfumature del vino. Nell’esame olfattivo si valuta innanzitutto l’intensità, ossia se il profumo colpisce “forte” non appena avviciniamo il bicchiere, oppure è carente. Poi la complessità, se vi sono vari profumi che emergono. La complessità è più evidente nei vini rossi lungamente invecchiati e la famiglia è vasta: si va dai profumi “minerali” sino a quelli più evoluti (alcuni possono ricordare persino l’acetone). La famiglia di solito comprende le seguenti categorie: aromatico, vinoso, floreale, fruttato, fragrante (che ricorda la crosta del pane appena sfornato), erbaceo, minerale, speziato, etereo e franco.

L’esame gusto-olfattivo L’esame gusto-olfattivo invece parte dalla valutazione della morbidezza del vino (dovuta alla presenza di zuccheri), alla sua alcolicità e alla presenza di polialcoli. Oltre alla morbidezza, si valuta la durezza (dove acidi, tannini e sostanze minerali ne condizionano l’esame). Ed infine l’equilibrio. Vi proponiamo la classica scheda con i termini per la degustazione del vino, sviluppata dall’AIS.

Associazione Italiana Sommelier

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

ESAMINIAMO UN VINO TIPICO REGIONALE Il Cinqueterre DOC Nelle Cinqueterre si producono due DOC: il Cinqueterre DOC e il Cinqueterre Sciacchetrà DOC, quest’ultimo un vino passito prodotto in poche bottiglie. Il vino a denominazione di origine controllata “Cinque Terre” può essere designato con una delle seguenti sottozone: “Costa de Sera”, “Costa da Posa”, “Costa de Campu”, se esclusivamente ottenuti da uve prodotte da vigneti situati nelle rispettive zone delimitate. Si tratta di coste dove vengono coltivati vitigni quasi a strapiombo sul mare. Nelle Cinque Terre è presente il vitigno Bosco (gli altri due vitigni sono Albarola e Vermentino). L’altro vino celebre, sempre prodotto nella stessa zona, è il DOC “Cinque Terre Sciacchetrà”, che deve essere ottenuto da parziale appassimento delle uve dopo la raccolta, in luoghi idonei, ventilati, fino a raggiungere un tenore zuccherino di almeno 17° alcol potenziali. La vinificazione delle uve, destinate alla produzione del vino “Cinque Terre Sciacchetrà” non può avvenire prima del 1° novembre dell’anno della vendemmia. Le Cinque Terre Ai confini della Toscana, andando verso Genova, se capiterà di costeggiare il mare, troverete sicuramente le Cinque Terre (in ligure Çinque Taere). Si tratta di un frastagliato tratto di costa della riviera ligure racchiuso tra Punta Mesco e Punta di Mon-

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MODULO 2: IL SOMMELIER, LA DEGUSTAZIONE E LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO

tenero, nella provincia spezzina. In questo luogo sono situati cinque borghi (chiamati in antico anche “terre”): Monterosso, Vernazza, Corniglia, Manarola e Riomaggiore. Le Cinque Terre al momento sono una delle principali attrattive turistiche della Riviera spezzina (e non solo). La conformazione del territorio, aspro e accidentato, impervio e a volte difficile da raggiungere, ne fa di un luogo quasi unico nel mondo. Nel corso dei secoli l’uomo non ha modificato più di tanto il territorio, anzi lo ha valorizzato. L’equilibrio ecologico è rimasto intatto e tra le varie caratteristiche spiccano i terrazzi che declinano verso il mare. Dai vitigni coltivati avremo il Cinqueterre DOC, prodotto solo nella tipologia bianco. Nel 1997, su istanza della provincia della Spezia, le Cinque Terre, insieme a Porto Venere ed alle isole Palmaria, Tino e Tinetto, sono state inserite tra i Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

LE DEGUSTAZIONI... DI CLASSE! Una delle grandi novità che sono state introdotte dalla nuova riforma degli Istituti Alberghieri riguarda il nome: non più “Istituto Alberghiero”, ma “Istituto professionale per i servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera”. Pertanto, come si evince dal nome stesso, l’enogastronomia avrà un ruolo fondamentale. E di conseguenza, anche lo studio e la degustazione dei vini, per poter utilizzare queste conoscenze nei ristoranti, wine bar e saper consigliare i vini giusti. In classe quindi avvengono periodicamente le degustazioni di vini locali. Vi sono diversi paramentri da valutare, partendo dall’osservazione del vino, in altre parole l’esame visivo.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

PROVIAMO A DEGUSTARE …LA BIRRA! La Birra artigianale e gli abbinamenti enogastronomici Degustare una birra, per poterne apprezzare tutte le sfumature, si distanzia nettamente dal semplice bere e deglutire un liquido. Per questo motivo, una delle tante lezioni di degustazione, riguarda anche la birra. Non tutte le birre sono uguali: questo lo sappiamo. Tuttavia per la maggior parte delle persone esistono solo le birre chiare e le scure. Si tralasciano, di conseguenza, tutti gli altri aspetti, dall’alcolicità (che è diversa da birra a birra) sino all’abbinamento con le pietanze. Ebbene sì, se state pensando al classico abbinamento “birra & pizza” siete fuori strada! Soffermiamoci però su un prodotto speciale: la birra artigianale. Per prima cosa quando si parla di birra artigianale non si pensi alle birre che troviamo sugli scaffali del supermercato, tutte chiare magari, tutte uguali. Le birre artigianali per esempio non sono filtrate e contengono preziosi elementi naturali. Non sono pastorizzate: i lieviti vivi sono ricchi di vitamine del gruppo B, antiossidanti fondamentali per il nostro organismo. Sono integrali, ossia si utilizzano esclusivamente malto d’orzo, luppolo in fiore, acqua e lievito. Nessun utilizzo di preparativi o estratti. A differenza della birra industriale non vengono utilizzati conservanti, chiarificanti e stabilizzanti. Ed ogni birra è frutto della conoscenza del birraio artigiano, per questo motivo ogni birra è unica e sempre riconoscibile.

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MODULO 2: IL SOMMELIER, LA DEGUSTAZIONE E LE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE DEL VINO

Alcuni consigli per degustare correttamente una birra artigianale Intanto bisogna bere seguendo le indicazioni del produttore sulle temperature di servizio: infatti le temperature troppo basse inibiscono la percezione del sapore e degli aromi. Così anche è giusta la pretesa che il “cappello di spuma” è necessario per apprezzare tutte le caratteristiche organolettiche, oltre che un protettivo naturale per la tua birra. Ed inoltre mai bere direttamente dalla bottiglia: ogni birra risalta le proprie caratteristiche se servita in un buon bicchiere specifico.

PROPOSTA ABBINAMENTI

Golden Ale

Con colore oro carico, va servita ad una temperatura di servizio di 10-12° C. le sue caratteristiche sono: spuma soffice e bianca. Ale piena, maltata e aromatica di luppolo speziato. Note: Adatta per tutte le occasioni, utilizza esclusivamente Maris Otter, il più pregiato dei malti inglesi. Abbinamento: Piatti a base di pesce, formaggi mediamente stagionati. Pizze bianche.

Weizen

Si presenta con un colore paglierino e va servita ad una temperatura servizio di 8-10° C. Il bicchiere adatto è tipo Weizenbecker o calice molto alto. Caratteristiche: spuma fine ed abbondante. Ale di frumento ed orzo, delicata e aromatica. Molto leggera e dissetante. Note: Nello stile ricorda le birre di frumento belghe e inglesi. In cottura del mosto vengono aggiunte zenzero e coriandolo. Abbinamento: Antipasti delicati di pesce e crostacei, insalata. Pizze bianche e delicate.

Stout

Si presenta con un colore nero e va servita ad una temperatura servizio di 12-14° C. Il bicchiere più adatto è un boccale liscio. Caratteristiche: spuma spessa e scura. Ale rotonda e maltata, dal caratteristico sapore di cioccolato amaro e torrefatto. Note: Stout di orzo e avena, molto morbida e meno amara delle cugine irlandesi. Abbinamenti: Frutti di mare. Stufati e brasati, cioccolato fondente.

Questi sono soltanto alcuni degli abbinamenti proposti. Bere birra in questo modo non significa solo degustare attentamente un prodotto, ma anche bere consapevolmente e con moderazione. Birre stagionali Le birre stagionali rappresentano un importante patrimonio nelle tradizioni delle più antiche scuole birrarie: birre celebrative o legate a determinate colture stagionali sono da sempre presenti nei paesi di antica tradizione birraria. Riprendere tale tradizione, adattandola alla cultura e ai prodotti del nostro territorio è sicuramente un interessante esperimento volto a creare una nuova cultura birraria italiana. Tra le birre “classiche” vi sono le birre alle castagne e le birre al miele. 33


Note

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Crucipuzzle • 2

A te la parola... AIS

Colore

Fruttato

Sommelier

Aromatico

Enologia

Limpidezza

Speziato

Assaggiatore

Erbaceo

Minerale

Spumanti

Bollicine

Etereo

Perlage

Tastevin

Bottiglie

Floreale

Profumi

Termometro

Cavatappi

Fragrante

Sensi

Vinoso 35


modulo 3 ECCELLENZE D’ITALIA


LA CUCINA REGIONALE La cucina regionale è di fondamentale importanza poichè permette di valorizzare le singole eccellenze (intese sia come prodotti tipici, sia come piatti), di ogni luogo d’Italia. Nell’e-book disponibile troviamo regione per regione non solo i piatti, ma anche le località da visitare scelte ed i vini, tale da suggerire anche per percorsi enogastronomici integrati dalla geografia turistica.

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modulo 4

IL BANQUETING E CATERING 38


LE NUOVE FORME DELLA RISTORAZIONE: IL CATERING E IL BANQUETING Il termine catering proviene dall’inglese “to cater” che significa “provvedere al cibo, rifornire”; esso indica il complesso delle operazioni di rifornimento in massa di cibi e bevande pronti che vengono effettuate da apposite organizzazioni nell’ambito di comunità, compagnie di trasporto, riunioni, cerimonie e così via. Il catering era nato, agli inizi, per rifornire mezzi di trasporto come navi e treni, poi si è esteso anche servizi di mense aziendali. Nel senso più ampio, oggi per catering si intende il servizio di preparazione, consegna e somministrazione di alimenti e bevande in un luogo diverso da quello di produzione. Si va dalla semplice consegna di cibo pronti, fino ad organizzare ed allestire servizi di distribuzione e somministrazione da parte del personale incaricato direttamente dall’azienda di catering. Molteplici sono le formule dell’offerta: dall’happy hour con aperitivi e finger food fino ad arrivare alla preparazione di piatti di alta gastronomia. Vi sono poi forme di catering definito indiretto, rappresentate, per esempio, dai distributori automatici di snack confezionati e di bevande calde e fredde, nonché dai sempre più diffusi buoni pasto. In questo modo le aziende richiedenti possono offrire il servizio, senza creare delle strutture ristorative interne a disposizione dei dipendenti. I costi di gestione si abbattono, così anche le problematiche ad esse legate. Emblematico il caso del Museo Nazionale di Napoli, dove all’interno non vi è un servizio bar, ma una fila di questi distributori. Tuttavia in questo caso dal punto di vista dell’immagine non è il massimo: nella città del caffè, rifornirsi a una macchinetta, in un luogo prestigioso come il Museo Archeologico, rappresenta un vero paradosso.

L’ORGANIZZAZIONE DEL CATERING Tre sono i soggetti coinvolti in un accordo di catering: • il committente, ossia l’istituzione o il privato che richiede il servizio; • il caterer, vale a dire l’azienda fornitrice, detto anche somministratore; • il consumatore finale. Viene stipulato un accordo valido dal punto di vista legale in tutti gli effetti. Il caterer si impegna a rifornire il committente di pasti pronti al consumo, dietro pagamento di un prezzo pattuito. Essendo un contratto atipico di somministrazione (tanto per intendersi: diverso dall’andare in un ristorante e ordinare da un menu), il contratto è regolato dagli accordi presi tra le parti contraenti e dalle disposizioni generali contenute nel Codice Civile. Il somministratore (o caterer) adempie al proprio obbligo contrattuale, impegnandosi a rifornire i pasti confezionati nel rispetto di quanto stabilito con il committente, dopo aver concordato la quantità, qualità, tecniche di preparazione, tempistica e luogo. Il committente si impegnerà al pagamento della prestazione secondo quanto disposto dal contratto. Spesso il contratto include anche servizi accessori, come l’allestimento e pulizia della cucina e della sala.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Previa contrattazione tra il committente e il caterer, quest’ultimo può proporre due modalità di servizio: • il rifornimento di pasti pronti (detti pasti veicolati), che sono confezionati nell’azienda stessa e trasportati (in un secondo tempo) nei locali di consumo; • la preparazione di vivande calde nella cucina del committente, grazie agli operatori del caterer; Andando ancora nel dettaglio, queste forme di catering tradizionale possono essere suddivise, a loro volta, in due grandi categorie: • catering industriale; • catering privato, che, in presenza di servizi aggiuntivi, prende il nome di banqueting. Il catering industriale Il catering industriale è rivolto principalmente ad esercizi pubblici (scuole, aziende ospedaliere e strutture militari). I caterer che offrono questo servizio dispongono di attrezzature idonee e personale esperto. Partecipando alle gare d’appalto propongono i loro servizi e naturalmente devono soddisfare tutte le norme igieniche. Inoltre devono tener conto dei singoli casi. Per esempio nelle scuole per somministrare un pasto vi sono delle indicazioni fornite dai LARN (livelli di assunzione raccomandati di nutrienti e di energia), oltre al fatto di proporre cibi alternativi a chi soffre di intolleranza alimentare. Il catering privato Nella categoria del catering privato troviamo: • catering aziendale; • ristorazione viaggiante; • catering a domicilio. Nel catering aziendale, il caterer può preparare i pasti ricorrendo alle cucine delle mense interne, se previste. Il menu offerto deve essere variato ogni settimana o al massimo ogni quindici giorni. Un caso a parte è la ristorazione viaggiante, offerta a bordo di mezzi di trasporto come aerei, navi e treni. Sugli aerei il servizio può variare a seconda del tipo di biglietto posseduto, della classe scelta e della durata del viaggio e il pasto può consistere in un semplice spuntino oppure in un abbinamento elaborato di vivande calde e bevande anche di pregio. I cibi vengono somministrati in porzioni e all’interno di vassoi di grandezza standard, per via degli spazi limitati a bordo del velivolo e dell’alto numero di pasti e delle diverse formule di offerte di cibo che devono essere disponibili. Il servizio proposto Ogni evento può avere una sua storia, una sua idea e un differente tipo di servizio. Un matrimonio o un battesimo si può fare a pranzo a cena e può essere servito ai tavoli oppure a buffet. Cosa diversa per un coffee break di lavoro, il cui nome suggerisce già una pausa, pertanto il servizio sarà completamente diverso (per esempio un buffet in piedi). 40


MODULO 4: IL BANQUETING E CATERING

Il trasporto dei pasti Tutte le tipologie di catering sono accomunate dalla necessità di trasportare o i pasti già pronti oppure le materie prime necessarie alla loro preparazione. La fase di trasporto è un passaggio fondamentale delicato e la sua corretta esecuzione, è fondamentale per la conservazione delle vivande, oltre a contribuire in larga misura a determinarne il livello qualitativo. Strettissima è anche la relazione fra trasporto e temperatura di servizio, che permette di scegliere fra tre diverse opzioni: • legame caldo; • legame freddo; • legame surgelato. La tecnica del legame caldo prevede che le pietanze siano confezionate e trasportate fino al luogo di consumo mediante veicoli con autorizzazione dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) o mediante carrelli robotizzati, a isolamento termico e a rigenerazione automatizzata. In questo caso, il consumo deve avvenire in tempi brevi. Il legame freddo, o refrigerato, invece, prevede che i cibi siano refrigerati velocemente subito dopo la preparazione, conservati e trasportati con veicoli adatti. Essi andranno poi rigenerati subito prima del consumo (tecnica del cook and chill), che deve avvenire entro pochi giorni dalla produzione. Esiste anche il legame surgelato, con cui si procede alla surgelazione delle vivande, che sono poi trasportate all’interno di celle di mantenimento. Il menu e le bevande L’azienda di catering può prevedere diversi menu da sottoporre all’attenzione del committente. Le varianti non solo possono essere legate al prezzo, ma anche al tipo di locale, al tipo di servizio, fino alle esigenze dei singoli (vi sono vegetariani per esempio? Oppure persone appartenenti ad altre culture religiose che non tollerano certi cibi, come la carne di maiale?). Una volta predisposto il menu, questo va sottoposto via e-mail o fax per essere firmato in tutte le sue parti. Se il tutto viene fatto con abbonandante anticipo, vi sarà anche la possibilità di modificare piatti o bevande previste all’inizio. Ed a proposito di bevande, oltre all’immancabile acqua minerale, si possono prevedere bibite per i più piccoli e naturalmente vini abbinati al menu. Si possono scegliere case conosciute e grandi produttori (Taurasi, Barolo, Chianti e così via), oppure case vinicole del territorio, prevedendo così dei vini abbinati per tradizione. Spesso alcuni catering invitano il committente ad assaggiare il menu completo e degustare i vini, per decidere insieme.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Nell’esempio che è possibile vedere di seguito, era stato richiesto un servizio catering particolare per 50 persone. Il buffet, infatti, doveva essere interamente composto di frutta intagliata (alcuna solo da abbellimento) e da gustare, oltre alle bibite. Chiaramente un tipo di servizio di questo genere, presuppone all’interno dello staff, personale adeguatamente formato. Sul sito ristorazionebar.it troverete tutte le foto.

Tipologia evento

Orario

Tipologia di servizio

Coffee Break

Pausa di metà mattinata o pomeriggio

Buffet in piedi e tavoli di appoggio

Battesimo, matrimonio, cerimonie

Pranzo o cena

Servizio ai tavoli o in alternativa buffet

Inaugurazione di un locale

Orario deciso dalcommittente (solitamente pomeriggio)

Buffet in piedi

Open Bar

Dopo cena, al termine di un evento

Banco bar per il servizio di cocktail e caffetteria

Brunch

Tarda mattinata

Buffet in piedi con tavoli di appoggio

ORGANIZZIAMO BANCHETTO COME CENA EVENTO Le cene evento sono dei banchetti particolari dove non vi è soltanto una buona cena servita da personale qualificato, ma dove troviamo anche una componente di spettacolo o culturale. Un esempio classico è la cena “con delitto”. Si tratta di una serata, dove accanto ai commensali, ci sono attori teatrali che ad un certo punto inscenano una trama e la portano fino in fondo. Nessuno dei commensali sa chi è il “l’assassino”, e pertanto devono seguire fino al dessert il gioco. Di solito chi indovina, ha diritto a non pagare il conto. Il successo di questo tipo di gioco di ruolo ha avuto così grande eco, che vi è persino un sito internet che propone delle trame già elaborate, a disposizione di ristoratori ma anche di persone qualsiasi che volessero organizzare qualcosa di simile a casa . Un’altra cena che può essere organizzata è quella per valorizzare prodotti tipici locali o anche…musei. Ebbene sì, in ogni città italiana vi è un museo, un monumento, che attende solo di essere (ri)scoperto e presentato. Eccovi uno schema di una cena evento che ha per tema la cucina regionale della Campania. Abbiamo preso come esempio l’antica Pompei.

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MODULO 4: IL BANQUETING E CATERING

Introduzione alla cena, da parte dell’organizzazione (5 minuti massimo) Antipasto Crocchè di patate Il sito archeologico di Pompei, descrizione per sommi capi. Primo piatto Gnocchi alla sorrentina La ristorazione di Pompei: i “bar” e i luoghi di ristoro Secondo piatto Calamari ripieni L’antica Villa Regina di Boscoreale, la prima azienda vinicola della storia Dessert Pastiera napoletana Saluti degli organizzatori e presentazione dello staff. In questo caso è possibile anche abbinare un vino del luogo e farlo presentare ai ragazzi.

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Note


Crucipuzzle • 4

A te la parola... aperitivi

comunità

bevande

rifornire

riunioni

fingerfood

catering

openbar

cerimonie

evento

rifornimento brunch coffee break navi committente cibi



Sezione

2

Tecniche di miscelazione e preparazione dei cocktail


modulo 1

LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE DI BAR 48


Lavorare in un bar oggi pare sia diventata una mansione a portata di tutti, senza nessun tipo di specializzazione. Questo mito (ormai già sfatato) lo possiamo ridimensionare ancora di più, affermando che la crisi economica degli ultimi anni ha portato ad una diminuzione di consumi, soprattutto nei locali pubblici e di conseguenza i gestori degli stessi ad essere sempre più esigenti nella ricerca del personale. In questo modo, finalmente, si privilegiano i professionisti e gli aspiranti barman motivati. Il personale che opera nel bar può comporre una brigata di bar: tutto dipende dalle dimensioni del locale. Generalmente una brigata di un bar di medio alto livello può essere composta dalle seguenti figure: • Capobarman (o capobarmaid, se donna): egli ha la completa responsabilità del reparto in cui opera. Ottime doti di organizzazione e gestione del luogo dove lavora, oltre al fatto di saper valutare la condotta dei dipendenti. • Primo barman: generalmente a questa figura viene affidato il compito di curare l’area del banco bar e il rifornimento dello stesso. I suoi principali interlocutori sono i clienti, oltre a dover gestire anche i rapporti con i sottoposti. Il barman e il capobarman devono avere una buona cultura generale, essere sempre aggiornati su tutto (la lettura di un quotidiano è quasi d’obbligo), in quanto possono anche interloquire con i clienti, se questi desiderano scambiare due parole (ricordarsi di astenersi dal parlare di politica e religione, se possibile). La conoscenza della lingua straniera (almeno una) è fondamentale. • Secondo barman: figura importante perché in grado di sostituire, se necessario, il primo barman. Per cui deve disporre delle sue competenze, saper svolgere le sue funzioni ed avere eguali responsabilità. • Barista: spesso è un operatore del bar non specializzato, magari alle prime armi. Affianca i barman e ha il compito di provvedere al lavoro di riordino e manutenzione degli attrezzi. • Cameriere ai tavoli: il cameriere, contrariamente a quello che si pensa, non è un semplice “porta bevande”, ma sa parlare almeno due lingue, anche lui dispone di una buona cultura generale, sa ascoltare I clienti e sa proporre e vendere i prodotti al tavolo. E, non per ultimo, è un ottimo ascoltatore discreto: solo lui può intuire se un cocktail riscontra successo oppure no, contribuendo quindi con suggerimenti e consigli, alla buona riuscita del locale. • Bartender: il bartender sarebbe l’equivalente del barman. Sa lavorare in once ed usa un sistema definito bartendering. Può utilizzare anche tecniche di working flair e exibition flair, le quali saranno spiegate all’interno di questo libro. • Barchef e Molecular Mixologist: sono barman di ultima generazione che sanno coniugare la creatività “classica” alla preparazione di cocktail insoliti, passando dai cosiddetti cocktail solidi (gelatine) alle sfere di bitter. Utilizzano particolari attrezzi (affumicatori, saldatori, blender ecc.) finora intravisti solo in alcune cucine d’avanguardia (da qui il termine Barchef). Sono diverse le tecniche e le applicazioni pratiche usate, dalle spume alle capsule.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

IL COMPORTAMENTO DIETRO AL BAR1 Che lo vogliate chiamare barman o bartender, egli non deve solo preparare i cocktail. Deve occuparsi anche di intrattenere il cliente, farlo sentire a proprio agio e sapere cosa può infastidire o apprezzare un ospite. Per prima cosa la pulizia è fondamentale. Così anche l’ordine. L’aspetto deve quindi essere pulito ed ordinato, la divisa sempre in ordine, senza macchie. Niente anelli, braccialetti: questi non solo possono essere portatori di germi, ma spesso sono anche di intralcio nella manipolazione degli strumenti. Il personale del bar è fondamentale in questo lavoro: se i clienti troveranno oltre alla pulizia, anche cordialità ed educazione, siate certi che torneranno. Questo consiglio va esteso a tutto il personale: se preparerete dei cocktail buonissimi, ma il cameriere è imbronciato o brusco, l’effetto non sarà lo stesso. Vi consigliamo di leggere la rubrica Il cliente misterioso, sul Bar Giornale per capire come muoversi e non commettere errori. Il locale ideale Il locale deve essere sempre pulito e privo di odori, siano essi gradevoli o meno; ricordate che anche i profumi troppo forti, come quelli di saponi, deodoranti, cibi, bevande o quant’altro, anche se gradevoli inizialmente, possono risultare spiacevoli al cliente, soprattutto se questi sta consumando un drink o uno spuntino. Il locale deve apparire ordinato, in modo da far trasparire una certa cura nei confronti dell’ambiente da parte del personale. Niente tavoli sporchi, ma questi devono essere puliti ogni qual volta i clienti vanno via. La musica, se presente, generalmente non deve mai essere troppo alta, o i clienti saranno costretti ad urlare tra loro per conversare, aumentando notevolmente la confusione. Attenzione quindi a come disponete le casse e gli stereo ed attenzione al volume. Naturalmente questo parametro non vale per le discoteche, discopub o simili. Tuttavia si potrebbe disporre i tavoli in modo che la musica sia più bassa rispetto alla “pista”, di modo che chi si volesse sedere avrà la possibilità di passare un po’ di tempo con la musica a volume ridotto. Il listino dei prezzi dovrebbe essere sempre presente e ben visibile, e nel caso sia portato al tavolo ve ne dovrebbe essere almeno uno per ogni due massimo tre persone. Ricordate di mantenerlo ben aggiornato e in buone condizioni, senza macchie e scusatevi nel caso non sia disponibile un prodotto segnalato sul menu. Sarebbe opportuno tenere sempre anche una carta dei vini, divisi per tipologia (bianchi, rosati, rossi e spumanti). Tenete presente che nei bar i vini principalmente proposti sono questi: spumanti, bianchi, rosati, rossi leggeri. Il menu potrebbe prevedere le foto e la descrizione dei prodotti, che siano cocktail o panini non ha importanza. Altra nota da tenere in considerazione sono gli stuzzichini da aperitivo. Questi dovrebbero venire forniti in quantità sufficienti, in modo da compiacere il cliente, e devono risultare golosi e piacevoli a vedersi. Anche il servizio di questi dovrebbe essere elegante, magari addobbandoli con qualche decorazione. Riservate attenzione ai possibili gusti del cliente, fornendo un’ampia scelta; il cliente potrebbe essere vegetariano, o intollerante al latte, o allergico ai crostacei. Infine il bancone. Questo deve essere sempre ordinato e pulito, e deve essere fornito di contenitori con zucchero bianco, di canna e dietetico, così come alcuni dispenser di fazzolettini da bar. 1

Tratto da appunti di Giacomo Gordesco.

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MODULO 1: LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE DI BAR

LA FIGURA DEL BARMAN/BARTENDER Non è solo il Bar a dover essere ben curato e piacevole a vedersi; anche il barman o la barmaid devono essere impeccabili. A meno che il locale non abbia un’atmosfera particolare, il bartender dovrebbe essere sempre vestito in maniera elegante, ma non appariscente, e ben distinguibile sia dai camerieri che dagli avventori. I bartender che praticano spesso working od ehxibition flair non devono per forza vestire abiti eccessivamente sobri, ma devono tenere in considerazione la comodità della propria “uniforme”. Durante queste esecuzioni infatti è bene poter essere sciolti nei movimenti, ed i bartender sono solti quindi prediligere tenute con toni leggermente più sportivi. Anche la cura del proprio corpo è necessaria: presentatevi sempre in maniera precisa: • tenete sempre capelli perfettamente puliti e ordinati, legati se li portate lunghi; • tenete le unghie pulite, precise e possibilmente corte; • abbiate cura del vostro volto; ciglia, sopracciglia, pelle, denti, bocca e orecchie; • tenete le mani perfettamente pulite e asciutte; lavatele e asciugatele dopo ogni lavoro, sia per igiene, sia nel caso dobbiate presentarvi o accogliere qualcuno; • curate la vostra postura; siate dritti con la schiena, e tenete le braccia incrociate dietro il sedere, in modo rilassato; • ricordate di curare anche il vostro alito; più di una volta potreste aver bisogno di bere o mangiare durante il lavoro; portate perciò con voi sempre una mentina; • curate la vostra espressione; siate sempre sorridenti, non solo quando vi rivolgete al cliente, ma anche con il resto del personale. Molti di questi consigli si spiegano da soli, mentre alcuni, come l’ultimo, possono sembrare poco convincenti, pertanto spieghiamo quest’ultimo punto con cura. Il cliente che ordina e siede al vostro tavolo, spesso necessita qualcosa di più della semplice bevanda; egli cerca un punto di tranquillità in cui passare qualche momento, da solo od in compagnia, di svago e di relax. Se vi presentate cordiali e sorridenti solo durante il servizio, darete l’impressione di essere servili e falsi, e durante la permanenza il cliente non avrà particolari impressioni riguardo il locale. Se invece sia voi che il resto del personale tenete un’espressione serena e rilassata per tutto l’arco lavorativo, darete una buona impressione ai clienti, e soprattutto accadrà più difficilmente di entrare in conflitto con il resto dei dipendenti. Un clima teso ed “elettrico”, oltre a dare una brutta impressione al cliente, è anche parecchio controproducente per il personale. Lavorare in buone condizioni psicologiche, molto spesso significa lavorare bene. Questo è da ricordare anche quando ricoprite una posizione di responsabilità; rivolgetevi ai vostri sottoposti in modo cordiale anche quando fanno errori; è umano sbagliare, e non c’è niente di peggio per un cliente vedere un capo dare in escandescenze con un dipendente che, per esempio, ha rovesciato un vassoio.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

COME FIDELIZZARE IL CLIENTE Il termine “fidelizzare” suggerisce di fare in modo che il cliente scelga sovente il nostro bar, invece che altri. Per fare ciò è opportuno elaborare strategie. Infatti Vi sono moltissimi fattori in questo campo contro cui è impossibile combattere; la vicinanza del bar rispetto al centro della città, a locali particolari, alle case degli avventori, a luoghi di ritrovo, a vie di negozi ecc. Oppure le dimensioni del locale; infatti altri locali potrebbero essere avvantaggiati dal fatto di poter organizzare concerti e spettacoli, preparare buffet o svolgere piccole feste. Tuttavia vi sono elementi che possono decidere il successo o meno del vostro bar rispetto ad altri, elementi che vanno curati e tenuti in altissima considerazione. Uno dei più importanti è cercare di accontentare sempre il cliente. Tradotto significa che il barman dovrebbe essere in grado di preparare qualsiasi cosa richieda il cliente. Tuttavia non sempre questo è possibile anche perché dipende dalla tipologia del locale. In uno snack bar sarebbe assurdo aspettarsi di trovare una ampia tipologia di primi piatti. Vi sono alcuni consigli su come avere un buon impatto con l’avventore e soprattutto come riuscire a “farlo sentire a casa”. • Salutare sempre in maniera solare ed a voce alta, appena il cliente entra nel bar. • Cercare di ricordarsi il nome del cliente e la sua solita consumazione. Ai clienti fa piacere essere riconosciuti; possibilmente accompagnato da un titolo. Esempio: “Buongiorno Ingegner Tonelli.” “Salve Dottor Rossi”. • Salutare e ringraziare sempre in maniera cortese il cliente in uscita. • Usate sempre la forma che vi indica il cliente per salutarlo. Alcuni vorranno essere chiamati in maniera confidenziale, altri no. “Cosa posso portarle oggi, Dottore?” e “Il solito Max?” sono registri ben differenti ed è importante sapere chi preferisce essere chiamato con uno anzichè con l’altro. • Fate trasparire il vostro impegno nei confronti del cliente; decorazioni, porzioni di stuzzichini abbondanti, particolari attenzioni. Evitando accuratamente di risultare fastidiosi, lasciate che i clienti si sentano “curati”. • In caso il cliente sia solo, e voi abbiate del tempo a disposizione, cercate di intrattenerlo con una piacevole conversazione. Ciò creerà un rapporto di confidenza che incoraggerà il cliente a tornare nel locale. Inoltre ricordarsi sempre di tenere la conversazione incentrata sul cliente; evitate di parlare di voi stessi, e spostate sempre con delicatezza la conversazione altrove. Il cliente deve poter confidarsi con voi, e liberarsi dai pensieri che lo affliggono. • Premuratevi di offrire qualcosa ai clienti che hanno cominciato a frequentare il locale, questo consoliderà la vostra posizione. • Siate spiritosi ma senza mai risultare offensivi o maleducati. • Premuratevi sempre che i vostri clienti abbinano gradito la consumazione. Non esitate a domandarlo se ne avete il sospetto; se esso si rivela fondato, fate presente che nel caso egli desideri qualcos’altro, lo offrirete voi, come scusa.

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MODULO 1: LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE DI BAR

I VARI TIPI DI BAR Comunemente definiamo “bar” un locale dove si serve un caffè oppure uno snack veloce. Tuttavia, andando nel dettaglio si può notare come le categorie dei bar siano numerose e dipende solo dal gestore voler caratterizzare il proprio locale e l’offerta, onde soddisfare e stimolare le esigenze della clientela. In linea generale, la caratterizzazione del bar viene delineata da: • posizione geografica; • tipologia di clientela (un bar nel centro storico ha esigenze e clientela diversa da un bar di periferia). A questi elementi vanno aggiunti criteri soggettivi: quale clientela si vuole attrarre, che tipo di servizio si vuole offrire alla clientela desiderata, quali esigenze si desiderano soddisfare (ad esempio, offrire ristoro a lavoratori in pausa pranzo, oppure divenire un punto d’incontro per giovani e così via). Andando ancora di più nel dettaglio, molti sono i vari tipi di bar e tutti si ramificano con nomi diversi: bar caffè, snack bar, aperitif bar, bar discoteca... Tutti vengono classificati genericamente come bar, sono sottoposti ad un’unica legislazione, ad esclusione di quei bar che hanno norme specifiche relative a laboratorio di pasticceria e di gelateria.

LE CATEGORIE • Snack bar: praticamente si trova in quasi tutte le città, ma può essere ubicato anche in camping, villaggi turistici e club turistici. Il lavoro non è molto difficile e generalmente si offrono ai clienti spuntini veloci (snacks appunto). Chi lavora in questo tipo di locale, può anche utilizzare le sue conoscenze culinarie per creare panini, hot-dog, focacce ecc. Per questo potrà anche capitare di dover lavorare accanto a grill, piastre roventi, tostapane. Le bevande servite sono le tradizionali bibite e qualche alcolico, oltre ad analcolici di largo consumo. Piuttosto limitato il consumo di cocktail. • Bar tipico del villaggio turistico: è in genere gestito da una persona estranea alla proprietà o alla gestione del villaggio: questo sarà da tenere a mente quando si chiedono informazioni lavorare. Si servono varie bevande spesso accompagnati da snacks e spuntini. In questo locale si trova di solito un’apposita sala con videogiochi, juke-box ed altre attrezzature per lo svago dei più giovani. È l’ideale per

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

i ragazzi che vogliono lavorare d’estate in un bar, imparare qualcosa, ma anche divertirsi lavorando, il che non stona assolutamente. È uno di posti più frequentato da giovani in assoluto. • American bar: è il miglior posto per fare velocemente carriera. Il suo cavallo di battaglia è il cocktail, quindi occorrono delle solide basi di preparazione di drinks. Si possono trovare anche nelle hall degli alberghi, detti anche hall bar. La clientela è distinta e selezionata ed questo tipo di bar rappresenta per l’economia aziendale una buona fonte di reddito. • Piano bar: è frequentato di sera e si trova spesso un cantante che suona al pianoforte o tastiera. Il suo alter ego è il disco-bar, ma per la verità se ne vedono pochi in giro, tranne principalmente in località molto frequentate da giovani (in Italia Rimini e Riccione in primis). • Bar della discoteca: è uno dei migliori modi per lavorare divertendosi. Anche se molti dubitano della professionalità dei barman delle discoteche, ciò dipende sempre dal tipo di locale dove si lavora. Si lavora in coppia dietro al bar ed è raro lavorare singolarmente. Anche qui occorre avere una discreta conoscenza dei cocktail. C’è la possibilità, inoltre, di sbizzarrirsi a creare nuovi cocktail oppure di consigliare ai clienti quelli che si predilige. • Bar del ristorante: situato nel ristorante stesso dove si lavora. A volte viene valorizzato come luogo d’attesa in cui si accomodano i clienti che aspettano un tavolo libero. Altre volte è ridotto ad un banco-bar con pochi prodotti. Di solito è gestito dal barman, oppure dal secondo maître, quest’ultimo, uno dei responsabili della brigata di sala. • Bar della piscina: situato nei pressi della piscina dell’albergo. Il servizio è abbastanza rapido e informale. Può essere aperto anche di sera, con l’aiuto di luci soffuse e musica filo diffusa, diventando così un suggestivo luogo incontro. • Bar stagionale: locale molto semplice che offre un servizio solitamente nel periodo estivo. Si servono soprattutto bibite fresche, gelati confezionati, panini ed altri spuntini veloci. È raro servire superalcolici o aperitivi, anche se la tendenza è organizzare serate a tema ed attirare nuova clientela. • Bar pasticceria: locale che dispone di un piccolo laboratorio nel quale si preparano tutti i dolci da offrire alla clientela che li consuma al banco, oppure se li fa confezionare per consumarli altrove. • Tea room: diffuso già dal Settecento in Francia, Germania ed Inghilterra. Arredato in modo elegante, è frequentato generalmente da una clientela adulta e femminile. In molti casi si trova nei centri storici delle città ed offre anche pasticcini oltre ad una grande varietà di caffetteria. • Bar gelateria: generalmente è un locale che apre solo nei mesi primaverili ed estivi. La vendita è quasi esclusivamente dedicata a gelati e bevande dissetanti. • Milk bar: situato in posti di mare e centri storici, offre bevande a 54


MODULO 1: LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE DI BAR

base di latte: frappé, yogurt, milk shake, frullati ecc. Solitamente la clientela è giovane. È un tipo di locale diffuso solo nelle grandi città. • Bar aeroportuale: è un bar situato negli aeroporti, che offre un servizio veloce di snack e caffetteria. Spesso non destina risorse alla pausa pranzo, in quanto negli aeroporti sono presenti diversi locali ad hoc. Anche il bar della Stazione è strutturato in maniera similare: servizio rapido per clientela di passaggio. • Lounge bar: il termine “lounge” significa divano ed infatti in tutti i locali di questo tipo è facile trovare una zona arredata con divanetti morbidi su cui “bighellonare” (dal verbo inglese to lounge). Oltre ai normali prodotti di caffetteria, si possono trovare anche prodotti come cocktail, vini di buon livello e stuzzichini particolari. Il Lounge bar si caratterizza inoltre per le serate a tema e musica dal vivo per fidelizzare la clientela. • Wine bar: specializzato soprattutto nella degustazione di vini di qualità, accompagnati da stuzzichini o da piatti particolari. Possibilmente il personale in servizio deve disporre anche la qualifica di sommelier per venire incontro alle esigenze dei clienti. • Bar casinò: la prerogativa principale di questo tipo di locale è lo sfruttamento di slot machine dove gli avventori possono fermarsi a giocare.

L’EDUCAZIONE AL CONSUMO DELL’ALCOL Non passa tempo che periodicamente, su giornali e TV, si parli di aumento di consumo di alcol tra adolescenti. La maggior parte, stando alle ricerche commissionate dall’Istat, riguarda l’abuso di birra, vino e aperitivi alcolici. L’incremento maggiore si registra tra le ragazze. Uno degli ultimi rapporti delle Indagini Multiscopo per l’Istat, segnala che la diffusione del consumo di alcol mostra un trend sostanzialmente stabile negli ultimi 8 anni, con un lieve aumento nel 2001, ed incrementi significativi tra i giovani, in particolare tra le donne. Dalla comparazione tra il 1998 (anno a partire dal quale sono stati utilizzati quesiti confrontabili con l’indagine attuale) ed il 2005 (anno di riferimento di questo rapporto) emerge che la quota di consumatori di alcol tra le persone di almeno 14 anni è stabile, intorno al 70%. Tra le giovani donne di 18-19 anni si osserva invece un incremento dal 53,3% al 56,3%, e tra le giovani di 20-24 anni dal 57,6% al 60,4%. Analizzando il consumo dei diversi tipi di bevande alcoliche, nello stesso periodo, emerge che la percentuale di persone di 14 anni e più che bevono vino, dopo alcune oscillazioni, si stabilizza al 57,6% (coloro che lo consumano giornalmente sono circa il 30%). I bevitori di birra sono invece il 47% (quelli che la bevono tutti i giorni sono circa il 5%). Un netto incremento si registra invece per il consumo di altri tipi di alcolici (aperitivi, amari, liquori ecc.) pari a circa quasi 4 punti percentuali (dal 39,5% al 43,1%) Sale dunque la quota di chi ha l’abitudine di consumare diversi tipi di bevande alcoliche (dal 47,5% del 1998 al 49,4% del 2005).

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Rispetto ai Paesi europei, tuttavia, l’Italia presenta un quadro meno allarmante, collocandosi tra gli ultimi Paesi per il consumo di alcol negli ultimi 12 mesi (Grafico 1). Preoccupa invece la maggiore diffusione in Italia del consumo di alcolici tra i ragazzi di 11-15 anni, con il 19,5% che dichiara di aver consumato bevande alcoliche nell’anno. Il consumo di alcol è più diffuso nelle regioni del Nord-est: Veneto (76,2%), TrentinoAlto Adige (75,4%), Friuli Venezia-Giulia (73,7%) e Emilia-Romagna (74,2%). Per gli

uomini ai primi posti si pongono il Veneto e la Lombardia (84,7%), il Piemonte (84,3%) e il Trentino-Alto Adige (84,2%). Per le donne le regioni in cui il consumo è più diffuso sono sempre quelle del Nord-est: Veneto (68%), Trentino-Alto Adige (66,8%), Friuli Venezia-Giulia (65,9%) e Emilia-Romagna (65%). La quantità di alcol che si consuma quotidianamente Secondo le Linee guida per una sana alimentazione dell’INRAN (l’Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione), in accordo con le raccomandazioni dell’OMS (Organizzazione mondiale della sanità), “la dose quotidiana che una persona in buona salute può concedersi senza incorrere in gravi danni non può essere stabilita da rigide norme, in quanto le variabili individuali sono tante …”. Un consumo considerato moderato può essere indicato entro il limite di 2-3 unità alcoliche al giorno per l’uomo, di 1-2 unità alcoliche per le donna e di una sola unità alcolica per gli anziani, da consumarsi durante i pasti. Per gli adolescenti fino a 15 anni, l’OMS raccomanda l’astensione totale dal consumo di alcol. I consumi che eccedono tali soglie potrebbero dunque considerarsi potenzialmente a rischio. Inoltre è da considerare che la tollerabilità all’alcol può essere compromessa anche da particolari condizioni di salute, da assunzione di farmaci o altri fattori individuali. Sulla base del consumo giornaliero delle diverse bevande alcoliche è stato quindi costruito un indicatore giornaliero, espresso in unità alcoliche e distinto per sesso. L’unità alcolica corrisponde alla quantità di alcol contenuta in un bicchiere piccolo (125 ml) di vino di media gradazione, o in una lattina di birra (330 ml) di media gradazione o in un bicchierino di superalcolico (40 ml).

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MODULO 1: LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE DI BAR

Alcuni comportamenti a rischio Consumo di alcolici fuori pasto, episodi di ubriacatura concentrati in singole occasioni (binge drinking), e consumo di alcol in età precoce rappresentano comportamenti a rischio per la salute. Consumo settimanale di alcolici fuori pasto Uno degli obiettivi di salute pubblica da raggiungere in materia di consumo di bevande alcoliche è la riduzione della percentuale di consumatori di bevande alcoliche fuori dai pasti. Dal 1998 al 2000 è aumentata la quota di persone che consuma almeno settimanalmente alcolici fuori pasto (da 5,1% nel 1998 a 6,9% nel 2000 per la popolazione di 14 anni e più). Il fenomeno si è stabilizzato dal 2001 in poi attestandosi a circa 7%. Nel 2005 tra le persone di 11 e anni e più il 6,8% ha dichiarato di bere alcolici fuori pasto almeno una volta a settimana. Sono più gli uomini delle donne a farlo (11,6% contro 2,3%) e in particolare I giovani: una quota rilevante di persone che consumano con cadenza almeno settimanale si registra già tra 18-19 anni (13,2% dei maschi e 7,4% delle femmine) e raggiunge il massimo tra 20 e 24 anni (15,2%), con forti differenze di genere (21,4% dei maschi e 9% delle femmine). Nella fascia di età successiva (25-29 anni) la quota si mantiene elevata (19,9% maschi contro 4,9% femmine), decrescendo via via all’aumentare dell’età.

Episodi di ubriacatura (binge drinking) Con l’espressione binge drinking si fa riferimento all’abitudine di consumare eccessive quantità (convenzionalmente 6 o più bicchieri di bevande alcoliche) in una sola occasione, come ad esempio durante una stessa serata o una festa. Questo comportamento si è diffuso prevalentemente nei Paesi del Nord Europa, ma si sta radicando tra i giovani anche in Italia e nei paesi dell’Europa mediterranea. In Italia il binge drinking è un’abitudine più diffusa nell’Italia settentrionale (10,8% Nord-est e 8,7% Nordovest) dove il fenomeno si verifica anche con maggiore frequenza: nell’Italia nord-occidentale l’11,3% della popolazione di 11 anni e più si è ubriacata più di 12 volte nell’anno. Consumo e abuso di alcol: minori a rischio È molto elevata la quota di minori che consuma alcol: nel 2005 in Italia i ragazzi di 11-15 anni che dichiarano di avere bevuto almeno una volta negli ultimi 12 mesi sono il 19,5%, nonostante siano al di sotto dei 16 anni, età prevista dalla legge per la 57


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

somministrazione di alcolici. Le differenze di genere sono più contenute rispetto alle altre classi di età (21,8% tra i maschi e 17% tra le femmine). Tra i ragazzi di 11-15 anni l’1% consuma alcolici fuori pasto almeno una volta a settimana e il 2,3% si è ubriacato almeno una volta nell’anno (3,2% tra i maschi e 1,3% tra le femmine). Tra i ragazzi di 16-17 anni emerge un quadro ancora più critico: uno su due ha consumato alcolici nell’anno e la quota di maschi è superiore a quella delle femmine (58,8% contro 42,4%). L’abitudine al consumo non moderato di bevande alcoliche da parte dei genitori sembrerebbe influenzare il comportamento dei figli. Infatti considerando i giovani tra 11 e 17 anni che vivono ancora in famiglia con almeno un genitore, emerge che sul totale dei giovanissimi, la percentuale di chi consuma anche in maniera saltuaria o occasionale bevande alcoliche è pari al 25,5%. Questa percentuale sale al 32% se almeno uno dei genitori fa uso non moderato di bevande alcoliche, mentre scende al 22,6% se nessuno dei due genitori assume alcol in modo non moderato. Alcol e fumo: due comportamenti a rischio fortemente associati Chi eccede nel consumo di alcol spesso associa anche altri comportamenti a rischio: uno di questi è l’abitudine al fumo. Il consumo giornaliero di alcol risulta fortemente associato con l’abitudine al fumo: tra i maschi fumatori il 54,5% consuma quotidianamente bevande alcoliche e la quota raggiunge il 59% tra i forti fumatori (20 e più sigarette al giorno), contro il 42,8% dei non fumatori. Inoltre, tra i maschi fumatori il 15,9% consuma quotidianamente alcol in misura non moderata (4 e più unità alcoliche al giorno), tra i forti fumatori tale quota raggiunge il 21,6% (contro l’8,4% dei non fumatori). Per le fumatrici si confermano tendenze analoghe, sebbene con quote più contenute. Anche il consumo di alcolici fuori pasto almeno una volta alla settimana risulta più diffuso tra quanti fumano (tra i maschi il 49,3% contro il 36,3% - tra le femmine il 26,3% contro il 13,1%). Emerge, infine, una maggiore propensione ad ubriacarsi tra i fumatori rispetto ai non fumatori (tra i maschi il 22,2% contro l’11,4% dei non fumatori - tra le femmine il 6,6% contro il 2,4% delle non fumatrici).

CALCOLARE IL CONTENUTO ALCOLICO IN UN COCKTAIL Per calcolare il contenuto di alcol in grammi presente nelle bevande, possiamo utilizzare questo semplice sistema. In questo modo sapremo per ogni bevanda quanti grammi di alcol sono contenuti. Conosciuta quindi la quantità di alcol in millilitri, di conseguenza è opportuno trasformarla in grammi poiché la soglia massima di consumo per persona, in base al suo peso corporeo, viene calcolata con questa unità di misura. Si procede quindi con il sistema appena illustrato, tenendo conto che il peso specifico dell’alcol è 0,79, inferiore a quello dell’acqua.

I 1.

2.

3.

4.

se su 100 parti di

ci sono tot parti di alcol

parto dalla quantità che servo

BRANDY

40,00%

40 ml

40x40 ml = 100

16 ml

x 0,79

12,6 g

VINO

12,00%

100 ml

12x100 = 100

12 ml

x 0,79

9,48 g

USANDO ...TROVO QUAN- ...LA MOLTIPLICO TO ALCOL C’È IN PER IL SUO PESO LA UNA DOSE... SPECIFICO... FORMULA...

58

...E OTTENGO


MODULO 1: LA FIGURA DEL BARMAN E LE TIPOLOGIE DI BAR

Dosi del servizio Ogni bevanda va servita in una certa dose. Analizziamole insieme.

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Curiosità

Il primo bartender Il primo bartender è stato Jerry Thomas, il quale risulta anche come autore del primo testo in materia: “How to mix drinks….or the Bon Vivants companion”, pubblicato nel 1860 (disponibile gratuitamente in pdf anche su www.aibmproject.it, sezione E-book).


Approfondimento COS’È L’ALCOL? L’alcol è il nome comune dato ad un gruppo di sostanze che hanno struttura chimica simile. I più conosciuti solo l’alcol etilico e l’alcol metilico. Alcol etilico Trattasi di un liquido incolore, molto volatile e infiammabile, definito anche “spirito di vino”, poiché è un prodotto della distillazione del vino, nel quale è contenuto nella misura del 10-15% (un vino di 10 gradi contiene10 parti di alcol su 100 parti di vino). L’alcol presente nel vino e nelle sostanze alcoliche si forma per la fermentazione degli zuccheri. Questi zuccheri, in presenza di funghi microscopici, i saccaromiceti, che secernono enzimi, vengono trasformati in alcol etilico e durante questo processo si sviluppa un gas, l’anidride carbonica, in modo così tumultuoso che la massa liquida sembra bollire. Succesivamente il liquido alcolico viene distillato per eliminare l’acqua e le altre sostanze estranee formatesi durante la fermentazione. Questa separazione è possibile perché l’alcol etilico bolle a 78,3 °C, mentre l’acqua bolle a 100 gradi. Si produce così alcol al 95-96% e, con particolari processi, anche al 100% (alcol assoluto). L’alcol etilico industriale si ottiene soprattutto dagli idrocarburi. Il cosiddetto “alcol denaturato” è alcol etilico, non bevibile per l’aggiunta di coloranti e sostanze di odore sgradevole. L’alcol etilico è usato come disinfettante, come solvente, nell’industria farmaceutica, dei profumi, della gomma sintetica ecc. Alcol metilico Veniva chiamato un tempo “spirito di legno” perché si otteneva dalla distillazione “secca” (cioè in assenza d’aria) del legno. Oggi si prepara facendo combinare l’ossido di carbonio e l’idrogeno. È un liquido incolore, facilmente infiammabile, che bolle a 65 °C. Viene usato nell’industria chimica, come anticongelante per motori a scoppio, come carburante per le automobili da corsa mescolato alla benzina. Essendo molto più tossico dell’alcol etilico (se ingerito può provocare cecità), la legge prevede che sia messo in commercio solo denaturato e colorato in verde, onde impedirne l’uso commestibile fraudolento.

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Quanto ne sai?

1 2 3

4 5 6

7

In cima alla gerarchia del bar vi è... a)

b) c)

Il Primo Barman Il capobarman Il proprietario del locale

Il bartender... a) b)

Lavora in once e può usare tecniche di working flair e exibition flair Usa solo il metodo Classico

c) È il tramite tra il Capobarman e il personale Il cameriere al bar... a) b) c)

Fa da tramite tra il bar e i clienti seduti Prepara cocktail e caffetteria Si occupa del servizio al banco

Il Barchef è... a) b) c)

Una nuova tipologia, tra il barman e lo chef Il Capobarman di un American Bar È lo chef che lavora nei bar

La bevanda principalmente consumata nell’American Bar è a) b) c)

Il caffè Il cocktail Vini di qualità

Il Bar del ristorante è specializzato a) b) c)

Nella caffetteria Nei cockyails Bibite e consumazioni in relazione al ristorante

Il Tea Room è diffuso sin da.. a) b) c)

Settecento Novecento Anni Ottanta 61


Crucibarman • 1

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2 Lavora in un bar ed è donna (7) 6 La si deve curare al bar (9) 13 Sa proporre e vendere i prodotti al tavolo (14) 14 Il suo cavallo di battaglia è il cocktail (11) 16 Locale che apre solo nei mesi primaverili ed estivi (12)

Orizzontali

20 Ci lavora il bartender al posto dei cl (4) 22 Sarebbe consigliabile non abusarne (5) 24 Spuntini veloci (6) 25 Offrono ai clienti spuntini veloci (8) 26 Si diletta con sfere di bitter (10) 27 I confini del flair (2)

1 Sinonimo di bar...d’albergo (7) 3 Alter ego del Piano bar (8) 4 Si trovano spesso nei bar stagionali da mangiare (18) 5 Ci lavora nel wine bar (9) 7 Offre bevande a base di latte (7) 8 Specializzato soprattutto nella degustazione di vini di qualità (7) 9 La inaugurò Thomas Twining nel 1787 (8) 10 Operatore del bar non specializzato (7) 11 Se c’è, meglio bassa (6) 12 Il primo bartender della storia conosciuto (11) 15 Equivalente del barman...negli USA (9)

Verticali

17 Locale ricco di divani (9) 18 Ci troviamo le slot machine (9) 19 Diffuso già dal Settecento in Francia, Germania ed Inghilterra (7)

21 Barman che si occupa anche di preparazioni culinarie (7) 23 Organizzazione mondiale della sanità (sigla) (3)

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modulo 2

FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA & GIN


IL PROCESSO PRODUTTIVO Gli ingredienti liquidi che useremo sono derivati principalmente da due tipi di lavorazione: la fermentazione e la distillazione. Entrambi questi procedimenti danno vita a liquori, amari, spiriti chiari e scuri e così via. La fermentazione Il procedimento più semplice è la fermentazione poichè non prevede intervento da parte dell’uomo. La fermentazione è la trasformazione di sostanze organiche (ricavabili dagli animali e dalle piante) in altre sostanze per l’azione di organismi piccolissimi (microorganismi). I microorganismi che agiscono nella fermentazione sono detti fermenti e comprendono le muffe, i lieviti e i batteri. I fermenti producono gli enzimi, ai quali è dovuta la fermentazione vera e propria. I prodotti più comuni che si ottengono grazie alla fermentazione sono: alcol etilico, aceto, acido lattico, acido citrico. L’alcol etilico, che è la base di tutti i prodotti alcolici, è ottenuto dalla trasformazione degli zuccheri (soprattutto glucosio e fruttosio, contenuti in moltissimi prodotti vegetali quali uva, mele, fichi, orzo) nell’alcol stesso e in anidride carbonica per mezzo di miscele di enzimi, che agiscono fuori del contatto dell’aria. I liquidi destinati alla fermentazione alcolica sono detti mosti; sono ottenuti o per spremitura dei prodotti naturali, o per infusione con acqua, oppure da liquidi zuccherini provenienti dalla lavorazione della bietola e della canna da zucchero. Ad esempio, se il mosto deriva dalla spremitura di uva, avremo il vino, il cui contenuto in alcol dipende dalla quantità di zucchero presente nel mosto iniziale posto a fermentare nei tini. La distillazione La distillazione, come principio, è molto semplice da comprendere: se scaldiamo una soluzione idroalcolica, l’alcol più volatile in esso contenuto evapora e si separa dall’acqua. Per produrre un’acquavite dobbiamo quindi utilizzare questo processo, composto dalla distillazione, appunto, dalla rettificazione e maturazione. A differenza del precedente sistema (la fermentazione) in questo sistema interviene l’uomo con il distillatore. Difatti per il processo della distillazione occorre un distillatore che è composto da: • un contenitore, dove il liquido fermentato viene portato ad ebollizione; • un condensatore, nel quale i vapori vengono raccolti e raffreddati, ottenendo così il distillato.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Le due parti sono collegate da un condotto che può avere varie forme. La distillazione può essere discontinua e continua. La distillazione discontinua è la tecnica più antica (e costosa) e si usa un alambicco con capacità limitata. Per raggiungere la giusta gradazione alcolica è necessario ripetere il passaggio più volte.

La distillazione continua utilizza un alambicco composto da due colonne suddivise da diaframmi metallici muniti di fori e sormontati da campane e tubi di scarico. Grazie a questo processo possiamo avere maggiori quantità di distillato. La rettificazione e la maturazione Dopo la distillazione, segue la rettificazione con la quale si eliminano le sostanze evaporate insieme all’alcol etilico. Una volta terminata questa fase, il distillato viene posto in invecchiamento: in questo modo il gusto e l’aroma si affinano e si verificano anche fenomeni di ossidazione e di evaporazione, grazie all’interazione tra il distillato ed il legno della botte.

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MODULO 2: FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA E GIN

I VARI TIPI DI DISTILLATI I distillati devono essere secchi (ovvero senza presenza di zuccheri, a differenza dei liquori), incolori (tranne i casi in cui siano affinati in botti) e non devono essere addizionati con coloranti, zuccheri ed altre sostanze in grado di modificarne colore e gusto. In base alla materia prima utilizzata ecco uno schema sintetico:

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

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MODULO 2: FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA E GIN

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

IL SERVIZIO DEI DISTILLATI La degustazione dei distillati si può fare in un bicchiere tipo ISO, oppure in bicchieri adatti, con giusta temperatura di servizio. È sconsigliabile bere distillati con ghiaccio, poiché questo fa perdere caratteristiche importanti, che invece risaltano quando vengono serviti a temperatura ambiente. Per ogni distillato, vi saranno dei suggerimenti su come degustarli.

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MODULO 2: FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA E GIN

LA VODKA Cosa è La vodka è un’acquavite prodotta principalmente dalla distillazione di un fermentato di cereali, in particolare grano, orzo e segale. In alcuni casi si può usare anche come materia prima patate, barbabietola da zucchero e frutta. In Russia è la bevanda nazionale. La sua gradazione si aggira intorno ai 40 gradi. Un po’ di storia Russia e Polonia si contendono la nascita della vodka (in polacco si dice wódka e in russo водка). Secondo i russi, la sua produzione è iniziata intorno al XIV secolo, precisamente nel 1540 quando lo zar Ivan “il Terribile” stabilisce il primo monopolio governativo della vodka ed affermando per legge che solo la nobiltà ha il diritto di distillarla. In Polonia invece affermano che la wodka sia nata molto prima della diffusione dell’alambicco: questo grazie ad un rudimentale processo di distillazione reso possibile dal clima molto rigido. In poche parole poiché l’acqua gela a zero gradi mentre l’alcol gela ad una temperatura più bassa, il liquido ottenuto facendo fermentare vino, birra e idromele veniva lasciato congelare, per separare così l’alcol (ancora liquido) dall’acqua. La produzione Se la Polonia e la Russia ospitano migliaia di distillerie che producono questa bevanda, la Vodka si è diffusa anche in altri Paesi, soprattutto dell’Est e del Nord Europa. Nell’Europa Occidentale e nel Nord America invece la sua diffusione è avvenuta in tempi relativamente recenti: prima del 1950 raramente di beveva al di fuori dei Paesi dell’Est. Poi prima in Europa e successivamente in America, la sua diffusione avvenne costantemente, tanto che nel 1975, negli USA, sorpassò le vendite del Bourbon Whiskey, fino ad allora il distillato più bevuto dalla popolazione americana. Dove la troviamo La vodka costituisce la base di numerosi cocktail internazionali, in particolare del Martini (Vodka), del Bloody Mary, del Kamikaze e tanti altri. La sua variante, che può essere aromatizzata, viene utilizzata di meno: tuttavia è presente in alcuni cocktail divenuti celebri, come il Cosmopolitan.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

La degustazione Il bicchiere adatto per degustare la Vodka deve essere alto e stretto, con una capienza di 5 cl. Prima di iniziare la degustazione, si abbia l’accortezza di lavarlo con acqua priva di cloro ed asciugarlo bene. La vodka, ben fredda, va versata nel bicchiere e fatta un po’ scaldare con la mano. Esame visivo Alla vista si deve presentare limpida e luminosa. Esame olfattivo Si fa ruotare il bicchiere e lo si avvicina al naso. Se ci troviamo davanti ad una Vodka di buona qualità, allora avvertiremo i profumi dei cereali, mentre se sentiremo un odore marcato di alcol etilico allora saremo davanti ad un prodotto di qualità mediocre. Esame gustativo Si sorseggia un po’ di vodka, la si trattiene in bocca: all’esame gustativo si deve presentare corposa con un sapore persistente. Gli abbinamenti idonei Abbinamento ideale per cocktail pre dinner e long drink Abbinamento OK

Abbinamento KO

Vermouth rosso, Vermouth dry, Aperol, Mandarinetto, Biancosarti, Sherry, Porto, Madeira, Marsala, Vodke aromatizzate (fragola ad esempio), Chartreuse gialla, Bénédictine, Cordial Campari, Bitter Campari, Galliano, Kahlùa, Crema di menta bianca, Crema di menta verde, Cointreau, Maraschino, Grand Marnier, Blu curaçao, Orange curaçao, Green curaçao, Batida de coco, Malibu, Passoã, succo di arancia gialla, pomodoro, succo di mirtillo, succo tropicale, maracuja, succo di limone, sciroppo di zucchero, sciroppo di granatina, sciroppo di rose, lemonsoda, Red Bull.

Altri tipi di distillato, spumanti, champagne, latticini, uova.

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MODULO 2: FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA E GIN

IL GIN Cosa è Il gin è un distillato di origine olandese, ma sviluppatosi poi soprattutto in Inghilterra. Si produce dalla distillazione di cereali vari e viene aromatizzato con bacche di ginepro ed altri ingredienti. Oggi è prodotto principalmente in Inghilterra e negli Stati Uniti (dove è più secco). Il gin olandese si presenta invece più corposo e morbido. La sua gradazione si aggira intorno ai 42 gradi. Un po’ di storia Il gin è stato ideato per la prima volta in Olanda verso la metà del 1600 grazie ad un medico dell’Università di Leida, Francisco Della Boe (conosciuto come Franciscus Sylvius). Il suo intento era di trovare un farmaco contro le febbri per i soldati olandesi che si trovavano nelle colonie orientali. Successivamente si diffuse anche in altri Paesi, principalmente in Gran Bretagna. Qui raggiunse l’apice della produzione finché Guglielmo III di Orange nel 1690 vietò l’importazione di distillati stranieri, primo fra tutti il Cognac degli acerrimi nemici francesi, favorendo così l’utilizzo delle eccedenze di cereali per la produzione di alcol da destinare alle distillerie di gin. La produzione Oltre all’Inghilterra e all’Olanda sono anche altri i Paesi dove si produce il gin. Annoveriamo: Scozia (Hendrick’s Gin), America (Bluecoat), Filippine (Ginebra San Miguel), Irlanda (Cork Dry Gin). Dove lo troviamo Il gin lo ritroviamo in numerosi cocktail, tra cui il celebre Martini Dry, il Gin Fizz, il Gibson ed altri ancora. La degustazione il bicchiere adatto per degustare il gin può essere come quello della Vodka (alto e stretto, con una capienza di 5 cl), oppure, in alternativa, un calice a tulipano. Esame visivo Alla vista si deve presentare limpido, senza particelle in sospensione. Esame olfattivo Si fa ruotare il bicchiere e lo si avvicina al naso. Il profumo predominante deve essere quello del ginepro. Se questo non avviene, allora siamo davanti ad un prodotto non di buona qualità. Esame gustativo Si sorseggia un po’ di gin, trattenendolo in bocca: si devono percepire la sensazione di pseudocaloricità dell’alcol, il gusto del ginepro e degli altri aromi.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Gli abbinamenti idonei Abbinamento ideale per cocktail pre dinner Abbinamento OK

Abbinamento KO

Vermouth rosso, Vermouth dry, Aperol, Mandarinetto, Biancosarti, Sherry, Porto, Madeira, Marsala, vodke aromatizzate (fragola ad esempio), Chartreuse gialla, Bénédictine, Bitter Campari, Pimm’s, succo di arancia, Apricot Brandy, Cherry Brandy, Cointreau, succo di limone, soda water.

Altri tipi di distillato, spumanti, champagne, latticini, uova.

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MODULO 2: FERMENTAZIONE & DISTILLAZIONE. GLI SPIRITI CHIARI: VODKA E GIN

TEQUILA E MEZCAL Cosa è La Tequila è un’acquavite prodotta dalla distillazione di una pianta succulenta, detta agave, che cresce in climi tropicali e subtropicali (si può trovare anche nel Mediterraneo). LaTequila è prodotta in Messico, nello stato di Jalisco. La sua gradazione si aggira intorno ai 40-45 gradi. Un po’ di storia Quando i conquistadores spagnoli giunsero qualche anno dopo la scoperta del nuovo continente, dopo il 1492, trovarono le bevande locali fermentate poco alcoliche e deperibili, inadatte anche al trasporto. Con un po’ di esperimenti, cuocendo la polpa dell’agave, facendo poi fermentare dopo il succo dolce ottenuto, si ottenne il Mezcal, prodotto principalmente nel villaggio di Tequila. Da qui si è poi diffuso in tutto il Messico. La differenza sostanziale tra i due prodotti, Tequila e Mezcal, è la seguente: il Mezcal si ottiene dall’agave admirabilis (agave con foglie larghe e carnose), la Tequila con l’agave weber azul (foglie strette e sottili e meno carnose). Inoltre la Tequila si produce nella zona di Jalisco: al di fuori di questa zona, vi è la produzione del Mezcal. La Tequila arrivò in America del Nord e in Europa alla fine del XIX secolo, ma la sua diffusione maggiore avvenne tra il 1975 ed il 1995, periodo durante il quale le sue vendite, solo negli USA, crebbero del 1500%. La produzione Come si accennava, la Tequila si produce principalmente nella città di Tequila, situata a 65 km a nord-ovest di Guadalajara e sugli altopiani (Los Altos) dello stato messicano di Jalisco occidentale. Qui, il terreno vulcanico della regione, si presta particolarmente alla coltivazione di agave blu e più di 300 milioni di piante sono raccolte ogni anno. Oltre a Jalisco, altre regioni possono produrre Tequila sempre all’interno del Messico (negli stati di Guanajuato, Michoacán, Nayarit e Tamaulipas). Solo il Messico può usare la parola “Tequila” per questo tipo di prodotto. Dove la troviamo La Tequila si trova in diversi cocktail, tra cui il celebre Margarita e il Tequila Sunrise. La degustazione Il bicchiere adatto per degustare questo distillato è un calice a tulipano. Se si degusta una Tequila invecchiata, la temperatura ideale deve essere di 18-20 °C.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Esame visivo Alla vista si deve presentare limpida, senza particelle in sospensione (è la Tequila detta Plata o Blanca o Fino). Se si presenta ambrata, allora ci troviamo di fronte ad un prodotto invecchiato, che ha riposato in legno di querce francesi e rovere bianco, per un periodo compreso tra i 3-12 mesi (detta Tequila reposado). Esame olfattivo Si fa ruotare il bicchiere e lo si avvicina al naso. Il profumo può indicarci se si tratta solo di agave, oppure vi sono altri ingredienti aggiunti. Esame gustativo Si sorseggia un po’ di Tequila, trattenendola in bocca: anche qui si valuta la sensazione di pseudocaloricità dell’alcol, oltre alle sensazioni di corposità che trasmette. Gli abbinamenti idonei Abbinamento ideale per cocktail pre dinner, after dinner e long drink Abbinamento OK

Abbinamento KO

Cointreau, Triple sec, liquori in genere, menta, succo di lime e succo di limone, succhi tropicali, succo d’arancia, succo d’ananas, Vermouth dry. Ottima con il sale (vedi cocktail Margarita).

Evitare spumanti e vino.

al Mezc i d e r solita parla rme gnerebbe venivano come v n e”); ezcal , biso ila co Tequ di Tequila i tipi di M olo, “verm come un : à t i s Curio à più che solo alcun (in spagn tato solo ualsiasi, n ” lt q ti In rea rme: infat on gusano ò fu prese un verme avis che i i g e c c a v d ti “ con 940 e n si tratta Hypopta endu 1 v l a e o t a men o intorno keting. N lla falen r e r parve ente di ma larvale d a i . d m e e r fo gav esp è una dell’a bensì lla pianta u vive s

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Quanto ne sai?

1 2 3

4 5 6

7

La distillazione idroalcolica serve per a)

b) c)

Separare alcol dall’acqua Ottenere i liquori Produrre la fermentazione

La rettificazione è utile per a) b)

Invecchiare il distillato prodotto Eliminare le sostanze evaporate con l’alcol

c) Aromatizzare il distillato I distillati sono generalmente... a)

Leggermente dolci

c)

Secchi

b) Dolci Per produrre la Vodka si possono usare a) b) c)

Cereali Canna da zucchero Vinacce

La Vodka si può trovare nei seguenti cocktail a) b) c)

Martini Dry, Bloody Mary, Vodka Martini Margarita, Bloody Mary, Vodka Martini Kamikaze, Bloody Mary, Vodka Martini

Il Gin è un distillato di a) b) c)

Cereali, aromatizzato con bacche di ginepro Cereali, aromatizzato con caramello Orzo

Il Gin lo troviamo nei seguenti cocktail Internazionali a) b) c)

Martini Dry, Gin Fizz, Americano Gin Fizz, Gibson, Kir Royal Paradise, Martini Sweet, John Collins 77


Crucibarman • 2

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2 Stato che dà origine alla Tequila (7) 4 Acqua ardente...francese (6) 7 Bicchiere adatto alla degustazione di spiriti (3) 12 Celebre drink con Tequila, Cointreau e succo di lime (9) 13 In Russia è la bevanda nazionale (5) 14 Liquidi destinati alla fermentazione alcolica (5) 15 Distillato di piante brasiliano (7) 18 Famoso cocktail degli anni Venti con Gin, Campari e Vermouth rosso (7) 19 Zucchero contenuto nel vino (8)

Orizzontali

21 Distillato di frutta ungherese (7) 22 Li producono i fermenti (6) 24 L’agave che dà origine alla Tequila (9) 26 Lo troviamo in qualche bottiglia di Mezcal (6) 27 Gin originario delle Filippine (16) 28 Uno dei drink preferiti da J. Bond (6) 29 Lì si fermenta il vino (4) 1 Le leggi della G.B. per limitare l’uso del Gin (7) 3 Si distilla in Georgia (5) 5 Tipo di distillazione con alambicco da due colonne (8) 6 Celebre cocktail a base di Vodka e succo di pomodoro (10) 8 Paese che ha dato origine al Gin (6) 9 Ideò il Gin (17) 10 Lo è di origine il Bluecoat Gin (9) 11 Senza presenza di zuccheri (6) 13 Si ottiene dalla spremitura di uva fermentata (4) 16 Vodka al limone ne costituisce la base (12)

Verticali

17 Gin ... legato a San Patrizio (10) 20 Distillato di vinacce argentino (5) 23 Cosi sono detti muffe, i lieviti e i batteri (8) 24 Distillato da cereali ...del Sol Levante (6) 25 Acquavite di vino...italiana (6) 26 Acquavite di vinaccia (6)

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modulo 3

GLI ALTRI SPIRITI: RUM, CACHAÇA, WHISKY E WHISKEY


RUM, CACHAÇA, WHISKY E WHISKEY Guida alla scoperta dei principali distillati in uso al bar, in particolare Rum, Cachaça, Whisky e Whiskey, dalle origini storiche, sino alla produzione e alle degustazione.

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modulo 4

DISTILLATI DI VINO E VINACCIA: GRAPPA, BRANDY, COGNAC, ARMAGNAC, CALVADOS 82


DISTILLATI DI VINO E VINACCIA Dal latino aqua vitis cioè acqua di vite, ma intendendo anche aqua vitae acqua di vita (Pierandrea Mattioli, 1500 — 1577:«fassi del vino l’acqua vite per lambicco, così chiamata per le meravigliose virtù sue, le quali ha per la conservazione della vita dell’uomo»). Inizia così la storia delle celebri acquaviti italiane (e non solo). Un viaggio nel mondo della grappa, brandy, per superare i confini nazionali e scoprire le altre eccellenze.

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modulo 5

I LIQUORI: COINTREAU, GRAND MARNIER, CURAÇAO, AURUM

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I LIQUORI I liquori sono un elemento importante nella preparazione dei cocktail (tanto quanto i distillati ed i cosidetti correttori)1. Se i distillati sono considerati la base per i cocktail, i liquori sono definiti caratterizzanti ed utilizzati per intensificare o rinforzare il cocktail. Tecnicamente i liquori sono bevande alcoliche composte da acqua, alcol, zucchero e aromi, prodotti con vari procedimenti (infusione e macerazione ad esempio), tranne (che in alcuni casi) la distillazione. In questo e-book sono esaminati i principali liquori e le loro caratteristiche, soprattutto legate all’utilizzo nei drink.

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modulo 6

L’APERITIVO, I VERMOUTH & GLI APERITIVI IN BOTTIGLIA 86


L’APERITIVO, I VERMOUTH E GLI APERITIVI IN BOTTIGLIA La parola aperitivo deriva dal latino “aperire”: ovvero aprire, iniziare. Nell’antica Roma si consumava una bevanda a base di vino e miele, prima del pasto, vero antenato del moderno aperitivo. Ma sarà solo negli anni Venti che si diffonderà l’abitudine di consumare l’aperitivo, anche grazie a Gaspare Campari che introdusse il consumo del Bitter e e del Cordial nei suoi locali, tra cui nel 1915 il Camparino in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, dove insieme ai cocktail a base di Campari venivano usualmente serviti stuzzichini e canapè. Da qui l’idea, fino ai nostri giorni, di creare un rito apposito: quello dell’aperitivo prima dei pasti. In questo e-book la storia e l’utilizzo degli aperitivi più celebri.

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modulo 7

BIRRA, SPUMANTI & CHAMPAGNE 88


LA BIRRA La birra è una delle più diffuse e più antiche bevande alcoliche del mondo. Compare già nell’antico Egitto, nella mitologia: gli antichi egiziani narrano che la dea Sekhmet venne fermata nella sua opera di distruzione facendole bere birra ed ubriacandola. Oltre alla leggenda, la birra, insieme al vino, già compariva sulle tavole degli egiziani. La birra si ottiene dalla fermentazione alcolica di un mosto di malto e d’orzo, ma si possono usare anche altri malti come frumento, avena, granturco, segale, con acqua e lieviti. Infine viene amaricato con il luppolo. Altre piante meno utilizzate sono invece la radice di manioca, il miglio e il sorgo in Africa, la patata in Brasile e l’agave in Messico. La classificazione In base alla normativa italiana le birre vengono suddivise in 3 categorie a seconda del grado Plato1 e del contenuto alcolico: Birra analcolica, che ha un grado Plato compreso tra 3 e 8 ed ha una gradazione alcolica non superiore a 1,2% vol.; Birra leggera o light, che ha un grado Plato compreso tra 5 e 10,5 ed ha una gradazione alcolica compresa tra 1,2% e 3,5 vol.; Birra con grado Plato superiore a 10,5 e la gradazione supera i 3,5% vol. La birra può essere definita anche “speciale” (se il grado Plato non è inferiore a 12,5) e “doppio malto” se non inferiore a 14,5.

Alcuni stili di birra Ale Sono birre prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces cerevisiae e seguono un processo ad “alta fermentazione” che predilige temperature elevate. Si tratta del procedimento più antico che rimane tuttavia ancora profondamente radicato specie nella cultura brassicola anglosassone e fiamminga. Bock Birra a bassa fermentazione dal sapore di malto e con un discreto tenore alcolico. Di colore si presenta chiara o ambrata. Lager Sono prodotte con i lieviti della specie Saccharomyces carlsbergensis e seguono un processo a “fermentazione bassa” che predilige temperature basse. Sono tra le birre più diffuse sul mercato.

1 Per grado Plato si intende la quantità di estratto secco contenuto in 100 grammi del mosto dal quale viene ricvata la birra. Per la maggior parte l’estratto secco è formato da zuccheri.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Lambic Prodotte esclusivamente in una regione del Belgio meridionale, dove il mosto è esposto a lieviti indigeni selvatici, come il Brettanomyces bruxellensis. Sono definite anche a “fermentazione spontanea”. Trappiste Il loro nome è legato ai frati trappisti che le producono. Sono birre ad “alta fermentazione” rifermentate in bottiglie. Originarie del Belgio (qualcuna anche dall’Olanda) si presentano di colore ambrato o rosso scuro. Il servizio della birra Si può effettuare in bottiglia o alla spina. In ogni caso l’unità di mescita è di 20 cl. Nella pratica... 1• Dopo aver stappato la bottiglia, inclinare a poco a poco e cominciare a versare nel bicchiere il contenuto. 2• Versare circa tre quarti o poco meno della birra. Ricordatevi di versare solo una parte, poiché prima di terminare il contenuto il bicchiere va raddrizzato e si versa il resto della birra: in questo modo si evidenzierà anche il cappello di schiuma, che dovrà risultare compatta e persistente, senza traboccare dal bicchiere. 3• Una volta terminato, raddrizzare il bicchiere e servire. Contrariamente a quello che si pensa, la schiuma deve coprire la birra e deve essere spessa dai 2 ai 4 centimentri: la schiuma è indispensabile non solo per l’aspetto visivo, ma anche perché non fa perdere l’aroma e la fragranza. Se il bicchiere non è perfettamente pulito, la schiuma tende a scomporsi: inoltre non si devono utilizzare detergenti profumati che potrebbero alterare il gusto della bevanda. La birra può essere servita in un bicchiere bagnato tenuto leggermente inclinato. Inoltre, per evitare la dispersione dell’aroma e dell’anidride carbonica, la bottiglia o la lattina devono essere stappate solo al momento del consumo. La scelta del bicchiere dipende dal tipo di birra. Le birre a bassa fermentazione sono caratterizzate da un profumo più delicato e vanno servite fresche. In questo caso si opterà per un bicchiere alto e stretto per limitare la superficie esposta al contatto con l’aria. Quelle ad alta fermentazione vanno invece servite in un bicchiere con il bordo superiore leggermente svasato. È il caso di birre come le doppio malto e le strong ale, che richiedono calici capienti e panciuti, mentre prodotti più impegnativi, come le birre d’abbazia belghe, possono essere servite in spesse coppe di vetro. Perché serve il “cappello” di schiuma? La maniera in cui si serve la birra ha una fondamentale importanza per quello che concerne il rilascio degli aromi ed il classico “cappello” di schiuma. Infatti se lasciamo almeno 2 cm di schiuma nel boccale, si protegge la birra dal contatto dell’aria, impedendo così che perda la fragranza e l’aroma.

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MODULO 7: BIRRA, VINO, SPUMANTI & CHAMPAGNE

GLI SPUMANTI I vini spumanti sono vini caratterizzati (all’apertura della bottiglia) dalla produzione di spuma: questa è dovuta all’elevata presenza all’interno della stessa di anidride carbonica prodotta per fermentazione. Gli spumanti in questo caso sono definiti naturali: l’anidride carbonica si forma per rifermentazione in bottiglia o in autoclave. I vini artificiali sono invece quelli prodotti per addizione di questo gas ad un vino fermo. Secondo le leggi della Comunità Europea (II Reg. CEE 337/79), lo spumante naturale si ottiene dalla prima o seconda fermentazione alcolica di uve fresche, di mosto, di vino da tavola o di vino di qualità prodotto in regione determinate, caratterizzato alla stappatura del recipiente da uno sviluppo di CO2 proveniente esclusivamente da fermentazione e che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta una sovrappressione non inferiore alle 3 atmosfere e una gradazione alcolica minima di 9,5 C°. Se gli spumanti si ottengono solo da uve bianche sono definiti blanc de blancs, se invece sono ottenuti da uve nere blanc de noirs. In base al sistema di produzione inoltre si possono classificare in: spumanti metodo Classico (con rifermentazione in bottiglia); spumanti metodo Martinotti o Charmat (con rifermentazione in grossi recipienti o autoclavi). Un po’ di storia La leggenda narra che il progenitore dello spumante (lo Champagne) nasca in Francia nell’abbazia di Hautvillers ad opera del monaco Dom Pierre Pérignon nel XVII secolo. In realtà da un antico trattato, “De salubri potu dissertatio” scritto da un medico fabrianese, tale Francesco Scacchi e risalente al 1622, si trovano già le caratteristiche produttive e terapeutiche dei vini rifermentati in bottiglia (gli antesignani dei moderni spumanti). Il Metodo Classico Nel metodo Classico il vino-base viene rifermentato in bottiglia. Questo sistema richiede diversi anni ed il prodotto ottenuto è di grande pregio. I profumi frequenti ricordano i fiori, frutta fresca e secca, la fragranza (che ricorda il pane sfornato) ed altre note interessanti. Le uve più utilizzate sono Pinot Nero e Chardonnay, mentre per quelli aromatici si usano vitigni aromatici: Moscato bianco, Malvasia e Brachetto. In Italia, con l’istituzione del Talento Metodo Classico nel 2004, si garantisce la produzione di 91


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

uno spumante nelle zone e sottozone di regioni dell’arco alpino, che abbiano determinate caratteristiche (informazioni ed approfondimenti su www.talento.to). Nel 2010 vi è stata un’ulteriore regolamentazione: per potersi dichiarare Talento, ora uno spumante deve avere un residuo zuccherino inferiore a 12 grammi per litro. Ciò significa che possono essere Talento solo gli spumanti che, secondo la classificazione europea, appartengono alle categorie “dosaggio zero”, “brut nature”, “extra brut” e “brut”, con esclusione quindi di tutte le categorie semidolci e dolci. Il metodo Charmat o metodo Martinotti Gli spumanti sono ottenuti grazie a delle autoclavi, dei grossi contenitori in acciaio con un’intercapedine all’interno della quale circola una soluzione refrigerante. In questo caso la produzione è molto più veloce: di conseguenza anche le caratteristiche finali del prodotto sono diverse.

LO CHAMPAGNE Quando parliamo di champagne, si intende solo quel vino speciale prodotto nell’omonima regione della champagne situata a circa 150 km a nord-est di Parigi, i cui vitigni sono coltivati nelle zone della Valle della Marne, nella Montagna di Reims, nella Cõte del Blancs, nell’Aisne e nell’Aube. Lo Champagne viene prodotto con il metodo Champenois (il quale sarebbe l’originale metodo oggi definito “Classico”). I vitigni principali impiegati nella produzione dello Champagne sono il Pinot Nero, il Pinot Meunier e lo Chardonnay (unico vitigno a bacca bianca). È possibile avere anche lo Champagne millesimato, ottenuto dalla cuvèe di vini-base di una vendemmia particolare (e fortunata). L’anno della vendemmia viene riportata sul tappo e sull’etichetta. Secondo la legislazione francese le cuvèe non possono essere messe in commercio prima di 3 anni dalla vendemmia con la quale si è ottenuto il vino-base più giovane (per i millesimati ci vogliono almeno 5 anni).

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MODULO 7: BIRRA, VINO, SPUMANTI & CHAMPAGNE

I Crémant Il termine Crémant indicava, fino al 31 agosto 1994, gli champagne elaborati in modo da sviluppare meno anidride carbonica (2,5-3 atm anzichè i 4,5 atm degli champagne) e con spuma più delicata. Il regolamento CEE n° 2045/89 del Consiglio europeo del 14/06/1989 precisava le nuove norme di utilizzazione della definizione “Crémant”, riservata esclusivamente: ai vini spumanti di qualità; prodotti in regioni determinate, in Francia e in Lussemburgo (ad esclusione della zona dello Champagne) e ai vini che rispettano le norme particolari emanate dallo stato membro per regolarne l’elaborazione. In pratica, per quanto riguarda la Francia, l’appellativo “Crémant” è riservato ai soli vini a denominazione: Crémant d’Alsace (Alsazia), Crémant de Borgogne (Borgogna), Crémant de Loire (Loira), Crémant de Bordeaux, Crémant de Limoux, Crèmant du Jura e il Crèmant de Die. Il servizio dello champagne 1• Per servire correttamente lo champagne (o spumante), per prima cosa togliete la capsula ed allentate o eliminate anche la gabbietta di metallo (attenzione a non far partire il tappo all’improvviso!). 2• Poi impugnate la base della bottiglia con la mano destra, tenendo fermo il tappo tra indice e pollice della mano sinistra. Con la mano destra fate ruotare la bottiglia. È consigliabile tenere la bottiglia inclinata a circa 45°, per aumentare la superficie del liquido a contatto con l’aria: in questo modo si evitano fastidiose e inopportune fuoriuscite di prodotto. 3• Stappate senza botto (!), ma con delicatezza. Annusate il tappo, riponendolo poi in apposito piattino. Né la capsula, né gabbietta e tappo vanno gettati nel secchiello del ghiaccio, così anche la bottiglia vuota non va mai rovesciata nel secchiello. 4• Lo spumante (o champagne) va servito in apposite flûte per favorire il perlage. Il perlage (o effervescenza) è la caratteristica tipica dei vini spumanti apprezzabile con la formazione di tante piccole bollicine che vanno dalla base del bicchiere verso l’alto. Questo movimento è causato dalla liberazione dell’anidride carbonica formatasi nella seconda fermentazione.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Curiosità champagne: solitamente sulle bottiglie di Champagne non viene indicata l’annata di produzione: in questo caso si definisce “sans année”, senza annata appunto. Ciò è dovuto al fatto che ogni “cuvée” è costituita da vini provenienti da vitigni diversi, da zone vitivinicole diverse (sempre della zona dello Champagne) e da annate diverse. Sarà poi compito del maestro cantiniere assemblare sapientemente le cuvée. Il perlage: l’attenta osservazione del perlage è uno dei criteri con cui il sommelier valuta la qualità di un vino spumante: difatti se ci troviamo davanti a bollicine numerose, piccole, rapide nel salire in superficie e persistenti nel tempo, significa che siamo in presenza di un vino di pregio. Diversamente, se le bollicine sono scarse, grossolane, lente nell’ascesa e rapide nell’estinguersi, significa che il vino è di livello modesto.

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Quanto ne sai?

1 2 3

4 5 6

7

La birra si ottiene principalmente da... a)

b) c)

Mosto di cereali Mosto di malto e d’orzo Miele e castagne

Il vino si ottiene dalla fermentazione alcolica... a) b) c)

Delle vinacce Dell’uva e del mosto Dell’uva appassita

I vini passiti sono considerati a) b) c)

Vini speciali Solo vini bianchi Vini novelli

La dose di un bicchiere di vino è... a) b) c)

10 cl Tra 10 e 12 cl 15 cl

Il metodo Classico prevede ... a) b) c)

Rifermentazione in autoclave Rifermentazione in bottiglia Tecnica mista con le prime due

Il Talento Metodo Classico è stato introdotto nel... a) b) c)

1990 2000 2004

I Crémant si producono in... a) b) c)

Francia Francia e Lussemburgo Belgio 95


Crucibarman • 7

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2 Non fa perdere l’aroma e fragranza (7) 6 Può essere in rosso, bianco o rosato (13) 8 Funghi microscopici presenti nella buccia dell’uva (7) 9 Fu fermata nella sua opera di distruzione con la birra (7) 10 Cereale usato come mosto per la produzione della birra (4)

Orizzontali

11 Spumante francese prodotto al di fuori della regione di Reims (7) 13 Ha un grado Plato tra i 3 e 8 (10) 16 Pianta grassa messicana per produrre non solo Tequila, ma anche birra (5) 18 Medodo Classico...in francese (10) 19 Lì conoscevano già la birra, migliaia di anni fa (6) 20 Tipo di birre tra le più diffuse sul mercato (5) 21 Tipo di Pinot per lo champagne (4)

1 Tipo di vino in vendita solo dopo il 6 Novembre (7) 3 La materia prima per fare il vino (3) 4 La subisce l’uva raccolta (13) 5 Bicchiere adatto per valorizzare lo spumante (5)

Verticali

7 Lo è se c’è l’anidride carbonica (9) 9 La si usa in Africa per produrre birra (5) 12 La capitale dello champagne (5) 14 Leggera...alla maniera di Churchill (5) 15 Serve per amaricare le birre (7) 17 Sono i cl che rappresentano l’unità di mescita della birra (5)

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modulo 8

VINI LIQUOROSI

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I VINI LIQUOROSI I vini liquorosi (detti anche vini fortificati) sono quei vini prodotti usando un vinobase (di gradazione alcolica non inferiore a 12%) che viene addizionato di mistella (un mosto al quale è stata bloccata la fermentazione mediante aggiunta di alcol), di alcol, di acquavite di vino o mosto concentrato o cotto (mosto parzialmente disidratato), con lo scopo di aumentarne la gradazione alcolica. In questo e-book l’approfondimento su questo tipo di vini ed alcune curiosità.

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modulo 9

L’ACQUA

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Per acqua minerale si intende l’acqua di tipo sorgiva, che viene solitamente commercializzata in bottiglie (vetro o plastica). In Italia per essere rivenduta deve rispondere ai criteri di legge stabiliti dal D.L. 25/1/1992 n.105 (modificato dal D.Lgs 339/99 in attuazione della Direttiva 96/70/CE), dove si legge, tra l’altro, “sono considerate acque minerali naturali le acque che, avendo origine da una falda o giacimento sotterraneo, provengono da una o più sorgenti naturali o perforate e che hanno caratteristiche igieniche particolari e proprietà favorevoli alla salute”. Per le acque potabili, le ultime due particolarità (caratteristiche igieniche e proprietà salutari) non sono invece richieste. Inoltre secondo la normativa l’acqua minerale deve essere imbottigliata così come sgorga dalla sorgente, senza trattamenti chimici, ad esclusione dell’anidride carbonica. Le bottiglie di vetro hanno lasciato il posto alle più economiche bottiglie in PET (polietilene), una resina termoplastica che si presenta come un solido trasparente (forma amorfa) o bianco (forma cristallina). Ha ottime proprietà isolanti e stabilità chimica; materiale molto versatile tanto da essere usato come isolante per cavi elettrici, film per l’agricoltura, borse e buste di plastica, contenitori di vario tipo, tubazioni, strato interno di contenitori asettici per liquidi alimentari (“Tetra Brik Aseptic”) e molti altri. Il mercato delle acque minerali in bottiglia ha un’importanza particolare in Italia, poiché il nostro Paese guida nettamente la classifica del consumo mondiale procapite, con volumi che si sono triplicati dal 1985 (65 litri annui pro capite) al 2006 (194 litri annui). Questo naturalmente ha un riflesso anche nella ristorazione, dove l’acqua minerale ha raggiunto una discreta importanza, tanto che sono nati anche dei corsi appositi di degustazione acqua.

LA CLASSIFICAZIONE Per la legge italiana le acque minerali commerciabili possono essere divise in varie categorie secondo quanto indicato da un decreto legislativo del 1992: • acque minimamente mineralizzate con residuo fisso a 180° è inferiore a 50 mg/L; • acque oligominerali (o leggermente mineralizzate) con residuo fisso è compreso tra 50 e 500 mg/L; • acque ricche di sali minerali con residuo fisso è superiore a 1500 mg/L. Per le acque il cui residuo fisso è compreso tra 500 e 1500 mg/L il decreto non fornisce indicazioni di nomenclatura.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Esistono poi altre categorie, sempre previste dal decreto, legate alla concentrazione di specifici sali minerali: contenente bicarbonato se il bicarbonato è superiore a 600 mg/l; solfata se i solfati sono superiori a 200 mg/l; clorurata se il cloruro è superiore a 200 mg/l; calcica se il calcio è superiore a 150 mg/l; magnesiaca se il magnesio è superiore a 50 mg/l; fluorata se il fluoro è superiore a 1 mg/l; ferruginosa se il ferro bivalente è superiore a 1 mg/l; acidula se l’anidride carbonica libera è superiore a 250 mg/l; sodica se il sodio è superiore a 200 mg/l; iposodica indicata, per le diete povere di sodio, se il sodio è inferiore a 20 mg/l. La concentrazione di sali di calcio e di magnesio determina la durezza dell’acqua, che viene misurata in gradi francesi (un grado francese corrisponde a 0,01 g di carbonato di calcio per litro). La durezza è un elemento importante nel consumo dell’acqua: infatti un’eccessiva durezza dell’acqua può causare problemi alla salute del consumatore.

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MODULO 9: L’ACQUA

LETTURA DELL’ETICHETTA In Italia contenitori delle acque minerali devono riportare le seguenti indicazioni: acqua minerale naturale, eventualmente integrata con una classificazione basata sul contenuto di anidride carbonica; totalmente degassata, se l’anidride carbonica libera presente alla sorgente è stata totalmente eliminata; parzialmente degassata, se l’anidride carbonica libera presente alla sorgente è stata parzialmente eliminata; rinforzata col gas della sorgente, se il tenore di anidride carbonica libera, proveniente dalla stessa falda o giacimento, è superiore a quello della sorgente; aggiunta di anidride carbonica, se all’acqua minerale naturale è stata aggiunta anidride carbonica non prelevata dalla stessa falda o giacimento; naturalmente gassata o effervescente naturale, se il tenore di anidride carbonica libera, superiore a 250 mg/L, è uguale a quello della sorgente; la denominazione dell’acqua minerale naturale ed il nome della sorgente ed il luogo di utilizzazione della stessa; l’indicazione della composizione analitica, risultante dalle analisi effettuate, con i componenti caratteristici;

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

la data in cui sono state eseguite le analisi e il laboratorio presso il quale dette analisi sono state effettuate; il contenuto nominale; il titolare dell’ autorizzazione regionale all’utilizzo dell’acqua; il termine minimo di conservazione; la dicitura di identificazione del lotto; informazioni circa alcuni eventuali trattamenti di separazione di elementi chimici Tra le acque gassate rammentiamo anche l’acqua di selz e l’acqua di soda (soda water), entrambe utilizzate nella preparazione di drink (come l’Americano e il Mojito). Acqua di selz e soda water L’acqua di selz si ottiene sovrasaturando l’acqua potabile con anidride carbonica, mentre la soda water è ottenuta con l’aggiunta all’acqua potabile di anidride carbonica e bicarbonato di sodio. Come servirla Sono tanti i modi di servire l’acqua e non è detto che sia sempre per sete. Infatti l’acqua può essere servita accompagnata ad un caffè (in piccoli shot), oppure insieme ad aperitivi come il Pastis. Il servizio classico prevede l’acqua servita in un tumbler medio oppure in un bicchiere tipo old fashioned. Se è gassata, deve essere servita fresca (rende gradevole l’acidità contenuta nell’acqua gassata). Si può aggiungere, se il cliente lo gradisce, anche succo di limone o mezza fetta di limone: in questo caso diventa dissetante poiché l’acido citrico contenuto nell’agrume riequilibra il pH del sangue, alterato dalla perdita di liquidi .

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Note

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modulo 10

CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ 106


Per caffetteria si intende l’insieme dei prodotti (non solo caffè, ma anche altre bevande calde e fredde, snack, paste dolci) che vengono serviti in locali attrezzati, principalmente bar, ma anche ristoranti. L’etimologia stessa di “caffetteria” ci porta dritto al caffè: vediamo quindi di cosa si tratta. La produzione La pianta del caffè è un sempreverde che cresce in vari Paesi tropicali. È particolarmente diffusa nelle Americhe (Brasile, Colombia, Antille, Guatemala), in Kenya ed altri Paesi africani. Il 60% del totale prodotto nel mondo viene consumato in Europa. Esistono varie specie di caffè, anche se generalmente si parla sempre di due: l’Arabica, più pregiata, e il Robusta. I chicchi verdi di caffè contengono materie grasse, sali, glucidi, acidi e caffeina. Con la torrefazione i chicchi sono tostati ad una temperatura elevata in modo da ottenere il caratteristico aroma e sapore. Ecco le caratteristiche delle principali specie di caffè: Coffea Arabica Cresce bene in terreni ricchi di minerali, di origine vulcanica soprattutto, situati oltre i 600 metri di altezza ed una temperatura media di 20 °C. La caffeina contenuta varia da 0,9 a 1,7% e concede al caffè un aroma con sapore persistente. L’Arabica rappresenta da sola i circa della produzione mondiale del caffè. Coffea Robusta Si differenzia dall’Arabica per alcuni particolari, dai grani più piccoli, tondeggianti, ma più ricchi di caffeina (fino al 2,8%). Però dà un aroma più debole ed un sapore tendente all’amaro. Si coltiva anche in Indonesia, Uganda, India e Africa occidentale. Oltre a queste due varietà, sono da annoverare anche le seguenti: Coffea iberica, Coffea excelsa, Coffea stenophylla, Coffea mauritiana, Coffea racemosa, Coffea congenis. Un po’ di storia Fino al XIX secolo non era certo quale fosse il luogo di origine della pianta del caffè e, oltre all’Etiopia (precisamente nella regione di Caffa), si ipotizzava la Persia e lo Yemen. Secondo Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale La Scienza in cucina e l’Arte di mangiar bene, il miglior caffè è quello di Mokha, nello Yemen, (arabo al-Mukhā): si tratta di un porto sul mar Rosso sulla costa dello Yemen. Mokhã è famosa per essere stata il maggior mercato per il caffè dal XV al XVII secolo: da qui ne deriva anche il nome della famosa qualità moca. Anche dopo che furono trovati altri luoghi per la coltivazione del caffè, i chicchi provenienti da Mokhã continuano ad essere apprezzati per il loro forte profumo di cioccolata. Tra le leggende più famose sull’origine del caffè, la più conosciuta narra di un monaco siriano il quale osservò che pecore e capre del suo gregge erano diventate molto irrequiete dopo aver mangiato foglie e bacche di una pianta: quella del caffè appunto. Arrivata la notte le capre anziché dormire si misero a vagabondare con energia e vivacità mai espressa fino ad allora. Vedendo questo egli ne individuò la ragione: provò ad abbrustolire i semi della pianta mangiati dal suo gregge, li macinò e, dopo averne fatta un’infusione, ottenne il caffè, somministrandolo poi ai monaci del suo monastero e bevendolo egli stesso. 107


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La produzione Una volta maturati i frutti, questi vengono raccolti sostanzialmente con due metodi: il picking e lo stripping. Picking É il metodo più costoso perché si esegue esclusivamente a mano. Infatti vengono selezionate le ciliegie mature e quindi gli addetti alla raccolta devono passare tra i vari filari più volte alla settimana; Stripping Questa metodologia è meno costosa per il fatto che vengono raccolti i frutti velocemente e senza esaminarli: non si fa altro che impugnare un ramo della pianta per poi farlo passare con forza tra le dita della mano. In questo modo si raccoglie un po’ di tutto: dalle ciliegie mature, a quelle acerbe, a quelle marce, fino alle foglie della pianta. Naturalmente la qualità del raccolto ottenuta con questa metodologia è inferiore a quella che si può avere col picking. A seconda che si utilizzi uno dei due metodi si hanno ripercussioni sul gusto finale del caffè: con il picking i chicchi sono tutti ad uno stesso livello di maturazione, mentre con il secondo sistema la presenza di semi di caffè ad un differente livello di maturazione rischia di dare risultati peggiori nel prodotto finale. Se sono presenti dei semi acerbi infatti il caffè risulterà più amaro e con un gusto astringente. Una volta raccolti, i semi vengono liberati dalle drupe per essere sottoposti a tostatura (conosciuta anche con il termine di torrefazione). In questo modo i chicchi vengono riscaldati fino ad acquistare il classico colore giallo-bruno e l’aroma caratteristico. Prima o dopo la torrefazione, viene effettuata la miscelazione: si mescolano i diversi tipi di caffè per ottenere un prodotto con gusto e aroma equilibrato. Questa operazione viene affidata a degustatori specializzati. Successivamente si passa al confezionamento che può essere: sottovuoto in sacchetti o barattoli metallici, chiusi ermeticamente; in sacchetti o barattoli con valvola che permette di fuoriscire i gas sprigionati dal caffè (ma evita di far entrare l’aria); sotto pressione di gas inerti in barattoli metallici (pressurizzazione): dai contenitori viene estratto l’ossigeno, ed al suo posto viene immesso azoto a una pressione più alta di quella atmosferica.

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MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

IL CAFFÈ ESPRESSO E LA REGOLA DELLE 4 M Il caffè (o l’espresso) è la bevanda più consumata nei bar italiani: per questo motivo, ai corsi per baristi e barman, o anche negli Istituti Professionali per l’Enogastronomia, settore Sala e Vendita, una delle prime cose che si insegna è come fare un buon caffè. Per fare questo occorre conoscere la “regola della quattro M”, dove la M sta per Macchina espresso, Macinadosatore, Miscela e Mano dell’operatore. La Macchina espresso Fondamentale per ottenere un buon caffè, deve essere sempre pulita (è una degli oggetti su cui cade l’occhio del cliente) e funzionante. Le parti principalmente utilizzate dal barman sono i filtri, portafiltri, doccette e guarnizioni che devono essere sempre tenuti lindi. Per le doccette e guarnizioni si utilizza il cosiddetto “filtro cieco”. Il Macinadosatore Il macinadosatore permette di macinare i chicchi trasformandoli in polvere di caffè. A secondo dell’umidità, si può regolare in modo tale che la grana sia più fine se l’aria è secca, mentre in caso di maggiore umidità, deve essere più grossa. La grana più grossa, infatti, permette di compattarsi di meno, consentendo all’acqua di penetrare maggiormente nella polvere di caffè e scendere. La Miscela La miscela scelta deve presentare una giusta armonia tra sapore acido e amaro. Tutte le miscele che beviamo sono fatte di caffè di origini diverse ed ogni origine porta le sue note aromatiche, la sua dose di amaro e di dolce, il suo particolare corpo. La Mano dell’operatore Seppur grazie alle moderne tecnologie la macchina espresso si è evoluta, resta comunque il fatto che la mano dell’operatore è indispensabile. La prima cosa che si impara è riconoscere un caffè espresso perfetto dall’aspetto della crema. La crema dell’espresso deve presentarsi con un bel color nocciola (come quella che osservate nelle pubblicità); essere spessa 3-4 millimetri, con maglie sottili, ma in grado di sopportare il peso dello zucchero (che scende più o meno lentamente); e, una volta adagiato lo zucchero in fondo, la crema deve ricomporsi, anche dopo aver mescolato con il cucchiaino.

Focus: la caffeina non si trova solo nel caffè, ma anche in altre piante come il tè, il mate, la cola ecc. Il suo effetto principale è quello di procurare una lieve eccitazione, con senso di benessere e una maggiore vivacità intellettuale. Occhio però all’abuso... 109


COME PREPARARE UN BUON ESPRESSO...

Togliere il portafiltri dalla macchina e svuotare il residuo del precedente caffè, battendolo su un’apposita staffa del cassetto.

Dopo aver regolato la ghiera del macinadosatore, far fare alla leva uno o due scatti (a seconda della quantità dei caffè da preparare). Successivamente premere la polvere di caffè con un apposito pressino a mano, oppure utilizzando quello del macinadosatore.

Far uscire l’acqua dal gruppo (purge). Inserire il portafiltro, ruotandolo e bloccandolo. Dopo aver appoggiato la tazzina vuota del caffè, perfettamente pulita, procedere all’erogazione.

Nelle macchine da caffè un po’ datate, l’erogazione avveniva manualmente (il flusso veniva interrotto dal barista). Nelle macchine da caffè automatiche, il flusso dell’espresso si blocca automaticamente. Alla fine controllare sempre il risultato. 110


MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

ESPRESSO: DIFETTI & SOLUZIONI

CAFFÈ SOVRAESTRATTO

CAFFÈ SOTTOESTRATTO

DIFETTO

La schiuma si presenta scura ed il gusto è amaro e astringente.

CAUSE

La dose è superiore ai 7 grammi. Macinatura troppo sottile. Pressatura eccessiva. Temperatura dell’acqua superiore ai 92 °C. Pressione della pompa superiore a 10 atmosfere. Tempo di estrazione superiore ai 30 secondi.

RIMEDI

Regolare la ghiera e le dosi del macinadosatore. Regolare il termostato per abbassare la temperatura. Controllare l’indicazione della pressione.

DIFETTO

La crema è molto chiara e può presentare larghe bolle.

CAUSE

La dose è inferiore ai 7 grammi. La macinatura risulta troppo grossa.La temperatura dell’acqua è inferiore a 88 °C. Pressione della pompa inferiore a 9 atm. Il tempo di estrazione è inferiore a 20 secondi.

RIMEDI

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Regolare la ghiera e le dosi del macinadosatore. Regolare il termostato per abbassare la temperatura. Controllare l’indicazione della pressione.


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

CAFFÈ SCARSA CREMA

FONDI DI CAFFÈ IN TAZZA

DIFETTO

Scarsa tenuta della crema.

CAUSE

Macinatura eccessivamente fine o troppo grossa. Estrazione prolungata causa otturazione filtro. Estrazione veloce per otturazione doccette. Temperatura acqua maggiore 90° C.

RIMEDI

Riportare la macinatura agli standard predefiniti. Pulire accuratamente. Pulire o sostituire doccette. Diminuire la pressione.

DIFETTO

Fondi di caffè in tazza.

CAUSE

Macinatura troppo fine. Macine consumate. Pressione pompa maggiore 9 bar. Dilatazione fori filtro. Doccette otturate.

RIMEDI

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Macinatura più grossa. Sostituire macine. Diminuire bar pompa. Sostituire filtri. Pulire o sostituire doccette.


MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

AVVALLAMENTI SUI FONDI

GOCCIOLAMENTO

DIFETTO

Avallamenti sui fondi di caffè.

CAUSE

Doccette parzialmente otturate.

RIMEDI

Pulire o sostituire doccette.

DIFETTO

Il caffè gocciola dal bordo del portafiltro.

CAUSE

Foro di erogazione del portafiltro otturato. Scarsa tenuta della guarnizione sottocoppa.

RIMEDI

Pulire servendosi di un punteruolo. Sostituire guarnizione.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Alcuni suggerimenti su una corretta manutenzione della macchina espresso I nuovi brevetti per migliorare la funzionalità della macchina espresso nascono dai bisogni dell’operatore, il quale tutti i giorni si ritrova a desiderare una particolare funzione per fare in modo che il suo lavoro ne tragga beneficio e ne apporti vantaggi indiscutibili. Segnaliamo due brevetti (recensiti su Bar Giornale) che vale la pena di prendere in considerazione. Il primo si chiama Pro-Fondi (www.pro-fondi.com), ideato da un arredatore, Marco Ambrosini. L’idea è semplice: considerato il cattivo stato del cassetto dedicato alla battuta del portafiltro (il quale non solo si usura, ma disperde anche nell’ambiente polvere di caffè), egli ha ideato un macchinario che spazzola il portafiltro in un’apposita fessura. In questo modo si ripulisce in maniera silenziosa il filtro e i fondi vengono raccolti in un sacchetto posto sotto il banco. Anche la lancia vapore che utilizziamo per montare la crema di latte necessita di essere tenuta sempre pulito e liberato dai segni di incostrazione. Tenendo presente che lasciarla ricoperta dei segni di deposito del latte o pulirla ripetutamente con spugne non è igienico, è stato ideato Pulister: si tratta di una guaina in acciaio rivestita all’interno di materiale plastico. Una volta collegata mediante tubo alla caldaia e fissata accanto alla lancia, grazie ad un perno, con una breve pressione si sposta e la avvolge. Basta pertanto premere un pulsante e dai fori all’interno sono erogati getti di acqua bollente che ripuliscono la superficie incrostata.

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MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

IL CAPPUCCINO E ALTRI CAFFÈ Cos’è Il cappuccino è una bevanda composta da caffè espresso, latte caldo e schiuma di latte, in parti uguali. La ricetta quasi sempre consigliata per un ottimo cappuccino è la seguente: 1/3 di caffè espresso, 1/3 latte caldo e 1/3 latte schiumato, che deve apparire con una consistenza compatta, lucida, priva di bolle. Si prepara in un’apposita tazza grande e si può completare con una spolverata di cacao in polvere. Un po’ di storia Secondo Vittorio Messori il nome deriverebbe dal beato Marco d’Aviano, frate cappuccino che partecipò alla battaglia di Vienna del 1683. Assaggiando nella bottega di Georg Michaelowitz il caffè fatto con dei sacchi ottenuti in premio per la vittoria contro gli ottomani, Marco D’Aviano lo trova troppo aspro e lo allunga con del latte, inventando cosí la bevanda. Curiosamente analoga leggenda circonda la nascita della brioche. È possibile che il nomignolo derivi invece dal biancore del latte solitamente circondato dall’anello scuro del caffè, simile all’ampia tonsura dei frati Cappuccini o dal colore della bevanda simile a quella del loro saio. Le operazioni per un buon cappuccino Per prima cosa bisognerà montare il latte: infatti la consistenza della schiuma del latte dipende dalla percentuale di grasso del prodotto e anche dalla quantità delle proteine presenti. Per questo motivo è meglio usare latte intero o parzialmente scremato, sempre freddo. Il latte viene versato in un bricco per un terzo per poi iniziare a riscaldarlo con il lancia vapore. Questa operazione verrà spiegata praticamente durante il corso. Il latte rimasto, può essere riposto in frigo, oppure in un apposito seau à glace con ghiaccio, lasciandolo sempre nel bricco.

I DERIVATI DELL’ESPRESSO Caffè macchiato Caffè con aggiunta di latte freddo, crema e latte caldo, oppure crema a fior di latte. Alcuni lo preferiscono in tazza grande. Caffè corretto Si aggiunge 1-1,5 cl di liquore o distillato, a seconda dei gusti del cliente. Caffellatte Si tratta di latte caldo (con pochissima schiuma) servito in tazza grande (a volte anche bicchiere) con un caffè espresso. Latte macchiato Latte versato in un bicchiere tipo highball con un espresso aggiunto alla fine. Caffè a filtro o all’americana Consumato principalmente nei paesi nordici, bisogna prepararlo in un contenitore di vetro, filtro di carta e caffè non molto tostato. È possibile anche utilizzare apposite macchine. 115


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Caffè crème Caffè all’americana con aggiunta un po’ di panna, disponibile in un bricchetto o monodose. Caffè freddo Si tratta di un espresso zuccherato lasciato raffreddare e conservato in frigo. Caffè shakerato Si prepara in uno shaker, con molto ghiaccio. Si serve un caffè zuccherato (a seconda dei gusti del cliente) e si agita energicamente per qualche secondo. Si può servire in una coppetta tipo sombrero. Esiste anche una versione che viene preparata nel frullatore: ghiaccio tritato, caffè zuccherato e qualche goccia di sciroppo di vaniglia o caramello. Si frulla finchè non si presenta con consistenza cremosa. Vi sono anche tanti derivati del caffè, che possono rientrare benissimo nelle proposte dei bar; oltre al citato caffè shakerato frullato, vi sono da segnalare anche le granite al caffé (preparate in apposite macchine), i cappuccini freddi, i granitori e l’eiskaffee, un gelato affogato al caffè, con panna. Tutte queste ricette sono disponibili sul sito dell’Associazione Italiana Bartender & Mixologist www.aibmproject.it

LATTE ART Cos’è Per Latte art si intende la creazione di figure artistiche create versando latte caldo in una tazza da cappuccino dove vi è un caffè espresso. Versato in un certo modo, potrà far apparire dei disegni sulla superficie creati dalla combinazione di latte e caffè. Risultati simili si possono ottenere anche “disegnando” nello strato superiore della schiuma con uno stuzzicadenti o altro attrezzo dotato di punta. Le creazioni artistiche non sono facili da creare, ciò dipende da diversi fattori: dal movimento del polso, dalla consistenza della schiuma del latte e dall’esperienza del barista. Un po’ di storia La Latte art si è sviluppata in maniera indipendente in diversi Paesi, dopo l’introduzione della macchina da caffè espresso, dotata di lanciavapore e quindi della possibilità di creare una schiuma soffice dal latte. Molti autori sono concordi nel ritenere che sia nata in Italia. Negli Stati Uniti ha preso piede a Seattle negli anni Ottanta e Novanta, resa popolare in particolare da David Schomer, che lavorava all’Espresso Vivace’s, sempre a Seattle. Schomer definisce la schiuma su cui lavorare la schiuma di velluto (o latte texturing) e nel 1989 compare il primo modello di latte art, il cuore, che diventa la firma delle preparazioni dell’Espresso Vivace’s. Successivamente compare anche la foglia, sviluppata da Schomer nel 1992, ricreando con la sua tecnica un’immagine vista al Cafe Mateki in Italia. Da queste due figure, Schomer renderà popolare la Latte art attraverso dei corsi. La tecnica Per creare le figure della Latte art, per prima cosa dovete preparare un espresso, successivamente la schiuma di latte. Grazie alla combinazione (o meglio fusione) di questi due ingredienti ed alla manualità del barista, otterremo le figure. Come creare la crema 116


MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

correttamente è ampiamente spiegato nel corso Barman Base AIBM, dove si illustrano le varie tipologie. Il latte da usare è quello intero (che ha un contenuto naturale in grassi a 3.5%) oppure quello di alta qualità (vedi la scheda dopo questo modulo). Prima che il latte venga aggiunto, il caffè espresso deve avere una superficie cremosa color nocciola. Versando il latte, il suo colore bianco miscelandosi con la crema del caffè, crea un contrasto e il disegno prende forma. Il disegno lo si potrà ottenere anche incidendo con uno stuzzicadenti o altro strumento, oppure utilizzando le due tecniche insieme. Naturalmente ricordatevi sempre che delle figure deliziose non bastano a rendere “ottima” una bevanda: anche il gusto vuole la sua parte. Gli stili Vi sono due principali stili di latte art: • mano libera (il disegno viene creato durante il getto di schiuma) Le due forme più comuni di latte art sono la forma del cuore e la foglia, conosciuta anche come felce. I cuori sono relativamente semplici da creare, le foglie un po’ più complesse. La si ottiene inclinando il bricco e versando la crema direttamente nella tazza con l’espresso, poi con il movimento del posto si creeranno le figure. È possibile anche creare disegni più complessi, che richiedono più versate. La versata a mano libera è molto diffusa nei caffè americani e richiede poco tempo supplementare nella preparazione della bevanda. • incisione (utilizzando uno strumento per creare un disegno dopo la versata). I disegni possono essere incisi aiutandosi con uno stuzzicadenti oppure un altro oggetto fine ed appuntito. In questo caso è possibile tratteggiare diverse figure. Richiede più tempo e maggiore estro artistico. Il disegno inciso ha in genere una vita più breve in quanto si dissolve nel latte più velocemente.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

I VARI TIPI DI LATTE Il latte ha un valore nutritivo molto elevato, grazie all’alto contenuto proteico. Pur essendo un liquido, ha un contenuto in sostanza secca paragonabile agli alimenti solidi. Tra le sostanze presenti nel latte di vacca, troviamo l’acqua (87-88%), grassi (circa 3.5%), proteine (circa 3.5%), sali minerali (0.7%) e zuccheri (5%, soprattutto lattosio). Il latte è un alimento a pH pressoché neutro (6.5), o inferiore. Tra i sali minerali, sono presenti soprattutto il calcio (17% dei sali minerali totali) ed il fosforo. Tra le proteine, prevale la caseina (85% delle proteine nel latte vaccino), seguita da lattoglobulina e lattoalbumina; la caseina è fondamentale per la caseificazione. L’abbondanza di nutrienti e di acqua libera fanno del latte un alimento molto adatto alla nutrizione, ma anche alla crescita dei microrganismi. Le varie tipologie Latte è il termine che si usa esclusivamente per indicare il prodotto della mungitura delle vacche. Altri tipi di latte provenienti da diverse specie di animali la confezione deve indicare la specie (per esempio “latte di capra”). Si trovano infatti in commercio latte di pecora, di capra, di bufala e raramente di asina, cavalla, cammella. Vi sono varie tipologie di latte in commercio, i cui requisiti sono fissati dalla legge. Alcuni tipi di latte sono: Latte crudo È il latte che non ha subito alcun trattamento termico o di microfiltrazione. Ne è vietata la vendita eccetto che direttamente dal produttore al consumatore, all’interno dell’azienda dove è stato prodotto. Latte intero È il latte che ha subito un trattamento termico; ha un contenuto naturale in grassi superiore a 3,5%. Latte di alta qualità È latte che ha subito un trattamento termico; oltre ad altri requisiti, il suo contenuto naturale in proteine deve essere di almeno 32 g/litro (contro i 28 g/litro del latte intero). Viene spesso usato nei bar. Latte parzialmente scremato È il latte che ha subito un trattamento termico. I grassi devono essere compresi tra un minimo di 1,50% ed un massimo di 1,80%. Latte scremato È il tipo di latte che ha subito un trattamento termico. Il suo tenore di grassi deve essere stato portato ad un massimo dello 0,30%.

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MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

Trattamenti e additivi I trattamenti consentiti sono tre: pastorizzazione, microfiltrazione e sterilizzazione. La pastorizzazione è il trattamento termico in flusso continuo per 15 secondi, secondo il sistema HTST (High Temperature Short Time), ad una temperatura di 72-75 °C. Questo trattamento distrugge tutti i patogeni e diminuisce notevolmente i batteri che, senza dare malattie nell’uomo, rovinano le proprietà organolettiche del latte. Le modificazioni chimiche, organolettiche e fisiche sono limitate. Il trattamento UHT avviene in maniera analoga alla pastorizzazione; dopo una prima pastorizzazione a 80 °C, il latte viene esposto per pochi secondi a temperature di circa 140 °C. Il risultato è un prodotto quasi sterile (possono sopravvivere solo alcuni microrganismi termoresistenti e già presenti nel latte in grandi quantità). La microfiltrazione consiste nel filtrare il latte attraverso elementi che non cedono particelle al latte stesso e con pori di 1-2 micrometri (1/1000 di millimetro), sotto pressione. Viene sempre abbinata alla pastorizzazione. La sterilizzazione consiste nel riscaldare il latte ad una temperatura tale che tutti i microrganismi presenti sono distrutti. Etichette La Legge 169/89, integrata da successivi decreti, prevede diversi tipi di latte, la cui denominazione si deve trovare in confezione insieme alla data di scadenza (termine di conservazione). Latte pastorizzato (sieroproteine almeno 11% delle proteine totali; il termine di conservazione non può superare il sesto giorno successivo a quello del trattamento termico). Può essere venduto intero, parzialmente scremato o scremato. Va conservato a 4 °C. Latte fresco pastorizzato (sieroproteine almeno 14%, il termine di conservazione non può superare il sesto giorno successivo a quello del trattamento termico, pastorizzazione entro 48 ore dalla mungitura). Può essere venduto intero, parzialmente scremato o scremato. Va conservato a 4 °C. Latte microfiltrato fresco pastorizzato Con le stesse caratteristiche del precedente, ma con una termine di conservazione di 10 giorni dalla data del trattamento termico. Va conservato a 4 °C. Latte fresco pastorizzato di alta qualità Deve avere gli stessi requisiti del latte fresco pastorizzato, contenere almeno il 15,5% di sieroproteine e almeno il 3,5% di grassi. Dizioni come “Qualità Superiore” non hanno alcun significato. Latte UHT (latte a media conservazione), trattato a temperatura ultra alta, in confezioni che riportano la dicitura da consumarsi preferibilmente entro con un termine massimo di 90 giorni. È stabile a temperatura ambiente.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Latte sterilizzato (latte a lunga conservazione) con la dicitura da consumarsi preferibilmente entro e con un termine massimo 180 giorni. È stabile a temperatura ambiente . Oltre al suddetto tipo di latte, ne esistono altri tipi trovano poco o per nulla uso in caffetteria, mentre in gelateria possono essere tranquillamente utilizzati. Questi sono il latte di capra, di bufala, di soia e di riso.

IL TÈ E GLI INFUSI Il Tè (si può scrivere anche Te, o, con uso improprio del termine francese, Thè o The) è una bevanda consistente in un infuso o decotto ricavato dalle foglie (a volte miscelate con spezie, erbe o essenze) di una pianta legnosa, la Camellia sinensis che viene coltivata principalmente in Cina, India, Sri Lanka, Giappone e Kenya. Ha un sapore leggermente amaro ed astringente ed è la bevanda più diffusa nel mondo dopo l’acqua. La lavorazione del tè In base alla lavorazione il Tè può essere nero, verde, bianco, giallo, Oolong. Tè nero Quando le foglie vengono fatte fermentare ed essiccate velocemente in appositi forni. Si tratta del Tè più consumato in Occidente. Tè verde Le foglie, non fermentate, vengono fatte essiccare lentamente in forni. Questo prodotto è particolarmente apprezzato nei Paesi orientali ed arabi. Tè bianco Il nome è attribuibile al colore argenteo delle pubescenze sulle gemme di alcuni di questi Tè. Il Tè bianco è leggermente (parzialmente) ossidato. Tè giallo Si tratta di una variazione della lavorazione dei Tè verdi con l’aggiunta una fase di “ingiallimento” (menhuang). Nominalmente è un Tè leggermente postfermentato, ma spesso presenta un grado di ossidazione molto basso. Si produce solo in alcune alcune aree della Cina; Tè Oolong Le foglie usate sono solo parzialmente fermentate: di conseguenza l’infuso si presenta di un colore marrone-verdastro e leggermente amaro. È utilizzato soprattutto in Cina meridionale. I tè che troviamo normalmente in commercio sono miscele 120


MODULO 10: LA CAFFETTERIA DA BAR & IL CAFFÈ

di 25-30 prodotti selezionati da appositi “tea tester”. Di seguito le miscele più diffuse: Darjeeling Tè a foglia corta con delicato sapore di moscatello. È indicato per il pomeriggio e può essere servito con latte o limone. English breakfast Miscela di Tè indiani e di Ceylon; si presenta con aroma astringente e sapore leggermente tostato. Particolarmente adatto per la prima colazione. Può essere servito sia con latte che con limone. Earl Grey Si tratta di un Té a foglia lunga che deve il suo aroma all’olio di bergamotto. Può essere servito sia con latte che con limone, a tutte le ore del giorno. Gyokuro Tè verde giapponese, considerato uno dei migliori del mondo. A partire da tre settimane prima della raccolta, le piante vengono tenute all’ombra sotto grandi teli sostenuti da pali di bambù.Questo procedimento conferisce all’infuso il caratteristico colore verde brillante e il sapore leggermente dolce. Jasmine tea Le foglie di questo Té vengono profumate con petali essiccati di gelsomino. Va servito con limone e non con il latte. Matcha Tè verde giapponese, le cui foglie vengono prima cotte al vapore, asciugate e ridotte in polvere finissima. Usato principalmente per la cerimonia del Tè. Orange Pekoe Tè dal gusto morbido e delicato, proviene da una miscela di Tè di Ceylon. Può essere servito sia con latte che senza. Prince of Walles Considerato come il miglior Tè cinese. Servito soprattutto di sera (con o senza latte), è ottimo anche freddo. Shui-Hsien (Pinyin Shuîxiãn) Varietà di Tè Oolong prodotto con l’omonima varietà di Camellia sinensis. Il raccolto avviene alla fine di aprile e le foglie, dopo l’appassimento, vengono fatte solo parzialmente ossidare e poi essiccate. L’infuso assume un colore arancio chiaro, dal retrogusto leggermente fruttato. Yunnan Miscela ottenuta da Tè coltivati nella regione occidentale di Yunnan (Cina). Particolarmente indicato per tè freddi e lunch pomeridiani. Il servizio del tè Per effettuare il servizio del Tè abbiamo bisogno di una tazza e sottotazza da tè, di una teiera (in porcellana, terracotta, acciaio o argento, possibilmente provvista di griglia interna per trattenere le foglie), un bricco di acqua calda, bustine di zucchero, un piattino con alcune fettine di limone o un bricco di latte fresco ed eventuale pasticceria. 121


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Per prima cosa si scalda la teiera con un po’ di acqua calda. La si svuota e la si riempie con acqua minerale. Con il lanciavapore si porta l’acqua sin quasi ad ebollizione e si mettono un paio di cucchiaini di tè nella teiera. Si lascia in infusione per 3-5 minuti e si versa nella tazza filtrandola con un apposito colino. Il tè freddo Il tè freddo si può preparare in due modi: nel primo modo si può disporre una normale infusione in acqua bollente, per poi zuccherarla, farla raffreddare e servendola in caraffa con ghiaccio. Nel secondo modo si lascia macerare in acqua fredda le foglie o bustina di tè. Con questo sistema abbiamo un Tè più limpido o leggero, ma occorrono diverse ore di macerazione in frigo. Il Tè può essere anche aromatizzato usando al posto dello sciroppo di zucchero liquido, altri sciroppi comunemente usati nel bar (lampone, fragola, menta, limone, e così via). Possiamo anche utilizzare spezie come cannella, chiodi di garofano, salvia, melissa, aggiungendoli a caldo.

INFUSI Oltre al Tè, nel bar esistono anche altri infusi che si possono ottenere lasciando le componenti vegetali a contatto con acqua bollente per 5-10 minuti. Se vengono utilizzati prodotti sfusi, allora al termine dell’infusione la bevanda deve essere filtrata. Si possono usare anche bustine preconfezionate, con un risultato però qualitativamente inferiore. Tra gli infusi più conosciuti sicuramente quelli maggiormente presenti nel bar sono: camomilla, che prevede un servizio simile a quello del tè, senza bricchi di acqua calda e latte servito a parte. La camomilla è una pianta erbacea con effetti rilassanti e sedativi; tisane, che ne esistono di diversi tipi, alla valeriana, al biancospino ecc.; si servono come la camomilla, senza acqua calda e latte a parte; canarino, che si prepara immergendo in una tazza di acqua calda una scorza di limone tagliata a spirale.

LA CIOCCOLATA La cioccolata è una bevanda che deve il suo piacevole sapore all’ingrediente principale: il cacao. Questo si ottiene da una pianta, la pianta Theobroma cacao, fu classificata da Linneo, medico e naturalista svedese, scopritore di numerose piante, considerando il nome che aveva e l’uso che se ne faceva presso le civiltà che la utilizzavano all’epoca: cacao cibo degli dei. In base all’origine geografica possiamo classificare il cacao in: 122


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• cacao d’America (coltivato in Venezuela, Brasile, Ecuador e Guatemala); • cacao d’Asia (Sri Lanka e Giava); • cacao d’Africa (Nigeria, Togo, Ghana, Costa d’Avorio e Modagiscio). I semi di cacao vengono fatti fermentare per staccare la membrana che li avvolge, poi essiccati per concentrare le sostanze aromatiche. Successivamente si passa alla tostatura, macinatura e sgrassatura dei semi, per ottenere infine la polvere di cacao, solubile, ed ingrediente necessario per la preparazione della cioccolata. La preparazione della cioccolata Oggi è relativamente semplice preparare una cioccolata calda, in quanto per i bar esistono delle apposite bustine contententi polvere di cacao da sciogliere nel latte caldo e amalgamarlo per bene. Vi sono anche delle cioccolatiere elettriche da bar che consentono di avere sempre pronti diversi litri di cioccolata calda da servire. Nel metodo tradizionale, senza l’uso delle bustine, per preparare una tazza di cioccolato occorrevano: due cucchiaini da tè di cacao in polvere, due cucchiaini da caffè di zucchero, una punta di fecola di patate ed un bicchiere di latte caldo. In un bricco venivano mescolati tutti gli ingredienti a secco, per poi versare un po’ di latte caldo, fino ad ottenere una pasta densa, senza grumi. Infine si aggiungeva il resto del latte e si portava ad ebollizione, servendolo poi in un’apposita tazza.

LO ZUCCHERO E IL SUO USO Per zucchero si intende il disaccaride saccarosio, composto organico della famiglia dei carboidrati, che costituisce il più comune dei glucidi. Talvolta lo si usa anche per indicare in generale i glucidi o idrati di carbonio. Utilizzato principalmente nell’alimentazione, costituisce un alimento facilmente assimilabile ed apporta circa 17 kJ (4 chilocalorie) per grammo. La materia prima è rappresentata dalla barbabietola da zucchero e dalla canna da zucchero, che vengono trattate in appositi stabilimenti, chiamati zuccherifici. Dal primo processo si ricava lo zucchero grezzo, formato da cristalli di colore giallastro dal quale, attraverso una successiva raffinazione, si ottiene lo zucchero raffinato o zucchero bianco. Un pò di storia La prima forma di zucchero di cui si ha notizia è quello di canna da zucchero, che rimase per molti secoli l’unico tipo disponibile. Gli storici sostengono che sia stato portato dagli abitanti delle isole polinesiane in Cina e in India. Qui i persiani di Dario I trovarono, nel 510 a.C., coltivazioni di un vegetale da cui si ricavava uno sciroppo denso e dolcissimo. Fatto asciugare in larghe foglie produceva cristalli che duravano a lungo, dalle spiccate proprietà energetiche. Successivamente i persiani portarono le piante con loro e ne estesero la coltivazione al Medio Oriente. Nel 325 a.C. Ales123


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sandro Magno raccontò che nei territori orientali si trovava un “miele che non aveva bisogno di api”. Furono però gli arabi, presso cui era già in uso nel VI secolo d.C., che ne estesero la coltivazione nei loro territori. Nel Medioevo i Genovesi e i Veneziani, presero ad importare modeste quantità di ciò che veniva chiamato sale arabo che le Crociate resero ancora più diffuso. Federico II di Svevia provvide a far coltivare la canna da zucchero in Sicilia (dove già si trovava grazie agli arabi), ma lo zucchero restò per molto tempo una spezia rara e preziosa, venduta dagli speziali e dai farmacisti a carissimo prezzo come medicina per creare sciroppi, impacchi ed enteroclismi. Proprio a causa dell’elevato prezzo, solo i ricchi potevano permettersi di usarlo come dolcificante. Con la scoperta dell’America, gli spagnoli introdussero la coltivazione della canna da zucchero a Cuba e nel Messico, i portoghesi in Brasile, inglesi e francesi nelle Antille. Territori che ancora oggi rappresentano i maggiori produttori di canna da zucchero e dei suoi derivati (Rum ad esempio). Poiché lo zucchero delle Americhe era migliore e meno costoso, le coltivazioni spagnole e italiane scomparirono, insieme ai traffici con i territori arabi. Nacque così un fiorente traffico di importazione che rese il prodotto, per quanto di lusso, più comune. Questo diede una spinta notevole all’arte culinaria, permettendo la nascita della pasticceria europea come arte autonoma anche grazie al connubio di zucchero con cacao, con latte e con caffè. Nel 1575 l’agronomo francese Olivier de Serres osservò che un ortaggio comunissimo ed ampiamente coltivato, prevalentemente per farne foraggio, la barbabietola (Beta vulgaris), una volta cotto produceva uno sciroppo simile a quello della canna da zucchero, molto dolce. L’osservazione rimase inascoltata e lo zucchero di canna rimase l’unico disponibile ancora per molto tempo. Nel giro di un secolo, tra il 1640 e il 1750, il consumo della sostanza triplicò, incentivando il fenomeno della tratta degli schiavi dall’Africa che venivano catturati e deportati per lavorare nelle piantagioni. Con l’ascesa di Napoleone si intensificarono i contrasti tra Francia e Inghilterra, che portarono ad un blocco delle importazioni inglesi (decreto di Berlino, 1806). Lo zucchero di canna, che giungeva in Europa via mare, sparì in breve tempo dagli scaffali dei negozi, poiché gli inglesi reagirono al blocco sequestrando a loro volta le navi dirette a porti francesi o dei loro alleati aderenti al blocco (in un secondo tempo si “limitarono” a costringere queste navi a passare da porti inglesi e pagare una forte tassa sul carico). Sulla spinta della necessità gli europei si adoperano per trovare un’alternativa. Nel 1747 il chimico tedesco Andreas Sigismund Marggraf era riuscito a dimostrare la presenza di saccarosio dalle barbabietole e alcuni decenni dopo il suo allievo Franz Karl Achard ideò un processo industriale idoneo: è a lui che si deve il primo zuccherificio industriale sorto in Slesia nel 1802. Per espressa volontà di Napoleone, la produzione di zucchero da barbabietola fu incoraggiata in tutti i territori sotto il suo controllo e furono aperti altri stabilimenti in Francia, grazie anche ai perfezionamenti apportati dall’imprenditore francese Benjamin Delessert al procedimento di Achard. Dopo il Congresso di Vienna lo zucchero di canna tornò a circolare, ma l’espansione di quello da barbabietola fu irreversibile. Il costo inferiore lo rese disponibile via via a più ampie fasce della popolazione, cambiando considerevolmente le abitudini alimentari dell’Europa. In Italia, negli anni Ottanta, l’industria zuccheriera, per contrastare la concorrenza crescente dei dolcificanti, diede luogo a una massiccia campagna pubblicitaria in cui si collegava l’utilizzo dello zucchero allo sviluppo cerebrale, ma senza alcun fondamento scientifico.

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Le varietà Zucchero di canna Se per noi lo zucchero è principalmente quello raffinato, da barbabietola e grezzo, quello di canna si può presentare sotto varie forme: dal raffinato all’integrale. Nei Paesi tropicali vi sono fino a 15 varietà diverse, ognuno con il suo utilizzo. Sucre mélassé Zucchero dai grani fini e dal colore intenso, quasi nero per l’alto contenuto di melassa naturale. Si presenta con una texture morbida ed un aroma ricco, ideale da abbinare con dolci di frutta, pudding, toffee, salse. Viene usato dai mastri birrai ed ha importanti valori nutritivi: 100 gr. di prodotto contengono il 90% di ferro, il 44% di calcio, il 39% di magnesio ed il 65% di potassio. Brun foncé mou Zucchero non raffinato ideale nelle salse chutney, nei dolci di frutta, nei pani alle spezie, in salse agrodolci. Si presenta con granuli fini di un colore molto intenso, scuro ed un sapore leggero che lo rende adatto ad un uso cucina. Demerara standard Zucchero bruno dorato dai cristalli omogenei e brillanti, ha una consistenza soffice e un aroma molto ricco dovuto alla melassa naturale che circonda ogni cristallo. Particolarmente adatto a zuccherare caffè, cereali a colazione e spolverare dolci e frutti freschi. Roux spéciaux Zucchero secco e fluido dai granuli omogenei che conservano tutta la loro ricchezza di aromi ed elementi naturali contenuti nel puro succo di canna. Usato soprattutto nella preparazione di prodotti dietetici e di conserve dell’industria alimentare, compresa quella del vino. Demerara fin Di colore bruno dorato dai cristalli brillanti avvolti di melassa, risulta molto fluido. Adatto particolarmente a zuccherare bevande calde come tè e caffè, ma è usato anche per dolcificare succhi di frutta. In pasticceria si usa per caramellizzare. Demerara sec Dei vari tipi di Demerara, è l’unico che si presta alla produzione di zollette. Viene comunemente venduto già confezionato in scatola. Le principali coltivazioni sono nell’Oceano Indiano, Caraibi e Sud America. Si usa per dolcificare tutte le bevande calde: tè e tisane soprattutto.

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Brun clair mou Zucchero umido, molto morbido e dalla granula fine, quasi impalpabile che conserva una certa fluidità, di colore bruno chiaro, ideale per zuccherare le bevande, marmellate e le confetture per la sua alta solubilità, ma anche per i biscotti. Il gusto è delicato, dolce ma privo di note aromatiche tipo caramello o liquirizia. Golden Zucchero brillante e dorato dal gusto sottile usato al posto del bianco raffinato per il tè, i cereali e le confetture, ma anche nel trattamento del vino. Il suo aroma delicato lo rende particolarmente adatto per l’industria conserviera, oltre che nella pasticceria. Si usa nella preparazione dei succhi di frutta poiché non ne modifica il gusto. Muscovado clair Zucchero morbido dalla grana fine e di colore bruno pallido. La melassa incorporata gli conferisce un aroma dolce e ricco. Usato nell’industria conserviera, è adatto anche per la realizzazione di marmellate e confetture. Ideale in pasticceria per la preparazione di biscotti e torte in genere. Muscovado brun Zucchero morbido dai grani fini e scuri, ricco di melassa che gli dà la caratteristica texture fondente. È adatto anche per la realizzazione di marmellate e confetture. Ideale in pasticceria per dolci speziati oppure a base di frutta. In cucina lo si usa per la realizzazione di salse agrodolci.

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Quanto ne sai?

1 2 3

4 5

Le principali specie di caffè sono... a)

b) c)

Arabica e Robusta Arabica ed Excelsa Robusta e Racemosa

La torrefazione consiste nel... a) b) c)

Tostare i semi di caffè Macinare i chicchi Raccogliere le drupe dalle piante

Il caffè viene estratto tra... a) b) c)

I 20 e i 25 secondi I 25 e i 30 secondi I 18 e i 20 secondi

Il caffè sottoestratto... a) b) c)

Crema chiara e larghe bolle Crema scura e larghe bolle Crema scura e gusto amaro

Il cappuccino è formato da... a) b) c)

Caffè, latte e crema di latte Caffè e latte Caffè e crema di latte

6

Il latte macchiato si serve in un...

7

Il cacao si ottiene dalla pianta...

a) b) c)

a) b) c)

Tazza da cappuccino Bicchiere highball Tumbler basso Theobroma Cacao Theobroma Coffee Theobroma Cream 127


Crucibarman • 10

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2 Tè utilizzato soprattutto in Cina meridionale. (6) 5 Indispensabile per fare un espresso (16) 9 La pianta... della cioccolata (14) 11 Pianta legnosa del tè (16) 12 Città che da origine ad un celebre tipo di caffè (5) 13 Lo è il caffè quando la schiuma si presenta scura ed il gusto è amaro e astringente (13) 15 Tipo di caffè più consumato nei bar in Italia (8) 16 Secondo Pellegrino Artusi, nel suo celebre manuale, era il miglior caffè... (4)

Orizzontali

17 Utile per preparare la crema di latte (6) 18 Tè verde giapponese, considerato uno dei migliori del mondo (7) 19 Contengono i semi del caffè (5) 21 Té a foglia lunga che deve il suo aroma all’olio di bergamotto (8) 22 Una specie di caffè (7) 23 Grazie ad essa i chicchi sono tostati ad una temperatura elevata (12) 24 Latte versato in un bicchiere tipo highball con un espresso aggiunto alla fine (14)

1 Può essere in porcellana (6) 3 La si può regolare nel macinadosatore (6) 4 Deve presentarsi con un bel color nocciola (5) 6 Lo è il filtro per pulire le doccette (5)

Verticali

7 Molto diffusa nelle Americhe (Brasile, Colombia, Antille, Guatemala), in Kenya ed altri Paesi africani (14) 8 Bevanda che si prepara immergendo in una tazza di acqua calda una scorza di limone tagliata a spirale (8) 10 Le foglie di questo té vengono profumate con petali essiccati di gelsomino (10) 11 In esso si aggiunge distillato o liquore (13) 14 Specie con maggiore presenza di caffeina (7) 20 Condiziona la qualità del caffè (7)

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IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI 130


COS’È UN COCKTAIL Un po’ di storia Il cocktail è una bevanda composta da vari ingredienti che vengono miscelati tra di loro. Generalmente almeno uno di essi è alcolico. La parola cocktail apparve per la prima volta nell’edizione del 16 maggio 1806 del Balance and Columbian Repository che ne dava la seguente definizione: “Cocktail” is a stimulating liquor composed of spirits of any kind, sugar, water, and bitters. (Il “Cocktail” è una bevanda stimolante, composta di diverse sostanze alcoliche alle quali viene aggiunto dello zucchero, dell’acqua e dell’amaro). Successivamente si arriva al 1862, con una pubblicazione che raccoglieva ricette di cocktail: How to Mix Drinks; or, The Bon Vivant’s Companion, del professor Jerry Thomas (l’e-book originale è scaricabile dalla sezione Libri del sito www.aibmproject.it). In questo testo, oltre alla lista delle solite bevande con mix di liquori, vi erano scritte 10 ricette che erano chiamate “Cocktail”. L’ingrediente che differenziava i “cocktail” dalle altre bevande in questo compendio era l’uso degli amari, anche se questo tipo di ingrediente non si trova oramai quasi più nelle ricette moderne. Durante il Proibizionismo negli Stati Uniti (1919-1933), quando il consumo di alcol era illegale, i cocktail erano comunque bevuti negli “speakeasies”. Durante questo periodo la qualità dei liquori era scadente rispetto ai periodi precedenti, per questo motivo i baristi tendevano a mescolare i liquori con altri ingredienti. Nel 1930 si ha notizia di una pubblicazione, il Savoy Cocktail Book1, nella quale si stabilivano alcune regole generali per preparare un cocktail. In seguito, l’arte di miscelare divenne talmente diffusa che nel corso degli anni nacquero associazioni di categoria specializzate come l’IBA (International Bartender Association, nata nel 1951, www.iba-world.org) e, in Italia diverse associazioni di categoria. La storia dei cocktail va di pari passo con la storia di queste associazioni. Nel 1961 una commissione formata dai migliori barman di tutto il mondo (International Cocktail Committee) stabilì alcune regole per dosare i cocktail. Poi vennero scelti e codificati 502. Negli anni la lista si allungò fino a 60 cocktail regolamentari. Fino al 2010 erano 66, divisi in 5 categorie dall’IBA: Pre dinner, After dinner, long drink, cocktail più richiesti (Popular) e Special cocktail. A Novembre 2011 i cocktail diventano 68; successivamente vengono aggiunti altri cocktail, dapprima esclusi, fino ad arrivare al numero di 77 nel Febbraio 2012. Vengono classificati in 3 categorie, che ora esamineremo.

LA SUDDIVISIONE DEI COCKTAIL IBA Molto spesso sui libri trovate una suddivisione generica dei cocktail, come cocktail aperitivi, cocktail digestivi, cocktail “any time” e così via… Il 24 Novembre 2011 l’IBA ufficializza la nuova lista dei cocktail sostituendo le 4 categorie precedenti (Pre dinner, After dinner, Long drinks e Popular cocktail) in 3 categorie 1 The Savoy cocktail book di Harry Craddock del Savoy Hotel London è stato ripubblicato in Italia nel 2007 da Excelsior 1881 2 Club

Appunti tratti da una ricerca di Franco Zingales, fondatore e compianto presidente del Classic Cocktail

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che prendono i seguenti nomi: The Unforgettables (gli indimenticabili), Contemporary Classics (i classici contemporanei) e New Era Drinks (drink di nuova generazione). The Unforgettables Si tratta dei grandi cocktail che hanno fatto la storia della miscelazione, dal Dry Martini all’Angel Face, ma anche drink risalenti all’Ottocento (come il Tuxedo e il Sazerac). Contemporary Classics Cocktail relativamente recenti. In questa categoria troviamo diversi drink che possono essere aperitivi (before dinner cocktail), sparkling (come il Bellini) e long drink (come il Mojito). New Era Drinks Tutti i cocktail di nuova generazione, ma anche qualche drink classico come il Vesper. Questa categoria potrebbe essere aggiornata periodicamente. Sostituisce la vecchia categoria Popular cocktail, dove erano presenti cocktail diventati famosi grazie ad un passaparola oppure perché consumati da qualche personaggio famoso. Oltre a queste 3 suddivisioni, i cocktail possono essere suddivisi anche nel seguente modo: • All Day Cocktail (da bersi a tutte le ore) • Before Dinner Cocktail (aperitivi) • Long drink3 o After Dinner Cocktail (digestivi oppure da fine pasto). Un’altra suddivisione dei cocktail l’abbiamo in base al volume: • Short drink, tra 5 e 7 cl; • Medium drink, tra 9 e 13 cl; • Long drink, 20-30 cl ed oltre.

QUALI STRUMENTI SI USANO Per poter lavorare sin da subito e preparare gustosi cocktail, quello che occorre è una buona attrezzatura. Basilare per la preparazione dei cocktail è l’uso dello shaker e del mixing glass. Vediamo come funzionano. È molto semplice ricordarsi l’uso dello shaker e l’uso del mixing glass. Lo shaker viene utilizzato per i cocktail più “densi” (composti, per esempio, da sciroppi, succhi, ingredienti comunque più difficili da amalgamare) e quindi che necessitano di essere “sbattuti” in modo energico. Chimicamente questi ingredienti hanno un peso specifico diverso: da qui l’esigenza di shakerarli. 3 Nei cocktail IBA vengono inseriti nella categoria long drink anche cocktail con formati da 15 cl.

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Esistono due varianti dello shaker: • “americano” , chiamato semplicemente Boston e formato da due pezzi, un bicchiere in vetro e uno in acciaio; • “continentale”, formato da 3 pezzi: tappo, filtro e bicchiere in acciaio. Il mixing glass invece è formato da un solo pezzo, in vetro e viene adoperato per miscele più liquide e facilmente amalgamabili. Ecco alcune norme da tenere a mente quando si usano questi due strumenti: • lo shaker deve essere agitato in maniera decisa per almeno 10 secondi; • lo shaker non va riempito più di quattro quinti per ottenere una miscelazione conveniente; • i vari ingredienti vanno versati nello shaker in quest’ordine: ghiaccio, zucchero, uova, latte, alcolici, succhi; • bicchieri e ghiaccio debbono essere perfettamente puliti e inodori; • il contenuto dello shaker o del mixing glass va versato nei bicchieri allineati riempiendoli prima tutti per metà e poi ricominciando dal primo per ottenere eguale distribuzione degli ingredienti per tutti gli ospiti, siano essi 2, 4 o più; • nei cocktail decorati (bucce d’arance o di limone, ciliege o altro) bisogna curare molto la presentazione perché salta subito agli occhi e deve soddisfare l’ospite; • Champagne, spumanti o acqua soda non vanno mai introdotti nello shaker, ma versati direttamente nei bicchieri, sempre dopo gli altri eventuali ingredienti. Oltre ai citati shaker e mixing glass abbiamo altre attrezzature di “supporto”. Bottiglia contagocce È necessaria per dosare alcuni bitter, curaçao, essenze e salse. Cannucce Sono molto utilizzate, specialmente per i long drink. Per i bicchieri bassi sono adatte quelle corte. Cavatappi Per l’apertura delle bottiglie. Meglio utilizzare un cavatappi da sommelier. Questo modello è dotato di un doppio dente d’appoggio, per rendere più comoda l’estrazione del tappo.

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Coltellino Utilizzato principalmente per pulire la frutta e togliere la scorza degli agrumi. Si può utilizzare anche uno spelucchino. Per gli agrumi oggi esistono strumenti ad hoc come il rigalimoni. Cucchiai Per miscelare alcuni cocktail generalmente si usa un cucchiaio a manico lungo. Il cucchiaino da caffè si utilizza per misurare la quantità di alcuni ingredienti. Frullatore (blender) Per frullare la frutta e miscelare alcuni ingredienti particolarmente densi. Può essere utilizzato anche per alcuni cocktail, come il Frozen Daiquiri e il Banana Daiquiri. Frullino (o Stirrer) È una lunga asticciola che termina con una paletta adatta per miscelare alcuni tipi di cocktail. Grattugia Per grattugiare le scorze d’arancia, limone o noce moscata. Nelle confezioni delle noci moscato, che si trovano facilmente al supermercato, queste piccole grattugie sono già comprese. Lime squeezer Per spremere i lime tagliati a metà. Tempo addietro difficilmente reperibile nei negozi, si trovava facilmente su Internet, in particolare su Ebay.it. Esiste anche una variante “messicana”. Macinino Per macinare pepe, cannella o altre spezie. Mixing glass Recipiente in vetro tronco-conico in cui si realizzano alcune miscele. Il mixing glass si usa per cocktail con ingredienti facilmente amalgamabili. Passino Detto anche strainer. È una specie di paletta - in acciaio inossidabile o argento - che ha intorno una spirale per evitare che i cubetti di ghiaccio o pezzi di frutta cadano nel bicchiere. Pinze Servono per prelevare i cubetti di ghiaccio. Secchiello da ghiaccio (seau à glace) Per raffreddare le bottiglie.

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Sifone da seltz Per ottenere acqua con molta anidride carbonica. Oggi esistono anche delle confezioni in materiale plastico, da gettare via una volta esaurito. Spremiagrumi Per ottenere il succo da limoni o arance. Stopper Si tratta di una specie di tappo, ovvero di sistema di chiusura in metallo, che permette di richiudere ermeticamente le bottiglie di spumante o Champagne senza dissipare il contenuto di anidride carbonica. Swizzle stick Lo swizzle è una specie di stirrer e il suo nome deriva da una pianta aromatica (Quararibea Turbinata) che cresce nelle isole caraibiche. Dai suoi rami partono dei bastoncini con dei piccolo “denti” disposti a raggiera. I ramoscelli vengono impugnati e poi fatti girare velocemente tra i palmi delle mani nella bevanda. Tritaghiaccio Apparecchio elettrico o manuale che serve per ottenere ghiaccio tritato. Dove si servono: i vari tipi di bicchieri Anche i bicchieri hanno una parte importante nella preparazione dei cocktail. Ballon Bicchiere a palloncino, molto richiuso in alto, in cui si degustano le grandi acquaviti (Cognac, Brandy, Armagnac ecc.). Coppetta da cocktail o coppetta Martini È il classico bicchiere a forma di cono molto svasato. Il gambo premette la tenuta del bicchiere senza influenzare la temperatura della bevanda. Una variante è rappresentata dal double martini glass (doppia coppetta a cocktail), più alto e più ampio nell’apertura, che può arrivare a contenere oltre 200 ml. Flûte Il nome è francese e letteralmente significa “flauto”. Si tratta di un bicchiere dal gambo sottile e dalla forma allungata: questo consente di non riscaldare troppo il contenuto tenendolo in mano. Viene utilizzato per la degustazione di vini spumanti e soprattutto Champagne. Dagli anni Trenta ha progressivamente soppiantato l’uso della tradizionale coppa. Il motivo non è solo estetico: infatti, anche se la coppa resta molto popolare, non permette di apprezzare al suo valore giusto la qualità di un vino 135


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

champagne. La coppa essendo ampia e relativamente instabile, non consente il salire delle bolle fino alla superficie (il cosiddetto perlage). Invece la flûte à champagne lascia ammirare la salita delle bollicine e concentra in uno spazio stretto tutti gli aromi liberati in occasione del loro scoppio, prolungando così la sensazione di freschezza e l’effervescenza dello champagne. Highball Il bicchiere highball è un bicchiere a forma cilindrica di tipo tumbler di capacità variabile tra 240 e 350 ml, utilizzato per servire cocktail miscelati o Highball. Il bicchiere Highball è più alto dell’Old fashioned glass ma più basso del Collins glass. Old fashioned Bicchiere tondeggiante e panciuto, adatto per il whisky, ma anche per alcuni cocktail come l’omonimo Old fashioned. Viene chiamato anche Rocks glass o “Lowball”. Vi si possono servire anche liquori on the rocks. L’American Old fashioned e il Rocks glass possono contenere da 22 a 34 centilitri. Shot Lo shot è un bicchiere molto piccolo e compatto atto a contenere solo distillati o liquori senza aggiunta di altro. La capacità in volume è approssimativamente da 1 a 3 once. Viene tipicamente utilizzato per bere distillati in un “solo colpo” (one shot). Tumbler Bicchiere cilindrico alto e stretto. Ne esistono di varia capacità, il tumbler medio, basso e alto. È chiamato anche Delmonico da un celebre locale di New York (il Delmonico’s, fondato da ristoratori italiani) che ne lanciò la moda.

I DOSAGGI Nel ricettario IBA (che troverete nelle pagine seguenti, ma disponibile sempre aggiornato sul sito www.aibmproject.it sezione Cocktail) tutte le ricette sono in centilitri. Eppure non è stato sempre così. Ad esempio fino al 2004 si sono utilizzate le frazioni. Infatti gli ingredienti che compongono un cocktail formano, una volta versate nel giusto ordine, il drink vero e proprio. Le ultime frazioni utilizzate, prima dei centilitri, sono state in decimi (1/10, 2/10...); ma andando a ritroso nel tempo abbiamo avuto anche i terzi (1/3, 2/3 e 3/3) ed i quarti (1/4, 2/4, 3/4 e 4/4). Tuttavia ricettari ancora più datati, riportano vari frazionamenti di ogni genere (in parti, in cucchiaini e così via). Solo recentemente si è deciso (giustamente) di utilizzare l’unità di misura più adatta per i liquidi: i centilitri e le once (abbreviate in oz). L’oncia è un’unità di misura nata in Grecia, ma ancora oggi usata in America. Con la sostituzione di queste questa unità di misura, si eliminano tanti equivoci didattici e pratici. Facciamo un esempio: se doveste fare un Negroni, di cui conoscete solo la vecchia ricetta (1/3 di gin, 1/3 di bitter Campari, 1/3 di vermouth rosso), se non siete a conoscenza anche del bicchiere dove va servito (l’Old fashioned), potreste trovarvi in difficoltà: perché 1/3 della capienza di un Old fashioned non è la stessa cosa di 1/3 della capienza di una coppetta a cocktail di 7 centilitri. Ed infatti il Negroni è considerato un medium drink. Con il ricettario IBA in centilitri, potreste anche fare a meno di conoscere dove va servito il drink, perché solo con le misure in centilitri ci arrivereste da soli. Ma resta superato il problema di fondo: se parliamo di liquidi (ed i cocktail sono liquidi) bisogna trovare un’unità di misura idonea. 136


MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

Le once (oz) vengono invece utilizzate prevalentemente nei Paesi anglosassoni. Impariamo a versare le quantità esatte Una volta che sappiamo l’esatta quantità che va versata per costruire il nostro cocktail, dobbiamo saper versare la giusta quantità. Per fare ciò vi sono sostanzialmente due tecniche: • con il dosatore • a mano libera Quella con il dosatore è la più esatta poichè si versa il contenuto della bottiglia direttamente in un misurino e da qui dentro lo shaker o mixing glass (o direttamente nel bicchiere). In commercio il misurino (detto anche jigger) più diffuso è diviso in due parti: una da 2 cl e l’altra da 4 cl. In alcuni Paesi europei sono obbligatori da utilizzare, in Italia si predilige la tecnica a mano libera, ma è consigliabile allenarsi a lungo con i misurini. La tecnica a mano libera permette di versare il contenuto dalla bottiglia direttamente nello strumento di miscelazione (o nel bicchiere, come nel caso di un Americano). Il primo passo sarà di impugnare correttamente la bottiglia dal suo baricentro, dalla parte della retro etichetta. A questo punto si abbassa la bottiglia, mentre la mano sinistra sarà posta alla base dello shaker o mixing glass, e si versa. È consigliabile, una volta appresa la tecnica attraverso le prime lezioni del corso barman Base AIBM, di allenarsi con bottiglie riempite d’acqua, aiutandosi anche con strumenti come exacto pour, per controllare se le dosi sono giuste. Ci si può aiutare anche con appositi beccucci detti metal pour.

LE TECNICHE DI PREPARAZIONE DEI COCKTAIL I cocktail possono essere preparati in modi diversi. Direttamente nei bicchieri Con ghiaccio se freddi o senza ghiaccio se caldi. Esempio: Negroni e Irish Coffee. Usando il mixing glass Se vi sono dei cocktail con peso specifico simile o se dosati a goccia. Usando lo shaker Se gli ingredienti hanno peso specifico diverso, come succhi di frutta, sciroppi, latticini, gelati. Shakerando direttamente Procedimento che avverrà direttamente nel bicchiere in cui andrà servito il cocktail con ghiaccio. Usando il blender Se sono previsti ingredienti con una certa consistenza, come ghiaccio e frutta tagliata a pezzi.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

PREPARAZIONE DI UN COCKTAIL CON LO SHAKER

iaccio ate il gh rs e v a s o sso il ac aver me Per prim o p o d r, ake chieri. nello sh e nei bic h c n a io ghiacc

Raffreddate aiutan dovi con il bar spoon...

è formaua che si q c a l’ a m ri l Boston Scolate p cciao de a i d e rt pa ta nella r. shake

Versate gli ingredienti nella parte di vetro.

138


MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

acendo haker f tro... s o l e t ve Chiude arte in p a l a r lare sop

scivo-

Shakerate alla vostra sinistra, tenendo il bicchiere in vetro dall a vostra parte...

iaccio lto il gh ... to r e v a opo cktail Infine, d ri, versare il co hie dai bicc

139


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

PREPARAZIONE DI UN COCKTAIL CON IL MIXING GLASS

hiaccio serite il g iemin a s o c a .R Per prim ffreddare ra a d re ie mixing nel bicch anche il io c c ia h pite di g . glass

Raffreddate sia il bicchiere che il mixing glass con un bar spoon.

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MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

vi con lo aiutando a u q c a Filtrate l’ strainer.

Versate gli ingredienti nel mixing glass. Il beccuccio deve essere rivolto verso il cliente.

Termin ata la pre dete”, i nserend parazione “c hiuo lo str xing gl ainer n ass. el mi-

con il bar Dopo aver mescolato rsate il cocspoon (o uno stirrer) ve tandovi con ktail nel bicchiere aiu lo strainer.

141


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

PREPARAZIONE DI UN COCKTAIL PESTATO

lime erite il s in a s o a c do al Per prim cubetti in fon a tagliato . bicchiere

Aggiungete lo zucchero di ca nna (che può es sere bianco oppure scuro)…

Aggiung ete il g hiaccio essere a (che pu nche trit ò ato)…

Aiutandovi con un pestello (muddler) oppure un bar spoon provvisto di muddler, pestate delicatamente… 142


MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

gete gli ra aggiun

O

ti…

ingredien

Ed infine mescolate delicatamente il cocktail, prima di servirlo.

LA COSTRUZIONE DI UN COCKTAIL

Per creare un buon cocktail è necessario disporre di una buona conoscenza sui vari prodotti da impiegare, dal loro uso e dalla miscibilità degli stessi. Non basta la fantasia, ma occorre anche usare sapientemente tutti gli ingredienti. Generalmente il cocktail è inteso come una bevanda composta da più ingredienti, alcuni di essi (o almeno uno) alcolici. GSi possono utilizzare al massimo 5 ingredienti, anche se cocktail particolarmente gradevoli e tecnicamente perfetti, si ottengono usando 3 ingredienti. Simile ad una colonna, il cocktail si compone di 3 parti: Base che come una colonna sostiene tutto e costituisce le fondamenta su cui costruire; Caratterizzante/i inteso anche come Componente/i), che contribuisce a formare il cocktail; Correttore che completa il drink e può avere numerose funzioni, dal colorare semplicemente il cocktail fino ad aromatizzarlo con il suo profumo.

143


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

BASE Distillato

Liquore

Succo di frutta

Succhi di frutta

CARATTERIZZANTI

Aperitivi amari e liquorosi

latticini e uova

Bibite e nervini

Gelati

Spumanti CORRETTORI Sciroppi Succhi di frutta

La base di un cocktail solitamente è costituito da un distillato (solo uno, anche se vi sono delle eccezioni). Nei long drink può essere anche assente.

I caratterizzanti concedono le caratteristiche al cocktail in base alla sua funzione: se aperitivo, se dolce e così via. La famiglia è ampia e va dai Vermouth, fino ai succhi di frutta.

I correttori si utilizzano in piccole dosi e possono dare colore al cocktail (per esempio gli sciroppi), profumi, dolcezza e freschezza.

Prima di costruire il nostro drink, dobbiamo valutare intanto che tipo di cocktail vogliamo realizzare. Nell’originale classificazione i cocktail sono definiti aperitivi (before dinner), dolci (after dinner), per tutte le ore (all day cocktail), corroboranti e dissetanti (il classico long drink). Una volta scelta la categoria, si passa a esaminare la struttura del drink, ovvero che caratteristiche deve possedere. I fattori sono i seguenti: • struttura alcolica (contenuto dell’alcol): inteso come quantità di alcol: analcolico, leggero, poco alcolico, medio alcolico e robusto; • tipo di profumi: quali profumi, devono prevalere, dall’erbaceo al fruttato, dal floreale al tostato. Ciò dipenderà naturalmente dall’uso sapiente degli ingredienti; • gusto: può essere secco, abboccato o dolce e ciò dipende dalla concentrazione degli zuccheri. Si può presentare anche piatto, abbastanza fresco, fresco e acidulo: ciò è influito dalla presenza o meno di acidità (presenza di succhi di frutta, limone, ecc); • persistenza del cocktail: ovvero quali sensazioni si avvertono e la loro durata, calcolata in secondi, dopo che si è deglutito il cocktail. 144


MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

Il passo successivo riguarda il percorso di creazione del cocktail, una volta stabiliti il tipo e la caratteristica del drink. Si può prendere spunto dai cocktail internazionali IBA1 (attenzione: molti sono completamente diversi tra di loro), si può andare sul sicuro abbinando ingredienti di consolidata esperienza (succhi di frutta e Rum ad esempio) ed infine si può tenere conto anche dell’affinità merceologica dei vari prodotti.

COSTRUIAMO UN COCKTAIL APERITIVO O BEFORE DINNER Le caratteristiche di questo cocktail sono di favorire l’appetito, aprire lo stomaco, preparandolo a ricevere cibo. Deve pertanto avere almeno un ingrediente aperitivo, mentre gli altri componenti devono essere comunque secchi e/o abboccati. La struttura tipo del cocktail aperitivo può essere la seguente: • 60-100% ingredienti secchi e/o • 30-40% max. vermouth e/o • 20% max. ingredienti dolci così ripartiti 20% max. liquori (oppure) 10% max. di liquori più 10% max. di creme di liquori, gocce di sciroppi o crema di cassis • Nel Cocktail aperitivo si possono prevedere anche succhi di frutta. Un piccolo accorgimento riguarda l’uso dei liquori e delle creme di liquori. Le seconde hanno una percentuale maggiore di concentrazione di zucchero, per cui si tenga in considerazione questo elemento. Nei cocktail aperitivi evitare inoltre i seguenti ingredienti: yogurt, crema di latte, latte, gelati, digestivi, caffè. Suggeriamo intanto lo schema proposte poche righe prima, applicandolo alla costruzione di un cocktail aperitivo: BASE

alcol e struttura CARATTERIZZANTI

Caratterizzano il cocktail soprattutto la funzione aperitivo. Dà aromi intensi, dona maggior corpo CORRETTORI

Contribuiscono all’aroma intenso con profumi fruttati, colore e amarezza

1

Il libro dei Cocktail Internazionali IBA. Luigi Manzo, Edizioni Argonautiche, 2012.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Esempio: Bronx

BASE

3 cl gin

Per alcol e struttura 1,5 cl vermouth rosso 1 cl vermouth dry

CARATTERIZZANTI

Contribuiscono a rafforzare la condizione di aperitivo.

CORRETTORI

1,5 cl Succo d’arancia

Dà aromi intensi e colore.

Proviamo adesso a modificare un Vodkatini (6 cl vodka, 1 cl vermouth dry, mescolati in mixing glass e serviti in coppetta a cocktail con sprizzo di olio essenziale di limone). Ecco un’ipotesi: Esempio: Vodkatini

6 cl vodka

BASE

Per alcol e struttura CARATTERIZZANTI

1 cl vermouth dry

Contribuisce a rafforzare la condizione di aperitivo

CORRETTORI

1 spruzzata di bitter Campari

Dona aromaticità

In questo caso si può spruzzare il Bitter Campari aiutandosi con appositi vaporizzatori, che ricordano molto quelli per il profumo.

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MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

COSTRUIAMO UN COCKTAIL DOLCE O AFTER DINNER Una volta si diceva che lo scopo di un after-dinner fosse di favorire la digestione del cibo, o comunque di essere tendenzialmente dolce. Probabilmente la seconda ipotesi è quella più logica, poiché i cocktail after dinner essendo composti da superalcolici non favoriscono affatto la digestione a fine pasto. L’after dinner deve avere al suo interno almeno un ingrediente dolce (liquore, creme, latticini ecc.) e la gamma dei prodotti da usare è vasta: si va dai prodotti alle erbe, al caffè, oppure a base di frutta secca. La struttura tipo del cocktail dolce può essere la seguente:

• 30-40% max. componenti digestive dolci (esclusa la base alcolica) Nella ricetta vi può essere la presenza di: prodotti alle erbe oppure al caffè, oppure a base di frutta secca • 10% max. sciroppi • 10-20% max. succhi

BASE alcol e struttura CARATTERIZZANTI Caratterizza lo scopo del cocktail, in altre parole la condizione dolce

CORRETTORI Contribuisce all’aroma con profumi fruttati o di erbe

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Esempio: Alexander

BASE

3 cl cognac

Per alcol e struttura CARATTERIZZANTI

3 cl Crema di cacao scura

Contribuiscono a dare dolcezza e aromaticità al cocktail

CORRETTORI

3 cl crema di latte

Accentua le caratteristiche di dolcezza, mentre la noce moscata che viene spolverata dona aroma speziato

Se volessimo modificarlo per crearne uno a nostro piacere, possiamo sfruttare in questo caso l’affinità merceologica dei prodotti aggiungendo del Curaçao (anche colorato) al posto della crema di latte. Esempio: Alexander Curaçao BASE

3 cl cognac

Per alcol e struttura CARATTERIZZANTI

3 cl crema di cacao chiara

Contribuiscono a dare dolcezza e aromaticità al cocktail

CORRETTORI

3 cl Orange Curaçao

Rafforza la dolcezza del cocktail, dona inoltre colore e profumo

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MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

COSTRUIAMO UN COCKTAIL LONG DRINK Lo scopo di un long drink è dissetare e può essere alcolico o analcolico. Se alcolico, deve contenere, solitamente, poco alcol. È bevuto lontano dai pasti e le caratteristiche principali sono la spiccata freschezza, alcolicità media bassa e dissetare. Il loro contenuto varia da un minimo di 13 cl a oltre 20 cl. Tuttavia negli ultimi tempi la dose di un long drink è mediamente 20 cl. La struttura tipo del cocktail long drink può essere la seguente: • 50-90% max. componenti analcoliche o poco alcoliche tra cui: Succhi di frutta o verdura Bibite gassate Vini e spumanti Aperitivi “sodati” Gelati • 10% max. sciroppi

BASE Struttura alcolica (poco o completamente assente) CARATTERIZZANTI Caratterizza la freschezza, disseta ed è analcolico

CORRETTORI Contribuisce con maggior colore e dolcezza

Esempio: Sea Breeze BASE

4 cl vodka

Per alcol e struttura CARATTERIZZANTI

12 cl succo di mirtillo

Contribuiscono a dare freschezza, disseta ed è analcolico

CORRETTORI

3 cl succo di pompelmo

Dona lieve acidità e profumo 149


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Ricettario long drink Le seguenti ricette sono state ideate durante la lezione sui cocktail analcolici tenuta nel corso per Barman Base AIBM. Altri ricettari verranno man mano pubblicati direttamente sul sito www.aibmproject.it.

Pretender

Riccardo Gironi

Banana Lemon

• 4 cl tequila

• 4 cl vodka

• 9 cl succo di pompelmo

• 2 cl nettare d’albicocca

• 2,5 cl vodka alla fragola

• 1,5 cl sciroppo di granatina

• 4 cl succo d’arancia

• 3 cl gin

• 1,5 cl sciroppo di zucchero Si prepara nel blender, si serve nell’highball.

• 3 cl succo di pompelmo

Completare con sprite e due cannucce.

Completare con due cannucce.

Tequila Shinny

Barbie

Si prepara nel blender, si serve nell’highball.

banana

Si prepara nel blender, si serve si serve nell’highball. Completare con Lemonsoda e due cannucce.

Heidi

• 3,5 cl tequila

• 4 cl vodka alla pesca

• 4 cl rum

• 2 cl lemon soda

• 4 cl succo ace

• 3 cl nettare d’albicocca

• 0,5 cl sciroppo di zucchero

• 4 cl succo albicocca

• ananas (1 fetta)

• 15 cl succo d’arancia

• 0,5 cl sciroppo di granatina

• 0,5 cl sciroppo di granatina

Si prepara nel blender, si serve highball.

Si prepara nel blender, si serve highball.

Si prepara nel blender, si serve nell’highball.

Completare con due cannucce.

Completare con due cannucce.

Completare con Sprite e due cannucce.

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Mary Jo

Iena

Sunday Sun

• 6 cl nettare d’albicocca

• 4,5 cl vodka alla fragola

• 4 cl vodka

• 4,5 cl vodka

• 4 cl arancia rossa

• 10 cl succo di ananas

• 4,5 cl sprite

• 6 cl succo di albicocca

• 2 cl sciroppo di amarena

• melone frullato Si prepara nel blender, si serve nell’highball. Lasciare sul fondo macedonia di melone e ananas.

Si prepara nello shaker, si serve nell’highball con un bottone di granatina.

• 9 cl di sprite Si prepara nello shaker (esclusa la sprite), si serve nell’highball.

Op Up

Iseisa

• 0,5 cl sciroppo di granatina

Completare con due cannucce.

Perfect Kiss

• 4,5 cl tequila

• 10 cl succo di ananas

• 5 cl vodka alla fragola

• 10 cl arancia rossa

• 1 cl sciroppo di granatina

• 14 cl succo di ananas

• 5 cl sprite

• 1 cl sciroppo di lampone

Si prepara nello shaker (esclusa la sprite), si serve nell’highball.

Si prepara nello shaker, si serve nell’highball.

Si prepara nello shaker, si serve nell’highball con un bottone1 di granatina .

Completare con due cannucce.

Freak

Royal Rumble

Makarena

• 4 cl vodka

• 3 cl gin

• 2 cl succo di pera

• 1 cl sciroppo di amarena

• 7 cl succo di ace

• 4 cl succo di ananas

• 10 cl sprite

• 5 cl succo di ananas

• 7 cl sciroppo di ACE

• 1 cl sciroppo di lime

• 4,5 cl gassosa

Si prepara nello shaker, si serve nell’highball.

Si prepara nello shaker (eccetto gassosa) e si serve nell’highball.

Si prepara nello shaker (esclusa la sprite), si serve nell’highball. Aggiungere due cannucce.

1

Completare con due cannucce.

Completare cannucce.

con

due Si orla con zucchero e si completa con due cannucce.

Nei cocktail IBA vengono inseriti nella categoria long drink anche cocktail con formati da 15 cl.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

TAVOLA DELLA MISCIBILITÀ DEGLI ALIMENTI

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MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

CALCOLARE IL COSTO DEL COCKTAIL Un aspetto molto interessante quando si vuole stilare un menu per il locale, è quello di sapere esattamente quanto ci costa un cocktail e conseguentemente a quanto proporlo alla clientela. Per valutare il costo esatto del drink dobbiamo conoscere: • quantità dei prodotti da usare; • costo della bottiglia; • quantità del prodotto contenuto nelle varie bottiglie; • costo forfettario per la guarnizione del drink. Per applicare la teoria alla pratica, calcoliamo il costo di un Americano.

Americano • 3 cl vermouth rosso • 3 cl bitter Campari • una spruzzata di soda •

fetta d’arancia

Si esamina innanzitutto il costo dei singoli prodotti. Ad esempio una bottiglia di vermouth rosso 7,30 (prezzo indicativo). La bottiglia è di 750 ml. La dose necessaria è 30 ml (ovvero 3 cl). Per conoscere quanto “spenderemo” per 30 ml di Vermouth rosso, occorre una semplice operazione matematica... 750 ml : 30 ml = 7,30 : X X = 30 x 7,30 / 750 = 0,29 Il costo del vermouth rosso impiegato nell’Americano è quindi 0,29.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

INGREDIENTI

PREZZO BOTTIGLIA (da 0,75cl a 1000cl)

QUANTITÀ

COSTO X QT USATA

VERMOUTH ROSSO

3 cl

7,30

0,29

BITTER CAMPARI

3 cl

7,30

0,29

SODA WATER

3 cl

4,00

0,12

X

0,05

GUARNIZIONE

X

TOTALE

0,75

Il coefficiente moltiplicatore Naturalmente non si potrà mai vendere un Americano a 0,75. Per arrivare a una cifra che comprenda anche le altre voci (personale, affitto, spese gestione ecc.) ci vuole il Coefficiente Moltiplicatore, che può variare da 3 a 10 (altri parlano da 5 a 7, ma è consigliabile avere una forchetta più ampia). Quindi: 0,75 (drink cost) x 7 (coefficiente medio alto) =

5,25

Il prezzo poi può essere arrotondato a 6 o a 7. Come dicevamo, queste informazioni saranno molto utili nel momento in cui si deve creare un menu poiché permettono anche di farsi un’idea precisa dei ricavi che possiamo avere dai cocktail proposti. Su internet sono disponibili alcuni software in grado di calcolare il prezzo del cocktail: ad esempio Cocktail Cost Calculator di Cockeyed (http://www.cockeyed.com/inside/ cocktail/cocktail_calculator.shtml) offre varie opzioni. Per esempio possiamo selezionare con quale Tequila vogliamo creare il drink (Base, Premium, Ultra premium ); selezionare il Cointreau o un altro prodotto come aromatizzante e così via. L’unico inconveniente è che il totale è calcolato in dollari. Negli ultimi tempi anche Aibmproject ha realizzato un’app (scaricabile da Google Store) per Android. L’app Drink Cost, sviluppata con la collaborazione di Roberto Pucci di Paintweb, calcola il prezzo di ognuno dei 77 cocktail IBA, ma permette anche di inserirne degli altri, di modificare i prezzi delle bottiglie (quindi è personalizzabile), oltre che aggiungere nuovi cocktail. Potete scaricarla anche da www.aibmproject.it e www.paintweb.it.

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MODULO 11: IL COCKTAIL, LE ATTREZZATURE, I DOSAGGI

TECNICHE DI PREPARAZIONE CODIFICATE PER BARTENDER Neat Tutti quei prodotti singoli che sono versati dalla bottiglia al bicchiere di servizio e possono essere serviti lisci o con ghiaccio (whisky, amari ecc.). Build Tutti quei drink composti di vari ingredienti, preparati direttamente nel bicchiere di servizio, con ghiaccio o senza (per esempio: Cuba Libre, Negroni, Americano ecc.). Mix & Pour Drink preparati direttamente nel Boston senza ghiaccio, mixati e versati nel bicchiere di servizio con ghiaccio (per esempio: Daiquiri Rocks, L.I.T. ecc). Shake & Strain Quei drink che contengono ingredienti di difficile emulsionamento (creme, panna, latte e così via). Sono preparati nel Boston, shakerati con ghiaccio e poi filtrati nel bicchiere di servizio senza ghiaccio. Shake & Strain with ice Come la tecnica precedente, ma serviti con ghiaccio. Shake & Pour Alternativa alla tecnica Shake & Strain e mix & pour, preparato nel Boston senza ghiaccio poi shakerato con lo stesso bicchiere di servizio con ghiaccio e versato nello stesso con il ghiaccio di shakerata. Oppure, preparati nel Boston senza ghiaccio. Stir & Strain Drink di facile emulsionamento, con liquori delicati. Sono preparati nel mixing glass e raffreddati con lo stirrer, filtrati infine nel bicchiere di servizio ben freddo (per esempio: Martini (Dry), Manhattan). Muddle Tutti quei drink che contengono frutta e zuccheri da pestare prima della preparazione alcolica (per esempio: Caipiroska, Caipirina, Caipiritaly ecc.). Blend Per la preparazione dei drink frozen. Si preparano direttamente nel blender frullati con ghiaccio e versati nel bicchiere di servizio (per esempio: Piña Colada, Margarita frozen ecc. Build Layer Per la preparazione di drink a strati. Si preparano direttamente nel bicchiere di servizio senza ghiaccio, tenendo conto del peso specifico degli ingredienti per formare gli strati. In Italia sono conosciuti come Pousse café; un tipico esempio è il B52.

155


Note

156


Quanto ne sai?

1 2 3

4 5 6

7

I cocktail codificati IBA al 2012 sono... a)

b) c)

50 60 77

I cocktail definiti anytime... a) b) c)

Sono aperitivi Sono after dinner Si possono bere a tutte le ore

Il cocktail long drink deve... a) b) c)

Predisporre al pasto Dissetare Favorire la digestione

Il boston shaker è composto da... a) b) c)

2 pezzi 3 pezzi 1 pezzo

Il bicchiere old fashioned viene anche chiamato... a) b) c)

Rocks glass Highball Ballon

Prima dei centilitri i cocktail venivano frazionati in... a) b) c)

Parti Misure Decimi

La base di un cocktail è solitamente... a) b) c)

Un succo di frutta Un liquore Un distillato 157


Crucibarman • 11

158


2 Cocktail diventati famosi grazie ad un passaparola (7) 5 Unità di misura in uso nei Paesi anglosassoni (5) 6 Il nome è francese e letteralmente significa flauto (5) 7 Famoso fotografo a cui è stato dedicato un cocktail IBA (10) 8 Tipo di acqua che non va messa nello shaker (4) 9 Bicchiere molto piccolo e compatto (4) 11 Apparecchio elettrico o manuale che serve per ottenere ghiaccio tritato (13)

Orizzontali

13 Per i bicchieri bassi sono adatte quelle corte (8) 14 Bicchiere a palloncino, molto richiuso in alto, in cui si degustano le grandi acquaviti (6) 15 Termina con una paletta adatta per miscelare alcuni tipi di cocktail (7) 17 Mitico professore di cocktail (11) 19 Sinonimo di shaker americano (6) 20 Utile per spremere i lime tagliati a metà (12) 21 Locali in voga durante il Proibizionismo (11)

1 Categoria di drink IBA aggiunta nel 2010 (7) 3 Durò dal 1919 al 1933 (14) 4 Viene chiamato anche rocks glass (12) 8 Passino per cocktail (8) 10 Viene chiamato anche Delmonico da un celebre locale

Verticali

di New York (7) 12 Utile per ottenere il succo da limoni o arance (12) 16 International Bartender Association (3) 17 Sinonimo di misurino (6) 18 Bicchiere a forma cilindrica di tipo tumbler di capacità variabile tra 240 e 350 millilitri (8) 19 Utile per frullare la frutta per i frozen (7)

159


modulo 12

LE CATEGORIE DEI COCKTAIL

160


LE CATEGORIE DEI COCKTAIL La famiglia dei cocktail è molto variegata e va oltre la suddivisione IBA. Una delle prime suddivisione venne fatta da Harry Craddock negli anni Trenta. Negli anni a venire vi sono state nuove “famiglie”. In questo e-book troverete le principali categorie, oltre alle regole fondamentali per la costruzione di uno specifico drink.

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modulo 13

I COCKTAIL CODIFICATI IBA 162


I COCKTAIL CODIFICATI IBA 2011 In questo modulo esamineremo le ricette dei cocktail IBA, secondo l’ultima lista pubblicata nel Novembre 2011 (riveduta poi alcune volte, fino a Febbraio 2012).

THE UNFORGETTABLES All Day Cocktail

Before Dinner Cocktail

ALEXANDER

AMERICANO

• 3 cl cognac • 3 cl crema di cacao (scura) • 3 cl crema di latte

• 3 cl Campari • 3 cl vermouth rosso • una spruzzata di soda water

Shakerare tutti gli ingredienti e filtrarli in una coppetta a cocktail. Guarnire con una spolverata di noce moscata.

Miscelare gli ingredienti direttamente in un bicchiere old fashioned riempito di ghiaccio. Aggiungere una spruzzata di soda e guarnire con mezza fetta d’arancia.

All Day Cocktail

All Day Cocktail

ANGEL FACE

AVIATION

• 3 cl gin • 3 cl Apricot brandy • 3 cl Calvados

• 4,5 cl gin • 1,5 cl maraschino • 1,5 cl succo di limone

Versare tutti gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio. Shakerare e servire in una coppetta a cocktail.

Shakerare e servire in una coppetta a cocktail

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Before Dinner Cocktail

All Day Cocktail

BACARDI

BETWEEN THE SHEETS

• 4,5 cl rum Bacardi • 2 cl succo di lime • 1 cl sciroppo di granatina

• 3 cl rum chiaro • 3 cl cognac • 3 cl Triple Sec • 2 cl succo di limone

Versare tutti gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio. Shakerare e servire in una coppetta a cocktail.

Versare tutti gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio. Shakerare e servire in una coppetta a cocktail.

All Day Cocktail

All Day Cocktail

CASINO

CLOVER CLUB

• 4 cl Old Tom Gin • 1 cl maraschino • 1 cl Orange Bitters • 1 cl succo di limone

• 4,5 cl gin • 1,5 cl sciroppo di lampone • 1,5 cl succo di limone • alcune gocce di albume d’uovo

Versare tutti gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio e filtrare in una coppetta a cocktail. Guarnire con lemon twist e una ciliegia al maraschino.

Versare tutti gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio e filtrare in una coppetta a cocktail.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

Before Dinner Cocktail

All Day Cocktail

DAIQUIRI

DERBY

• 4,5 cl rum chiaro • 2,5 cl succo di lime • 1,5 cl sciroppo di zucchero

• 6 cl gin • 2 gocce di Peach bitters • 2 germogli di menta

Versare tutti gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio e filtrare in una coppetta a cocktail.

Versare gli ingredienti in un mixing glass con ghiaccio. Mescolare e servire in una coppetta a cocktail. Guarnire con germogli di menta lasciati nel drink.

Before Dinner Cocktail

Long Drinks

DRY MARTINI

GIN FIZZ

• 6 cl gin • 1 cl vermouth dry

• 4,5 cl gin • 3 cl succo di limone • 1 cl sciroppo di zucchero • 8 cl soda water

Versare gli ingredienti nel mixing glass con ghiaccio. Mescolare bene e filtrare in una coppetta Martini. Versare alcune gocce di olio essenziale di limone spremendole dalla buccia, oppure guarnire con oliva.

Shakerare gli ingredienti, tranne la soda water. Versare in un highball e colmare con soda. Guarnire con una fettina di limone.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Long Drinks

Before Dinner Cocktail

JOHN COLLINS

MANHATTAN

• 4,5 cl gin • 3 cl succo di limone • 1,5 cl sciroppo di zucchero • 6 cl soda water

• 5 cl Rye Whiskey • 2 cl vermouth rosso • due gocce di angostura bitters

Versare gli ingredienti direttamente in un highball con ghiaccio. Mescolare e guarnire con una fettina di limone e una ciliegina al maraschino. Aggiungere alcune gocce di Angostura bitters. (Nota: Usare Old Tom Gin per il cocktail Tom Collins)

Versare gli ingredienti in un mixing glass con ghiaccio. Mescolare e servire in una coppetta a cocktail, guarnendo con ciliegina da cocktail.

All Day Cocktail

All Day Cocktail

MARY PICKFORD

MONKEY GLAND

• 6 cl rum chiaro • 1 cl maraschino • 6 cl succo di ananas • 1 cl sciroppo di granatina

• 5 cl gin • 3 cl succo d’arancia • 2 gocce di assenzio • 2 gocce di granatina

Shakerare e filtrare in una doppia coppetta a cocktail.

Shakerare e filtrare in una coppetta a cocktail.

166


MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

Before Dinner Cocktail

Before Dinner Cocktail

NEGRONI

OLD FASHIONED • 4,5 cl Bourbon o Rye whiskey • 2 gocce di angostura bitters • 1 zolletta di zucchero • una spruzzata d’acqua

• 3 cl gin • 3 cl Campari • 3 cl vermouth rosso

Si prepara direttamente in un old fashioned con ghiaccio. Si mescola e si guarnisce, infine, con mezza fetta d’arancia.

Mettere la zolletta di zucchero nell’old fashioned e aggiungere il bitter; così anche la spruzzata di acqua. Pestare fino a che non si scioglie. Riempire il bicchiere con ghiaccio ed aggiungere Whiskey. Guarnire con fetta d’arancia e ciliegina da cocktail.

All Day Cocktail

Long Drinks

PARADISE

PLANTER’S PUNCH • 4,5 cl rum scuro • 3,5 cl succo d’ananas • 2 cl succo di limone • 3,5 cl succo d’arancia • 1 cl sciroppo di granatina • 1 cl sciroppo di zucchero di canna • 3-4 gocce di angostura bitters

• 3,5 cl gin • 2 cl Apricot brandy • 1,5 cl succo d’arancia

Versare gli ingredienti nello shaker con ghiaccio. Servire in una coppetta a cocktail raffreddata.

Versare gli ingredienti, tranne il bitter, nello shaker. Filtrare in un bicchiere grande, riempito di ghiaccio; aggiungere le gocce di Angostura bitters alla fine. Guarnire con ciliegina da cocktail e spicchio di ananas.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

After Dinner Cocktail

Long Drinks

PORTO FLIP

RAMOS FIZZ • 4,5 cl gin • 1,5 cl succo di lime • 1,5 cl succo di limone • 3 cl sciropp. di zucchero • 6 cl panna • 1 albume d’uovo • 3 spruzzi di acqua di fiori d’arancio • 2 gocce di vaniglia • soda water

• 1,5 cl brandy • 4,5 cl porto rosso • 1 cl rosso d’uovo

Versare tutti gli ingredienti nello shaker con ghiaccio. Servirlo in una coppetta a cocktail con una spolverata di noce moscata.

Versare tutti gli ingredienti (eccetto la soda) in un mixing glass, agitando per due minuti, senza ghiaccio; aggiungere ghiaccio e mescolare con forza per un altro minuto. Filtrare in un highball colmare con soda.

After Dinner Cocktail

After Dinner Cocktail

RUSTY NAIL

SAZERAC • 5 cl cognac • 1 cl assenzio • 1 zolletta di zucchero • 2 gocce di Peychaud’s bitters

• 4,5 cl scotch whisky • 2,5 cl Drambuie

Bagnare un old fashioned ghiacciato con l’assenzio, aggiungere ghiaccio tritato. Mescolare gli ingredienti con ghiaccio. Eliminare il ghiaccio e l’assenzio in eccesso e filtrare il cocktail nel bicchiere. Aggiungere la scorza di limone per guarnire. Nota: la ricetta originale è cambiata dopo la Guerra Civile americana, infatti il Whisky di segale sostituisce il Cognac .

Versare gli ingredienti in un old fashioned riempito con ghiaccio. Mescolare delicatamente e guarnire con lemon twist.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

All Day Cocktail

All Day Cocktail

SCREWDRIVER

SIDECAR

• 5 cl vodka • 10 cl succo d’arancia

• 5 cl cognac • 2 cl Triple Sec • 2 cl succo di limone

Versare gli ingredienti in un highball con ghiaccio. Miscelare e guarnire con fetta d’arancia.

Versare gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio. Shakerare e servire in una doppia coppetta da cocktail.

After Dinner Cocktail

All Day Cocktail

STINGER

TUXEDO

• 5 cl cognac • 2 cl crema di menta bianca

• 3 cl Old Tom Gin • 3 cl vermouth dry • cucchiaino di maraschino • 1/4 cucchiaino di assenzio • 3 gocce di Orange Bitters

Versare gli ingredienti nel mixing glass con ghiaccio. Mescolare e servire in una coppetta da cocktail.

Mescolare tutti gli ingredienti con ghiaccio e filtrare in una coppetta a cocktail. Guarnire con ciliegina per cocktail e scorzetta di limone.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Before Dinner Cocktail

All Day Cocktail

WHISKEY SOUR

WHITE LADY

• 4,5 cl Bourbon whiskey • 3 cl succo di limone • 1,5 cl sciroppo di zucchero • albume d’uovo (facoltativo)

• 4 cl gin • 3 cl Triple Sec • 2 cl succo di limone

Versare tutti gli ingredienti nello shaker riempito di ghiaccio. Shakerare e filtrare in una coppetta a cocktail. Se servito ‘On the rocks’, filtrare gli ingredienti nell’old fashioned riempito con ghiaccio. Guarnire con mezza fetta d’arancia e ciliegina al maraschino.

Versare gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio. Shakerare e servire in una doppia coppetta da cocktail.

CONTEMPORARY CLASSICS Sparkling Cocktail

After Dinner Cocktail

BELLINI

BLACK RUSSIAN

• 10 cl prosecco • 5 cl purea di pesca (fresca)

• 5 cl vodka • 2 cl liquore al caffè

Versare la purea di pesca in una flûte raffreddata e aggiungere il Prosecco. Mescolare delicatamente. Varianti: Puccini (succo di mandarino fresco), Rossini (frullato di fragole) e Tintoretto (succo di melograno).

Versare gli ingredienti in un old fashioned con ghiaccio. Mescolare delicatamente. Per la versione White Russian, versare delicatamente della crema di latte in cima.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

Long Drinks

All Day Cocktail

BLOODY MARY

CAIPIRIÑHA

• 4,5 cl vodka • 9 cl succo di pomodoro • 1,5 cl succo di limone • 2-3 gocce di Worcestershire Sauce • tabasco • sale di sedano • pepe

• 5 cl cachaça • lime tagliato in 4 • 2 cucch. di zucchero

Tagliare il lime in 4 pezzi ed aggiungere lo zucchero in un bicchiere tipo old fashioned. Pestare delicatamente e colmare con ghiaccio e la Cachaça. (Nota: nel Caipiroska usare Vodka al posto della Cachaça).

Versare gli ingredienti in un highball glass. Guarnire con sedano e fettina di limone (facoltativa).

Sparkling Cocktail

All Day Cocktail

CHAMPAGNE COCKTAIL

COSMOPOLITAN

• 9 cl champagne • 1 cl cognac • 2 gocce di angostura bitters • 1 zolletta di zucchero

• 4 cl vodka al limone • 1,5 cl Cointreau • 1,5 cl succo di lime • 3 cl succo di mirtillo rosso

Versare delicatamente il cognac e lo champagne e sopra la zolletta di zucchero imbevuta con le due gocce di Angostura. Guarnire con fetta d’arancia e ciliegina maraschino.

Si prepara nello shaker riempito con ghiaccio e si serve in una doppia coppetta a cocktail, guarnito con una fettina di lime.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Long Drinks

Sparkling Cocktail

CUBA LIBRE

FRENCH 75

• 5 cl rum chiaro • 12 cl cola • 1 cl succo di lime

• 3 cl gin • 1,5 cl succo di limone • 2 gocce di sciroppo di zucchero • 6 cl champagne

Versare gli ingredienti in un highball con ghiaccio. Guarnire con fettina di lime.

Versare gli ingredienti, tranne lo champagne, nello shaker. Shakerare e filtrare in una flûte. Colmare con champagne e mescolare.

After Dinner Cocktail

After Dinner Cocktail

FRENCH CONNECTION

GOD FATHER

• 3,5 cl scotch • 3,5 cl amaretto

• 3,5 cl cognac • 3,5 cl amaretto

Versare gli ingredienti direttamente in un old fashioned glass riempito di ghiaccio. Mescolare delicatamente.

Si prepara direttamente in un bicchiere tipo old fashioned riempito di ghiaccio. Si mescola delicatamente e si serve.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

After Dinner Cocktail

All Day Cocktail

GOD MOTHER

GOLDEN DREAM

• 3,5 cl vodka • 3,5 cl amaretto

• 2 cl Galliano • 2 cl Triple sec • 2 cl succo d’arancia • 1 cl crema di latte

Questo drink, simile al precedente, si prepara direttamente in un bicchiere tipo old fashioned riempito di ghiaccio.

Versare gli ingredienti in uno shaker con ghiaccio. Filtrare in una coppetta a cocktail.

After Dinner Cocktail

All Day Cocktail

GRASSHOPPER

HARVEY WALLBANGER

• 4,5 cl vodka • 1,5 cl Galliano ( da versare alla fine sul cocktail) • 9 cl succo d’arancia

• 3 cl crema di cacao chiara • 3 cl crema di menta verde • 3 cl crema di latte

Versare la Vodka ed il succo d’arancia in un highball con ghiaccio. Mescolare delicatamente e versare il Galliano sopra. Guarnire con fetta d’arancia e ciliegina.

Versare gli ingredienti in uno shaker riempito di ghiaccio. Filtrare in una coppetta a cocktail.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

All Day Cocktail

Long Drink

HEMINGWAY SPECIAL

HORSE’S NECK

• 6 cl rum chiaro • 4 cl succo di pompelmo • 1,5 cl maraschino • 1,5 cl succo di lime

• 4 cl brandy • 12 cl Ginger Ale • gocce di angostura bitter (facoltativa)

Versare gli ingredienti nello shaker e filtrare in una doppia coppetta a cocktail.

Si prepara direttamente nel bicchiere highball con cubetti di ghiaccio. Si mescola delicatamente e si guarnisce con una spirale di limone. Se richiesto, alcune gocce di Angostura Bitter.

Hot Drinksl

Before Dinner Cocktail

IRISH COFFEE

KIR

• 4 cl Irish whiskey • 9 cl caffè • 3 cl crema di latte • 1 cucch. di zucchero di canna

• 9 cl vino bianco secco • 1 cl crema de Cassis

Preparare direttamente in un bicchiere riscaldato con acqua. Raffreddare lo shaker, agitare la crema di latte per 2 min. Versare lo zucchero di canna e il whiskey e riscaldare con il lanciavapore, aggiungendo il caffè espresso. Unire la panna semimontata aiutandosi con un bar spoon.

Si prepara direttamente nella flûte, versando prima la Crème de Cassis e infine colmando con vino ben freddo. Si può usare anche champagne al posto del vino bianco nella versione Royal.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

Long Drink

Long Drink

LONG ISLAND ICED TEA

MAI-TAI

• 1,5 cl Tequila • 1,5 cl vodka • 1,5 cl rum chiaro • 1,5 cl Triple sec • 1,5 cl gin • 2,5 cl succo di limone • 3 cl sciroppo di zucchero • 1 spruzzata di cola

• 4 cl rum chiaro • 2 cl rum scuro • 1,5 cl Orange Curaçao •1,5 cl sciroppo d’orzata (di mandorle) • 1 cl succo di lime

Si versano gli ingredienti in uno shaker. Dopo aver shakerato, si versa il cocktail in un bicchiere tipo highball e guarnendo con uno spicchio di ananas, ramoscello di menta e scorza di lime. Servire con cannuccia.

Si prepara direttamente in un bicchiere tipo highball, riempito di ghiaccio. Mescolare delicatamente e guarnire con una spirale di limone e cannuccia.

All Day Cocktail

Sparkling Cocktail

MARGARITA

MIMOSA

• 7,5 cl champagne • 7,5 cl succo d’arancia

• 3,5 cl Tequila • 2 cl Cointreau • 1,5 cl succo di lime

Versare gli ingredienti nello shaker e servire in una coppetta a cocktail con il bordo orlato di sale.

Versare il succo d’arancia in una flûte insieme allo champagne. Mescolare delicatamente. Si può guarnire con un twist d’arancia (è facoltativa).

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Long Drink

Long Drink

MINT JULEP

MOJITO

• 6 cl Bourbon whiskey • 4 foglioline di menta • 1 cucchiaino di zucchero a velo • 2 cucchiaini d’acqua

• 4 cl rum cubano bianco • 3 cl succo di lime • 6 foglioline di menta • 2 cucch. di zucchero di canna bianco • Soda water

In un highball pestare delicatamente la menta, con zucchero e acqua. Riempire il bicchiere con ghiaccio tritato, aggiungere Bourbon e miscelare fino a che il bicchiere non si brini. Guarnire con ramoscelli di menta.

Adagiare sul fondo al bicchiere la menta con zucchero e succo di lime e si pesta per far sprigionare l’essenza alla menta. Aggiungere una spruzzata di soda e riempire il bicchiere di ghiaccio tritato. Versare il rum e colmare con soda water.

Long Drink

Long Drink

MOSCOW MULE

PIÑA COLADA

• 4,5 cl vodka • 12 cl ginger beer • 0,5 cl succo di lime • 1 fettina di lime

• 3 cl rum chiaro • 9 cl succo di ananas • 3 cl latte di cocco

Frullare gli ingredienti con ghiaccio in un blender, versare il tutto in un goblet e o un bicchiere tipo Hurricane. Servire con cannucce. Guarnire con fettina di ananas e una ciliegina cocktail.

Miscelare vodka e ginger beer ed aggiungere succo di lime. Guarnire con fettina di lime.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

All Day Cocktail

Long Drinks

ROSE

SEA BREEZE

• 2 cl Kirsch • 4 cl vermouth dry • 3 gocce di sciroppo di fragola

• 4 cl vodka • 12 cl succo di mirtillo rosso • 3 cl succo di pompelmo

Si prepara nel mixing glass e si serve in una coppetta a cocktail.

Si versano gli ingredienti in un bicchiere tipo rock, riempito con ghiaccio. Si guarnisce, infine, con una fettina di lime.

Long Drinks

Long Drinks

SEX ON THE BEACH

SINGAPORE SLING • 3 cl gin • 1,5 cl liquore alle ciliegie • 12 cl succo d’ananas • 1,5 cl succo di lime • 0,75 cl Cointreau • 0,75 cl DOM Bénédictine • 1 cl sciroppo di granatina • 1 goccia di Angostura bitter

• 4 cl vodka • 2 cl Peach schnapps • 4 cl succo di mirtillo rosso • 4 cl succo d’arancia

Si serve il cocktail in un bicchiere tipo highball riempito di ghiaccio e si guarnisce con una fetta di arancia.

Si prepara nello shaker e si serve in un bicchiere tipo highball. Si guarnisce infine una fettina di ananas e una ciliegia da cocktail.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Long Drink

TEQUILA SUNRISE • 4,5 cl Tequila • 9 cl succo d’arancia • 1,5 cl sciroppo di granatina

Si prepara direttamente in un bicchiere tipo highball colmo di ghiaccio. Si versa il Tequila, succo d’arancia ed infine la granatina per ottenere un effetto “aurora” (non miscelare). Si guarnisce con una fettina d’arancia e ciliegia da cocktail.

NEW ERA DRINKS All Day Cocktail

Sparkling Cocktail

B52

BARRACUDA

• 2 cl Kahlua • 2 cl Bailey’s Irish Cream • 2 cl Grand Marnier

• 4,5 cl Gold rum • 1,5 cl Galliano • 6 cl succo di ananas • 1 goccia di lime

Si versano gli ingredienti in uno shooter e si serve con uno stirrer. Come primo ingrediente si versa il liquore al caffè, seguito dalla Crema Bailey’s molto lentamente facendola scorrere sul dorso di un bar spoon. Infine si versa il Grand Marnier. Si può anche incendiare il Grand Marnier e servire mentre ancora c’è la fiamma.

Colmare con Prosecco in una coppetta tipo “sombrero”.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

All Day Cocktail

Long Drinks

BRAMBLE

DARK ‘N STORMY • 6 cl Gosling’s Black Seal Rum • 10 cl ginger Beer

• 4 cl gin • 1,5 cl succo di limone • 1 cl sciroppo di zucchero • 1,5 cl liquore di more

In un bicchiere highball riempito di ghiaccio, aggiungere il Gosling’s Black Seal Rum e colmare con ginger beer. Guarnire con fettina di lime. Nota: questa è la ricetta originale, che prevede Gosling’s Black Seal Rum (ora sostituito genericamente con Rum scuro)

Mettere del ghiaccio tritato in un rock glass e versare gli ingredienti. Mescolare e versare il liquore di more sopra in maniera circolare. Guarnire con una fettina di limone e due more.

Before Dinner Cocktail

After Dinner Cocktail

DIRTY MARTINI

ESPRESSO MARTINI

• 6 cl vodka • 1 cl vermouth dry • 1 cl salamoia di oliva

• 5 cl vodka • sciroppo di zucchero • 1 cl Kahlúa • 1 espresso ristretto

Shakerare e filtrare in una coppetta a cocktail. Nota: La dose dello sciroppo di zucchero varia in base alla preferenza del cliente.

Versare gli ingredienti nel mixing glass con ghiaccio. Mescolare bere, filtrando in una coppetta Martini e guarnendo con oliva verde.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Before Dinner Cocktail

All Day Cocktail

FRENCH MARTINI

KAMIKAZE

• 4,5 cl vodka • 1,5 cl liquore al lampone • 1,5 cl succo di ananas fresco • scorzetta di limone

• 3 cl vodka • 3 cl triple sec • 3 cl succo di lime

Versare gli ingredienti nel mixing glass con ghiaccio. Mescolare bene. Filtrare in una coppetta a cocktail ben fredda. Spruzzare olio essenziale di limone (da una scorzetta) sul drink.

Shakerare e servire in una doppia coppetta a cocktail.

All Day Cocktail

After Dinner Cocktail

LEMON DROP MARTINI

PISCO SOUR

• 2,5 cl vodka al limone • 2 cl triple sec • 1,5 cl succo di limone

• 4,5 cl pisco • 3 cl succo di limone • 2 cl sciroppo di zucchero • 1 albume d’uovo (uovo piccolo come di quaglia) • una spruzzata di angostura bitter

Shakerare e filtrare in una coppetta a cocktail, orlata di zucchero, con una fettina di limone.

Versare gli ingredienti nello shaker con ghiaccio e filtrare in una flûte. Aggiungere alcune gocce di Angostura.

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MODULO 13: I COCKTAILS CODIFICATI IBA

Sparkling Cocktail

Sparkling Cocktail

RUSSIAN SPRING PUNCH

SPRITZ VENEZIANO

• 2,5 cl vodka • 2,5 cl succo di limone • 1,5 cl créme de cassis • 1 cl sciroppo di zucchero

• 6 cl prosecco • 4 cl Aperol

Versare gli ingredienti in un old fashioned con ghiaccio. Colmare con uno spruzzo di soda e guarnire con mezza fetta d’arancia.

Shakerare gli ingredienti e versare in una flûte, colmando con vino frizzante. Guarnire con una fettina di limone e more.

All Day Cocktail

Long Drink

TOMMY’S MARGARITA

VAMPIRO • 5 cl Tequila (silver) • 7 cl succo di pomodoro • 3 cl succo d’arancia • 1 cl succo di lime • 1 cucchiaino di miele • mezza fettina di cipolla, tritata • peperoncino fresco • gocce di Worchester • sale

• 4,5 cl Tequila • 1,5 cl succo di mezzo lime • 2 cucchiaini da tè di nettare di agave

Shakerare e servire in una coppetta a cocktail.

Versare gli ingredienti in uno shaker, con ghiaccio. Shakerare bene per far rilasciare un po’ di aroma dal peperoncino. Filtrare in un highball con ghiaccio e guarnire con lime e peperoncino

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Before Dinner Cocktail

All Day Cocktail

VESPER

YELLOW BIRD

• 6 cl gin • 1,5 cl vodka • 0,75 cl Lillet Blonde • Un twist di limone

• 3 cl rum chiaro • 1,5 cl Galliano • 1,5 cl Triple sec • 1,5 cl succo di lime

Shakerare e servire in una coppetta a cocktail, completando con twist di limone.

Shakerare e servire in una doppia coppetta a cocktail.

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Note

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Crucibarman • 13

184


2 Può essere ...veneziano (6) 4 Liquore italiano dall’inconfondibile colore giallo dorato (8) 7 Va usata spolverandola (11) 10 Simile al cocktail Americano, ma contiene gin (7) 12 Drink con alcuni ingredienti come gold rum e prosecco (9) 14 Strumento per agitare i cocktail con ingredienti con peso specifco diverso (6) 15 Contiene 2 cucchiaini di nettare di Agave (15) 18 Cocktail tipico messicano (7) 19 Viene usato per orlare la coppa sombrero nel Margarita (4) 20 Tipo di whisky usato nel Rob Roy (6) 22 Unità di misura in uso tra i bartender (4)

Orizzontali

25 Ricorda la brezza marina (9) 27 Versione... ghiacciata del Daiquiri (6) 28 Drink con la presenza di un caffè espresso (15) 29 Ingrediente caratteristico che dona il colore al Grasshopper (17) 30 Lo può essere lo shaker (7)

1 Inventata dal dott. Siegert (9) 3 Patriota scozzese e nome di un drink (6) 5 Distillato di canna da zucchero brasiliano (7) 6 Cocktail con lo stesso nome di un famoso Ron cubano (7) 8 Ingrediente del Vesper (12) 9 Così sono defniti i cocktail con max 7 cl (5) 11 Il suo nome signifca cavalletta (11) 13 Si presenta con una zolletta di zucchero imbevuta di angostura (17) 16 Celebre cocktail a base di Porto rosso e uovo (9)

Verticali

17 Contiene Kirsh e Cherry Brandy (4) 21 Tipo di bicchiere dove si prepara il Kir Royal (5) 23 Vanno sempre a coppia nei long drink (8) 24 Cocktail compresi tra i 9 e 13 cl (6) 26 Contiene liquore al lampone (7)

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modulo 14

I COCKTAIL ANALCOLICI 186


I COCKTAIL ANALCOLICI Non tutti i drink devono essere per forza alcolici e devono prevedere una sbornia. Ci possono essere occasioni particolari (quando si deve guidare, in una pausa di lavoro, durante una dieta disintossicante) che un drink analcolico è quello che ci vuole. I drink analcolici fanno parte dell’apposita categoria non alcoholics e sono medium e long drink composti prevalentemente da succhi di frutta e verdura, frutta fresca, sciroppi, latticini, uova e bibite gassate. In questo e-book le regole principali per creare un cocktail analcolico, oltre ad un approfondimento sugli ingredienti e materie prime.

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modulo 15

IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING 188


Il bartendering all’americana, o flair bartending, è una tecnica di lavoro, dove il principale obiettivo è di intrattenere il pubblico facendo volteggiare e muovendo con destrezza bottiglie e attrezzature (come lo shaker). In questo momento queste capacità professionali sono molto richieste da locali di tendenza, discoteche o per serate destinate a promuovere un prodotto. Le stesse case produttrici di alcolici sponsorizzano competizioni tra barman e promuovono corsi di formazione per insegnare tecniche di flair. Flair bartending si riferisce anche a “flair”, che vuol dire tocco, riferendosi anche a qualsiasi trucco utilizzato dal bartender per intrattenere gli ospiti durante la miscelazione di cocktail, sia lanciando bottiglie e shaker, sia manipolando liquori infiammandoli, sia a piccoli trucchi di prestigio. Il primo bartender che ha realizzato questo tipo d’intrattenimento è stato il celebre barman Jerry Thomas, detto Il Professore, che ideò un cocktail chiamato Blue Blazer, a metà dell’Ottocento. Stranamente fino agli anni Ottanta non si parlò di flair, fino al 1985 quando alcuni barman californiani si accorsero che far volteggiare le bottiglie non solo era spettacolare, ma attirava le ragazze e faceva aumentare le mance. Poi nel 1988 fece la comparsa al cinema Cocktail con Tom Cruise che consacrò il flair definitivamente.

GLI STILI Gli stili principali del flair che si conoscono sono principalmente due: il working flair e l’exhibition flair. Il primo riguarda la preparazione di cocktail con la tecnica del flair e permette di creare più drink in contemporanea, utilizzando come unità di misura, le once (abbreviate in oz) e aiutandosi con i metal pour, dei dosatori che possono essere di metallo o di plastica (o entrambi i materiali) da applicare alle bottiglie. La seconda tecnica è l’exhibition flair e s’intende lo spettacolo proposto da bartender facendo volteggiare bottiglie e strumenti. Spesso sono indette delle gare tra bartender dette competition flair... Le competizioni flairtending Le prime competizioni nacquero nel 1985 grazie alla catena TGI Friday’s che adottò come stile di servizio il flair bartending, organizzando anche delle gare tra i suoi dipendenti. Tra i primi divi vi è John Bandy, che addestrerà Tom Cruise, Brian Brown e le protagoniste de Le ragazze del Coyote Ugly per i rispettivi film. Oggi tra i principali eventi internazionali vi sono il Legends of Bartending (Las Vegas), il Roadhouse di Londra e tante gare nazionali (in Italia, tra gli altri, il Volcano’s Flair Competition). Durante le competizioni si usano bottiglie con poco liquido (solitamente meno di 2 once), adatte più per la coreografia e lo spettacolo con musica. Vi sono anche dei concorsi particolari, come il Blue Blazer e Flair Independent League (IFL) in Polonia, che premiano non solo l’estro, ma anche l’arte della miscelazione insieme. Curiosità sul primo concorso Il primo concorso per flair bartending fu quello proposto da Tgi Friday’s a Marina del Rey, in California, nel 1985. Fu John Mescall, bartender, a organizzare la competizione e si ritrovò anche a essere malvisto dai suoi colleghi che vedevano il flair più come un fastidio che come una vera arte (d’altronde avviene anche oggi). Nel 1987 la competizione fu poi vinta da John JB Bandy, divenuto come dicevamo personal trainer di Tom Cruise e Brian Brown per il film Cocktail 1988. Nel corso degli anni Tgi Friday’s è divenuto centro accreditato per la diffusione del flair bartending, che ha conosciuto celebrità anche fuori dagli States. Oggi i Paesi che sfornano piccoli campioni di flairtending sono: Uruguay, Argentina, Ucraina, Italia, Stati Uniti, Regno Unito e Giappone. Nessuna donna ha ancora vinto un campionato del mondo, anche se le concorrenti femminili arrivano regolarmente tra le prime dieci posizioni nelle gare più importanti. 189


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

LA WORK STATION La prima operazione che il bartender deve fare e disporre di un analisi dei cocktail e drink maggiormente preparati nel suo locale: di conseguenza organizzare la work station in base a questa analisi. Vediamo intanto la work station. Generalmente si presenta sotto forma di cassa di metallo di grandi dimensioni, divisa a scomparti. All’interno di essi possiamo trovare tutti quegli strumenti e quegli ingredienti che possono essere definiti “ad alta frequenza”: bottiglie maggiormente usate, decorazioni, ghiaccio in varie forme ed altro ancora.

Una workstation trasportabile ideata da Odk

Un altro elemento fondamentale è il ripiano su cui vengono preparati e serviti cocktail ed altre bevande, elemento d’obbligo per operare in working flair e in free pouring, ma soprattutto per aumentare la velocità di preparazione e di servizio. Solitamente in basso a sinistra di ogni work station troviamo un un comparto per le bottiglie, in cui vengono appunto inseriti gli ingredienti, generalmente alcolici, che vengono maggiormente utilizzati. Tutte le bottiglie sono munite di metal pour. Il loro nome tecnico è speed, da cui Speed Bottle, ovvero “Bottiglia Veloce”. La rapidità con cui vengono utilizzati i vari ingredienti, infatti, non può essere paragonata a quella di una normale bottigliera, che generalmente si posiziona alle spalle del barman e non di fronte. Nelle vasche al centro troviamo il ghiaccio: a sinistra intero, mentre a destra tritato. Ai lati sono collocate vasche a bassa temperatura contenenti preparati e bottiglie. Queste ultime, generalmente analcoliche, sono bottiglie di tipo Sto190


MODULO 15: IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING

re’n’Pour se contenenti preparati artigianali. In caso contrario vengono lasciate nelle proprie apposite confezioni. Gli ingredienti analcolici preconfezionati maggiormente utilizzati sono sciroppi (granatina, zucchero e così via), bibite gassate (coca, sprite, soda) spesso contenute in sifoni o collegate a “pistole”, ed alcuni succhi di frutta difficili da ottenere artigianalmente (come quello di mirtillo e di mirtillo rosso). Alla destra in basso si possono inserire strumenti come il blender, mentre dalla parte opposta in alto possiamo avere un lavandino, usato per lavare gli strumenti da bar come il tin, il mixing glass, lo strainer ecc. A sinistra e al centro in alto trovano spazio varie vaschette per la frutta e le decorazioni, siano esse da comporre sul cocktail, da mixare oppure da spremere.

GLOSSARIO DEL FLAIR E DELLE ATTREZZATURE

B

BAR ORGANIZER Si tratta di un semplice contenitore con divisioni interne per cannucce, strainer, stirrer, muddler, tovagliolini ed altri strumenti. Può essere adoperato anche per spiedi da decorazione, metal pour, plastic pour ecc. Anche questo strumento viene solitamente posizionato sull’asse di preparazione dei drink. BAR MAT Tradotto, “tappetino da bar”, è uno spesso foglio di gomma che presenta scanalature in grado di assorbire eventuali cadute di liquidi e costituisce il piano di lavoro ideale per ogni bartender. Oltre ad assorbire possibili “spillate”, la composizione in gomma fa sì che il bar mat sia facilmente lavabile e in grado di assorbire gli urti dei bicchieri o del boston durante il working flair. Viene posto sulla work station, sull’asse di preparazione dei drink.

E

EXACTO POUR Divisi in metal e plastic, gli exacto pour sono simili a “tappi” per bottiglie dalla forma allungata, composti da un beccuccio a forma di tubo dal quale fuoriesce il liquido contenuto nella bottiglia. Un secondo foro di sfiato rende omogenea la quantità di liquido in uscita al secondo. Sono utilizzati per dosare con esattezza la quantità di prodotto versata, rendendo la misurazione degli ingredienti più rapida e facile. L’exacto pour non è affatto uno strumento da prendere alla leggera; sebbene chiunque sia in grado di mettere i beccucci sulle proprie bottiglie, in realtà solo un bartender ben allenato può ricavare da questi strumenti una vera e propria disciplina, detta “free pouring” (ovvero dosaggio libero) in grado di produrre cocktail a velocità elevata senza compromettere minimamente la precisione degli ingredienti. Gli exacto pour costituiscono quindi lo strumento più importante per un bartender che si rispetti. Generalmente quelli di plastica vengono usati nelle bottiglie di prodotti molto zuccherini come creme e sciroppi, a differenza dei metal pour vengono usati nei distillati ed in alcuni liquori.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

F

FLAIR BOTTLE La flair bottle non è uno strumento di preparazione dei drink, bensì la copia in plastica infrangibile di una bottiglia. Viene utilizzata dai bartender negli spettacoli e nelle esibizioni per attirare la clientela all’interno del bar. Queste esibizioni prendono il nome di exhibition flair: e proprio a causa dei loro movimenti è impossibile produrre bevande mentre ci si sta “esibendo”. Spesso viene usata anche come bottiglia di allenamento anche per il working flair.

G

GRAB Questo è il nome della presa, movimento classico del flair, insieme a roll (rotazione), bounce (rimbalzo) e stall (arresto), che di solito può avvenire sulla mano o sull’avambraccio.

H

HEAVY TIN L’Heavy Tin (letteralmente “lattina pesante” o “appensantita”) è semplicemente la parte metallica del boston shaker (detto tin appunto) che aggiunge alla normale lamina di cui è composto un fondo molto più spesso e pesante, in modo da rendere la sua traiettoria più prevedibile durante i lanci, e da essere più maneggevole. È abitudine tra i bartender avvolgere il fondo appesantito di nastro adesivo colorato, in modo da renderla meno sensibile ad eventuali cadute. Viene usato spesso anche in maniera scenica per versate di intrattenimento o per recuperare fette di limone e frutta lanciate in aria durante il working flair.

P

PLASTIC POUR E METAL POUR Tappi dosatore in materiale plastico oppure misto, sia metallo sia plastico. Si applicano al collo delle bottiglie. POURING Arte di versare. Nel working flair ed exhibition flair si intende soprattutto l’abilità nell’evitare di schizzare il prodotto durante le evoluzioni.

R

ROCK Se il rock nel bar classico è un semplice bicchiere, nel bartendering è un vero e proprio strumento; infatti esso è in grado di essere utilizzato come parte di vetro del boston, in modo da versare la bevanda senza dispersioni di temperatura, direttamente nel bicchiere in cui viene shakerata. In questo modo le bevande “on the rocks” sono servite con lo stesso ghiaccio usato per shakerarla.

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MODULO 15: IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING

S

STORE’N’POUR Lo Store’n’Pour (immagazzina e dosa) è una bottiglia di plastica smontabile, dalla bocca larga circa tre volte quella di un metal pour normale. Nel mestiere del bartender, questa particolare bottiglia diventa indispensabile per preparare velocemente moltissimi cocktail, drink e analcolici di ogni genere. Nella Store’n’Pour vengono conservati tutti gli ingredienti ad alta frequenza di utilizzo, come ad esempio frullati e nettari che non è bene comprare preconfezionati o che non esistono in tale forma, come il preparato di ananas e cocco nella Pina colada, chiamato “colada mix”, un frullato di pesche per Bellini, Caipirinha, Caipirissima, Caipiroska e Caipiritaly o un misto di zucchero di canna, succo di lime o limone e acqua chiamato “sweet and sour” per moltissimi altri cocktail. Possono essere di vari colori: in questo modo è più facile l’identificazione dei prodotti (ad esempio: rosso per il succo di fragola; arancio, per il succo alla pesca ecc.).

T

TAPPETO Per ogni bartender intenzionato a praticare exhibithion e working flair (ma la regola vale anche per gli altri) è indispensabile procurarsi uno spesso tappeto possibilmente in gomma da posizionare dietro la propria work station. Questo tappeto dovrebbe avere i seguenti requisiti: • antiscivolo; • antistress; • idrorepellente; • spesso. In questo modo non si impregna dei liquidi caduti e impedisce che le bottiglie si rompano quando cadono su di esso (oltre ad evitare altri rumori: bicchieri o tin caduti ecc.). TOVAGLIOLINO Un altro “strumento” di utilizzo può essere il tovagliolo: difatti può essere posato sul bancone insieme ad un breve cenno, ad uno sguardo o ad un saluto per far notare al cliente che lo avete visto e che entro breve lo servirete.

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Crucibarman • 15

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Orizzontali

1 Bartender all’americana (in inglese) (15) 4 Considerato come il primo bartender della storia (11) 10 Unità di misura tra i bartender (5) 11 Celebre catena di locali che lanciò le gare tra bartender (10) 12 Tipo di bicchiere... di roccia (4) 13 Tappetino da bar (6) 14 Tecnica di preparazione di drink con l’uso del flair (12)

1 Bottiglia in plastica infrangibile per allenamento (11) 2 Spettacolo proposto da bartender (15)

Verticali

3 Il banco da lavoro del bartender (11) 5 Dosaggio libero (in inglese) (11) 6 Dosatore di metallo (9) 7 Dosatori di plastica o metallo (10) 8 Organizzò la prima competizione di bartender per TGI Friday’s (11) 9 Può essere antiscivolo in uso al bar (7)

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modulo 16

IL FREE POURING

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IL FREE POURING Impariamo a versare correttamente in once. Se questo metodo è stato poco utilizzato in Italia, se si vuole intraprendere una carriera di barman all’estero (negli USA o in Inghilterra), è opportuno conoscere anche questa metodologia di versaggio. L’e-book porta la tabella e diversi esempi.

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Sezione 3

tecniche di sala, vendita & sommellerie


modulo 1

CUCINA FLAMBÉ... 200


CUCINA FLAMBÉ Cucina Flambé o alla lampada ha rivestito un’importanza particolare negli alberghi e ristoranti di prestigio. La guida scaricabile è divisa in due parti: a) gli strumenti indispensabili e gli ingredienti fondamentali; b) un ricettario completo che va dai primi piatti, sino ai dessert.

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modulo 2

IL MONDO DEL VINO 202

Scarica l’espansione online sul vino:


IL MONDO DEL VINO L’enogastronomia in generale e la conoscenza dei vini in particolare stanno guadagnando sempre più terreno nel mondo della ristorazione, arrivando persino a superare i confini dei classici locali, per approdare nel variegato mondo dei bar. Sempre più statistiche segnalano che uno degli aperitivi preferiti è proprio un buon bicchiere di vino, soprattutto se contiene “bollicine” (prosecco o spumante in primis). Questo perché le abitudini dei consumatori si stanno spostando sempre di più verso bevande meno alcoliche rispetto ai cocktail.

L’ANTICA STORIA DEL VINO...

Il termine “vino” ha origine dal verbo sanscrito vena (“amare”), da cui deriva anche il nome latino Venus della dea Venere. Lo stesso termine sanscrito deriva da una radice proto indoeuropea -win-o- (cf. l’ittita: wiyana, il licio: Oino, l’antico greco οĩνος - oînos, il greco eolico οίνος - voinos). Dal termine latino vinum e anche attraverso la rielaborazione delle lingue celte, ebbero luogo molte delle denominazioni nelle altre lingue. Nel Valdarno Superiore, intorno a Montevarchi (AR), in depositi di ligniti sono stati ritrovati dei reperti fossili di tralci di vite (Vitis Vinifera) risalenti a 2 milioni di anni fa. Altri ritrovamenti archeologici dimostrano che la Vitis vinifera cresceva spontanea già 300.000 anni fa. 203


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Studi recenti tendono ad associare i primi degustatori di tale bevanda già al neolitico. Si crede infatti che la scoperta sia stata casuale, dovuta alla fermentazione naturale avvenuta in contenitori dove gli uomini riponevano l’uva. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale. Un calice di vino racconta millenni di storia umana. Gli studiosi, che nel corso del XX secolo hanno cercato di scoprire quanto la terra nasconde alla vista degli uomini, si sono imbattuti casualmente nella più antica giara di vino mai rinvenuta. Questo nel 1906, quando una missione archeologica americana, organizzata dall’Università della Pennsylvania e diretta da Mary Voigt, ha scoperto nel villaggio neolitico di Hajji Firuz Tepe, nell’Iran settentrionale, una giara di terracotta della capacità di 9 litri, contenente una sostanza secca proveniente da grappoli d’uva. La notizia è stata riportata dal Corriere Scienza del 15 ottobre 2002 ed aggiunge che i reperti rinvenuti risalgono al 5100 a.C., quindi a 7000 anni fa. Gli specialisti, però affermano che la prima produzione di vino è più antica, forse casuale, cioè risalente tra 9000 e 10000 anni fa, nella zona del Caucaso. I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma bisogna andare in Egitto per osservare lo sviluppo delle coltivazioni e di conseguenza la produzione del vino. Nell’Antico Testamento e dopo Cristo... La Bibbia (Genesi 9,20-27) attribuisce la scoperta del processo di lavorazione del vino a Noè: successivamente al Diluvio Universale, avrebbe piantato una vigna con il cui frutto fece del vino che bevve fino ad ubriacarsi. Secoli dopo, Gesù Cristo ha scelto il vino come elemento sotto cui, nel sacramento dell’Eucarestia, si cela il Suo sangue “per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per molti in remissione dei peccati”.

L’Impero Romano riesce a dare un’ulteriore impulso alla produzione del vino, che passa dall’essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In questo periodo le colture della vite si diffondono su gran parte del territorio, e con l’aumentare della produzione crescono anche i consumi. Tuttavia non dobbiamo pensare che il vino che bevessero i Romani sia come il nostro. Differenze, come le tecniche di conservazione (soprattutto la bollitura), facevano 204


MODULO 2: IL MONDO DEL VINO

risultare la bevanda come una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Si rendeva necessario allungarlo con acqua ed aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole. Dopo il crollo dell’Impero Romano, la viticoltura viene parzialmente abbandonata e rifiorirà solo nel Medioevo, grazie soprattutto all’impulso dato dai monaci benedettini e cistercensi. Nella stessa Regola, Benedetto afferma: «Ben si legge che il vino ai monaci assolutamente non conviene; pure perché ai nostri tempi è difficile che i monaci ne siano persuasi, anche a ciò consentiamo, in modo però che non si beva fino alla sazietà. » Proprio nel corso del Medioevo nasceranno tutte quelle tecniche di coltivazione e produzione che arriveranno praticamente immutate fino al XVIII secolo, quando ormai la produzione ha carattere “moderno”. Qualità e gusto del vino si stabilizzano, e viene anche introdotto l’uso delle bottiglie di vetro e dei tappi di sughero. Dal XIX secolo ai giorni nostri Nel XIX secolo l’oidio e la fillossera, malattie della vite provenienti dall’America, distruggono enormi quantità di vigneti. I coltivatori sono costretti a innestare i vitigni sopravvissuti sopra viti di origine americana (Vitis labrusca), resistenti a questi parassiti, e ad utilizzare regolarmente prodotti fitosanitari come lo zolfo. Nel Novecento, inizialmente da parte della Francia, si ha l’introduzione di normative volte a regolamentare la produzione (origine controllata, definizione dei territori di produzione ecc.) che porteranno a un incremento qualitativo nella produzione del vino a scapito della quantità. Nasceranno però anche grandi “maison du vin” che nel tempo renderanno celebri i vini francesi.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

LA PRODUZIONE DEL VINO Il vino è una bevanda alcolica fermentata, ottenuta esclusivamente dalla fermentazione (totale o parziale) del frutto della vite, l’uva (sia essa pigiata o meno), o del mosto. La prima operazione che avviene per la produzione è l’osservazione dei grappoli per controllare qual è il momento migliore per la vendemmia. In questo caso si usano opportuni strumenti e viene fatta dall’enologo. Successivamente vi è la raccolta delle uve, generalmente manuale: queste vengono sistemate in cassette e poi grazie a trattori o camion, verranno trasportate in cantina. In alcune zone come la Valtellina o le Cinqueterre, si usano anche mezzi “atipici”, come il trenino.

LE OPERAZIONI FONDAMENTALI L’operazione della pigiatura La pigiatura dell’uva può cambiare a seconda della tecnologia utilizzata e del risultato che vogliamo ottenere. Per la vinificazione in rosso si usa la diraspapigiatura delle uve, mentre per quella in bianco viene usata la pressatura diretta. Nella pigiatura soffice i grappoli vengono schiacciati delicatamente e nello stesso momento i raspi eliminati. Alcune macchine moderne permettono di eliminare i raspi e nello stesso momennto schiacciare gli acini: in questo modo si evita il rilascio nel mosto dei tannini erbacei, che di fatto potrebbe rendere il vino troppo astringente. Il mosto Il succo che otteniamo dalla pigiatura è formato da acqua ma contenente diverse sostanze: alcune di queste resteranno anche nel vino, altre invece si trasformeranno arricchendo di profumi e sapori. Nel mosto troviamo anche una quantità di zucchero: questa dipende dalla percentuale contenuta negli acini. In buona sostanza, più nel mostro ci sarà zucchero, più il vino sarà alcolico. I polifenoli, un’altra sostanza importante, donano invece altre caratteristiche, come la struttura, la tannicità, il colore. Le correzioni del mosto Il mosto subisce successivi trattamenti che lo renderanno più limpido, stabile, migliorandone anche la qualità. Questo avviene prima della vinificazione e sarà necessario, alcune volte, anche correggere il mosto per compensare carenze in acidi o in zuccheri.

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MODULO 2: IL MONDO DEL VINO

Illimpidimento Prima dell’imbottigliamento il vino deve essere reso limpido (illimpidimento) grazie alla filtrazione, centrifugazione e chiarificazione. Vediamo di cosa si tratta. • La filtrazione Questa operazione serve per eliminare le sostanze sospese nel vino stesso. Si effettua con setti filtranti porosi oppure per assorbimento sfruttando l’attrazione elettrostatica delle piccole particelle sospese. In questo modo si garantisce il trattenimento di sostanze più piccole dei filtri porosi oppure mediante l’impiego di filtri a membrana microporosa, che trattengono anche i microrganismi. • La centrifugazione L’impiego della centrifuga permette di ottenere vini e mosti limpidi, privati delle particelle solide più pesanti. • La chiarificazione Viene effettuata aggiungendo al vino sostanze colloidali che provocano la flocculazione e la precipitazione delle particelle in sospensione. Possono essere usati anche chiarificanti di origine minerale come la bentonite (argilla) e la silice. Tra quelli di origine organica vengono usati la gelatina, l’albumina, la caseina e la colla di pesce. • La rifermentazione Si effettua allo scopo di trasformare in alcol tutto il residuo zuccherino, oppure per ringiovanire i vini troppo vecchi. In questa fase troviamo anche l‘anidride solforosa, una sostanza gassosa aggiunta al mosto. La quantità addizionata dipende dalla carica batterica presente e dagli effetti che si vogliono ottenere. Questa sostanza ha antiossidanti e antisettiche e tende a limitare i danni causati dall‘ossigeno e dagli enzimi ossidativi. In questo modo si riducono i fenomeni di imbrunimento, particolarmente per quanto riguarda i mosti bianchi. La sua azione favorisce la chiarificazione e inibisce lo sviluppo di batteri e lieviti selvaggi, favorendo quello dei Saccharomyces. Concentrazione di zuccheri e acidità Tra le correzioni possibili, vi è anche quella che permette di aumentare la concentrazione zuccherina e l‘acidità. La correzione può agire in due modi: aumentare oppure diminuire la quantità del grado zuccherino. Considerato che la legislazione italiana non permette di aggiungere zucchero, si riucorre invece all’aggiunta di mosto concentrato, ottenuto grazie alla parziale evaporazione dell‘acqua. In commercio si può trovare anche il mosto concentrato rettificato (MCR): la sua produzione avviene per evaporazione sottovuoto, alla quale segue una successiva rettificazione. Si possono usare anche uve fatte parzialmente appassire. Nel campo delle correzioni, si può anche diminuire il grado zuccherino utilizzando mosti meno ricchi di zucchero. Per correggere l’acidità, invece si usa acido tartarico. La macerazione La macerazione è una fase molto importante e si riferisce al contatto delle bucce con il mosto liquido. In base ai tempi di questo contatto possiamo avere una vinificazione in rosso, in rosato oppure in bianco. Durante la macerazione i pigmenti (e le altre sostanze) si dissolvono ed avvengono altre operazioni chimiche nel mosto.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

La vinificazione in rosso Per quanto riguarda la vinificazione in rosso, le vinacce vengono lasciate a macerare insieme al mosto. In questo modo tutti i tannini, le sostanze coloranti (il “rosso”) e gli aromi, vengono trasferiti dalle vinacce al vino. La macerazione può durare da pochi giorni a diverse settimane, a seconda del tipo di vino rosso che si vuole ottenere (da vini più freschi e fruttati a vini più corposi e tannici). Dopo i trattamenti ed eventuali correzioni, il mosto viene lasciato in appositi fermentatori (che possono essere in acciaio inossidabile o in vetroresina). Qui si aggiungono lieviti selezionati in modo tale da far fermentare a contatto con le vinacce (bucce e vinaccioli). Nei primi giorni di contatto vengono estratti gli antociani: questi conferiscono al mosto colori molto intensi, donando tonalità tendenti al rosso rubino, al viola o blu scuro. Nei giorni successivi, parte dei pigmenti verranno riassorbiti dalle bucce, con l’effetto di indebolire il colore, a vantaggio di una migliore estrazione dei polifenoli totali. Il vino acquisisce una maggiore struttura ed un gusto più deciso. In alcuni casi la fermentazione dei vini rossi si può concludere nelle barrique: il legno, in questo caso, arricchirà con le sue componenti aromatiche il vino. Tempo di macerazione per i vini rossi Per la maggior parte dei vini rossi, è prevista una macerazione di 10-15 giorni. In altri casi, per vini leggeri, massimo 4-5 giorni, mentre in rari casi pochi mosti possono essere lasciati macerare per un mese. Durante la fermentazione tumultuosa, si forna in superfice quello che viene definito come il cappello delle vinacce, il quale tende quasi a solidificarsi. Il mosto sarà quindi rimescolato con la follatura o il rimontaggio. La follatura (una volta) si realizzava con aste di legno, recanti un disco forato all‘estremità, con le quali veniva mescolato il liquido in fermentazione. Oggi, nelle produzioni industriali, si usano i cosiddetti rotovinificatori, vasche in acciaio a cilindro orizzontale, in cui la follatura è realizzata da un elica che ruota lentamente all’interno del cilindro, o, in altri casi, dalla rotazione del cilindro stesso. Per quanto riguarda il rimontaggio, consiste nel pompaggio di mosto liquido da una valvola posta nella parte inferiore della vasca (sempre in acciaio inox, di cemento, di vetro-resina oppure anche in legno) che viene poi irrorato dall’alto sul “cappello. La temperatura La temperatura che può raggiungere il mosto in fermentazione può essere anche elevata, utile per dissolvere le sostanze presenti nelle bucce, ma nello stesso tempo potrebbe anche danneggiare la qualità del vino. Per cui si cerca di tenere una temperatura controllata, intorno ai 25-30 °C. I lieviti solitamente hanno bisogno di una temperatura tra i 15-30 °C per fermentare: se vi è una temperatura più bassa, ciò non avviene, mentre all’opposoto, oltre i 37 °C, l’azione viene bloccata. Si ricorre, in questi casi, ad una temperatura controllata refrigerando il mosto. Qualche riga addietro, abbiamo definito “tumultuosa“ la fermentazione: ciò è dovuto all’azione dell’anidride carbonica che fa ribollire letteralmente il mosto. In questo processo i lieviti trasformano gli zuccheri in alcol etilico, anidride carbonica, appunto, e sostanze secondarie. I componenti passano dalle bucce alla parte liquida ed il colore si fa più intenso. 208


MODULO 2: IL MONDO DEL VINO

Svinatura e torchiatura Una volta terminata la fermentazione tumultuosa, l’operazione successiva è svinatura: si eliminano le bucce e le fecce di fermentazione, le cellule morte di lievito non più utili, sostanze coagulate, sali e piccole particelle solide. Le vinacce, successivamente vengono asciugate grazie alla torchiatura o pressatura, svolta in maniera delicata. Oggi si usano delle moderne presse a membrana orizzontali, oppure dei torchi continui, che per avere la massima estrazione utilizzano tuttavia pressioni molto elevate. Le vinacce però non hanno terminato il loro scopo: dove è prevista dal disciplinare, possono essere mandate in distilleria per produrre la famosa grappa, il distillato di vinacce appunto. Si possono produrre grappe anche utilizzando uve di celebri vini passiti (è il caso dello Sciacchetrà). Ancora non siamo davanti però al prodotto “vino“, quello che comunemente beviamo in bottiglia. Vi sono ancora trattamenti di stabilizzazione da effettuare, oltre ad una breve maturazione per perfezionarne l’equilibrio. La vinificazione in bianco Per ottenere vini bianchi, durante la macerazione si separano le vinacce dal mosto. Il vino bianco si può ottenere sia da uve bianche che da uve rosse: il segreto è separare sempre le bucce dal mosto. L’uva, dunque, una volta pigiata, viene sgrondata (le vinacce vengono tolte) in maniera delicata: in questo modo tannini e sostanze coloranti non vengono in contatto con il vino. Infatti il colore è determinato dalle sostanze coloranti presenti nelle bucce. Le uve a bacca bianca sono più delicate di quelle a bacca rossa ed occorrerà una maggiore cura. Sempre per questo motivo, le bucce si eliminano quasi subito ricorrendo ad una pressatura soffice. Le caratteristiche del vino bianco sono una buona acidità e profumo; generalmente questi vini non sono destinati ad invecchiamento ed è preferibile consumarli entro un paio di anni. Pressatura e fermentazione Una volta raccolti, i grappoli sono inseriti nella pressa idraulica orizzontale. Successivamente, all’interno, una camera d‘aria viene gonfiata: in questo modo gli acini vengono pressati delicatamente, facendo fuoriuscire un mosto fiore molto fine e nello stesso tempo vengono eliminati raspi, bucce e vinaccioli. La fermentazione sarà realizzata con una temperatura inferiore a quella della vinificazione in rosso (intorno ai 18-22 °C). La macerazione pellicolare Questo tipo di macerazione riguarda la produzione di vini bianchi di maggiore personalità e destinati ad evoluzione. In questo caso la vinificazione in bianco viene fatta precedere da una breve macerazione di qualche ora per consentire l‘estrazione dei pigmenti e delle sostanze odorose presenti nelle bucce. In questo caso la temperatura, durante la macerazione, per evitare possibili danni alla qualità del mosto, viene

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portata intorno ai 8-10 °C, ma può scendere fino a 0-2 °C nella criomacerazione. Il congelamento determina un aumento del volume dell‘acqua, che causa la rottura delle cellule dell‘acino. In questo modo viene facilitata l‘estrazione delle sostanze durante la successiva pressatura. La vinificazione in rosato Le uve adatte a questo tipo di vinificazione sono uve rosse con poco pigmento. I vini rosati si ottengono lasciando le bucce a macerare con il mosto per un periodo di tempo limitato, dalle 12 alle 24 ore. Oppure si può macerare anche solo una piccola parte delle uve. Si possono utilizzare anche uve a bacca rossa poco pigmentate e povere di tannini, oppure si possono anche mescolare uve rosse e bianche (ma non miscelare i vini). Il vino rosato si presenta con colori e profumi delicati e come struttura si avvicina più ai bianchi che non ai rossi. Colmature e scolmature Nella fase successiva il vino va fatto “riposare“: in questo caso il volume del vino nella botte potrebbe anche diminuire, soprattutto se ci troviamo in zone calde oppure nel caso di botti di legno che possono assorbire il liquido. Le botti devono essere sempre colme di vino, onde evitare l‘ossidazione e lo sviluppo di microrganismi aerobi. Potrebbe accadere anche l’inverso, che la dilatazione causata dall’aeumento dellla temperatura, potrebbe far aumentare di volume il vino e farlo tracimare. A questo serve il controllo del cocchiume, il foro di apertura della botte. In tutti e due i casi, il volume del vino nella botte deve essere tenuto costante, ricorrendo a colmature e scolmature manuali oppure usando dei tappi colmatori, piccoli recipienti in vetro che si sistemano nel cocchiume. Il tappo contiene una piccola quantità dello stesso vino presente nella botte: nel caso di diminuzione del volume, parte del vino discende nella botte; all’opposto, quando aumenta, affluisce in parte all‘interno del tappo. In questa fase si possono anche avere trattamenti di chiarificazione a temperature basse, con bentonite e gelatina, seguiti da accurate filtrazioni per mezzo di sgrondanti e brillantanti. Nel caso in cui il vino non venisse sottoposto a filtrazioni, il retro dell‘etichetta riporterà la dicitura “non filtrato“. L’importanza dei travasi I travasi sono fondamentali nella produzione del vino e permettono ottenere prodotti limpidissimi e nello stesso tempo eliminare sostanze solide indesiderate e nocive (le fecce). Infatti dopo il termine della fermentazione, il vino si presenta torbido, con molte particelle in sospensione. Questo oltre a pregiudicarne l‘aspetto, nel tempo può anche essere causa di alterazioni e difetti. Queste sostanze solide in sospensione (prevalentemente composte dalle cellule dei lieviti, residui di bucce e polpa dell‘uva) si depositeranno sul fondo del contenitore; proprio grazie al travaso si separerà la parte limpida da quella solida. Il numero e la frequenza dei travasi sono maggiori per i vini rossi poiché più ricchi di sostanze estrattive e quindi di fecce. Rifermentazione e pastorizzazione Un’altra operazione che può correggere eventuali leggeri difetti del vino è la pratica della 210


MODULO 2: IL MONDO DEL VINO

rifermentazione: in sintesi si aggiunge un poco di mosto fresco (concentrato o muto). A questo, anche lieviti selezionati che permettono la ripartenza della fermentazione. La pastorizzazione è invece un processo termico che ha per obiettivo quello di rendere inattivi gli enzimi e nello stesso tempo distruggere i microrganismi: questi infatti potrebbero causare alterazioni e determinare malattie. Variazione del grado alcolico e l‘acidità Per aumentare il volume del grado alcolico si può ricorrere alle refrigerazioni, portando il liquido alla temperatura di -15/-18 °C. Una volta invece si ricorreva ai tagli. Se invece vogliamo aumentare l’acidità, si ricorre all’addizione di acido tartarico oppure eventualmente acido citrico. La legislazione importa massimo 100 g/hl.

L’anidride solforosa Dopo la maturazione e la filtrazione (e prima di imbottigliare il vino), nei serbatoi dove sta riposando viene aggiunta anidride solforosa. L‘anidride solforosa (formula chimica è SO2 ) è un gas incolore, dal tipico odore pungente e acre, irritante per gli occhi e per il tratto respiratorio. Nel vino si usa in piccole dosi e contribuisce a ridurre i fenomeni di ossidazione. L‘invecchiamento Il vino può essere fatto maturare in pochi mesi in recipienti di acciaio oppure vetroresina: avremo quindi vini che mantengono intatte la fragranza e l‘aromaticità del vitigno. Invece per avere vini complessi e strutturati, occorreranno più anni in botti di legno. Si possono anche avere casi nei quali il vino può trascorrere un periodo in acciaio, per finire invecchiato in botte. Vediamo meglio queste due fasi. • Riposo in acciaio Il riposo in acciaio viene concesso ai vini bianchi, rosati e rossi che possono essere bevuti giovani. Con questo tipo di invecchiamento, vengono conservate alcune caratteristiche come la freschezza dei profumi e del gusto. Nella primavera successiva all’anno della vendemmia, dopo aver trascorso questo periodo in acciaio, i vini vengono imbottigliati dopo i trattamenti di stabilizzazione e filtrazione. • Riposo in legno Perché invecchiare in botti di legno? Vi è un motivo scientifico: infatti grazie alla 211


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

microporosità del legno, questo consente di scambiare ossigeno con il vino che riposa e donare profumi, colori e gusto. Con l’invecchiamento i vini rossi aumentano la loro tonalità andando nella scala granata ed aranciata. Se un tempo erano grandi le botti di legno destinate all’invecchiamento, oggi si prediligono le barrique che hanno una capacità di 225 l, non solo per i vini rossi, ma anche per vini bianchi ed in alcuni casi distillati come il Rum ed il Whiskey. Nei vini bianchi, l’invecchiamento permette di aumentare la tonalità del giallo paglierino, sino al dorato o, nei casi dei vini passiti, donandogli le classiche sfumature ambrate. Anche in questo caso l’azione si diffonde al bouquet, arricchendo il vino di profumi complessi. Ma cosa avviene sostanzialmente durante il riposo in botte? Intanto il vino riposa sur lie: questo termine francese significa letteralmente “sul fondo“ o sullo “sporco“, dove si intendono i lieviti di fermentazione. Questi proteggeranno il vino dalle ossidazioni e gli conferiranno il profumo e la struttura. La grandezza della botte influisce anche su questo processo, rendendolo per esempio più rapido nel caso delle barriques. Queste sono formate da legni provenienti dalle parti alte delle foreste, alberi cresciuti molto lentamente con un legno compatto e porosità molto fini. In particolare viene usato legno di rovere, mentre in tempi passati si usava anche ciliegio e castagno. Oltre alle barriques, possiamo trovare anche le tonneaux, botti ottenute sempre da rovere, ma con una capacità 500 litri. L‘imbottigliamento Siamo arrivati all’ultima fase della produzione del vino, ossia l’imbottigliamento. La prima operazione, prima di tappare, è quella di insufflare azoto (insapore, incolore, quindi non altera il prodotto) per evitare il contatto con l’aria. Di solito bengono impiegate bottiglie di vetro che garantiscono la qualità del vino, mentre per vini pronti al consumo o da tavola, si possono anche usare bag-in-box oppure contenitori di plastica. Il tappo Non vi è solo il tappo di sughero, ma ve ne sono diverse qualità: plastica, a vite a corona, al silicone. Quest’ultimo per esempio non consente alcuno scambio con l‘esterno e viene usato per i vini di pronta beva, oltre al fatto che economicamente costano poco. La stessa cosa per i tappi di plastica: economici e funzionali. Tuttavia i tappi più utilizzati per i vini di pregio sono quelli di sughero. Questo materiale favorisce il prefetto affinamento del vino. È inodore, insapore ed è impermeabile all’acqua ed all’aria (provate ad immergerlo nell’acqua e non affonderà). Le sue pareti 212


MODULO 2: IL MONDO DEL VINO

cellulari sono ricche di suberina, un miscuglio di esteri di acidi carbossilici saturi e insaturi in grado di formare uno strato impermeabile all‘acqua. L’unico fastidio è il rischio dell’odore “di tappo“ ed il responsabile è un fungo, l‘Armillaria mellea, parassita della quercia da sughero. Il tappo viene sempre rivestito con tipi di capsule, che rappresentanto l‘ultima protezione del vino nella bottiglia. Esse sono formate da da plastica termoretraibile, stagnola oppure alluminio. Le bottiglie Le bottiglie possono avere vari usi. Se si tratta di vini destinati all’invecchiamento, meglio utilizzare vetro scuro, che non permette il filtraggio della luce. In questo modo non vi saranno fenomeni di ossidazione (la stessa pratica viene usata anche in erboristeria). Invece, se il vino non è destinato a riposare a lungo nella bottiglia, si possono uitilizzare vetri trasparenti. Generalmente la capacità delle bottiglie in commercio è di 750 ml (la più comune), mentre per i passiti vengono spesso impiegate quelle da 375 ml, oppure da 500 ml. Tuttavia esiste una “scala“ di bottiglie“ che arrivano sino a 30 litri. I loro nomi sono riferiti a grandi personaggi biblici (in particolare dell’Antico Testamento).

LE ALTRE TECNICHE PRODUTTIVE PER IL VINO Oltre alle tecniche già menzionate, ne esistono anche altre per mezzo delle quali si ottengono vini molto apprezzati. Vino novello Questo vino si ottiene grazie alla tecnica di macerazione carbonica la quale prevede la sistemazione dell’uva (né pigiata, né privata dei raspi) in appositi autoclavi, nelle quali viene immessa anidride carbonica ed eliminata l’aria. In questo modo, all’interno degli acini, avviene un tipo di fermentazione particolare: la cosiddetta fermentazione intracellulare che consente la formazione di sostanze aromatiche molto diverse dai vini normali. Una volta conclusa la macerazione, l’uva viene pigiata e diraspata e sottoposta a fermentazione. In Francia, dove si può dire che questo metodo sia nato, il sistema viene applicato al Beaujolais nouveau usando esclusivamente uve Gamay. 213


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In Italia la norma per il “vino novello” è presente con il D.M. del 6 ottobre 1989, modificato in seguito dal D.M. 13 agosto 2012. La normativa italiana richiede, affinché il vino ottenuto possa definirsi novello, che il processo di vinificazione carbonica riguardi il 40% delle uve, mentre il restante 60% può essere trattato con tecniche di vinificazione classiche. Proprio per questo motivo, è possibile trovare in commercio novelli con una percentuale di vino ottenuto da macerazione carbonica molto variabile, dal 40 al 100%. Tra l’Italia e la Francia ci sono, inoltre, alcune differenze rilevanti: • i vitigni utilizzati per questa tecnica sono in italia 60, dei quali 7 cosiddetti internazionali; • il periodo di immissione in commercio in italia è a partire dalle 00.01 del 30 ottobre dell’annata di produzione delle uve utilizzate, fino al 31 dicembre; • la gradazione alcolica minima deve essere dell›11% in volume; • il vino può essere immesso nella rete commerciale dal terzo giovedì di novembre. Vino frizzante Lo si può ottenere in vari modi, tra cui il più diffuso è la rifermentazione in autoclave (così si produce lo spumante, per esempio). Le autoclavi consentono di trattenere l’anidride carbonica. Successivamente, si procede ad un imbottigliamento isobarico (ovvero senza contatto con l’aria) onde evitare la dispersione dell’anidride carbonica. Vino passito I vini passiti, seppur catalogati spesso tra i vini speciali, in realtà sono dei vini normali poiché subiscono il processo di vinificazione; prima di essere messi in commercio vengono sottoposti ad ulteriori interventi tecnici. La differenza fondamentale tra i vini passiti e gli altri vini è la seguente: le uve dei vini passiti, prima di essere vinificate, sono sottoposte per un periodo più o meno lungo ad appassimento. In questo modo si riduce l’acqua presente nell’acino e questa sovramaturazione fa sì che i grappoli diventino ancora più dolci: il glucosio e il fruttosio aumentano in quantità e si concentrano. Autoclave per spumantizzazione

Due sono i sistemi per appassire le uve. Il primo sistema prevede che si lasci appassire gli acini dell’uva direttamente sulle piante (viene definita vendemmia tardiva, che vedremo meglio tra poco). In questo caso vi può essere anche un’aggressione degli acini da parte della cosiddetta muffa nobile (botrytis cinerea).

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La seconda tecnica, invece, prevede l’appassimento dei grappoli o degli acini d’uva successivamente alla raccolta. L’appassimento dell’uva può avvenire in un ambiente aperto su stuoie o graticci, oppure appendendo l’uva in ambiente chiuso, in appositi locali con particolari condizioni di temperatura e umidità. La maggior parte dei vini passiti è ottenuta con il cosiddetto appassimento forzato, nel quale si può applicare un sistema di ventilazione artificiale con aria riscaldata intorno ai 30 °C, piuttosto secca, con umidità di circa il 55-60% per evitare marciumi indesiderati. Grazie a questo sistema il tempo di appassimento si riduce da circa 80 giorni, ad appena una decina. Una volta appassite, le uve vengono pressate e vinificate e il periodo di affinamento può durare anche alcuni anni. I vini passiti che vengono addizionati con alcol o mosto fermentato danno luogo ai vini passiti liquorosi (riconoscibili anche per l’apposita etichetta che si trova sul collo della bottiglia).

Tra i passiti italiani ricordiamo: • Lo Sciacchetrà, prodotto nelle Cinqueterre e ottenuto dalle uve dei vitigni Bosco, Vermentino e Albarola. • Erbaluce Passito, prodotto in Piemonte esclusivamente con vitigno Erbaluce. • Sagrantino passito DOCG, prodotto in Umbria.

Guarda la mappa dei vini passiti.

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I profumi I sentori che troviamo nei vini passiti ricordano l’uva passa, la frutta essiccata in genere, il miele, la vaniglia ed i fiori appassiti. In bocca si presenta morbido e si può abbinare non solo ai dolci (per concordanza) ma anche a formaggi formaggi erborinati non molto stagionati, accompagnati con miele e confetture. La vendemmia tardiva Le uve appassiscono per il semplice fatto che perdono acqua e di conseguenza vi è una maggiore concentrazione di zuccheri ed una minore acidità. Più evapora l’acqua dagli acini, maggiore sarà la concentrazione delle sostanze nella polpa e nella buccia. Come accennavamo, durante l‘appassimento prende forma la Botrytis cinerea (detta anche muffa nobile). Essa produce molta glicerina, donando morbidezza al vino e nel frattempo consumando molti acidi (tra cui l‘acido malico). Quando le uve vengono lasciate appassire completamente sulla pianta, la vendemmia viene ritardata (da qui vendemmia tardiva). In Francia la dizione “Vendages Tardives” è autorizzata solo in quattro AOP: Alsace, Alsace Grand Cru, Jurançon (sotto i Pirenei) e Gaillac (a nord di Toulouse). In Alsazia le Vendages Tardives possono essere prodotte con uva Muscat, Gewürztraminer, Pinot Gris e Riesling; a Gaillac da uva Ondenc, da Loin-de-l’Oeil, da Mauzac e da Muscadelle, mentre a Jurançon da Petit e Gros Manseng. I vini di ghiaccio Meritano una menzione i cosiddetti “vini di ghiaccio”: si tratta di vini ottenuti da uve lasciate tutto l’autunno e tutto l’inverno sulle viti. I grappoli vengono raccolti solo in gennaio, avvolti da un velo ghiacciato, quando l’acqua congela all’interno degli acini. La raccolta avviene quando la temperatura è bassissima, sotto i -7 °C, per ottenere un mosto molto povero di acqua, ma denso di zuccheri, acidi, sali ed altre sostanze estrattive. I vini di ghiaccio sono prodotti in Paesi come il Canada (Ontario), l’Austria e la Germania, dove vengono rispettivamente chiamati Icewine e Eiswein. Grappoli d’uva in attesa di essere raccolti per produrre i cosiddetti vini di ghiaccio

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...DOPO IL 2010 Nel 2010 è stato pubblicato un decreto legislativo (il n. 61/2010, disponibile in formato pdf su Manuali.net, sezione Gastronomia oppure su Aibmproject.it sezione E-book e libri) che ha recepito le norme europee, dando una nuova classificazione ai vini. Il nuovo Ocm Vino ha cancellato i Vqprd (vini di qualità prodotti in regioni determinate) sostituendoli con i Dop (denominazione di origine protetta), uniformando così i vini ai prodotti di origine protetta come salumi, formaggi ecc. Sotto il cappello Dop sono finite sia le Doc che le Docg. I vini IGT invece diventano IGP (indicazione geografica protetta), mentre i vini da tavola vengono definiti vini “generici” e potranno indicare in etichetta il vitigno e l’annata. Ecco come apparirà la nuova classificazione: • Vini DOP (che comprendono sia i doc che docg) • Vini IGP • Vini generici con annata e vitigno • Vini generici

Cosa cambia nella bottiglia

I controlli sulle bottiglie saranno affidati a un soggetto terzo e non più agli stessi consorzi di produttori. Il decreto modifica anche i tempi per i passaggi da una denominazione all’altra: i tempi per diventare da doc a docg si allungano di 5 anni (ne occorrono 10 ora). LA NUOVA DICITURA

COSA NON LEGGEREMO PIÙ

DOP Denominazione di origine protetta che potrà essere usata congiuntamente o disgiuntamente a DOC e DOCG.

VQPRD Dicitura comunitaria che sta per Vini di qualità prodotti in regioni determinata. Si chiameranno tutti DOP.

IGP IGT “Indicazione geografica protetta” che “Indicazione geografica prende il posto della vecchia IGT. sostituita con IGP.

tipica”

sarà

Storico Da tavola Corrisponde alla dicitura “classico” per i I cosiddetti vini “da tavola” saranno vini fermi e si riferisce ai vini spumanti chiamati “vini generici”. DOC e DOCG.

I VINI NEL BAR Generalmente la parte da leone dei vini presentati nelle carte dei bar, la fanno le cosiddette “bollicine”, anche se negli ultimi tempi altri tipi di vini (rossi compresi) iniziano a far capolino sia sul banco del bar che sui tavoli dei clienti. Alcuni vini speciali sono presenti in cocktail internazionali e di tendenza (Champagne cocktail, Kir, Kir Royal, Mimosa, Rossini); meno frequente è il consumo di vini passiti e novelli nei bar. Il vino può essere servito in appositi bicchieri e la dose è compresa tra i 10 e i 12 cl. Molto importante è la figura del sommelier che può dare un notevole impulso all’offerta del bar, soprattutto nei Wine bar. 217


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Appunti vari e curiosità sul vino I PROFUMI PRIMARI I profumi primari (detti anche varietali) sono quei profumi che derivano direttamente dal vitigno. Questi profumi sono presenti soprattutto nella buccia dell’acino ed appartengono al gruppo chimico dei terpeni. Alcuni di questi terpeni sono chiamati linaiolo, geraniolo e nerolo. Quando noi sentiamo un profumo che ricorda la rosa, la pesca, la frutta, il muschio, ecco che si tratta dell’azione di questi terpeni. Tra i principali vitigni aromatici ricordiamo il Gewurztraminer, Malvasia, Moscato Brachetto. Poi vi sono delle uve parzialmente aromatiche: Chardonnay, Kerner, Prosecco, Riesling, Sauvignon Blanc, Sylvaner, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot. Infine, vi è la categoria delle uve neutre, dove gli aromi primari sono meno spiccati. Tra le uve neutre ricordiamo: Cortese, Greco, Fiano, Nosiola, Trebbiano, Verduzzo, Vermentino, Aglianico, Barbera, Bonarda, Croatina, Cesanese, Corvina, Gaglioppo, Gamay, Lacrima, Lambrusco, Montepulciano, Nebbiolo, Nerello, Refosco, Sagrantino, Sangiovese, Schioppettino e altri ancora...

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LA DECANTAZIONE La decantazione è un’operazione che si effettua per i vini rossi e che serve a separare il vino da eventuali sedimenti che si sono formati durante l’invecchiamento del vino. Per effettuare la decantazione occorre una caraffa decanter, un cestello per il vino rosso, una candela e dei fiammiferi. Ecco quali sono le fasi della decantazione. • Per prima cosa si metta la bottiglia di vino rosso in un cestello e la si porti a tavola, avendo cura di tenerla in posizione orizzontale; • Si proceda all’apertura della bottiglia direttamente dal cestello; • Si avvini la caraffa decanter con un po’ di vino rosso, lo stesso che andremo a servire; • Si posizioni una candela in modo tale che la fiamma sia dietro il collo della bottiglia: così, quando si verserà il contenuto della bottiglia nella caraffa decanter, si potranno vedere eventuali sedimenti finire nella caraffa; • Quando la luce della candela fa intravedere il deposito sulla spalla della bottiglia, allora si interrompa la decantazione. Nella bottiglia dovrebbe restare solo una minima quantità di vino assieme al deposito. L’operazione è finita, buona degustazione!

Guarda il video delle varie fasi su Youtube

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LA FILLOSSERA Le fillossere (Phylloxeridae) sono degli insetti appartenenti alla superfamiglia degli Aphidoidea (ordine Rhynchota, Homoptera Sternorrhyncha). Nell’enologia, con il nome di fillossera si fa riferimento alla specie più famosa, la Fillossera della vite (Daktulosphaira vitifoliae), anche se la denominazione generica comprende l’intera famiglia. Apparve per la prima volta a Londra, nel 1863, in una serra e da lì iniziò a distruggere i vari ceppi di Vitis Vinifera presenti in europea. Nel 1868 arrivò in Francia e nel 1879 in Italia, causando un disastro economico e sociale.

Non tutte le viti, però, furono distrutte, alcune scamparono al pericolo: in Italia, il Blanc de Morgex, tra i più alti vitigni d’Europa, a circa 1200 metri sulle pendici del monte Bianco, non fu toccato dalla fillossera, fermata dalla temperatura fredda. In Toscana qualche appezzamento fu risparmiato: Lamole vicino a Firenze; in Campania nei Campi Flegrei; in Calabria e soprattutto in Sardegna nell’isola di Sant’Antioco e nel Sulcis dove la sabbia del terreno impedì il movimento e la riproduzione della fillossera. Un’altra isola importante è quella di Pantelleria dove si possono trovare ceppi centenari di Zibibbo (moscato d’Alessandria). I DIFETTI DEL VINO Muffa: sapore ed odore di muffa le ritroviamo quando il vino viene conservato in botti vecchie. Secchino: si tratta di una cattiva conservazione nelle botti. Metallico: si dice metallico quando zinco, ferro e rame si ritrovano in eccesso. Solforizzazione: eccessiva presenza di anidride solforosa. L’odore che si percepisce ricorda uova marce e aglio. MALATTIE DEL VINO FIORETTA (LIEVITI AEROBI): si manifesta grazie all’azione di lieviti con la formazione di un velo biancastro sulla superficie del vino soprattutto se il recipiente viene mantenuto non del tutto colmo. Il velo si rompe in tanti piccoli fiorellini e col passare del tempo il vino potrebbe intorbidirsi e divenire piatto, se non addirittura acetico. Come misura di prevenzione, oltre che la corretta pulizia dei locali si ricorre anche all’uso di appositi dischetti paraffinati contenenti una sostanza della senape, l’isosolfocianato di allile. SPUNTO E ACESCENZA (BATTERI ACETICI AEROBI): lo spunto è la fase iniziale di questa malattia, dovuta ai batteri acetici. Esso si trasforma in acescenza quando la 220


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quantità di acido acetico aumenta notevolmente. Il colore è inalterato ma l’odore è pungente ed il sapore aspro. Si evita tenendo le botti ben colme. SPUNTO LATTICO (AGRODOLCE o FERMENTAZIONE MANNITICA) (BATTERI LATTICI ANAEROBI): si verifica quando si sviluppano batteri lattici mentre è ancora troppo presente il fruttosio. Il fruttosio viene attaccato dai batteri che lo trasformano in acido acetico e lattico. Il sapore è dolce e allo stesso tempo aspro. L’odore ricorda quello di frutta troppo matura. GIRATO (FERMENTAZIONE TARTARICA o SOBBOLLIMENTO) (BATTERI LATTICI ANAEROBI): la malattia si verifica quando i batteri lattici attaccano l’acido tartarico e sviluppano acido lattico e acetico con liberazione di anidride carbonica che determina un po’ di effervescenza. L’aspetto è torbido, l’odore pungente ed il sapore è piatto prima e ripugnante poi. Si combatte tenendo puliti i locali. AMARORE (BATTERI LATTICI ANAEROBI): si manifesta quando i batteri lattici attaccano la glicerina e si formano sostanze amare. Il colore è giallastro o aranciato, il sapore amaro. FILANTE (GRASSUME) (BATTERI LATTICI): è una deviazione della fermentazione malolattica quando batteri lattici e zuccheri residui formano una sostanza vischiosa e filante. Se si agita la bottiglia il fenomeno scompare. L’aspetto è simile a quello dell’olio mentre il sapore è piuttosto fiacco. LE ALTERAZIONI DEL VINO Le alterazioni di un vino sono modificazioni negative della limpidezza e del colore e si chiamano “casses” (termine francese che significa “rotture”). Si opera in modo da proteggere il vino addizionando ad esempio SO2 per evitare ossidazione, oppure acidi in grado di complessare i metalli ed evitare che leghino con altri componenti del vino. CASSE OSSIDASICA: si verifica più frequentemente nei vini bianchi ma anche nei rossi. È dovuta alla presenza di enzimi che a contatto con l’ossigeno causano l’imbrunimento e l’intorbidimento del vino. Un fenomeno correlato è la maderizzazione (gusto di marsala). CASSE FOSFATICA; Si verifica soprattutto nei vini bianchi manifestata dalla presenza di una sostanza lattiginosa di colore bianco-grigio. CASSE FERRICA: tannico-ferrico. CASSE PROTEICA: si manifesta con la presenza di un precipitato di colore biancastro dovuto al legame tannini-proteine. CASSE RAMEOSA: si manifesta con la presenza di un precipitato di colore rossogiallastro alla reazione rame-zolfo.

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L’ENOGRAFIA EUROPEA ED INTERNAZIONALE In questo viaggio vedremo quali sono le altre Nazioni dove si produce il vino. Oltre alla Francia e Germania, troveremo anche altri Paesi come la Spagna, il Portogallo, l’Austria ed altri ancora. FRANCIA La vite in Francia fu introdotta probabilmente nel 600 a.C. quando i Greci arrivarono nell’attuale Marsiglia (Massalia), nella Francia meridionale ed introdussero la coltivazione della vite. Nello stesso periodo colonizzarono anche la Corsica. Durante il dominio dell’Impero Romano, alla fine II secolo a.C., la coltivazione della vite fu potenziata, grazie agli spostamenti delle legioni romane. Pare comunque che i Galli avessero già l’abitudine di bere il vino, importandolo sia dagli Etruschi, sia dai Romani in seguito. In Francia sono state ritrovate moltissime anfore “bollate“ che indicano uno scambio commerciale piuttosto intenso. La produzione vinicola venne proseguita dal 500 dopo Cristo dai monaci che utilizzavano il vino per la liturgia. Oggi i vini francesi sono esportati in tutto il mondo e rappresentando un’eccellenza, soprattutto quelli legati ad alcune zone come la Borgogna. Il Sistema di Qualità Francese Nel 1920, dopo la devastazione causata dalla fillossera, la Francia ideò un sistema di qualità per proteggere i propri vini e diversificarli da quelli del resto del mondo. Agli inizi degli anni Trenta si ideò il nome di Appellation d’Origine Contrôlée (Denominazione di Origine Controllata), abbreviato con AOC oppure, in breve, Appellation Contrôlée la cui sigla è AC. In seguito questo sistema di qualità venne copiato anche da altri Paesi, come gli Stati Uniti d’America, con AVA (American Viticultural Areas), la DOC (Denominazione di Origine Controllata) in Italia, la DO (Denominación de Origen) in Spagna ed anche la DOC (Denominação de Origem Controlada) in Portogallo. Nel 1923 il Barone Pierre Le Roy, un influente e importante produttore di Châteauneuf-du-Pape, si adoperò per applicare delle regole alle produzioni per i propri vini, mettendo al primo posto la definizione della zona geografica, le varietà di uve consentite, le varie di metodologie di coltivazione sino al grado alcolico minimo del vinto. Dodici anni dopo, fu creato l’INAO (Institut National des Appelations d’Origine, Istituto Nazionale delle Denominazioni di Origine), che prese ad esempio proprio le sue regole per delineare i disciplinari di produzione delle singole AOC. Ma il disciplinare francese nel tempo ha subito delle variazioni, tanto che nel 1949 l’INAO ha introdotto la categoria VDQS (Vin Délimité de Qualité Supérieure, Vino 222


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Delimitato di Qualità Superiore), un gradino inferiore all’AOC. Per entrare a far parte di questa categoria, si tengono in considerazione i sette parametri seguenti. • Territorio – Il territorio comprende uno spazio limitato del vigneto e nello stesso tempo supportato da testimonianze storiche. Si prende in considerazione l’altitudine, la posizione ed il tipo di terreno. • Uve - le uve che si possono utilizzare per la produzione del vino sono quelle che fanno riferimento alla tradizione storica del luogo. La resa e la qualità sono soggette al luogo ed al clima. • Resa – in ogni disciplinare AOC si puntualizza la quantità massima di vino che può essere raccolta e prodotta da un determinato vigneto ed il valore è segnalato in ettolitri per ettaro. • Pratiche colturali – in questo parametro troviamo il numero massimo di viti per ettaro, i modi della potatura e la fertilizzazione del terreno. • Grado alcolico – sempre nel disciplinare si stabilisce il titolo alcolico minimo. • Controlli organolettici: i controlli per dare l’AOC vengono svolti da una apposita commissione che ne concede l’uso. • Tecniche enologiche: le procedure enologiche sono basate sulla tradizione vinicola della zona. Queste sono le categorie del sistema di qualità francese: • Appellation d’Origine Contrôlée, AOC: si trova nel livello più alto e può prevedere anche varie sottozone. • Vin Délimité de Qualité Supérieure, VDQS (Vino Delimitato di Qualità Superiore), introdotto nel 1949 ha un disciplinare simile all’AOC ma meno rigido. Solo il 2% della produzione di vino francese appartiene a questa categoria. • Vin de Pays: le zone di produzione di questi vini sono molto più ampie rispetto alle AOC. Prevedono di solo titoli alcolici minimi più bassi. • Vin de Table – qui rientrano tutti i vini che non sono nelle categorie sopra elencate. La legislazione vinicola francese può prevedere anche aggettivi nelle etichette. Vediamo le parole più diffuse. • Château - Château anche se significa castello non ha nessuna attinenza con questa costruzione e rappresenta semplicemente una azienda vitivinicola. Dopo la parola Château troviamo il nome dell’azienda. Questo termine viene usato in particolar modo per i vini di Bordeaux. • Clos – questo termine viene riferito ad un vigneto 223


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specifico, ben delimitato. Solo i vini ottenuti da quel vigneto possono fregiarsi del titolo. Usato prevalentemente per i vini della Borgogna, si traduce con “racchiuso”. • Domaine – anche questo termine è diffuso prevalentemente in Borgogna e significa “proprietà”. È il nome di una azienda che ha vari vigneti, non necessariamente nella stessa zona. • Côte – lato o parete di una collina (in italiano “costa”), denota una zona di produzione di qualità delimitata. • Cru – il termine “cru” indica una zona ristretta (a volte anche un solo vigneto) che ha ben precise caratteristiche ambientali, climatiche e geologiche. I vini prodotti hanno caratteristiche superiori agli altri. • Grand Cru - questo termine è usato in Borgogna, indicante sempre un vino riferito ad un vigneto di eccellenza. Lo troviamo anche nella Champagne e nell’Alsazia. Nella zona di Bordeaux lo ritroviamo solo ad alcune zone vinicole, come quella di Saint-Émilion. • Grand Cru Classé – sempre nella zona di Saint-Émilion, indica il secondo livello di classificazione. In altre zone, come quelle di Médoc e Sauternes designa un vino che appartiene ad una categoria di classificazione compresa fra la seconda e la quinta. • Premier Cru (1er Cru) - nella zona di Bordeaux (esclusa Sauternes e Barsac), indica un vino appartenente alla più alta categoria di classificazione ed al momento solamente cinque dispongono di questo riconoscimento. • Premier Grand Cru (1er Grand Cru) - nella zona di Sauternes indica il livello più alto di classificazione. Lo ritroviamo indicato anche come Premier Cru Supérieur • Premier Grand Cru Classé (1er Grand Cru Classé) - nella zona di Saint-Émilion indica la categoria di classificazione più alta attribuibile ad un vino. La dicitura può essere riportata anche nelle etichette dei vini del Médoc e di Sauternes per indicare un vino di categoria “Premier Grand Cru”. • Cru Classé - indica principalmente il nome attribuito alla famosa classificazione del 1855 per i vini del Médoc, nel Bordolese. Il sistema prevede cinque categorie, dalla prima alla quinta (Premier Cru, Deuxième Cru, Troisième Cru, Quatrième Cru, Cinquième Cru). Nella stessa classificazione, i vini di Sauternes/Barsac furono classificati in due sole categorie (Premier Cru, Deuxième Cru). Il termine è anche utilizzato per la classificazione dei vini delle Graves, sempre a Bordeaux, e non prevede suddivisioni, pertanto tutti i vini di qualità delle Graves, sia bianchi che rossi, vengono definiti “Cru Classé”. Anche la classificazione dei vini di SaintÉmilion prende il nome di “Cru Classé”. • Cru Bourgeois - categoria di classificazione per i vini del bordolese, considerati 224


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in qualità inferiori al sistema “Cru Classé”. Nel livello più altro, troviamo il Cru Bourgeois Supérieurs Exceptionnel, (da notare che spesso è indicato Cru Bourgeois Exceptionnel o Cru Exceptionnel). Segue una seconda categoria dal nome Cru Bourgeois Supérieurs o Cru Grand Bourgeois. Ed infine la terza ed ultima che prende il nome di Cru Bourgeois. • Supérieur - Il termine indica prevalentemente un vino il cui grado alcolico è più alto rispetto alla tipologia di appartenenza. Questa definizione si usa anche in Italia (tradotta semplicemente con Superiore). Vitigni, zone vitivinicole e vini tipici Le zone francesi di produzione vitivinicola sono numerose; una menzione particolare spetta ai vini della Mosella e Les Cotes de Toul, entrambi prodotti nella Lorena, e il cosiddetto Edelzwicker, un vino prodotto con l‘assemblaggio di più uve i cui nomi non vengono riportati in etichetta. Oltre a quelle sotto citate, si ricordano le zone della Valle del Rodano e della Francia Sud occidentale. 1. Alsazia L‘Alsazia produce principalmente vini bianchi; le uve bianche principali utilizzate sono il Riesling, il Gewurztraminer, il Pinot Grigio e il Moscato bianco. La produzione di vini rossi e rosati è scarsa (circa 8% della produzione totale) e le uve rosse principali dell‘Alsazia sono il Pinot Nero e il Gamay. Un prodotto piuttosto noto dell‘Alsazia è il Crémant d‘Alsace, un vino spumente realizzato con il metodo classico della rifermentazione in bottiglia. La zona produce anche eccellenti vini prodotti da vendemmie tardive (Vendanges Tardives) e i celebri Selection de Grains Nobles, vini dolci, complessi, concentrati e aromatici. 2. Bordeaux Nella zona di Bordeaux si produce l‘80% dei vini rossi di tutta la Francia. Troviamo anche eccellenze come il Sauternes e Barsac, vini passiti di ottima qualità. Le uve principali che danno vita ai famosi rossi di Bordeaux sono Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot (definito come uvaggio Bordolese). Tra le uve a bacca bianca vi sono on cui si producono i vini rossi di Bordeaux, il famoso uvaggio Bordolese, Le uve a bacca bianca che si coltivano in questa regione vi sono il Sauvignon Blanc, il Muscadelle e l‘Ugni Blanc, mentre il Sémillon è usato per il Sauternes e Barsac. 3. Borgogna In Borgogna trovano spazio i vini bianchi prodotti con uve Chardonnay e ed i vini rossi ottenuti da uve Pinot nero. Oltre a questi, vi è l‘Aligoté, un‘uva bianca usata maggiormente nel Maconnais, e il Gamay, che da vita ai vini di Beaujolais. 4. Champagne La zona dello Champagne si trova a Nord Est della Francia e la città principale è Reims. 225


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Celebre sparkling wine, è prodotto con tre uve: lo Chardonnay (l’unica a bacca bianca) ed il Pinot Noir e il Pinot meunier (queste a bacca rossa). 5. Languedoc Roussillon In questa zona troviamo una predominanza di Vins Doux Naturels, ottenuti da uve Moscato d‘Alessandria e Moscat à Petits Grains. Un altro celebre vino della zona appartenente ai Vins Doux Naturels è il Banyuls, prodotto con uve Grenache noir. Nella zona troviamo inoltre, vini bianchi e rossi AOC (Minervois, Cotes du Roussillon, Limoux, Clairette du Languedoc, Fitou, Corbières, Cotes du Roussillon-Village, Saint-Chinian, Collioure, Coteaux du Languedoc, Faugères) e un‘ingente quantità di Vins de Pays. Le principali uve bianche coltivate sono Maccabeu, Grenache blanc, Bourboulenc, Clairette, Picpoul, Moscato d‘Alessandria e Muscat à PetitsGrains, mentre tra le uve rosse primeggiano Carignano, Grenache noir, Cinsaut, Mourvèdre e Syrah. 6. Provenza e Corsica La Provenza è famosa per la produzione di vini pregiati rosati, ma possiamo trovare anche vini bianchi e rossi, oltre a una buona selezione di Vin de Pays. Le uve bianche usate principalmente sono Rolle, Ugni Blanc, Clairette e Sémillon, mentre le uve rosse sono Grenache noir, Syrah, Cinsaut, Carignano, Mourvèdre, Tibouren e Cabernet Sauvignon. Nell’isola di Corsica si producono vini bianchi e rossi e qui trova spazio il Vermentino (che si trova anche in alcune coste italiane). Altre uve sono Sciacarello e il Nielluccio, annoverate tra le uve rosse. In Corsica si produce anche Vins Doux Naturels, il Muscat du Cap Corse. 7. Valle della Loira La Valle della Loira è la patria indiscussa del Sauvignon Blanc Francese. La produzione prevede vini bianchi, rosati e rossi oltre a Vin de Pays. Le principali uve bianche che troviamo sono lo Chenin Blanc, Sauvignon Blanc, Chardonnay e Muscadet, mentre le uve rosse sono il Pineau d‘Auni, Grolleau, Gamay, Cabernet Franc, Cot e Pinot nero. Nella parte occidentale si producono prevalentemente Muscadet nella zona di Nantes e vini rosati nella zona di Anjou. La zona centrale produce vini bianchi, rosati e rossi fra cui il Touraine, Vouvray e Chinon. A Sud di questa zona, quasi al centro della Francia, troviamo i celebri vini di Sancerre, Pouilly Fumé, Pouilly-sur-Loire.

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SPAGNA È dal Novecento che la Spagna ha iniziato ad incrementare la produzione di vini, ma solo in tempi relativamente recenti si è sviluppata una produzione di qualità. Vediamo la classificazione dei vini spagnoli, in base al sistema di qualità. Il sistema di qualità I vini spagnoli sono classificati in 4 categorie: • Vino de Mesa (VDM): qui troviamo i vini da tavola che possono essere prodotti con uve provenienti da tutto il Paese. • Vino de la Tierra (VDLT): in questa categoria vi fanno parte vini prodotti in un’area più ristretta ed estesa se confrontata a quella a Denominazione di Origine (DO). È la nostra all‘IGT italiana. • Denominaciòn de Origen (DO): riguarda i vini prodotti in una regione a Denominazione d‘Origine e vi è un disciplinare specifico. • Denominacion de Origen Calificada (DOCA): è il livello più alto di certificazione ed al momento si trova solo presso la regione della Rioja. Le zone di produzione con i vitigni ed i vini tipici 1. Rioja Unica zona che possa vantare una DOCA grazie ai suoi vini rossi. Qui troviamo come uve rosse il Tempranillo, Garnacha, Mazuelo e Graciano, mentre le uve bianche sono Viura, Malvasia e Garnacha bianca. La Rioja si trova a nord del Paese e prende il nome dal fiume Rio, un affluente del Erbo. I vini Rioja rossi sono classificati in quattro categorie: la “Rioja“, la più giovane, rimanendo meno di un anno in botti d‘invecchiamento di rovere; “Crianza“, vino invecchiato almeno due anni, dei quali almeno uno in rovere; “Rioja Reserva” invecchia almeno tre anni, di cui almeno uno in botti in rovere; infine “Rioja Gran Reserva” sono stati invecchiati almeno due anni in rovere e tre in bottiglia. 2. Priorato Si tratta di una piccola regione catalana dove abbondano vini rossi di qualità, prodotti con uve Carinena, Tempranillo, Granaha, Cabernet Sauvignon, Merlot e Shiraz. In questa regione i vini vengono classificati in Crianza, Reserva e Gran Reserva ed i vitigni crescono su terreni d‘ardesia chiamati “llicorelles” e vengono coltivati a terrazzamenti.

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3. Rias Baixas La Rías Baixas è un vino di denominazione di origine spagnolo della regione della Galizia. Prende il suo nome da un’area costiera della regione. Nel 1980 nacque come “denominazione specifica” ed otto anni dopo fu riconosciuta come denominazione di origine. Qui sono celebri i vini bianchi ottenuti da uve Albaino, affinati nei contenitori di acciaio (e non di legno), per far spiccare le caratteristiche aromatiche primarie. 4. Jerez o Jerez de la Frontera Questa zona si trova al sud della Spagne, nei pressi dello stretto di Gibilterra. Si produce lo Jerez (Sherry o Xerès), un vino fortificato. Le uve coltivate nella zona e utilizzate per la produzione di Jerez sono esclusivamente bianche e sono le seguenti: Palomino, Moscadel e Pedro Ximénez.

PORTOGALLO Il Portogallo è uno dei più preziosi produttori di vino al mondo. Possiede uno straordinario patrimonio di vitigni autoctoni, forse inferiore solo a quello dell‘Italia. Celebre è il suo vinho verde, ma non solo. Zona di produzione, vitigni e vini In Portogallo si coltivano centinaia di specie autoctone. Tra le uve bianche, si ricordano Avarinho, Bual, Codega,Encruzado, Gouveio,Loureiro, Malvasia Fina, Pederna, Rabigato,Sercial, Trajadura, Verdhelo e Viosinho; mentre tra le uve rosse si annoverano Alfrocheiro Petro, Aragonez, Azal Tinto, Baga, Bastardo, Jaén, Periquita, Tinta Barocca, Tinta da Barca, Tinta Negra Mole, Tinta Roriz, Tinto Cao, Touriga Francesca, Touriga Nacional, Trincadeira, Preto e Vinhao. Due delle regioni che producono vino sono protette dall’Unesco come patrimonio dell‘umanità: la regione del Douro e la regione dell‘isola di Pico, nelle Azzorre. 228


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1. Douro La regione del Douro, percorsa dall‘omonimo fiume, è la più famosa del Portogallo, in particolare per la produzione del Porto. Tuttavia troviamo anche ottimi vini da tavola, in prevalenza rossi, ottenuti in genere con le stesse uve del Porto, e vini bianchi da uve Malvasia Fina, Gouveiro, Viosinho. 2. Madeira La fama enologica di questa isola atlantica è tutta legata all‘omonimo vino (in italiano Madera). Il Madera è un vino fortificato con il brandy, per essere poi sottoposto a un processo di riscaldamento in estufas (cantine surriscaldate). Nei tipi più pregiati, questo avviene nel sottotetto di appositi locali molto caldi. Le uve utilizzate sono bianche, tra le quali troviamo Baul, Malmsey, Sercial e Verdelho. 3. Minho La regione eccelle nella produzione dei Vinhos Verde: si tratta di vini bianchi, molto leggeri (intorno ai 10% alc.), aromatici e leggermente frizzanti. Le uve bianche per la produzione sono diverse, tra le quali troviamo Alvarinho, Trajadura, Loureiro e Pederna. Vi sono anche dei vini rossi: in questo caso si utilizzano uve Azal Tinto e Vinhao. 4. Alte zone di produzione Tra le altre zone di produzione ricordiamo la regione del Dao, al Nord, dove vengono prodotti vini rossi da uve Touriga Nacional, Tinta Roriz, Alfrocheiro Preto, Jaen e Bastardo. Vicino al Dao, nella regione di Barraida, troviamo anche qui vini rossi fermi e vini rossi spumanti. Ed infine, al sud, nell‘Alentejo, anche qui ritroviamo una ricca produzione di vini rossi ottenuti da uve Periquita, Aragonez e Trincadera Petra.

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GERMANIA Il sistema di qualità tedesco è per molti aspetti particolare e dispone di norme e regole che non si trovano facilmente negli altri Paesi. La sua posizione geografica, con una esposizione molto a nord, influisce anche sulla maturazione dell’uva, per cui i vini tedeschi sono poco alcolici: per questo motivo il sistema Tedesco per la produzione di vini di qualità è strettamente legata al concetto di “grado di maturazione delle uve”, una caratteristica che rende unico questo sistema. Nel 1971 in Germania è stata emanata un’apposita legge per la produzione del vino, modificata successivamente nel 1994 per renderla conforme alle direttive dell’Unione Europea. In questo regolamento vengono previste le seguenti categorie: vini da tavola, suddivisi in tafelwein (vini da tavola) e landwein (vini regionali), e vini di qualità, a loro volta suddivisi in Qualitätswein bestimmter Anbaugebiete (vini di qualità da regione determinata) abbreviato con QbA, e Qualitätswein mit Prädikat (vini di qualità con predicato) abbreviato con QmP. I vini appartenenti alla categoria Qualitätswein mit Prädikat, o QmP, rappresentano il livello qualitativamente più alto della produzione Tedesca per i quali lo zuccheraggio non è permesso. I vini QmP possono appartenere ad una delle seguenti categorie, dal grado di maturazione dell’uva più basso al più alto: • Kabinett: vini prodotti con uve raccolte durante il normale periodo di vendemmia. Sono generalmente leggeri, secchi e poco alcolici; • Auslese: (letteralmente raccolto selezionato). Sono vini ottenuti da uve molto mature selezionate in vigna prima della raccolta; • Spatlese: (letteralmente raccolto tardivo) vini prodotti con raccolti tardivi e sono in genere più intensi e strutturati dei kabinett; • Beerenauslese: ottenuti da acini selezionati, spesso attaccati da Botrytis cinerea. Letteralmente raccolto di acini selezionati; • Trockenbeerenauslese: ottenuti da acini selezionati totalmente “botritizzati”. I vini appartenenti a questa categoria sono certamente i più ricchi, dolci e costosi fra i vini Tedeschi • Eiswein: detti anche vini di ghiaccio. In questo caso l‘uva viene lasciata maturare nella vite e raccolta ad inverno inoltrato, quando le uve sono congelate dalla bassa temperatura che non può essere, al momento del raccolto, superiore ai -7° C. 230


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L’area di produzione vinicola tedesca è divisa in 13 Anbaugebiete (regioni di qualità): Ahr, Baden, Franken, hessische-Bergstrasse, Mittelrhein, Mosel-Saar-Ruwer, Nahe, Pfalz, Rheingau, Rheinhessen, Wurttemberg, Saale-Unstrut e Sachsen. Le uve principalmente coltivate sono bianche: Muller Thurgau, Reisling, Silvaner, Elbling, ma naturalmente trovano spazio anche vini rossi, rosati e dolci. Lo spumante tedesco è chiamato Sekt. La maggior parte di questo spumante viene realizzato con la fermentazione in autoclave, con il metodo Charmat. Il vino, o meglio le uve, possono essere acquistate in tutta Europa, ma prodotto ed imbottigliato in Germania. I vini spumanti a denominazione Deutscher Sekt sono prodotti esclusivamente da uve tedesche, e le tipologie di vitigno impiegate sono Pinot Bianco, Riesling, Pinot Grigio e Pinot Nero. AUSTRIA Data la vicinanza geografica, l’Austria potrebbe somigliare, dal punto di vista enologico, alla realtà tedesca, ma non è così. Innanzitutto il clima austriaco è più caldo di quello tedesco: per questo motivo le uve raggiungono un livello di maturazione più alto, con il risultato che i vini Austriaci sono più corposi e robusti, oltre ad essere, naturalmente, più alcolici e più secchi. Le leggi vinicole del sistema di qualità Austriaco sono da considerarsi fra le più rigide e severe di qualunque altro paese Europeo. In esse vi sono indicati i requisiti in dettaglio per ogni tipo di vino, compreso il livello minimo di zuccheri delle uve all’atto della vendemmia e la quantità massima di alcol. In Austria troviamo principalmente vini bianchi secchi, seguiti da eccellenti vini dolci. Tra le uve a bacca bianca, ricordiamo il Gruner Veltiner, il Furmint, Chardonnay, Pinot bianco e grigio, Riesling, Muller Thurgau ed altri ancora. Tra le uve a bacca rossa troviamo il Pinot nero, Cabernet Sauvignon, St. Laurent e Sweigelt. Le zone vitivinicole più note vi sono la Bassa Austria, la Burgenland ( qui troviamo gli Ausbruch e gli Eiswein, tutti dolci), la Stiria e Vienna.

ROMANIA La Romani al giorno d’oggi è tra i 15 più grandi produttori di vino grazie alle sue otto regioni vinicole ed in Europa è al sesto posto, dopo la Francia, l’Italia, la Spagna, la Germania e il Portogallo con una superficie di 183 400 ettari di vigneti nel 2010. In questo Paese ci sono diverse varietà autoctone, come il Feteasca Neagra (rosso) secco al gusto di prugna o il Feteasca Alba e Tamaioasa (bianco). Le cantine “Beciul Domnesc” sono le più grandi cantine in Romania, con una collezione di oltre 100.000 bottiglie, la più antica delle quali risale al 1949. Negli ultimi anni, anche grazie ad Internet, le esportazioni sono cresciute notevolmente. 231


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L’ENOGRAFIA EXTRAEUROPEA Oltre all’Europa menzioniamo altri Paesi dove la produzione di vini è cresciuta in maniera esponenziale. Partiamo dagli Stati Uniti. STATI UNITI Sono diverse le grandi zone di produzione vinicole negli States, tra cui la più importante è sicuramente la California. Partiamo proprio da questo Stato. • California: in California si producono sia rossi che bianchi (ma anche Champagne, strano a dirsi, con la stessa menzione francese). I rossi prevedono l’uso di uve Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, Zinfandel, Syrah, Grenache e Sangiovese e mentre per i bianchi, troviamo lo Chardonnay e Sauvignon; • Oregon: la storia del vino in Oregon inizia ufficialmente negli anni Sessanta. Il vitigno maggiormente coltivato è il Pinot noir ma non mancano bianchi come lo Chardonnay. La zona più vocata è la Willamette Valley, a ovest di Portland. • Washington: nello Stato di Washington, la regione più antica per la produzione dei vini è la Yakima Valley. Qui ritroviamo vitigni come lo Chardonnay, lo Shiraz, il Merlot, il Sauvignon e il Sémillon; • Texas: nel Texas troviamo alcuni vitigni come lo Chardonnay, il Chenin blanc, il Sauvignon e il Cabernet Sauvignon. Molto forte in questo Stato anche l’importazione dei vini italiani, tra cui il Sagrantino; Oltre il 90% della produzione è concentrata in California, dove qui troviamo la Gallo Winery, la più grande azienda vinicola del mondo. In California inoltre si può produrre …Champagne! Esatto, è l’unico Stato autorizzato, al di fuori della regione dello Champagne, che può utilizzare il celebre marchio. Nel 2008 uscì un film (mai tradotto in italiano) sulla disfida tra i vini francesi ed i vini californiani, con sopresa finale. Guarda il trailer.

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AMERICA LATINA Sempre restando nel nuovo Mondo, troviamo tra i Paesi produttori di vino annoveriamo anche l’Argentina ed il Cile. In Argentina trovano spazio diverse produzioni vinicole, sino agli spumanti. Le regioni vinicole più importanti del Paese sono Mendoza, San Juan, La Rioja e Salta; tra queste è Mendoza la più importante e più conosciuta. Proprio a Mendoza si coltivano vitigni come Barbera, Bonarda, Lambrusco, oltre ai bianchi Pinot bianco, Chardonnay, Riesling, Semillon. Mendoza ha due importanti sottozone: Luján de Cuyo e Maipú. A queste si aggiungono altre zone minori, fra cui Jujuy e Catamarca, vicino a Salta, e il Río Negro, la regione vinicola più a sud del paese.. Il Cile ha una sua produzione enologica basata su uve bianche come Chardonnay, Sauvignon blanc e Sauvignon vert, mentre tra le uve rosse trovano spazio il Cabernet Sauvignon, Carmènere, Merlot e Pais. L’area di coltivazione più vasta è rappresentata dalle valli che si estendono da Valparaiso fino a Bio-Bio, le valli di Acongaua e Casablanca. Nel centro del Paese troviamo le valli di Maipo (dove si coltiva Syrah e Cabernet Sauvignon), Rapel, Curico e Maule: tutte e tre queste valli formano quella che viene definita la “Valle Centrale“, che ha un clima di tipo mediterraneo. SUDAFRICA In Sudafrica i vini vengono prodotti principalmente nella regione del Capo di Buona Speranza. Possiamo trovare vini di tutti i tipi, tra cui (per la precisione a Costantia) un vino dolce, prodotto sia rosso sia bianco. Le uve coltivate sono Chardonnay e Sauvignon blanc, mentre le uve rosse sono Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Melot. I vini spumanti prodotti nel Sud Africa secondo il metodo classico riportano la dicitura Méthode Cap Classique e la dizione “Wine of Origin” può anche essere indicata secondo il termine linguistico locale Wyn van Oorsprong. Lo zuccheraggio non è permesso in Sud Africa, così come altre forme di “arricchimento”, tuttavia viene consentita l‘acidificazione.

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AUSTRALIA E NUOVA ZELANDA In Australia ci sono più di 60 regioni vinicole dove oggi vengono prodotti numerosi vini. Nella Barossa Valley e nella McLaren Vale, in South Australia, troviamo lo Shiraz, mentre Margaret River in Western Australia è celebre per la produzione del Sauvignon blanc. Oltre a questi due vitigni, sono coltivati anche Chardonnay, Riesling e Semillon, mentre a bacca rossa troviamo Cabernet Sauvignon e Shiraz. La produzione vinicola dell’Australia è praticamente concentrata nella zona meridionale, in particolare nei territori del Nuovo Galles del Sud, Victoria e Australia Meridionale. Proprio questa zona è quella più importante e produttiva del paese. La maggioranza della produzione è realizzata dalle attivissime e fiorenti aziende vinicole che si trovano in prossimità delle città di Sydney, Canberra, Melbourne e Adelaide. Il resto della produzione, con quote decisamente più modeste, è realizzato in Tasmania e nell’Australia Occidentale, nei pressi di Perth. Si registra inoltre una produzione piuttosto marginale anche nelle aree del Queensland e nei territori settentrionali. In Nuova Zelanda abbiamo vini ottenuti da Chardonnay, Riesling, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir, Shiraz, Cabernet Franc, Müller Th u r g a u , Gewürztraminer, Seibel e Baco. Le zone di produzione sono le seguenti: Canterbury, Central Otago, Gisborne, Hawke’s Bay, Marlborough, Northland, Waikato e Martinborough.

GLI ABBINAMENTI VINO/CIBO Perché abbinare un vino? La domanda è legittima: perché dovrei abbinare il vino ad una pietanza? Una volta, il vino si beveva durante i pasti, senza tante attenzioni o cerimonie. Si è fatto sempre così. Oggi in un’epoca dove la ricerca della qualità e del gusto si è spinta anche alle bevande, è indispensabile che l’addetto di sala conosca anche i principali tipi di abbinamento enogastronomici. Un petto di anatra con salsa di agrumi è sicuramente un bel piatto, ma può essere valorizzato da un vino rosso di qualità (e viceversa). L’abbinamento deve essere armonico, dove per armonia si deve intendere che si deve 234


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“sentire” sia il gusto del piatto, sia quello del vino: altrimenti inutile anche spendere 50 euro per una bottiglia di vino pregiato, quando l’abbinamento non consente di assaporarne entrambi. LE TRE GRANDI SCUOLE DI ABBINAMENTO: FRANCESE, INGLESE ED ITALIANA Tre sono le grandi scuole di abbinamento vino-cibo, due molto selettive ed una blanda. Partiamo da quella blanda, la scuola inglese. Purtroppo l’Inghilterra non ha una storia di grandi vigneti e di viticoltura, pertanto l’argomento abbinamento è risolto in maniera brusca: abbina al piatto ciò che vuoi. Essendo quindi il vino una materia per specialisti, bisogna ricorrere quindi alle altre due grandi scuole, quella francese ed italiana. La scuola francese ha una tradizione di centinaia di anni, si può dire che l’enogastronomia è nata lì, con i grandi chef e con i grandi vini (tenendo sempre presente che sono stati i Romani a impiantare la vite nelle tribù francesi). Questa scuola dà sostanzialmente 3 indicazioni: il vino rosso con le carni, i vini bianchi con il pesce e i dolci con i dolci. Il motivo sta anche nel giusto abbinamento: solo i grandi e medi vini rossi riescono ad “accoppiarsi” con carni saporite, forti, magari con tante spezie e odori. I tannini presenti nel vino rosso farebbero ricordare, durante la masticazione, il sapore di un bullone, se mangiamo del pesce (un tipo di carne delicata, dove occorre un vino delicato e profumato lieve, come lo è il bianco). La scuola italiana è quella nata alla fine degli anni Sessanta con l’Associazione Italiana Sommelier, dove sono riusciti ad elaborare dei criteri di abbinamento molto dettagliati. Negli anni Ottanta si sono iniziate a diffondere le prime schede di abbinamento così precise; solo però negli ultimi vent’anni si sono diffusi in maniera capillare i corsi di degustazione del vino, e quindi una maggiore conoscenza (ecco perché chi ha frequentato gli Istituti Alberghieri di quel periodo non ha ricordo di questi dettagli). Ma vediamo anche quali altri principi di abbinamento troviamo, giusto a dimostrare che la materia è più complessa di quello che appare.

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L’abbinamento per tradizione e territorio L’abbinamento per tradizione si ispira alla cucina regionale italiana, dove piatti e vini sono abbinati secondo il luogo dove li si degusta. Un tempo si trattava di un abbinamento creato per necessità, in quanto le materie prime non erano così diffuse come oggi. Tante sono le proposte della cucina regionale, altrettanti sono i vini DOC, DOCG ed IGT che troviamo. Un esempio classico è il Brasato al Barolo, dove l’abbinamento è con lo stesso vino utilizzato per cucinare: il Barolo appunto. Per il ristoratore, lo chef, l’addetto di sala, ciò permette non solo di valorizzare i prodotti tipici, ma anche di evidenziare le radici enogastronomiche e culturali dove si opera.

L’abbinamento stagionale L’abbinamento stagionale pone le sue basi sul principio che certi piatti sono adatti alle stagioni “fredde”, ma non altrettanto nelle stagioni primaverili ed estive. Questo perché nelle stagioni estive si è più inclini a consumare piatti leggeri, con pochi grassi, come pesce, molluschi, verdure, crostacei, paste fredde. All’opposto in inverno si prediligono piatti più grassi e strutturati, caldi con un buon apporto calorico. Per questo motivo in estate si prediligono vini bianchi e rosati, serviti freschi, anche frizzanti e sapidi. In certe occasioni anche vini rossi giovani, servita ad una temperatura fresca. Nelle stagioni fredde si prediligono sughi, carni rosse, cibi calorici, i quali richiedono vini rossi strutturati, maturi o invecchiati, da servire alla giusta temperatura.

L’abbinamento per contrapposizione e concordanza di sapori Il principio di contrapposizione è semplice: se un cibo è a tendenza acida (scaloppina al limone), il vino non deve essere anch’esso ricco di acidità (fresco), perché in questo modo andrebbe ad aumentare le sensazioni acide del cibo. All’opposto invece si potrà abbinare un vino “morbido”, che andrà a contrapporsi al piatto troppo aggressivo. All’opposto un cibo ricco di grassi, come le lasagne alla bolognese, sarà abbinato ad un vino ricco di acidità, frizzante, come un Lambrusco. L’anidride carbonica contenuta nel vino andrà a ripulire anche la lingua dall’untuosità del cibo. Alcuni piatti ben strutturati in ogni caso vogliono un vino ben strutturato (cinghiale e carni rosse elaborate, con vini rossi di grande struttura come un Chianti Ri.Va.Le Riserva o un Peregrinus IGT). Così anche piatti delicati, leggeri, possono essere abbinati con vini leggeri in modo tale che la loro delicatezza non vada a coprire troppo il piatto.

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L’abbinamento con i dolci Sia la scuola francese, che quella italiana, concordano sui dolci: rigorosamente vini dolci con i dessert. Per vini dolci intendiamo sicuramente i vini passiti e gli spumanti dolci, che hanno comunque un unico denominatore: la presenza dello zucchero. Oltre a questo concorrono altri fattori, la concordanza e i profumi. Il panettone è un ottimo dolce, ricco di profumi che ricordano spezie delicate (vaniglia, cannella) e frutta candita. Quindi occorrerà uno spumante dolce che abbia le stesse caratteristiche organolettiche ed olfattive (provate ad annusare uno spumante dolce e vi ritroverete i profumi appena citati). Molte persone pasteggiano con vini spumanti brut con i dolci: De gustibus non est disputandum. Tuttavia sarebbe come sorseggiare una coca cola e nel contempo mangiare una millefoglie. L’aromaticità della bevanda andrà a “coprire” il sapore delicato della crema e la presenza degli zuccheri. Fatelo questo esperimento. L’acqua gassata bevuta dopo il dolce invece è un altro esperimento da… degustare. Provatela: l’anidride carbonica ripulirà la lingua dalla grassezza della crema e vi darà una sensazione di sollievo. Certo non stiamo parlando di abbinamenti, anche se negli ultimi tempi si sta diffondendo una certa curiosità sull’accoppiamento cibo e acqua minerale, con l’Associazione Degustatori Acque Minerali (www.degustatoriacque.com).

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ALCUNI SUGGERIMENTI PER UN PRIMO ABBINAMENTO VINO-CIBO Vi sono poche regole essenziali per iniziare ad abbinare vino e cibo. • Si comincia sempre con i vini più giovani, per finire dopo con quelli più vecchi; • Allo stesso modo si servono prima i vini più leggeri, e poi i più robusti; • Vini bianchi vanno serviti prima dei rossi, così anche si parte dal vino più freschino a quello a giusta temperatura “ambiente”; Il vino rosso lungamente invecchiato andrebbe decantato prima di servirlo. Qui troverete un video che spiega come fare http:// ristorazionebar.it/?p=165 Se all’inizio di questo modulo abbiamo accennato ai piaceri della degustazione, ora possiamo andare più in dettaglio e capire perché si degusta un vino. Intanto la degustazione spetta a professionisti che abbiano svolto almeno uno o due corsi di degustazione del vino. In Italia numerose Associazioni operano in questo campo (in primis l’AIS). Tuttavia sempre più spesso capita che questi tipi di corsi vengano frequentato anche da semplici appassionati. Ciò significa che un cliente può addirittura saperne di più di un addetto di sala e vendita, in materia di vini. Ma quali sono i motivi per cui si degusta? Innanzitutto per verificare che il vino sia esente da difetti e presenti invece pregi. Si può degustare il vino per riconoscerne la tipologia e paragonarlo ad altri vini già assaggiati ed infine stabilire l’abbinamento vino-cibo. Nei corsi di specializzazione esistono varie schede di valutazione, in una addirittura possiamo dare un punteggio bene preciso. La difficoltà maggiore ed avere un criterio oggettivo per la degustazione, usando vocaboli comprensibili. Non a caso vi è il vocabolario dell’Ente Nazionale di Unificazione che dispone di una tabella di 116 termini, preparata dall’Associazione Italiana Sommelier (AIS) utile per descrivere l’aspetto sensoriale del vino.

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QUALI SONO LE REGOLE PER LA DEGUSTAZIONE Per diventare assaggiatore professionale dei vini (o altre bevande, come distillati e liquori) esistono appositi corsi di specializzazione che portano il discente ad acquisire importanti conoscenze di base, utilizzando una terminologia ben precisa che permetterà di codificare le sensazioni visive e gusto-olfattive di un vino, traducendole con vocaboli comprensivi. Vi sono dei requisiti indispensabili: stato buono di salute (ad esempio un raffreddore impedisce un’analisi corretta), ma anche non aver fumato prima di una degustazione o aver mangiato una caramellina. Questi infatti impediscono un corretto assaggio, influenzando il gusto. In sintesi vi sono delle regole che l’AIS ha stilato. Elenchiamole. 1. Mantenere la cavità orale pulita. 2. Non fumare prima della degustazione in genere. 3. Non utilizzare profumi e cosmetici in genere, anche questi potrebbero influire. 4. Risciacquarsi la bocca prima di cominciare, per neutralizzare il palato; è consigliabile tra un vino e all’altro di mangiare un grissino o un pezzetto di pane: in questo modo si possono eliminare i residui organolettici attivi. 5. Degustare a stomaco vuoto: le ore ideali sono quelle della tarda mattinata, dopo le 10 e poco prima di pranzo. 6. Limitare il numero dei vini da esaminare. A mio parere anche 10 campioni di vino sono già troppi. Dopo un po‘ sopraggiunge la stanchezza. 7. Il vino va bevuto in piccole quantità, e si può espellere dopo averlo degustato. Sono previste degli appositi contenitori chiamati sputavino. 8. Degustare in silenzio, anche perché si potrebbe influire con i giudizi i vicini. 9. L’allenamento è fondamentale, anche a casa si può degustare una bottiglia a settimane. A scuola un costante allenamento potrebbe prevedere la degustazione in classe di un vino a settimana.

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L’AMBIENTE IDEALE PER DEGUSTARE UN VINO Per degustare correttamente un vino, occorrerebbe un locale illuminato con luce naturale, tinte chiare e neutre (magari il bianco), spazioso e ben protetto da rumori esterni. Se le degustazioni vengono fatte di sera oppure il locale non dispone di luce che entra in maniera più che sufficiente, si può ricorrere all’illuminazione artificiale, usando magari luci al neon. La stanza non deve essere affollata e vi sono anche appositi spazi per la degustazione professionale, ma non solo per il vino, anche per altri prodotti, come l’olio. Anche la temperatura ha la sua importanza: quella ideale del locale deve essere intorno ai 18 °C e l’umidità relativa intorno al 60%. Quali bicchieri si usano? Il bicchiere deve essere conforme a determinate caratteristiche, che sono dettate dalle esigenze dei diversi vini. Ogni tipo di vino ha una propria forma di calice ideale. Il bicchiere deve fondamentalmente permettere di distinguere e apprezzare in modo e misura ideale le qualità del vino che è destinato ad esservi contenuto. Dovrà quindi essere trasparente e del tutto incolore, dovrà avere una forma ovale più o meno chiusa; l’ampiezza dovrà essere adeguata al tipo di vino; il bordo dovrà andare verso l’interno o all’esterno a seconda che gli aromi del vino in degustazione debbano essere concentrati perché troppo tenui, oppure espansi perché troppo intensi, e a seconda che si voglia indirizzare il vino, durante la beva, sulla punta della lingua o sul fondo del palato; lo stelo, infine, dovrà essere sufficientemente lungo da permettere una presa che non trasmetta al vino il calore della mano.

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Il bicchiere ISO (International organization for Standardization) è un bicchiere tecnico creato nel 1971. Usato principalmente da enologi ed enotecnici, tuttavia oggi si utilizza anche per altri prodotti poiché permette un’analisi neutra del prodotto. Questo bicchiere è stato approvato dall’INAO (Institut National d’Appellation d’origine) e conforme alle norme AFNOR (Association Francaise de Normalisation) e deve disporre di queste caratteristiche:

• Vetro incolore, liscio, di spessore ridotto, privo di scritte; • Percentuale di piombo 9% (il cristallo è al 24%); • Forma classica a tulipano capacità di 210-225 ml; • Apertura della coppa 46 mm; • Altezza della coppa 100 mm; • Altezza dello stelo 55 mm; • Spessore del gambo 9 mm; • Diametro del piede 6 mm.

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LA TEMPERATURA IDEALE DEL VINO Quando si sente dire “il vino rosso va degustato a temperatura ambiente”, ciò è parecchio illusorio: infatti ad agosto la temperatura ambiente raggiunge almeno i 28 gradi, e noi non possiamo di certo servire un vino rosso a 28 gradi! Pertanto si deve parlare di temperatura di servizio. Si parte generalmente dai 6-8 °C per i vini spumanti, sino ad arrivare ai 18-20 °C dei vini rossi maturi e strutturati.

°C

TIPOLOGIA

6

Spumanti secchi e dolci, vini aromatizzati

8

Vini bianchi secchi giovani e fruttati

10

Vini bianchi secchi aromatici, vini abboccati

12

Vini novelli, vini rosati

14

Vini rossi leggeri (poco tannici)

16

Vini rossi mediamente strutturati (abbastanza tannici)

18

Grandi vini rossi invecchiati, vini rossi di grande corpo (tannici)

8 - 18

Vini passiti, vini liquorosi

La termperatura con la quale viene servito un vino può esaltare oppure annullare determinate caratteristiche. Ad esempio le basse temperature sono ideali per valorizzare la sapidità, l’acidità, l’amaro e l’astringenza. Di conseguenza anche la freschezza gustativa, carattere che viene apprezzato in particolare negli spumanti e nei vini bianchi. Infatti tutto ciò che ad esempio contiene anidride carbonica va servito a temperatura bassa (che sia anche semplicemente un bicchiere d’acqua frizzante). All’opposoto, le temperature più alte esaltano la morbidezza, l’alcol, la dolcezza e i profumi. Note che ritroviamo nei passiti per esempio (anche se alcuni possono essere serviti a temperature basse) e nei vini rossi maturi. Possiamo avere quindi questa scaletta: Vini bianchi in genere Temperatura fredda Vini rossi Temperatura più elevata Vini bianchi liquorosi Temperatura fresca

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L’ESAME VISIVO Dopo aver versato il vino nel bicchiere, per prima cosa si procede all’analisi visiva che permetterà non solo di vedere il colore, ma anche di valutarne le varie sfumature e la sua evoluzione. L’esame visivo si attua in varie fasi che riguardano sostanzialmente: • La limpidezza: con questa operazione si porta il bicchiere all’altezza degli occhi, osservandolo in controluce. Dato che il vino è sempre „colorato“ si valuta più che altro l’assenza di particelle in sospensione. Questo per i vini bianchi. Nel caso dei vini rossi, si valuterà più attentamente per vedere se vi sono delle particelle in sospensione, poiché il denso colore rende più difficile la penetrabilità dei raggi luminosi. • Il colore: la seconda fase permette di valutare il colore del vino e le sue sfumature. Dove nel bicchiere vi è maggior spessore, si valutano il colore e la sua intensità, mentre in quella di minor spessore (qui il vino si distribuisce in strato molto sottile), si osservano invece le sfumature, decisive nella previsione dello stato evolutivo del vino;

• La consistenza: la terza fase si attua facendo ruotare lentamente il bicchiere. Questo permette intanto di vedere il movimento rotatorio che può essere più o meno fluido, ma anche di osservare le pareti del bicchiere: qui si formano le cosidette lacrime o archetti. La regola suggerisce che in base alla velocità di ricadute delle lacrime e l’ampiezza degli archetti, si possa valutare la consistenza del vino; • Il perlage: in alcuni casi non si valuta la consistenza,, bensì il perlage, ossia quel movimento provocato dall’anidride carbonica che sale verso l’alto. Il perlage si valuta per gli spumanti ed i vini frizzanti. In questo caso si prenderanno in esame le bollicine. Ma questo lo vedremo tra poco.

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La limpidezza Nel linguaggio della degustazione per limpidezza si intende “assenza di particelle in sospensione”. Nel caso opposto, qualora vi siano delle particelle, il vino può considerarsi velato, talvolta conseguenza anche di una mancanza di filtrazione. Il vino non si può considerare del tutto trasparente, ossia capace di far penetrare raggi luminosi: ciò dipende dalla quantità di sostanze coloranti presenti nel vino. Anche qui la regola non vale per tutti i vini: quelli poveri di materia colorante, come i bianchi, rosati ed alcuni rossi, vengono facilmente attraversati dalla luce. Invece quelli molto ricchi di materia colorante, nel caso di alcuni rossi dal colore compatto, impediscono la penetrazione della luce. Vi sono alcuni casi di vini lungamente invecchiati in bottiglia: questo affinamento, nel tempo, può produrre un residuo che si deposita sul fondo della bottiglia e che potrebbe finire nel bicchiere. In questo caso va effettuata la decantazione non travasando completamente il contenuto della bottiglia nella caraffa decanter. Dal punto di vista tecnico, il vino sarà valutato come “abbastanza limpido”: termine che non indica un difetto, se prendiamo in considerazione lo stato della conservazione della bottiglia e le sue caratteristiche. Vi possono essere altri casi dove il vino non viene filtrato del tutto, infatti il produttore può aver imbottigliato lasciando i lieviti o, oppure semplicemente non aver volutamente filtrato il vino. Se invece vi sono alterazioni o difetti, allora si potranno usare termini come torbido e velato, con un’accezione negativa. Vi sono anche dei termini, utilizzati prevalentemente per spumanti: “cristallino” e “brillante”; in particolare il termine brillante viene favorito dal perlage dello spumante o dello Champagne, che in un certo qual modo illumina il contenuto del bicchiere, riflettendo la luce esterna. Il termine cristallino invece ben si addice ai vini bianchi e rosati che si presentano con una forte luminosità.

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Il colore La colorazione di un vino si ottiene quando nella fase della fermentazione si lasciano le parti liquide (il succo che diventerà vino) e solide (le bucce) insieme. Il colore si ottiene soprattutto dalle sostanze polifenoliche presenti nella buccia degli acini, ma concorrono anche altri fattori come: la temperatura e la durata della fermentazione, la quantità di anidride solforosa utilizzata e il numero dei rimontaggi. Se eliminiamo le bucce, otterremo invece vini bianchi (20-25 mg\l di sostanze coloranti). Questo si può fare anche con uve a bacca nera. Tra le tecniche evolute per avere un vino bianco dal temperamento ricco di personalità, prima di procedere con la normale vinificazione in bianco, si usa una criomacerazione del mosto e una macerazione pellicolare (a contatto con le bucce). Nella scheda di valutazione dell’AIS il colore viene valutato attraverso tre parametri: intensità, tonalità e vivacità. Intensità del colore L’intensità dipende dalla quantità di sostanze pigmentate presenti, diretta conseguenza di fattori fissi e variabili. Tra i fattori fissi vi è la zona di produzione, latitudine, l’esposizione, il microclima, la composizione e la struttura chimica del terreno. È il caso, ad esempio di vini rossi fortemente intensi, che crescono su terreni vulcanici (Etna, Vesuvio, ecc). Tra i fattori variabili ricordiamo il vitigno e l’andamento stagionale delle piogge, la maturazione e lo stato di sanità delle uve, le tecniche applicate durante la vinificazione ed il tempo di macerazione, la durata della fermentazione e l’utilizzo di contenitori di legno durante la maturazione.

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Tonalità del colore La tonalità del colore è molto importante soprattutto perché può dare precise indicazioni sullo stato evolutivo del vino. Essa dipende dal tipo di pigmenti presenti, ma anche da altri fattori come l’acidità, il pH e lo stato di ossidazione delle sostanze polifenoliche. I vini bianchi molto giovani generalmente si presentano con una tonalità giallo chiara e sfumature fredde, addirittura con riflessi sul verde chiaro. Poi con l’invecchiamento e l’ossidazione, il colore giallo assumerà delle tinte più forti. I vini rossi giovani si presentano con una tonalità rubino, ma con forti riflessi tra il viola e il fucsia; nei vini maturi questa tonalità ve verso il colore granato ed aranciato. Soprattutto quest’ultima sfumatura ci suggerisce che si tratta di un vino lungamente invecchiato (il colore ricorda quei tetti di mattone delle vecchie case). I vini rosati generalmente non mutano intensità di colore nel tempo, tuttavia dopo circa due anni dalla produzione, perdono freschezza ed il colore va verso una sfumatura aranciata tenue.

Vivacità del colore La vivacità del colore è molto importante per capire se il processo di produzione e evoluzione del vino è avvenuto in modo corretto. Questo può dipendere da tre fattori: a) stato di salute delle uve; b) tecniche di lavorazione; c) conservazione. Il colore si deve presentare vivo e fresco. Per quanto riguarda la conservazione, non vale solo per la produzione del vino, ma anche dopo l’imbottigliamento: se il vino non viene conservato correttamente e si trova a contatto con la luce, l’ossidazione sarà più veloce.

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La consistenza Per valutare la consistenza di un vino, la prima operazione da fare è osservare la mescita: già dal modo in cui il vino scende può darci qualche indicazione. Poi con le dita si solleva il bicchiere dallo stelo e lo si rotea. Nel movimento rotatorio si formeranno delle lacrime e degli archetti. Queste possono essere rapide e disordinate, oppure seguire un movimento lento e regolare. Se il vino è molto ricco di etanolo, gli archetti saranno più fitti. Così vi sono anche altre sostanze come la glicerina, i tannini, i sali, che rendono il vino più consistente. Se il vino è giovane, leggero, fresco, poco alcolico, la sua consistenza sarà limitata. Altri fattori che possono influire sulla corretta formazione delle lacrime e degli archetti, sono le superfici dei bicchieri: i bicchieri vanno lavati correttamente ed a volte persino residui del brillantante possono rendere difficile l’interpretazione.

L’effervescenza Quando si degusta uno spumante o uno Champagne, la consistenza non si valuta, ma sarà osservata l’effervescenza. Questa è data dalla presenza di anidride carbonica è si può trovare anche in altri tipi di vini bianchi, rossi e rosati). Alcuni vini italiani, come il Lambrusco o il Penisola Sorrentina hanno proprio come caratteristica quella di essere frizzanti. Infatti si presentano come vini freschi, con una piacevole acidità. Nei vini rossi maturi e passiti, invece, viene apprezzata di più la morbidezza, e la presenza anidride carbonica rappresenta un fattore decisamente negativo, legato a probabili fermentazioni indesiderate. L’anidride carbonica favorisce la liberazione delle sostanze volatili: le bollicine infatti trasportano in alto il profumo del vino, e scoppiando provocano una sensazione tattile di pungenza sulla lingua. Nella scheda di valutazione il perlage si valuta a seconda della dimensione delle bollicine (grana), il loro numero (che può essere poco numeroso o numeroso) e la persistenza del perlage, ossia il tempo di sviluppo delle bollicine.

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L’ESAME OLFATTIVO Dopo l’esame visivo, abbiamo la seconda fase dell‘analisi sensoriale per scoprire quali profumi ci offre il vino. La prima operazione è valutare che non siano presenti difetti (odore di tappo, muffa, anidride solforosa, ecc.). La via nasale e via retronasale Le particelle odorose sono sostanze chimiche volatili che sono ispirate attraverso le fosse nasali, colpendo la mucosa olfattiva. Le due principali vie sono la via nasale diretta e la via retronasale. • Via nasale diretta: questo avviene quando si avvicina il bicchiere al naso e si inspira, i profumi arrivano alla mucosa olfattiva attraverso la via nasale diretta. In questo modo le molecole sfiorano la mucosa olfattiva grazie a un movimento di diffusione, mescolandosi con l’aria che occupa la cavità nasale in seguito a inspirazioni piuttosto deboli. Se facciamo delle inspirazioni più profonde, i vortici d’aria colpiscono la mucosa olfattiva e rendono più efficace la percezione delle sensazioni. • Via retronasale: la via retronasale entra in gioco nella percezione delle sensazioni odorose solo dopo la deglutizione del vino, quando la faringe crea una pressione che sposta i vapori dalla cavità orale a quella nasale. Facendo così, le molecole odorose arrivano alla mucosa olfattiva per convenzione; nello stesso momento l’aria fredda entra e quella calda esce. L’insieme di queste sensazioni gusto-olfattive costituisce la Persistenza Aromatica Intensa (PAI), che sarà tratta nell’esame gustoolfattivo.

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DA DOVE VIENE IL PROFUMO DEL VINO Si è calcolato che nel vino si possono trovare oltre 220 sostanze volatili che si percepiscono già a temperatura ambiente grazie all’analisi olfattiva. La maggior parte di queste sostanze vengono prodotte dalle uve, altre invece si formano attraverso la fermentazione. Tutte queste note comunque si possono raggruppare in tre grandi categorie. Al degustatore il compito di individuare le principali. I TRE GRUPPI DI PROFUMI I profumi che si liberano dal vino fanno parte di tre gruppi considerati primari, secondari e terziari. L’origine è sostanzialmente diversa: alcuni provengono dal tipo di uva, altri dalla fermentazione e dalla lavorazione, altri ancora dall’affinamento in bottiglia e soprattutto dalle botti. Profumi primari I profumi primari sono definiti anche varietali poiché derivano dal vitigno (appunto dalla varietà). Essi sono presenti soprattutto nella buccia dell‘acino. Dal punto di vista chimico fanno parte della categorie dei terpeni: si tratta di circa un centinaio di molecole, che donano aromi e profumi al vino. Alcuni di questi sono il linalolo (presente nel legno della rosa), il geraniolo (geranio ed alcune erbe) e il nerolo, che si trova nell’olio essenziale di bergamotto e non solo.

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Profumi secondari Una volta che il vino inizia il processo di fermentazione, altri profumi vanno a formarsi aggiungendosi a quelli primari. Questi profumi derivano essenzialmente dall’azione di alcuni enzimi appena prima della fermentazione o dall‘azione di lieviti durante la fermentazione. In genere conferiscono al vino profumi floreali, fruttati, di frutta secca e confetture. Profumi terziari I profumi terziari si formano grazie alla maturazione ed all‘affinamento del vino. Se da una parte il riposo in acciaio non incide direttamente sulle trasformazioni del vino, all’opposto l’uso della botte riesce ad influire sullo sviluppo di alcuni profumi grazie al legno. Anche la dimensione della botte può influenzare: più è piccola, più incide. Durante il riposo del vino nelle botti grandi o nelle barrique, i profumi primari e secondari tendono a diminuire e a essere sovrastati da quelli terziari, che si presentano più maturi ed evoluti. Le note che si svilupperanno ricorderanno confetture e frutta secca, fiori appassiti e secchi, sentori speziati e tostati, animali ed eterei, che si fonderanno con quelli già presenti e in continua evoluzione, creando un bouquet particolare e complesso.

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LE CATEGORIE DEI PROFUMI DEL VINO I profumi (o meglio le loro famiglie) sono stati divisi per comodità in 8 gruppi. Diamo un’occhiata… Profumi floreali Le note floreali sono sempre presenti nei vini,soprattutto quelli giovani e bianchi. Questi hanno sfumature che ricordano i fiori freschi come il gelsomino, il biancospino, i fiori d‘arancio, la rosa bianca ed in alcuni casi anche fiori gialli come la ginestra. Nei vini rossi giovani troviamo ugualmente sentori floreali che ricordano fiori freschi come quelli della rosa rossa (nel Brachetto per esempio), della violetta, della viola mammola e dell‘iris. Con la maturazione del vino, i sentori ricorderanno sempre fiori, ma appassiti e secchi. Profumi fruttati I profumi fruttati che si possono sentire nel vino ricordano sia la frutta a polpa pianca, sia quella a polpa gialla. Tuttavia possiamo sentire anche note agrumate (ananas, limone), nonché frutta essiccata e secca. Anche in questo caso se il vino subisce un affinamento in botte, i sentori si ammorbidiscono ed i profumi ricordano sfrumature di frutta matura o cotta, confetture e frutta appassita. Le sfumature sono evidenti anche nei vini passiti. Profumi erbacei e vegetali I profumi che ricordano i sentori vegetali sono più difficili da riconoscere poiché spesso sono simili alle foglie e all’erba tagliata. Vi possono essere anche sentori che ricordano le erbe aromatiche (soprattutto nei vini bianchi), come il timo e l’elicrisio.

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Profumi tostati Anche questi profumi sono collegati all‘evoluzione del vino. Le note ricordano quelle della frutta secca tostata, del cacao, del cioccolato. Li ritroviamo spesso nei vini rossi invecchiati. Alcuni di questi profumi dipendono dal vitigno, in alcuni casi invece dall’invecchiamento in barrique o tonneau. Profumi speziati I profumi speziati si formano generalmente nei vini sottoposti ad invecchiamento. Le note ricordano la vaniglia, che si ottiene dall’affinamento da barrique (anche il Rum Pampero ha questa nota dovuta al passaggio in barrique). Alcuni vitigni invece nascono con un’impronta speziata, come Gewurztraminer o il Syrah. Tra le spezie più diffuse troviamo il cardamomo, la liquirizia e il pepe nero. Profumi minerali Strano a dirsi, ma anche i minerali hanno un profumo di solito penetrante e caratteristico. Nelle sfumature „minerali“ vanno inclusi anche sostanze come lo zolfo oppure la pietra focaia o gli idrocarburi. Alcuni di questi profumi li troviamo nei Riesling della Valle del Reno, nel Gavi e nel Nero d‘Avola, vino siciliano, che offre sfumature salmastre o di grafite. Profumi animali Anche in questo caso si tratta di profumi evoluti che ritroviamo in vini invecchiati (ed alcuni casi anche in bianchi). Tra le note che possiamo ritrovare, vi sono quelle del cuoio, della pelle di animale bagnato, sino a quello della pipì di gatto. In alcuni Pinot nero della Borgogna troviamo quello di merde de poule. Profumi eterei I profumi eterei sono i più interessanti, sintomo di un lungo invecchiamento in bottiglia. Sono note iodate e di medicinali, smalti e vernici, acetone: ecco cosa possiamo trovare in vini rossi lungamente invecchiati.

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L‘ESAME GUSTO-OLFATTIVO L’esame gusto-olfattivo avviene successivamente a quello visivo e ci servirà per capire innanzitutto che non ci siano sapori anomali (che nella prima analisi potrebbero essere anche non percepiti) ed inoltre con esso si valuteranno le singole sensazioni saporifere (dolcezza, acidità, sapidità, amarezza) e tattili (pseudo calore, astringenza, struttura e consistenza gustativa, pungenza, effetto termico). Con questa operazione si avranno le valutazioni di: struttura, equilibrio, intensità, persistenza e qualità gusto-olfattiva.

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Le fasi dell‘esame gusto-olfattivo L‘esame gusto-olfattivo si compone di varie fasi che sono le seguenti:

• Assaggio: il bicchiere, come nell’analisi visiva, deve essere impugnato alla base oppure dallo stelo: in questo modo si eviterà di trasmettere il calore dalla mano al contenuto del bicchiere; • Secondo assaggio: si mettono in bocca circa 10 ml di vino: grazie a questa quantità si lambisce tutta la cavità orale, senza subire una significativa diluizione da parte della saliva; • Inspirazione attraverso i denti: si porta il vino nella parte anteriore della bocca, tenendola chiusa; nello stesso momento si inspira lateralmente, attraverso i denti, una piccola quantità di aria. Questa operazione ha come effetto quello di inviare il vino con maggior forza sulle papille gustative e sui recettori, stimolandoli in modo più incisivo. Inoltre, l‘aria si mescola al vino e si crea un gorgoglio che favorisce la volatilizzazione di alcune componenti, amplificando le sensazioni saporite, tattili e gustoolfattive; • Movimento del vino in bocca: la lingua, all‘interno della cavità orale, muove il vino, ed in questo modo si esercita anche una leggera pressione contro la volta del palato; • Degustazione ed espirazione: successivamente il vino viene deglutito e dopo, tenendo la bocca chiusa, si espira attraverso il naso, per riportare alla mucosa olfattiva i profumi liberati dalla temperatura della cavità orale (36-37 °C); • Masticazione a bocca vuota: dopo la deglutizione si effettua una masticazione a bocca vuota; questa serve per valutare la Persistenza Aromatica intensa (PAI), ossia per quanti secondi in bocca si continua a percepire l‘insieme delle sensazioni gusto-olfattive del vino (aromi di bocca).

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IL GUSTO DEL VINO Il gusto del vino si può percepire grazie all‘insieme di sensazioni saporifere che coinvolgono la lingua ed i sensi del gusto (dolcezza, acidità, sapidità, amarezza), alle sensazioni tattili, (pseudocalore, morbidezza, astringenza, pungenza, struttura o consistenza gustativa ed effetto della temperatura) e retronasali. Le sensazioni saporifere Elenchiamo di seguito le cinque sensazioni saporifere del vino fisiologicamente riconosciute dalla lingua. In realtà l’umami è stato aggiunto recentemente ed ancora non è considerato nell’analisi del vino. • Dolce: questa sensazione viene regalata dalla presenza degli zuccheri. Si percepisce soprattutto sulla punta della lingua. • Acido: deriva dalla presenza degli acidi presente nel vino e si percepisce nella porzione mediana della lingua; • Salato: questa sensazione si percepisce nella parte interna della lingua e deriva dalla presenza di sali minerali nel vino; • Amaro: la sensazione è avvertita nella parte più interna della lingua (retrobocca) e deriva dalla presenza di sostanze polifenoliche; • Umami: l‘umami viene percepito grazie alla presenza delle molecole mGluR4 e mGluR1; ricorda il sapore del glutammato.

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LE SENSAZIONI TATTILI Sono sensazioni che contribuiscono a rendere più complesso il gusto del vino. Per il loro riconoscimento si attivano le papille filiformi, presenti nella parte mediale della lingua, oltre a recettori sparsi sulla lingua stessa e in tutta la mucosa orale. Le sensazioni tattili sono le seguenti: • sensazione pseudocalorica, che viene percepita come una sensazione di calore data dalla presenza dell’alcol etilico sulla mucosa orale. maggiore sarà la gradazione alcolica, così anche maggiore sarà la sensazione; • morbidezza, che di solito troviamo nei vini invecchiati o passiti. si tratta di una sensazione tattile che rende il vino vellutato e avvolgente. proviene dalla presenza dei polialcoli, seguiti da alcol etilico, eventuali zuccheri residui e sostanze colloidali; • astringenza, che è dovuta alla presenza dei tannini nei vini rossi, viene percepita come secchezza e rugosità sulla lingua e in tutta la bocca; • effetto termico, che è collegato alla temperatura alla quale si degusta un vino, condiziona la sensibilità dei recettori della cavità orale nei confronti delle sensazioni saporifere e tattili; • pungenza, che troviamo nei vini ricchi di anidride carbonica e dona una sensazione simile ad un pizzicore dato dall‘anidride carbonica.

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LE SENSAZIONI GUSTO-OLFATTIVE Le sensazioni che si possono provare assaggiando un vino sono dovute alle varie sostanze presenti in esso, tra cui zuccheri, alcoli, polialcoli, acidi organici, tannini e componenti minerali, i quali sono i componenti fondamentali del vino e donano, a seconda della presenza, le delicate e decise, morbide o aggressive. Gli zuccheri Gli zuccheri sono composti organici ed in natura li ritroviamo in ogni tipo di frutta, quindi anche l’uva. Nella produzione del vino gli zuccheri (glucosio e fruttosio) vengono trasformati in alcol etilico, anidride carbonica e sostanze secondarie. Può avvenire che gli zuccheri non vengano completamente trasformati, in questo caso il vino risulta più o meno dolce. Nella scheda di degustazione i termini per comparare la dolcezza sono: secco, abboccato, amabile, dolce, stucchevole. Gli alcoli Dopo l’acqua, sono gli alcoli quelli più presenti nel vino, tra il 4 ed il 20%. L‘alcol più abbondante e significativo è l‘etanolo: è questo che si percepisce con l’effetto pseudocalorico. Questo avviene perché l’alcol ha un effetto disidratante etilico che riduce l‘azione rinfrescante dell‘ acqua della saliva, e al suo effetto vasodilatatore, che provoca un maggior afflusso di sangue verso i capillari della mucosa. Gli alcoli contribuiscono a donare maggiore morbidezza al vino, arginando la durezza degli acidi, dei sali e dei tannini. In base alla loro presenza, i termini degli alcoli nella scheda sono: leggero, poco caldo, abbastanza caldo, caldo, alcolico. In commercio esistono anche degli alcolometri per gli appassionati e professionisti. I polialcoli Anche questi componenti contribuiscono a riequilibrare la durezza degli acidi, tannini e sale, donando morbidezza. In bocca donano una sensazione vellutata. In base alla loro presenza, i termini della morbidezza sono: spigoloso, poco morbido, abbastanza morbido, morbido, pastoso. Gli acidi Insieme all’acqua ed agli alcoli, gli acidi sono i componenti più abbondanti del vino. Gli acidi donano la sensazione di freschezza gustativa ed in base alla loro presenza, i termini dell‘acidità sono: piatto, poco fresco, abbastanza fresco, fresco, acidulo. I tannini I tannini (che provengono dai vinaccioli e dalla buccia degli acini) donano secchezza, rugosità e astringenza. Essi vengono valutati solo nei vini rossi, nei vini bianchi no. I tannini nei vini giovani si mostrano duri e astringenti; nei rossi più maturi invece troviamo in evidenza i tannini ceduti dal legno delle botti, più morbidi e gradevoli. In base alla loro presenza, i termini della tannicità sono: molle, poco tannico, abbastanza tannico, tannico, astringente. 257


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Le sostanze minerali La sapidità di un vino è determinata dalla presenza di alcune sostanze minerali, come gli anioni di acidi organici e inorganici, e i metalli come potassio, ferro, rame e altri. La presenza di sostanze minerali può dipendere da vari fattori legati al tipo di terreno, al clima, sino alla lavorazione e all’affinamento. In base alla quantità presente, il vino sarà: scipito, poco sapido, abbastanza sapido, sapido, salato. LA STRUTTURA Nel vino, anche se non si direbbe, è presente una parte solida, dalla quale dipende la struttura (o corpo): l’estratto secco. La quantità varia a seconda del vino, nei bianchi è compreso in genere tra i 16-22 g|l, mentre, in quelli rossi, tra il 20-30 g|l. Con la valutazione della consistenza, si possono già notare delle particolarità del vino: più il movimento evidenzierà la consistenza, maggiore sarà la struttura del vino. La valutazione della consistenza, realizzata durante l‘esame visivo, potrebbe avere già dato l’indicazione della probabile struttura del vino. Infatti, più un vino mette in luce una grande consistenza, più ci si aspetta una struttura importante. Per valutare la struttura, si useranno termini come: magro, debole, di corpo, robusto, pesante. L‘equilibrio gusto-olfattivo Quando si parla di equilibrio di un vino, si valutano due fattori, le morbidezze (dovute agli zuccheri, alcoli e polialcoli) e le durezze (acidi, tannini, sostanze minerali). Quando questi sono in adeguato equilibrio, ossia nessuno si sovrappone all’altro, ecco che abbiamo un vino equilibrato. I termini per questa valutazione sono: poco equilibrato, abbastanza equilibrato, equilibrato. L‘intensità gusto-olfattiva Quando il vino viene degustato l’impatto sulle papille e sui recettori che sono sulla lingua può essere più o meno intenso a seconda della presenza che danno struttura, oltre all‘alcol etilico ed alle sostanze aromatiche. I termini utilizzati nella scheda di valutazione sono: carente, poco intenso, abbastanza intenso, intenso, molto intenso. La persistenza gusto-olfattiva Una volta assaggiato il vino, la sua persistenza può durare pochissimi secondi oppure arrivare sino a diverso tempo (sempre espresso in secondi). Sono soprattutto i vini rossi che lasciano un gusto ed una scia in bocca per diverso tempo. Il termine adatto è PAI che sta per Persistenza Aromatica Intensa) la PAI è valutata in secondi ed i termini della persistenza del gusto sono: corto, poco persistente, abbastanza persistente, persistente, molto persitente. La qualità gusto-olfattiva La qualità gusto-olfattiva si valuta sulla base di intensità, persistenza, piacevolezza, eleganza, finezza e tipicità del vino, i quali permettono di esprimere una valutazione 258


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sul gusto del vino. I termini della finezza del gusto che troviamo sulla scheda sono: comune, poco fine, abbastanza fine, fine, eccellente. Lo stato evolutivo Non tutti i vini subiscono la stessa maturazione. Alcuni sono già pronti dopo un paio d’anni, altri invece hanno bisogno di un lungo periodo, soprattutto per i vini rossi. L’evoluzione del vino è simile alla tappa dell’uomo: all‘inizio è acerbo, poi giovane, successivamente diviene pronto, maturo ed infine vecchio. Per valutare lo stato evolutivo si utilizzano pressoché gli stessi termini: immaturo, giovane, pronto, maturo e vecchio.

LE SCHEDE DI VALUTAZIONE

L’idea di valutare un vino con un’apposita schede dettagliata è abbracciata da ogni associazione. Ognuna, nel tempo, ha perfezionato una propria scheda che attribuisce un punteggio complessivo che tiene conto di tutti i fattori, anche dei difetti. Alcuni esempi di schede di valutazione La valutazione di un vino viene data in maniera indipendente in base ad un punteggio o attraverso l’uso di simboli (grappoli, bicchieri, ecc.). L’AIS, l’Associazione Italiana Sommelier, è stata tra le prime a codificare una scheda a punteggio di 100 punti, ripartita così: 15 all‘esame visivo, 30 a quello olfattivo, 40 al gusto-olfattivo e 15 all‘armonia, che tiene conto della valutazione complessiva dei tre esami. Un’altra associazione, l‘ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino), invece attribuisce 16 punti all‘esame visivo, 24 all‘esame olfattivo, 36 al gusto-olfattivo, ed infine i 24 restanti ai caratteri di tipicità e alle sensazioni finali. La scheda dell‘Assoenologi (Associazione Enotecnici Enologi Italiani), valuta anche eventuali difetti del vino. Anch’essa si basa su 100 punti che vengono ripartiti così: 20 punti all‘esame visivo, 32 all‘olfattivo, 48 al gusto-olfattivo e alle sensazioni finali; per la valutazione degli spumanti, usa una scheda diversa, dove si dà maggior rilievo all‘esame visivo (30 punti), riducendo l‘importanza di quello olfattivo (28 punti), del gusto-olfattivo e delle sensazioni finali (42 punti). Da segnalare anche la scheda adottata dall‘Unione Internazionale degli Enologi, nella quale sono attribuiti 18 punti all‘esame visivo, 24 all‘olfattivo, 36 al gusto-olfattivo ed infine 6 punti al giudizio finale complessivo. Ed infine la scheda dell’AIBM per la degustazione di vini orientati verso il consumo al bar.

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MODULO 2: IL MONDO DEL VINO

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Crucibarman • 2 Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate (5) Occorre accesa nella decantazione (7) La loro azione provoca la fermentazione (7) Può apparire quando il vino viene conservato in botti vecchie (5) Eccessiva presenza di anidride solforosa (15) Si evita tenendo le botti ben colme (6) Dà un velo biancastro sulla superficie del vino (8) Lo è come uva il vermentino (6)

1 2 3 4 5 6 10 12 15

Sinonimo di profumi primari (9) Si possono usare per appassire le uve (8) Si effettua per i vini rossi invecchiati (12) Vino latino (5) Insetto dannoso alla vite (10) Sinonimo di moscato d’Alessandria (7) Tipico bar dove è presente la figura del sommelier (7) Vini di ghiaccio (7) Indicazione geografica tipica (3)

Verticali

Orizzontali

4 7 8 9 11 13 14 16


Quanto ne sai sul... mondo del vino?

1 2 3

4 5 6

7

Il vino proviene dalla… a) b) c)

Vitis lambrusca Vitis vinifera Vitis sana

Nella fermentazione svolgono una funzione importante a) b)

Acidi Lieviti

c) Raspi Parassita distruttore di vigneti a)

Cimice

c)

Fillossera

b) Vespa Sono caratteristiche usuali dei vini bianchi a) b) c)

Buona acidità e profumo Profumi evoluti e complessi Colori tendenti al rosato

La diraspatura permette di… a) b) c)

Schiacciare le uve Separarle dai raspi Far fermentare il vino

Può essere immesso sul mercato solo dopo il 6 Novembre a) b) c)

Vino spumante Vino novello Vino passito

Si raccolgono di solito a -7 gradi… a) b) c)

Le uve per i vini passiti Le uve per i vini di ghiaccio Le uve per i vini liquorosi 267


8

Celebre vino passito piemontese a) b) c)

Apianum Erbaluce Sciacchetrà

Nello Sciacchetrà ritroviamo le uve…

9 10

a)

Montefalco e Bosco

c)

Sangiovese e Moscato

b) Bosco e Albarola

Sinonimo di cattiva conservazione del vino a) b) c)

11 12

Secchino Solforoso Abboccato

La sgrondatura permette di… a) Raffinare l’uva b)

Togliere le vinacce

a)

Molto fruttato

c) Togliere i raspi Caratteristica del vino novello b) c)

Tannico Piuttosto acerbo

Il termine IGT sta per…

13 14 15

a) b) c)

Indicazione Geografica Tipica Indicazione Geografica Tradizionale Indicazione Geografica Turistica

Per un vino passito la muffa può essere… a) b) c)

Nobile Parassitaria Inutile

La caratteristica dei vini frizzanti è la presenza di… a) b) c)

Anidride carbonica Maggior grado alcolico Colore cristallino 268


16

I graticci si usano per… a) Vini liquorosi b) c)

Vini passiti Vini spumanti

La dicitura “Classico” si riferisce…

17 18 19 20

a) b)

Ad un vino autoctono Ad un vino prodotto in una zona più antica del doc o docg

c) Solo ad un vino docg La dicitura “Superiore” si riferisce a… a)

Qualità superiore

c)

Invecchiamento lungo

b) Grado alcolico superiore Sinonimo di “vino generico” a)

Vino bianco

c)

Vino leggero

b) Vino da tavola La decantazione si effettua per… a)

Vini spumanti

c)

Vini rosati

b) Vini rossi

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modulo 3 LE TECNICHE DI VALORIZZAZIONE E I CONCORSI 270


LE TECNICHE DI VALORIZZAZIONE E I CONCORSI In questo e-book si affrontano due tematiche: come valorizzare le eccellenze tipiche non solo del territorio, ma anche del proprio Istituto e, appunto, i concorsi. Per concorsi si intende delle competizioni interne ed esterne, dove un allievo/a può partecipare. Troverete diversi esempi.

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271


modulo 4

IL CURRICULUM E TROVARE LAVORO OGGI 272


CERCARE LAVORO Al giorno d’oggi, complice anche la crisi dei consumi che attanaglia l’Occidente, il datore di lavoro richiede spesso una maggiore specializzazione ed un’alta mobilità delle figure professionali. Purtroppo l’offerta di posti di lavoro, nel settore turistico, è inferiore alla domanda, per cui l’imperativo è il seguente: specializzarsi sempre di più ed essere dei professionisti. Saper fare, saper risolvere i problemi, il cosiddetto “know-how”, espressione che sta per “sapere come”, sta proprio a sintetizzare l’insieme di conoscenze tecniche, scientifiche ed organizzative proprie di un determinato settore o attività industriale. I requisiti di base per cercare un lavoro Alcuni consigli per una ricerca mirata di un lavoro • Buona conoscenza di sé, delle proprie risorse, debolezze, attitudini, ma anche dei pregi che possono emergere. La conoscenza di sé implica anche aver fiducia in se stessi e nelle proprie capacità; • Avere le idee chiare sulla professione prescelta (in questo caso lavorare nell’ambito del bar). Per cui oltre ad un corso, è necessario un aggiornamento continuo; • Conoscenza del mercato del lavoro, delle prospettive ed anche concepire la possibilità di spostarsi lontano da casa per fare esperienza. Una volta che si hanno le idee chiare su come si intenda procedere, ci si può mettere al PC e crearsi un primo database di locali dove si può svolgere uno stage (gli enti di formazione che offrono corsi professionali spesso concedono anche questa possibilità), oppure chiedere un colloquio per un’eventuale assunzione. Naturalmente oltre alla realizzazione del database, approfittatene per girare i locali e farvi anche un’idea del tipo di lavoro che svolgono (se si tratta di American bar, bar classici e così via).

IL CURRICULUM VITAE Il curriculum vitae (abbreviato in cv) è il documento con cui un candidato si presenta per chiedere un colloquio di lavoro. La selezione comincia proprio dal curriculum vitae, per cui bisogna riuscire a condensare in poche pagine (ed in modo efficace) le proprie esperienze, competenze, attitudini ed aspirazioni. I requisiti essenziali: • scorrevole e di facile lettura; • chiaro, senza errori e dettagliato; • coerente con la personalità e le caratteristiche del candidato; • accompagnato da una foto. Un piccolo accorgimento è quello di non scrivere un curriculum unico, ma averne diversi, validi per tutte le circostanze. Ad esempio: se state cercando un lavoro in un ristorante, come chef de rang, allora potete disporre di un curriculum ad hoc ove evidenzierete principalmente le esperienze realizzate in un ristorante o albergo. I contenuti del curriculum vitae Sostanzialmente il curriculum vitae si divide in due sezioni: dati personali e curriculum professionale. Nei dati personali oltre al nome, cognome e tutti gli altri dati necessari per essere contattato, vanno inseriti anche lo stato civile (celibe, nubile, coniugato, vedovo/a), la 273


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

formazione scolastica ed extrascolastica, le competenze linguistiche, con indicazione di eventuali attestati, le competenze informatiche, hobby, sport ed eventuali impegni di volontariato. Nel curriculum professionale si inseriscono le esperienze professionali avute, mansioni svolte e ruoli ricoperti. In genere si segnala prima l’occupazione attuale, poi le altre esperienze, in ordine cronologico, dalla più recente alla più lontana. Per ogni azienda in cui si è lavorato (segnalate quelle con un’esperienza di almeno 6 mesi), bisognerà indicare nome e ragione sociale, qualifica ricoperta, mansioni svolte, periodo di permanenza e motivo di interruzione del rapporto di lavoro, conoscenze e competenze specifiche eventualmente acquisite con quella occupazione e possibili indicazioni per il recupero delle referenze.

LA LETTERA DI PRESENTAZIONE La lettera di presentazione è uno strumento importante tanto quanto il curriculum vitae ed accompagna quest’ultimo, arricchendolo grazie all’uso di un tono più schietto e personale. È determinante nel creare la prima impressione che il selezionatore avrà del candidato e il suo impatto positivo o negativo finisce inevitabilmente per influire sulla lettura del curriculum. Una lettera di presentazione deve essere molto professionale, ben scritta, senza errori di ortografia. Il suo contenuto deve suggerire l’idea che il candidato possieda i requisiti del posto offerto, sottolineando e dirigendo l’attenzione del selezionatore verso le abilità, capacità e conoscenze che il candidato ha dimostrato, riportando anche esempi concreti con riferimento a esperienze precedenti, non necessariamente lavorative. I contenuti della lettera si possono riassumere in quanto segue: • intestazione del mittente (nome, cognome, indirizzo); • indirizzo del destinatario; • data; • oggetto della lettera; • corpo della lettera (nella quale vengono evidenziate le qualità personali, le esperienze e le motivazioni per cui ci si candida in quel ruolo); • chiusura, saluti e firma (prima il nome, poi il cognome). La ricerca del lavoro La ricerca del lavoro può essere fatta utilizzando molteplici strumenti, i quali sostanzialmente sono racchiusi in 3 diverse modalità operative: • metodo classico; • lavoro interinale; • internet. Nel cosiddetto “metodo classico” sono raggruppati tutti gli strumenti che tradizionalmente si sono sempre utilizzati fino ad oggi, tra i quali spicca sicuramente il passaparola. Oltre a questo, si può cercare lavoro consultando quotidiani e inserti speciali, inserzioni su riviste di settore, iscrizione al Centro per l’Impiego (dove vi è la possibilità per i disoccupati anche di svolgere corsi professionali finanziati), invio di curriculum vitae ad aziende scelte con criterio personale. Il lavoro interinale (o temporaneo) è gestito da apposite agenzie (dette di lavoro temporaneo) che fanno da tramite tra l’impresa che ha bisogno di personale, magari per un breve periodo, ed il lavoratore. Il lavoratore viene assunto e retribuito dall’agenzia di lavoro interinale, che a sua volta avrà il compenso dall’azienda utilizzatrice. Si tratta per la maggior parte di lavoro temporaneo e possono offrire questo servizio solo imprese iscritte in un apposito albo istituito presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. 274


MODULO 4: IL CURRICULUM E TROVARE LAVORO OGGI

Internet oggi rappresenta il sistema più veloce e diretto per cercare lavoro: non comporta l’uscita di casa, ma solo armarsi di pazienza e scandagliare la Rete alla ricerca di quello che si desidera. Esistono siti specializzati per il lavoro nel campo turistico, i quali permettono di inserire curriculum, lettere di presentazione, oltre a cercare tra gli annunci (per esempio: www.thlcareers.com)

FACEBOOK Facebook è un ottimo strumento per socializzare, ma rappresenta anche un’arma a doppio taglio. Criticare l’azienda dove si lavora oppure, ancora peggio, prima di trovare un lavoro, disporre di un profilo troppo “canterino” (dove si rivelano diverse sfaccettature della propria personalità), può rivelarsi un boomerang per chi cerca un impiego.

275


Note

276


A te la parola...

Crucipuzzle • 5

candidato interinale internet lavoro lettera offerta politiche sociali

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278


Sezione 4

tecniche bar & sommellerie


modulo 1 RON, RUM, RHUM

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RON, RUM, RHUM Modulo di approfondimento sul rum, sulle sue origini, sulle materie prime (canna da zucchero e melassa) e le varie tipologie, a seconda dalla provenienza geografica. L’e-book si chiude con alcuni esempi di degustazione di un rum invecchiato.

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modulo 2

LUXURY COCKTAIL

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LUXURY COCKTAIL I cocktail “sartoriali” sono una nuova tendenza del bere miscelato. Cocktail fatti “su misura” per il cliente, che prevedono anche distillati e liquori cosidetti “premium”, oltre ad una spettacolarizzazione del drink. Vari approfondimenti ed esempi sono affrontati in questo e-book, a disposizione per gli aspiranti professionisti.

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283


modulo 3 LA BIRRA

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LA BIRRA E-book di approfondimento sulla birra, che parte dalle origini storiche sino ad affrontare il tema della miscelazione. Come si può miscelare la birra per creare un nuovo drink? Diversi esempi e proposti accompagneranno le pagine del testo, il tutto in formato digitale..

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modulo 4

LA COSTRUZIONE DI UN COCKTAIL 286


LA COSTRUZIONE DI UN COCKTAIL Quali sono le regole per costruire un cocktail partendo da “zero”? In questo ebook si approfondiscono i metodi di preparazione di un drink (aperitivo, after dinner, ecc.), con alcuni esempi guidati. È compresa anche la guida su come calcolare le calorie del cocktail.

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modulo 5 GLI AMARI

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GLI AMARI In generale si definiscono “amari” tutti i liquori a base di erbe aromatiche, spezie e piante officinali. Normalmente gli amari non superano i 45°. Nonostante il nome, non è detto che un amaro debba per forza avere un gusto amaro: questo dipende sia dalla miscela di erbe dalla quale si ricava l’estratto che dal contenuto in zucchero.In questo approfondimento, sotto forma di e-book, una guida completa agli amari presenti soprattutto nel mercato italiano.

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modulo 6 INTAGLI E DECORAZIONI 290


Quando il cibo non è stato più sinonimo di “sopravvivenza” del corpo, ma è divenuto anche piacere dei sensi, ecco che sono comparsi diversi modi di accompagnarlo e renderne piacevole la consumazione. Le prime tracce di questa usanza di abbellire piatti (e non solo) si ebbero in Cina tra il 600 e il 1300 d.C. circa. La decorazione dei piatti, e di conseguenza anche l’arte del decorarli ed intagliare verdura e frutta, diventa così sempre più importante nella realizzazione di pranzi sontuosi e buffet in onore di imperatori o comunque grandi personaggi. Poi tale usanza si diffonde anche nei ceti minori. Medesima cosa avviene anche nel bacino del Mediterraneo: abitudine praticata sicuramente in Egitto, in Grecia e successivamente anche in Italia ai tempi dei Romani. Le grandi feste con abbondanti e grandiosi banchetti si ritrovavano nelle regge degli imperatori e dei re. La stessa usanza si perpetuò anche nel Medioevo: qui comparvero le prime decorazioni a base di zucchero soffiato realizzate grazie alla tecnica dei soffiatori del vetro veneziano. Nel XVI secolo, Caterina de’ Medici, sposa di Enrico II, porta in Francia i sapori italiani facendo conoscere alla nobiltà francese il tartufo, la forchetta e la sontuosità dei banchetti della nobiltà italiana. Nello stesso periodo compaiono nei mercati le spezie dall’Oriente. Con Versailles e Luigi XIV, l’enogastronomia fece un’ulteriore balzo in avanti. Arrivo l’epoca degli antipasti presentati come “pièce montèe”. Nel XVIII secolo apparve un nuovo modo di decorare i buffet: lo zucchero “sablè” sabbiato, cotto e colorato, veniva modellato e riproduceva giardini fantastici, disposti su specchi o superfici di vetri, per poi essere sistemati al centro del buffet. Sempre in questo stesso secolo, in Giappone, il mukimono (o arte dell’intagli della verdura) conosce il suo grande exploit che durerà sino ai giorni nostri; così come il kaishiki, ovvero l’arte di tagliare, intagliare con dei grandi coltelli e dare delle forme ai vegetali. Dall’inizio del XX secolo, le decorazioni si semplificano, diventando sempre più leggere e meno aggressive. Questo anche grazie al tempo che i cuochi ed i pasticcieri dedicavano sempre meno al “contorno”, concentrandosi invece sulla preparazione del piatto. Altri fattori hanno fatto il resto al giorno d’oggi: il costo della manodopera (più che delle materie prime), tempi sempre ristretti e crisi economica. Tuttavia oggi gli intagli di frutta e verdura (non più relegati come presenze su buffet, ma anche protagonisti in altri luoghi, come la preparazione di drinks) sono di nuovo protagonisti e lo scopo di questo testo è appunto darvi una mano a creare dei piccoli capolavori vegetali. SCARICA IL PDF DEL MODULO COMPLETO

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modulo 7 IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING


IL MONDO DEL FLAIR BARTENDERING Il bartender all’americana, o flair bartending, è una tecnica di lavoro dove il principale obiettivo è di intrattenere il pubblico facendo volteggiare e muovendo con destrezza bottiglie ed attrezzature come shaker e bottiglie. Attualmente queste capacità professionali sono molto richieste da locali di tendenza, discoteche o per serate destinate a promuovere un prodotto. Le stesse case produttrici di alcolici sponsorizzano competizioni tra barman e promuovono corsi di formazione per insegnare tecniche di flair.

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modulo 8 IL MONDO DEI FROZEN & ALTRI DRINKS 294


IL MONDO DEI FROZEN & ALTRI DRINKS I frozen vengono preparati nel frullatore elettrico con ghiaccio. Sono medium drink e long drink, composti da distillati, liquori, succo di frutta, frutta fresca e zucchero o sciroppo di frutta. Tra i frozen più conosciuti, ci sono il Banana Daiquiri e lo Strawberry Margarita. In questa guida digitale, approfondimento sulle nuove tendenze dei drink per l’estate.

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LE NUOVE TENDENZE DEL BAR

modulo 9

LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE 296


Per nostra fortuna il mondo del bar è in continua evoluzione. Non solo il bartenderig in pochi decenni si è affermato, ma ha dato vita anche a discipline quasi sportive: sono nate inoltre nuove figure professionali, conosciuti come mixologist o barchef. I metodi proposti vanno dal riproporre vecchissime ricette di drink con metodologie moderne, fino a utilizzare strumenti in uso tipicamente in cucina (da qui il concetto di liquid kitchen). Sono entrate così nei bar attrezzature come piastra a induzione per la preparazione di sciroppi, puree, riduzioni alcoliche, glasse, fino alle centrifughe, vaporizzatori, affumicatori e così via. RIDUZIONI Per quanto riguarda le riduzioni (utilizzate spesso in cucina), posso essere sia analcoliche sia alcoliche. La riduzione si ottiene scaldando a fuoco lento per qualche minuto il liquido, fino a far evaporare sia la parte alcolica (37 °C) sia un terzo dell’acqua. In questo modo se vogliamo ottenere 200 ml di riduzione, dobbiamo scaldare 300 ml del liquido di partenza. Se vogliamo ridurre, invece, un prodotto poco zuccherino (per esempio il Campari), bisogna aggiungere del simple syrup nella quantità del 30%. Lo zucchero farà da collante e tratterrà i profumi.

297

Focus

Per ottenere uno sciroppo semplice, scaldare all’ebollizione, per 20 minuti, una quantità sufficiente di acqua depurata; mantenendo la temperatura a 80-85 °C, successivamente sciogliervi il saccarosio, agitando bene per disciogliere completamente lo zucchero. Mescolare per omogeneizzare e filtrare subito a caldo su garza, posta in un imbuto in precedenza riscaldato. Mescolare e portare a peso con acqua depurata, in precedenza bollita per 20 min. Non bisogna riscaldare eccessivamente: infatti il saccarosio è un disaccaride e può venire idrolizzato.I vaporizzatori per esempio possono essere usati per spruzzare essenze di Vermouth sui cocktail aperitivi e così via…


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

SFERIFICAZIONE E COCKTAIL MOLECOLARI Per gastronomia molecolare s’intende la disciplina scientifica che studia le trasformazioni che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione: da qui l’obiettivo di trasformare la cucina da una disciplina empirica a una vera e propria scienza. Il termine “gastronomia molecolare” nacque inizialmente come riferimento umoristico alla biologia molecolare. Seppur oggi se ne parla abbastanza diffusamente, tale scienza si sviluppò sul finire degli anni Ottanta principalmente presso l’INRA (Institut National de la Recherche Agronomique), nel Collège De France di Parigi ad opera di Hervé This. In Italia sviluppò questi studi il prof. Davide Cassi, del dipartimento di Fisica dell’Università di Parma. Nel 2003 Cassi insieme al cuoco Ettore Bocchia, redisse il “Manifesto della Cucina Molecolare Italiana”, con l’obiettivo di preservare i sapori tradizionali italiani. La nascita ufficiale è comunque da stabilirsi intorno al 1990 a seguito del primo Atelier Internazionale di Gastronomia Molecolare tenutosi a Erice in Sicilia. La sua teorizzazione informale è comunque molto antica, andando di pari passo con le ricerche empiriche e non sistematiche degli autori e dei cultori di ambito gastronomico. Cos’è la cucina molecolare La gastronomia molecolare si occupa dello studio della gastronomia con un approccio eminentemente scientifico e sperimentale, e in particolare della cucina e della manipolazione degli alimenti dal punto di vista chimico e fisico. Gli obiettivi prefissati sono i seguenti: • Investigare e studiare i detti, i proverbi e le conoscenze culinarie popolari • Espandere le ricette classiche ed inventarne di nuove • Introdurre nuovi ingredienti, metodi, attrezzi e processi in cucina I principi propugnati dalla gastronomia molecolare, una volta applicati, hanno portato all’invenzione e sperimentazione di nuove modalità di preparazione, cottura, abbinamento e presentazione dei cibi. Da qui sono venuti fuori tecniche come il congelamento tramite l’azoto liquido, l’uso alimentare del tabacco, la “frittura” nello zucchero, l’uso del vuoto spinto per la preparazione di mousse e meringhe, e così via. Inoltre, e soprattutto, hanno portato al miglioramento della comprensione dei fenomeni alla base delle trasformazioni delle pietanze cucinate: questo ha portato sia alla confutazione di alcune “credenze popolari” sulla gastronomia (come l’utilizzo del cucchiaino nella bottiglia di spumante), sia al miglioramento delle tecniche di preparazione, basandosi ad esempio sul pH, sulle Reazioni di Maillard, o sulle proprietà fisiche e chimiche degli alimenti. A titolo di esempio, This ha dimostrato scientificamente che la regola (ancora molto diffusa tra chef e gastronomi) secondo cui per preparare un buon brodo bisogna mettere la carne in acqua fredda prima di portarla all’ebollizione, e viceversa, per fare un buon bollito bisogna metterla nell’acqua già bollente, è una bufala. Per dimostrare la sua tesi, ha usato il metodo scientifico: ha preso un pezzo di carne dividendolo in due parti uguali, uno l’ha immerso in acqua fredda e l’altro in acqua bollente. Mentre il brodo cuoceva, a intervalli regolari, This ha pesato i pezzi di carne accorgendosi che nella pentola con l’acqua bollente la carne ha perso subito i suoi liquidi, mentre nell’altra pentola il trancio perdeva i succhi più lentamente, ma a fine cottura i pesi 298


MODULO 9: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE

sono risultati i medesimi e il sapore del brodo identico. Questo è un esempio di ciò che è la cucina molecolare: oggi quando si sente parlare di cucina molecolare, si pensa subito a pozioni strane e additivi chimici come quelli prodotti e distribuiti dal grande chef spagnolo di fama mondiale Ferran Adria. In realtà la gastronomia molecolare è solo una scienza che studia i fenomeni che si presentano ogni volta che si lavora un alimento, con lo scopo di poter capire i processi e cercare di trovare nuove tecniche di cottura, inedite consistenze e nuove reazioni. Addentriamoci nei particolari, parlando innanzitutto di additivi chimici. Per additivo chimico s’intende qualsiasi sostanza non alimentare aggiunta all’alimento in qualsiasi fase della lavorazione in modo diretto o indiretto destinata a rimanere in esso. Ne abbiamo uno naturale che è il sale. Tuttavia esistono prodotti di sintesi (cioè creati in laboratorio) che non sono genuini per l’uomo e possono essere nocivi, ma sono spesso usati dalle industrie alimentari e sono prodotti per conservare più a lungo gli alimenti. Evoluzione della cucina con la gastronomia molecolare Con l’uso della scienza in cucina siamo arrivati a scoprire moltissimo, da nuove tecniche di cottura e di lavorazione, sino ad arrivare a veri e propri gusti nuovi come l’umami. Le principali nuove tecniche di cottura introdotte sono: • la cottura sottovuoto • la cottura nello zucchero • la cottura nell’azoto liquido • la cottura in olio a 80° (confit) • la cottura nell’alcol etilico • l’essicazione Le principali nuove tecniche di lavorazione sono: • la sferificazione basica • la sferificazione inversa • la gelificazione a caldo • l’aria • liofilizzazione • la sospensione della materia • l’emulsione • il sottovuoto forzato (sifone) • la marinatura dell’uovo 299


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Se vi siete visti passare davanti un Negroni non liquido, ma spumoso, simile a un gelato, sicuramente vi siete trovati davanti ad una tendenza che sta prendendo sempre più campo: la preparazione di cocktail molecolari. Nate dapprima in cucina, ora queste innovazioni si stanno trasferendo anche nel bar. Ancora sono pochi i testi in italiano che trattano l’argomento (indispensabili quelli di Dario Comini, proposti nella bibliografia finale), molto materiale si trova in lingua inglese. Le tecniche più espressive di queste tendenze prendono il nome di sferificazione, spuma, gelatina e decorazioni spray. Infusione L’infusione è una tecnica dove si mette in un liquido caldo (senza portarlo a ebollizione) una sostanza (frutta, erbe o radici), lasciando riposare per massimo 10 minuti, finché il profumo o l’aroma non si trasmette al liquido. Se la sostanza è acqua, il tempo d’infusione è maggiore, mentre nel caso di uno spirito, occorrerà meno tempo. Naturalmente la tecnica più conosciuta è quella che permette di ottenere tè e tisane, ma nel bar può essere usata per preparare sciroppi speciali e alcuni hot drink, oltre che per gli alcolati. Gli alcolati sono miscele alcoliche con un titolo alcolometrico intorno al 40%, usate come aromatizzanti per numerose ricette di nuove generazione. Per avere un alcolato, si mette in infusione (in un recipiente chiuso con acqua bollente) il prodotto dal quale si vogliono estrarre gli aromi per 12 ore. Poi si filtra, si miscela con il 50% di alcol a 95 °C e si aggiunge il 10% di sciroppo di zucchero di canna. Gelatine L’impiego di gelatine nei drink può spaziare dalla presentazione del cocktail in forma di gelatina, da consumare al cucchiaio o a cubetti e magari con la decorazione all’interno, al gelatinare un solo ingrediente in fondo al bicchiere e terminare il drink con gli altri ingredienti, fino al solo impiego della gelatina come elemento decorativo, in fogli sottili da stendere sul bicchiere. Questa tecnica la ritroviamo di solito nelle pasticcerie e nelle cucine ed è usata per condensare un prodotto liquido. Si possono utilizzare fogli di colla di pesce e oltre a questa, anche Xantana Xantana, Gallen o altre tipologie, da impiegare a caldo o a freddo. Nel caso si volessero realizzare fogli di gelatina da sovrapporre ai drink a solo scopo decorativo, si può realizzare colla di pesce addizionata con sciroppo, così da colorarla e aromatizzarla. Macerazione La macerazione è molto simile all’infusione, tranne per il fatto che avviene a freddo e pertanto è utilizzata per quelle sostanze che possono essere modificate dal calore. In questo caso l’estrazione avviene in tempi più lunghi, rispetto all’infusione. Come esempio possiamo prendere una bottiglia di un distillato (ad esempio Vodka), si aggiunga una sostanza (radici, frutta o erbe) e lasciamola qualche giorno, agitandola di tanto in tanto. Maggiore sarà il tempo di macerazione, più intenso sarà il gusto assunto dal distillato. Una volta raggiunto il gusto prefissato, si filtra con un colino per fermare il processo. Si può anche usare la macerazione alcolica a tempi brevi (macerazione istantanea), per i cocktail serviti con ghiaccio. Si procede pestando la sostanza assieme

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MODULO 9: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE

ad una parte alcolica, in modo tale da velocizzare l’estrazione degli aromi. Nel Cosmopolitan anziché usare la vodka aromatizzata al limone, in vendita, possiamo noi stessi aromatizzare una vodka pura con bucce di limone, sfruttando proprio la tecnica della macerazione. Mash Questa tecnica è utilizzata per estrarre profumi, oli essenziali e aromi, grazie all’utilizzo del muddler. Il muddler dispone di una parte piatta e l’altra arrotondata: pertanto in base al tipo di ingrediente, si può pestare o macerare, utilizzandola ora in un modo ora in un altro. La parte arrotondata è utilizzata per le erbe aromatiche e permette di esercitare una pressione più morbida (vedi la menta nel Mojito), mentre la parte piatta è idonea per macerare a freddo radici e ingredienti consistenti, poiché è possibile esercitare una pressione più forte. Se non si dispone di un muddler, si può utilizzare il cosiddetto retropiatto del bar spoon: questo strumento è utile quando dobbiamo esercitare una pressione minima ed evitare che la guarnizione si rompa rilasciando troppa essenza. Sferificazione La tecnica di sferificazione consente di bere un liquido rivestito di una pellicola esterna, che lo racchiude. Succede questo perché il liquido stesso reagisce con altri prodotti. Questa tecnica si può utilizzare sia in cucina, sia al bar e per avere il risultato si usano speciali alimenti come alghe marine (agar agar). L’agar-agar (conosciuto anche come agar, più noto ai giapponesi col nome di kanten 寒天) è un polisaccaride usato come gelificante naturale e ricavato da alghe rosse appartenenti a diversi generi (tra i quali Gelidium, Gracilaria, Gelidiella, Pterocladia, Sphaerococcus). Dal punto di vista chimico, si tratta di un polimero costituito principalmente da unità di D-galattosio (è quindi detto poligalattoside). Il galattosio è uno dei due elementi del lattosio, lo zucchero presente anche nel latte; infatti, il lattosio è per definizione un disaccaride formato da una molecola di α-glucosio e una di β-galattosio. Per avere una sferificazione con alcolici, la soluzione più funzionale è preparare in anticipo un liquido madre. Questo può essere costituito da acqua minerale naturale (infatti, il cloro e il calcio dell’acqua di acquedotto possono danneggiare l’effetto sferificazione), sciroppo di zucchero e alginato, amalgamati insieme con un frullatore (si usa di solito quello a immersione). Dopo aver preparato il composto, lo si lascia riposare in un contenitore chiuso in frigorifero per almeno 24 ore: in questo modo viene eliminata l’aria incorporata. Un’altra soluzione interessante, se dovete usare subito la miscela preparata, consiste nell’impiegare una macchina sottovuoto a campana: s’inserisce il liquido posto nel contenitore dentro la campana (senza sacchetto) e si aziona la macchina per un breve periodo: così si evita che il liquido fuoriesca. L’operazione va ripetuta almeno due volte. Una volta preparato il liquido madre, si prepara il bagno calcico, ottenuto miscelando calcio biidrato con acqua minerale naturale. ESEMPIO: le sfere di Aperol Le sfere di Aperol sono una preparazione “classica” della sferificazione. La possiamo svolgere nei seguenti passaggi. • Predisporre Aperol e liquido madre in parti uguali (50% ognuno). • Miscelare manualmente i due composti, con un cucchiaio. • Riempire un cucchiaino da caffè di miscela e immergere nella bacinella del bagno calcico. 301


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

• Dopo qualche secondo, s’inclina il cucchiaino affinché la sfera si stacchi e si depositi sul fondo della bacinella. • Attendere 1 minuto e togliere la sfera dalla bacinella con l’ausilio di un colino o cucchiaio forato. • Lasciare a bagno in acqua fino al momento dell’utilizzo. Un consiglio importante è quello di risciacquare sempre le sfere con acqua prima dell’utilizzo, altrimenti saranno di gusto sgradevole. Per sferificazioni con altri alcolici, è sufficiente sostituire l’Aperol con un altro ingrediente. La sferificazione permette anche di classificare le preparazioni in base alla dimensione che si vuole: infatti, si parla di caviale, molecole o ravioli. Il caviale è ottenuto facendo gocciolare la miscela nel bagno calcico, utilizzando una siringa. Per ottenere le molecole si utilizzano cucchiaini da caffè; per i ravioli si usano invece cucchiai più grandi (in commercio si trovano appositi kit completi, magari facilmente reperibili su siti web specializzati). Non solo la dimensione cambia, ma anche la forma: più piccole sono le sfere più sono tondeggianti. Dopo circa 8 ore le sfere avranno una consistenza totalmente gelatinata. Inoltre più tempo restano nel bagno calcico più gelatinate saranno; dopo 5 minuti di bagno saranno completamente solide. Si possono anche modificare: ad esempio, svuotarle parzialmente con una siringa, e riempirle poi con altri liquidi o piccoli frutti come ribes, avendo l’accortezza di rimetterle nel bagno calcico per richiudere il foro. Le sfere possono essere anche congelate. Simile alla sferificazione con alcolici è quella con altri prodotti, tipo caffè o altra bevanda che non sia un succo. La sferificazione di succhi è più complessa, poiché il risultato dipende da molti fattori, tra i quali l’acidità, il grado di dolcezza e la densità. In questo caso la ricetta va adattata al tipo di succo; se si tratta di succo fresco, la ricetta deve considerare le varianti di gusto e la procedura di lavorazione del succo. Un altro ingrediente che può essere usato per la sferificazione, in particolare con i succhi, è il citras, che serve per correggere il pH degli ingredienti nel caso fosse troppo acido (con pH superiore a 4), determinabile con una cartina tornasole reperibile in farmacia. Il Citras è ottenuto soprattutto da agrumi. Si usa abitualmente in alimentazione per evitare che frutta e verdura si anneriscano una volta tagliate. Possiede la proprietà di ridurre l’acidità degli alimenti, pertanto il suo impiego rende possibile la realizzazione di preparazioni sferiche con ingredienti dotati di elevata acidità. Si scioglie facilmente e agisce istantaneamente.

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MODULO 9: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE

Spume Le spume, come le gelatine o gli ingredienti sferificati, fanno parte di una nuova frontiera del bere miscelato e danno la possibilità di servire un drink presentato in forma artistica, amalgamando degli ingredienti trasformati nella forma e distinti al suo interno. Le spume impiegate nel bar sono solitamente a base di succo di frutta o verdura e legante, addizionate con azoto e preparate con il sifone da panna. È fondamentale durante le fasi della preparazione, usare succhi ben filtrati, senza semi e impurità, che potrebbero ostruire il sifone. Si possono ottenere discreti anche con succhi di produzione industriale: in questo caso il risultato è standardizzato per le proprietà costanti di densità e dolcezza. È possibile anche usare succhi freschi: in tal caso bisognerà dosare il legante in base alla densità del succo ottenuto, che può variare a seconda del frutto utilizzato, della sua maturità e della tecnica di preparazione. I leganti utilizzati possono essere colla di pesce o gelatine di origine vegetale (derivate dalla lavorazione delle alghe) da impiegare a freddo. Per la loro leggerezza le spume completano il drink in superficie, restando soffici per alcuni minuti, tempo sufficiente per consumare la bevanda. Swizzling La tecnica dello swizzling risale al Diciottesimo secolo, nata nei Caraibi ed ha come particolarità quella di utilizzare per miscelare un rametto che termina con un’estremità a cinque punte. Oggi quando si parla di swizzling, s’intende long drink serviti direttamente bicchieri fantasia (o tumbler), con ghiaccio tritato. Tra i componenti vi è un distillato, un liquore (o liquori), il succo di mezzo limone e qualche goccia di angostura bitter, oltre a zucchero e soda water. Come decorazione si utilizza un germoglio di menta fresca e limone e si serve, appunto, con un bastoncino agitatore (swizzle). In origine l’idea era di servire questo drink con questo bastoncino ricavato da una pianta tropicale di circa 12-15 cm di altezza e con l’estremità a cinque punte, molto adatta a mescolare i cocktail. Molti stirrer moderni sono sinonimi di swizzle. Nel 1920 il naturalista americano Frederick Albion Ober, scriveva che la bevanda diffusa nelle Barbados era la swizzle, “una combinazione di liquori, zucchero, ghiaccio e sbattuto a neve grazie ad un swizzle-stick, ricavato dalla radice di una pianta.” Mentre un tempo si prediligeva il Rum come base per gli swizzler, oggi sono preparati con qualsiasi tipo di distillati. Steam Letteralmente significa vapore: si tratta di una tecnica usata per scaldare e bruciare l’alcol dei prodotti usati e per estrarre con il calore i profumi degli ingredienti aggiunti. Si può procedere nel seguente modo: si riempie un bicchiere con acqua calda per riscaldarlo, eliminando poi l’acqua e lo si appoggia su un tin oppure mixing glass, che contiene altra acqua bollente, in maniera tale che emani vapore e lo mantenga caldo. Viene aggiunta successivamente la base alcolica, seguita eventualmente da zucchero e si incendia il tutto per far bruciare l’alcol. A questo punto si aggiungono a mano a mano tutti gli altri ingredienti (bacche, frutta, agrumi, spezie e così via), finché non si spegne la fiamma e si versa il tutto in un bicchiere freddo, anche filtrando. Tiki I tiki cocktail sono delle miscele esotiche servite solitamente in bicchieri dalle forme più strane. Il termine tiki sta a indicare i grandi intagli di pietra e legno spesso ritraenti forme umanoide (come ad esempio i moai nell’isola di Rapa Nui). Secondo le leggende polinesiane in ogni tiki si trova uno spirito e spesso servono a delimitare i confini di luoghi sacri o comunque significativi. Precursore e importatore di questa tendenza fu Raymond Ernest Beaumont Gantt (in arte Don The Beachcom303


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

ber), nato nel sud della California i primi del Novecento. Nella sua vita fece un po’ di tutto, dal parcheggiatore al consulente tecnico per alcune scenografie cinematografiche girate nel Pacifico Meridionale. Innamoratosi della vita da spiaggia, e rientrato a Los Angeles, decise di aprire un bar di fronte all’oceano, appena fuori da Hollywood Boulevard, scegliendo per l’occasione un arredamento molto particolare: vecchie reti da pesca, pezzi di imbarcazione, oggetti riportati dalle varie isole polinesiane, tra cui molti tiki sotto forma di statue e di bicchieri da long drink e shot. Battezzò il locale con il nome di Don The Beachcomber (letteralmente vagabondo, girovago), proprio come gli oggetti di arredo che aveva trovato e portato nel locale. Protagonista assoluto tra i distillati, fu il rum, nelle sue tipologie e per l’occasione elaborò un menu esotico di bevande a base di questo. Una delle prime bevande proposte fu Kula Sumatra, tanto buona che conquistò il palato di un noto giornalista dell’epoca; una volta finito sui giornali, arrivò il successo tanto che nel suo locale venne anche Charlie Chaplin. La catena dei tiki bar Negli anni seguenti, Don Beach aprì una serie di locali, ben 16 con lo stesso nome “Don The Beachcomber”. Finita la Seconda Guerra Mondiale, partì per le Hawaii, dove aprì un altro locale nello stesso stile su una delle zone più lussuose, la spiaggia di Waikiki, diventando un punto di riferimento e un’attrazione del posto. Gli piacque talmente tanto, che rimase ad Honolulu fino alla sua morte nel 1989 all’età di 81 anni. Su di lui venne pubblicato un necrologio sul New York Time, dove fu dipinto come il Thomas Edison dei “bar dal tetto di paglia”. Grazie a lui si ebbe l’evoluzione del Tiki Bar e dei Tiki Cocktail. L’esempio fu seguito: se per Don Beach il tiki bar era una passione, per Trader Vick fu un vero e proprio business: Victor Jules Bergeron, prendendo spunto da Don iniziò ad aprire catene di TIKI Bar.

Feng shui Martini Quando si parla di Feng shui, si intende un’arte cinese antica di oltre 3000 anni, la quale insegna come armonizzare lo spazio e le energie in cui viviamo, nonché a “dialogare” con l’ambiente ed a trarre energie benefiche dalle “auree” degli elementi che ci circondano e con cui interagiamo. Letteralmente Feng shui significa “acqua e vento”, dove l’acqua simboleggia la quiete, mentre il vento, il movimento. Due opposti che richiamano alla mente lo ying e lo yang, il bianco e nero: due opposti che si attraggono e rendono armonico l’universo. La filosofia Feng Shui venne ripresa in diversi locali newyorkesi, dove ai Martini furono aggiunti petali di fiori ed essenze naturali. Ma non solo i Martinis furono protagonisti di questa moda: toccò ai frozen Daiquiri aromatizzati con rose e violette, sino ad arrivare ai cocktail di frutta energizzanti. Oltre agli ingredienti, nei Feng shui prendono posto anche i “contenitori”: sono usati all’occorrenza noci di cocco svuotate oppure ciotole di terracotta; gli stessi bicchieri 304


MODULO 9: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE

che li contengono sono cristalli (yang) raffiguranti delfini (ying), tipico simbolo che rappresenta la capacità di sintesi tra le due forze: il delfino vive in acqua, ma si nutre di aria. Simbolicamente un animale che pur stando a contatto nel mondo con le sue passioni (l’acqua), riesce a nutrirsi di pensieri (aria), quindi un essere evoluto. Non a caso lo ritroviamo anche nel Cristianesimo nascente associato al Cristo. Gli “stone” (letteralmente pietre) sono cocktail che si rifanno alla dottrina Feng Shui, fondendosi con la cristalloterapia. La cristalloterapia è l’arte di curare con le pietre e i cristalli: fin dai tempi più antichi si conoscevano le loro proprietà, dalle grandi civiltà dell’Egitto, fino a quelle sudamericane, le pietre sono state usate per fini terapeutici. L’utilizzo delle pietre all’interno dei drinks risale agli anni Cinquanta in America, ove erano vendute confezioni di “pietre da Martini”, cioè piccole pietre che venivano poste in un contenitore colmo di Vermouth; una volta aromatizzate erano utilizzate per preparare il Martini cocktail. Difatti proprio grazie alla mancanza di permeabilità, restavano bagnate della giusta quantità di vermouth secco che occorreva per la ricetta. In poco tempo questa moda si diffuse nelle case degli americani poiché permettevano anche ad una persona digiuna di qualsiasi tecnica di miscelazione di preparare un “Martini cocktail perfetto”: non occorreva altro che versare Gin oppure Vodka in un bicchiere che conteneva una di queste pietruzze. In Italia la moda è stata riportata da Dario Comini, patron del Notthingam Forrest di Milano. La sua idea è stata quella di utilizzare questa tecnica di miscelazione che riguadagnasse anche i principi olistici del Feng shui per adattarli a ricette di cocktail di nuova generazione. Prima di tutto egli ha ricercato un particolare tipo di pietra “il ciottolo di fiume”, perché questa è ricca di energie ed è naturalmente bella e lucida: infatti il continuo roteare nell’acqua la rende priva di qualsiasi spigolo e naturalmente lucidata (al tempo dei Romani questa tecnica veniva utilizzata per lucidare materiali durissimi, ponendoli in cascate artificiali il continuo moto tra i corpi immersi li lucidava naturalmente e senza fatica). Il colore della pietra prediletto da Comini è il nero poiché è un non colore e può interagire in trasparenza anche con i cocktail più scuri mentre le pietre di colore bianco o grigio vengono confuse con i cubetti di ghiaccio. Dopo averle ben lavate le pietre vengono immerse in contenitori contenenti alcol ed aromi naturali, come la pesca, la fragola, la banana, la menta ecc. da cui ne restano naturalmente aromatizzate e che trasferiranno poi al cocktail in cui verranno impiegate. Le pietre devono essere lasciate immerse fino al momento del loro utilizzo. Una delle ricette più richieste al Nottingham forest è il “Garden zen” cocktail composto di Rum Pampero, cranberry Mariani e liquore Midori. Il cocktail viene preparato in una larga coppa di cristallo colma di ghiaccio spezzettato, su cui sono adagiati due ciottoli di fiume aromatizzati alla pesca; sopra si versa il Pampero e il succo di cramberry, mentre sul fondo trova spazio un poco di liquore Midori. Alla fine in superficie è deposta, con l’ausilio di una bacchetta di avorio, una spruzzata di polvere d’oro puro e petali di rosa fresca.

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Note

Fo nt i biblio grafiche consul tate. . . Aa. V.v. • Tecniche di sala, bar e sommellerie • Edizioni Plan Bar Giornale • Settembre 2012 Dario Comini • Mix & drink. Come preparare cocktail con le tecniche del barchef • 2011 • Kowalski Editore http://www.nottingham-forest.com/sferificazione_15.html Video sulla preparazione di un Feng Shui Martini http://www.manuali.net/manuali/cocktail/cocktail_feng_shu_martini.html

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Crucibarman • 9

Tecnica solitamente usata per preparare tisane (9) Possono essere alcoliche ed analcoliche (9) Miscele esotiche serviti in bicchieri dalle forme più strane (13) È considerato un gusto nuovo (5) Tecnica per estrarre profumi con il muddler (4) Precursore dei cocktail tiki (17) Possono essere usati per spruzzare essenze (13) Letteralmente significa vapore (5) Consente di bere un liquido rivestito di pellicola (14) Sinonimo di sciroppo di zucchero (in inglese) (11)

2 3 4 6 8 9 12 14

Tecnica nata nei Caraibi (9) Uno dei padri della gastronomia molecolare (9) Letteralmente tradotto come “acqua e vento” (8) Maggiore autore dei cocktail molecolari in Italia (11) Usata per le gelatine (12) Professore italiano che redisse il Manifesto della cucina molecolare (11) Molto simile all’infusione (11) Nuova figura di barman che coniuga anche la cucina (7)

Verticali

Orizzontali

1 5 7 10 11 13 15 16 17 18

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Quanto ne sai sulle... nuove tendenze bar?

1 2 3

4 5 6

7

Le riduzioni possono essere... a) b) c)

Solo di succhi di frutta Alcoliche ed analcoliche Solo alcoliche

Uno dei padri della gastronomia molecolare a)

b)

Auguste Escoffier Gualtiero Marchesi

c) Herve This La Xantana permette di ... a)

Sferificare

c)

Sciroppare

b) Gelatinare La Macerazione avviene a... a) b) c)

Caldo 27° Freddo

Per la tecnica Mash si utilizza... a) b) c)

Un vaporizzatore Un muddler Uno shaker

La sferificazione è possibile con... a) b) c)

Colla di pesce Agar agar Spumante italiano

Il citras si ottiene da... a) b) c)

Pesce Verdure Agrumi 309


8

La tecnica dello swizzling risale ... a) b) c)

Agli anni Venti Anni Trenta Diciottesimo secolo

Era il distillato preferito per gli swizzler...

9 10 11 12 13 14 15

a)

Vodka

c)

Gin

b) Rum Precursore della tendenza Tiki a) b) c)

Dario Comini Ferran Adrià Raymond Gantt

Fu una delle prime bevande Tiki in assoluto a) Mai Tai b)

Swizzle Sour

c) Kula Sumatra Si utilizzano pietre di fiume a) b) c)

Bio drinks Relaxation drink Feng shui Martini

Si vantava di poter sostituire il dentifricio … a) Amaro Cora b) c)

Bairo Arquebuse

Il bicchiere per i Tiki ricorda... a) b) c)

Noce di cocco Moai Castelli di pietra

Per estrarre i profumi di alcuni ingredienti si usa... a) b) c)

Tecnica Steam Sferificazione Tecnica Mash 310


16 17 18 19 20

Con la tecnica Steam si usa solitamente... a) b) c)

Il fuoco Il ghiaccio secco L’azoto liquido

Il fiammifero può essere utilizzato per accendere la fiamma? a) b) c)

Sì, solo se esperti Sì, è sempre preferibile all’accendino No, assolutamente

Il germoglio di menta fresca è previsto di solito... a)

Cocktail swizzle

c)

Cocktail julep

b) Cocktail tiki Cuoco che ideò, con il prof. Cassi, il Manifesto della Cucina Molecolare a)

Gualtiero Marchesi

c)

Pellegrino Artusi

b) Ettore Bocchia La nascita della Gastronomia molecolare è da datarsi... a) b) c)

1987 1990 2003

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modulo 10 BAR MARKETING

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COME PROPORRE E VENDERE NEL PROPRIO LOCALE Seppur nel linguaggio comune la parola marketing stia per consigliare e vendere un prodotto, nella gestione del locale significa anche programmare eventi, diffonderli, curare la clientela e tante altre cose che rivestono un’importanza fondamentale per il successo. Definizione di marketing Il termine inglese marketing (spesso abbreviato in mktg), è un ramo dell’economia che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell’analisi dell’interazione del mercato e degli utilizzatori con l’impresa. Il termine deriva dall’inglese market, cioè mercato, parola a cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l’azione sul mercato stesso da parte delle imprese. Marketing significa letteralmente “piazzare sul mercato” e comprende quindi tutte le azioni aziendali riferibili al mercato destinate al piazzamento di prodotti, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione finanziaria. Il marketing applicato per un locale ristorativo Partiamo dall’acquisto di materie prime: è scontato che siano di buona qualità, dagli sciroppi ai distillati. La buona qualità garantisce un servizio valido e non fa correre rischi di perdere i clienti. L’esempio classico è quello di un cappuccino: non basta il latte fresco intero, ma occorre conoscere anche la tecnica giusta per montare correttamente la crema di latte.

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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Quando si parla di qualità del prodotto, a ciò deve essere affiancato anche la qualità del servizio: risulta pertanto inutile servire un ottimo spumante in un bicchiere usurato dal tempo, ancora peggio da personale insoddisfatto. Il controllo anche di questi semplici dettagli, non spetta solo al titolare del locale, ma anche al resto dell’azienda. Non è soltanto il titolare a dover essere consapevole dell’importanza del suo lavoro, ma anche il dipendente deve avere ben chiaro il valore della sua competenza tecnica, che si manifesta nella buona riuscita di un drink e nel suo servizio impeccabile, nonché la sua competenza relazionale, che si evidenzia, per esempio, attraverso la cordialità e la buona conversazione. Possiamo applicare questo principio alla soddisfazione di un cliente abituale: se un Negroni viene proposto a 6 euro, considerato che quel cliente ne consumi almeno 3 a settimana, per 48 settimane (togliendo le 4 settimane di ferie), solo quel cliente ci avrà fatto incassare ben 864 euro. Se la cifra vi pare irrisoria, tenete presente che quel cliente, una volta uscito dal vostro locale, può parlare bene dei vostri prodotti, del personale, ai suoi conoscenti ed amici, per non parlare della diffusione capillare attraverso strumenti come Facebook e Twitter e Tripadvisor (per i clienti più “evoluti” tecnologicamente). Il marketing nasce dalle esigenze del locale di dare un impulso alle vendite, pertanto è considerato essenzialmente promozione del locale volta a soddisfare il mercato.

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Per avere chiari questi concetti, poniamoci alcune domande: A chi vendere? A che tipologia di clienti sarà orientata l’offerta? Quale segmento della domanda si cercherà di soddisfare?

Per rispondere a questo quesito, dobbiamo avere ben chiaro la funzionalità del nostro bar, dove è situato, che tipo di clientela e così via. Un bar posizionato all’interno di una stazione ferroviaria, ha clienti diversi da un bar del centro storico.

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Che cosa vendere? Si deve puntare di più su un happy hour o sulle piccole colazioni?

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Ossia quali saranno i prodotti che saranno offerti ai clienti. Anche questo può dipendere dal tipo di locale che andremo ad aprire. Dove vendere?

Ossia la scelta dell’ubicazione del punto di vendita, cioè dove posizionare geograficamente il locale (per esempio in una zona di passaggio piuttosto che in un punto nascosto, ma ricercato e tranquillo). I costi in questo caso saranno diversi (affitto, personale, e così via). Inoltre vanno considerati vari fattori, fondamentali, come ad esempio: c’è un parcheggio accanto al bar?

4

Come vendere?

Che ha a che fare con tutte le politiche legate alla vendita della comunicazione esterna 314


MODULO 10: BAR MARKETING

come la pubblicità, alle azioni interne di merchandising volte a posizionare i prodotti all’interno del locale in punti strategici che stimolino il cliente a un acquisto d’impulso, alle modalità di predisposizione della lista o del menu, che sono un mezzo classico ma sempre efficace per proporre e vendere i prodotti. La pubblicità agli inizi è fondamentale, così anche il passaparola. Inventarsi poi delle serate ad hoc o promozionali, sarà indispensabile per farci conoscere, così come è diventato necessario disporre di una pagina Facebook sempre aggiornata. Sull’analisi del mercato occorre tenere presente che esso è costituito: • dai clienti, che rappresentano uno dei motivi per i quali si sceglie la professione del barman; • dall’azienda, cioè l’insieme di elementi orientati al servizio del cliente; • dai concorrenti, che costituiscono il maggior stimolo a migliorare l’efficienza del servizio e la qualità del prodotto.

LA REGOLA DELLE 4 P & IL MARKETING MIX

1 PRODUCT 2 PRICE 3 PLACE 4 PROMOTION

Solitamente l’azienda si muove con una serie di leve di marketing, in genere chiamate le 4 P:

Prodotto, prezzo, posizionamento e pubblicità. L’origine delle 4 P risale agli anni Sessanta e rappresentano delle variabili controllabili sulle quali l’azienda può agire per ottenere dal mercato le risposte desiderate. Nel tempo, alle 4 variabili se ne sono aggiunte altre tre, tra cui People (ovvero il personale e la clientela), la gestione del processo di erogazione, Process management (vale a dire le procedure in senso stretto, con l’apporto del personale e dei clienti) e il supporto fisico, Physical Evidence (dove si intende la struttura, l’arredo, il layout e l’illuminazione). Le strategie di marketing devono tenere in considerazione tutti questi elementi. Per un’elaborazione efficace dati acquisti dell’azienda (per esempio, i dati storici) e dal mercato (per esempio, il posizionamento, la situazione della concorrenza). A questa fase di raccolta e analisi dei dati, segue successivamente una valutazione delle opportunità che offre il mercato e delle sollecitazioni che da esso provengono, le quali possono essere utilizzate come possibilità di sviluppo dell’attuale locale oppure come stimolo alla costruzione di uno nuovo. Fondamentale è la presa di coscienza dei punti di forza e di debolezza dell’azienda. Per esempio, un locale con parcheggio e aria condizionata sarà probabilmente, a pari 315


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

condizioni, preferito a un altro che non è fornito di questi comfort. Così anche vi deve essere un attento studio dei prodotti (per esempio, scegliere di vendere birre piuttosto che gelati), in relazione anche alle diverse proposte effettuate dalla concorrenza. Una volta valutate le alternative e i possibili obiettivi, seguirà una pianificazione strategica che dovrà decidere come utilizzare gli strumenti di marketing per raggiungere gli obiettivi prefissati, poichè in funzione delle modalità di utilizzo degli strumenti si avrà un determinato risultato. Messe in campo queste strategie, seguirà la monitorazione costante dell’andamento dell’attività, per comprendere se ci sono stati degli accostamenti rispetto ai vari obiettivi, in modo da prendere provvedimenti per ripristinare la strategia. Dal punto di vista economico, alcuni degli obiettivi del marketing mix possono essere così riassunti: • creare barriere all’entrata di nuovi concorrenti, in quanto se le leve del marketing vengono applicate correttamente, è chiaramente più difficile per una nuova azienda inserirsi in un mercato governato in modo stabile da un’azienda leader; • incrementare le vendite e, nello stesso tempo, migliorare gli utili; • evitare variazioni troppo brusche della domanda dei prodotti a servizi offerti al bar, anche qualora essi fossero proposti a prezzi più alti, garantendo alla produzione una certa continuità; • fidelizzare il consumatore, cioè renderlo “fedele” al proprio locale. Per esempio proponendo delle tessere (ogni 10 cappuccini, l’undicesimo è omaggio, e così via). Oppure in un determinato periodo dell’anno, per 20 giorni, tutte le pizze da asporto, a 5 euro. People, il fattore umano Una dei fattori più importanti è il fattore umano che comprende sia la clientela (una clientela soddisfatta è un ottimo veicolo pubblicitario), sia il personale di servizio. In un ristorante potrete avere uno chef bravissimo, ma è il cameriere che vende e parla con i clienti. Così anche in un bar, il barman potrà essere un professionista, ma è il cameriere al bar che propone i vostri cocktail. Il personale deve essere in grado di erogare un servizio che incontri le esigenze del consumatore, dando soddisfazione ai suoi bisogni; deve agire con equilibrio e tatto nei contatti con la clientela, facendo rispettare le regole della casa a tutti gli ospiti ed evitando di creare gruppi dominanti tra i clienti, evitando anche di generare solidarietà con la clientela a svantaggio dell’azienda. Il management, o il gestore del locale, deve attuare alcune strategie per incentivare il personale e motivarlo, mediante riconoscimenti, incentivi, deleghe, attenzione, apprezzamenti, comunicazione efficaci. Negli Stati Uniti i camerieri e i barman guadagnano molto dalle mance (dall’8% al 100% del conto totale): ed infatti la cura e il servizio sono professionali e rendono anche economicamente degli extra. Così anche la formazione dovrebbe essere continua. Essa si sviluppa su due livelli. • Il primo è la classica formazione rivolta alla conoscenza della professione, allo studio teorico-pratico delle tecniche di preparazione e di servizio dei prodotti tipici della professione di barman. Si occupano di questa formazione associazioni di categoria (come la nostra AIBM) 316


MODULO 10: BAR MARKETING

ed enti specializzati. A questa segue un livello interno all’azienda ed è relativo alla conoscenza dei dati dell’impresa, orientati alla motivazione e al coinvolgimento di tutto il personale verso determinati obiettivi. Per esempio, se il titolare del locale decide di fare delle offerte promozionali, oppure di lanciare un nuovo prodotto, è opportuno che tutto il personale lo sappia, portando a termine l’obiettivo. Un buon sistema per fare formazione a questo livello è la creazione di incontri a cadenza periodica all’interno dell’azienda. Operando in questo modo, il personale si sente più partecipe dell’attività dell’azienda. • Lo step successivo verte invece sull’aggiornamento professionale. Questo aggiornamento potrebbe anche avere costi irrisori per l’azienda, aderendo ai Fondi Professionali. I dettagli li trovate in un articolo su www.aibmproject.it sezione E-book e libri. I clienti Un pubblico esercizio di qualsiasi tipo deve essere orientato, cioè avere come obiettivo la soddisfazione dei bisogni del cliente. Ciò significa non solo soddisfare desideri e bisogni, ma anche ascoltare reclami e lamentele. In linea di massima, i clienti sono suddivisi in due grandi categorie: i nuovi clienti e i clienti abituali. Spesso ci si concentra solo sui secondi, o viceversa ci si preoccupa di conquistare nuova clientela. Risulta evidente che è faticoso acquisire nuovi clienti, ma un buon livello di attenzione deve essere sempre mantenuto anche nei confronti dei clienti abituali. Per quanto riguarda il comportamento dei consumatori, le ricerche di mercato indicano che un giovane sceglie una bevanda alcolica piuttosto che un’altra non solo perché risponde di più ai suoi gusti o alle sue preferenze, ma perché, in quel particolare momento e in quella situazione specifica, la bevanda suscita immagini particolarmente piacevoli e sensazioni emozionanti. Per tale motivo ogni locale dovrebbe adattare le proprie proposte al tipo di clientela che lo frequenta. Le preferenza dei clienti dei bar in termini di bevande sono al centro di numerose ricerche. Per quanto riguarda le bevande alcoliche, l’elemento fondamentale e istintivo che esse richiamano è il fuoco, una sostanza che scalda e libera gli istinti più profondi. Altre ricerche indicano che coloro che bevono birra, da un punto di vista simbolico e psicologico, non hanno ancora fatto una scelta chiara. Infatti, la birra potrebbe avere un’azione euforizzante, data dal suo contenuto alcolico modesto, che è però neutralizzata dal luppolo, che ha proprietà calmante. Altri studi hanno riscontrato che l’abitudine di integrare bevande superalcoliche con bibite, succhi di frutta e altri componenti non alcoliche sembra derivare dalla paura, presente soprattutto nei giovani, di incontrare quella parte di sé che attira e spaventa allo stesso tempo. Vi è infine da considerare il diffuso rifiuto, sempre da parte dei giovani, di assumere bevande alcoliche amare, che sembrerebbero richiamare esperienze di penitenza o comunque spiacevoli, riti da espiare che poco hanno a che fare con il desiderio giovanile di godere della propria esistenza. All’opposto invece i liquori dolci ricordano l’infanzia e tutto l’aspetto piacevole e spensierato. Pensare quindi al cliente attuale in termini di marketing significa visualizzarlo in differenti segmenti e non più, come si è fatto per lungo tempo, catalogarlo per età, sesso o reddito, in quanto questi elementi non sono più validi indicatori del comportamento d’acquisto. La giusta segmentazione è praticata sulla base di variabili segnalatrici del comportamento umano, quali, per esempio, lo stile di vita e i bisogni materiali. Ciò spinge alcuni clienti ad acquistare una marca di Whisky piuttosto di un’altra, oppure, semplicemente, alla ragione per la quale in inverno si beve cioccolata calda e in estate si mangia il gelato. Nel settore del bar non c’è bisogno di fare grandi ricerche di 317


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

mercato per comprendere quali sono i bisogni della domanda, è sufficiente ricordarsi del solito drink, dare delle informazioni utili, ascoltare il cliente quando vuole parlare o, viceversa, lasciarlo in pace quando desidera non essere disturbato. Soddisfacendo la clientela già acquisita si crea un circolo di comunicazione che porterà un nuovo flusso di clienti, tale da migliorare i profitti dell’azienda. I clienti possono essere distinti, secondo le scelte fatte al bar, sulla base delle quali si definiscono nettamente quattro stili: • gli equlibrati, che seguono uno stile salutista e bevono, solitamente, succhi di frutta, bibite non gasate, oppure cocktail alla frutta privi di alcol; • gli attenti, che bevono di solito, drink o liquori a bassa gradazione, birre leggere contro quelle messicane e preferiscono cocktail leggermente alcolici a loro scelta; generalmente anche se si fanno consigliare, stanno attenti a non esagerare; • i moderati, che prediligono la qualità e sono generalmente di buona cultura e status sociale; in questa categoria si riscontra il consumo di birre a media gradazione e di drink miscelati con distillati e bibite, nonchè una predilezione per cocktail classici con gradazione alcolica media; • gli esagerati, che prediligono pochi drink ma forti, oppure tendono a essere dei moderati “mascherati” (si diversificano, cioè sotto l’aspetto quantitativo del drink, esagerando con prodotti di media gradazione; in questa categoria, nella scelta, la quantità prevale, spesso sulla qualità). In relazione alla localizzazione e al tipo di locale, i clienti possono essere distinti in: • clienti habitué, cioè coloro che frequentano abitualmente lo stesso locale; • residenti, cioè i clienti che usufruiscono del servizio di un bar ubicato nella stessa area abitativa di residenza; • clienti di passaggio o transito, cioè clienti che usufruiscono dei bar localizzati in zone di transito per motivi legati al lavoro, allo svago e così via.

318


MODULO 10: BAR MARKETING

LE NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE Oggi, con l’utilizzo delle nuove tecnologie, promuovere il proprio locale si può dire che sia quasi alla portata di tutti. Ma bisogna fare attenzione. Prendiamo un classico esempio: Facebook. Molti aprono il profilo del proprio locale, aggiungono foto, postano eventi, poi dopo un po’ si fermano, perché chi gestisce il profilo su Facebook non comprende appieno che vi è bisogno di un costante aggiornamento. Non basta quindi postare una decina di foto e scrivere qualche post ogni 20 giorni. Intanto si potrebbero proporre degli eventi (per esempio, “degustazione della birra artigianale”), invitando gli “amici” e i conoscenti. Due eventi al mese per iniziare potrebbero andare bene. Ma la portata dell’evento deve comunque tenere conto di quanti amici abbiamo. Un profilo con 150 amici ha una portata piuttosto limitata. Però se nel nostro profilo periodicamente presentiamo un articolo su una particolare birra (per esempio), oppure ogni volta che facciamo un evento, poi postiamo le foto, taggando le persone, ecco che si crea interesse. Insomma bisogna dedicarci del tempo. Stessa cosa vale per il sito web. Una volta era tutto un fiorire di siti web dagli “effetti speciali” grazie a tecnologie tipo flash. Ma avevano la stessa grazia di un bel biglietto da visita: sono i contenuti che contano, non l’aspetto. Proporre il cocktail Vesper, ed aggiungere anche la storia del drink (il cocktail è stato ideato da Ian Fleming, per il suo James Bond, il quale in Casinò Royale lo dedicherà a Vesper Lynd, la spia di cui era innamorato), sicuramente susciterà curiosità. Un profilo twitter già è meno comunicativo se confrontato ai primi due strumenti (Facebook e sito web). E così via. Naturalmente se vi inserirete con un profilo su FB, aspettatevi anche qualche critica: essendo una pubblica piazza (virtuale) tutti si sentono in dovere di aggiungere una parolina.

319


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

LA DRINK LIST Creare una propria lista dei cocktail non è facile, bisogna tenere in mente diverse variabili, di cui il prezzo è solo l’ultimo fattore (anche se non meno importante degli altri). Innanzitutto... • Qual è l’impostazione del vostro locale? • È un locale giovane, alla moda? • Il bar si trova invece in un centro storico? Queste sono alcune variabili da tenere a mente anche nella semplice scelta del materiale dove poi presentare la lista dei drink (e di tutte le bevande che si possono consumare). La carta deve essere possibilmente chiara (da colori tenui fino a texture ricercate), i nomi dei cocktail in evidenza, possibilmente anche con gli ingredienti dichiarati. Per esempio: a

1 IPOTESI MARTINI DRY...

6,00

In questo caso c’è solo il nome del cocktail, seguito dal prezzo di vendita a

2 IPOTESI MARTINI DRY (Gin, Vermouth dry, oliva verde o sprizzo di limone)...

6,00

Nel secondo caso il cocktail appare più completo, dove fanno capolino anche gli ingredienti. 320


MODULO 10: BAR MARKETING

Vi potrebbe essere anche un terzo caso, dove sono evidenziate anche le dosi esatte (6 cl Gin e 1 cl Vermouth dry): in quest’ultima situazione, il cliente che sceglie sarà anche consapevole di che cosa beve. È chiaro che molti abituali consumatori di drink sappiano come è fatto il Martini Dry, ma apprezzeranno comunque il fatto di vedere le ricette dei cocktail evidenziate.

1 2 3 4

Oltre ad un elenco semplice di cocktail, la lista però potrebbe presentarsi più articolata, ad esempio divisa in 4 aree: BEFORE DINNER AFTER DINNER ALL DAY COCKTAIL I NOSTRI COCKTAIL

Ecco un esempio didattico su come potrebbe essere impostata una carta (in questo caso con pochi drink)

Before dinner

AMERICANO Bitter Campari, Vermouth rosso, Soda water,1/2 fetta d’arancia

6,00

MARTINI DRY Gin, Vermouth dry, oliva verde

6,00

NEGRONI Bitter Campari, Vermouth rosso, Gin, 1/2 fetta d’arancia

6,00

After dinner ALEXANDER Cognac, Crema di Cacao scura, Crema di latte, Noce moscata GRASSHOPPER Crema di Cacao chiara, Crema di menta verde, Crema di latte BLACK RUSSIAN Vodka, liquore al caffè

All day cocktail

6,00 € 6,00 6,00

PARADISE Gin, Apricot Brandy, Succo d’arancia

6,00

AVIATION Gin, Maraschino, Succo di limone fresco

6,00

321


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE

Nella sezione “I nostri cocktail” potete invece inserire drink di vostra creazione, o in alternativa varianti dei classici cocktail (Mojito Special, Mielito) oppure classici cocktail di tendenza (Angelo Azzurro, Invisibile ecc.) Come potete vedere, pur utilizzando solo pochi drink abbiamo dato diverse informazioni: i cocktail non sono tutti identici, ma possono essere scelti in base al momento della giornata. Come aperitivi, come cocktail “da dessert” o fine pasto (after dinner); da bersi tutta la giornata oppure scelti in base a quelli che il locale consiglia (i “nostri” cocktail).Il prezzo, se avrete notato, è identico per tutti i cocktail. A meno che non ci siano cocktail “deluxe”, con ingredienti premium: allora in quel caso sarà necessario aggiungere una sezione a parte. Ma come si calcola il costo del cocktail da proporre al cliente?

322


Note

Fonti bibliografiche consultate...

Luca Ramoni • Professione barman • Editrice San Marco Luigi Manzo • Guadagnare con Internet • Jackson libri

323


Crucibarman • 10

È anche sinonimo di programmare eventi (9) Frequentano abitualmente lo stesso tipo di locale (7) Clienti che usufruiscono del bar nei paraggi dove abitano (9) Software di invio sms per promozioni (7) Fattore che comprende anche la clientela (5) Tipo di clienti che si adattano a bere drink o liquori a bassa gradazione (7) Abbreviazione di marketing (4) Lo sono quelli dolci che ricordano l’infanzia (7) Prediligono pochi drink ma forti (9) Clienti di buona cultura e status sociale, che prediligono cocktail classici (8)

1 2 4 8 14

Comprende arredo, struttura, layout e illuminazione (16) Procedure con l’apporto del personale e dei clienti (17) Lo può essere una pianificazione (10) Lo sono quei clienti che seguno uno stile salutista (11) Solitamente bevande rifiutate dai giovani che richiamano esperienze di penitenza (5)

Verticali

Orizzontali

3 5 6 7 9 10 11 12 13 15

324


Quanto ne sai sul... bar marketing?

1 2 3

4 5 6

7

Sinonimo di marketing a) b) c)

Market mix Mktg Merchandising

Usufruiscono dei servizi del bar senza spostarsi più di tanto a) b) c)

Residenti Abituali Transitori

La drink list deve comprendere… a) b) c)

Informazioni essenziali Informazioni variegate Solo titoli dei cocktail

Il coefficiente moltiplicatore permette di … a) b) c)

Calcolare il giusto prezzo per i drink da proporre Tenere i prezzi bassi Calcolare solo il prezzo del drink

La guarnizione di un drink va calcolata in modo… a) b) c)

Fisso Forfettario Gratuitamente

Le P del marketing mix sono a) b) c)

2 4 5

Physical evidence comprende… a) b) c)

Struttura e arredo Formazione del personale Posizione del parcheggio 325


8

L’origine delle 4 P risale … a) b) c)

Anni Sessanta Anni Settanta Anni Novanta

Il fattore People comprende

9 10 11 12 13 14 15

a) b) c)

Personale e clientela Solo clientela Solo clientela occasionale

La pianificazione può essere … a) b) c)

Personale preparato Personale e clientela Clientela selezionata

Il fattore umano è dato da… a) b) c)

Clientela soddisfatta Arredamento del locale Marketing strategico

La formazione del personale deve essere… a)

Iniziale e particolareggiata

c)

In brevi periodi

b) Continua È possibile aggiornare gratuitamente il proprio personale? a) b) c)

Sì, con i fondi professionali Solo in parte no

Negli USA il personale guadagna dalle mance… a) b) c)

Il 10% fisso Tra l’8 e il 100% Il 2%

La monitorazione consente di … a) b) c)

Verificare le competenze del personale Verificare l’andamento dell’attività Controllare la clientela 326


16 17 18 19 20

I clienti che prediligono cocktail classici sono nella categoria… a) b) c)

Equilibrati Attenti Moderati

Gli equilibrati li ritroviamo tra i clienti a) b) c)

Moderati Salutisti Eccentrici

La quantità prevale sulla qualità tra i clienti … a) b) c)

Moderati Screanzati Esagerati

Il guadagno da un cocktail si ottiene con una operazione denominata … a) b) c)

Food cost Drink cost Mixing cost

Seguono uno stile salutista a) b) c)

Vegani Equilibrati Esagerati

327


modulo 11 ARTE E TERRITORIO


ARTE E TERRITORIO L’Italia è un Paese straordinario ricco di storia, cultura e divertimento. La più grande industria è quella del turismo: per questo motivo abbiamo raccolto delle lezioni di Enogastronomia dove accanto all’enografia nazionale e alla gastronomia, troviamo l’arte e il territorio. Monumenti, curiosità, luoghi turistici che colui che si occupa di ristorazione e turismo deve conoscere per poi trasmettere.

Buon viaggio!

329


modulo 12

PREPARIAMOCI ALL’ESAME DI STATO


PREPARIAMOCI ALL’ESAME DI STATO Siamo giunti alla fine dell’anno scolastico e del percorso quinquennale. Per molti rappresenta un traguardo, denso di significati, in realtà è una tappa di crescita come tante altre. In questo modulo daremo dei suggerimenti su come affrontare l’esame e le 3 prove che lo compongono, soffermandoci in particolare sulla Terza prova, dove solitamente troverete le materie d’indirizzo (Sala e Cucina).

SCARICA IL PDF DEL MODULO COMPLETO

331


MAPPE CONCETTUALI E MATERIALE DI SUPPORTO

332


Note

333


CRUCI

TIME

334


Crucipuzzle

BANANA BATIDAS BLENDER CATEGORIE COCKTAIL CONTOUR CREMA CRUSHED

CUBETTI CURACAO DAIQUIRI DISTILLATO FRAGOLA FROZEN GHIACCIATO GHIACCIO 335

1

ICE LIQUORE MACCHINE PILEE RON RUM ZOMBIE


TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE libro misto per il settore di sala e bar con approfondimenti sul web

Il testo è in linea con la nuova riforma scolastica e le linee guida essenziali per gli Istituti di Enogastronomia. Nelle pagine vengono sviluppati gli argomenti del biennio precedente, ampliando soprattutto le tematiche dedicate alla professione del Barman: dalle origini del lavoro, fino alle nuove tendenze. Vengono approfonditi i distillati, liquori e tutto ciò che concerne il mondo del bar. Per quanto riguarda la Sala e Vendita, troviamo i principi di alimentazione ed accostamenti enogastronomici, la cucina flambé, la professione del Sommelier, le tecniche di Banqueting e Catering, la cucina regionale e l’abbinamento cibo e vino (compresa l’enografia internazionale) sino all’uso dei software per la ristorazione. Il volume è supportato da materiale multimediale pubblicato sia su www.ristorazionebar.it, sia su Facebook su un gruppo dedicato.

Euro 24,90


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