Luigi Manzo
TECNICHE AVANZATE
PER SALA E VENDITA BAR E SOMMELLERIE settore cucina volume unico
IV e V anno
libro misto con approfondimenti sul web
©2019 EBF – Edizioni Bulgarini Firenze www.bulgarini.it info@bulgarini.it
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Prima edizione: febbraio 2019 Ristampa: 5 4 3 2 1 2019 2020 2021 2022 2023
Nell'eventualità che illustrazioni di competenza altrui siano riprodotte in questo volume, l'editore è a disposizione degli aventi diritto che non si sono potuti reperire. L'editore porrà inoltre rimedio, in caso di cortese segnalazione, a eventuali non voluti errori e/o omissioni nei riferimenti relativi. Nel rispetto della normativa vigente sulla trasparenza nella pubblicità, le immagini escludono ogni e qualsiasi possibile intenzione o effetto promozionale verso i lettori. Tecnostampa - Pigini Group Printing Division Loreto - Trevi - Febbraio 2018 - 19.83.301.0
SEZIONE 1 • TECNICHE DI SALA, VENDITA E SOMMELLERIE MODULO 1 • LA CUCINA FLAMBÉ la cucina flambé i cibi adatti alla cucina flambé i liquori da usare ricettario flambé vantaggi e svantaggi della cucina flambé crucibarman quanto ne sai sulla... cucina flambé?
8 9 11 11 14 19 22 23
MODULO 2 • IL MONDO DEL VINO l’antica storia del vino la produzione del vino le operazioni fondamentali le altre tecniche produttive del vino dove si produce il vino in tutto il mondo la legislazione europea i vini al bar appunti vari e curiosità sul vino l’enografia europea ed internazionale l’enografia extraeuropea gli abbinamenti vino-cibo quali sono le regole per la degustazione la temperatura ideale del vino l’esame visivo l’esame olfattivo l’esame gusto-olfattivo le sensazioni tattili la struttura le schede di valutazione crucibarman quanto ne sai sul... vino?
26 27 30 30 43 41 42 43 44 48 58 60 65 68 69 74 79 82 84 85 92 93
MODULO 3 • SOFTWARE DI SETTORE gli strumenti tecnologici l’uso della rete viral marketing il mondo delle app il geomarketing il marketing territoriale il software in sala drink price food cost crucipuzzle
96 97 99 100 100 103 103 104 105 106 107
MODULO 4 • IL BANQUETING E CATERING le nuove forme di ristorazione: il catering e il banqueting l’organizzazione del catering organizziamo un servizio catering come cena evento crucipuzzle
108 109 109 112 113
SEZIONE 2 • TECNICHE BAR & SOMMELLERIE MODULO 1 • CHAMPAGNE le origini degli spumanti le fasi di produzione dello champagne l’area dello champagne le principali tipologie il metodo charmat o martinotti il metodo classico... in altri paesi gli altri spumanti nel mondo il servizio dello champagne cocktail con vino, spumante e champagne crucibarman quanto ne sai sullo... champagne?
116 117 118 118 119 120 121 121 124 125 128 129
MODULO 2 • LA COSTRUZIONE DI UN COCKTAIL costruiamo un cocktail costruiamo un cocktail aperitivo o before dinner costruiamo un cocktail dolce o after dinner costruiamo un cocktail long drink tavola di miscibilità degli ingredienti calcolare il contenuto alcolico di un cocktail crucibarman quanto ne sai sulla... costruzione di un cocktail?
132 134 135 137 139 140 141 146 147
MODULO 3 • INTAGLI E DECORAZIONI conoscere la frutta calendario stagionale della frutta il fenomeno dell’ossidazione le decorazioni e gli strumenti l’uso delle decorazioni nei cocktail categorie di guarnizioni per cocktail cosa utilizzare per lavorare i fiori in tavola crucibarman quanto ne sai sugli... intagli di frutta e verdura?
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MODULO 4 • LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE sferificazione e cocktail molecolari cos’è la cucina molecolare crucibarman quanto ne sai sulle... nuove tendenze bar?
170 172 172 182 183
MODULO 5 • BAR MARKETING come proporre e vendere nel proprio locale la regola delle 4 P & il marketing mix le nuove forme di comunicazione la drink list calcolare il costo del cocktail crucibarman quanto ne sai sul... bar marketing?
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MODULO 6 • ARTE E TERRITORIO
202
MODULO 7 • PREPARIAMOCI ALL’ESAME DI STATO mappe concettuali e materiale di supporto
204 206
Sezione 1
tecniche di sala, vendita & sommellerie
modulo 1
CUCINA FLAMBÉ... 8
MODULO 1: LA CUCINA FLAMBÈ...
Cucinare per alcuni è un’arte, per altri un passatempo, per altri ancora un’incombenza. Un buon sistema per prendere dimestichezza con la cucina è la cosiddetta cucina flambé, o cucina di sala, oggetto di questo modulo, tratto da un e-book liberamente scaricabile dall’apposita sezione su www.aibmproject.it (dove trovate tutte le ricette). Essa ha un fascino particolare perché quei giochi di luce e di fiamma sono appunto affascinanti, oltre ad attirare attenzione (ed ammirazione). Domare (e dosare) il fuoco non è semplice, si reputa di difficile esecuzione, eppure non è così: basta stare attenti, maneggiare con cura e svolgere con attenzione quello che stiamo facendo. Sono fondamentali l’attenzione, la concentrazione su quello che state facendo: questo in ogni campo. Simili spettacoli diventano sempre più rari. Non tutti i ristoranti curano questo aspetto e si assiste alla scomparsa di certe preparazioni. Quindi, se troverete un ristorante dove è ancora in uso la cucina flambé, osservate bene i movimenti del cameriere, le fasi del lavoro, che tipi di liquori o distillati usa (solitamente sono sempre gli stessi...) Insomma imparate ad osservare attentamente, perché si impara molto velocemente in questo modo. Quindi armatevi di pazienza e seguite con attenzione ciò che vi descriverò. Nelle prime pagine vedremo cos’è la cucina flambé, quali strumenti usare, quali cibi sono adatti alla fiamma e perché, che distillati utilizzare, i vantaggi di questo tipo di cucina ed alcuni consigli. Naturalmente è un tipo di cucina adatta principalmente ai ristoranti, ma con opportuni accorgimenti si può proporre anche al bar, dal barchef.
LA CUCINA FLAMBÉ La cucina flambé è anche definita come cucina di sala, ed è la parte più spettacolare dei piatti elaborati davanti a clienti. In una sala ristorante (o al bar) si richiede, al barchef e allo chef, la conoscenza delle tecniche di cucina, unita a preparazione, disinvoltura e padronanza nell’eseguire la ricetta. Solitamente la cucina di sala può prevedere due sviluppi: • nel primo caso si elabora completamente il piatto davanti al cliente; • nel secondo caso, si dà solo un tocco finale al piatto che viene preparato in cucina, portato in sala, davanti ai clienti, e ultimato con le tipiche fiammate provocate dai liquori a contatto con la padella o con la fiamma dell’apposita “lampada”.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Il termine deriva dal francese “flamber” che significa “infiammare”, “accendere”, e fino a poco tempo fa in Francia era una tecnica molto utilizzata. Il procedimento principe che consiste nel bagnare la preparazione con alcol (può essere un distillato come il Brandy o il Cognac, oppure un liquore), per infiammarlo in modo tale da creare quella fiammata che si esaurirà velocemente (o lentamente). La fiammata può avvenire in due modi: • per contatto diretto dei vapori con la fiamma di cottura, inclinando leggermente la padella in avanti; • per combustione diretta nel recipiente. Quindi nel primo caso s’inclina leggermente la padella in avanti, in modo tale che la fiamma ne lambisca i bordi e li surriscaldi. Nel secondo caso basta accendere con un fiammifero il liquido nel recipiente. Avvertimenti Per alcuni giocare con il fuoco potrebbe essere divertente, ma è molto rischioso. Sovente ho letto, nelle varie cronache, di clienti “incendiati” da camerieri troppo disinvolti e sicuri di sé... Primo accorgimento: utilizzate sempre dosi piccole di liquori o alcol (20 cl ad esempio); l’alcol va messo in piccole brocche di vetro. È sconsigliabile l’uso di versare direttamente dalla bottiglia il liquore: potrebbe accendersi improvvisamente senza nessun vostro intervento, con conseguente fiammata di ritorno. Per tale motivo consiglio anche il primo sistema: ovvero inclinare la padella in avanti, far surriscaldare il bordo, versare (dalla brocca) l’alcol tenendovi a distanza ed inclinare di nuovo. L’alcol si raccoglierà verso il basso e, al contatto del bordo surriscaldato, prenderà fuoco. Sconsigliato invece, se non siete esperti, l’uso del fiammifero. L’uso della cucina flambé si può utilizzare per primi piatti, per secondi e dolci. Non tutti i piatti necessitano di essere flambati: ed è per questo che spesso si parla generalmente di cucina di sala. Gli strumenti Per la cottura alla fiamma delle vivande è consigliato usare una padella, rotonda, bassa e munita di lungo manico. I materiali migliori sono il rame e l’acciaio inossidabile. Da evitare assolutamente il ferro e l’alluminio perché a contatto con la fiamma questi si ossidano con facilità e il rivestimento antiaderente si stacca facilmente rendendo di fatto tossici i cibi. Di solito la padella più usata è quella in rame con interno inossidabile. In alcuni ristoranti di lusso, si narra, che si usino anche padelle d’argento. Se dovete cucinare in una piccola o grande sala, converrà acquistare la lampada, un fornello speciale dove si appoggerà la padella. Altrimenti vanno bene anche i fornelli di casa. Le lampade possono avere varie forme: tutte hanno comunque in comune un serbatoio per il materiale infiammabile, un bruciatore e un regolatore di fiamma. Alcune possono essere a gas, altre ad alcol liquido oppure con speciali prodotti a base di alcol solidificato. Quelle con cui si lavora meglio sono le lampade ad alcol liquido, perché hanno un tipo di cottura dolce. Le lampade sono eleganti e graziose da vedersi, oltre che costose. Ma, ripetiamo, si può fare anche un’ottima figura utilizzando i normali fornelli di casa.
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MODULO 1: LA CUCINA FLAMBÈ...
I CIBI ADATTI ALLA CUCINA FLAMBÉ I cibi che possono guadagnare in sapore assorbendo il liquore durante la lavorazione alla lampada vanno dai primi ai dolci e comprendono preparazioni sia salate che dolci. Per alcune preparazioni, come quelle salate, si usa flambare durante la cottura; per i dolci si fa l’operazione davanti ai clienti. A volte ci sia aiuta anche con dello zucchero che viene spolverato sul dolce che sta flambando. Sia le carni che il pesce si adattano a questo tipo di cottura. Le carni assumono un profumo più raffinato ed un gusto pronunciato. Tra le carni, vanno preferiti pezzi piccoli (rognoni ad esempio): infatti risultano più aromatizzati a differenza delle carni intere. Citiamo tra le più indicate: carni di manzo, di vitello e di agnello; scaloppine, medaglioni, involtini, fricandò. E ancora: tranci di filetto, hamburger, nodini, costolette, spiedini, ecc. Anche pollame, selvaggina e cacciagione si adattano a questo tipo di cottura, anche perché con l’utilizzo del liquore si può ammorbidire il gusto deciso di queste carni. Tra i pesci, i più adatti sono filetti e tranci, tra i crostacei gamberoni e scampi. La frutta può essere preparata in vari modi, con creme o gelati. Mele, fichi, arance, ananas, banane ben si prestano ad essere flambate. Tra i dolci rammentiamo anche le crêpe (famose le crêpe Suzette).
I LIQUORI DA USARE Per utilizzare i liquori nella cucina flambé si seguono alcune regole: non si impiegano ad esempio distillati che hanno una gradazione alcolica superiore ai 40-45°, perché la loro accensione potrebbe risultare troppo pericolosa. Tra i distillati più indicati abbiamo: l’Armagnac, il Calvados, il gin, la vodka, il brandy, il Cognac, il rum. Questi si abbinano bene con le preparazioni salate. Liquori invece come Curaçao, Maraschino, liquori di frutta, si accompagnano bene a preparazioni dolci (alcuni invece sono adatti sia per dolci sia per piatti salati). Vediamo in dettaglio gli abbinamenti. Armagnac Si produce in Francia, precisamente in Guascogna. Ha un colore ambrato e limpido. Si adatta a piatti forti, come carni rosse, ma anche alla frutta. Brandy La parola deriva da brandewijin in olandese o da branwini, o branwein e significa vino bruciato. Con il passare dei secoli si è contratta in brandy e in tutto il mondo designa l’acquavite di vino. Nella cucina flambé il brandy si adatta con primi piatti, carni, pesce, selvaggina, frutta, dolci e gelati. Calvados È ottenuto dalla distillazione del sidro, il succo che viene ricavato dalla fermentazione delle mele. Si presenta con un colore dorato, profumo intenso e penetrante. Si abbina a selvaggina, alle carni di manzo e maiale, soprattutto al filetto di manzo.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Cognac È il più famoso distillato francese, prodotto nella regione della Charente, in Francia. Conferisce ai cibi una lunga persistenza aromatica: è adatto a piatti forti, carni rosse, ma se usato in piccole dosi può anche essere utilizzato con della frutta, come i cachi ad esempio. Curaçao Si tratta di un infuso di fiori e scorza di arancia amara, originario dell’isola di Curaçao, che fa parte del piccolo arcipelago delle Antille olandesi situato a poca distanza dal Venezuela. Due sono le varietà: l’Orange, dolce, di colore arancione, ed il Triplesec, di colore bianco paglierino, più secco. In commercio trovate anche delle varietà colorate diversamente (tra le quali quello famoso di colore blu). È molto usato nella preparazione dei dolci. Altri liquori all’aroma di arancia adatti per dolci alla fiamma sono: Aurum, Grand Marnier e Cointreau. Gin Si adatta in particolar modo ai risotti, quaglie e selvaggina. Grappa La grappa, celebre acquavite ottenuta dalla distillazione delle vinacce di uva, si usa poco in cucina perché nella sua composizione vi sono aromi forti che non vengono completamente sfumati e aromatizzati. Sconsigliato per risotti e minestre, mentre si può aggiungere, a fine cottura, a carni, salumi e capriolo. Kirsh È un liquore tipico dell’Europa centrale, ma prodotto anche in Alto Adige. Il suo nome tedesco vuol dire acqua di ciliegie. In cucina viene impiegato per aromatizzare le macedonie di frutta. Maraschino È un liquore ottenuto dalla distillazione delle marasche ed è molto usato in pasticceria e per aromatizzare le macedonie di frutta. Ha una gradazione alcolica di 35-38° e si adatta per le preparazioni flambé sui dolci. Rum È un’acquavite derivata dalla canna da zucchero. Tipica dei Caraibi, la sua gradazione si aggira sui 40 °C. È utilizzato in pasticceria, per torte, budini, sciroppi, macedonie di frutta e flambare dessert. Vodka Acquavite di origine russa, ha una gradazione alcolica tra i 40-45°. Ha un aspetto incolore e trasparente, e il suo nome russo è voda, che vuol dire acqua. La vodka è adatta per primi piatti e pesce.
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MODULO 1: LA CUCINA FLAMBÈ...
ALCUNI CONSIGLI PRIMA DI INIZIARE
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Questi consigli vi aiuteranno a lavorare meglio con la cucina flambé. Si tratta di suggerimenti tecnici-operativi. Non utilizzare pentole ma padelle. Queste devono essere in rame o acciaio inossidabile.
Evitare di usare padelle con rivestimento antiaderente. Non scaldate troppo la padella. Utilizzare cucchiai o forchette di acciaio per rimescolare; evitare di graffiare la padella con i rebbi della forchetta. Non usare utensili di legno o di plastica che sono inadatti al fuoco.
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Tenersi lontani da tendaggi e non accendere aspiratori se siete in cucina. Stare a giusta distanza dalla padella, onde evitare ustioni e bruciature di capelli. Mantenersi anche a distanza dagli ospiti.
Mai usare direttamente la bottiglia per versare il liquore: ricorrere invece ad una piccola brocca di vetro oppure un bicchiere.
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Per facilitare l’evaporazione dell’alcol ruotare la padella.
Servire la preparazione solo dopo che la fiamma si sarà spenta.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Ravioli con gamberetti su letto di spinaci • 250 gr. Raviolini • 150 gr. Gamberetti sgusciati • 3 dl. Crema di latte • 50 gr. Cipolla tritata • 50 gr. Burro • Olio • Sale e pepe q.b • Salsa Worchestershire q.b. • Brandy
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• 50 gr. baby spinaci
Riscaldare la padella con il burro, aggiungere la cipolla, fare imbiondire e aggiungere sale e pepe quanto basta. Infine unire le foglie di spinaci e fare ammorbidire, aiutandosi coprendo con un’altra padella. Dopo sistemare gli spinaci così cotti sui piatti piani.
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Riscaldare la padella con olio d’oliva, gamberetti con un pizzico di sale e pepe.
Aggiungere raviolini ed alcune gocce di salsa Worchestershire. Sfumare con brandy e unire la crema di latte, portando a consistenza. Servire in piatto caldo, adagiando i raviolini sul letto di spinaci.
Commento Ricetta non molto semplice da realizzare, ma di notevole impatto (oltre ad essere molto buona). Fu ideata in collaborazione con uno chef, Sebastiano Fantini, nel lontano 1995 per un esame presso l’Istituto Alberghiero Nino Bergese di Sestri Ponente (Genova).
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MODULO 1: LA CUCINA FLAMBÈ...
Fettuccine al salmone • 300 gr. Fettuccine • 60 gr. Salmone affumicato • 60 gr. Burro • 60 gr. Panna da cucina • Sale e pepe q.b • Tabasco q.b. • Semi di finocchio • Vodka
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Far insaporire il burro con i semi di finocchio e scaldarvi il salmone precedentemente sminuzzato.
Fiammeggiare con la vodka, inclinando la padella in avanti, riscaldando il bordo, versando poi il distillato e fiammeggiando.
Aggiungere la panna e il Tabasco, poi saltare le fettuccine in padella, rimestando affinché possano insaporirsi per bene. Servire in piatto caldo.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Scampi alla diavola • 9 Scampi medi • 1 Cipolla tritata • 70 gr. Burro • Sale e pepe q.b • 1 Cucchiaio di Curry • Brandy
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Mettere nella padella un poco di burro e cipolla, fatela passire, aggiungete 1 cucchiaino di curry, una spruzzatina di vino bianco, Aggiungere gli scampi tagliati a metà.
Condire con il sale e far soffriggere leggermente. Versare poi su di essi il brandy e fiammeggiare. Servire in piatto caldo.
Commento Si tratta di un secondo di pesce molto semplice da preparare. Ricordatevi che di vino bianco ce ne va pochissimo (perché deve essere flambato dopo con il brandy), anche per non coprire troppo il sapore delicato degli scampi.
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MODULO 1: LA CUCINA FLAMBÈ...
Gamberetti fiammeggianti • 250 gr. Riso pilaf • 300 gr. Gamberetti • 1 Cipolla tritata • 50 gr. Prezzemolo tritato • Panna da cucina • Sale e pepe q.b • Curry q.b • Olio • Tabasco • Salsa Worchestershire q.b. • Cognac
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Riscaldare la padella con olio e fare imbiondire la cipolla, aggiungere i gamberetti, amalgamarli al fondo, cuocere e condire con sale, pepe, salsa Worchestershire e tabasco quanto basta.
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Flambare con il Cognac ed aggiungere curry e panna.
Amalgamare il tutto e servire su un piatto caldo, accanto al riso pilaf.
Commento Ricetta molto semplice (e veloce) da preparare una volta che avete pronti i gamberetti; se usate quelli scongelati ricordatevi di non lasciarli troppo fuori dal frigo prima di utilizzarli. Potete flambare anche con brandy al posto del Cognac.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Ananas in fiamme • 4 Fette di Ananas • 50 gr. Burro • 2 Palline di gelato alla vaniglia • 1 Limone • 4 cl. Maraschino • 4 cl. Rum • 8 Ciliegie • 100 gr. Zucchero
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• Scorza d’arancia q.b.
Preparare il burro, il limone, le scorze, il succo di arancia. Il gelato uscirà dalla cucina poco prima dell’utilizzo.
Far caramellare lo zucchero; unire il burro ed amalgamare aiutandosi con il mezzo limone; spostare indietro il composto e dalla parte opposta e versare lentamente i succhi; aggiungere le scorze, il liquore, poi le fette di ananas, e far cuocere per circa 10 minuti.
Durante la cottura girare delicatamente le fette ed unite le ciliegie; quando la frutta è cotta e la salsa è densa, eliminare le scorze, flambare con il rum e servire su piatti caldi con due palline di gelato e le ciliegie.
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Commento Questa ricetta necessita di un po’ di attenzione; non è semplice da preparare, ma molto gustosa. Volendo potete anche evitare di utilizzare il gelato o sceglierne uno di gusto diverso.
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MODULO 1: LA CUCINA FLAMBÈ...
VANTAGGI E SVANTAGGI DELLA CUCINA FLAMBÉ La cucina flambé, se non vengono presi opportuni accorgimenti, si può rivelare pericolosa. Da diverso tempo, sul mercato, è comparso il fornello ad induzione, il quale seppur non permetta la spettacolarizzazione della fiammata, si presta egregiamente alla cottura. Il fornello a induzione è costituito da una bobina, dentro la quale viene fatta scorrere corrente elettrica alternata o comunque variabile nel tempo. Da qui la produzione di calore. Ecco alcuni vantaggi. • Assenza di fiamme e dei rischi a esse legati. • Cottura uniforme, dovuta alla diffusione omogenea del calore su tutto il fondo della pentola. • Possibilità di regolare la potenza con elevata precisione. • Le zone di cottura dispongono di riconoscimento automatico della pentola; si attivano esclusivamente in presenza di pentolame con fondo magnetico e si disattivano non appena il pentolame viene tolto. • Impossibilità di scottarsi o di subire folgorazioni. Ecco alcuni svantaggi. • Per un uso intensivo è necessario un allacciamento superiore ai 3 kW che rappresenta, normalmente, lo standard per le forniture di energia elettrica a utenti privati in Italia. Un allacciamento da 4 kW o 6 kW è possibile, ma comporta un notevole aggravio di costi, soprattutto per un’utenza residenziale che in Italia gode di agevolazioni per le sole forniture limitate a 3 kW. • Richiede l’uso di pentole adatte (in genere sul fondo è presente il simbolo del solenoide), a fondo piatto e in materiale ferromagnetico. Quelle in ceramica possono essere usate a patto di interfacciarle attraverso un adattatore o pannello ferromagnetico: poiché, in quest’ultimo caso, la trasmissione per calore avviene per contatto, si perde, però, l’efficienza nel trasferimento dovuto ai campi elettromagnetici.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Approfondimenti & curiosità Una delle scene più famose del film Continuavano a chiamarlo Trinità… (1971) è quando Bud Spencer e Terence Hill vanno al ristorante, infrangendo tutte le regole normali del galateo, compreso un affronto al sommelier e il litigio per il flambé. Il video che vi proponiamo (http://ristorazionebar.it/?p=154) mostra come si utilizzava correttamente la “lampada” per la preparazione di Crêpe suzette.
Un’altra scena famosa, è quella de Il Principe abusivo (2013), diretto da Alessandro Siani (e lui stesso il protagonista). Nella scena del ristorante tra un’incomprensione e la sbadataggine, Antonio De Biase (Alessandro Siani), manda a fuoco il ristorante.
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Note
Crucibarman • 1 Così deve essere il suo interno (12) Ottenuto dalla distillazione del sidro di mele (8) La è solitamente di rame (7) Acquavite tipico caraibico (3) Distillato aromatizzato alle bacche di ginepro (3) Patria della cucina flambé, dove era molto utilizzata (7) Così si chiama l’apparecchio per fiammeggiare (7) Il suo nome significa acqua di ciliegie (5) Liquore adatto ai dolci (9) È la protagonista della cucina flambé (6) Permette di dare fuoco alle vivande (5)
1 2 3 4 6 7 13 16
Sinonimo di cucina flambé (12) Deve essere di vetro per dosare l’alcol da versare (6) Acquavite di origine russe (5) Il suo nome significa vino bruciato (6) Famoso distillato francese (6) Si produce in Francia ed è adatto alle carni rosse (8) Ottenuto dalla distillazione delle marasche (10) Materiale utilizzato per le padelle (4)
Verticali
Orizzontali
5 6 8 9 10 11 12 14 15 17 18
22
Quanto ne sai sulla... cucina flambé?
1 2 3
Si può anche definire così la cucina flambé a) b) c)
Cucina spettacolo Cucina di sala Cucina veloce
Sono adatti alla cucina di sala a)
b)
Distillati e liquori Liquori e amari
c) Bitter e distillati La cucina flambé può essere utile per a)
Il sommelier
c)
Il bartender
b) Il barchef
4
Il termine flamber deriva dal francese e significa
5
Il metallo migliore per utilizzare la lampada
6
7
a) b) c)
a) b) c)
Friggere Farfugliare Fiammeggiare
Ferro Alluminio Rame
Se la padella non è antiaderente a) b) c)
Il cibo si attacca Il cibo diventa tossico I gusti cambiano
Le lampade ad alcol liquido danno a)
b) c)
Una cottura forte Una cottura veloce Una cottura dolce 23
8
Sui dolci flambati spesso ci va... a) b) c)
Miele Zucchero Nocciole tritate
I distillati da utilizzare per flambare non dovrebbero superare
9 10 11 12 13
a) b) c)
15° 40-45° 30°
Si adatta a piatti forti, come carni rosse a) b) c)
Maraschino Armagnac Gin
Distillato adatto per primi piatti e pesce a) Triple sec b)
Vodka
c) Gin Grazie alla sua aromaticità, va bene con caprioli e salumi a) b) c)
Gin Vodka Kirsh
Meglio usarla per versare l’alcol a) Bottiglia b) c)
Brocca di vetro Bicchiere
Le padelle da utilizzare devono essere in
14
a) b) c)
Rame Ferro battuto Acciaio inox
Per facilitare l’evaporazione dell’alcol
15
a) b) c)
Spegnere con acqua Aggiungere zucchero Far ruotare la padella 24
16 17 18 19 20
L’alluminio può essere utilizzato? a) No, si può ossidare b) c)
Sì, senza problemi Solo in determinate ricette
Il fiammifero può essere utilizzato per accendere la fiamma? a) b) c)
Sì, solo se esperti Si, è sempre preferibile all’accendino No, assolutamente
Quale parte va surriscaldata per fare la flambata? a)
Il bordo
c)
Nulla, avviene da sola
b) Tutta la padella Viene utilizzato anche per fiammeggiare dessert a)
Rum
c)
Gin
b) Vodka Famoso distillato della zona della Charante adatto a piatti forti a)
Brandy
c)
Cognac
b) Rum
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modulo 2
IL MONDO DEL VINO 26
Scarica l’espansione online sul vino:
MODULO 2: IL MONDO DEL VINO
IL MONDO DEL VINO L’enogastronomia in generale e la conoscenza dei vini in particolare stanno guadagnando sempre più terreno nel mondo della ristorazione, arrivando persino a superare i confini dei classici locali, per approdare nel variegato mondo dei bar. Sempre più statistiche segnalano che uno degli aperitivi preferiti è proprio un buon bicchiere di vino, soprattutto se contiene “bollicine” (prosecco o spumante in primis). Questo perché le abitudini dei consumatori si stanno spostando sempre di più verso bevande meno alcoliche rispetto ai cocktail.
L’ANTICA STORIA DEL VINO...
Il termine “vino” ha origine dal verbo sanscrito vena (“amare”), da cui deriva anche il nome latino Venus della dea Venere. Lo stesso termine sanscrito deriva da una radice proto indoeuropea -win-o- (cf. l’ittita: wiyana, il licio: Oino, l’antico greco οῖνος - oînos, il greco eolico οίνος - voinos). Dal termine latino vinum e anche attraverso la rielaborazione delle lingue celte, ebbero luogo molte delle denominazioni nelle altre lingue. Nel Valdarno Superiore, intorno a Montevarchi (AR), in depositi di ligniti sono stati ritrovati dei reperti fossili di tralci di vite (Vitis Vinifera) risalenti a 2 milioni di anni fa. Altri ritrovamenti archeologici dimostrano che la Vitis vinifera cresceva spontanea già 300.000 anni fa. 27
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Studi recenti tendono ad associare i primi degustatori di tale bevanda già al neolitico. Si crede infatti che la scoperta sia stata casuale, dovuta alla fermentazione naturale avvenuta in contenitori dove gli uomini riponevano l’uva. Le più antiche tracce di coltivazione della vite sono state rinvenute sulle rive del Mar Caspio e nella Turchia orientale. Un calice di vino racconta millenni di storia umana. Gli studiosi, che nel corso del XX secolo hanno cercato di scoprire quanto la terra nasconde alla vista degli uomini, si sono imbattuti casualmente nella più antica giara di vino mai rinvenuta. Questo nel 1906, quando una missione archeologica americana, organizzata dall’Università della Pennsylvania e diretta da Mary Voigt, ha scoperto nel villaggio neolitico di Hajji Firuz Tepe, nell’Iran settentrionale, una giara di terracotta della capacità di 9 litri, contenente una sostanza secca proveniente da grappoli d’uva. La notizia è stata riportata dal Corriere Scienza del 15 ottobre 2002 ed aggiunge che i reperti rinvenuti risalgono al 5100 a.C., quindi a 7000 anni fa. Gli specialisti, però affermano che la prima produzione di vino è più antica, forse casuale, cioè risalente tra 9000 e 10000 anni fa, nella zona del Caucaso. I primi documenti riguardanti la coltivazione della vite risalgono al 1700 a.C., ma bisogna andare in Egitto per osservare lo sviluppo delle coltivazioni e di conseguenza la produzione del vino. Nell’Antico Testamento e dopo Cristo... La Bibbia (Genesi 9,20-27) attribuisce la scoperta del processo di lavorazione del vino a Noè: successivamente al Diluvio Universale, avrebbe piantato una vigna con il cui frutto fece del vino che bevve fino ad ubriacarsi. Secoli dopo, Gesù Cristo ha scelto il vino come elemento sotto cui, nel sacramento dell’Eucarestia, si cela il Suo sangue “per la nuova ed eterna alleanza, versato per voi e per molti in remissione dei peccati”.
L’Impero Romano riesce a dare un’ulteriore impulso alla produzione del vino, che passa dall’essere un prodotto elitario a divenire una bevanda di uso quotidiano. In questo periodo le colture della vite si diffondono su gran parte del territorio, e con l’aumentare della produzione crescono anche i consumi. Tuttavia non dobbiamo pensare che il vino che bevessero i Romani sia come il nostro. Differenze, come le tecniche di conservazione (soprattutto la bollitura), facevano 28
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risultare la bevanda come una sostanza sciropposa, molto dolce e molto alcolica. Si rendeva necessario allungarlo con acqua ed aggiungere miele e spezie per ottenere un sapore più gradevole. Dopo il crollo dell’Impero Romano, la viticoltura viene parzialmente abbandonata e rifiorirà solo nel Medioevo, grazie soprattutto all’impulso dato dai monaci benedettini e cistercensi. Nella stessa Regola, Benedetto afferma: “Ben si legge che il vino ai monaci assolutamente non conviene; pure perché ai nostri tempi è difficile che i monaci ne siano persuasi, anche a ciò consentiamo, in modo però che non si beva fino alla sazietà.” Proprio nel corso del Medioevo nasceranno tutte quelle tecniche di coltivazione e produzione che arriveranno praticamente immutate fino al XVIII secolo, quando ormai la produzione ha carattere “moderno”. Qualità e gusto del vino si stabilizzano, e viene anche introdotto l’uso delle bottiglie di vetro e dei tappi di sughero. Dal XIX secolo ai giorni nostri Nel XIX secolo l’oidio e la fillossera, malattie della vite provenienti dall’America, distruggono enormi quantità di vigneti. I coltivatori sono costretti a innestare i vitigni sopravvissuti sopra viti di origine americana (Vitis labrusca), resistenti a questi parassiti, e ad utilizzare regolarmente prodotti fitosanitari come lo zolfo. Nel Novecento, inizialmente da parte della Francia, si ha l’introduzione di normative volte a regolamentare la produzione (origine controllata, definizione dei territori di produzione ecc.) che porteranno a un incremento qualitativo nella produzione del vino a scapito della quantità. Nasceranno però anche grandi “maison du vin” che nel tempo renderanno celebri i vini francesi.
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LA PRODUZIONE DEL VINO Il vino è una bevanda alcolica fermentata, ottenuta esclusivamente dalla fermentazione (totale o parziale) del frutto della vite, l’uva (sia essa pigiata o meno), o del mosto. La prima operazione che avviene per la produzione è l’osservazione dei grappoli per controllare qual è il momento migliore per la vendemmia. In questo caso si usano opportuni strumenti e viene fatta dall’enologo. Successivamente vi è la raccolta delle uve, generalmente manuale: queste vengono sistemate in cassette e poi grazie a trattori o camion, verranno trasportate in cantina. In alcune zone come la Valtellina o le Cinqueterre, si usano anche mezzi “atipici”, come il trenino.
LE OPERAZIONI FONDAMENTALI L’operazione della pigiatura La pigiatura dell’uva può cambiare a seconda della tecnologia utilizzata e del risultato che vogliamo ottenere. Per la vinificazione in rosso si usa la diraspapigiatura delle uve, mentre per quella in bianco viene usata la pressatura diretta. Nella pigiatura soffice i grappoli vengono schiacciati delicatamente e nello stesso momento i raspi eliminati. Alcune macchine moderne permettono di eliminare i raspi e nello stesso momennto schiacciare gli acini: in questo modo si evita il rilascio nel mosto dei tannini erbacei, che di fatto potrebbe rendere il vino troppo astringente. Il mosto Il succo che otteniamo dalla pigiatura è formato da acqua ma contenente diverse sostanze: alcune di queste resteranno anche nel vino, altre invece si trasformeranno arricchendo di profumi e sapori. Nel mosto troviamo anche una quantità di zucchero: questa dipende dalla percentuale contenuta negli acini. In buona sostanza, più nel mostro ci sarà zucchero, più il vino sarà alcolico. I polifenoli, un’altra sostanza importante, donano invece altre caratteristiche, come la struttura, la tannicità, il colore. Le correzioni del mosto Il mosto subisce successivi trattamenti che lo renderanno più limpido, stabile, migliorandone anche la qualità. Questo avviene prima della vinificazione e sarà necessario, alcune volte, anche correggere il mosto per compensare carenze in acidi o in zuccheri.
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Illimpidimento Prima dell’imbottigliamento il vino deve essere reso limpido (illimpidimento) grazie alla filtrazione, centrifugazione e chiarificazione. Vediamo di cosa si tratta. • La filtrazione Questa operazione serve per eliminare le sostanze sospese nel vino stesso. Si effettua con setti filtranti porosi oppure per assorbimento sfruttando l’attrazione elettrostatica delle piccole particelle sospese. In questo modo si garantisce il trattenimento di sostanze più piccole dei filtri porosi oppure mediante l’impiego di filtri a membrana microporosa, che trattengono anche i microrganismi. • La centrifugazione L’impiego della centrifuga permette di ottenere vini e mosti limpidi, privati delle particelle solide più pesanti. • La chiarificazione Viene effettuata aggiungendo al vino sostanze colloidali che provocano la flocculazione e la precipitazione delle particelle in sospensione. Possono essere usati anche chiarificanti di origine minerale come la bentonite (argilla) e la silice. Tra quelli di origine organica vengono usati la gelatina, l’albumina, la caseina e la colla di pesce. • La rifermentazione Si effettua allo scopo di trasformare in alcol tutto il residuo zuccherino, oppure per ringiovanire i vini troppo vecchi. In questa fase troviamo anche l‘anidride solforosa, una sostanza gassosa aggiunta al mosto. La quantità addizionata dipende dalla carica batterica presente e dagli effetti che si vogliono ottenere. Questa sostanza ha antiossidanti e antisettiche e tende a limitare i danni causati dall‘ossigeno e dagli enzimi ossidativi. In questo modo si riducono i fenomeni di imbrunimento, particolarmente per quanto riguarda i mosti bianchi. La sua azione favorisce la chiarificazione e inibisce lo sviluppo di batteri e lieviti selvaggi, favorendo quello dei Saccharomyces. Concentrazione di zuccheri e acidità Tra le correzioni possibili, vi è anche quella che permette di aumentare la concentrazione zuccherina e l‘acidità. La correzione può agire in due modi: aumentare oppure diminuire la quantità del grado zuccherino. Considerato che la legislazione italiana non permette di aggiungere zucchero, si riucorre invece all’aggiunta di mosto concentrato, ottenuto grazie alla parziale evaporazione dell‘acqua. In commercio si può trovare anche il mosto concentrato rettificato (MCR): la sua produzione avviene per evaporazione sottovuoto, alla quale segue una successiva rettificazione. Si possono usare anche uve fatte parzialmente appassire. Nel campo delle correzioni, si può anche diminuire il grado zuccherino utilizzando mosti meno ricchi di zucchero. Per correggere l’acidità, invece si usa acido tartarico. La macerazione La macerazione è una fase molto importante e si riferisce al contatto delle bucce con il mosto liquido. In base ai tempi di questo contatto possiamo avere una vinificazione in rosso, in rosato oppure in bianco. Durante la macerazione i pigmenti (e le altre sostanze) si dissolvono ed avvengono altre operazioni chimiche nel mosto.
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La vinificazione in rosso Per quanto riguarda la vinificazione in rosso, le vinacce vengono lasciate a macerare insieme al mosto. In questo modo tutti i tannini, le sostanze coloranti (il “rosso”) e gli aromi, vengono trasferiti dalle vinacce al vino. La macerazione può durare da pochi giorni a diverse settimane, a seconda del tipo di vino rosso che si vuole ottenere (da vini più freschi e fruttati a vini più corposi e tannici). Dopo i trattamenti ed eventuali correzioni, il mosto viene lasciato in appositi fermentatori (che possono essere in acciaio inossidabile o in vetroresina). Qui si aggiungono lieviti selezionati in modo tale da far fermentare a contatto con le vinacce (bucce e vinaccioli). Nei primi giorni di contatto vengono estratti gli antociani: questi conferiscono al mosto colori molto intensi, donando tonalità tendenti al rosso rubino, al viola o blu scuro. Nei giorni successivi, parte dei pigmenti verranno riassorbiti dalle bucce, con l’effetto di indebolire il colore, a vantaggio di una migliore estrazione dei polifenoli totali. Il vino acquisisce una maggiore struttura ed un gusto più deciso. In alcuni casi la fermentazione dei vini rossi si può concludere nelle barrique: il legno, in questo caso, arricchirà con le sue componenti aromatiche il vino. Tempo di macerazione per i vini rossi Per la maggior parte dei vini rossi, è prevista una macerazione di 10-15 giorni. In altri casi, per vini leggeri, massimo 4-5 giorni, mentre in rari casi pochi mosti possono essere lasciati macerare per un mese. Durante la fermentazione tumultuosa, si forna in superfice quello che viene definito come il cappello delle vinacce, il quale tende quasi a solidificarsi. Il mosto sarà quindi rimescolato con la follatura o il rimontaggio. La follatura (una volta) si realizzava con aste di legno, recanti un disco forato all‘estremità, con le quali veniva mescolato il liquido in fermentazione. Oggi, nelle produzioni industriali, si usano i cosiddetti rotovinificatori, vasche in acciaio a cilindro orizzontale, in cui la follatura è realizzata da un elica che ruota lentamente all’interno del cilindro, o, in altri casi, dalla rotazione del cilindro stesso. Per quanto riguarda il rimontaggio, consiste nel pompaggio di mosto liquido da una valvola posta nella parte inferiore della vasca (sempre in acciaio inox, di cemento, di vetro-resina oppure anche in legno) che viene poi irrorato dall’alto sul “cappello”. La temperatura La temperatura che può raggiungere il mosto in fermentazione può essere anche elevata, utile per dissolvere le sostanze presenti nelle bucce, ma nello stesso tempo potrebbe anche danneggiare la qualità del vino. Per cui si cerca di tenere una temperatura controllata, intorno ai 25-30 °C. I lieviti solitamente hanno bisogno di una temperatura tra i 15-30 °C per fermentare: se vi è una temperatura più bassa, ciò non avviene, mentre all’opposoto, oltre i 37 °C, l’azione viene bloccata. Si ricorre, in questi casi, ad una temperatura controllata refrigerando il mosto. Qualche riga addietro, abbiamo definito “tumultuosa“ la fermentazione: ciò è dovuto all’azione dell’anidride carbonica che fa ribollire letteralmente il mosto. In questo processo i lieviti trasformano gli zuccheri in alcol etilico, anidride carbonica, appunto, e sostanze secondarie. I componenti passano dalle bucce alla parte liquida ed il colore si fa più intenso. 32
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Svinatura e torchiatura Una volta terminata la fermentazione tumultuosa, l’operazione successiva è svinatura: si eliminano le bucce e le fecce di fermentazione, le cellule morte di lievito non più utili, sostanze coagulate, sali e piccole particelle solide. Le vinacce, successivamente vengono asciugate grazie alla torchiatura o pressatura, svolta in maniera delicata. Oggi si usano delle moderne presse a membrana orizzontali, oppure dei torchi continui, che per avere la massima estrazione utilizzano tuttavia pressioni molto elevate. Le vinacce però non hanno terminato il loro scopo: dove è prevista dal disciplinare, possono essere mandate in distilleria per produrre la famosa grappa, il distillato di vinacce appunto. Si possono produrre grappe anche utilizzando uve di celebri vini passiti (è il caso dello Sciacchetrà). Ancora non siamo davanti però al prodotto “vino“, quello che comunemente beviamo in bottiglia. Vi sono ancora trattamenti di stabilizzazione da effettuare, oltre ad una breve maturazione per perfezionarne l’equilibrio. La vinificazione in bianco Per ottenere vini bianchi, durante la macerazione si separano le vinacce dal mosto. Il vino bianco si può ottenere sia da uve bianche che da uve rosse: il segreto è separare sempre le bucce dal mosto. L’uva, dunque, una volta pigiata, viene sgrondata (le vinacce vengono tolte) in maniera delicata: in questo modo tannini e sostanze coloranti non vengono in contatto con il vino. Infatti il colore è determinato dalle sostanze coloranti presenti nelle bucce. Le uve a bacca bianca sono più delicate di quelle a bacca rossa ed occorrerà una maggiore cura. Sempre per questo motivo, le bucce si eliminano quasi subito ricorrendo ad una pressatura soffice. Le caratteristiche del vino bianco sono una buona acidità e profumo; generalmente questi vini non sono destinati ad invecchiamento ed è preferibile consumarli entro un paio di anni. Pressatura e fermentazione Una volta raccolti, i grappoli sono inseriti nella pressa idraulica orizzontale. Successivamente, all’interno, una camera d‘aria viene gonfiata: in questo modo gli acini vengono pressati delicatamente, facendo fuoriuscire un mosto fiore molto fine e nello stesso tempo vengono eliminati raspi, bucce e vinaccioli. La fermentazione sarà realizzata con una temperatura inferiore a quella della vinificazione in rosso (intorno ai 18-22 °C). La macerazione pellicolare Questo tipo di macerazione riguarda la produzione di vini bianchi di maggiore personalità e destinati ad evoluzione. In questo caso la vinificazione in bianco viene fatta precedere da una breve macerazione di qualche ora per consentire l‘estrazione dei pigmenti e delle sostanze odorose presenti nelle bucce. In questo caso la temperatura, durante la macerazione, per evitare possibili danni alla qualità del mosto,viene 33
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portata intorno ai 8-10 °C, ma può scendere fino a 0-2 °C nella criomacerazione. Il congelamento determina un aumento del volume dell‘acqua, che causa la rottura delle cellule dell‘acino. In questo modo viene facilitata l‘estrazione delle sostanze durante la successiva pressatura. La vinificazione in rosato Le uve adatte a questo tipo di vinificazione sono uve rosse con poco pigmento. I vini rosati si ottengono lasciando le bucce a macerare con il mosto per un periodo di tempo limitato, dalle 12 alle 24 ore. Oppure si può macerare anche solo una piccola parte delle uve. Si possono utilizzare anche uve a bacca rossa poco pigmentate e povere di tannini, oppure si possono anche mescolare uve rosse e bianche (ma non miscelare i vini). Il vino rosato si presenta con colori e profumi delicati e come struttura si avvicina più ai bianchi che non ai rossi. Colmature e scolmature Nella fase successiva il vino va fatto “riposare“: in questo caso il volume del vino nella botte potrebbe anche diminuire, soprattutto se ci troviamo in zone calde oppure nel caso di botti di legno che possono assorbire il liquido. Le botti devono essere sempre colme di vino, onde evitare l‘ossidazione e lo sviluppo di microrganismi aerobi. Potrebbe accadere anche l’inverso, che la dilatazione causata dall’aeumento dellla temperatura, potrebbe far aumentare di volume il vino e farlo tracimare. A questo serve il controllo del cocchiume, il foro di apertura della botte. In tutti e due i casi, il volume del vino nella botte deve essere tenuto costante, ricorrendo a colmature e scolmature manuali oppure usando dei tappi colmatori, piccoli recipienti in vetro che si sistemano nel cocchiume. Il tappo contiene una piccola quantità dello stesso vino presente nella botte: nel caso di diminuzione del volume, parte del vino discende nella botte; all’opposto, quando aumenta, affluisce in parte all‘interno del tappo. In questa fase si possono anche avere trattamenti di chiarificazione a temperature basse, con bentonite e gelatina, seguiti da accurate filtrazioni per mezzo di sgrondanti e brillantanti. Nel caso in cui il vino non venisse sottoposto a filtrazioni, il retro dell‘etichetta riporterà la dicitura “non filtrato“. L’importanza dei travasi I travasi sono fondamentali nella produzione del vino e permettono ottenere prodotti limpidissimi e nello stesso tempo eliminare sostanze solide indesiderate e nocive (le fecce). Infatti dopo il termine della fermentazione, il vino si presenta torbido, con molte particelle in sospensione. Questo oltre a pregiudicarne l‘aspetto, nel tempo può anche essere causa di alterazioni e difetti. Queste sostanze solide in sospensione (prevalentemente composte dalle cellule dei lieviti, residui di bucce e polpa dell‘uva) si depositeranno sul fondo del contenitore; proprio grazie al travaso si separerà la parte limpida da quella solida. Il numero e la frequenza dei travasi sono maggiori per i vini rossi poiché più ricchi di sostanze estrattive e quindi di fecce. Rifermentazione e pastorizzazione Un’altra operazione che può correggere eventuali leggeri difetti del vino è la pratica della 34
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rifermentazione: in sintesi si aggiunge un poco di mosto fresco (concentrato o muto). A questo, anche lieviti selezionati che permettono la ripartenza della fermentazione. La pastorizzazione è invece un processo termico che ha per obiettivo quello di rendere inattivi gli enzimi e nello stesso tempo distruggere i microrganismi: questi infatti potrebbero causare alterazioni e determinare malattie. Variazione del grado alcolico e l‘acidità Per aumentare il volume del grado alcolico si può ricorrere alle refrigerazioni, portando il liquido alla temperatura di -15/-18 °C. Una volta invece si ricorreva ai tagli. Se invece vogliamo aumentare l’acidità, si ricorre all’addizione di acido tartarico oppure eventualmente acido citrico. La legislazione importa massimo 100 g/hl.
L’anidride solforosa Dopo la maturazione e la filtrazione (e prima di imbottigliare il vino), nei serbatoi dove sta riposando viene aggiunta anidride solforosa. L‘anidride solforosa (formula chimica è SO2 ) è un gas incolore, dal tipico odore pungente e acre, irritante per gli occhi e per il tratto respiratorio. Nel vino si usa in piccole dosi e contribuisce a ridurre i fenomeni di ossidazione. L‘invecchiamento Il vino può essere fatto maturare in pochi mesi in recipienti di acciaio oppure vetroresina: avremo quindi vini che mantengono intatte la fragranza e l‘aromaticità del vitigno. Invece per avere vini complessi e strutturati, occorreranno più anni in botti di legno. Si possono anche avere casi nei quali il vino può trascorrere un periodo in acciaio, per finire invecchiato in botte. Vediamo meglio queste due fasi. • Riposo in acciaio Il riposo in acciaio viene concesso ai vini bianchi, rosati e rossi che possono essere bevuti giovani. Con questo tipo di invecchiamento, vengono conservate alcune caratteristiche come la freschezza dei profumi e del gusto. Nella primavera successiva all’anno della vendemmia, dopo aver trascorso questo periodo in acciaio, i vini vengono imbottigliati dopo i trattamenti di stabilizzazione e filtrazione. • Riposo in legno Perché invecchiare in botti di legno? Vi è un motivo scientifico: infatti grazie alla 35
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microporosità del legno, questo consente di scambiare ossigeno con il vino che riposa e donare profumi, colori e gusto. Con l’invecchiamento i vini rossi aumentano la loro tonalità andando nella scala granata ed aranciata. Se un tempo erano grandi le botti di legno destinate all’invecchiamento, oggi si prediligono le barrique che hanno una capacità di 225 l, non solo per i vini rossi, ma anche per vini bianchi ed in alcuni casi distillati come il Rum ed il Whiskey. Nei vini bianchi, l’invecchiamento permette di aumentare la tonalità del giallo paglierino, sino al dorato o, nei casi dei vini passiti, donandogli le classiche sfumature ambrate. Anche in questo caso l’azione si diffonde al bouquet, arricchendo il vino di profumi complessi. Ma cosa avviene sostanzialmente durante il riposo in botte? Intanto il vino riposa sur lie: questo termine francese significa letteralmente “sul fondo“ o sullo “sporco“, dove si intendono i lieviti di fermentazione. Questi proteggeranno il vino dalle ossidazioni e gli conferiranno il profumo e la struttura. La grandezza della botte influisce anche su questo processo, rendendolo per esempio più rapido nel caso delle barriques. Queste sono formate da legni provenienti dalle parti alte delle foreste, alberi cresciuti molto lentamente con un legno compatto e porosità molto fini. In particolare viene usato legno di rovere, mentre in tempi passati si usava anche ciliegio e castagno. Oltre alle barriques, possiamo trovare anche le tonneaux, botti ottenute sempre da rovere, ma con una capacità 500 litri. L‘imbottigliamento Siamo arrivati all’ultima fase della produzione del vino, ossia l’imbottigliamento. La prima operazione, prima di tappare, è quella di insufflare azoto (insapore, incolore, quindi non altera il prodotto) per evitare il contatto con l’aria. Di solito bengono impiegate bottiglie di vetro che garantiscono la qualità del vino, mentre per vini pronti al consumo o da tavola, si possono anche usare bag-in-box oppure contenitori di plastica. Il tappo Non vi è solo il tappo di sughero, ma ve ne sono diverse qualità: plastica, a vite a corona, al silicone. Quest’ultimo per esempio non consente alcuno scambio con l‘esterno e viene usato per i vini di pronta beva, oltre al fatto che economicamente costano poco. La stessa cosa per i tappi di plastica: economici e funzionali. Tuttavia i tappi più utilizzati per i vini di pregio sono quelli di sughero. Questo materiale favorisce il prefetto affinamento del vino. È inodore, insapore ed è impermeabile all’acqua ed all’aria 36
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(provate ad immergerlo nell’acqua e non affonderà). Le sue pareti cellulari sono ricche di suberina, un miscuglio di esteri di acidi carbossilici saturi e insaturi in grado di formare uno strato impermeabile all‘acqua. L’unico fastidio è il rischio dell’odore “di tappo“ ed il responsabile è un fungo, l‘Armillaria mellea, parassita della quercia da sughero. Il tappo viene sempre rivestito con tipi di capsule, che rappresentanto l‘ultima protezione del vino nella bottiglia. Esse sono formate da da plastica termoretraibile, stagnola oppure alluminio. Le bottiglie Le bottiglie possono avere vari usi. Se si tratta di vini destinati all’invecchiamento, meglio utilizzare vetro scuro, che non permette il filtraggio della luce. In questo modo non vi saranno fenomeni di ossidazione (la stessa pratica viene usata anche in erboristeria). Invece, se il vino non è destinato a riposare a lungo nella bottiglia, si possono uitilizzare vetri trasparenti. Generalmente la capacità delle bottiglie in commercio è di 750 ml (la più comune), mentre per i passiti vengono spesso impiegate quelle da 375 ml, oppure da 500 ml. Tuttavia esiste una “scala“ di bottiglie“ che arrivano sino a 30 litri. I loro nomi sono riferiti a grandi personaggi biblici (in particolare dell’Antico Testamento).
LE ALTRE TECNICHE PRODUTTIVE PER IL VINO Oltre alle tecniche già menzionate, ne esistono anche altre per mezzo delle quali si ottengono vini molto apprezzati. Vino novello Questo vino si ottiene grazie alla tecnica di macerazione carbonica la quale prevede la sistemazione dell’uva (né pigiata, né privata dei raspi) in appositi autoclavi, nelle quali viene immessa anidride carbonica ed eliminata l’aria. In questo modo, all’interno degli acini, avviene un tipo di fermentazione particolare: la cosiddetta fermentazione intracellulare che consente la formazione di sostanze aromatiche molto diverse dai vini normali. Una volta conclusa la macerazione, l’uva viene pigiata e diraspata e sottoposta a fermentazione. In Francia, dove si può dire che questo metodo sia nato, il sistema viene applicato al Beaujolais nouveau usando esclusivamente uve Gamay. 37
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In Italia la norma per il “vino novello” è presente con il D.M. del 6 ottobre 1989, modificato in seguito dal D.M. 13 agosto 2012. La normativa italiana richiede, affinché il vino ottenuto possa definirsi novello, che il processo di vinificazione carbonica riguardi il 40% delle uve, mentre il restante 60% può essere trattato con tecniche di vinificazione classiche. Proprio per questo motivo, è possibile trovare in commercio novelli con una percentuale di vino ottenuto da macerazione carbonica molto variabile, dal 40 al 100%. Tra l’Italia e la Francia ci sono, inoltre, alcune differenze rilevanti: • i vitigni utilizzati per questa tecnica sono in italia 60, dei quali 7 cosiddetti internazionali; • il periodo di immissione in commercio in italia è a partire dalle 00.01 del 30 ottobre dell’annata di produzione delle uve utilizzate, fino al 31 dicembre; • la gradazione alcolica minima deve essere dell›11% in volume; • il vino può essere immesso nella rete commerciale dal terzo giovedì di novembre. Vino frizzante Lo si può ottenere in vari modi, tra cui il più diffuso è la rifermentazione in autoclave (così si produce lo spumante, per esempio). Le autoclavi consentono di trattenere l’anidride carbonica. Successivamente, si procede ad un imbottigliamento isobarico (ovvero senza contatto con l’aria) onde evitare la dispersione dell’anidride carbonica. Vino passito I vini passiti, seppur catalogati spesso tra i vini speciali, in realtà sono dei vini normali poiché subiscono il processo di vinificazione; prima di essere messi in commercio vengono sottoposti ad ulteriori interventi tecnici. La differenza fondamentale tra i vini passiti e gli altri vini è la seguente: le uve dei vini passiti, prima di essere vinificate, sono sottoposte per un periodo più o meno lungo ad appassimento. In questo modo si riduce l’acqua presente nell’acino e questa sovramaturazione fa sì che i grappoli diventino ancora più dolci: il glucosio e il fruttosio aumentano in quantità e si concentrano. Autoclave per spumantizzazione
Due sono i sistemi per appassire le uve. Il primo sistema prevede che si lasci appassire gli acini dell’uva direttamente sulle piante (viene definita vendemmia tardiva, che vedremo meglio tra poco). In questo caso vi può essere anche un’aggressione degli acini da parte della cosiddetta muffa nobile (botrytis cinerea).
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La seconda tecnica, invece, prevede l’appassimento dei grappoli o degli acini d’uva successivamente alla raccolta. L’appassimento dell’uva può avvenire in un ambiente aperto su stuoie o graticci, oppure appendendo l’uva in ambiente chiuso, in appositi locali con particolari condizioni di temperatura e umidità. La maggior parte dei vini passiti è ottenuta con il cosiddetto appassimento forzato, nel quale si può applicare un sistema di ventilazione artificiale con aria riscaldata intorno ai 30 °C, piuttosto secca, con umidità di circa il 55-60% per evitare marciumi indesiderati. Grazie a questo sistema il tempo di appassimento si riduce da circa 80 giorni, ad appena una decina. Una volta appassite, le uve vengono pressate e vinificate e il periodo di affinamento può durare anche alcuni anni. I vini passiti che vengono addizionati con alcol o mosto fermentato danno luogo ai vini passiti liquorosi (riconoscibili anche per l’apposita etichetta che si trova sul collo della bottiglia).
Tra i passiti italiani ricordiamo: • Sciacchetrà, prodotto nelle Cinqueterre e ottenuto dalle uve dei vitigni Bosco, Vermentino e Albarola; • Erbaluce Passito, prodotto in Piemonte esclusivamente con vitigno Erbaluce; • Sagrantino passito DOCG, prodotto in Umbria.
Guarda la mappa dei vini passiti.
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I profumi I sentori che troviamo nei vini passiti ricordano l’uva passa, la frutta essiccata in genere, il miele, la vaniglia ed i fiori appassiti. In bocca si presenta morbido e si può abbinare non solo ai dolci (per concordanza) ma anche a formaggi formaggi erborinati non molto stagionati, accompagnati con miele e confetture. La vendemmia tardiva Le uve appassiscono per il semplice fatto che perdono acqua e di conseguenza vi è una maggiore concentrazione di zuccheri ed una minore acidità. Più evapora l’acqua dagli acini, maggiore sarà la concentrazione delle sostanze nella polpa e nella buccia. Come accennavamo, durante l‘appassimento prende forma la Botrytis cinerea (detta anche muffa nobile). Essa produce molta glicerina, donando morbidezza al vino e nel frattempo consumando molti acidi (tra cui l‘acido malico). Quando le uve vengono lasciate appassire completamente sulla pianta, la vendemmia viene ritardata (da qui vendemmia tardiva). In Francia la dizione “Vendages Tardives” è autorizzata solo in quattro AOP: Alsace, Alsace Grand Cru, Jurançon (sotto i Pirenei) e Gaillac (a nord di Toulouse). In Alsazia le Vendages Tardives possono essere prodotte con uva Muscat, Gewürztraminer, Pinot Gris e Riesling; a Gaillac da uva Ondenc, da Loin-de-l’Oeil, da Mauzac e da Muscadelle, mentre a Jurançon da Petit e Gros Manseng. I vini di ghiaccio Meritano una menzione i cosiddetti “vini di ghiaccio”: si tratta di vini ottenuti da uve lasciate tutto l’autunno e tutto l’inverno sulle viti. I grappoli vengono raccolti solo in gennaio, avvolti da un velo ghiacciato, quando l’acqua congela all’interno degli acini. La raccolta avviene quando la temperatura è bassissima, sotto i -7 °C, per ottenere un mosto molto povero di acqua, ma denso di zuccheri, acidi, sali ed altre sostanze estrattive. I vini di ghiaccio sono prodotti in Paesi come il Canada (Ontario), l’Austria e la Germania, dove vengono rispettivamente chiamati Icewine e Eiswein. Grappoli d’uva in attesa di essere raccolti per produrre i cosiddetti vini di ghiaccio
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DOVE SI PRODUCE IL VINO IN TUTTO IL MONDO • Italia: tutte le regioni. • Francia: la Gironda, tra la provincia di Bordeaux, il Lesparre-Médoc e Libourne; la Borgogna; la Champagne; l’Alsazia; la valle della Loira e la Turenna; la valle del Rodano; la Giura e la Savoia; la Linguadoca-Rossiglione; e una zona tra la Provenza e la Corsica; • Germania: attorno al fiume Reno; a sud-ovest di Coblenza, lungo la Mosella; lungo il Neckar vicino a Stoccarda; vicino Würzburg, lungo il Meno; la valle della Nahe; l’Assia Bergstraße; • Spagna: la zona della Rioja e la Navarra; la Catalogna; la zona dello Sherry intorno a Jerez de la Frontera; la Ribera del Duero; • Portogallo: la zona di Porto con il Minho e il Douro; la zona tra Beira Alta e Beira Litorale; l’isola di Madeira; • Libano: soprattutto la Valle della Beqa’; • California: le Napa; Mendocino; e Sonoma valleys; più a nord tra l’Alameda e le montagne di Santa Cruz e lungo il fiume di Salinas; ma anche negli Stati di Oregon, Idaho e Washington; • Argentina: nelle province di Mendoza, San Juan, La Rioja, Salta, Rio Negro, Cordoba ecc; • Cile; • Nella zona del Tokaj tra Slovacchia e Ungheria; • Siria: nell’Aleppo, nell’Homs e nel Damasco; • Cipro; • Australia: nel Victoria e in Tasmania; in alcune zone del Nuovo Galles del Sud; in Australia Meridionale (attorno ad Adelaide); lungo il fiume Margaret River e altrove; • Nuova Zelanda; • Sudafrica: nelle zone del sud; • Austria orientale; • Repubblica Ceca: la Moravia;
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• Croazia; • Grecia: in Macedonia, nel Peloponneso del sud e a Creta; • Messico: soprattutto nello stato di Sonora; • Brasile: in San Paolo; Santa Catarina; e nel Rio Grande do Sul; • Salto, in Uruguay; • Perù: nell’Ica; • Algeria: nella provincia di Orano • Cina; • India; • Giappone; • Romania: nella Regione Est - Moldova, Cotnari, Regione del Sud – Craiova; • Moldavia: nella Regione Centrale e Sud del paese (Orhei, Stefan Voda, Ialoveni, Hincesti, Comrat): Chateau Vartelly, Purcari, Milestii Mici, Cricova, Vitis Hincesti, Tomaj ecc.
LA LEGISLAZIONE EUROPEA Nel 2010 è stato pubblicato un decreto legislativo (il n. 61/2010, disponibile in formato pdf su Manuali.net, sezione Gastronomia oppure su Aibmproject.it sezione E-book e libri) che ha recepito le norme europee, dando una nuova classificazione ai vini. Il nuovo Ocm Vino ha cancellato i Vqprd (vini di qualità prodotti in regioni determinate) sostituendoli con i Dop (denominazione di origine protetta), uniformando così i vini ai prodotti di origine protetta come salumi, formaggi ecc. Sotto il cappello Dop sono finite sia le Doc che le Docg. I vini IGT invece diventano IGP (indicazione geografica protetta), mentre i vini da tavola vengono definiti vini “generici” e potranno indicare in etichetta il vitigno e l’annata. Ecco come apparirà la nuova classificazione.
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MODULO 2: IL MONDO DEL VINO
• Vini DOP (che comprendono sia i doc che docg) • Vini IGP • Vini generici con annata e vitigno • Vini generici
Cosa cambia nella bottiglia
I controlli sulle bottiglie saranno affidati a un soggetto terzo e non più agli stessi consorzi di produttori. Il decreto modifica anche i tempi per i passaggi da una denominazione all’altra: i tempi per diventare da doc a docg si allungano di 5 anni (ne occorrono 10 ora).
LA NUOVA DICITURA
COSA NON LEGGEREMO PIÙ
DOP Denominazione di origine protetta che potrà essere usata congiuntamente o disgiuntamente a DOC e DOCG.
VQPRD Dicitura comunitaria che sta per Vini di qualità prodotti in regioni determinata. Si chiameranno tutti DOP.
IGP IGT “Indicazione geografica protetta” che “Indicazione geografica prende il posto della vecchia Igt. sostituita con IGP.
tipica”
sarà
Storico Da tavola Corrisponde alla dicitura “classico” per i I cosiddetti vini “da tavola” saranno vini fermi e si riferisce ai vini spumanti chiamati “vini generici”. DOC e DOCG.
I VINI NEL BAR Generalmente la parte da leone dei vini presentati nelle carte dei bar, la fanno le cosiddette “bollicine”, anche se negli ultimi tempi altri tipi di vini (rossi compresi) iniziano a far capolino sia sul banco del bar che sui tavoli dei clienti. Alcuni vini speciali sono presenti in cocktail internazionali e di tendenza (Champagne cocktail, Kir, Kir Royal, Mimosa, Rossini); meno frequente è il consumo di vini passiti e novelli nei bar. Il vino può essere servito in appositi bicchieri e la dose è compresa tra i 10 e i 12 cl. Molto importante è la figura del sommelier che può dare un notevole impulso all’offerta del bar, soprattutto nei Wine bar.
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Appunti vari e curiosità sul vino I PROFUMI PRIMARI I profumi primari (detti anche varietali) sono quei profumi che derivano direttamente dal vitigno. Questi profumi sono presenti soprattutto nella buccia dell’acino ed appartengono al gruppo chimico dei terpeni. Alcuni di questi terpeni sono chiamati linaiolo, geraniolo e nerolo. Quando noi sentiamo un profumo che ricorda la rosa, la pesca, la frutta, il muschio, ecco che si tratta dell’azione di questi terpeni. Tra i principali vitigni aromatici ricordiamo il Gewurztraminer, Malvasia, Moscato Brachetto. Poi vi sono delle uve parzialmente aromatiche: Chardonnay, Kerner, Prosecco, Riesling, Sauvignon Blanc, Sylvaner, Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon e Merlot. Infine, vi è la categoria delle uve neutre, dove gli aromi primari sono meno spiccati. Tra le uve neutre ricordiamo: Cortese, Greco, Fiano, Nosiola, Trebbiano, Verduzzo, Vermentino, Aglianico, Barbera, Bonarda, Croatina, Cesanese, Corvina, Gaglioppo, Gamay, Lacrima, Lambrusco, Montepulciano, Nebbiolo, Nerello, Refosco, Sagrantino, Sangiovese, Schioppettino e altri ancora...
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MODULO 2: IL MONDO DEL VINO
LA DECANTAZIONE La decantazione è un’operazione che si effettua per i vini rossi e che serve a separare il vino da eventuali sedimenti che si sono formati durante l’invecchiamento del vino. Per effettuare la decantazione occorre una caraffa decanter, un cestello per il vino rosso, una candela e dei fiammiferi. Ecco quali sono le fasi della decantazione. • Per prima cosa si metta la bottiglia di vino rosso in un cestello e la si porti a tavola, avendo cura di tenerla in posizione orizzontale. • Si proceda all’apertura della bottiglia direttamente dal cestello. • Si avvini la caraffa decanter con un po’ di vino rosso, lo stesso che andremo a servire. • Si posizioni una candela in modo tale che la fiamma sia dietro il collo della bottiglia: così, quando si verserà il contenuto della bottiglia nella caraffa decanter, si potranno vedere eventuali sedimenti finire nella caraffa. • Quando la luce della candela fa intravedere il deposito sulla spalla della bottiglia, allora si interrompa la decantazione. Nella bottiglia dovrebbe restare solo una minima quantità di vino assieme al deposito. L’operazione è finita, buona degustazione!
Guarda il video delle varie fasi su Youtube
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LA FILLOSSERA Le fillossere (Phylloxeridae) sono degli insetti appartenenti alla superfamiglia degli Aphidoidea (ordine Rhynchota, Homoptera Sternorrhyncha). Nell’enologia, con il nome di fillossera si fa riferimento alla specie più famosa, la Fillossera della vite (Daktulosphaira vitifoliae), anche se la denominazione generica comprende l’intera famiglia. Apparve per la prima volta a Londra, nel 1863, in una serra e da lì iniziò a distruggere i vari ceppi di Vitis vinifera presenti in europea. Nel 1868 arrivò in Francia e nel 1879 in Italia, causando un disastro economico e sociale.
Non tutte le viti, però, furono distrutte, alcune scamparono al pericolo: in Italia, il Blanc de Morgex, tra i più alti vitigni d’Europa, a circa 1200 metri sulle pendici del monte Bianco, non fu toccato dalla fillossera, fermata dalla temperatura fredda. In Toscana qualche appezzamento fu risparmiato: Lamole vicino a Firenze; in Campania nei Campi Flegrei; in Calabria e soprattutto in Sardegna nell’isola di Sant’Antioco e nel Sulcis dove la sabbia del terreno impedì il movimento e la riproduzione della fillossera. Un’altra isola importante è quella di Pantelleria dove si possono trovare ceppi centenari di Zibibbo (moscato d’Alessandria). I DIFETTI DEL VINO Muffa: sapore ed odore di muffa le ritroviamo quando il vino viene conservato in botti vecchie. Secchino: si tratta di una cattiva conservazione nelle botti. Metallico: si dice metallico quando zinco, ferro e rame si ritrovano in eccesso. Solforizzazione: eccessiva presenza di anidride solforosa. L’odore che si percepisce ricorda uova marce e aglio. MALATTIE DEL VINO FIORETTA (LIEVITI AEROBI): si manifesta grazie all’azione di lieviti con la formazione di un velo biancastro sulla superficie del vino soprattutto se il recipiente viene mantenuto non del tutto colmo. Il velo si rompe in tanti piccoli fiorellini e col passare del tempo il vino potrebbe intorbidirsi e divenire piatto, se non addirittura acetico. Come misura di prevenzione, oltre che la corretta pulizia dei locali si ricorre anche all’uso di appositi dischetti paraffinati contenenti una sostanza della senape, l’isosolfocianato di allile. SPUNTO E ACESCENZA (BATTERI ACETICI AEROBI): lo spunto è la fase iniziale di questa malattia, dovuta ai batteri acetici. Esso si trasforma in acescenza quando la 46
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quantità di acido acetico aumenta notevolmente. Il colore è inalterato ma l’odore è pungente ed il sapore aspro. Si evita tenendo le botti ben colme. SPUNTO LATTICO (AGRODOLCE o FERMENTAZIONE MANNITICA) (BATTERI LATTICI ANAEROBI): si verifica quando si sviluppano batteri lattici mentre è ancora troppo presente il fruttosio. Il fruttosio viene attaccato dai batteri che lo trasformano in acido acetico e lattico. Il sapore è dolce e allo stesso tempo aspro. L’odore ricorda quello di frutta troppo matura. GIRATO (FERMENTAZIONE TARTARICA o SOBBOLLIMENTO) (BATTERI LATTICI ANAEROBI): la malattia si verifica quando i batteri lattici attaccano l’acido tartarico e sviluppano acido lattico e acetico con liberazione di anidride carbonica che determina un po’ di effervescenza. L’aspetto è torbido, l’odore pungente ed il sapore è piatto prima e ripugnante poi. Si combatte tenendo puliti i locali. AMARORE (BATTERI LATTICI ANAEROBI): si manifesta quando i batteri lattici attaccano la glicerina e si formano sostanze amare. Il colore è giallastro o aranciato, il sapore amaro. FILANTE (GRASSUME) (BATTERI LATTICI): è una deviazione della fermentazione malolattica quando batteri lattici e zuccheri residui formano una sostanza vischiosa e filante. Se si agita la bottiglia il fenomeno scompare. L’aspetto è simile a quello dell’olio mentre il sapore è piuttosto fiacco. LE ALTERAZIONI DEL VINO Le alterazioni di un vino sono modificazioni negative della limpidezza e del colore e si chiamano “casses” (termine francese che significa “rotture”). Si opera in modo da proteggere il vino addizionando ad esempio SO2 per evitare ossidazione, oppure acidi in grado di complessare i metalli ed evitare che leghino con altri componenti del vino. CASSE OSSIDASICA: si verifica più frequentemente nei vini bianchi ma anche nei rossi. È dovuta alla presenza di enzimi che a contatto con l’ossigeno causano l’imbrunimento e l’intorbidimento del vino. Un fenomeno correlato è la maderizzazione (gusto di marsala). CASSE FOSFATICA; Si verifica soprattutto nei vini bianchi manifestata dalla presenza di una sostanza lattiginosa di colore bianco-grigio. CASSE PROTEICA: si manifesta con la presenza di un precipitato di colore biancastro dovuto al legame tannini-proteine. CASSE RAMEOSA: si manifesta con la presenza di un precipitato di colore rossogiallastro alla reazione rame-zolfo.
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L’ENOGRAFIA EUROPEA ED INTERNAZIONALE In questo viaggio vedremo quali sono le altre Nazioni dove si produce il vino. Oltre a Francia e Germania, troveremo anche altri Paesi come la Spagna, il Portogallo, l’Austria ed altri ancora. FRANCIA La vite in Francia fu introdotta probabilmente nel 600 a.C. quando i Greci arrivarono nell’attuale Marsiglia (Massalia), nella Francia meridionale ed introdussero la coltivazione della vite. Nello stesso periodo colonizzarono anche la Corsica. Durante il dominio dell’Impero Romano, alla fine II secolo a.C., la coltivazione della vite fu potenziata, grazie agli spostamenti delle legioni romane. Pare comunque che i Galli avessero già l’abitudine di bere il vino, importandolo sia dagli Etruschi, sia dai Romani in seguito. In Francia sono state ritrovate moltissime anfore “bollate“ che indicano uno scambio commerciale piuttosto intenso. La produzione vinicola venne proseguita dal 500 dopo Cristo dai monaci che utilizzavano il vino per la liturgia. Oggi i vini francesi sono esportati in tutto il mondo e rappresentando un’eccellenza, soprattutto quelli legati ad alcune zone come la Borgogna. Il Sistema di Qualità Francese Nel 1920, dopo la devastazione causata dalla fillossera, la Francia ideò un sistema di qualità per proteggere i propri vini e diversificarli da quelli del resto del mondo. Agli inizi degli anni Trenta si ideò il nome di Appellation d’Origine Contrôlée (Denominazione di Origine Controllata), abbreviato con AOC oppure, in breve, Appellation Contrôlée la cui sigla è AC. In seguito questo sistema di qualità venne copiato anche da altri Paesi, come gli Stati Uniti d’America, con AVA (American Viticultural Areas), la DOC (Denominazione di Origine Controllata) in Italia, la DO (Denominación de Origen) in Spagna ed anche la DOC (Denominação de Origem Controlada) in Portogallo. Nel 1923 il Barone Pierre Le Roy, un influente e importante produttore di Châteauneuf-du-Pape, si adoperò per applicare delle regole alle produzioni per i propri vini, mettendo al primo posto la definizione della zona geografica, le varietà di uve consentite, le varie di metodologie di coltivazione sino al grado alcolico minimo del vinto. Dodici anni dopo, fu creato l’INAO (Institut National des Appelations d’Origine, Istituto Nazionale delle Denominazioni di Origine), che prese ad esempio proprio le sue regole per delineare i disciplinari di produzione delle singole AOC. Ma il disciplinare francese nel tempo ha subito delle variazioni, tanto che nel 1949 l’INAO ha introdotto la categoria VDQS (Vin Délimité de Qualité Supérieure, Vino 48
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Delimitato di Qualità Superiore), un gradino inferiore all’AOC. Per entrare a far parte di questa categoria, si tengono in considerazione i seguenti parametri. • Territorio – Il territorio comprende uno spazio limitato del vigneto e nello stesso tempo supportato da testimonianze storiche. Si prende in considerazione l’altitudine, la posizione ed il tipo di terreno. • Uve - le uve che si possono utilizzare per la produzione del vino sono quelle che fanno riferimento alla tradizione storica del luogo. La resa e la qualità sono soggette al luogo ed al clima. • Resa – in ogni disciplinare AOC si puntualizza la quantità massima di vino che può essere raccolta e prodotta da un determinato vigneto ed il valore è segnalato in ettolitri per ettaro. • Pratiche colturali – in questo parametro troviamo il numero massimo di viti per ettaro, i modi della potatura e la fertilizzazione del terreno. • Grado alcolico – sempre nel disciplinare si stabilisce il titolo alcolico minimo. • Controlli organolettici: i controlli per dare l’AOC vengono svolti da una apposita commissione che ne concede l’uso. • Tecniche enologiche: le procedure enologiche sono basate sulla tradizione vinicola della zona. Queste sono le categorie del sistema di qualità francese: • Appellation d’Origine Contrôlée, AOC: si trova nel livello più alto e può prevedere anche varie sottozone. • Vin Délimité de Qualité Supérieure, VDQS (Vino Delimitato di Qualità Superiore), introdotto nel 1949 ha un disciplinare simile all’AOC ma meno rigido. Solo il 2% della produzione di vino francese appartiene a questa categoria. • Vin de Pays: le zone di produzione di questi vini sono molto più ampie rispetto alle AOC. Prevedono di solo titoli alcolici minimi più bassi. • Vin de Table – qui rientrano tutti i vini che non sono nelle categorie sopra elencate. La legislazione vinicola francese può prevedere anche aggettivi nelle etichette. Vediamo le parole più diffuse. • Château - Château anche se significa castello non ha nessuna attinenza con questa costruzione e rappresenta semplicemente una azienda vitivinicola. Dopo la parola Château troviamo il nome dell’azienda. Questo termine viene usato in particolar modo per i vini di Bordeaux. • Clos – questo termine viene riferito ad un vigneto 49
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specifico, ben delimitato. Solo i vini ottenuti da quel vigneto possono fregiarsi del titolo. Usato prevalentemente per i vini della Borgogna, si traduce con “racchiuso”. • Domaine – anche questo termine è diffuso prevalentemente in Borgogna e significa “proprietà”. È il nome di una azienda che ha vari vigneti, non necessariamente nella stessa zona. • Côte – lato o parete di una collina (in italiano “costa”), denota una zona di produzione di qualità delimitata. • Cru – il termine “cru” indica una zona ristretta (a volte anche un solo vigneto) che ha ben precise caratteristiche ambientali, climatiche e geologiche. I vini prodotti hanno caratteristiche superiori agli altri. • Grand Cru - questo termine è usato in Borgogna, indicante sempre un vino riferito ad un vigneto di eccellenza. Lo troviamo anche nella Champagne e nell’Alsazia. Nella zona di Bordeaux lo ritroviamo solo ad alcune zone vinicole, come quella di Saint-Émilion. • Grand Cru Classé – sempre nella zona di Saint-Émilion, indica il secondo livello di classificazione. In altre zone, come quelle di Médoc e Sauternes designa un vino che appartiene ad una categoria di classificazione compresa fra la seconda e la quinta. • Premier Cru (1er Cru) - nella zona di Bordeaux (esclusa Sauternes e Barsac), indica un vino appartenente alla più alta categoria di classificazione ed al momento solamente cinque dispongono di questo riconoscimento. • Premier Grand Cru (1er Grand Cru) - nella zona di Sauternes indica il livello più alto di classificazione. Lo ritroviamo indicato anche come Premier Cru Supérieur • Premier Grand Cru Classé (1er Grand Cru Classé) - nella zona di Saint-Émilion indica la categoria di classificazione più alta attribuibile ad un vino. La dicitura può essere riportata anche nelle etichette dei vini del Médoc e di Sauternes per indicare un vino di categoria “Premier Grand Cru”. • Cru Classé - indica principalmente il nome attribuito alla famosa classificazione del 1855 per i vini del Médoc, nel Bordolese. Il sistema prevede cinque categorie, dalla prima alla quinta (Premier Cru, Deuxième Cru, Troisième Cru, Quatrième Cru, Cinquième Cru). Nella stessa classificazione, i vini di Sauternes/Barsac furono classificati in due sole categorie (Premier Cru, Deuxième Cru). Il termine è anche utilizzato per la classificazione dei vini delle Graves, sempre a Bordeaux, e non prevede suddivisioni, pertanto tutti i vini di qualità delle Graves, sia bianchi che rossi, vengono definiti “Cru Classé”. Anche la classificazione dei vini di SaintÉmilion prende il nome di “Cru Classé”. • Cru Bourgeois - categoria di classificazione per i vini del bordolese, considerati 50
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in qualità inferiori al sistema “Cru Classé”. Nel livello più altro, troviamo il Cru Bourgeois Supérieurs Exceptionnel, (da notare che spesso è indicato Cru Bourgeois Exceptionnel o Cru Exceptionnel). Segue una seconda categoria dal nome Cru Bourgeois Supérieurs o Cru Grand Bourgeois. Ed infine la terza ed ultima che prende il nome di Cru Bourgeois. • Supérieur - Il termine indica prevalentemente un vino il cui grado alcolico è più alto rispetto alla tipologia di appartenenza. Questa definizione si usa anche in Italia (tradotta semplicemente con Superiore). Vitigni, zone vitivinicole e vini tipici Le zone francesi di produzione vitivinicola sono numerose; una menzione particolare spetta ai vini della Mosella e Les Cotes de Toul, entrambi prodotti nella Lorena, e il cosiddetto Edelzwicker, un vino prodotto con l‘assemblaggio di più uve i cui nomi non vengono riportati in etichetta. Oltre a quelle sotto citate, si ricordano le zone della Valle del Rodano e della Francia Sud occidentale. 1. Alsazia L‘Alsazia produce principalmente vini bianchi; le uve bianche principali utilizzate sono il Riesling, il Gewurztraminer, il Pinot Grigio e il Moscato bianco. La produzione di vini rossi e rosati è scarsa (circa 8% della produzione totale) e le uve rosse principali dell‘Alsazia sono il Pinot Nero e il Gamay. Un prodotto piuttosto noto dell‘Alsazia è il Crémant d‘Alsace, un vino spumente realizzato con il metodo classico della rifermentazione in bottiglia. La zona produce anche eccellenti vini prodotti da vendemmie tardive (Vendanges Tardives) e i celebri Selection de Grains Nobles, vini dolci, complessi, concentrati e aromatici. 2. Bordeaux Nella zona di Bordeaux si produce l‘80% dei vini rossi di tutta la Francia. Troviamo anche eccellenze come il Sauternes e Barsac, vini passiti di ottima qualità. Le uve principali che danno vita ai famosi rossi di Bordeaux sono Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot (definito come uvaggio Bordolese). Tra le uve a bacca bianca vi sono on cui si producono i vini rossi di Bordeaux, il famoso uvaggio Bordolese, Le uve a bacca bianca che si coltivano in questa regione vi sono il Sauvignon Blanc, il Muscadelle e l‘Ugni Blanc, mentre il Sémillon è usato per il Sauternes e Barsac. 3. Borgogna In Borgogna trovano spazio i vini bianchi prodotti con uve Chardonnay e ed i vini rossi ottenuti da uve Pinot nero. Oltre a questi, vi è l‘Aligoté, un‘uva bianca usata maggiormente nel Maconnais, e il Gamay, che da vita ai vini di Beaujolais. 4. Champagne La zona dello Champagne si trova a Nord Est della Francia e la città principale è Reims. 51
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Celebre sparkling wine, è prodotto con tre uve: lo Chardonnay (l’unica a bacca bianca) ed il Pinot Noir e il Pinot meunier (queste a bacca rossa). 5. Languedoc Roussillon In questa zona troviamo una predominanza di Vins Doux Naturels, ottenuti da uve Moscato d‘Alessandria e Moscat à Petits Grains. Un altro celebre vino della zona appartenente ai Vins Doux Naturels è il Banyuls, prodotto con uve Grenache noir. Nella zona troviamo inoltre, vini bianchi e rossi AOC (Minervois, Cotes du Roussillon, Limoux, Clairette du Languedoc, Fitou, Corbières, Cotes du Roussillon-Village, Saint-Chinian, Collioure, Coteaux du Languedoc, Faugères) e un‘ingente quantità di Vins de Pays. Le principali uve bianche coltivate sono Maccabeu, Grenache blanc, Bourboulenc, Clairette, Picpoul, Moscato d‘Alessandria e Muscat à PetitsGrains, mentre tra le uve rosse primeggiano Carignano, Grenache noir, Cinsaut, Mourvèdre e Syrah. 6. Provenza e Corsica La Provenza è famosa per la produzione di vini pregiati rosati, ma possiamo trovare anche vini bianchi e rossi, oltre a una buona selezione di Vin de Pays. Le uve bianche usate principalmente sono Rolle, Ugni Blanc, Clairette e Sémillon, mentre le uve rosse sono Grenache noir, Syrah, Cinsaut, Carignano, Mourvèdre, Tibouren e Cabernet Sauvignon. Nell’isola di Corsica si producono vini bianchi e rossi e qui trova spazio il Vermentino (che si trova anche in alcune coste italiane). Altre uve sono Sciacarello e il Nielluccio, annoverate tra le uve rosse. In Corsica si produce anche Vins Doux Naturels, il Muscat du Cap Corse. 7. Valle della Loira La Valle della Loira è la patria indiscussa del Sauvignon Blanc Francese. La produzione prevede vini bianchi, rosati e rossi oltre a Vin de Pays. Le principali uve bianche che troviamo sono lo Chenin Blanc, Sauvignon Blanc, Chardonnay e Muscadet, mentre le uve rosse sono il Pineau d‘Auni, Grolleau, Gamay, Cabernet Franc, Cot e Pinot nero. Nella parte occidentale si producono prevalentemente Muscadet nella zona di Nantes e vini rosati nella zona di Anjou. La zona centrale produce vini bianchi, rosati e rossi fra cui il Touraine, Vouvray e Chinon. A Sud di questa zona, quasi al centro della Francia, troviamo i celebri vini di Sancerre, Pouilly Fumé, Pouilly-sur-Loire.
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SPAGNA È dal Novecento che la Spagna ha iniziato ad incrementare la produzione di vini, ma solo in tempi relativamente recenti si è sviluppata una produzione di qualità. Vediamo la classificazione dei vini spagnoli, in base al sistema di qualità. Il sistema di qualità I vini spagnoli sono classificati in 4 categorie: • Vino de Mesa (VDM): qui troviamo i vini da tavola che possono essere prodotti con uve provenienti da tutto il Paese. • Vino de la Tierra (VDLT): in questa categoria vi fanno parte vini prodotti in un’area più ristretta ed estesa se confrontata a quella a Denominazione di Origine (DO). È la nostra all‘IGT italiana. • Denominaciòn de Origen (DO): riguarda i vini prodotti in una regione a Denominazione d‘Origine e vi è un disciplinare specifico. • Denominacion de Origen Calificada (DOCA): è il livello più alto di certificazione ed al momento si trova solo presso la regione della Rioja. Le zone di produzione con i vitigni ed i vini tipici 1. Rioja Unica zona che possa vantare una DOCA grazie ai suoi vini rossi. Qui troviamo come uve rosse il Tempranillo, Garnacha, Mazuelo e Graciano, mentre le uve bianche sono Viura, Malvasia e Garnacha bianca. La Rioja si trova a nord del Paese e prende il nome dal fiume Rio, un affluente del Erbo. I vini Rioja rossi sono classificati in quattro categorie: la “Rioja“, la più giovane, rimanendo meno di un anno in botti d‘invecchiamento di rovere; “Crianza“, vino invecchiato almeno due anni, dei quali almeno uno in rovere; “Rioja Reserva” invecchia almeno tre anni, di cui almeno uno in botti in rovere; infine “Rioja Gran Reserva” sono stati invecchiati almeno due anni in rovere e tre in bottiglia. 2. Priorato Si tratta di una piccola regione catalana dove abbondano vini rossi di qualità, prodotti con uve Carinena, Tempranillo, Granaha, Cabernet Sauvignon, Merlot e Shiraz. In questa regione i vini vengono classificati in Crianza, Reserva e Gran Reserva ed i vitigni crescono su terreni d‘ardesia chiamati “llicorelles” e vengono coltivati a terrazzamenti.
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3. Rias Baixas La Rías Baixas è un vino di denominazione di origine spagnolo della regione della Galizia. Prende il suo nome da un’area costiera della regione. Nel 1980 nacque come “denominazione specifica” ed otto anni dopo fu riconosciuta come denominazione di origine. Qui sono celebri i vini bianchi ottenuti da uve Albaino, affinati nei contenitori di acciaio (e non di legno), per far spiccare le caratteristiche aromatiche primarie. 4. Jerez o Jerez de la Frontera Questa zona si trova al sud della Spagne, nei pressi dello stretto di Gibilterra. Si produce lo Jerez (Sherry o Xerès), un vino fortificato. Le uve coltivate nella zona e utilizzate per la produzione di Jerez sono esclusivamente bianche e sono le seguenti: Palomino, Moscadel e Pedro Ximénez.
PORTOGALLO Il Portogallo è uno dei più preziosi produttori di vino al mondo. Possiede uno straordinario patrimonio di vitigni autoctoni, forse inferiore solo a quello dell‘Italia. Celebre è il suo vinho verde, ma non solo. Zona di produzione, vitigni e vini In Portogallo si coltivano centinaia di specie autoctone. Tra le uve bianche, si ricordano Avarinho, Bual, Codega,Encruzado, Gouveio,Loureiro, Malvasia Fina, Pederna, Rabigato, Sercial, Trajadura, Verdhelo e Viosinho; mentre tra le uve rosse si annoverano Alfrocheiro Petro, Aragonez, Azal Tinto, Baga, Bastardo, Jaén, Periquita, Tinta Barocca, Tinta da Barca, Tinta Negra Mole, Tinta Roriz, Tinto Cao, Touriga Francesca, Touriga Nacional, Trincadeira, Preto e Vinhao. Due delle regioni che producono vino sono protette dall’Unesco come patrimonio dell‘umanità: la regione del Douro e la regione dell‘isola di Pico, nelle Azzorre. 54
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1. Douro La regione del Douro, percorsa dall‘omonimo fiume, è la più famosa del Portogallo, in particolare per la produzione del Porto. Tuttavia troviamo anche ottimi vini da tavola, in prevalenza rossi, ottenuti in genere con le stesse uve del Porto, e vini bianchi da uve Malvasia Fina, Gouveiro, Viosinho. 2. Madeira La fama enologica di questa isola atlantica è tutta legata all‘omonimo vino (in italiano Madera). Il Madera è un vino fortificato con il brandy, per essere poi sottoposto a un processo di riscaldamento in estufas (cantine surriscaldate). Nei tipi più pregiati, questo avviene nel sottotetto di appositi locali molto caldi. Le uve utilizzate sono bianche, tra le quali troviamo Baul, Malmsey, Sercial e Verdelho. 3. Minho La regione eccelle nella produzione dei Vinhos Verde: si tratta di vini bianchi, molto leggeri (intorno ai 10% alc.), aromatici e leggermente frizzanti. Le uve bianche per la produzione sono diverse, tra le quali troviamo Alvarinho, Trajadura, Loureiro e Pederna. Vi sono anche dei vini rossi: in questo caso si utilizzano uve Azal Tinto e Vinhao. 4. Alte zone di produzione Tra le altre zone di produzione ricordiamo la regione del Dao, al Nord, dove vengono prodotti vini rossi da uve Touriga Nacional, Tinta Roriz, Alfrocheiro Preto, Jaen e Bastardo. Vicino al Dao, nella regione di Barraida, troviamo anche qui vini rossi fermi e vini rossi spumanti. Ed infine, al sud, nell‘Alentejo, anche qui ritroviamo una ricca produzione di vini rossi ottenuti da uve Periquita, Aragonez e Trincadera Petra.
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GERMANIA Il sistema di qualità tedesco è per molti aspetti particolare e dispone di norme e regole che non si trovano facilmente negli altri Paesi. La sua posizione geografica, con una esposizione molto a nord, influisce anche sulla maturazione dell’uva, per cui i vini tedeschi sono poco alcolici: per questo motivo il sistema Tedesco per la produzione di vini di qualità è strettamente legata al concetto di “grado di maturazione delle uve”, una caratteristica che rende unico questo sistema. Nel 1971 in Germania è stata emanata un’apposita legge per la produzione del vino, modificata successivamente nel 1994 per renderla conforme alle direttive dell’Unione Europea. In questo regolamento vengono previste le seguenti categorie: vini da tavola, suddivisi in tafelwein (vini da tavola) e landwein (vini regionali), e vini di qualità, a loro volta suddivisi in Qualitätswein bestimmter Anbaugebiete (vini di qualità da regione determinata) abbreviato con QbA, e Qualitätswein mit Prädikat (vini di qualità con predicato) abbreviato con QmP. I vini appartenenti alla categoria Qualitätswein mit Prädikat, o QmP, rappresentano il livello qualitativamente più alto della produzione Tedesca per i quali lo zuccheraggio non è permesso. I vini QmP possono appartenere ad una delle seguenti categorie, dal grado di maturazione dell’uva più basso al più alto: • Kabinett: vini prodotti con uve raccolte durante il normale periodo di vendemmia. Sono generalmente leggeri, secchi e poco alcolici; • Auslese: (letteralmente raccolto selezionato). Sono vini ottenuti da uve molto mature selezionate in vigna prima della raccolta; • Spatlese: (letteralmente raccolto tardivo) vini prodotti con raccolti tardivi e sono in genere più intensi e strutturati dei kabinett; • Beerenauslese: ottenuti da acini selezionati, spesso attaccati da Botrytis cinerea. Letteralmente raccolto di acini selezionati; • Trockenbeerenauslese: ottenuti da acini selezionati totalmente “botritizzati”. I vini appartenenti a questa categoria sono certamente i più ricchi, dolci e costosi fra i vini Tedeschi • Eiswein: detti anche vini di ghiaccio. In questo caso l‘uva viene lasciata maturare nella vite e raccolta ad inverno inoltrato, quando le uve sono congelate dalla bassa temperatura che non può essere, al momento del raccolto, superiore ai -7° C. 56
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L’area di produzione vinicola tedesca è divisa in 13 Anbaugebiete (regioni di qualità): Ahr, Baden, Franken, hessische-Bergstrasse, Mittelrhein, Mosel-Saar-Ruwer, Nahe, Pfalz, Rheingau, Rheinhessen, Wurttemberg, Saale-Unstrut e Sachsen. Le uve principalmente coltivate sono bianche: Muller Thurgau, Reisling, Silvaner, Elbling, ma naturalmente trovano spazio anche vini rossi, rosati e dolci. Lo spumante tedesco è chiamato Sekt. La maggior parte di questo spumante viene realizzato con la fermentazione in autoclave, con il metodo Charmat. Il vino, o meglio le uve, possono essere acquistate in tutta Europa, ma prodotto ed imbottigliato in Germania. I vini spumanti a denominazione Deutscher Sekt sono prodotti esclusivamente da uve tedesche, e le tipologie di vitigno impiegate sono Pinot Bianco, Riesling, Pinot Grigio e Pinot Nero. AUSTRIA Data la vicinanza geografica, l’Austria potrebbe somigliare, dal punto di vista enologico, alla realtà tedesca, ma non è così. Innanzitutto il clima austriaco è più caldo di quello tedesco: per questo motivo le uve raggiungono un livello di maturazione più alto, con il risultato che i vini Austriaci sono più corposi e robusti, oltre ad essere, naturalmente, più alcolici e più secchi. Le leggi vinicole del sistema di qualità Austriaco sono da considerarsi fra le più rigide e severe di qualunque altro paese Europeo. In esse vi sono indicati i requisiti in dettaglio per ogni tipo di vino, compreso il livello minimo di zuccheri delle uve all’atto della vendemmia e la quantità massima di alcol. In Austria troviamo principalmente vini bianchi secchi, seguiti da eccellenti vini dolci. Tra le uve a bacca bianca, ricordiamo il Gruner Veltiner, il Furmint, Chardonnay, Pinot bianco e grigio, Riesling, Muller Thurgau ed altri ancora. Tra le uve a bacca rossa troviamo il Pinot nero, Cabernet Sauvignon, St. Laurent e Sweigelt. Le zone vitivinicole più note vi sono la Bassa Austria, la Burgenland ( qui troviamo gli Ausbruch e gli Eiswein, tutti dolci), la Stiria e Vienna.
ROMANIA La Romani al giorno d’oggi è tra i 15 più grandi produttori di vino grazie alle sue otto regioni vinicole ed in Europa è al sesto posto, dopo la Francia, l’Italia, la Spagna, la Germania e il Portogallo con una superficie di 183 400 ettari di vigneti nel 2010. In questo Paese ci sono diverse varietà autoctone, come il Feteasca Neagra (rosso) secco al gusto di prugna o il Feteasca Alba e Tamaioasa (bianco). Le cantine “Beciul Domnesc” sono le più grandi cantine in Romania, con una collezione di oltre 100.000 bottiglie, la più antica delle quali risale al 1949. Negli ultimi anni, anche grazie ad Internet, le esportazioni sono cresciute notevolmente. 57
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L’ENOGRAFIA EXTRAEUROPEA Oltre all’Europa menzioniamo altri Paesi dove la produzione di vini è cresciuta in maniera esponenziale. Partiamo dagli Stati Uniti. STATI UNITI Sono diverse le grandi zone di produzione vinicole negli States, tra cui la più importante è sicuramente la California. Partiamo proprio da questo Stato. • California: in California si producono sia rossi che bianchi (ma anche Champagne, strano a dirsi, con la stessa menzione francese). I rossi prevedono l’uso di uve Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot nero, Zinfandel, Syrah, Grenache e Sangiovese e mentre per i bianchi, troviamo lo Chardonnay e Sauvignon; • Oregon: la storia del vino in Oregon inizia ufficialmente negli anni Sessanta. Il vitigno maggiormente coltivato è il Pinot noir ma non mancano bianchi come lo Chardonnay. La zona più vocata è la Willamette Valley, a ovest di Portland. • Washington: nello Stato di Washington, la regione più antica per la produzione dei vini è la Yakima Valley. Qui ritroviamo vitigni come lo Chardonnay, lo Shiraz, il Merlot, il Sauvignon e il Sémillon; • Texas: nel Texas troviamo alcuni vitigni come lo Chardonnay, il Chenin blanc, il Sauvignon e il Cabernet Sauvignon. Molto forte in questo Stato anche l’importazione dei vini italiani, tra cui il Sagrantino; Oltre il 90% della produzione è concentrata in California, dove qui troviamo la Gallo Winery, la più grande azienda vinicola del mondo. In California inoltre si può produrre …Champagne! Esatto, è l’unico Stato autorizzato, al di fuori della regione dello Champagne, che può utilizzare il celebre marchio. Nel 2008 uscì un film (mai tradotto in italiano) sulla disfida tra i vini francesi ed i vini californiani, con sopresa finale. Guarda il trailer.
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AMERICA LATINA Sempre restando nel nuovo Mondo, troviamo tra i Paesi produttori di vino annoveriamo anche l’Argentina ed il Cile. In Argentina trovano spazio diverse produzioni vinicole, sino agli spumanti. Le regioni vinicole più importanti del Paese sono Mendoza, San Juan, La Rioja e Salta; tra queste è Mendoza la più importante e più conosciuta. Proprio a Mendoza si coltivano vitigni come Barbera, Bonarda, Lambrusco, oltre ai bianchi Pinot bianco, Chardonnay, Riesling, Semillon. Mendoza ha due importanti sottozone: Luján de Cuyo e Maipú. A queste si aggiungono altre zone minori, fra cui Jujuy e Catamarca, vicino a Salta, e il Río Negro, la regione vinicola più a sud del paese.. Il Cile ha una sua produzione enologica basata su uve bianche come Chardonnay, Sauvignon blanc e Sauvignon vert, mentre tra le uve rosse trovano spazio il Cabernet Sauvignon, Carmènere, Merlot e Pais. L’area di coltivazione più vasta è rappresentata dalle valli che si estendono da Valparaiso fino a Bio-Bio, le valli di Acongaua e Casablanca. Nel centro del Paese troviamo le valli di Maipo (dove si coltiva Syrah e Cabernet Sauvignon), Rapel, Curico e Maule: tutte e tre queste valli formano quella che viene definita la “Valle Centrale“, che ha un clima di tipo mediterraneo. SUDAFRICA In Sudafrica i vini vengono prodotti principalmente nella regione del Capo di Buona Speranza. Possiamo trovare vini di tutti i tipi, tra cui (per la precisione a Costantia) un vino dolce, prodotto sia rosso sia bianco. Le uve coltivate sono Chardonnay e Sauvignon blanc, mentre le uve rosse sono Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Melot. I vini spumanti prodotti nel Sud Africa secondo il metodo classico riportano la dicitura Méthode Cap Classique e la dizione “Wine of Origin” può anche essere indicata secondo il termine linguistico locale Wyn van Oorsprong. Lo zuccheraggio non è permesso in Sud Africa, così come altre forme di “arricchimento”, tuttavia viene consentita l‘acidificazione.
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AUSTRALIA E NUOVA ZELANDA In Australia ci sono più di 60 regioni vinicole dove oggi vengono prodotti numerosi vini. Nella Barossa Valley e nella McLaren Vale, in South Australia, troviamo lo Shiraz, mentre Margaret River in Western Australia è celebre per la produzione del Sauvignon blanc. Oltre a questi due vitigni, sono coltivati anche Chardonnay, Riesling e Semillon, mentre a bacca rossa troviamo Cabernet Sauvignon e Shiraz. La produzione vinicola dell’Australia è praticamente concentrata nella zona meridionale, in particolare nei territori del Nuovo Galles del Sud, Victoria e Australia Meridionale. Proprio questa zona è quella più importante e produttiva del paese. La maggioranza della produzione è realizzata dalle attivissime e fiorenti aziende vinicole che si trovano in prossimità delle città di Sydney, Canberra, Melbourne e Adelaide. Il resto della produzione, con quote decisamente più modeste, è realizzato in Tasmania e nell’Australia Occidentale, nei pressi di Perth. Si registra inoltre una produzione piuttosto marginale anche nelle aree del Queensland e nei territori settentrionali. In Nuova Zelanda abbiamo vini ottenuti da Chardonnay, Riesling, Cabernet Sauvignon, Merlot, Pinot Noir, Shiraz, Cabernet Franc, Müller Thurgau, Gewürztraminer, Seibel e Baco. Le zone di produzione sono le seguenti: Canterbury, Central Otago, Gisborne, Hawkès Bay, Marlborough, Northland, Waikato e Martinborough.
GLI ABBINAMENTI VINO/CIBO Perché abbinare un vino? La domanda è legittima: perché dovrei abbinare il vino ad una pietanza? Una volta, il vino si beveva durante i pasti, senza tante attenzioni o cerimonie. Si è fatto sempre così. Oggi in un’epoca dove la ricerca della qualità e del gusto si è spinta anche alle bevande, è indispensabile che l’addetto di sala conosca anche i principali tipi di abbinamento enogastronomici. Un petto di anatra con salsa di agrumi è sicuramente un bel piatto, ma può essere valorizzato da un vino rosso di qualità (e viceversa). L’abbinamento deve essere armonico, dove per armonia si deve intendere che si deve 60
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“sentire” sia il gusto del piatto, sia quello del vino: altrimenti inutile anche spendere 50 euro per una bottiglia di vino pregiato, quando l’abbinamento non consente di assaporarne entrambi. LE TRE GRANDI SCUOLE DI ABBINAMENTO: FRANCESE, INGLESE ED ITALIANA Tre sono le grandi scuole di abbinamento vino-cibo, due molto selettive ed una blanda. Partiamo da quella blanda, la scuola inglese. Purtroppo l’Inghilterra non ha una storia di grandi vigneti e di viticoltura, pertanto l’argomento abbinamento è risolto in maniera brusca: abbina al piatto ciò che vuoi. Essendo quindi il vino una materia per specialisti, bisogna ricorrere quindi alle altre due grandi scuole, quella francese ed italiana. La scuola francese ha una tradizione di centinaia di anni, si può dire che l’enogastronomia è nata lì, con i grandi chef e con i grandi vini (tenendo sempre presente che sono stati i Romani a impiantare la vite nelle tribù francesi). Questa scuola dà sostanzialmente 3 indicazioni: il vino rosso con le carni, i vini bianchi con il pesce e i dolci con i dolci. Il motivo sta anche nel giusto abbinamento: solo i grandi e medi vini rossi riescono ad “accoppiarsi” con carni saporite, forti, magari con tante spezie e odori. I tannini presenti nel vino rosso farebbero ricordare, durante la masticazione, il sapore di un bullone, se mangiamo del pesce (un tipo di carne delicata, dove occorre un vino delicato e profumato lieve, come lo è il bianco). La scuola italiana è quella nata alla fine degli anni Sessanta con l’Associazione Italiana Sommelier, dove sono riusciti ad elaborare dei criteri di abbinamento molto dettagliati. Negli anni Ottanta si sono iniziate a diffondere le prime schede di abbinamento così precise; solo però negli ultimi vent’anni si sono diffusi in maniera capillare i corsi di degustazione del vino, e quindi una maggiore conoscenza (ecco perché chi ha frequentato gli Istituti Alberghieri di quel periodo non ha ricordo di questi dettagli). Ma vediamo anche quali altri principi di abbinamento troviamo, giusto a dimostrare che la materia è più complessa di quello che appare.
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L’abbinamento per tradizione e territorio L’abbinamento per tradizione si ispira alla cucina regionale italiana, dove piatti e vini sono abbinati secondo il luogo dove li si degusta. Un tempo si trattava di un abbinamento creato per necessità, in quanto le materie prime non erano così diffuse come oggi. Tante sono le proposte della cucina regionale, altrettanti sono i vini DOC, DOCG ed IGT che troviamo. Un esempio classico è il Brasato al Barolo, dove l’abbinamento è con lo stesso vino utilizzato per cucinare: il Barolo appunto. Per il ristoratore, lo chef, l’addetto di sala, ciò permette non solo di valorizzare i prodotti tipici, ma anche di evidenziare le radici enogastronomiche e culturali dove si opera.
L’abbinamento stagionale L’abbinamento stagionale pone le sue basi sul principio che certi piatti sono adatti alle stagioni “fredde”, ma non altrettanto nelle stagioni primaverile ed estiva. Questo perché nelle stagioni estive si è più inclini a consumare piatti leggeri, con pochi grassi, come pesce, molluschi, verdure, crostacei, paste fredde. All’opposto in inverno si prediligono piatti più grassi e strutturati, caldi con un buon apporto calorico. Per questo motivo in estate si prediligono vini bianchi e rosati, serviti freschi, anche frizzanti e sapidi. In certe occasioni anche vini rossi giovani, servita ad una temperatura fresca. Nelle stagioni fredde si prediligono sughi, carni rosse, cibi calorici, i quali richiedono vini rossi strutturati, maturi o invecchiati, da servire alla giusta temperatura.
L’abbinamento per contrapposizione e concordanza di sapori Il principio di contrapposizione è semplice: se un cibo è a tendenza acida (scaloppina al limone), il vino non deve essere anch’esso ricco di acidità (fresco), perché in questo modo andrebbe ad aumentare le sensazioni acide del cibo. All’opposto invece si potrà abbinare un vino “morbido”, che andrà a contrapporsi al piatto troppo aggressivo. All’opposto un cibo ricco di grassi, come le lasagne alla bolognese, sarà abbinato ad un vino ricco di acidità, frizzante, come un Lambrusco. L’anidride carbonica contenuta nel vino andrà a ripulire anche la lingua dall’untuosità del cibo. Alcuni piatti ben strutturati in ogni caso vogliono un vino ben strutturato (cinghiale e carni rosse elaborate, con vini rossi di grande struttura come un Chianti Ri.Va.Le Riserva o un Peregrinus IGT). Così anche piatti delicati, leggeri, possono essere abbinati con vini leggeri in modo tale che la loro delicatezza non vada a coprire troppo il piatto.
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L’abbinamento con i dolci Sia la scuola francese, che quella italiana, concordano sui dolci: rigorosamente vini dolci con i dessert. Per vini dolci intendiamo sicuramente i vini passiti e gli spumanti dolci, che hanno comunque un unico denominatore: la presenza dello zucchero. Oltre a questo concorrono altri fattori, la concordanza e i profumi. Il panettone è un ottimo dolce, ricco di profumi che ricordano spezie delicate (vaniglia, cannella) e frutta candita. Quindi occorrerà uno spumante dolce che abbia le stesse caratteristiche organolettiche ed olfattive (provate ad annusare uno spumante dolce e vi ritroverete i profumi appena citati). Molte persone pasteggiano con vini spumanti brut con i dolci: De gustibus non est disputandum. Tuttavia sarebbe come sorseggiare una coca cola e nel contempo mangiare una millefoglie. L’aromaticità della bevanda andrà a “coprire” il sapore delicato della crema e la presenza degli zuccheri. Fatelo questo esperimento. L’acqua gassata bevuta dopo il dolce invece è un altro esperimento da… degustare. Provatela: l’anidride carbonica ripulirà la lingua dalla grassezza della crema e vi darà una sensazione di sollievo. Certo non stiamo parlando di abbinamenti, anche se negli ultimi tempi si sta diffondendo una certa curiosità sull’accoppiamento cibo e acqua minerale, con l’Associazione Degustatori Acque Minerali (www.degustatoriacque.com).
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ALCUNI SUGGERIMENTI PER UN PRIMO ABBINAMENTO VINO-CIBO Vi sono poche regole essenziali per iniziare ad abbinare vino e cibo. • Si comincia sempre con i vini più giovani, per finire dopo con quelli più vecchi; • Allo stesso modo si servono prima i vini più leggeri, e poi i più robusti; • Vini bianchi vanno serviti prima dei rossi, così anche si parte dal vino più freschino a quello a giusta temperatura “ambiente”; Il vino rosso lungamente invecchiato andrebbe decantato prima di servirlo. Qui troverete un video che spiega come fare http:// ristorazionebar.it/?p=165 Se all’inizio di questo modulo abbiamo accennato ai piaceri della degustazione, ora possiamo andare più in dettaglio e capire perché si degusta un vino. Intanto la degustazione spetta a professionisti che abbiano svolto almeno uno o due corsi di degustazione del vino. In Italia numerose Associazioni operano in questo campo (in primis l’AIS). Tuttavia sempre più spesso capita che questi tipi di corsi vengano frequentato anche da semplici appassionati. Ciò significa che un cliente può addirittura saperne di più di un addetto di sala e vendita, in materia di vini. Ma quali sono i motivi per cui si degusta? Innanzitutto per verificare che il vino sia esente da difetti e presenti invece pregi. Si può degustare il vino per riconoscerne la tipologia e paragonarlo ad altri vini già assaggiati ed infine stabilire l’abbinamento vino-cibo. Nei corsi di specializzazione esistono varie schede di valutazione, in una addirittura possiamo dare un punteggio bene preciso. La difficoltà maggiore ed avere un criterio oggettivo per la degustazione, usando vocaboli comprensibili. Non a caso vi è il vocabolario dell’Ente Nazionale di Unificazione che dispone di una tabella di 116 termini, preparata dall’Associazione Italiana Sommelier (AIS) utile per descrivere l’aspetto sensoriale del vino.
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QUALI SONO LE REGOLE PER LA DEGUSTAZIONE Per diventare assaggiatore professionale dei vini (o altre bevande, come distillati e liquori) esistono appositi corsi di specializzazione che portano il discente ad acquisire importanti conoscenze di base, utilizzando una terminologia ben precisa che permetterà di codificare le sensazioni visive e gusto-olfattive di un vino, traducendole con vocaboli comprensivi. Vi sono dei requisiti indispensabili: stato buono di salute (ad esempio un raffreddore impedisce un’analisi corretta), ma anche non aver fumato prima di una degustazione o aver mangiato una caramellina. Questi infatti impediscono un corretto assaggio, influenzando il gusto. In sintesi vi sono delle regole che l’AIS ha stilato. Elenchiamole: 1. Mantenere la cavità orale pulita. 2. Non fumare prima della degustazione in genere. 3. Non utilizzare profumi e cosmetici in genere, anche questi potrebbero influire; 4. Risciacquarsi la bocca prima di cominciare, per neutralizzare il palato; è consigliabile tra un vino e all’altro di mangiare un grissino o un pezzetto di pane: in questo modo si possono eliminare i residui organolettici attivi. 5. Degustare a stomaco vuoto: le ore ideali sono quelle della tarda mattinata, dopo le 10 e poco prima di pranzo. 6. Limitare il numero dei vini da esaminare. A mio parere anche 10 campioni di vino sono già troppi. Dopo un po‘ sopraggiunge la stanchezza. 7. Il vino va bevuto in piccole quantità, e si può espellere dopo averlo degustato. Sono previste degli appositi contenitori chiamati sputavino. 8. Degustare in silenzio, anche perché si potrebbe influire con i giudizi i vicini. 9. L’allenamento è fondamentale, anche a casa si può degustare una bottiglia a settimane. A scuola un costante allenamento potrebbe prevedere la degustazione in classe di un vino a settimana.
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L’AMBIENTE IDEALE PER DEGUSTARE UN VINO Per degustare correttamente un vino, occorrerebbe un locale illuminato con luce naturale, tinte chiare e neutre (magari il bianco), spazioso e ben protetto da rumori esterni. Se le degustazioni vengono fatte di sera oppure il locale non dispone di luce che entra in maniera più che sufficiente, si può ricorrere all’illuminazione artificiale, usando magari luci al neon. La stanza non deve essere affollata e vi sono anche appositi spazi per la degustazione professionale, ma non solo per il vino, anche per altri prodotti, come l’olio. Anche la temperatura ha la sua importanza: quella ideale del locale deve essere intorno ai 18°C e l’umidità relativa intorno al 60%. Quali bicchieri si usano? Il bicchiere deve essere conforme a determinate caratteristiche, che sono dettate dalle esigenze dei diversi vini. Ogni tipo di vino ha una propria forma di calice ideale. Il bicchiere deve fondamentalmente permettere di distinguere e apprezzare in modo e misura ideale le qualità del vino che è destinato ad esservi contenuto. Dovrà quindi essere trasparente e del tutto incolore, dovrà avere una forma ovale più o meno chiusa; l’ampiezza dovrà essere adeguata al tipo di vino; il bordo dovrà andare verso l’interno o all’esterno a seconda che gli aromi del vino in degustazione debbano essere concentrati perché troppo tenui, oppure espansi perché troppo intensi, e a seconda che si voglia indirizzare il vino, durante la beva, sulla punta della lingua o sul fondo del palato; lo stelo, infine, dovrà essere sufficientemente lungo da permettere una presa che non trasmetta al vino il calore della mano.
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Il bicchiere ISO (International organization for Standardization) è un bicchiere tecnico creato nel 1971. Usato principalmente da enologi ed enotecnici, tuttavia oggi si utilizza anche per altri prodotti poiché permette un’analisi neutra del prodotto. Questo bicchiere è stato approvato dall’INAO (Institut National d’Appellation d’origine) e conforme alle norme AFNOR (Association Francaise de Normalisation) e deve disporre di queste caratteristiche:
• Vetro incolore, liscio, di spessore ridotto, privo di scritte; • Percentuale di piombo 9% (il cristallo è al 24%); • Forma classica a tulipano capacità di 210-225 ml; • Apertura della coppa 46 mm; • Altezza della coppa 100 mm; • Altezza dello stelo 55 mm; • Spessore del gambo 9 mm; • Diametro del piede 6 mm.
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LA TEMPERATURA IDEALE DEL VINO Quando si sente dire “il vino rosso va degustato a temperatura ambiente”, ciò è parecchio illusorio: infatti ad agosto la temperatura ambiente raggiunge almeno i 28 gradi, e noi non possiamo di certo servire un vino rosso a 28 gradi! Pertanto si deve parlare di temperatura di servizio. Si parte generalmente dai 6-8°C per i vini spumanti, sino ad arrivare ai 18-20°C dei vini rossi maturi e strutturati.
°C
TIPOLOGIA
6
Spumanti secchi e dolci, vini aromatizzati
8
Vini bianchi secchi giovani e fruttati
10
Vini bianchi secchi aromatici, vini abboccati
12
Vini novelli, vini rosati
14
Vini rossi leggeri (poco tannici)
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Vini rossi mediamente strutturati (abbastanza tannici)
18
Grandi vini rossi invecchiati, vini rossi di grande corpo (tannici)
8 - 18
Vini passiti, vini liquorosi
La termperatura con la quale viene servito un vino può esaltare oppure annullare determinate caratteristiche. Ad esempio le basse temperature sono ideali per valorizzare la sapidità, l’acidità, l’amaro e l’astringenza. Di conseguenza anche la freschezza gustativa, carattere che viene apprezzato in particolare negli spumanti e nei vini bianchi. Infatti tutto ciò che ad esempio contiene anidride carbonica va servito a temperatura bassa (che sia anche semplicemente un bicchiere d’acqua frizzante). All’opposoto, le temperature più alte esaltano la morbidezza, l’alcol, la dolcezza e i profumi. Note che ritroviamo nei passiti per esempio (anche se alcuni possono essere serviti a temperature basse) e nei vini rossi maturi. Possiamo avere quindi questa scaletta: Vini bianchi in genere Temperatura fredda Vini rossi Temperatura più elevata Vini bianchi liquorosi Temperatura fresca
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L’ESAME VISIVO Dopo aver versato il vino nel bicchiere, per prima cosa si procede all’analisi visiva che permetterà non solo di vedere il colore, ma anche di valutarne le varie sfumature e la sua evoluzione. L’esame visivo si attua in varie fasi che riguardano sostanzialmente: • La limpidezza: con questa operazione si porta il bicchiere all’altezza degli occhi, osservandolo in controluce. Dato che il vino è sempre “colorato“ si valuta più che altro l’assenza di particelle in sospensione. Questo per i vini bianchi. Nel caso dei vini rossi, si valuterà più attentamente per vedere se vi sono delle particelle in sospensione, poiché il denso colore rende più difficile la penetrabilità dei raggi luminosi. • Il colore: la seconda fase permette di valutare il colore del vino e le sue sfumature. Dove nel bicchiere vi è maggior spessore, si valutano il colore e la sua intensità, mentre in quella di minor spessore (qui il vino si distribuisce in strato molto sottile), si osservano invece le sfumature, decisive nella previsione dello stato evolutivo del vino;
• La consistenza: la terza fase si attua facendo ruotare lentamente il bicchiere. Questo permette intanto di vedere il movimento rotatorio che può essere più o meno fluido, ma anche di osservare le pareti del bicchiere: qui si formano le cosidette lacrime o archetti. La regola suggerisce che in base alla velocità di ricadute delle lacrime e l’ampiezza degli archetti, si possa valutare la consistenza del vino; • Il perlage: in alcuni casi non si valuta la consistenza, bensì il perlage, ossia quel movimento provocato dall’anidride carbonica che sale verso l’alto. Il perlage si valuta per gli spumanti ed i vini frizzanti. In questo caso si prenderanno in esame le bollicine. Ma questo lo vedremo tra poco.
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La limpidezza Nel linguaggio della degustazione per limpidezza si intende “assenza di particelle in sospensione”. Nel caso opposto, qualora vi siano delle particelle, il vino può considerarsi velato, talvolta conseguenza anche di una mancanza di filtrazione. Il vino non si può considerare del tutto trasparente, ossia capace di far penetrare raggi luminosi: ciò dipende dalla quantità di sostanze coloranti presenti nel vino. Anche qui la regola non vale per tutti i vini: quelli poveri di materia colorante, come i bianchi, rosati ed alcuni rossi, vengono facilmente attraversati dalla luce. Invece quelli molto ricchi di materia colorante, nel caso di alcuni rossi dal colore compatto, impediscono la penetrazione della luce. Vi sono alcuni casi di vini lungamente invecchiati in bottiglia: questo affinamento, nel tempo, può produrre un residuo che si deposita sul fondo della bottiglia e che potrebbe finire nel bicchiere. In questo caso va effettuata la decantazione non travasando completamente il contenuto della bottiglia nella caraffa decanter. Dal punto di vista tecnico, il vino sarà valutato come “abbastanza limpido”: termine che non indica un difetto, se prendiamo in considerazione lo stato della conservazione della bottiglia e le sue caratteristiche. Vi possono essere altri casi dove il vino non viene filtrato del tutto, infatti il produttore può aver imbottigliato lasciando i lieviti o, oppure semplicemente non aver volutamente filtrato il vino. Se invece vi sono alterazioni o difetti, allora si potranno usare termini come torbido e velato, con un’accezione negativa. Vi sono anche dei termini, utilizzati prevalentemente per spumanti: “cristallino” e “brillante”; in particolare il termine brillante viene favorito dal perlage dello spumante o dello Champagne, che in un certo qual modo illumina il contenuto del bicchiere, riflettendo la luce esterna. Il termine cristallino invece ben si addice ai vini bianchi e rosati che si presentano con una forte luminosità.
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Il colore La colorazione di un vino si ottiene quando nella fase della fermentazione si lasciano le parti liquide (il succo che diventerà vino) e solide (le bucce) insieme. Il colore si ottiene soprattutto dalle sostanze polifenoliche presenti nella buccia degli acini, ma concorrono anche altri fattori come: la temperatura e dalla durata della fermentazione, la quantità di anidride solforosa utilizzata e il numero dei rimontaggi. Se eliminiamo le bucce, otterremo invece vini bianchi (20-25 mg\l di sostanze coloranti). Questo si può fare anche con uve a bacca nera. Tra le tecniche evolute per avere un vino bianco dal temperamento ricco di personalità, prima di procedere con la normale vinificazione in bianco, si usa una criomacerazione del mosto e una macerazione pellicolare (a contatto con le bucce). Nella scheda di valutazione dell’AIS il colore viene valutato attraverso tre parametri: intensità, tonalità e vivacità. Intensità del colore L’intensità dipende dalla quantità di sostanze pigmentate presenti, diretta conseguenza di fattori fissi e variabili. Tra i fattori fissi vi è la zona di produzione, latitudine, l’esposizione, il microclima, la composizione e la struttura chimica del terreno. È il caso, ad esempio di vini rossi fortemente intensi, che crescono su terreni vulcanici (Etna, Vesuvio, ecc). Tra i fattori variabili ricordiamo il vitigno e l’andamento stagionale delle piogge, la maturazione e lo stato di sanità delle uve, le tecniche applicate durante la vinificazione ed il tempo di macerazione, la durata della fermentazione e l’utilizzo di contenitori di legno durante la maturazione.
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Tonalità del colore La tonalità del colore è molto importante soprattutto perché può dare precise indicazioni sullo stato evolutivo del vino. Essa dipende dal tipo di pigmenti presenti, ma anche da altri fattori come l’acidità, il pH e lo stato di ossidazione delle sostanze polifenoliche. I vini bianchi molto giovani generalmente si presentano con una tonalità giallo chiara e sfumature fredde, addirittura con riflessi sul verde chiaro. Poi con l’invecchiamento e l’ossidazione, il colore giallo assumerà delle tinte più forti. I vini rossi giovani si presentano con una tonalità rubino, ma con forti riflessi tra il viola e il fucsia; nei vini maturi questa tonalità ve verso il colore granato ed aranciato. Soprattutto quest’ultima sfumatura ci suggerisce che si tratta di un vino lungamente invecchiato (il colore ricorda quei tetti di mattone delle vecchie case). I vini rosati generalmente non mutano intensità di colore nel tempo, tuttavia dopo circa due anni dalla produzione, perdono freschezza ed il colore va verso una sfumatura aranciata tenue.
Vivacità del colore La vivacità del colore è molto importante per capire se il processo di produzione e evoluzione del vino è avvenuto in modo corretto. Questo può dipendere da tre fattori: a) stato di salute delle uve; b) tecniche di lavorazione; c) conservazione. Il colore si deve presentare vivo e fresco. Per quanto riguarda la conservazione, non vale solo per la produzione del vino, ma anche dopo l’imbottigliamento: se il vino non viene conservato correttamente e si trova a contatto con la luce, l’ossidazione sarà più veloce.
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La consistenza Per valutare la consistenza di un vino, la prima operazione da fare è osservare la mescita: già dal modo in cui il vino scende può darci qualche indicazione. Poi con le dita si solleva il bicchiere dallo stelo e lo si rotea. Nel movimento rotatorio si formeranno delle lacrime e degli archetti. Queste possono essere rapide e disordinate, oppure seguire un movimento lento e regolare. Se il vino è molto ricco di etanolo, gli archetti saranno più fitti. Così vi sono anche altre sostanze come la glicerina, i tannini, i sali, che rendono il vino più consistente. Se il vino è giovane, leggero, fresco, poco alcolico, la sua consistenza sarà limitata. Altri fattori che possono influire sulla corretta formazione delle lacrime e degli archetti, sono le superfici dei bicchieri: i bicchieri vanno lavati correttamente ed a volte persino residui del brillantante possono rendere difficile l’interpretazione.
L’effervescenza Quando si degusta uno spumante o uno Champagne, la consistenza non si valuta, ma sarà osservata l’effervescenza. Questa è data dalla presenza di anidride carbonica è si può trovare anche in altri tipi di vini bianchi, rossi e rosati). Alcuni vini italiani, come il Lambrusco o il Penisola Sorrentina hanno proprio come caratteristica quella di essere frizzanti. Infatti si presentano come vini freschi, con una piacevole acidità. Nei vini rossi maturi e passiti, invece, viene apprezzata di più la morbidezza, e la presenza anidride carbonica rappresenta un fattore decisamente negativo, legato a probabili fermentazioni indesiderate. L’anidride carbonica favorisce la liberazione delle sostanze volatili: le bollicine infatti trasportano in alto il profumo del vino, e scoppiando provocano una sensazione tattile di pungenza sulla lingua. Nella scheda di valutazione il perlage si valuta a seconda della dimensione delle bollicine (grana), il loro numero (che può essere poco numeroso o numeroso) e la persistenza del perlage, ossia il tempo di sviluppo delle bollicine.
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L’ESAME OLFATTIVO Dopo l’esame visivo, abbiamo la seconda fase dell‘analisi sensoriale per scoprire quali profumi ci offre il vino. La prima operazione è valutare che non siano presenti difetti (odore di tappo, muffa, anidride solforosa, ecc.). La via nasale e via retronasale Le particelle odorose sono sostanze chimiche volatili che sono ispirate attraverso le fosse nasali, colpendo la mucosa olfattiva. Le due principali vie sono la via nasale diretta e la via retronasale. • Via nasale diretta: questo avviene quando si avvicina il bicchiere al naso e si inspira, i profumi arrivano alla mucosa olfattiva attraverso la via nasale diretta. In questo modo le molecole sfiorano la mucosa olfattiva grazie a un movimento di diffusione, mescolandosi con l’aria che occupa la cavità nasale in seguito a inspirazioni piuttosto deboli. Se facciamo delle inspirazioni più profonde, i vortici d’aria colpiscono la mucosa olfattiva e rendono più efficace la percezione delle sensazioni. • Via retronasale: la via retronasale entra in gioco nella percezione delle sensazioni odorose solo dopo la deglutizione del vino, quando la faringe crea una pressione che sposta i vapori dalla cavità orale a quella nasale. Facendo così, le molecole odorose arrivano alla mucosa olfattiva per convenzione; nello stesso momento l’aria fredda entra e quella calda esce. L’insieme di queste sensazioni gusto-olfattive costituisce la Persistenza Aromatica Intensa (PAI), che sarà tratta nell’esame gustoolfattivo.
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DA DOVE VIENE IL PROFUMO DEL VINO Si è calcolato che nel vino si possono trovare oltre 220 sostanze volatili che si percepiscono già a temperatura ambiente grazie all’analisi olfattiva. La maggior parte di queste sostanze vengono prodotte dalle uve, altre invece si formano attraverso la fermentazione. Tutte queste note comunque si possono raggruppare in tre grandi categorie. Al degustatore il compito di individuare le principali. I TRE GRUPPI DI PROFUMI I profumi che si liberano dal vino fanno parte di tre gruppi considerati primari, secondari e terziari. L’origine è sostanzialmente diversa: alcuni provengono dal tipo di uva, altri dalla fermentazione e dalla lavorazione, altri ancora dall’affinamento in bottiglia e soprattutto dalle botti. Profumi primari I profumi primari sono definiti anche varietali poiché derivano dal vitigno (appunto dalla varietà). Essi sono presenti soprattutto nella buccia dell‘acino. Dal punto di vista chimico fanno parte della categorie dei terpeni: si tratta di circa un centinaio di molecole, che donano aromi e profumi al vino. Alcuni di questi sono il linalolo (presente nel legno della rosa), il geraniolo (geranio ed alcune erbe) e il nerolo, che si trova nell’olio essenziale di bergamotto e non solo.
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Profumi secondari Una volta che il vino inizia il processo di fermentazione, altri profumi vanno a formarsi aggiungendosi a quelli primari. Questi profumi derivano essenzialmente dall’azione di alcuni enzimi appena prima della fermentazione o dall‘azione di lieviti durante la fermentazione. In genere conferiscono al vino profumi floreali, fruttati, di frutta secca e confetture. Profumi terziari I profumi terziari si formano grazie alla maturazione ed all‘affinamento del vino. Se da una parte il riposo in acciaio non incide direttamente sulle trasformazioni del vino, all’opposto l’uso della botte riesce ad influire sullo sviluppo di alcuni profumi grazie al legno. Anche la dimensione della botte può influenzare: più è piccola, più incide. Durante il riposo del vino nelle botti grandi o nelle barrique, i profumi primari e secondari tendono a diminuire e a essere sovrastati da quelli terziari, che si presentano più maturi ed evoluti. Le note che si svilupperanno ricorderanno confetture e frutta secca, fiori appassiti e secchi, sentori speziati e tostati, animali ed eterei, che si fonderanno con quelli già presenti e in continua evoluzione, creando un bouquet particolare e complesso.
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LE CATEGORIE DEI PROFUMI DEL VINO I profumi (o meglio le loro famiglie) sono stati divisi per comodità in 8 gruppi. Diamo un’occhiata… Profumi floreali Le note floreali sono sempre presenti nei vini,soprattutto quelli giovani e bianchi. Questi hanno sfumature che ricordano i fiori freschi come il gelsomino, il biancospino, i fiori d‘arancio, la rosa bianca ed in alcuni casi anche fiori gialli come la ginestra. Nei vini rossi giovani troviamo ugualmente sentori floreali che ricordano fiori freschi come quelli della rosa rossa (nel Brachetto per esempio), della violetta, della viola mammola e dell‘iris. Con la maturazione del vino, i sentori ricorderanno sempre fiori, ma appassiti e secchi. Profumi fruttati I profumi fruttati che si possono sentire nel vino ricordano sia la frutta a polpa pianca, sia quella a polpa gialla. Tuttavia possiamo sentire anche note agrumate (ananas, limone), nonché frutta essiccata e secca. Anche in questo caso se il vino subisce un affinamento in botte, i sentori si ammorbidiscono ed i profumi ricordano sfrumature di frutta matura o cotta, confetture e frutta appassita. Le sfumature sono evidenti anche nei vini passiti. Profumi erbacei e vegetali I profumi che ricordano i sentori vegetali sono più difficili da riconoscere poiché spesso sono simili alle foglie e all’erba tagliata. Vi possono essere anche sentori che ricordano le erbe aromatiche (soprattutto nei vini bianchi), come il timo e l’elicrisio.
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Profumi tostati Anche questi profumi sono collegati all‘evoluzione del vino. Le note ricordano quelle della frutta secca tostata, del cacao, del cioccolato. Li ritroviamo spesso nei vini rossi invecchiati. Alcuni di questi profumi dipendono dal vitigno, in alcuni casi invece dall’invecchiamento in barrique o tonneau. Profumi speziati I profumi speziati si formano generalmente nei vini sottoposti ad invecchiamento. Le note ricordano la vaniglia, che si ottiene dall’affinamento da barrique (anche il Rum Pampero ha questa nota dovuta al passaggio in barrique). Alcuni vitigni invece nascono con un’impronta speziata, come Gewurztraminer o il Syrah. Tra le spezie più diffuse troviamo il cardamomo, la liquirizia e il pepe nero. Profumi minerali Strano a dirsi, ma anche i minerali hanno un profumo di solito penetrante e caratteristico. Nelle sfumature „minerali“ vanno inclusi anche sostanze come lo zolfo oppure la pietra focaia o gli idrocarburi. Alcuni di questi profumi li troviamo nei Riesling della Valle del Reno, nel Gavi e nel Nero d‘Avola, vino siciliano, che offre sfumature salmastre o di grafite. Profumi animali Anche in questo caso si tratta di profumi evoluti che ritroviamo in vini invecchiati (ed alcuni casi anche in bianchi). Tra le note che possiamo ritrovare, vi sono quelle del cuoio, della pelle di animale bagnato, sino a quello della pipì di gatto. In alcuni Pinot nero della Borgogna troviamo quello di merde de poule. Profumi eterei I profumi eterei sono i più interessanti, sintomo di un lungo invecchiamento in bottiglia. Sono note iodate e di medicinali, smalti e vernici, acetone: ecco cosa possiamo trovare in vini rossi lungamente invecchiati.
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L‘ESAME GUSTO-OLFATTIVO L’esame gusto-olfattivo avviene successivamente a quello visivo e ci servirà per capire innanzitutto che non ci siano sapori anomali (che nella prima analisi potrebbero essere anche non percepiti) ed inoltre con esso si valuteranno le singole sensazioni saporifere (dolcezza, acidità, sapidità, amarezza) e tattili (pseudo calore, astringenza, struttura e consistenza gustativa, pungenza, effetto termico). Con questa operazione si avranno le valutazioni di struttura, equilibrio, intensità, persistenza e qualità gusto-olfattiva.
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Le fasi dell‘esame gusto-olfattivo L‘esame gusto-olfattivo si compone di varie fasi.
• Assaggio: il bicchiere, come nell’analisi visiva, deve essere impugnato alla base oppure dallo stelo: in questo modo si eviterà di trasmettere il calore dalla mano al contenuto del bicchiere. • Secondo assaggio: si mettono in bocca circa 10 ml di vino: grazie a questa quantità si lambisce tutta la cavità orale, senza subire una significativa diluizione da parte della saliva. • Inspirazione attraverso i denti: si porta il vino nella parte anteriore della bocca, tenendola chiusa; nello stesso momento si inspira lateralmente, attraverso i denti, una piccola quantità di aria. Questa operazione ha come effetto quello di inviare il vino con maggior forza sulle papille gustative e sui recettori, stimolandoli in modo più incisivo. Inoltre, l‘aria si mescola al vino e si crea un gorgoglio che favorisce la volatilizzazione di alcune componenti, amplificando le sensazioni saporite, tattili e gustoolfattive. • Movimento del vino in bocca: la lingua, all‘interno della cavità orale, muove il vino, ed in questo modo si esercita anche una leggera pressione contro la volta del palato. • Degustazione ed espirazione: successivamente il vino viene deglutito e dopo, tenendo la bocca chiusa, si espira attraverso il naso, per riportare alla mucosa olfattiva i profumi liberati dalla temperatura della cavità orale (36-37 °C). • Masticazione a bocca vuota: dopo la deglutizione si effettua una masticazione a bocca vuota; questa serve per valutare la Persistenza Aromatica intensa (PAI), ossia per quanti secondi in bocca si continua a percepire l‘insieme delle sensazioni gusto-olfattive del vino (aromi di bocca).
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IL GUSTO DEL VINO Il gusto del vino si può percepire grazie all‘insieme di sensazioni saporifere che coinvolgono la lingua ed i sensi del gusto (dolcezza, acidità, sapidità, amarezza), alle sensazioni tattili, (pseudocalore, morbidezza, astringenza, pungenza, struttura o consistenza gustativa ed effetto della temperatura) e retronasali. Le sensazioni saporifere Elenchiamo di seguito le cinque sensazioni saporifere del vino fisiologicamente riconosciute dalla lingua. In realtà l’umami è stato aggiunto recentemente ed ancora non è considerato nell’analisi del vino. • Dolce: questa sensazione viene regalata dalla presenza degli zuccheri. Si percepisce soprattutto sulla punta della lingua. • Acido: deriva dalla presenza degli acidi presente nel vino e si percepisce nella porzione mediana della lingua; • Salato: questa sensazione si percepisce nella parte interna della lingua e deriva dalla presenza di sali minerali nel vino; • Amaro: la sensazione è avvertita nella parte più interna della lingua (retrobocca) e deriva dalla presenza di sostanze polifenoliche; • Umami: l‘umami viene percepito grazie alla presenza delle molecole mGluR4 e mGluR1; ricorda il sapore del glutammato.
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LE SENSAZIONI TATTILI Sono sensazioni che contribuiscono a rendere più complesso il gusto del vino. Per il loro riconoscimento si attivano le papille filiformi, presenti nella parte mediale della lingua, oltre a recettori sparsi sulla lingua stessa e in tutta la mucosa orale. Le sensazioni tattili sono le seguenti: • sensazioni pseudocalorica, che viene percepita come una sensazione di calore data dalla presenza dell’alcol etilico sulla mucosa orale. Maggiore sarà la gradazione alcolica, così anche maggiore sarà la sensazione; • morbidezza, che di solito la troviamo nei vini invecchiati o passiti. Si tratta di una sensazione tattile che rende il vino vellutato e avvolgente. Proviene dalla presenza dei polialcoli, seguiti da alcol etilico, eventuali zuccheri residui e sostanze colloidali; • astringenza, che è dovuta alla presenza dei tannini nei vini rossi, viene percepita come secchezza e rugosità sulla lingua e in tutta la bocca; • effetto termico, che è collegato alla temperatura alla quale si degusta un vino, condiziona la sensibilità dei recettori della cavità orale nei confronti delle sensazioni saporifere e tattili; • Pungenza, che troviamo nei vini ricchi di anidride carbonica e dona una sensazione simile ad un pizzicore dato dall‘anidride carbonica.
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LE SENSAZIONI GUSTO-OLFATTIVE Le sensazioni che si possono provare assaggiando un vino sono dovute alle varie sostanze presenti in esso, tra cui zuccheri, alcoli, polialcoli, acidi organici, tannini e componenti minerali, i quali sono i componenti fondamentali del vino e donano, a seconda della presenza, le delicate e decise, morbide o aggressive. Gli zuccheri Gli zuccheri sono composti organici ed in natura li ritroviamo in ogni tipo di frutta, quindi anche l’uva. Nella produzione del vino gli zuccheri (glucosio e fruttosio) vengono trasformati in alcol etilico, anidride carbonica e sostanze secondarie. Può avvenire che gli zuccheri non vengano completamente trasformati, in questo caso il vino risulta più o meno dolce. Nella scheda di degustazione i termini per comparare la dolcezza sono: secco, abboccato, amabile, dolce, stucchevole. Gli alcoli Dopo l’acqua, sono gli alcoli quelli più presenti nel vino, tra il 4 ed il 20%. L‘alcol più abbondante e significativo è l‘etanolo: è questo che si percepisce con l’effetto pseudocalorico. Questo avviene perché l’alcol ha un effetto disidratante etilico che riduce l‘azione rinfrescante dell‘ acqua della saliva, e al suo effetto vasodilatatore, che provoca un maggior afflusso di sangue verso i capillari della mucosa. Gli alcoli contribuiscono a donare maggiore morbidezza al vino, arginando la durezza degli acidi, dei sali e dei tannini. In base alla loro presenza, i termini degli alcoli nella scheda sono: leggero, poco caldo, abbastanza caldo, caldo, alcolico. In commercio esistono anche degli alcolometri per gli appassionati e professionisti. I polialcoli Anche questi componenti contribuiscono a riequilibrare la durezza di acidi, tannini e sale, donando morbidezza. In bocca donano una sensazione vellutata. In base alla loro presenza, i termini della morbidezza sono: spigoloso, poco morbido, abbastanza morbido, morbido, pastoso. Gli acidi Insieme all’acqua ed agli alcoli, gli acidi sono i componenti più abbondanti del vino. Gli acidi donano la sensazione di freschezza gustativa ed in base alla loro presenza, i termini dell‘acidità sono: piatto, poco fresco, abbastanza fresco, fresco, acidulo. I tannini I tannini (che provengono dai vinaccioli e dalla buccia degli acini) donano secchezza, rugosità e astringenza. Essi vengono valutati solo nei vini rossi, nei vini bianchi no. I tannini nei vini giovani si mostrano duri e astringenti; nei rossi più maturi invece troviamo in evidenza i tannini ceduti dal legno delle botti, più morbidi e gradevoli. In base alla loro presenza, i termini della tannicità sono: molle, poco tannico, abbastanza tannico, tannico, astringente. 83
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Le sostanze minerali La sapidità di un vino è determinata dalla presenza di alcune sostanze minerali, come gli anioni di acidi organici e inorganici, e i metalli come potassio, ferro, rame e altri. La presenza di sostanze minerali può dipendere da vari fattori legati al tipo di terreno, al clima, sino alla lavorazione e all’affinamento. In base alla quantità presente il vino sarà: scipito, poco sapido, abbastanza sapido, sapido, salato. LA STRUTTURA Nel vino, anche se non si direbbe, è presente una parte solida, dalla quale dipende la struttura (o corpo): l’estratto secco. La quantità varia a seconda del vino, nei bianchi è compreso in genere tra i 16-22 g|l, mentre, in quelli rossi, tra il 20-30 g|l. Con la valutazione della consistenza, si possono già notare delle particolarità del vino: più il movimento evidenzierà la consistenza, maggiore sarà la struttura del vino. La valutazione della consistenza, realizzata durante l‘esame visivo, potrebbe avere già dato l’indicazione della probabile struttura del vino. Infatti, più un vino mette in luce una grande consistenza, più ci si aspetta una struttura importante. Per valutare la struttura, si useranno termini come: magro, debole, di corpo, robusto, pesante. L‘equilibrio gusto-olfattivo Quando si parla di equilibrio di un vino, si valutano due fattori, le morbidezze (dovute agli zuccheri, alcoli e polialcoli) e le durezze (acidi, tannini, sostanze minerali). Quando questi sono in adeguato equilibrio, ossia nessuno si sovrappone all’altro, ecco che abbiamo un vino equilibrato. I termini per questa valutazione sono: poco equilibrato, abbastanza equilibrato, equilibrato. L‘intensità gusto-olfattiva Quando il vino viene degustato l’impatto sulle papille e sui recettori che sono sulla lingua può essere più o meno intenso a seconda della presenza che danno struttura, oltre all‘alcol etilico ed alle sostanze aromatiche. I termini utilizzati nella scheda di valutazione sono: carente, poco intenso, abbastanza intenso, intenso, molto intenso. La persistenza gusto-olfattiva Una volta assaggiato il vino, la sua persistenza può durare pochissimi secondi oppure arrivare sino a diverso tempo (sempre espresso in secondi). Sono soprattutto i vini rossi che lasciano un gusto ed una scia in bocca per diverso tempo. Il termine adatto è PAI che sta per Persistenza Aromatica Intensa; la PAI è valutata in secondi ed i termini della persistenza del gusto sono: corto, poco persistente, abbastanza persistente, persistente, molto persitente. La qualità gusto-olfattiva La qualità gusto-olfattiva si valuta sulla base di intensità, persistenza, piacevolezza, eleganza, finezza e tipicità del vino, i quali permettono di esprimere una valutazione 84
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sul gusto del vino. I termini della finezza del gusto che troviamo sulla scheda sono: comune, poco fine, abbastanza fine, fine, eccellente. Lo stato evolutivo Non tutti i vini subiscono la stessa maturazione. Alcuni sono già pronti dopo un paio d’anni, altri invece hanno bisogno di un lungo periodo, soprattutto per i vini rossi. L’evoluzione del vino è simile alla tappa dell’uomo: all‘inizio è acerbo, poi giovane, successivamente diviene pronto, maturo ed infine vecchio. Per valutare lo stato evolutivo si utilizzano pressoché gli stessi termini: immaturo, giovane, pronto, maturo e vecchio.
LE SCHEDE DI VALUTAZIONE
L’idea di valutare un vino con un’apposita schede dettagliata è abbracciata da ogni associazione. Ognuna, nel tempo, ha perfezionato una propria scheda che attribuisce un punteggio complessivo che tiene conto di tutti i fattori, anche dei difetti. Alcuni esempi di schede di valutazione La valutazione di un vino viene data in maniera indipendente in base ad un punteggio o attraverso l’uso di simboli (grappoli, bicchieri, ecc.). L’AIS, l’Associazione Italiana Sommelier, è stata tra le prime a codificare una scheda a punteggio di 100 punti, ripartita così: 15 all‘esame visivo, 30 a quello olfattivo, 40 al gusto-olfattivo e 15 all‘armonia, che tiene conto della valutazione complessiva dei tre esami. Un’altra associazione, l‘ONAV (Organizzazione Nazionale Assaggiatori Vino), invece attribuisce 16 punti all‘esame visivo, 24 all‘esame olfattivo, 36 al gusto-olfattivo, ed infine i 24 restanti ai caratteri di tipicità e alle sensazioni finali. La scheda dell‘Assoenologi (Associazione Enotecnici Enologi Italiani), valuta anche eventuali difetti del vino. Anch’essa si basa su 100 punti che vengono ripartiti così: 20 punti all‘esame visivo, 32 all‘olfattivo, 48 al gusto-olfattivo e alle sensazioni finali; per la valutazione degli spumanti, usa una scheda diversa, dove si dà maggior rilievo all‘esame visivo (30 punti), riducendo l‘importanza di quello olfattivo (28 punti), del gusto-olfattivo e delle sensazioni finali (42 punti). Da segnalare anche la scheda adottata dall‘Unione Internazionale degli Enologi, nella quale sono attribuiti 18 punti all‘esame visivo, 24 all‘olfattivo, 36 al gusto-olfattivo ed infine 6 punti al giudizio finale complessivo. Ed infine la scheda dell’AIBM per la degustazione di vini orientati verso il consumo al bar.
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Crucibarman • 2 Vini di Qualità Prodotti in Regioni Determinate (5) Occorre accesa nella decantazione (7) La loro azione provoca la fermentazione (7) Può apparire quando il vino viene conservato in botti vecchie (5) Eccessiva presenza di anidride solforosa (15) Si evita tenendo le botti ben colme (6) Dà un velo biancastro sulla superficie del vino (8) Lo è come uva il vermentino (6)
1 2 3 4 5 6 10 12 15
Sinonimo di profumi primari (9) Si possono usare per appassire le uve (8) Si effettua per i vini rossi invecchiati (12) Vino latino (5) Insetto dannoso alla vite (10) Sinonimo di moscato d’Alessandria (7) Tipico bar dove è presente la figura del sommelier (7) Vini di ghiaccio (7) Indicazione geografica tipica (3)
Verticali
Orizzontali
4 7 8 9 11 13 14 16
92
Quanto ne sai sul... mondo del vino?
1 2 3
4 5 6
7
Il vino proviene dalla a) b) c)
Vitis lambrusca Vitis vinifera Vitis sana
Nella fermentazione svolgono una funzione importante a) b)
Acidi Lieviti
c) Raspi Parassita distruttore di vigneti a)
Cimice
c)
Fillossera
b) Vespa Sono caratteristiche usuali dei vini bianchi a) b) c)
Buona acidità e profumo Profumi evoluti e complessi Colori tendenti al rosato
La diraspatura permette di a) b) c)
Schiacciare le uve Separarle dai raspi Far fermentare il vino
Può essere immesso sul mercato solo dopo il 6 Novembre a) b) c)
Vino spumante Vino novello Vino passito
Si raccolgono di solito a -7 gradi a) b) c)
Le uve per i vini passiti Le uve per i vini di ghiaccio Le uve per i vini liquorosi 93
8
Celebre vino passito piemontese a) b) c)
Apianum Erbaluce Sciacchetrà
Nello Sciacchetrà ritroviamo le uve
9 10
a)
Montefalco e Bosco
c)
Sangiovese e Moscato
b) Bosco e Albarola
Sinonimo di cattiva conservazione del vino a) b) c)
11 12
Secchino Solforoso Abboccato
La sgrondatura permette di a) Raffinare l’uva b)
Togliere le vinacce
a)
Molto fruttato
c) Togliere i raspi Caratteristica del vino novello b) c)
Tannico Piuttosto acerbo
Il termine IGT sta per…
13 14 15
a) Indicazione Geografica Tipica b) c)
Indicazione Geografica Tradizionale Indicazione Geografica Turistica
Per un vino passito la muffa può essere a) b) c)
Nobile Parassitaria Inutile
La caratteristica dei vini frizzanti è la presenza di a) b) c)
Anidride carbonica Maggior grado alcolico Colore cristallino 94
16
I graticci si usano per a) Vini liquorosi b) c)
Vini passiti Vini spumanti
La dicitura “Classico” si riferisce
17 18 19 20
a) b) c)
Ad un vino autoctono Ad un vino prodotto in una zona più antica del doc o docg Solo ad un vino docg
La dicitura “Superiore” si riferisce a a)
Qualità superiore
c)
Invecchiamento lungo
b) Grado alcolico superiore Sinonimo di “vino generico” a)
Vino bianco
c)
Vino leggero
b) Vino da tavola La decantazione si effettua per a)
Vini spumanti
c)
Vini rosati
b) Vini rossi
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MODULO 3: SOFTWARE DI SETTORE
PREMESSA
Viviamo in un’epoca dove il numero dei locali dediti alla ristorazione è decisamente raddoppiato, se andiamo ad analizzare i dati di diversi decenni addietro. Di conseguenza, tutto questo proliferare ha frammentato la clientela. Pertanto oggi uno dei primi problemi che il ristoratore deve fronteggiare è quello di acquisire nuova clientela (e nel frattempo mantenere quella abituale). Nel frattempo, almeno se guardiamo gli ultimi 15 anni, il campo delle nuove tecnologie ha sfornato molti software ed APP dedicate alla promozione turistica e ristorativa. Nel 2003 nacque www.smsevia.it un sistema di invio SMS da PC a cellulare, utilizzato proprio per inviare messaggi promozionali ad amici e clienti (oltre che per comunicare). Oggi vi sono social network, APP e addirittura nuove discipline del marketing, come il geomarketing e il marketing territoriale. Sono questi gli argomenti che possono interessare all’addetto di sala e vendita, dove appunto non si vende solo un ottimo piatto o un vino, ma anche il territorio, le emozioni, lo spirito di quella terra.
GLI STRUMENTI TECNOLOGICI FACEBOOK Facebook è un social network nato nel febbraio 2004 e gestito dalla società Facebook Inc., a Paolo Alto, in California. Il sito fu fondato ad Harvard negli Stati Uniti da Mark Zuckerberg e dai suoi compagni di università Eduardo Saverin, Dustin Moskovitz e Chris Hughes. In origine era stato progettato solo per gli studenti dell’Università di Harvard, ma fu presto aperto anche agli studenti di altre scuole della zona di Boston, della Ivy League e della Stanford University. Negli anni a seguire, la popolarità è cresciuta, tanto che secondo Alex1 dal giugno 2013 è diventato il sito più visitato al mondo, superando Google. È disponibile in oltre 70 lingue e nel gennaio 2015 contava circa 1,4 miliardi di utenti attivi (745 milioni si collegano via app e 526 milioni via Messenger), che effettuano l’accesso almeno una volta al mese, classificandosi come primo servizio di rete sociale per numero di utenti attivi. Dal nostro punto di vista, si presta a diversi usi. Il ristorante (o il bar, o l’albergo) può aprire una sua pagina e proporre le ricette, i piatti, gli eventi. Naturalmente non basta aggiornare un paio di volte, ma bisogna seguire la pagina inserendo sempre novità (perlomeno quando ci sono delle serate a tema). Sempre tramite Facebook è possibile acquistare pubblicità mirata (per età, luogo, interessi), quello che una volta si faceva con la posta elettronica. Se ben usato, è uno strumento molto utile per accrescere la clientela. INSTAGRAM Instagram è un’applicazione gratuita che permette agli utenti di scattare foto, applicare filtri e condividerle su numerosi servizi di social network (tra i quali Facebook, Foursquare, Tumblr, Flickr, e Posterous). Il tratto caratteristico di Instagram è la peculiarità del formato fotografico quadrato a cui si aggiunge, sul 1 Alexa Internet Inc.è un’azienda statunitense che si occupa di statistiche sui siti web
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bordo superiore e inferiore dell’immagine, uno spesso margine bianco e tale caratteristica visiva ricorda vagamente lo storico formato cartaceo Polaroid a sviluppo istantaneo. Istagram è stata sviluppata da Kevin Systrom e Mike Krieger e, nata nel 2010, dapprima disponibile solo su PC e compatibile con iPhone, iPad o iPod Touch. Dal 3 aprile 2012 è disponibile anche per i dispositivi che supportano Android, sotto forma di APP e scaricabile da Google Store. È molto utile avere un profilo per inserire i piatti del proprio ristorante o anche i cocktail del proprio barman. Saranno poi gli utenti a condividere le immagini. TUMBLR Tumblr è una piattaforma di microblogging e social networking che consente di creare un tumblelog, cioè un blog dove è possibile postare contenuti multimediali. Centro delle attività degli utenti su Tumblr è la dashboard2. Da qui, infatti, prendono vita gran parte delle attività. La creazione dei post è facilitata da moduli diversi che avviano una procedura diversa a seconda che si voglia pubblicare un testo, un’immagine, una citazione, un link, una conversazione, un file sonoro o un filmato. La grafica di Tumblr può essere gestita tramite modelli grafici forniti dal sito o da altri soggetti. L’utente ha pieno accesso al codice che gestisce la grafica del tumblelog e può quindi modificarlo secondo le proprie esigenze. Lo scambio di informazioni tra gli iscritti alla piattaforma è facilitato dalla funzione di ripubblicazione, che consente di ripostare rapidamente un post pubblicato da altri, e dalla possibilità di sottoscrivere altri Tumblr i cui aggiornamenti appariranno direttamente nella dashboard. A differenza di Instagram, è molto più semplice rendere dinamica la propria pagina inserendo appunto contenuti multimediali. LINKEDIN LinkedIn è un social network speciale, gratuito ma con servizi opzionali a pagamento. È speciale perché è utilizzato soprattutto per lo sviluppo di contatti professionali. La rete di LinkedIn ha superato i 200 milioni di contatti a gennaio 2013 (secondo le stime cresce con 1 milione di iscritti a settimana). Anche questa società risiede a Palo Alto in California. Viene sostanzialmente utilizzata dai professionisti per ampliare le proprie reti di conoscenze e di collaborazione. È utile per personale altamente specializzato (maître, sommelier, capibarman). YOUTUBE Anche Youtube può rappresentare uno strumento di promozione: si può intervistare lo chef del proprio locale e poi caricare la videointervista. Allo stesso modo si possono postare anche i cocktail o comunque le specialità. Si possono disabilitare i commenti al video, onde evitare polemiche con i tuttologi. E si può anche usare la funzione Live Streaming, implementata da poco, sempre per trasmettere qual2 In italiano significa “cruscotto”. Generalmente si riferisce ai comandi da usare per inserire file multimediali e altre attività.
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che particolare evento. Lo svantaggio è che poi il canale deve essere aggiornato. è del tutto diverso fare foto e metterle su FB, un altro è registrare video. Un altro problema potrebbe derivare dal fatto che nei propri video, prima della visione, viene trasmessa della pubblicità (di solito in target con i contenuti). Non potrebbe essere raro avere la pubblicità di un fast food prima del vostro video. TWITTER Twitter è un servizio gratuito di social networking e microblogging, creato nel marzo 2006 dalla Obvious Corporation di San Francisco e fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile tramite messaggi di testo con una lunghezza massima di 140 caratteri (120 nel caso si inserisca un link o un’immagine). Poco adatto per pubblicizzare il locale proprio per il suo utilizzo “testuale” (al massimo un cocktail rientra nei 120 caratteri con immagine). Più utile per il giornalismo cosiddetto partecipativo. Per esempio, nel caso del terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009, gli utenti Twitter hanno segnalato la notizia prima dei media tradizionali.
L’USO DELLA RETE Se anni fa le agenzie di viaggio erano praticamente le uniche a garantire pacchetti di viaggi e ospitalità, oggi è tutto cambiato3. Gli utenti preferiscono utilizzare la Rete, in particolare i motori di ricerca ed anche Youtube, il quale permette di guardare i video dei posti che si vorrebbero visitare. Oltre a questi, troviamo poi i grandi siti di prenotazione online che almeno un turista su tre visita prima di programmare un viaggio. Quando chi si prepara ad andare in vacanza cerca informazioni online su siti, APP e portali, esamina diversi fattori: i costi, innanzitutto, tutti calibrati in base al proprio budget, poi osserva con attenzione foto e video, dà un’occhiata alle recensioni e soprattutto all’elenco dei servizi offerti stilato da chi ne parla. Dopo decide. Queste sono le prime indicazioni anche per gli operatori del turismo: inserire foto e video di buona qualità, ma soprattutto le informazioni che diamo devono corrispondere al vero. Proprio per far fronte a queste esigenze sono nate le agenzie di viaggio online (OTA, ossia online travel agencies). Queste presentano le strutture alberghiere, i pacchetti turistici disponibili e l’elenco dei servizi correlati (“ancillari”), per programmare un viaggio senza troppi mal di testa. Le più importanti sono tutte straniere: Expedia, Hotels.com, Priceline, Trivago, e da poco anche TripAdvisor.
D’altro canto, gli altri colossi non stanno a guardare. Google vuol lanciare Hotel Finder, che sarà in grado di chiudere una prenotazione senza reindirizzare il cliente sul sito dell’albergo prescelto. In Italia la cosa viene vista con preoccupazione dall’Enit, che pensa di lanciare un’OTA simile tutta italiana.
3 Tratto da I colossi del web ci lasciano le briciole di Arturo di Corinto (inchiesta Espresso).
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VIRAL MARKETING “... Il marketing virale è un tipo di marketing non convenzionale che sfrutta la capacità comunicativa di pochi soggetti interessati per trasmettere un messaggio a un numero elevato di utenti finali. La modalità di diffusione del messaggio segue un profilo tipico che presenta un andamento esponenziale. È un’evoluzione del passaparola, ma se ne distingue per il fatto di avere un’intenzione volontaria da parte dei promotori della campagna.” Il principio del viral marketing è lo stesso è di un virus: se un’idea è interessante, ecco che si spande molto più velocemente, grazie al passaparola. Solo che questo tipo di passaparola è molto più veloce in Rete, che con altri mezzi. In genere, il termine è riferito agli utenti della rete che, più o meno volontariamente, suggeriscono o raccomandano l’utilizzo di un determinato servizio (per esempio, per la scelta di un indirizzo e-mail). Ultimamente, questa tecnica promozionale si sta diffondendo anche per prodotti non strettamente connessi a Internet: veicolo del messaggio resta comunque la comunità in rete, che può comunicare in maniera chiara, veloce e gratuita. Un esempio di marketing virale in rete sono le e-mail contenenti storie divertenti, giochi online, siti web curiosi, che nel giro di pochi giorni possono attrarre milioni di visitatori. Vengono definiti internet meme (Internet phenomenon), che hanno un picco di visite in un periodo determinato, per poi veder calare la propria attrattiva. Tra i “fenomeni” recenti della rete, si può citare il sito The Million Dollar Homepage di Alex Tew, uno studente inglese che, per pagarsi gli studi universitari, ha avuto l’idea di vendere un milione di pixel a un dollaro ciascuno, o il caso del film Cloverfield. Naturalmente le stesse tecniche si possono applicare per la promozione di piatti particolari (registrando dei video e condividendoli), o delle tecniche.
IL MONDO DELLE APP Nel linguaggio informatico app è un neologismo che indica una variante delle applicazioni informatiche dedicate ai dispositivi di tipo mobile, quali smartphone e tablet. App è l’abbreviazione di “applicazione”. Una app per dispositivi mobili si differenzia dalle tradizionali applicazioni sia per il supporto con cui viene usata, sia per la concezione che racchiude in sé. È a tutti gli effetti un software che per struttura informatica è 100
MODULO 3: SOFTWARE DI SETTORE
molto simile a una generica applicazione, ma è caratterizzata da una semplificazione ed eliminazione del superfluo, al fine di ottenere leggerezza, essenzialità e velocità, in linea con le limitate risorse hardware dei dispositivi mobili rispetto ai desktop computer. Una app può essere sviluppata per diversi tipi di sistemi operativi mobili e non tutte sono compatibili con ogni tipo di sistema operativo. La loro distribuzione è gestita da appositi distributori digitali (conosciuti perlopiù con i termini anglosassoni store o market, come Google Store https://play.google.com/store), traducibili in italiano con il termine “negozio”. Alcuni esempi di APP legati alla promozione del territorio Vi presentiamo una breve selezione di App disponibili nel Google Store; naturalmente quelle legate al marketing ed alla ristorazione sono innumerevoli, la maggior parte in lingua inglese. MUSEMENT - App multilingue ideata per offrire la vendita dei biglietti di Expo 2015, propone tour guidati, con possibilità di prenotare direttamente dal proprio smartphone la visita ai più importanti monumenti, tra cui il Cenacolo di Leonardo da Vinci. APPYU - È un’applicazione che permette agli utenti di ottenere gratuitamente sconti in svariati esercizi commerciali, bar, pub e discoteche a Milano. Gli sconti si ottengono salvando o scaricando i coupon direttamente dall’app e si possono visualizzare o utilizzare direttamente dal proprio smartphone. IMANTOVA - L’app “I Mantova” è una integrata di geomarketing per la promozione turistica legata a Mantova, come provincia pilota. La piattaforma “I Mantova” è in grado di coniugare la valorizzazione delle numerose filiere di qualità di un territorio integrando: promozione dei luoghi di vendita, eventi a essi collegati, social, mobilità e vendita di nicchia all’interno di un geoecommerce dedicato, in fase di costruzione. CLOUBS - Attraverso lo sviluppo di un’applicazione disponibile su smartphone ‘Cloubs’, ha realizzato un servizio che permette ai clienti dei locali notturni di ordinare bevande in autonomia direttamente dal proprio telefono. In poche parole si bypassa il servizio del cameriere del locale, diminuendo l’attesa per essere serviti e, contemporaneamente, offre ai titolari dei locali uno strumento gestionale per ottimizzare i flussi di lavoro. POP APP TOUR - È un’applicazione mobile basata su geolocalizzazione, che permette di ricevere sul dispositivo notifiche relative ad attrazioni, beni culturali e naturali, ristoranti e negozi, che vengono attivate quando l’utente si trova vicino ai punti di interesse. Ogni notifica permette di accedere alle informazioni relative al punto di interesse, con una breve scheda, e un’anteprima, tramite Google StreetView, consente di identificarlo chiaramente intorno a sé. L’utilizzo di un servizio scalabile la rende un format diffondibile a livello internazionale. Inoltre è pensata per adattarsi ai devices come Google Glass e Smartwatch, per un uso ancora più aperto al futuro.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Focus: geolocalizzazione. La geolocalizzazione è l’identificazione della posizione geografica nel mondo reale di un dato oggetto, come ad esempio un telefono cellulare o un computer. JECO GUIDES - È una Libreria di Guide turistiche, che consente agli Autori Locali (esempio: Istituzioni, Enti parco, Associazioni, singoli cittadini) di realizzare e aggiornare in modo dinamico percorsi turistici e di interpretazione del territorio. 1000 ITALY - È una piattaforma web e smartphone (in italiano, inglese e russo), che fa incontrare i fruitori del mercato turistico con i fornitori dei servizi ad esso legati. Con la logica del crowdsourcing4 propone contenuti autentici e garantiti per far vivere al turista un’esperienza di viaggio in ottica local. SCLOBY - È un’applicazione rivolta ai commercianti che permette l’emissione di scontrini fiscali e fatture, oltre che la gestione dell’inventario e delle campagne promozionali in modo facile ed intuitivo tramite tablet, smartphone e PC. COFFICE - È una Start up che realizza applicazioni mobili per iOS e Android studiate per centri commerciali, grandi negozi, fiere o musei in grado di creare notifiche in tempo reale sulla base della posizione dei visitatori all’interno della destinazione e di produrre statistiche su quante persone sono presenti ogni giorno nella destinazione, quali sono le aree più trafficate, quanti tornano regolarmente. Utile per analizzare i flussi della clientela. PHOTOSPOTLAND - È la community per travel photographer e appassionati d’arte e cultura (con la controllata Museumland), dove non si condividono foto ma i posti più belli dove, come, quando e con chi scattare le foto più belle e le destinazioni culturali più interessanti. EVOLVEX - Realtà che ha creato ‘UrbanMobyx®’, applicazione che permette di segnalare eventi, pericoli e necessità attraverso video, foto, commenti, documentazione e chat. L’app geolocalizza la segnalazione, verifica l’attendibilità della richiesta e l’affidabilità del segnalatore, esegue un controllo dei duplicati, classifica per settori di intervento le segnalazioni e apre una procedura per l’evasione della richiesta. SPOTLIME - Segnala, grazie alla geolocalizzazione, la disponibilità last minute degli eventi preferiti, offrendo anche promozioni e sconti in abbinamento.
4 Richiesta di idee, suggerimenti, opinioni, rivolta agli utenti di Internet da un'azienda o da un privato in vista della realizzazione di un progetto o della soluzione di un problema.
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IL GEOMARKETING Il geomarketing è un approccio di marketing che utilizza le informazioni riferite al territorio (dati georeferenziati) per analizzare, pianificare ed attuare le attività di marketing. La conoscenza del territorio è finalizzata a rendere più efficaci ed efficienti le decisioni e le attività di comunicazione, vendita, distribuzione e servizio ai clienti. Il geomarketing permette di trasformare quindi dei dati numerici sul territorio per svolgere poi delle analisi ed utilizzarli per il marketing. Tipicamente il territorio viene suddiviso in base alla minima dimensione informativa disponibile che è, in Italia, la seguente: Regione Provincia Comune CAP Sezione di censimento ISTAT Strada Numero civico A seconda del livello informativo sono disponibili più o meno dati. Essi vengono caricati su di un database e sono visibili geograficamente sul sistema GIS. In caso di interrogazione su di una determinata area (determinata con criteri diversi o manualmente) è possibile estrarre i dati in maniera rapida ed avere dei resoconti dei valori estratti. Non si deve confondere con il marketing territoriale.
IL MARKETING TERRITORIALE Di recente comprensione e sviluppo è il cosiddetto marketing territoriale che ha l’obiettivo di analizzare, comprendere, valorizzare e definire le strategie di sviluppo più consone per lo sviluppo di sistemi economico produttivi locali. Quindi si parte dall’analisi del territorio, per sviluppare delle strategie mirate a valorizzarlo, secondo le sue tipicità. Le fasi che precedono la definizione di un programma strategico di marketing territoriale sono: 1. L’analisi del territorio e del suo sistema economico e sociale; 2. L’individuazione delle caratteristiche e delle potenzialità espresse ed inespresse; 3. La comprensione delle tipicità e delle valenze proprie del comprensorio; 4. L’individuazione delle variabili e dei condizionamenti territoriali; 5. L’individuazione dell’attuale potenziale specifico ed aggregato e di quello esprimibile dal territorio; 6. L’individuazione del collocamento “merceologico” del comprensorio. Il concetto di marketing territoriale non deve quindi essere frainteso con una semplice attività di natura promozionale che invece dipende dalla definizione di piani strategici definiti e programmati a monte. Altro concetto molto importante riguardante al mar103
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
keting territoriale, che alcune teorie propongono, è la costituzione del Marchio d’Area, definito come l’individuazione di un’area territoriale che si impegna a progettare e realizzare una rete di servizi, sia pubblici che privati, tra loro omogenei, coordinati e complementari, non sovrapponibili e non concorrenziali (esempio tipico è il marchio d’area “Salento d’Amare” che vuole valorizzare la realtà del territorio salentino oppure “Parco delle Cinqueterre”).
IL SOFTWARE IN SALA Vi ricordate il cameriere che prende la comanda, strappa il foglietto, lo porta in cucina? Bene, questa immagine sarà sempre più lontana nel tempo, man mano che le tecnologie si diffonderanno, anche se ci vorrà un po’ di pazienza. Spesso infatti non si utilizzano per “paura” di non saperle maneggiare. Oppure perché si teme un aumento dei costi dovuto all’acquisto delle tecnologie. Il Palmare per la comanda Il palmare per prendere le comande è probabilmente il software per la sala più importante e usato. Il cameriere prende l’ordine con questo palmare, l’ordine arriva immediatamente in cucina e in copia alla cassa. Il servizio è molto più rapido, così anche il conto. Oggi questo tipo di software, oltre alla gestione di una normale pizzeria e ristorante, può arrivare anche alla stampa via wireless. Naturalmente sono per la maggior parte disponibili con pc touchscreen. Non esiste un software generico, ma su Internet potete trovare diverse aziende che propongono un sistema personalizzato in base alla tipologia di locale. • Pizzerie e ristoranti • bar • pub • gelaterie • selfservice • grande distribuzione • ristorazione da asporto Generalmente viene offerto un impianto che si compone di sistema di cassa con un PC con monitor touchscreen (ma si può usare anche uno tradizionale), uno o più terminali palmari per la raccolta della comanda ed una o più stampanti termiche collocate nei diversi centri di produzione. I palmari sono collegati in Wireless WiFi. Chi offre questi impianti, propone anche delle stampanti. Su Google Store inoltre è possibile anche trovare della app cercando sotto la voce “comanda”. Quasi tutte però sono in lingua inglese (o spagnolo), tuttavia magari vi sarà utile installare una demo per vedere il funzionamento e valutarlo.
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MODULO 3: SOFTWARE DI SETTORE
DRINK PRICE Drink Price è un’applicazione sviluppata in lingua italiana, utile per calcolare il costo di un drink: permette di sapere in base agli ingredienti il calcolo esatto di un cocktail e deciderne il prezzo di vendita. L’applicazione viene fornita con un database di partenza che contiene numerosi ingredienti di base per la preparazione dei cocktail (distillati, liquori, ingredienti vari come spezie, ecc.) Per ogni prodotto è indicato il prezzo della bottiglia e il suo volume. Drink Price può lavorare sia in centilitri sia in once e supporta tutte le valute mondiali. È possibile impostare sia la valuta sia l’unità di misura volumetrica in fase di primo utilizzo del software, oppure successivamente, mediante la funzione Configura. Calcolare il prezzo di un drink è semplicissimo, basta eseguire la procedura di Calcolo, scegliendo dal listino proposto gli ingredienti che compongono il drink, quindi il software richiede per ogni ingrediente selezionato di inserire le quantità. A questo punto il software vi restituirà come risultato: il costo dei singoli ingredienti, il costo totale e il possibile prezzo minimo e massimo di vendita (che può essere comunque personalizzato). Ovviamente potrete alimentare il listino con nuovi ingredienti, o modificare quelli già presenti. Drink Price offre anche un servizio di supporto online sul sito www. paintweb.it.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
FOOD COST Per food cost si intende uno strumento di controllo dei costi di gestione di un’impresa ristorativa, esaminando vari fattori che vanno dalle materie prime sino al personale. C’è da premettere innanzitutto che si tratta di un’analisi che va applicata ad ogni singola azienda: ogni impresa ristorativa infatti ha un suo particolare food cost, che può variare in base a vari fattori. Una pizzeria ha dei costi di gestioni differenti rispetto a un ristorante di medio livello. Il food cost è un’operazione matematica attuabile solo se abbiamo tutti i dettagli e le informazioni disponibili. Esso ci informa su quanto incide il costo delle materie prime sul prezzo finale di vendita/ricavo di un piatto. Facciamo un esempio: Food cost del piatto = (Costo delle materie prime/prezzo di vendita) x 100 Costo delle materie prime: 5 Prezzo di vendita del piatto: 16 Food cost del piaatto = ( 5/ 16) x 100 = 31,25% Questo tipo di calcolo si può fare, come dicevamo, con un software che mette a disposizioni le varie voci in dettaglio (sulla falsariga di Drink Price), oppure con un foglio di calcolo di Excel. Guarda ad esempio quelli offerti da Equilibrisensorialiblog.com che si possono anche scaricare previa registrazione gratuita. Il file contiene un elenco dei dati da inserire, come gli ingredienti, il tipo di lavorazione dell’ingrediente, i pesi lordo e netto dopo la lavorazione a crudo e così via. Inoltre è possibile anche calcolare il prezzo di vendita della singola porzione.
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Comanda Drink price Excel Food cost Palmare Software Touchscreen Wireless
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IL BANQUETING E CATERING
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MODULO 4: IL BANQUETING E CATERING
LE NUOVE FORME DELLA RISTORAZIONE: IL CATERING E IL BANQUETING Il termine catering proviene dall’inglese “to cater” che significa “provvedere al cibo, rifornire”; esso indica il complesso delle operazioni di rifornimento in massa di cibi e bevande pronti che vengono effettuate da apposite organizzazioni nell’ambito di comunità, compagnie di trasporto, riunioni, cerimonie e così via. Il catering era nato, agli inizi, per rifornire mezzi di trasporto come navi e treni, poi si è esteso anche servizi di mense aziendali. Nel senso più ampio, oggi per catering si intende il servizio di preparazione, consegna e somministrazione di alimenti e bevande in un luogo diverso da quello di produzione. Si va dalla semplice consegna di cibo pronti, fino ad organizzare ed allestire servizi di distribuzione e somministrazione da parte del personale incaricato direttamente dall’azienda di catering. Molteplici sono le formule dell’offerta: dall’happy hour con aperitivi e finger food fino ad arrivare alla preparazione di piatti di alta gastronomia. Vi sono poi forme di catering definito indiretto, rappresentate, per esempio, dai distributori automatici di snack confezionati e di bevande calde e fredde, nonché dai sempre più diffusi buoni pasto. In questo modo le aziende richiedenti possono offrire il servizio, senza creare delle strutture ristorative interne a disposizione dei dipendenti. I costi di gestione si abbattono, così anche le problematiche ad esse legate. Emblematico il caso del Museo Nazionale di Napoli, dove all’interno non vi è un servizio bar, ma una fila di questi distributori. Tuttavia in questo caso dal punto di vista dell’immagine non è il massimo: nella città del caffè, rifornirsi a una macchinetta, in un luogo prestigioso come il Museo Archeologico, non è il massimo.
L’ORGANIZZAZIONE DEL CATERING Tre sono i soggetti coinvolti in un accordo di catering: • il committente, ossia l’istituzione o il privato che richiede il servizio; • il caterer, vale a dire l’azienda fornitrice, detto anche somministratore; • il consumatore finale. Viene stipulato un accordo valido dal punto di vista legale in tutti gli effetti. Il caterer si impegna a rifornire il committente di pasti pronti al consumo, dietro pagamento di un prezzo pattuito. Essendo un contratto atipico di somministrazione (tanto per intendersi: diverso dall’andare in un ristorante e ordinare da un menu), il contratto è regolato dagli accordi presi tra le parti contraenti e dalle disposizioni generali contenute nel Codice Civile. Il somministratore (o caterer) adempie al proprio obbligo contrattuale, impegnandosi a rifornire i pasti confezionati nel rispetto di quanto stabilito con il committente, dopo aver concordato la quantità, qualità, tecniche di preparazione, tempistica e luogo. Il committente si impegnerà al pagamento della prestazione secondo quanto disposto dal contratto. Spesso il contratto include anche servizi accessori, come l’allestimento e pulizia della cucina e della sala.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Previa contrattazione tra il committente e il caterer, quest’ultimo può proporre può offrire due modalità di servizio: • il rifornimento di pasti pronti (detti pasti veicolati), che sono confezionati nell’azienda stessa e trasportati (in un secondo tempo) nei locali di consumo; • la preparazione di vivande calde nella cucina del committente, grazie agli operatori del caterer; Andando ancora nel dettaglio, queste forme di catering tradizionale possono essere suddivise, a loro volta, in due grandi categorie: • catering industriale; • catering privato, che, in presenza di servizi aggiuntivi, prende il nome di banqueting. Il catering industriale Il catering industriale è rivolto principalmente ad esercizi pubblici (scuole, aziende ospedaliere e strutture militari). I caterer che offrono questo servizio dispongono di attrezzature idonee e personale esperto. Partecipando alle gare d’appalto propongono i loro servizi e naturalmente devono soddisfare tutte le norme igieniche. Inoltre devono tener conto dei singoli casi. Per esempio nelle scuole per somministrare un pasto vi sono delle indicazioni fornite dai LARN (livelli di assunzione raccomandati di nutrienti e di energia), oltre al fatto di proporre cibi alternativi a chi soffre di intolleranza alimentare. Il catering privato Nella categoria del catering privato troviamo: • catering aziendale; • ristorazione viaggiante; • catering a domicilio. Nel catering aziendale, il caterer può preparare i pasti ricorrendo alle cucine delle mense interne, se previste. Il menu offerto deve essere variato ogni settimana o al massimo ogni quindici giorni. Un caso a parte è la ristorazione viaggiante, offerta a bordo di mezzi di trasporto come aerei, navi e treni. Sugli aerei il servizio può variare a seconda del tipo di biglietto posseduto, della classe scelta e della durata del viaggio e il pasto può consistere in un semplice spuntino oppure in un abbinamento elaborato di vivande calde e bevande anche di pregio. I cibi vengono somministrati in porzioni e all’interno di vassoi di grandezza standard, per via degli spazi limitati a bordo del velivolo e dell’alto numero di pasti e delle diverse formule di offerte di cibo che devono essere disponibili. Il servizio proposto Ogni evento può avere una sua storia, una sua idea e un differente tipo di servizio. Un matrimonio o un battesimo si può fare a pranzo a cena e può essere servito ai tavoli oppure a buffet. Cosa diversa per un coffee break di lavoro, il cui nome suggerisce già una pausa, pertanto il servizio sarà completamente diverso (per esempio un buffet in piedi).
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MODULO 4: IL BANQUETING E CATERING
Tipologia evento
Orario
Tipologia di servizio
Coffee Break
Pausa di metà mattinata o pomeriggio
Buffet in piedi e tavoli di appoggio
Battesimo, matrimonio, cerimonie
Pranzo o cena
Servizio ai tavoli o in alternativa buffet
Inaugurazione di un locale
Orario deciso dalcommittente (solitamente pomeriggio)
Buffet in piedi
Open Bar
Dopo cena, al termine di un evento
Banco bar per il servizio di cocktail e caffetteria
Brunch
Tarda mattinata
Buffet in piedi con tavoli di appoggio
Nell’esempio che è possibile vedere di seguito, era stato richiesto un servizio catering particolare per 50 persone. Il buffet, infatti, doveva essere interamente composto di frutta intagliata (alcuna solo da abbellimento) e da gustare, oltre alle bibite. Chiaramente un tipo di servizio di questo genere, presuppone all’interno dello staff, personale adeguatamente formato. Sul sito ristorazionebar.it troverete tutte le foto. Il trasporto dei pasti Tutte le tipologie di catering sono accomunate dalla necessità di trasportare o i pasti già pronti oppure le materie prime necessarie alla loro preparazione. La fase di trasporto è un passaggio fondamentale delicato e la sua corretta esecuzione, è fondamentale per la conservazione delle vivande, oltre a contribuire in larga misura a determinarne il livello qualitativo. Strettissima è anche la relazione fra trasporto e temperatura di servizio, che permette di scegliere fra tre diverse opzioni: • legame caldo; • legame freddo; • legame surgelato. La tecnica del legame caldo prevede che le pietanze siano confezionate e trasportate fino al luogo di consumo mediante veicoli con autorizzazione dell’Azienda Sanitaria Locale (ASL) o mediante carrelli robotizzati, a isolamento termico e a rigenerazione automatizzata (vedi figura a destra). In questo caso, il consumo deve avvenire in tempi brevi. Il legame freddo, o refrigerato, invece, prevede che i cibi siano refrigerati velocemente subito dopo la preparazione, conservati e trasportati con veicoli adatti. Essi andranno poi rigenerati subito prima del consumo (tecnica del cook and chill), che deve avvenire entro pochi giorni dalla produzione. 111
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Esiste anche il legame surgelato, con cui si procede alla surgelazione delle vivande, che sono poi trasportate all’interno di celle di mantenimento. Il menu e le bevande L’azienda di catering può prevedere diversi menu da sottoporre all’attenzione del committente. Le varianti non solo possono essere legate al prezzo, ma anche al tipo di locale, al tipo di servizio, fino alle esigenze dei singoli (vi sono vegetariani per esempio? Oppure persone appartenenti ad altre culture religiose che non tollerano certi cibi, come la carne di maiale?). Una volta predisposto il menu, questo va sottoposto via e-mail o fax per essere firmato in tutte le sue parti. Se il tutto viene fatto con abbonandante anticipo, vi sarà anche la possibilità di modificare piatti o bevande previste all’inizio. Ed a proposito di bevande, oltre all’immancabile acqua minerale, si possono prevedere bibite per i più piccoli e naturalmente vini abbinati al menu. Si possono scegliere case conosciute e grandi produttori (Taurasi, Barolo, Chianti e così via), oppure case vinicole del territorio, prevedendo così dei vini abbinati per tradizione. Spesso alcuni catering invitano il committente ad assaggiare il menu completo e degustare i vini, per decidere insieme.
ORGANIZZIAMO UN SERVIZIO CATERING COME CENA EVENTO Vediamo come organizzare una Cena Evento. Scarica la scheda operativa.
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A te la parola...
Crucipuzzle • 4
aperitivi
cerimonie
comunità
evento
bevande
rifornimento
rifornire
brunch
riunioni
coffeebreak
fingerfood
navi
catering
committente
openbar
cibi
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Sezione 2
tecniche bar & sommellerie
modulo 1 CHAMPAGNE
MODULO 1: LO CHAMPAGNE
Pochi vini possono vantarsi di affascinare il pubblico come gli spumanti, tra i quali spicca sicuramente lo Champagne. I vini spumanti (o semplicemente spumanti) sono caratterizzati (all’apertura della bottiglia) dalla produzione di spuma: questa è dovuta all’elevata presenza all’interno della stessa di anidride carbonica prodotta per fermentazione. Gli spumanti in questo caso sono definiti naturali: infatti, l’anidride carbonica si forma grazie ad una seconda fermentazione che avviene in bottiglia oppure in autoclave. In commercio trovano spazio anche i vini spumanti artificiali, con un costo basso e di qualità inferiore, costituiti da vini addizionati con anidride carbonica a basse temperature (0-5 °C) e a elevata pressione per favorirne la solubilizzazione nel vino. Secondo le leggi dell’Unione Europea (II Reg. CEE 337/79), lo spumante naturale si ottiene dalla prima o seconda fermentazione alcolica di uve fresche, di mosto, di vino da tavola o di vino di qualità prodotto in regione determinate, caratterizzato alla stappatura del recipiente da uno sviluppo di CO2 proveniente esclusivamente da fermentazione e che, conservato alla temperatura di 20 °C in recipienti chiusi, presenta una sovrappressione non inferiore alle 3 atmosfere e una gradazione alcolica minima di 9,5°. Quando troviamo sulle etichette VSQ, si intende vini spumanti di qualità e si tratta esclusivamente di spumanti naturali. Alla base della produzione di vini spumanti, infatti, vi è un processo di rifermentazione che produce alcol e anidride carbonica, che resta disciolta nel vino: questo grazie alla presenza di zuccheri residui e cellule vive di lievito. Gli spumanti naturali a loro volta possono essere classificati in base al processo di produzione: • metodo classico o champenoise • metodo Charmat o Martinotti Inoltre sono presenti sul mercato anche spumanti aromatici (per i quali sono utilizzati vitigni aromatici, come il Glera (dal quale si produce il Prosecco), il Moscato, il Brachetto e la Malvasia, e gli spumanti non aromatici, provenienti da Chardonnay, Pinot nero, Pinot Bianco e Pinot Meunier.
LE ORIGINI DEGLI SPUMANTI Cosa è: la leggenda narra che il progenitore dello spumante e champagne nasca in Francia nell’abbazia di Saint-Pierre d’Hautvillers ad opera del monaco Dom Pierre Pérignon nel XVII secolo. In realtà da un antico trattato, “De salubri potu dissertatio1”, scritto da un medico fabrianese, tale Francesco Scacchi e risalente al 1622, si trovano già le caratteristiche produttive e terapeutiche dei vini rifermentati in bottiglia (gli antesignani dei moderni spumanti)1. Il metodo classico o champenoise Nel metodo Classico il vino-base è rifermentato in bottiglia. Questo sistema richiede diversi anni e il prodotto ottenuto è di grande pregio. I profumi frequenti ricordano fiori, frutta fresca e secca, la fragranza (che ricorda il pane sfornato) 1 - Edito a Roma nel 1622, l’opera di Francesco Scacchi è considerata tra le più preziose e indicative dell’antica editoria sul vino e sull’acqua. Solo 5 copie esistono: 4 sono patrimonio di altrettante biblioteche, tra le più prestigiose al mondo, la British Library di Londra, la Biblioteca di Venezia, la Bibliothèque Nationale di Parigi, la Library of Congress di Washington. La quinta copia è dalla Casa Ferrari (famosa casa vinicola). Una copia in pdf la potete scaricare da www.aibmproject.it sezione E-book.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
e altre note interessanti. Le uve più utilizzate sono Pinot Nero e Chardonnay, mentre per quelli aromatici si usano vitigni aromatici: Moscato bianco, Malvasia e Brachetto. Le uve per produrre il vino base non devono essere troppo mature, ma nello stesso tempo devono avere una buona acidità. Dopo sono sottoposte a una pressatura soffice: in questo modo si estrae solo il succo più nobile, il mosto fiore. Una volta spremute, sono divise dalle vinacce. Il mosto subirà una prima fermentazione, che finirà a primavera. In questo periodo si procederà all’assemblaggio, che permetterà di scegliere le partite migliori per poi essere mescolate (le cuvée). Possono essere scelte anche cuvée di annate precedenti.
LE FASI DI PRODUZIONE DELLO CHAMPAGNE Addition de la liqueur de tirage In questa fase al vino base o alla cuvée viene aggiunta una miscela formata da un vino scelto allo scopo, che comprende anche zucchero di canna, lieviti e sostanze minerali. Imbottigliamento Il vino è imbottigliato in apposite bottiglie (le champagnotte) e viene chiuso con tappo a corona. Le bottiglie si sistemano orizzontalmente, a una temperatura di 10-12 °C. Ha inizio così la fermentazione. La fermentazione continuerà per sei mesi sempre con la stessa temperatura costante. Maturazione I lieviti oramai morti liberano le sostanze aromatiche, donando così al vino il caratteristico profumo di lievito. Le bottiglie sono accatastate in posizione orizzontale in cantine buie e al fresco. Onde evitare le incrostazioni di fecce, si procede allo sbancamento, grazie al quale le bottiglie si spostano e si accatastano di nuovo. Remuage Una volta concluso l’affinamento su lieviti, le bottiglie sono poste sulle pupitres, dei cavalletti dotati di fori e con diversa inclinazione. Dapprima orizzontali, poi le bottiglie sono ruotate regolarmente grazie al “remuage” o rimescolamento: in questo modo, i residui si concentrano in cima alla bottiglia, nella bidule un cilindro di plastica inserito sotto il tappo. Dégorgement In questa fase il collo della bottiglia è immerso in un liquido a -25 °C, tanto da congelare la parte contenente i residui. Si stappa la bottiglia, la pressione espelle il contenuto ghiacciato e si elimina così la parte indesiderata senza perdere il prezioso liquido. Terminata quest’operazione si aggiunge la liqueur d’expédition, un liquido (la cui ricetta varia da produttore a produttore) che è formato da vino più o meno invecchiato, zucchero di canna e qualche volta anche da distillato. Se non è aggiunta la liqueur d’expédition, il vino si definisce pas dosé. A questo punto le bottiglie sono tappate con tappo di sughero a fungo, fatte riposare ancora alcuni mesi ed etichettate, pronte per arrivare sulle nostre tavole.
L’AREA DELLO CHAMPAGNE L’area di produzione dello Champagne è ben delimitata nell’omonima regione situata a circa 150 km a nord-est di Parigi, i cui vitigni sono coltivati nelle zone della Valle della Marne, nella Montagna di Reims, nella Cȏte del Blancs, nell’Aisne e nell’Aube. 118
MODULO 1: LO CHAMPAGNE
L’area delle Montagne di Reims (dipartimento della Marna) Le colline, principalmente esposte a Sud, sono caratterizzate da terreni gessosi che assicurano un ottimo drenaggio e il cui colore chiaro riflette intensamente i raggi del sole. Il vitigno predominante in questo territorio è il Pinot noir. Nelle cantine (cave) delle montagne di Reims riposano dei champagne rinomati per la potenza, la struttura e la nobiltà. L’area della Valle della Marna (Marna e Aisne) La caratteristica delle colline è il terreno argilloso e calcareo, a tendenza marnoso. Il vitigno principale è il Pinot Meunier. Gli champagne della valle della Marne, grazie alla loro grande varietà, possiedono un seducente bouquet fruttato e un’elevata morbidezza. L’area della Côte des blancs (Marna) Il vitigno principale è lo Chardonnay, l’unica uva a bacca bianca autorizzata per la produzione dello Champagne. I terreni gessosi assicurano elevate riserve d’acqua e di calore del sottosuolo. La Côte des Blancs realizza Champagne pregiati, caratterizzati da vivacità e carattere, e dagli aromi leggeri e delicati, simboli di finezza ed eleganza. L’area della Vigne dell’Aube, Bar-sur-Aube, Bar-sur-Seine (dipartimento dell’Aube) Il vitigno Pinot Noir si trova tra terreni gessosi a tendenza marnosa. Gli Champagne della Côte des Bar sono vini di carattere, rotondi e dagli aromi complessi. Con una superficie vitata di circa 24.000 ettari, il territorio viticolo dello Champagne è il meno esteso e il più settentrionale della Francia.
LE PRINCIPALI TIPOLOGIE
Senza l’aggiunta
Come si accennava, i vitigni principali impiegati nella produzione dello Champagne sono il Pinot Nero, il Pinot Meunier e il Chardonnay (unico vitigno a bacca bianca). È possibile avere anche lo Champagne millesimato, ottenuto dalla cuvèe di vini-base di una vendemmia particolare (e fortunata). In questo caso l’anno della vendemmia è riportato sul tappo e sull’etichetta. Secondo la legislazione francese le cuvèe non possono essere messe in commercio prima di tre anni dalla vendemmia con la quale si è ottenuto il vino-base più giovane (per i millesimati ci vogliono almeno 5 anni). In etichetta possiamo trovare altre definizioni come Blanc de Blancs (con cuvée formata solo da uve a bacca bianca, per esempio Chardonnay e Pinot bianco), Blanc de Noirs, con vino ottenuto solo da uva a bacca nera, in altre parole Pinot nero e Pinot Meunier.
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E xtra di liqueur, ma si Brut colma con vino
dello stesso tipo.
Brut
1% di liqueur, Champagne secco e classico.
Extra Sec
1-3% di liqueur.
Demi Sec
3-5% di liqueur.
Doux
8-15% di liqueur. Decisamente dolce
Approfondimento
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
I Crémant Cosa è: Fino al 31 agosto 1994 indicava gli Champagne elaborati in modo da sviluppare meno anidride carbonica (2,5-3 atm anziché i 4,5 atm degli Champagne) e con spuma più delicata. Il regolamento CEE n. 2045/89 del Consiglio europeo del 14/06/1989 precisava le nuove norme di utilizzazione della definizione “Crémant”, riservata esclusivamente: • ai vini spumanti di qualità, prodotti in regioni determinate, in Francia e in Lussemburgo (eccetto la zona della Champagne); • ai vini che rispettano le norme particolari emanate dallo stato membro per regolarne l’elaborazione. In pratica, per quanto riguarda la Francia, l’appellativo “Crémant” è riservato ai soli vini a denominazione: Crémant d’Alsace (Alsazia), Crémant de Borgogne (Borgogna), Crémant de Loire (Loira), Crémant de Bordeaux, Crémant de Limoux, Crèmant du Jura e il Crèmant de Die.
IL METODO CHARMAT O MARTINOTTI Con il metodo Charmat-Martinotti, gli spumanti sono ottenuti grazie ad autoclavi, ovvero dei grossi contenitori in acciaio con un’intercapedine all’interno della quale circola una soluzione refrigerante. In questo caso la produzione è molto più veloce: di conseguenza anche le caratteristiche finali del prodotto sono diverse. Il metodo viene definito sia Charmat sia Martinotti. Federico Martinotti (1860-1924), direttore per l’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, inventò nel 1895 il metodo di rifermentazione controllata in grandi recipienti, successivamente adottato dal francese Eugène Charmat, il quale lo perfezionò e brevettò nel 1910. Il Metodo Martinotti permette di ottenere spumanti, spesso dolci, dalle caratteristiche note fruttate, per mezzo di recipienti a tenuta stagna tipo autoclave. Questo metodo ha trovato larga diffusione perché più idoneo alla produzione di vini spumanti utilizzando vitigni aromatici o fruttati (Moscato, Prosecco e Malvasia). Infatti, la lunga sosta su lievito tipica del metodo champenoise nuocerebbe all’espressione del profumo dei vini derivati dai suddetti vitigni. Le uve utilizzate possono essere quelle del metodo classico per ottenere colori più tenui, paglierino con vena verdolina, sapori più freschi e meno strutturati, profumi meno intensi. Le uve più apprezzate sono il Moscato, il Prosecco, la Malvasia e non per ultima il Brachetto. Come funziona Il vino-base è inserito in autoclavi di acciaio inossidabile, da 100 a 500 hl, in grado di sopportare fino a 12 atm di pressione. Al vino si aggiungono lieviti selezionati, zuccheri e sali minerali e grazie a una temperatura compresa tra i 12 e 20 °C, si dà inizio alla rifermentazione. Una volta raggiunta la gradazione alcolica desiderata, il vino è filtrato ed imbottigliato, in condizioni isobariche (ovvero con la stessa pressione) onde non disperdere l’anidride carbonica e gli aromi freschi, fruttati e floreali tipici dello spumante. Con questo sistema si producono anche vini spumanti dolci, bloccando la rifermentazione completa degli zuccheri, i quali anziché trasformarsi in alcol, restano disciolti nel vino. Prima di essere imbottigliati, i lieviti sono eliminati per prevenire la ripresa della fermentazione.
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MODULO 1: LO CHAMPAGNE
IL METODO CLASSICO… IN ALTRI PAESI La Francia, rivendicando il diritto a utilizzare il nome Champagne e il metodo champenoise, ha fatto sì che in altri Paesi (ma anche nella stessa Francia), si utilizzassero altri termini per i vini spumanti di propria produzione. Italia In Italia, con l’istituzione del Talento Metodo Classico nel 2004, si garantisce la produzione di uno spumante nelle zone e sotto zone di regioni dell’arco alpino, che abbiano determinate caratteristiche (informazioni ed approfondimenti su www.talento.to). Nel 2010 vi è stata un’altra norma: per potersi dichiarare Talento, uno spumante deve avere un residuo zuccherino inferiore a 12 grammi per litro. Ciò significa che possono essere definiti Talento solo gli spumanti che, secondo la classificazione europea, appartengono alle categorie «dosaggio zero», “brut nature”, “extra brut” e “brut”, con esclusione quindi di tutte le categorie semidolci e dolci.
GLI ALTRI SPUMANTI NEL MONDO USA Francia e Italia non sono gli unici Paesi a produrre vini Spumanti. Partendo dagli estremi del mondo, in Canada si produce l’”Icewine”, un vino ottenuto spremendo gli acini fatti ghiacciare sulle piante (ne parleremo nel modulo del vino). Ebbene recentemente i produttori ne hanno ricavata anche una versione spumante, chiamata “Sparkling Icewine”. La produzione avviene con metodo Charmat. Lo sparkling Icewine è prodotto anche da aziende italo-canadesi, come la Pillitteri (nell’Ontario) e la Magnotta. Le uve più usate sono riesling e vidal. Negli Usa si producono vini spumanti sia con il metodo classico sia metodo charmat. La produzione risale al 1892 quando i fratelli Krobel dalla Boemia emigrarono in California. Qui produssero i primi vini usando riesling, moscato, traminer e chasselas. Nel tempo la qualità degli spumanti californiani è aumentata usando uve più adatte come il pinot noir, pinot meunier e pinot bianco. Negli Usa la quantità di zucchero impiegato non è soggetta a ordinamento, anche se la maggior parte dei produttori tende a seguire gli standard europei di vino Brut con meno di 1,5% di zucchero fino al “dolce” (più del 5%). La crescita in California di questo prodotto ha attirato investitori esteri come la Moët et Chandon Domaine Chandon ed altre case vinicole francesi. L’attuale normativa statunitense vieta l’uso del termine “Champagne” su qualsiasi vino non prodotto in Champagne salvo che l’etichetta fosse in uso prima del 2006. Australia In Australia si produce spumante con entrambi i metodi, usando uve chardonnay e pinot nero, ma una specialità australiana è rappresentata dallo “Sparkling Shiraz”, un vino rosso frizzante prodotto da uve shiraz. Sud Africa “Methode Cap Classique” indica un vino sudafricano frizzante prodotto con il metodo classico. Le uve utilizzate sono sauvignon blanc e chenin blanc, anche se l’utilizzo di chardonnay e pinot nero è in aumento. 121
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Spagna In Europa partiamo dalla Spagna. Qui troviamo il Cava, che può essere bianco o rosato, prodotto principalmente nella regione della Catalogna Penedès (a 40 km a sudovest di Barcellona), con il metodo classico. “Cava” è un termine greco usato per definire vino da tavola o cantina, e deriva dal latino “cava”, che significa grotta. Difatti proprio le grotte sono usate nei primi giorni di produzione Cava per la conservazione o d’invecchiamento del vino. Lo spumante Cava è stato creato nel 1872 da Josep Raventós. Successe che i vigneti di Penedès furono devastati dalla peste fillossera, e le viti prevalentemente formate da uve a bacca rossa, furono sostituiti da un gran numero di vitigni di uve bianche. Dopo aver visto il successo della regione Champagne, Raventós pensò di creare un suo spumante secco. Fino a poco tempo fa si poteva definire come Champagne spagnolo (ora non più) oppure Champaña xampany in spagnolo o in catalano. Cava è prodotto in diversi modi, che vanno dall’assenza di zucchero (brut) sino al dolce. Sono sei le regioni che possono vantarsi della denominazione di Cava ed essere realizzato con metodo tradizionale. Le uve usate sono macabeu, parellada, xarel-lo, chardonnay, pinot noir e subirat. Lo chardonnay entra nella produzione del Cava solo da 1980. Portogallo Espumante è la versione portoghese di un vino spumante. A differenza del Cava, che è prodotto solo in particolari climi, l’Espumante invece si produce un po’ in tutto il Portogallo, compresa la regione meridionale di Alentejo, nota per le sue temperature estreme e il clima arido. L’Espumante è prodotto con metodo classico, queste sono alcune tipologie: • VFQPRD: vino frizzante prodotto regionale, il metodo tradizionale classico, charmat o il trasferimento in una delle seguenti regioni determinate: Douro, Ribatejo, Minho, Alentejo o Estremadura. • Espumosos: vino spumante molto economico, dove s’inietta al vino anidride carbonica. Germania Sekt è il termine tedesco che indica il vino spumante, del quale almeno il 95% è fatto con il metodo Charmat (il resto con il metodo classico). Esiste anche una tipologia che prevede l’aggiunta di anidride carbonica ed è definito con il termine Schaumwein (in tedesco sta per vino frizzante, letteralmente “vino schiuma”). Circa il 90 per cento della produzione di Sekt è ottenuta, almeno parzialmente, dai vini importati da Italia, Spagna e Francia; il termine Deutscher Sekt sta ad indicare uno spumante ottenuto esclusivamente da uve tedeschi, mentre Sekt bA (bestimmter Anbaugebiete) indica uno spumante ottenuto solo da uve provenienti da una delle 13 regioni vinicole di qualità in Germania. Austria In Austria, i termini corrispondenti sono Hauersekt e Sekt. Il Sekt è realizzato con metodo classico, usando uve welschriesling e grüner veltliner. Sono realizzati anche degli spumanti rosé con uve blaufränkisch. Il Sekt può essere trocken (secco) o halbtrocken (demi sec). Questa dicitura si applica anche ai vini spumanti tedeschi. Il primo produttore austriaco di spumante fu Robert Alwin Schlumberger, che presentò il suo spumante nel 1846 sotto il nome Vöslauer Weisser Schaumwein (vino bianco frizzante della Vöslau). È stato prodotto da uve blauer portugieser che crescono in vigneti di Bad Vöslau che Schlumberger acquistò nel 1843. Nato a Stoccarda, Schlumberger prima di trasferirsi a Vienna aveva lavorato nella Maison Champagne Ruinart (a Reims). 122
MODULO 1: LO CHAMPAGNE
Ungheria Si chiama pezsgő ed è lo spumante ungherese. La sua produzione comincia nella prima metà del XIX secolo. Le prime cantine di spumante sono fondate presso Pozsony (oggi Bratislava) da Hubert I.E. nel 1825 ed Esch és Tarsa nel 1835. Un paio di decenni più tardi i principali produttori si trasferirono sulle montagne e Budai Budafok nei pressi della capitale creando un nuovo centro di produzione, la cosiddetta Champagne ungherese, attiva ancora sino a oggi. Oggi la maggior parte dei vini ungheresi è prodotta con metodo Charmat (solo una piccola parte usa il metodo Classico, seppur in crescita). I tipi di uva usati per la produzione sono chardonnay, pinot nero, riesling, muscat ottonel, muscat lunel o vitigni autoctoni come olaszrizling, kékfrankos, furmint, királyleányka, hárslevelü, kéknyelű e juhfark. Russia In Unione Sovietica, il vino spumante è stato prodotto sotto il nome di Champagne sovietico, o Sovetskoye Shampanskoye e la maggior parte erano dolci.Tale designazione continua a essere utilizzato, per il vino spumante prodotto in molti paesi un tempo parte dell’Unione Sovietica, tra cui Moldavia, Armenia, Bielorussia, Russia e Ucraina. Romania In Romania, il vino spumante è in gran parte prodotto in Panciu, in un luogo chiamato Cerbului Valley. Le Cantine Panciu sono costituite da un corridoio centrale con il quale sono collegate 36 gallerie ramificate lungo il suo fianco (per quasi 3 chilometri). La sua costruzione risale all’alto medioevo (grazie a Stefano il Grande, principe di Moldavia, 1457-1504), ma per l’uso attuale tutto è cominciato intorno al XVIII Secolo. Secondo una leggenda, gli antichi Traci avevano costruito questa rete per difendersi: più tardi, divenne il nascondiglio perfetto contro le invasioni straniere, nella Prima Guerra mondiale. Oggi le cantine di Panciu sono considerati monumenti storici e patrimonio UNESCO, e sono gestite da Veritas Panciu dal 1949. Qui è prodotto con il metodo classico il Panciu champagne.
Approfondimento
Regno Unito L’Inghilterra ha iniziato la sua produzione di spumante solo nel 1960. Negli anni Ottanta alcuni produttori inglesi iniziarono la coltivazione di uve chardonnay, pinot noir e pinot meunier. Oggi vi sono oltre 100 vigneti in Inghilterra che producono vini spumanti (grazie a case vinicole come Nyetimber, Ridgeview e Chapel Down). La produzione annuale è di circa 2 milioni di bottiglie. Sans Année Solitamente quando sulle bottiglie di Champagne non è indicata l’annata di produzione, si definiscono “sans année”, senza annata appunto. Ciò è dovuto al fatto che ogni cuvée è costituita da vini provenienti da vitigni diversi, da zone vitivinicole differenti (sempre del territorio della Champagne) e da annate diverse. Sarà poi compito del maestro cantiniere assemblare sapientemente le cuvée. Il perlage: l’attenta osservazione del perlage è uno dei criteri con cui il sommelier valuta la qualità di un vino spumante: difatti se ci troviamo davanti a bollicine numerose, piccole, rapide nel salire in superficie e persistenti nel tempo, significa che siamo alla presenza di un vino di pregio. Diversamente, se le bollicine sono scarse, grossolane, lente nell’ascesa e rapide nell’estinguersi, significa che il vino è di livello modesto.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
IL SERVIZIO DELLO CHAMPAGNE Per servire correttamente lo Champagne (o spumante), per prima cosa togliete la capsula e allentate e eliminate anche la gabbietta di metallo (attenzione a non far partire il tappo all’improvviso!). Poi impugnate la base della bottiglia con la mano destra, tenendo fermo il tappo tra indice e pollice della mano sinistra.
Con la mano destra fate ruotare la bottiglia. È consigliabile tenere la bottiglia inclinata a circa 45°, per aumentare la superficie del liquido a contatto con l’aria: in questo modo si evitano fastidiose e inopportune fuoriuscite di prodotto. Stappate senza botto (!), ma con delicatezza. Annusatelo, riponendolo poi in apposito piattino. Né la capsula, né gabbietta e tappo vanno gettati nel secchiello del ghiaccio, così anche la bottiglia vuota non va mai rovesciata nel secchiello. Lo spumante (o champagne) va servito nelle flûte per favorire il perlage. Il perlage (o effervescenza) è la caratteristica tipica dei vini spumanti apprezzabile con la formazione di tante piccole bollicine che vanno dalla base del bicchiere verso l’alto. Questo movimento è causato dalla liberazione dell’anidride carbonica formatasi nella seconda fermentazione.
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MODULO 1: LO CHAMPAGNE
Cocktail con vino, spumante e Champagne... Il Kir ha origini francesi e la leggenda narra che fu l’omonimo abate Kir di Digione a proporre questo cocktail agli ospiti. Naturalmente si usava del vino francese. La Crema di cassis (chiamata anche Cassis de Dijon o Crème de cassis de Dijon) è un liquore francese ottenuto dalla macerazione del ribes in alcol con l’aggiunta di sciroppo di zucchero. Ha ottenuto l’A.O.C. (ovvero Appellation d’Origine Contrôlée “Crème de Cassis de Bourgogne”). Deve avere una gradazione minima di 15° e un contenuto di almeno 400 grammi di zucchero per litro. La produzione di questo liquore è consentita solo a Dijon con ribes (la varietà migliore è il Nero di Borgogna) raccolti nella Côte d’Or. Il ribes è macerato in alcol per almeno tre mesi, con numerosi rimontaggi. Poi dalla spillatura si ottiene il “jus vierge”. In seguito la massa del ribes è ricoperta di alcol e acqua, spillando si ottiene il secondo succo detto “recharge”. Si ripete l’operazione un’altra volta e si spilla un terzo succo detto “lavasse”.Ognuno di questi passaggi estrae una serie diversa di sostanze. Alla fine il ribes è pressato e distillato, l’alcol che si ricava servirà per macerare altro ribes. Il cassis di Dijon è ottenuto dalla miscela dei tre differenti succhi con aggiunta di acqua, zucchero e alcol puro. Si usa soprattutto negli aperitivi per il Kir ed il Kir Royale. Tuttavia può essere usato come digestivo con un terzo di cognac o grappa.Tra tutti quelli che hanno apprezzato il Kir, vi sono anche De Gaulle e Giovanni Paolo XXIII, quando era nunzio apostolico di Parigi. La parola champagne deriva da “campo” o “campagna”. Per il vino identifica la grande regione a nord est di Parigi con i centri di Reims e Epernay, dove si produce appunto lo Champagne, il più famoso vino spumante del mondo. Tornando al Kir ed al Kir Royale, esistono diverse varianti. Eccone altre meno famose, ma altrettanto gustose: Kir Pétillant: con vino spumante; Kir Imperial: con lampone al posto del ribes e Champagne. Fino al 1987 era nella classificazione dei cocktail IBA; Kir Normand: con sidro di Normandia in sostituzione del vino; Kir Breton: con sidro bretone in sostituzione del vino; Cidre Royale: con sidro e Calvados. Champagne (Grande e Petite) è anche il nome delle due zone del territorio del Cognac nel quale si produce il distillato di qualità superiore.
Kir Royale
Kir
• 9 cl Champagne
• 9 cl Vino bianco secco
• 1 cl Crema di Cassis
• 1 cl Crema di Cassis
Si prepara direttamente nella flûte, versando prima la Crème de Cassis e colmando infine con Champagne.
Si prepara direttamente nella flûte, versando prima la Crème de Cassis e infine colmando con vino ben freddo. In alternativa si può usare un bicchiere a calice per vino.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Il Mimosa è un cocktail di gran classe, notoriamente servito in hotel di lusso e nelle prime classi degli aerei.
Mimosa • 7,5 cl Champagne
Quando è aggiunto il Grand Marnier, allora • 7,5 cl Succo d’arancia prende il nome di Grand Mimosa. Le origini Versare il succo d’arancia del Mimosa sono sconosciute. Si presume che in una flûte con Champasia stato inventato al Paris Ritz nel 1925. Somigne. Mescolare delicatagliava molto al Buck’s Fizz, ideato in Inghilterra mente. Si può guarnire nei 1921, che deve il nome al locale dove è con un twist d’arancia (è stato servito per primo. Inoltre nel Buck’ Fizz si facoltativa). utilizzano tradizionalmente Champagne e succo di arancia (a volte con aggiunta di sciroppo di granatina). Il nome “mimosa” comparso nel 1925 viene dai fiori dell’omonima pianta del mimosa, colore giallo brillante. Poi nell’ultima codificazione IBA 2011 è stato deciso che Mimosa e Buck’ Fizz sono lo stesso drink. Mentre la maggior parte dei barman sono concordi che il Mimosa dovrebbe essere servito in una flûte, le proporzioni esatte della bevanda sono spesso dibattute.
Curiosità
Alcune ricette richiedono una misura di tre parti di Champagne a una parte di succo di arancia, mentre altre preferiscono metà e metà. Entrambi gli ingredienti dovrebbero essere raffreddati e alcuni barman inoltre servono il cocktail con alcuni cubetti di ghiaccio. Altri contestano l’uso di ghiaccio, che sciogliendosi diluisce la bevanda. I Mimosa sono serviti generalmente senza guarnizione, ma si può utilizzare un twist d’arancia.
La mimosa, nel simbolismo massonico, è l’emblema della sicurezza. Essendo un fiore che appare agli inizi della primavera è associato al Sole, alla luce, all’oro ed è quindi simbolo di potenza e magnificenza.
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Note
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Crucibarman • 1 Così si definisce se manca la liqueur d’Èxpedition (7) Champagne tipico di un’annata fortunata (11) Miscela con zucchero di canna, vino scelto, lieviti e sostanze minerali (15) Città importante, capitale dello Champagne (5) Salgono verso l’alto e possono essere fini (9) È presente grazie a cellule vive (7) Tipo di tappo usato nella produzione dello Champagne (6) Tipico spumante spagnolo (4) Tipico vitigno per lo Sparkling Icewine (8)
1 3 4 5 6 7 8 10 11 14
L’abbazia dove è nato lo champagne (11) Area di produzione dello Champagne (5) Spesso lo sono quelli prodotti con il metodo Charmat (5) Fuoriesce alla stappatura dello Champagne (5) Il nome in francese dato alle bollicine (7) Grossi contenitori in acciaio (9) Lo è il Pezsgo (9) Sono i vini con gas addizionati (11) Celebri fratelli che hanno portato gli spumanti in California (6) Si prepara con spumante e succo d’arancia (6)
Verticali
Orizzontali
2 9 12 13 15 16 17 18 19
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Quanto ne sai sullo... Champagne?
1 2 3
4 5 6
7
La dicitura VSQ sta per a) b) c)
Vini Speciali di Qualità Vini Spumantizzati di Qualità Vini Spumanti di Qualità
La fragranza dello spumante ricorda a) b) c)
Pane sfornato Fiori bianchi Frutta rossa
Il mosto fiore è a) b)
Il ricavato della raccolta d’uva Il prodotto della pressatura soffice
c)
Il residuo delle vinacce
a)
Un liquido composto da vino,
b)
Un liquido composto da zucchero di canna e distillato
La liqueur d’expédition è
c)
zucchero di canna e qualche volta distillato
Un liquido composto da vino, zucchero liquido e Cognac
L’unico vitigno a bacca bianca per lo Champagne a) b) c)
Asprinio Chardonnay Pinot meunier
Federico Martinotti inventò il metodo che prende il suo nome nel a) b) c)
1850 1895 1915
Per definirsi vino spumante Talento si deve avere un residuo zuccherino inferiore a
a) b) c)
15 mg per litro 12 mg per litro 10 mg per litro
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Lo Sparkling Shiraz è di colore…
8
a) b) c)
Giallo paglierino Rosso Rosato
Lo spumante Cava è nato nel…
9 10 11 12 13 14 15
a) b) c)
1810 1872 1895
Il 95% del Sekt in Germania è fatto con… a) b) c)
Metodo Classico Metodo Charmat In botti di rovere
Il termine Schaumwein sta per… a) b) c)
Vino rosato Vino bianco frizzante Vino frizzante
In Romania la maggior parte degli spumanti si produce in… a) b) c)
Panciu Moldavia Bucarest
Lo Champagne con cuvée di vini di diverse annate viene definito… a) Pas d’année b) c)
Sans année Millesimato
Bollicine numerose e piccole indicano… a) b) c)
Vino spumante di pregio Vino spumante modesto Vino spumante di cattiva qualità
Il Kir è a base di... a) b) c)
Vino bianco secco e Crema di lampone Vino bianco secco e Crema di Cassis Vino spumante e Crema di Cassis 130
16 17 18 19 20
La bottiglia dove si conserva lo Champagne si chiama… a)
Champagneria
b)
Champagnotta
a)
Pupitres
c) Bordolese Dopo aver affinato lo champagne sui lieviti, lo Champagne viene sistemato su… b) c)
Remuage Scaffali
Il vitigno chardonnay da vita a spumanti… a) b) c)
Aromatici Non aromatici Dolci
Nella fase del Dégorgement la bottiglia è immersa in un liquido… a) b) c)
-30 °C -25 °C -20 °C
Senza liqueur d’expédition il vino si definisce… a) Millesimato b) c)
Pas d’année Sans année
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modulo 2 LA COSTRUZIONE DI UN COCKTAIL
MODULO 2: COSTRUIAMO UN COCKTAIL
Per creare un buon cocktail è necessario avere una buona conoscenza dei vari prodotti da impiegare, del loro uso e della miscibilità degli stessi. Non basta la fantasia, ma occorre anche usare sapientemente tutti gli ingredienti. Generalmente il cocktail è inteso come una bevanda composta di vari ingredienti, alcuni di essi (o almeno uno) alcolici. Gli ingredienti massimi che possono essere utilizzati sono 5, anche se cocktail particolarmente gradevoli e tecnicamente perfetti, si ottengono usando solo 3 ingredienti. Simile a una colonna, il cocktail si compone di 3 parti: • la base, che come una colonna sostiene tutto e costituisce le fondamenta su cui costruire; • Il caratterizzante/i (inteso anche come componente/i), che contribuisce a formare il cocktail; • Il correttore che completa il drink e può avere numerose funzioni, dal colorare semplicemente il cocktail fino ad aromatizzarlo con il suo profumo.
CORRETTORE
CARATTERIZZANTE
BASE
Sciroppi, bitter/amari, latticini, creme di latte, gelati, liquori, zuccheri, creme di liquore.
Vermouth, aperitivi in bottiglia, bitter, vini liquorosi, liquori, vini fermi/spumanti, creme di liquore, succhi, corroboranti, bibite, aperitivi sodati, succhi di frutta, birra, centrifugati. Gin, vodka, cognac, brandy, tequila, rum ecc.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
BASE Distillato
Liquore
Succo di frutta
Succhi di frutta
CARATTERIZZANTI
Aperitivi amari e liquorosi
Latticini e uova
Bibite e nervini
Gelati
Spumanti CORRETTORI Sciroppi Succhi di frutta
La base di un cocktail solitamente è costituita da un distillato (solo uno, anche se vi sono delle eccezioni). Nei long drink può essere anche assente.
I caratterizzanti conferiscono le caratteristiche al cocktail in base alla sua funzione: se aperitivo, se dolce e così via. La famiglia è ampia e va dai Vermouth fino ai succhi di frutta.
I correttori si utilizzano in piccole dosi e possono dare colore al cocktail (per esempio gli sciroppi), profumi, dolcezza e freschezza.
COSTRUIAMO UN COCKTAIL Prima di costruire il nostro drink, dobbiamo valutare intanto che tipo di cocktail vogliamo realizzare. Nell’originale classificazione i cocktail sono definiti aperitivi (before dinner), dolci (after dinner), per tutte le ore (all day cocktail), corroboranti e dissetanti (il classico long drink). Una volta scelta la categoria, si passa a esaminare la struttura del drink, ovvero che caratteristiche deve possedere. I fattori sono i seguenti: • struttura alcolica (contenuto dell’alcol): inteso come quantità di alcol (analcolico, leggero, poco alcolico, medio alcolico e robusto); • Ttipo di profumi: quali profumi, devono prevalere, dall’erbaceo al fruttato, dal floreale al tostato; ciò dipenderà naturalmente dall’uso sapiente degli ingredienti; • tl gusto che può essere secco, abboccato o dolce e ciò dipende dalla concentrazione degli zuccheri; si può presentare anche piatto, abbastanza fresco, fresco e acidulo, in base alla presenza o meno di acidità (presenza di succhi di frutta, limone, ecc.) 134
MODULO 2: COSTRUIAMO UN COCKTAIL
• la persistenza del cocktail, ovvero quali sensazioni si avvertono e la loro durata, calcolata in secondi, dopo che si è deglutito il cocktail. Il passo successivo riguarda il percorso di creazione del cocktail, una volta stabiliti il tipo e la caratteristica del drink. Si può prendere spunto dai cocktail internazionali IBA1 (attenzione: molti sono completamente diversi tra di loro), si può andare sul sicuro abbinando ingredienti di consolidata esperienza (succhi di frutta e rum ad esempio) ed infine si può tenere conto anche dell’affinità merceologica dei vari prodotti.
Costruiamo un cocktail aperitivo o before dinner Le caratteristiche di questo cocktail sono di favorire l’appetito, aprire lo stomaco, preparandolo a ricevere cibo. Deve pertanto avere almeno un ingrediente aperitivo, mentre gli altri componenti devono essere comunque secchi e/o abboccati. La struttura tipo del cocktail aperitivo può essere la seguente: • 60-100% ingredienti secchi e/o • 30-40% max. Vermouth e/o • 20% max. ingredienti dolci così ripartiti 20% max. liquori (oppure) 10% max. di liquori più 10% max. di creme di liquori, gocce di sciroppi o crema di cassis • Nel Cocktail aperitivo si possono prevedere anche succhi di frutta. Un piccolo accorgimento riguarda l’uso dei liquori e delle creme di liquori. Le seconde hanno una percentuale maggiore di concentrazione di zucchero, per cui si tenga in considerazione questo elemento. Nei cocktail aperitivi evitare inoltre i seguenti ingredienti: yogurt, crema di latte, latte, gelati, digestivi, caffè. Suggeriamo intanto lo schema proposte poche righe prima, applicandolo alla costruzione di un cocktail aperitivo: BASE alcol e struttura
CARATTERIZZANTI Caratterizza il cocktail soprattutto la funzione aperitivo. Dà aromi intensi, dona maggior corpo
CORRETTORI Contribuisce all’aroma intenso con profumi fruttati, colore e amarezza 1
Il libro dei Cocktails Internazionali IBA. Luigi Manzo, Sandit Libri
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Esempio: Bronx
BASE
3 cl gin
Per alcol e struttura
CARATTERIZZANTI
1,5 cl vermouth rosso 1 cl vermouth dry
Contribuiscono a rafforzare la condizione di aperitivo.
CORRETTORI
1,5 cl succo d’arancia
Dà aromi intensi e colore.
Proviamo adesso a modificare un Vodkatini (6 cl vodka, 1 cl vermouth dry, mescolati in mixing glass e serviti in coppetta a cocktail con sprizzo di olio essenziale di limone). Ecco un’ipotesi:
6 cl vodka
BASE
Per alcol e struttura
CARATTERIZZANTI
1 cl vermouth dry
Contribuisce a rafforzare la condizione di aperitivo
CORRETTORI
1 spruzzata di Bitter Campari
Dona aromaticità
In questo caso si può spruzzare il Bitter Campari aiutandosi con appositi vaporizzatori, che ricordano molto quelli per il profumo.
136
MODULO 2: COSTRUIAMO UN COCKTAIL
Costruiamo un cocktail dolce o after dinner Una volta si diceva che lo scopo di un after-dinner fosse di favorire la digestione del cibo, o comunque di essere tendenzialmente dolce. Probabilmente la seconda ipotesi è quella più logica, poiché i cocktail after dinner essendo composti da superalcolici non favoriscono affatto la digestione a fine pasto. L’after dinner deve avere al suo interno almeno un ingrediente dolce (liquore, creme, latticini ecc.) e la gamma dei prodotti da usare è vasta: si va dai prodotti alle erbe, al caffè, oppure a base di frutta secca. La struttura tipo del cocktail dolce può essere la seguente:
• 30-40% max. componenti digestive dolci (esclusa la base alcolica) Nella ricetta vi può essere la presenza di: prodotti alle erbe oppure al caffè, oppure a base di frutta secca • 10% max. sciroppi • 10-20% max. succhi
BASE alcol e struttura
CARATTERIZZANTI Caratterizza lo scopo del cocktail, in altre parole la condizione dolce
CORRETTORI Contribuisce all’aroma con profumi fruttati o di erbe
137
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Esempio: Alexander
BASE
3 cl Cognac
Per alcol e struttura
CARATTERIZZANTI
3 cl Crema di cacao scura
Contribuiscono a dare dolcezza e aromaticità al cocktail
CORRETTORI
3 cl Crema di latte
Accentua le caratteristiche di dolcezza, mentre la noce moscata che viene spolverata dona aroma speziato
Se volessimo modificarlo per crearne uno a nostro piacere, possiamo sfruttare in questo caso l’affinità merceologica dei prodotti aggiungendo del Curaçao (anche colorato) al posto della crema di latte. Esempio: Alexander Curaçao BASE
3 cl Cognac
Per alcol e struttura
CARATTERIZZANTI
3 cl Crema di cacao chiara
Contribuiscono a dare dolcezza e aromaticità al cocktail
CORRETTORI
3 cl Orange Curaçao
Rafforza la dolcezza del cocktail, dona inoltre colore e profumo
138
MODULO 2: COSTRUIAMO UN COCKTAIL
Costruiamo un cocktail long drink Lo scopo di un long drink è dissetare e può essere alcolico o analcolico. Se alcolico, deve contenere, solitamente, poco alcol. È bevuto lontano dai pasti e le caratteristiche principali sono la spiccata freschezza, alcolicità media bassa e dissetare. Il loro contenuto varia da un minimo di 13 cl a oltre 20 cl. Tuttavia negli ultimi tempi la dose di un long drink è mediamente 20 cl. La struttura tipo del cocktail long drink può essere la seguente: • 50-90% max. componenti analcoliche o poco alcoliche tra cui: Succhi di frutta o verdura Bibite gassate Vini e spumanti Aperitivi “sodati” Gelati • 10% max. sciroppi
BASE Struttura alcolica (poco o completamente assente)
CARATTERIZZANTI Caratterizza la freschezza, disseta ed è analcolico
CORRETTORI Contribuisce con maggior colore e dolcezza
Esempio: Sea Breeze BASE
4 cl Vodka
Per alcol e struttura 12 cl succo di mirtillo
CARATTERIZZANTI
Contribuiscono a dare freschezza, disseta ed è analcolico
CORRETTORI
3 cl succo di pompelmo
Dona lieve acidità e profumo 139
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
TAVOLA DI MISCIBILITÀ DEGLI INGREDIENTI
140
MODULO 2: COSTRUIAMO UN COCKTAIL
CALCOLARE IL CONTENUTO ALCOLICO IN UN COCKTAIL Per calcolare il contenuto di alcol in grammi presente nelle bevande, possiamo utilizzare questo semplice sistema. In questo modo sapremo per ogni bevanda quanti grammi di alcol sono contenuti. Dati di partenza... Se su 100 parti di...
Ci sono tot parti di alcol...
Parto dalla quantità che servo...
Brandy
40,00%
40 ml
Vino
12,00%
100 ml
... il risultato in 4 semplici passi. 1) Usando la formula...
2) Trovo quanto alcol c’è in una dose...
3) La moltiplico per il suo peso specifico...
4)... e ottengo
40x40 ml/ 100
16 ml
x 0,79
12,6 g
12X100 ml/ 100
12 ml
x 0,79
9,48 g
Conosciuta quindi la quantità di alcol in millilitri, è opportuno trasformarla in grammi poiché la soglia massima di consumo per persona, in base al suo peso corporeo, viene calcolata con questa unità di misura. Si procede quindi con il sistema appena illustrato, tenendo conto che il peso specifico dell’alcol è 0,79, inferiore a quello dell’acqua. Pertanto se vogliamo sapere quanti grammi di alcol ci sono in un bicchiere di brandy o vino, possiamo procedere con questa operazione: ... moltiplico la quantità in ml
... per il suo peso specifico...
... e ottengo i grammi
Brandy
16 x
0,79 =
12,6 g
Vino
12 x
0,79 =
9,48 g
141
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Una volta stabilita la quantità di alcol in volume, si può, di conseguenza, determinare anche il grado alcolico di un cocktail. Per ottenere un calcolo corretto consideriamo anche la presenza di acqua, dovuta dal parziale scioglimento del ghiaccio necessario alla preparazione. L’acqua riduce il grado alcolico, ma la quantità di alcol tuttavia rimane invariata. Secondo la tecnica di preparazione, vi è un aumento di acqua, circa 15 ml per cocktail preparati nello shaker o mixing glass e 30 ml se preparati con ghiaccio (per esempio Mojito). Se usiamo il blender, c’è un aumento minimo di 50 ml. Naturalmente sono valori approssimativi: tutto può essere modificato da alcune variabili, ad esempio dal tipo di ghiaccio che è utilizzato (dal cristallino a quello più opaco), dal fatto se si preparano più cocktail in contemporanea, oppure se il cocktail viene preparato con prodotti a temperatura ambiente oppure già freddi. Calcolo di quantità di alcol e grado alcolico Prendiamo ad esempio un cocktail IBA, il Grasshopper, per calcolare grammi e grado alcolico.
Ingredienti
Quantità in ml
Grado alcolico
Quantità di alcol x prodotto
Panna
20
0
0
Crema di menta verde
20
26
5,2
Crema di cacao chiara
20
26
5,2
acqua
15
0
0
142
Quantità totale di alcol in ml
Grammi di alcol
Grado di alcol
10,4
8,22
13,87%
MODULO 2: COSTRUIAMO UN COCKTAIL
1. Determiniamo la quantità di alcol per ogni singolo prodotto
Grado alcolico x quantità 100 esempio
Crema di cacao 26 x 20 100 = 5,2
2. Si calcola la quantità totale di alcol in ml
Si esegue la somma delle singole quantità di alcol in ml (0+5,2+5,2+0)
3. Definiamo i grammi in alcol
Si moltiplica la quantità in ml per il peso specifico dell’alcol ovvero (10,4 X 0,79)
4. Si individua il grado alcolico
Per quest’operazione si usa una proporzione che segue questo ragionamento: se in una quantità di cocktail (75) c’è un tot volume di alcol (10,4), in 100 parti quanto alcol in volume c’è? Ne consegue la proporzione
10,4 : 75 = x : 100
Tradotto in formula:
10,4 x 100 75 Quantità cocktail 75 = 13,87% 143
Il grado alcolico è utile per individuare la forza alcolica del prodotto, in altre parole per avere la percezione di quanto alcol si percepisce mentre si beve. Viene anche definita pseudocaloricità ed è la sensazione che l’alcol trasmette alle mucose della bocca sotto forma di sensazione calorica, di bruciore, d’intensità variabile con la sua percentuale. In realtà anche se il valore è semplice e immediato, esso è poco indicativo e può trarre in inganno. I grammi di alcol invece indicano esattamente quanto alcol s’introduce nel corpo; tuttavia non danno l’idea della forza alcolica percepibile all’assunzione del prodotto. Oscar Galeazzi, nel suo libro Laboratorio di Sala-Bar, illustra due esempi: L’Americano è con un grado alcolico di poco inferiore al Singapore Sling, ma con meno della metà di contenuto in alcol. Il Singapore Sling è meno alcolico di un bicchiere di vino, ma contiene più del doppio di alcol.
Consigli di lettura...
E IN PRINCIPIO FURONO... 50 COCKTAIL IBA Negli anni Sessanta, per mettere ordine tra le tante ricette di cocktail che invadevano i bar in ogni angolo del mondo, furono codificati i primi 50 cocktail mondiali dall’IBA. Il libro ripercorre per ogni cocktail IBA le sue origini, il contesto storico e naturalmente i barman che li hanno resi protagonisti per oltre quarant’anni. Alcuni di questi sono scomparsi dagli elenchi, vivono nella mente solo di chi li ha vissuti o in qualche decrepito ricettario. Dal ritrovamento appunto di una vecchia lista dei 50 drink IBA, l’autore li ha ripresi uno ad uno, ripresentandoli al pubblico ed approfondendo anche l’utilizzo dei prodotti, alcuni dei quali oggi raramente in circolazione. Il testo è corredato da una straordinaria raccolta di locandine ed etichette vintage, dagli inizi del Novecento, fino agli anni Ottanta.
144
Note
Crucibarman • 2 Può essere anche assente in un cocktail dissetante (5) Può anche solo profumare il drink (10) Tipico distillato olandese e inglese (3) International bartender association (3) Hanno una percentuale maggiore di zuccheri (7) Succo di frutta con tendenza acidula (6) Possono essere componenti fondamentali dei long drink (13) Ne si tiene conto nell’affinità merceologica dei vari prodotti (11)
1 2 3 4 5 6 10 11 13 14
Cocktail dal gusto privo di zuccheri (5) Durata della sensazione del gusto della bevanda avvertita in bocca (11) Ancora più zuccherine dei liquori (5) Significa letteralmente “spalancare le porte al desiderio di dissetarsi” (10) Acquavite di vino prodotta solo in Francia (6) Viene definito moltiplicatore ed è utile per il prezzo finale del cocktail (12) La sua origine è contesa da Russia e Polonia (5) Acquavite di vino prodotta in tutto il mondo (6) Lo è se contiene molto alcol (7) Sinonimo di amaro (6)
Verticali
Orizzontali
4 7 8 9 12 15 16 17
146
Quanto ne sai sulla... costruzione di un cocktail?
1 2 3
4 5 6
7
After dinner può essere sinonimo di a) b) c)
Dolce Digestivo Aperitivo
Lo sciroppo può essere considerato un a) b)
Ingrediente base Ingrediente caratterizzante
c) Ingrediente correttore Solitamente un cocktail deve prevedere massimo a) b)
3 ingredienti 5 ingredienti
c)
7 ingredienti
a)
Base del drink
I succhi di frutta fanno parte solitamente b) c)
caratterizzanti
Correttori
Sinonimo di dissetante a) b) c)
Long drink Medium drink Short drink
Il gusto secco dipende da a) b) c)
Predominanza del distillato Predominanza del liquore Predominanza del ghiaccio secco
Le creme di liquore possono caratterizzare a) b) c)
Before dinner After dinner Long drink 147
8
Il caffè può caratterizzare un cocktail a) b) c)
A tutte le ore After dinner Long drink
Un long drink ha come media quantità
9 10 11 12 13 14 15
a) b) c)
15 cl 18 cl 20 cl
Un superalcolico favorisce la digestione? a) b) c)
Sì No Solo in certi casi
La persistenza di un cocktail viene calcolata in a) b)
Secondi Minuti
c) Ore Short drink è sinonimo di a) b) c)
Molto alcolico Dissetante Analcolico
Nei cocktail before dinner gli ingredienti sono solitamente a) Analcolici b) c)
Dolci Secchi
Il Gin può essere considerato ingrediente da drink a) b) c)
Aperitivo After dinner Long drink
Le componenti di un long drink sono solitamente a) b) c)
Acidule Secche Dolci
148
16 17 18 19 20
Il Vodkatini è considerato un cocktail a) Before dinner b) c)
Digestivo Dissetante
La base di un long drink può essere a) b) c)
Succo d’arancia Sciroppo Distillato ambrato
I succhi hanno componenti acidule che aiutano a a)
Stimolare l’appetito
c)
Aiutare la digestione
b) Dissetare La crema di latte è ottimo ingrediente di cocktail a)
Digestivi
c)
After dinner
b) Aperitivi Per pseudocaloricità si intende a) b) c)
Sensazione di calore sulla lingua Sensazione di aver placato la sete Eccessiva secchezza dei liquori
149
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
modulo 7 INTAGLI E DECORAZIONI 150
Quando il cibo non è stato più sinonimo di “sopravvivenza” del corpo, ma è divenuto anche piacere dei sensi, ecco che sono comparsi diversi modi di accompagnarlo e renderne piacevole la consumazione. Le prime tracce di questa usanza di abbellire piatti (e non solo) si ebbero in Cina tra il 600 e il 1300 d.C. circa. La decorazione dei piatti, e di conseguenza anche l’arte del decorarli ed intagliare verdura e frutta, diventò così sempre più importante nella realizzazione di pranzi sontuosi e buffet in onore di imperatori o comunque grandi personaggi. Poi tale usanza si diffuse anche nei ceti minori. Medesima cosa avvenne anche nel bacino del Mediterraneo, dove l’abitudine fu praticata sicuramente in Egitto, in Grecia e successivamente anche in Italia ai tempi dei Romani. Le grandi feste con abbondanti e grandiosi banchetti si svolgevano nelle regge degli imperatori e dei re. La stessa usanza si perpetuò anche nel Medioevo: qui comparvero le prime decorazioni a base di zucchero soffiato realizzate grazie alla tecnica dei soffiatori del vetro veneziano. Nel XVI secolo, Caterina dè Medici, sposa di Enrico II, portò in Francia i sapori italiani facendo conoscere alla nobiltà francese il tartufo, la forchetta e la sontuosità dei banchetti della nobiltà italiana. Nello stesso periodo comparvero nei mercati le spezie dall’Oriente. Con Versailles e Luigi XIV, l’enogastronomia fece un’ulteriore balzo in avanti. Arrivò l’epoca degli antipasti presentati come pièce montèe. Nel XVIII secolo apparve un nuovo modo di decorare i buffet: lo zucchero “sablè” sabbiato, cotto e colorato, veniva modellato e riproduceva giardini fantastici, disposti su specchi o superfici di vetro, per poi essere sistemati al centro del buffet. Sempre in questo stesso secolo, in Giappone, il mukimono (o arte dell’intaglio della verdura) conobbe il suo grande exploit che durerà sino ai giorni nostri; così come il kaishiki, ovvero l’arte di tagliare, intagliare con dei grandi coltelli e dare delle forme ai vegetali. Dall’inizio del XX secolo, le decorazioni hanno iniziato a semplificarsi, diventando sempre più leggere e meno aggressive. Questo anche grazie al tempo che i cuochi ed i pasticcieri dedicavano sempre meno al “contorno”, concentrandosi invece sulla preparazione del piatto. Altri fattori hanno fatto il resto: il costo della manodopera (più che delle materie prime), i tempi sempre ristretti e la crisi economica. Tuttavia oggi gli intagli di frutta e verdura (non più relegati come presenze su buffet, ma anche protagonisti in altri luoghi, come la preparazione di drink) sono di nuovo protagonisti e lo scopo di questo testo è appunto darvi una mano a creare dei piccoli capolavori vegetali.
151
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
CONOSCERE LA FRUTTA Agrumi Gli agrumi sono originari dell’Estremo Oriente (Cina) e si presentano con sapore asprigno. Oggi il maggiore produttore è l’America, mentre in Europa Spagna ed Italia sono ai primi posti. In Italia gli agrumi principalmente coltivati sono i limoni e le arance, seguiti da mandarini e loro ibridi, pompelmi, cedri, le limette (lime in inglese), bergamotti, chinotti, i tangeli e il kumquat (o mandarino cinese). Frutta secca Per frutta secca si intende la frutta con guscio, ovvero mandorle, noci, arachidi tostate, nocciole, pinoli, pistacchi, castagne. Vi è anche la frutta (pesche, albicocche, pere, fichi ecc.), che può essere essiccata per conservarla a lungo. Frutta fresca Frutta fresca europea: sono tutti quei frutti che vengono coltivati comunemente in Europa come la mela, la pera, la pesca, l’albicocca, la prugna, la fragola ecc. Frutta esotica Viene chiamata così quella frutta che normalmente non viene coltivata nelle zone temperate dell’Europa e quindi è importata (tuttavia oggi qualche frutto cosidetto esotico si coltiva anche in Europa). La banana è stata per anni il prodotto esotico principe sui mercati europei e americani, seguita dall’ananas e dal kiwi. I principali frutti esotici sono: ananas, anacardio, anona, avocado, banana, bacaco, dattero, durino, feijoa, frutto della passione, mango, granadilla, kiwano, noce di cocco, papaia, rambutan, litchi, mangostano ecc.
152
MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
CALENDARIO STAGIONALE DELLA FRUTTA DICEMBRE
NOVEMBRE
OTTOBRE
SETTEMBRE
• • • • • • •
AGOSTO
• • • • • •
LUGLIO
• • • • • • •
GIUGNO
• • • • • • •
MAGGIO
APRILE
MelaCotogna Fragoline Gelso more Mirtilli Prugne Ananas Banana
MARZO
Mandarancio
FEBBRAIO
Uva Spina Uva Anguria Fico d’india Corbezzolo Giuggiole Melagrana Melone Alchechengi Castagna Caco
GENNAIO
frutta Arancia Kiwi Limone Mandarino Mela Pera Pompelmo Ciliegia Fragola Pesca Noce Albicocca Amarena Fico Lampone Nespola Pesca Ribes Susina
• • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • • •
153
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
IL FENOMENO DELL’OSSIDAZIONE L’ossidazione è un fenomeno chimico e fisico, effetto della reazione dei radicali liberi con l’ossigeno. Il risultato è l’imbrunimento della frutta. Il primo scienziato che parlò dei radicali liberi fu il premio Nobel Hartman. Egli si occupava delle interazioni tra la materia vivente e i radicali stessi. Questi radicali liberi non sono altro che delle molecole (o porzioni di molecole) che hanno un elettrone in meno, e che quindi sono estremamente reattive. La ricerca di una maggiore stabilità spinge il radicale ad assimilare un atomo di idrogeno da altre molecole, determinando una reazione a catena che finisce per alterare in maniera irreversibile la struttura chimica della materia. Tra i radicali liberi più pericolosi ci sono quelli dell’ossigeno che hanno un effetto simile a quello delle radiazioni. Nel corpo umano, determinano un invecchiamento precoce ed una serie di diverse malattie. I meccanismi di difesa che l’organismo possiede contro i radicali liberi si chiamano antiossidanti (enzimi, principi vitaminici e minerali); questi agiscono cedendo loro idrogeno e bloccano i radicali liberi rendendoli innocui. Alcune piante hanno sviluppato dei sistemi di difesa per proteggersi dalla ossidazione e dai radicali liberi producendo alcuni pigmenti. I polifenoli si trovano nelle fragole, nelle cipolle, nei cavoli, nei meloni e negli agrumi; i tocoferoli si trovano negli oli e nelle foglie verdi; gli isopreni nei peperoni, nella lattuga, nelle albicocche, nei broccoli e negli spinaci. La frutta nera è la più dotata contro i radicali liberi, perché i suoi pigmenti proteggono i suoi componenti dall’ossidazione e dalla luce. Gli antiossidanti Gli antiossidanti aiutano a mantenere inalterato l’aspetto esterno del taglio, opponendosi ai processi ossidativi della frutta. Il migliore antiossidante idrosubile è certamente l’acido ascorbico, conosciuto come vitamina C. Il nome è dovuto alla capacità di tale vitamina di curare lo scorbuto, una malattia mortale che colpiva soprattutto gli equipaggi delle navi, costretti a rimanere a lungo in mare senza potersi approvvigionare di alimenti vegetali freschi. Questa vitamina si trova in abbondanza nelle piante ricche di clorofilla e di carotene, nella frutta fresca, soprattutto agrumi e frutta esotica. La vitamina C dunque possiede un’alta funzione antiossidante, ossia neutralizza i radicali liberi dell’ossigeno. Per questo motivo spesso si può utilizzare dell’acqua con succo di limone da spruzzare sopra i nostri intagli. Una volta intagliata la nostra frutta, è possibile preservarne l’ossidazione usando anche composti chimici come l’acido ascorbico. Infatti la possiamo mettere a bagno in una soluzione di acqua e acido ascorbico nella proporzione di 5 a 1000. Negli Stati Uniti ed in molti altri Paesi, l’acido ascorbico si trova facilmente al supermercato, mentre in Italia si può acquistare in farmacia. Naturalmente è anche possibile passare la frutta in acqua e succo di limone che contiene acido citrico, che ha effetti antiossidanti, oppure in sciroppo di zucchero, ma il risultato non è lo stesso. L’acido ascorbico è un additivo alimentare di uso comune, il suo codice è E300. Viene usato come antiossidante
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MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
nella carne in scatola, insaccati, conserve di pesce, confetture, budini, caramelle e confetti, chewingum, birra, sciroppo e succhi di frutta. Come additivo non esplica l’azione vitaminica. Ha effetto diuretico e ad alte dosi può provocare glicosuria. Oltre la frutta... Oltre la frutta è possibile utilizzare anche ortaggi e verdure per le nostre decorazioni: finocchi, carote, patate, zucchine, peperoni, e così via, possono essere utilizzati per creare fiori oppure animali, usando formine e attrezzi vari.
LE DECORAZIONI E GLI STRUMENTI Il senso artistico può essere innato in una persona, ma anche chi non dispone di creatività, con l’aiuto delle tecniche di decorazione può creare delle squisite decorazioni. Oltre alla tecnica, alla creatività e al senso artistico, occorrerà anche tanta pazienza. Le decorazioni che andremo a fare si suddividono in: • decorazioni per piatti e buffet • decorazioni per bar e cocktail Riguardo le decorazioni per piatti e buffet, queste possono compensare l’aspetto poco invitante di alcune preparazioni gastronomiche, le quali hanno richiesto alcuni metodi di cottura che ne hanno reso l’aspetto esterno poco piacevole. Ma non solo: certe decorazioni possono invogliare la vendita di un prodotto, sia se esposto in vetrina, sia su buffet, ma pure in altri luoghi, come un negozio di frutta e verdura. Progettare una decorazione Prima di selezionare il tipo di decorazione, bisogna tenere conto della natura del prodotto, del suo colore, della sua forma, del suo volume, del suo stile di presentazione, il tema ed infine il servizio. Fiori di frutta Se un tempo (ed ancora oggi) l’addobbo classico di una tavola era una bella composizione di fiori, l’arte dell’intaglio si adatta tranquillamente alla decorazione floreale classica. Perciò molti dei criteri di composizione delle composizioni floreali sono da considerarsi altrettanto validi per quelli a base di frutta. L’utilizzo dei fiori a tavola, seppur conosciuto dagli antichi Greci e Romani, in Europa si sviluppò nel XVI secolo quando comparvero sulle tavole dei nobili. Fino a quel momento i fiori erano principalmente utilizzati per la realizzazione di prodotti erboristici e liquori. Delle composizioni di fiori a tavola, ne parleremo in fondo, nell’appendice apposita.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
• Alcune di queste immagini sono tratte dai corsi di fruit carving di Rosa Ballini le gallerie complete nella sezione curiosità del sito www.ristorazionebar.it 156
MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
• Alcune di queste immagini sono tratte dai corsi di fruit carving di Rosa Ballini le gallerie complete nella sezione curiosità del sito www.ristorazionebar.it
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MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
L’USO DELLE DECORAZIONI NEI COCKTAIL Le decorazioni sono un elemento importante nel servizio dei cocktail e delle bevande in genere, perché con pochi semplici ingredienti si può trasformare un drink e presentarlo in maniera eccezionale. Le decorazioni possono essere semplici e composte. Le prime si riferiscono a fette di arance, limoni, semplici olive, mentre le seconde sono composte (per esempio) da spiedini di frutta o comunque composizioni dove vengono inseriti più ingredienti. Ci sono alcune regole da seguire per preparare e presentare decorazioni, vediamole. • Gli short drink generalmente devono essere accompagnati con ciliegie al maraschino, olive verdi e nere, cipolline in agrodolce, bucce di agrumi e ramoscelli di mentuccia. • I long e i medium drink invece si possono decorare con qualsiasi cosa purché si tratti di ingredienti commestibili ristretti nelle seguenti categorie: frutta, erbe e verdure. • Si possono altresì usare stecchini di plastica ombrellini ed altri oggetti. Occhio a non esagerare! • Le decorazioni devono risultare ben salde sul bicchiere (per evitare spiacevoli incidenti) e non apparire come castelli in aria. • Nei long drink è necessario utilizzare sempre le cannucce al fine di agevolare il cliente (è consigliabile sempre metterne due). • Bisogna tener presente i tempi di esecuzione: evitate quindi decorazioni molto complicate che richiedano un tempo eccessivo. • È conveniente usare sempre frutta non molto matura per impedire che si spappoli ed evitare (se possibile) anche la frutta che annerisce velocemente. Essa dovrà essere sempre precedentemente lavata. • È sconsigliato l’utilizzo dei fiori. Se proprio è necessario abbiate l’accortezza di non collocarli a contatto con la bevanda. • È obbligatorio utilizzare sempre l’apposita pinzetta per inserire le decorazioni nelle bevande. Mai toccare le decorazioni con le mani! Unica eccezione: il lemon twist per il Martini (Dry). • Si possono ottenere effetti cromatici e visivi decorativi anche utilizzando il ghiaccio tritato o il cosiddetto “crushed”; potete anche usare sciroppi, liquori colorati o creme di latte, le quali, a causa del loro peso specifico, restano in superficie o vanno in profondità o, ancora, modificano il gusto drink proposto. • Vengono considerate decorazioni anche le spolverate di noce moscata, di cacao, di cannella di biscotti o altri simili. • Il sale e lo zucchero posti sul bordo del bicchiere (detti crusta, come il Margarita e il Salty Dog) sono da considerarsi elementi decorativi in molti casi. In alcuni casi invece sono parte integrante del cocktail: è il caso del Margarita dove il sale dovrebbe orlare tutto il bordo del bicchiere. 159
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
CATEGORIE DI GUARNIZIONI PER COCKTAIL Gli agrumi Una regola delle guarnizioni commestibili è quella di riprendere il contenuto del drink. Gli agrumi sono usati spesso poiché oltre al colore accattivante, si possono tagliare in anticipo e tenere in frigo pronti all’uso. Si possono usare come fette (da appoggiare a bicchieri tipo highball), oppure dentro il cocktail, come il Negroni e l’Americano (in quest’ultimo vi è anche la scorza di limone). Gli agrumi più usati sono arance, limoni, lime, mandarini cinesi. Le arance possono essere usate a fette, ma anche per accompagnare miscele di vermouth ed alcol; anche i limoni si possono usare a fette, ma anche come scorza in cocktail aperitivi principalmente (nel Martini Dry vengono addirittura spremute alcune gocce di olio essenziale di limone). Il lime è molto piccolo, quindi può essere utilizzato come fette intera, oppure tagliato a cubetti per cocktail tipo il Caipirinha. I mandarini cinesi (o kumquat) sono piccoli agrumi che si mangiano con tutta la buccia: sono adatti a guarnire cocktail che contengono bitter. La frutta Albicocche, frutti di bosco, mela, banane, pesche, alchechengi sono solo alcuni tipi di frutta che possono essere usati come guarnizioni. Sotto forma di spiedino (nei long drink) oppure a piccole fette, poggiate sul bordo, tutto questo sta alla vostra fantasia. Tenete presente che la frutta a polpa bianca tende ad ossidarsi velocemente (cambia colore a contatto con l’aria, diventando scura): per cui abbiate l’accortezza di immergerla in succo di limone. Alcuni tipi di frutta, come le ciliegie al maraschino, possono essere usate sia all’interno di drink tendenti al dolce (Martini Sweet, Rose) sia appoggiati al bordo di tumbler o coppette a cocktail. La glassa I cocktail che presentano sul bordo del sale o dello zucchero vengono genericamente definiti crusta. Sono decorazioni molto semplici da realizzare: basta un piattino (o apposito strumento chiamato glass rimmel), del liquido (che può essere del succo di limone, dello sciroppo colorato), dello zucchero o sale e naturalmente un bic160
MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
chiere. Si bagna il bicchiere nel succo o sciroppo, lo si appoggia nel piattino con lo zucchero (o sale) ed è pronto. Si possono anche utilizzare le dita per passare la fetta di limone sul bordo del bicchiere: successivamente lo si appoggia nel piattino con il sale (o nel glass rimmel). Altri tipi di decorazione Vi sono altri tipi di guarnizioni e decorazioni non necessariamente a base di frutta, ma ugualmente commestibili. Si va dalla polvere di cacao alla spolverata di noce moscata (come nel Porto Flip e Alexander); si possono utilizzare anche verdure come sedano, peperoncini, cipolline, scaglie di cioccolato bianco e scuro, olive verdi e nere, fino ad arrivare a bastoncini di cannella (vedi cocktail Ladyboy). Non tutte le decorazioni e guarnizioni possono adattarsi ad ogni tipo di coktails. Per i pre-dinner si può usare, oltre alla frutta, anche verdura (come ravanelli, cipolline in agrodolce, radici in generale). I cocktail after-dinner si possono anche completare con erbe aromatiche fresche, spezie (cannella, noce moscata, cacao in polvere), oltre alle varie bordature o crustas di cui abbiamo parlato prima. Per i long drink si usa solitamente frutta fresca intagliata e sistemata su appositi spiedini, ma anche scorze di agrumi a forma di spirali. Anche in questo caso è consigliato l’uso delle bordature, avendo sempre l’accortezza di accompagnare il drink con apposite cannucce.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
COSA UTILIZZARE PER LAVORARE Taglieri, pinzette, coltelli a lama seghettata ma anche spelucchini, nonché stecchini di legno, sono le prime cose che ci occorrono per cominciare a lavorare con gli intagli. A questo possiamo aggiungere anche formine da pasticcere, rigalimoni, pelapatate, forbici per rifinire sempre di più le decorazioni. Tutte queste andranno poi posizionate in appositi portadecorazioni, in modo tale da non toccarle con le mani, ma solo con le pinzette. L’unica eccezione è il twist di limone, ma anche questo, volendo, si può maneggiare con due pinze. Spirale di agrume Cosa occorre: un rigalimone, un limone o altro agrume, una pinzetta. Si prende un limone, si parte dall’alto incidendo con i rigalimoni, cercando di accompagnare con il pollice il movimento della mano fino a che non si stacca una striscia di buccia a forma di spirale. Fatto ciò ci si aiuta con le pinzette, adagiando un’estremità di essa dentro il bicchiere, lasciando cadere il resto avendo cura di appoggiare fuori l’estremità opposta, in modo tale che il cliente possa toglierla. Si possono usare vari agrumi di colori diversi: pompelmo, lime, arance e così via. Volendo si possono anche intrecciare per creare effetti cromatici diversi. Il bicchiere adatto per la spirale di agrume è l’highball o tumbler. Ventaglio di mela Cosa occorre: spelucchino, mela, coltello, cannuccia. Creare un ventaglio con una mela è facile. La mela tende ad ossidarsi facilmente per cui una volta creato il ventaglio, il cocktail con questo tipo di guarnizione va subito servito. Si scelga la varietà Granny Smith1: questo tipo di frutta si ossida più lentamente rispetto a mele con polpa gialla. Quella dal colore rosso invece è adatta a creare dei fiori scolpiti. É consigliabile mantenere la mela (o le decorazioni fatte con essa) ad una temperatura bassa per preservarne l’aspetto: le temperature più elevate infatti accelerano l’ossidazione. Si possono usare anche pesche di color arancio oppure a polpa bianca. Alla fine è possibile appoggiare con forza una cannuccia corta sul ventaglio per creare un simpatico effetto. Stelle di carambole Cosa occorre: agrumi vari, carambola, formine. La carambola è il frutto più idoneo per creare facilmente una stella a 5 punte, senza bisogno di usare formine o spelucchini. Con le formine invece, si possono usare anche agrumi diversi come l’arancia, il pompelmo o il lime per creare stelle di diverse misure. 1 - Grammy Smith o Granny Smith è la mela verde originaria dell’Australia. Dal 1891 è stata esportata in tutto il mondo, dopo aver vinto una fiera nazionale.
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MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
Una volta tagliato a fette l’agrume, ci si poggia la formina fino ad ottenere una sagoma stellata. Le stelle, di diverse misure, possono essere passate in uno stecchino da legno per ottenere due stelle unite. La decorazione può essere abbinata con rametti di mirtilli o ribes. Rose e fiori Cosa occorre: carota, patata, pomodoro, spelucchino. Prendendo un pomodoro, tondeggiante e grande, lo si può sbucciare e poi arrotolare la striscia di buccia in maniera da formare il bocciolo di una rosa. Pertanto una volta tolta la buccia, la si può arrotolare, stringere molto al centro e allargare all’estremità, in modo che guardandola dall’alto, rassomigli ad una rosa. Questo tipo di guarnizione può essere usato come decorazione in piatti, oppure infilata in un bastoncino da usare nei long drink. Con la carota e la patata creare una rosa è un po’ più complesso. Questi tipi di decorazioni si usano maggiormente nei buffet. Altri tipi di fiori semplici li possiamo ottenere da grossi acini di uva bianca o nera, da fragole grandi, alle quali si possono aggiungere pistilli di ribes o mirtilli. Per completare possiamo utilizzare delle foglie di ananas. Un altro ortaggio interessante è il ravanello: una volta intagliato in maniera casuale o simmetrica, lo si può lasciare immerso in acqua fredda e questo si aprirà a fiore lungo i tagli praticati. Creare animali con la frutta e verdura Si possono creare decorazioni diverse a forma di animali, utilizzando sia delle formine (per esempio con scorza di zucchina, melone giallo o anguria) oppure degli spelucchini (il classico topolino ottenuto da un ravanello). Se disponete di una buona manualità e fantasia, scorze di agrumi e melone giallo possono essere una buona base di partenza per incidere animaletti di tutti i tipi da sistemare su tumbler abbinati a long drink.
.... altre decorazioni Fiocchi e caramelle Cosa occorre: zucchine, chicchi d’uva, spelucchino, pelapatate. Con il pelapatate tagliare quattro strisce da una zucchina, piegandola poi a fiocco. Chiudere la decorazione tagliando un mezzo chicco d’uva ed inserendolo come un bottone in mezzo al fiocco. 163
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Fiamme Cosa occorre: agrumi o frutta, spelucchino. Le fiamme si possono ottenere utilizzando agrumi, altri frutti o verdure. Con lo spelucchino effettuare un taglio simmetrico a “V” ripetuto 4-5 volte. Montarlo poi leggermente sfalsato di 5 millimetri su un bicchiere. Molto utile come guarnizione di drinks corroboranti come il Bloody Mary. Crustas Cosa occorre: sali, zucchero, cioccolati, sciroppi. Sono decorazioni da cocktail che si fanno con zuccheri colorati, cioccolato, vari tipi di sale ecc… Piccolo particolare: non bisogna superare il 70% della lunghezza del bordo del bicchiere per dar modo al cliente di scegliere di bere il cocktail, con o senza l’influenza della decorazione, sia che si tratti di sale che di zucchero. Per i long drink il problema è facilmente risolvibile, in quanto le due cannucce evitano il contatto delle labbra con il bordo del bicchiere. Negli short drink invece in alcuni Paesi (come Messico e Usa) si deve orlare comunque completamente il bordo del bicchiere. Per creare una crusta di sale, si versa del sale fino dentro un recipiente piuttosto basso, come ad esempio il piattino di una tazza da cappuccino; dopodiché si prende una fettina di limone a metà e la si passa sul bordo del bicchiere in maniera uniforme. Poi passiamo il bordo del calice nel sale roteandolo delicatamente per far aderire il sale in maniera omogenea sulla parte che ci interessa. In commercio si possono trovare vari tipi di sale, da quello bretone (di colore scuro) al sale rosa himalayano, tendente al rosa corallo.
I FIORI IN TAVOLA I fiori vanno manipolati con cura facendo bene attenzione a non prenderli mai vicino alla parte superiore ma circa a metà del gambo, con delicatezza per evitare rotture; appoggiandoli occorre porre attenzione ai fiori aperti il cui sottotesta va appoggiato ad un rialzo. Appena acquistati i fiori dovranno essere liberati dall’involucro che li mantiene uniti e da eventuali fili che li legano, sistemati in un recipiente con abbondante acqua a temperatura ambiente. L’acqua dei vasi dovrà essere sempre sufficientemente abbondante e cambiata alla sera quando i fiori verranno tolti dal tavolo e riposti in un luogo fresco.
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MODULO 3: INTAGLI EDECORAZIONI
Pulizia dei fiori Normalmente sia per esigenze di conservazione che estetiche, tutti gli steli con fogliame, spine, germogli, vanno puliti fino al punto massimo di immersione prima di metterli in acqua o di lavarli. Se alcune foglie dovessero venire a contatto con l’acqua del vaso è opportuno eliminarle perché potrebbero marcire rendendo putrida l’acqua. Il taglio dei fiori Tutti i fiori assorbono acqua attraverso gli steli, la cui struttura varia notevolmente da un tipo all’altro. Gli steli legnosi vanno tagliati a croce usando le cesoie, oppure va praticato con il coltello un taglio molto lungo trasversale per poter mettere maggior midollo a contatto con l’acqua. Altre piante come l’euphorbia ed il papavero al momento del taglio nello stelo emettono una sostanza lattiginosa che impedisce l’assorbimento dell’acqua, bisogna perciò tagliare lo stelo e cauterizzare in acqua bollente. Le gerbere necessitano invece di molta luce e di avere i gambi in 11-15 cm di acqua; le viole e le mimose vanno invece immerse in acqua tiepida. Riassumendo, per una buona conservazione dei fiori è meglio cambiare quotidianamente l’acqua, rinnovare frequentemente il taglio, riporre in luogo ventilato, lontano da fonti di calore e con un buon grado di umidità. Si ponga attenzione a non eccedere asportando in modo indiscriminato le foglie, le quali conferiscono molta eleganza e naturalezza al fiore. Le decorazioni da tavola e le piante Le decorazioni che vengono poste sul tavolo hanno una notevole importanza sia sotto il punto di vista estetico che psicologico. Esteticamente fiori e piante dislocati nel locale e sui tavoli costituiscono un piacevole elemento decorativo che dona all’ambiente un’atmosfera più accogliente e rilassante. Le piante dovranno essere scelte e sistemate in zone ben precise con il consiglio di un esperto che valuterà il tipo di arredamento, l’intensità di luce, la temperatura e l’umidità dell’ambiente, nonché le correnti d’aria e l’eventuale manutenzione delle stesse. Da evitare le piante artificiali anche se di buona fattura, che facilitano il lavoro agli addetti ma, ovviamente, non hanno la stessa immagine. Da evidenziare l’esistenza di piante dal verde stabilizzato, che mantengono dopo un trattamento particolare il loro aspetto naturale, che nonostante l’alto costo possono essere indicate per quei posti, nel locale, dove le normali piante avrebbero difficoltà a vivere. Le decorazioni da tavola possono essere composte da fiori recisi, da piccole composizioni o da piantine fiorite. In linea generale le composizioni dovranno essere abbinate allo stile ed alla categoria del locale, all’arredamento, alle dimensioni del tavolo, alla tipologia del tovagliato ed ovviamente al tipo di pasto che verrà offerto (banchetto di nozze, battesimo, compleanno, pranzo di affari ecc.). Oltre alle regole appena ricordate è importante che i fiori in tavola abbiano dimensioni appropriate (mai più alti di 25-30 cm) così da non limitare la visuale dei commensali, non siano troppo profumati da falsare gli aromi dei cibi e dei vini, abbiano una forma simmetrica abbinata al tavolo (composizione rotonda per un tavolo tondo) e che, laddove vengono utilizzati vasi di cristallo con dei fiori recisi, ne sia sempre controllata la stabilità. F o n ti bibliografiche consul tate. . .
J. P. (Jean Pierre) Legland, O. (Olivier) Dugabelle • Décors et Présentations • Editions BPI, 1987 Luigi Manzo • Intagli e decorazioni per la tavola, buffet e bar • Edizioni Argonautiche, 2011
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Crucibarman • 3 Migliore varietà di mela per le decorazioni (11) Sempre in coppia nei long drink (8) Lo sono il Margarita e Salty Dog (7) La si usa per creare stelle (9) Viene usato a cubetti nel Caipirinha (4) Possono essere semplici e composte (11) Bicchiere adatto per lunghe decorazioni (8)
1 4 5 6 8 9
La si usa per non toccare con mano la frutta (8) La si può grattuggiare e spolverare (11) Lo sono se si tratta di frutta, erbe e verdure (12) Solitamente sono accompagnate con ciliege al maraschino, olive verdi e nere (10) Lo si decora con bastoncini di cannella (7) Tipo di frutta che si spappola facilmente (6)
Verticali
Orizzontali
2 3 5 7 10 11 12
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Quanto ne sai sugli... intagli di frutta e verdura?
1 2 3
4 5 6
7
Il mukimono era a) b) c)
L’arte dell’intaglio di verdura giapponese L’arte dell’intaglio di verdura thailandese Modo di imbandire le tavole
Zucchero sablé è sinonimo di a) b) c)
Bruciato Sabbiato Grezzo
L’ossidazione è dovuta ai a) b)
Radicali liberi Enzimi
c)
Batteri della frutta
a)
Peperoni
Gli isopreni li troviamo b) c)
Fragole Noci
È la più ricca di radicali liberi a) b) c)
Frutta rossa Verdura Frutta nera
Altro nome della vitamina C a) b) c)
Acido citrico Acido ascorbico Acido muriatico
È il codice dell’acido ascorbico a) b) c)
E200 E300 E101 167
8
Classica guarnizione per Martini Dry a) b) c)
Ciliegia Fetta d’arancio Lemon twist
Le guarnizioni nei drink devono essere
9 10 11 12 13 14 15
a) b) c)
Commestibili Di plastica Solo fette di agrumi
Sinonimo di mandarino cinese a) b) c)
Feng shui Orion Kumquat
Le crusta sono a base di a) b) c)
Scorzette di agrumi Sale o zucchero Piccole pietruzze
La carambola dà una forma a)
Pentastellata
c)
Triangolare
b) Circolare Varietà di mela ottima per decorazioni a) b) c)
Rossa Golden Grammy smith
Emette una sostanza lattiginosa a) b) c)
Orchidea Papavero Tulipano
Sono al maraschino nel Manhattan a) b) c)
Olive Ciliegie Aromi
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16 17 18
L’olio essenziale di limone si usa nel a) b) c)
Martini dry Martini Sweet Apple Martini
I germogli di menta fresca li troviamo nel a) b) c)
Julep Martinis Frozen
Il Salty Dog comprende una decorazione a base di... a) b) c)
Zucchero Melassa Sale
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LE NUOVE TENDENZE DEL BAR dal tiki alla sfericazione
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LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE
MODULO 4: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE
Per nostra fortuna il mondo del barman è in continua evoluzione. Non solo il bartenderig in pochi decenni si è affermato, ma ha dato vita anche a discipline quasi sportive: sono nate inoltre nuove figure professionali, conosciuti come mixologist o barchef. I metodi proposti vanno dal riproporre vecchissime ricette di drink con metodologie moderne, fino a utilizzare strumenti in uso tipicamente in cucina (da qui il concetto di liquid kitchen). Sono entrate così nei bar attrezzature come piastra a induzione per la preparazione di sciroppi, puree, riduzioni alcoliche, glasse, fino a centrifughe, vaporizzatori, affumicatori e così via. Riduzioni Per quanto riguarda le riduzioni (utilizzate spesso in cucina), posso essere sia analcoliche sia alcoliche. La riduzione si ottiene scaldando a fuoco lento per qualche minuto il liquido, fino a far evaporare sia la parte alcolica (37°) sia un terzo dell’acqua. In questo modo se vogliamo ottenere 200 ml di riduzione, dobbiamo scaldare 300 ml del liquido di partenza. Se vogliamo ridurre, invece, un prodotto poco zuccherino (per esempio il Campari), bisogna aggiungere del simple syrup in quantità del 30%. Lo zucchero farà da collante e tratterrà i profumi.
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Focus
Per ottenere uno sciroppo semplice, portare ad ebollizione, per 20 minuti, una quantità sufficiente di acqua depurata; mantenere la temperatura a 80-85 °C, successivamente sciogliervi il saccarosio, agitando bene per discioglierlo completamente. Mescolare per omogeneizzare e filtrare subito a caldo su garza, posta in un imbuto in precedenza riscaldato. Mescolare e portare a peso con acqua depurata, in precedenza bollita per 20 minuti. Non bisogna riscaldare eccessivamente: infatti il saccarosio è un disaccaride e può venire idrolizzato. I vaporizzatori per esempio possono essere usati per spruzzare essenze di vermouth sui cocktail aperitivi e così via.
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
SFERIFICAZIONE E COCKTAIL MOLECOLARI Per gastronomia molecolare s’intende la disciplina scientifica che studia le trasformazioni che avvengono negli alimenti durante la loro preparazione: da qui l’obiettivo di trasformare la cucina da una disciplina empirica a una vera e propria scienza. Il termine “gastronomia molecolare” nacque inizialmente come riferimento umoristico alla biologia molecolare. Seppur oggi se ne parli abbastanza diffusamente, tale scienza si sviluppò sul finire degli anni Ottanta principalmente presso l’INRA (Institut National de la Recherche Agronomique), nel Collège De France di Parigi ad opera di Hervé This. In Italia sviluppò questi studi il prof. Davide Cassi, del dipartimento di Fisica dell’Università di Parma. Nel 2003 Cassi, insieme al cuoco Ettore Bocchia, redasse il “Manifesto della Cucina Molecolare Italiana”, con l’obiettivo di preservare i sapori tradizionali italiani. La nascita ufficiale è comunque da stabilirsi intorno al 1990 a seguito del primo Atelier Internazionale di Gastronomia Molecolare tenutosi a Erice in Sicilia. La sua teorizzazione informale è comunque molto antica, andando di pari passo con le ricerche empiriche e non sistematiche degli autori e dei cultori in ambito gastronomico.
COS’È LA CUCINA MOLECOLARE La gastronomia molecolare si occupa dello studio della gastronomia con un approccio eminentemente scientifico e sperimentale, e in particolare della cucina e della manipolazione degli alimenti dal punto di vista chimico e fisico. Gli obiettivi prefissati sono i seguenti: • investigare e studiare i detti, i proverbi e le conoscenze culinarie popolari; • espandere le ricette classiche ed inventarne di nuove; • introdurre nuovi ingredienti, metodi, attrezzi e processi in cucina. I principi propugnati dalla gastronomia molecolare, una volta applicati, hanno portato all’invenzione e sperimentazione di nuove modalità di preparazione, cottura, abbinamento e presentazione dei cibi. Da qui sono venute fuori tecniche come il congelamento tramite l’azoto liquido, l’uso alimentare del tabacco, la “frittura” nello zucchero, l’uso del vuoto spinto per la preparazione di mousse e meringhe, e così via. Inoltre, e soprattutto, hanno portato al miglioramento della comprensione dei fenomeni alla base delle trasformazioni delle pietanze cucinate: questo ha portato sia alla confutazione di alcune “credenze popolari” sulla gastronomia (come l’utilizzo del cucchiaino nella bottiglia di spumante), sia al miglioramento delle tecniche di preparazione, basandosi ad esempio sul pH, sulle reazioni di Maillard, o sulle proprietà fisiche e chimiche degli alimenti. A titolo di esempio, This ha dimostrato scientificamente che la regola (ancora molto diffusa tra chef e gastronomi) secondo cui per preparare un buon brodo bisogna mettere la carne in acqua fredda prima di portarla all’ebollizione, e viceversa, per fare un buon bollito bisogna metterla nell’acqua già bollente, è una bufala. Per dimostrare la sua tesi, ha usato il metodo scientifico: ha preso un pezzo di carne dividendolo in due parti uguali, ha immerso l’uno in acqua fredda e l’altro in acqua bollente. Mentre il brodo cuoceva, a intervalli regolari, Hervès ha pesato i pezzi di carne accorgendosi che nella pentola con l’acqua bollente la carne ha perso subito i suoi liquidi, mentre nell’altra pentola il trancio perdeva i succhi più lentamente, ma a fine cottura i pesi 172
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sono risultati i medesimi e il sapore del brodo identico. Questo è un esempio di ciò che è la cucina molecolare: oggi quando si sente parlare di cucina molecolare, si pensa subito a pozioni strane e additivi chimici come quelli prodotti e distribuiti dal grande chef spagnolo di fama mondiale Ferran Adrià. In realtà la gastronomia molecolare è solo una scienza che studia i fenomeni che si presentano ogni volta che si lavora un alimento, con lo scopo di capire i processi e trovare nuove tecniche di cottura, inedite consistenze e nuove reazioni. Addentriamoci nei particolari, parlando innanzitutto di additivi chimici. Per additivo chimico s’intende qualsiasi sostanza non alimentare aggiunta all’alimento in qualsiasi fase della lavorazione in modo diretto o indiretto destinata a rimanere in esso. Ne abbiamo uno naturale che è il sale. Tuttavia esistono prodotti di sintesi (cioè creati in laboratorio) che non sono genuini per l’uomo e possono essere nocivi, ma sono spesso usati dalle industrie alimentari e sono prodotti per conservare più a lungo gli alimenti. Evoluzione della cucina con la gastronomia Molecolare Con l’uso della scienza in cucina siamo arrivati a scoprire moltissimo, da nuove tecniche di cottura e di lavorazione, sino ad arrivare a veri e propri gusti nuovi come l’umami. Le principali nuove tecniche di cottura introdotte sono: • la cottura sottovuoto; • la cottura nello zucchero; • la cottura nell’azoto liquido; • la cottura in olio a 80° (confit); • la cottura nell’alcol etilico; • l’essicazione. Le principali nuove tecniche di lavorazione sono: • la sferificazione basica; • la sferificazione inversa; • la gelificazione a caldo; • l’aria; • liofilizzazione; • la sospensione della materia; • l’emulsione; • il sottovuoto forzato (sifone); • la marinatura dell’uovo. 173
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Se vi siete visti passare davanti un Negroni anziché liquido, ma spumoso, simile a un gelato, sicuramente vi siete trovati davanti ad una tendenza che sta prendendo sempre più campo: la preparazione di cocktail molecolari. Nate dapprima in cucina, ora queste innovazioni si stanno trasferendo anche nel bar. Ancora sono pochi i testi in italiano che trattano l’argomento (indispensabili quelli di Dario Comini, proposti nella bibliografia finale), molto materiale si trova in lingua inglese. Le tecniche più espressive di queste tendenze prendono il nome di sferificazione, spuma, gelatina e decorazioni spray. Infusione L’infusione è una tecnica dove si mette in un liquido caldo (senza portarlo a ebollizione) una sostanza (frutta, erbe o radici), lasciando riposare per massimo 10 minuti, finché il profumo o l’aroma non si trasmette al liquido. Se la sostanza è acqua, il tempo d’infusione è maggiore, mentre nel caso di uno spirito, occorrerà meno tempo. Naturalmente la tecnica più conosciuta è quella che permette di ottenere tè e tisane, ma nel bar può essere usata per preparare sciroppi speciali e alcuni hot drink, oltre che per gli alcolati. Gli alcolati sono miscele alcoliche con un titolo alcolometrico intorno al 40%, usate come aromatizzanti per numerose ricette di nuova generazione. Per avere un alcolato, si mette in infusione (in un recipiente chiuso con acqua bollente) il prodotto dal quale si vogliono estrarre gli aromi per 12 ore. Poi si filtra, si miscela con il 50% di alcol a 95° e si aggiunge il 10% di sciroppo di zucchero di canna. Gelatine L’impiego di gelatine nei drink può spaziare dalla presentazione del cocktail in forma di gelatina, da consumare al cucchiaio o a cubetti e magari con la decorazione all’interno, al gelatinare un solo ingrediente in fondo al bicchiere e terminare il drink con gli altri ingredienti, fino al solo impiego della gelatina come elemento decorativo, in fogli sottili da stendere sul bicchiere. Questa tecnica la ritroviamo di solito nelle pasticcerie e nelle cucine ed è usata per condensare un prodotto liquido. Si possono utilizzare fogli di colla di pesce e oltre a questa, anche xantana xantana, gallen o altre tipologie, da impiegare a caldo o a freddo. Nel caso si volessero realizzare fogli di gelatina da sovrapporre ai drink a solo scopo decorativo, si può realizzare colla di pesce addizionata con sciroppo, così da colorarla e aromatizzarla. Macerazione La macerazione è molto simile all’infusione, tranne per il fatto che avviene a freddo e pertanto è utilizzata per quelle sostanze che possono essere modificate dal calore. In questo caso l’estrazione avviene in tempi più lunghi, rispetto all’infusione. Come esempio possiamo prendere una bottiglia di un distillato (ad esempio vodka), aggiungiamo una sostanza (radici, frutta o erbe) e lasciamola qualche giorno, agitandola di tanto in tanto. Maggiore sarà il tempo di macerazione, più intenso sarà il gusto assunto dal distillato. Una volta raggiunto il gusto prefissato, filtriamo con un colino per fermare il processo. Si può anche usare la macerazione alcolica a tempi brevi (macerazione istantanea), per i cocktail serviti con ghiaccio. Si procede pestando la sostan-
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za assieme ad una parte alcolica, in modo tale da velocizzare l’estrazione degli aromi. Nel Cosmopolitan anziché usare la vodka aromatizzata al limone, in vendita, possiamo noi stessi aromatizzare una vodka pura con bucce di limone, sfruttando proprio la tecnica della macerazione. Mash Questa tecnica è utilizzata per estrarre profumi, oli essenziali e aromi, grazie all’utilizzo del muddler. Il muddler dispone di una parte piatta e l’altra arrotondata: pertanto in base al tipo di ingrediente, si può pestare o macerare, utilizzandola ora in un modo ora in un altro. La parte arrotondata è utilizzata per le erbe aromatiche e permette di esercitare una pressione più morbida (vedi la menta nel Mojito), mentre la parte piatta è idonea per macerare a freddo radici e ingredienti consistenti, perché è possibile esercitare una pressione più forte. Se non si dispone di un muddler, si può utilizzare il cosiddetto retropiatto del bar spoon: questo strumento è utile quando dobbiamo esercitare una pressione minima ed evitare che la guarnizione si rompa rilasciando troppa essenza. Sferificazione La tecnica di sferificazione consente di bere un liquido rivestito di una pellicola esterna, che lo racchiude. Succede questo perché il liquido stesso reagisce con altri prodotti. Questa tecnica si può utilizzare sia in cucina, sia al bar e per avere il risultato si usano speciali alimenti come alghe marine (agar agar). L’agar-agar (conosciuto anche come agar, più noto ai giapponesi col nome di kanten 寒天) è un polisaccaride usato come gelificante naturale e ricavato da alghe rosse appartenenti a diversi generi (tra i quali Gelidium, Gracilaria, Gelidiella, Pterocladia, Sphaerococcus). Dal punto di vista chimico, si tratta di un polimero costituito principalmente da unità di D-galattosio (è quindi detto poligalattoside). Il galattosio è uno dei due elementi del lattosio, lo zucchero presente anche nel latte; infatti, il lattosio è per definizione un disaccaride formato da una molecola di -glucosio e una di β-galattosio. Per avere una sferificazione con alcolici, la soluzione più funzionale è preparare in anticipo un liquido madre. Questo può essere costituito da acqua minerale naturale (infatti, il cloro e il calcio dell’acqua di acquedotto possono danneggiare l’effetto sferificazione), sciroppo di zucchero e alginato, amalgamati insieme con un frullatore (si usa di solito quello a immersione). Dopo aver preparato il composto, lo si lascia riposare in un contenitore chiuso in frigorifero per almeno 24 ore: in questo modo viene eliminata l’aria incorporata. Un’altra soluzione interessante, se dovete usare subito la miscela preparata, consiste nell’impiegare una macchina sottovuoto a campana: s’inserisce il liquido posto nel contenitore dentro la campana (senza sacchetto) e si aziona la macchina per un breve periodo: così si evita che il liquido fuoriesca. L’operazione va ripetuta almeno due volte. Una volta preparato il liquido madre, si prepara il bagno calcico, ottenuto miscelando calcio biidrato con acqua minerale naturale. ESEMPIO: le sfere di Aperol Le sfere di Aperol sono una preparazione “classica” della sferificazione. Possiamo ottenerle nei seguenti passaggi. • Predisporre Aperol e liquido madre in parti uguali (50% ognuno). • Miscelare manualmente i due composti, con un cucchiaio. • Riempire un cucchiaino da caffè di miscela e immergere nella bacinella del bagno calcico. 175
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
• Dopo qualche secondo, inclinare il cucchiaino affinché la sfera si stacchi e si depositi sul fondo della bacinella. • Attendere 1 minuto e togliere la sfera dalla bacinella con l’ausilio di un colino o cucchiaio forato. • Lasciare a bagno in acqua fino al momento dell’utilizzo. Un consiglio importante è quello di risciacquare sempre le sfere con acqua prima dell’utilizzo, altrimenti saranno di gusto sgradevole. Per sferificazioni con altri alcolici, è sufficiente sostituire l’Aperol con un altro ingrediente. La sferificazione permette anche di classificare le preparazioni in base alla dimensione che si vuole: infatti, si parla di caviale, molecole o ravioli. Il caviale è ottenuto facendo gocciolare la miscela nel bagno calcico, utilizzando una siringa. Per ottenere le molecole si utilizzano cucchiaini da caffè; per i ravioli si usano invece cucchiai più grandi (in commercio si trovano appositi kit completi, magari facilmente reperibili su siti web specializzati). Non solo la dimensione cambia, ma anche la forma: più piccole sono le sfere più sono tondeggianti. Dopo circa 8 ore le sfere avranno una consistenza totalmente gelatinata. Inoltre più tempo restano nel bagno calcico più gelatinate saranno; dopo 5 minuti di bagno saranno completamente solide. Si possono anche modificare: ad esempio, svuotarle parzialmente con una siringa, e riempirle poi con altri liquidi o piccoli frutti come ribes, avendo l’accortezza di rimetterle nel bagno calcico per richiudere il foro. Le sfere possono essere anche congelate. Simile alla sferificazione con alcolici è quella con altri prodotti, tipo caffè o altra bevanda che non sia un succo. La sferificazione di succhi è più complessa, poiché il risultato dipende da molti fattori, tra i quali l’acidità, il grado di dolcezza e la densità. In questo caso la ricetta va adattata al tipo di succo; se si tratta di succo fresco, la ricetta deve considerare le varianti di gusto e la procedura di lavorazione del succo. Un altro ingrediente che può essere usato per la sferificazione, in particolare con i succhi, è il citras, che serve per correggere il pH degli ingredienti nel caso fosse troppo acido (con pH superiore a 4), determinabile con una cartina tornasole reperibile in farmacia. Il Citras è ottenuto soprattutto da agrumi. Si usa abitualmente in alimentazione per evitare che frutta e verdura si anneriscano una volta tagliate. Possiede la proprietà di ridurre l’acidità degli alimenti, pertanto il suo impiego rende possibile la realizzazione di preparazioni sferiche con ingredienti dotati di elevata acidità. Si scioglie facilmente e agisce istantaneamente.
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MODULO 4: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE
Spume Le spume, come le gelatine o gli ingredienti sferificati, fanno parte di una nuova frontiera del bere miscelato e danno la possibilità di servire un drink presentato in forma artistica, amalgamando degli ingredienti trasformati nella forma e distinti al suo interno. Le spume impiegate nel bar sono solitamente a base di succo di frutta o verdura e legante, addizionate con azoto e preparate con il sifone da panna. È fondamentale durante le fasi della preparazione, usare succhi ben filtrati, senza semi e impurità, che potrebbero ostruire il sifone. Si possono ottenere discreti anche con succhi di produzione industriale: in questo caso il risultato è standardizzato per le proprietà costanti di densità e dolcezza. È possibile anche usare succhi freschi: in tal caso bisognerà dosare il legante in base alla densità del succo ottenuto, che può variare a seconda del frutto utilizzato, della sua maturità e della tecnica di preparazione. I leganti utilizzati possono essere colla di pesce o gelatine di origine vegetale (derivate dalla lavorazione delle alghe) da impiegare a freddo. Per la loro leggerezza le spume completano il drink in superficie, restando soffici per alcuni minuti, tempo sufficiente per consumare la bevanda. Swizzling La tecnica dello swizzling risale al Diciottesimo secolo, è nata nei Caraibi ed ha come particolarità quella di utilizzare per miscelare un rametto che termina con un’estremità a cinque punte. Oggi quando si parla di swizzling, si fa riferimento a long drink serviti direttamente bicchieri fantasia (o tumbler), con ghiaccio tritato. Tra i componenti vi è un distillato, un liquore (o liquori), il succo di mezzo limone e qualche goccia di angostura bitter, oltre a zucchero e soda water. Come decorazione si utilizza un germoglio di menta fresca e limone e si serve, appunto, con un bastoncino agitatore (swizzle). In origine l’idea era di servire questo drink con questo bastoncino ricavato da una pianta tropicale di circa 12-15 cm di altezza e con l’estremità a cinque punte, molto adatta a mescolare i cocktail. Molti stirrer moderni sono sinonimi di swizzle. Nel 1920 il naturalista americano Frederick Albion Ober, scriveva che la bevanda diffusa nelle Barbados era la swizzle, “una combinazione di liquori, zucchero, ghiaccio e sbattuto a neve grazie ad un swizzle-stick, ricavato dalla radice di una pianta.” Mentre un tempo si prediligeva il Rum come base per gli swizzler, oggi sono preparati con qualsiasi tipo di distillato. Steam Letteralmente significa vapore: si tratta di una tecnica usata per scaldare e bruciare l’alcol dei prodotti usati e per estrarre con il calore i profumi degli ingredienti aggiunti. Si può procedere nel seguente modo: si riempie un bicchiere con acqua calda per riscaldarlo, eliminando poi l’acqua e lo si appoggia su un tin oppure mixing glass, che contiene altra acqua bollente, in maniera tale che emani vapore e lo mantenga caldo. Viene aggiunta successivamente la base alcolica, seguita eventualmente da zucchero e si incendia il tutto per far bruciare l’alcol. A questo punto si aggiungono a mano a mano tutti gli altri ingredienti (bacche, frutta, agrumi, spezie e così via), finché non si spegne la fiamma e si versa il tutto in un bicchiere freddo, anche filtrando. Tiki I tiki cocktail sono delle miscele esotiche servite solitamente in bicchieri dalle forme più strane. Il termine tiki sta a indicare i grandi intagli di pietra e legno spesso ritraenti forme umanoidi (come ad esempio i moai nell’isola di Rapa Nui). Secondo le leggende polinesiane in ogni tiki si trova uno spirito e spesso servono a delimitare i confini di luoghi sacri o comunque significativi. Precursore e importatore di questa tendenza fu Raymond Ernest Beaumont Gantt (in arte Don The Beachcom177
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
ber), nato nel sud della California ai primi del Novecento. Nella sua vita fece un po’ di tutto, dal parcheggiatore al consulente tecnico per alcune scenografie cinematografiche girate nel Pacifico Meridionale. Innamoratosi della vita da spiaggia e rientrato a Los Angeles, decise di aprire un bar di fronte all’oceano, appena fuori da Hollywood Boulevard, scegliendo per l’occasione un arredamento molto particolare: vecchie reti da pesca, pezzi di imbarcazione, oggetti riportati dalle varie isole polinesiane, tra cui molti tiki sotto forma di statue e di bicchieri da long drink e shot. Battezzò il locale con il nome di Don The Beachcomber (letteralmente vagabondo, girovago), proprio come gli oggetti di arredo che aveva trovato e portato nel locale. Protagonista assoluto tra i distillati, fu il rum, nelle sue tipologie e per l’occasione elaborò un menu esotico di bevande a base di questo. Una delle prime bevande proposte fu Kula Sumatra, tanto buona che conquistò il palato di un noto giornalista dell’epoca; una volta finito sui giornali, arrivò il successo tanto che nel suo locale venne anche Charlie Chaplin. La catena dei tiki bar Negli anni seguenti, Don aprì ben 16 locali con lo stesso nome “Don The Beachcomber”. Finita la Seconda Guerra Mondiale, partì per le Hawaii, dove aprì un altro locale nello stesso stile in una delle zone più lussuose, la spiaggia di Waikiki, diventando un punto di riferimento e un’attrazione del posto. Gli piacque talmente tanto, che rimase ad Honolulu fino alla sua morte nel 1989 all’età di 81 anni. Su di lui fu pubblicato un necrologio sul New York Time, dove lo dipinsero come il Thomas Edison dei “bar dal tetto di paglia”. Grazie a lui si ebbe l’evoluzione del Tiki Bar e dei Tiki Cocktail. L’esempio fu seguito: se per Don Beach il tiki bar era una passione, per Trader Vick fu un vero e proprio business: Victor Jules Bergeron, prendendo spunto da Don iniziò ad aprire catene di TIKI Bar.
Feng shui Martini Quando si parla di Feng shui, si intende un’arte cinese antica di oltre 3000 anni, la quale insegna come armonizzare lo spazio e le energie in cui viviamo, nonché a “dialogare” con l’ambiente ed a trarre energie benefiche dalle “auree” degli elementi che ci circondano e con cui interagiamo. Letteralmente Feng shui significa “acqua e vento”, dove l’acqua simboleggia la quiete, mentre il vento, il movimento. Due opposti che richiamano alla mente lo ying e lo yang, il bianco e nero: due opposti che si attraggono e rendono armonico l’universo. La filosofia Feng Shui venne ripresa in diversi locali newyorkesi, dove ai Martini furono aggiunti petali di fiori ed essenze naturali. Ma non solo i Martinis furono protagonisti di questa moda: toccò ai frozen Daiquiri aromatizzati con rose e violette, sino ad arrivare ai cocktail di frutta energizzanti. Oltre agli ingredienti, nei Feng shui prendono posto anche i “contenitori”: sono usati all’occorrenza noci di cocco svuotate oppure ciotole di terracotta; gli stessi bicchieri 178
MODULO 4: LE NUOVE TENDENZE BAR: DAL TIKI ALLA SFERIFICAZIONE
che li contengono sono cristalli (yang) raffiguranti delfini (ying), tipico simbolo che rappresenta la capacità di sintesi tra le due forze: il delfino vive in acqua, ma si nutre di aria. Simbolicamente un animale che pur stando a contatto nel mondo con le sue passioni (l’acqua), riesce a nutrirsi di pensieri (aria), quindi un essere evoluto. Non a caso lo ritroviamo anche nel Cristianesimo nascente associato al Cristo. Gli “stone” (letteralmente pietre) sono cocktail che si rifanno alla dottrina Feng Shui, fondendosi con la cristalloterapia. La cristalloterapia è l’arte di curare con le pietre e i cristalli: fin dai tempi più antichi si conoscevano le loro proprietà, dalle grandi civiltà dell’Egitto, fino a quelle sudamericane, le pietre sono state usate per fini terapeutici. L’utilizzo delle pietre all’interno dei drink risale agli anni Cinquanta in America, ove erano vendute confezioni di “pietre da Martini”, cioè piccole pietre che venivano poste in un contenitore colmo di vermouth; una volta aromatizzate erano utilizzate per preparare il Martini cocktail. Difatti proprio grazie alla mancanza di permeabilità, restavano bagnate della giusta quantità di vermouth secco che occorreva per la ricetta. In poco tempo questa moda si diffuse nelle case degli americani poiché permettevano anche ad una persona digiuna di qualsiasi tecnica di miscelazione di preparare un “Martini cocktail perfetto”: non occorreva altro che versare gin oppure vodka in un bicchiere che conteneva una di queste pietruzze. In Italia la moda è stata riportata da Dario Comini, patron del Notthingam Forrest di Milano. La sua idea è stata quella di utilizzare questa tecnica di miscelazione che riguadagna anche i principi olistici del Feng shui per adattarli a ricette di cocktail di nuova generazione. Prima di tutto egli ha ricercato un particolare tipo di pietra “il ciottolo di fiume”, perché questa è ricca di energie ed è naturalmente bella e lucida: infatti il continuo roteare nell’acqua la rende priva di qualsiasi spigolo e naturalmente lucidata (al tempo dei Romani questa tecnica veniva utilizzata per lucidare materiali durissimi, ponendoli in cascate artificiali il continuo moto tra i corpi immersi li lucidava naturalmente e senza fatica). Il colore della pietra prediletto da Comini è il nero poiché è un non colore e può interagire in trasparenza anche con i cocktail più scuri mentre le pietre di colore bianco o grigio vengono confuse con i cubetti di ghiaccio. Dopo averle ben lavate le pietre vengono immerse in contenitori contenenti alcol ed aromi naturali, come la pesca, la fragola, la banana, la menta ecc. da cui vengono naturalmente aromatizzate e che trasferiranno poi al cocktail in cui verranno impiegate. Le pietre devono essere lasciate immerse fino al momento del loro utilizzo. Una delle ricette più richieste al Nottingham forest è il “Garden zen” cocktail composto di Rum Pampero, cranberry Mariani e liquore Midori. Il cocktail viene preparato in una larga coppa di cristallo colma di ghiaccio spezzettato, su cui sono adagiati due ciottoli di fiume aromatizzati alla pesca; sopra si versa il Pampero e il succo di cramberry, mentre sul fondo trova spazio un poco di liquore Midori. Alla fine in superficie è deposta, con l’ausilio di una bacchetta di avorio, una spruzzata di polvere d’oro puro e petali di rosa fresca.
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Note
Fo nt i biblio grafiche consul tate. . . Aa. V.v. • Tecniche di sala, bar e sommellerie • Edizioni Plan Bar Giornale • Settembre 2012 Dario Comini • Mix & drink. Come preparare cocktail con le tecniche del barchef • 2011 • Kowalski Editore
Crucibarman • 4
Tecnica solitamente usata per preparare tisane (9) Possono essere alcoliche ed analcoliche (9) Miscele esotiche serviti in bicchieri dalle forme più strane (13) È considerato un gusto nuovo (5) Tecnica per estrarre profumi con il muddler (4) Precursore dei cocktail tiki (17) Possono essere usati per spruzzare essenze (13) Letteralmente significa vapore (5) Consente di bere un liquido rivestito di pellicola (14) Sinonimo di sciroppo di zucchero (in inglese) (11)
2 3 4 6 8 9 12 14
Tecnica nata nei Caraibi (9) Uno dei padri della gastronomia molecolare (9) Letteralmente tradotto come “acque e vento” (8) Maggiore autore dei cocktail molecolari in Italia (11) Usata per le gelatine (12) Professore italiano che redisse il Manifesto della cucina molecolare (11) Molto simile all’infusione (11) Nuova figura di barman che coniuga anche la cucina (7)
Verticali
Orizzontali
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Quanto ne sai sulle... nuove tendenze bar?
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7
Le riduzioni possono essere a) b) c)
Solo di succhi di frutta Alcoliche ed analcoliche Solo alcoliche
Uno dei padri della gastronomia molecolare a)
b)
Auguste Escoffier Gualtiero Marchesi
c) Herve This La Xantana permette di a)
Sferificare
c)
Sciroppare
b) Gelatinare La Macerazione avviene a a) b) c)
Caldo 27° Freddo
Per la tecnica Mash si utilizza a) b) c)
Un vaporizzatore Un muddler Uno shaker
La sferificazione è possibile con a) b) c)
Colla di pesce Agar agar Spumante italiano
Il citras si ottiene da a) b) c)
Pesce Verdure Agrumi 183
8
La tecnica dello swizzling risale a) b) c)
Agli anni Venti Anni Trenta Diciottesimo secolo
Era il distillato preferito per gli swizzler
9 10 11 12 13 14 15
a)
Vodka
c)
Gin
b) Rum Precursore della tendenza Tiki a) b) c)
Dario Comini Ferran Adrià Raymond Gantt
Fu una delle prime bevande Tiki in assoluto a) Mai Tai b)
Swizzle Sour
c) Kula Sumatra Si utilizzano pietre di fiume a) b) c)
Bio drinks Relaxation drink Feng shui Martini
Si vantava di poter sostituire il dentifricio a) Amaro Cora b) c)
Bairo Arquebuse
Il bicchiere per i Tiki ricorda a) b) c)
Noce di cocco Moai Castelli di pietra
Per estrarre i profumi di alcuni ingredienti si usa a) b) c)
Tecnica Steam Sferificazione Tecnica Mash 184
16 17 18 19 20
Con la tecnica Steam si usa solitamente a) Il fuoco b) c)
Il ghiaccio secco L’azoto liquido
Il fiammifero può essere utilizzato per accendere la fiamma? a) b) c)
Sì, solo se esperti Sì, è sempre preferibile all’accendino No, assolutamente
Il germoglio di menta fresca è previsto di solito a)
Cocktail swizzle
c)
Cocktail julep
b) Cocktail tiki Cuoco che ideò, con il prof. Cassi, il Manifesto della Cucina Molecolare a)
Gualtiero Marchesi
c)
Pellegrino Artusi
b) Ettore Bocchia La nascita della Gastronomia molecolare è da datarsi a) b) c)
1987 1990 2003
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modulo 5 BAR MARKETING
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MODULO 5: BAR MARKETING
COME PROPORRE E VENDERE NEL PROPRIO LOCALE Seppur nel linguaggio comune la parola marketing stia per consigliare e vendere un prodotto, nella gestione del locale significa anche programmare eventi, diffonderli, curare la clientela e tante altre cose che rivestono un’importanza fondamentale per il successo. Definizione di marketing Il termine inglese marketing (spesso abbreviato in mktg), è un ramo dell’economia che si occupa dello studio descrittivo del mercato e dell’analisi dell’interazione del mercato e degli utilizzatori con l’impresa. Il termine deriva dall’inglese market, cioè mercato, parola a cui viene aggiunta la desinenza del gerundio per indicare la partecipazione attiva, cioè l’azione sul mercato stesso da parte delle imprese. Marketing significa letteralmente “piazzare sul mercato” e comprende quindi tutte le azioni aziendali riferibili al mercato destinate al piazzamento di prodotti, considerando come finalità il maggiore profitto e come causalità la possibilità di avere prodotti capaci di realizzare tale operazione finanziaria. Il marketing applicato per un locale ristorativo Partiamo dall’acquisto di materie prime: è scontato che siano di buona qualità, dagli sciroppi ai distillati. La buona qualità garantisce un servizio valido e non fa correre rischi di perdere i clienti. L’esempio classico è quello di un cappuccino: non basta il latte fresco intero, ma occorre conoscere anche la tecnica giusta per montare correttamente la crema di latte.
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Quando si parla di qualità del prodotto, a ciò deve essere affiancato anche la qualità del servizio: risulta pertanto inutile servire un ottimo spumante in un bicchiere usurato dal tempo, ancora peggio da personale insoddisfatto. Il controllo anche di questi semplici dettagli, non spetta solo al titolare del locale, ma anche al resto dell’azienda. Non è soltanto il titolare a dover essere consapevole dell’importanza del suo lavoro, ma anche il dipendente deve avere ben chiaro il valore della sua competenza tecnica, che si manifesta nella buona riuscita di un drink e nel suo servizio impeccabile, nonché la sua competenza relazionale, che si evidenzia, per esempio, attraverso la cordialità e la buona conversazione. Possiamo applicare questo principio alla soddisfazione di un cliente abituale: se un Negroni viene proposto a 6 euro, considerato che quel cliente ne consumi almeno 3 a settimana, per 48 settimane (togliendo le 4 settimane di ferie), solo quel cliente ci avrà fatto incassare ben 864 euro. Se la cifra vi pare irrisoria, tenete presente che quel cliente, una volta uscito dal vostro locale, può parlare bene dei vostri prodotti, del personale, ai suoi conoscenti ed amici, per non parlare della diffusione capillare attraverso strumenti come Facebook, Twitter e Tripadvisor (per i clienti più “evoluti” tecnologicamente). Il marketing nasce dalle esigenze del locale di dare un impulso alle vendite, pertanto è considerato essenzialmente promozione del locale volta a soddisfare il mercato.
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Per avere chiari questi concetti, poniamoci alcune domande: A chi vendere? A che tipologia di clienti sarà orientata l’offerta? Quale segmento della domanda si cercherà di soddisfare?
Per rispondere a questo quesito, dobbiamo avere ben chiaro la funzionalità del nostro bar, dove è situato, che tipo di clientela e così via. Un bar posizionato all’interno di una stazione ferroviaria, ha clienti diversi da un bar del centro storico.
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Che cosa vendere? Si deve puntare di più su un happy hour o sulle piccole colazioni?
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Ossia quali saranno i prodotti che saranno offerti ai clienti. Anche questo può dipendere dal tipo di locale che andremo ad aprire. Dove vendere?
Ossia la scelta dell’ubicazione del punto di vendita, cioè dove posizionare geograficamente il locale (per esempio in una zona di passaggio piuttosto che in un punto nascosto, ma ricercato e tranquillo). I costi in questo caso saranno diversi (affitto, personale, e così via). Inoltre vanno considerati vari fattori, fondamentali, come ad esempio: c’è un parcheggio accanto al bar?
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Come vendere?
Che ha a che fare con tutte le politiche legate alla vendita della comunicazione esterna 188
MODULO 5: BAR MARKETING
come la pubblicità, alle azioni interne di merchandising volte a posizionare i prodotti all’interno del locale in punti strategici che stimolino il cliente a un acquisto d’impulso, alle modalità di predisposizione della lista o del menu, che sono un mezzo classico ma sempre efficace per proporre e vendere i prodotti. La pubblicità agli inizi è fondamentale, così anche il passaparola. Inventarsi poi delle serate ad hoc o promozionali, sarà indispensabile per farci conoscere, così come è diventato necessario disporre di una pagina Facebook sempre aggiornata. Sull’analisi del mercato occorre tenere presente che esso è costituito: • dai clienti, che rappresentano uno dei motivi per i quali si sceglie la professione del barman; • dall’azienda, cioè l’insieme di elementi orientati al servizio del cliente; • dai concorrenti, che costituiscono il maggior stimolo a migliorare l’efficienza del servizio e la qualità del prodotto.
LA REGOLA DELLE 4 P & IL MARKETING MIX
1 PRODUCT 2 PRICE 3 PLACE 4 PROMOTION
Solitamente l’azienda si muove con una serie di leve di marketing, in genere chiamate le 4 P:
Prodotto, prezzo, posizionamento e pubblicità. L’origine delle 4 P risale agli anni Sessanta e rappresentano delle variabili controllabili sulle quali l’azienda può agire per ottenere dal mercato le risposte desiderate. Nel tempo, alle 4 variabili se ne sono aggiunte altre tre, tra cui People (ovvero il personale e la clientela), la gestione del processo di erogazione, Process management (vale a dire le procedure in senso stretto, con l’apporto del personale e dei clienti) e il supporto fisico, Physical Evidence (dove si intende la struttura, l’arredo, il layout e l’illuminazione). Le strategie di marketing devono tenere in considerazione tutti questi elementi. Per un’elaborazione efficace i dati acquisti dell’azienda (per esempio, i dati storici) e dal mercato (per esempio, il posizionamento, la situazione della concorrenza). A questa fase di raccolta e analisi dei dati, segue successivamente una valutazione delle opportunità che offre il mercato e delle sollecitazioni che da esso provengono, le quali possono essere utilizzate come possibilità di sviluppo dell’attuale locale oppure come stimolo alla costruzione di uno nuovo. Fondamentale è la presa di coscienza dei punti 189
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
di forza e di debolezza dell’azienda. Per esempio, un locale con parcheggio e aria condizionata sarà probabilmente, a pari condizioni, preferito a un altro che non è fornito di questi comfort. Così anche vi deve essere un attento studio dei prodotti (per esempio, scegliere di vendere birre piuttosto che gelati), in relazione anche alle diverse proposte effettuate dalla concorrenza. Una volta valutate le alternative e i possibili obiettivi, seguirà una pianificazione strategica che dovrà decidere come utilizzare gli strumenti di marketing per raggiungere gli obiettivi prefissati, poichè in funzione delle modalità di utilizzo degli strumenti si avrà un determinato risultato. Messe in campo queste strategie, seguirà la monitorazione costante dell’andamento dell’attività, per comprendere se ci sono stati degli accostamenti rispetto ai vari obiettivi, in modo da prendere provvedimenti per ripristinare la strategia. Dal punto di vista economico, alcuni degli obiettivi del marketing mix possono essere così riassunti: • creare barriere all’entrata di nuovi concorrenti, in quanto se le leve del marketing vengono applicate correttamente, è chiaramente più difficile per una nuova azienda inserirsi in un mercato governato in modo stabile da un’azienda leader; • incrementare le vendite e, nello stesso tempo, migliorare gli utili; • evitare variazioni troppo brusche della domanda dei prodotti a servizi offerti al bar, anche qualora essi fossero proposti a prezzi più alti, garantendo alla produzione una certa continuità; • fidelizzare il consumatore, cioè renderlo “fedele” al proprio locale. Per esempio proponendo delle tessere (ogni 10 cappuccini, l’undicesimo è omaggio, e così via). Oppure in un determinato periodo dell’anno, per 20 giorni, tutte le pizze da asporto, a 5 euro. People, il fattore umano Una dei fattori più importanti è il fattore umano che comprende sia la clientela (una clientela soddisfatta è un ottimo veicolo pubblicitario), sia il personale di servizio. In un ristorante potrete avere uno chef bravissimo, ma è il cameriere che vende e parla con i clienti. Così anche in un bar, il barman potrà essere un professionista, ma è il cameriere al bar che propone i vostri cocktail. Il personale deve essere in grado di erogare un servizio che incontri le esigenze del consumatore, dando soddisfazione ai suoi bisogni; deve agire con equilibrio e tatto nei contatti con la clientela, facendo rispettare le regole della casa a tutti gli ospiti ed evitando di creare gruppi dominanti tra i clienti, evitando anche di generare solidarietà con la clientela a svantaggio dell’azienda. Il management, o il gestore del locale, deve attuare alcune strategie per incentivare il personale e motivarlo, mediante riconoscimenti, incentivi, deleghe, attenzione, apprezzamenti, comunicazione efficaci. Negli Stati Uniti i camerieri e i barman guadagnano molto dalle mance (dall’8% al 100% del conto totale): ed infatti la cura e il servizio sono professionali e rendono anche economicamente degli extra. Così anche la formazione dovrebbe essere continua. Essa si sviluppa su due livelli. • Il primo è la classica formazione rivolta alla conoscenza della professione, allo studio teorico-pratico delle tecniche di preparazione e di servizio dei prodotti ti190
MODULO 5: BAR MARKETING
pici della professione di barman. Si occupano di questa formazione associazioni di categoria (come la nostra AIBM) ed enti specializzati. A questa segue un livello interno all’azienda ed è relativo alla conoscenza dei dati dell’impresa, orientati alla motivazione e al coinvolgimento di tutto il personale verso determinati obiettivi. Per esempio, se il titolare del locale decide di fare delle offerte promozionali, oppure di lanciare un nuovo prodotto, è opportuno che tutto il personale lo sappia, portando a termine l’obiettivo. Un buon sistema per fare formazione a questo livello è la creazione di incontri a cadenza periodica all’interno dell’azienda. Operando in questo modo, il personale si sente più partecipe dell’attività dell’azienda. • Lo step successivo verte invece sull’aggiornamento professionale. Questo aggiornamento potrebbe anche avere costi irrisori per l’azienda, aderendo ai Fondi Professionali. I dettagli li trovate in un articolo su www.aibmproject.it sezione E-book e libri. I clienti Un pubblico esercizio di qualsiasi tipo deve essere orientato, cioè avere come obiettivo la soddisfazione dei bisogni del cliente. Ciò significa non solo soddisfare desideri e bisogni, ma anche ascoltare reclami e lamentele. In linea di massima, i clienti sono suddivisi in due grandi categorie: i nuovi clienti e i clienti abituali. Spesso ci si concentra solo sui secondi, o viceversa ci si preoccupa di conquistare nuova clientela. Risulta evidente che è faticoso acquisire nuovi clienti, ma un buon livello di attenzione deve essere sempre mantenuto anche nei confronti dei clienti abituali. Per quanto riguarda il comportamento dei consumatori, le ricerche di mercato indicano che un giovane sceglie una bevanda alcolica piuttosto che un’altra non solo perché risponde di più ai suoi gusti o alle sue preferenze, ma perché, in quel particolare momento e in quella situazione specifica, la bevanda suscita immagini particolarmente piacevoli e sensazioni emozionanti. Per tale motivo ogni locale dovrebbe adattare le proprie proposte al tipo di clientela che lo frequenta. Le preferenza dei clienti dei bar in termini di bevande sono al centro di numerose ricerche. Per quanto riguarda le bevande alcoliche, l’elemento fondamentale e istintivo che esse richiamano è il fuoco, una sostanza che scalda e libera gli istinti più profondi. Altre ricerche indicano che coloro che bevono birra, da un punto di vista simbolico e psicologico, non hanno ancora fatto una scelta chiara. Infatti, la birra potrebbe avere un’azione euforizzante, data dal suo contenuto alcolico modesto, che è però neutralizzata dal luppolo, che ha proprietà calmante. Altri studi hanno riscontrato che l’abitudine di integrare bevande superalcoliche con bibite, succhi di frutta e altri componenti non alcoliche sembra derivare dalla paura, presente soprattutto nei giovani, di incontrare quella parte di sé che attira e spaventa allo stesso tempo. Vi è infine da considerare il diffuso rifiuto, sempre da parte dei giovani, di assumere bevande alcoliche amare, che sembrerebbero richiamare esperienze di penitenza o comunque spiacevoli, riti da espiare che poco hanno a che fare con il desiderio giovanile di godere della propria esistenza. All’opposto invece i liquori dolci ricordano l’infanzia e tutto l’aspetto piacevole e spensierato. Pensare quindi al cliente attuale in termini di marketing significa visualizzarlo in differenti segmenti e non più, come si è fatto per lungo tempo, catalogarlo per età, sesso o reddito, in quanto questi elementi non sono più validi indicatori del comportamento d’acquisto. La giusta segmentazione è praticata sulla base di variabili segnalatrici del comportamento umano, quali, per esempio, lo stile di vita e i bisogni materiali. 191
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Ciò spinge alcuni clienti ad acquistare una marca di Whisky piuttosto di un’altra, oppure, semplicemente, alla ragione per la quale in inverno si beve cioccolata calda e in estate si mangia il gelato. Nel settore del bar non c’è bisogno di fare grandi ricerche di mercato per comprendere quali sono i bisogni della domanda, è sufficiente ricordarsi del solito drink, dare delle informazioni utili, ascoltare il cliente quando vuole parlare o, viceversa, lasciarlo in pace quando desidera non essere disturbato. Soddisfacendo la clientela già acquisita si crea un circolo di comunicazione che porterà un nuovo flusso di clienti, tale da migliorare i profitti dell’azienda. I clienti possono essere distinti, secondo le scelte fatte al bar, sulla base delle quali si definiscono nettamente quattro stili: • gli equlibrati, che seguono uno stile salutista e bevono, solitamente, succhi di frutta, bibite non gasate, oppure cocktail alla frutta privi di alcol; • gli attenti, che bevono di solito, drink o liquori a bassa gradazione, birre leggere contro quelle messicane e preferiscono cocktail leggermente alcolici a loro scelta; generalmente anche se si fanno consigliare, stanno attenti a non esagerare; • i moderati, che prediligono la qualità e sono generalmente di buona cultura e status sociale; in questa categoria si riscontra il consumo di birre a media gradazione e di drink miscelati con distillati e bibite, nonchè una predilezione per cocktail classici con gradazione alcolica media; • gli esagerati, che prediligono pochi drink ma forti, oppure tendono a essere dei moderati “mascherati” (si diversificano, cioè sotto l’aspetto quantitativo del drink, esagerando con prodotti di media gradazione; in questa categoria, nella scelta, la quantità prevale, spesso sulla qualità). In relazione alla localizzazione e al tipo di locale, i clienti possono essere distinti in: • clienti habitué, cioè coloro che frequentano abitualmente lo stesso locale; • residenti, cioè i clienti che usufruiscono del servizio di un bar ubicato nella stessa area abitativa di residenza; • clienti di passaggio o transito, cioè clienti che usufruiscono dei bar localizzati in zone di transito per motivi legati al lavoro, allo svago e così via.
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MODULO 5: BAR MARKETING
LE NUOVE FORME DI COMUNICAZIONE Oggi, con l’utilizzo delle nuove tecnologie, promuovere il proprio locale si può dire che sia quasi alla portata di tutti. Ma bisogna fare attenzione. Prendiamo un classico esempio: Facebook. Molti aprono il profilo del proprio locale, aggiungono foto, postano eventi, poi dopo un po’ si fermano, perché chi gestisce il profilo su Facebook non comprende appieno che vi è bisogno di un costante aggiornamento. Non basta quindi postare una decina di foto e scrivere qualche post ogni 20 giorni. Intanto si potrebbero proporre degli eventi (per esempio, “degustazione della birra artigianale”), invitando gli “amici” e i conoscenti. Due eventi al mese per iniziare potrebbero andare bene. Ma la portata dell’evento deve comunque tenere conto di quanti amici abbiamo. Un profilo con 150 amici ha una portata piuttosto limitata. Però se nel nostro profilo periodicamente presentiamo un articolo su una particolare birra (per esempio), oppure ogni volta che facciamo un evento, poi postiamo le foto, taggando le persone, ecco che si crea interesse. Insomma bisogna dedicarci del tempo. Stessa cosa vale per il sito web. Una volta era tutto un fiorire di siti web dagli “effetti speciali” grazie a tecnologie tipo flash. Ma avevano la stessa grazia di un bel biglietto da visita: sono i contenuti che contano, non l’aspetto. Proporre il cocktail Vesper, ed aggiungere anche la storia del drink (il cocktail è stato ideato da Ian Fleming, per il suo James Bond, il quale in Casinò Royale lo dedicherà a Vesper Lynd, la spia di cui era innamorato), sicuramente susciterà curiosità. Un profilo twitter già è meno comunicativo se confrontato ai primi due strumenti (Facebook e sito web). E così via. Naturalmente se vi inserirete con un profilo su FB, aspettatevi anche qualche critica: essendo una pubblica piazza (virtuale) tutti si sentono in dovere di aggiungere una parolina.
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LA DRINK LIST Creare una propria lista dei cocktail non è facile, bisogna tenere in mente diverse variabili, di cui il prezzo è solo l’ultimo fattore (anche se non meno importante degli altri). Innanzitutto... • Qual è l’impostazione del vostro locale? • È un locale giovane, alla moda? • Il bar si trova invece in un centro storico? Queste sono alcune variabili da tenere a mente anche nella semplice scelta del materiale dove poi presentare la lista dei drink (e di tutte le bevande che si possono consumare). La carta deve essere possibilmente chiara (da colori tenui fino a texture ricercate), i nomi dei cocktail in evidenza, possibilmente anche con gli ingredienti dichiarati. Per esempio: a
1 IPOTESI MARTINI DRY... € 6,00 In questo caso c’è solo il nome del cocktail, seguito dal prezzo di vendita a
2 IPOTESI MARTINI DRY (Gin, Vermouth dry, oliva verde o sprizzo di limone)... € 6,00 Nel secondo caso il cocktail appare più completo, dove fanno capolino anche gli ingredienti. 194
MODULO 5: BAR MARKETING
Vi potrebbe essere anche un terzo caso, dove sono evidenziate anche le dosi esatte (6 cl Gin e 1 cl Vermouth dry): in quest’ultima situazione, il cliente che sceglie sarà anche consapevole di che cosa beve. È chiaro che molti abituali consumatori di drink sappiano come è fatto il Martini Dry, ma apprezzeranno comunque il fatto di vedere le ricette dei cocktail evidenziate.
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Oltre ad un elenco semplice di cocktail, la lista però potrebbe presentarsi più articolata, ad esempio divisa in 4 aree: BEFORE DINNER AFTER DINNER ALL DAY COCKTAIL I NOSTRI COCKTAIL
Ecco un esempio didattico su come potrebbe essere impostata una carta (in questo caso con pochi drink)
Before dinner
AMERICANO Bitter Campari, Vermouth rosso, Soda water, 1/2 Fetta d’arancia
€ 6,00
MARTINI DRY Gin, Vermouth dry, oliva verde
€ 6,00
NEGRONI Bitter Campari, Vermouth rosso, Gin, 1/2 fetta d’arancia
€ 6,00
After dinner ALEXANDER Cognac, Crema di Cacao scura, Crema di latte, Noce moscata
€ 6,00
GRASSHOPPER Crema di Cacao chiara, Crema di menta verde, Crema di latte
€ 6,00
BLACK RUSSIAN Vodka, liquore al caffè
€ 6,00
All day cocktail
PARADISE Gin, Apricot Brandy, Succo d’arancia
€ 6,00
AVIATION Gin, Maraschino, Succo di limone fresco
€ 6,00
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TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE
Nella sezione “I nostri cocktail” potete invece inserire drink di vostra creazione, o in alternativa varianti dei classici cocktail (Mojito Special, Mielito) oppure classici cocktail di tendenza (Angelo Azzurro, Invisibile ecc.) Come potete vedere, pur utilizzando solo pochi drink abbiamo dato diverse informazioni: i cocktail non sono tutti identici, ma possono essere scelti in base al momento della giornata. Come aperitivi, come cocktail “da dessert” o fine pasto (after dinner); da bersi tutta la giornata oppure scelti in base a quelli che il locale consiglia (i “nostri” cocktail).Il prezzo, se avrete notato, è identico per tutti i cocktail. A meno che non ci siano cocktail “deluxe”, con ingredienti premium: allora in quel caso sarà necessario aggiungere una sezione a parte. Ma come si calcola il costo del cocktail da proporre al cliente?
CALCOLARE IL COSTO DEL COCKTAIL Un aspetto molto interessante quando si vuole stilare un menu per il locale, è quello di sapere esattamente quanto ci costa un cocktail e conseguentemente a quanto proporlo alla clientela. Per valutare il costo esatto del drink dobbiamo conoscere: • quantità dei prodotti da usare; • costo della bottiglia; • quantità del prodotto contenuto nelle varie bottiglie; • costo forfettario per la guarnizione del drink. Per applicare la teoria alla pratica, calcoliamo il costo di un Americano.
Americano • 3 cl Vermouth rosso • 3 cl Bitter Campari • Una spruzzata di soda • mezza fetta d’arancia
Si esamina innanzitutto il costo dei singoli prodotti. Ad esempio una bottiglia di Vermouth rosso € 7,30 (prezzo indicativo). La bottiglia è di 750 ml. La dose necessaria è 30 ml (ovvero 3 cl). Per conoscere quanto “spenderemo” per 30 ml di Vermouth rosso, occorre una semplice operazione matematica... 750ml : 30ml = 7,30 : X€ X = 30 x 7,30 € / 750 = € 0,29 Il costo del vermouth rosso impiegato nell’Americano è quindi € 0,29.
196
MODULO 5: BAR MARKETING
QUANTITÀ
PREZZO BOTTIGLIA (da 0,75cl a 1000cl)
COSTO X QT USATA
VERMOUTH ROSSO
3 cl
€ 7,30
€ 0,29
BITTER CAMPARI
3 cl
€ 7,30
€ 0,29
SODA WATER
3 cl
€ 4,00
€ 0,12
X
X
€ 0,05
INGREDIENTI
GUARNIZIONE
TOTALE
€ 0,75
Il coefficiente moltiplicatore Naturalmente non si potrà mai vendere un Americano a € 0,75. Per arrivare a una cifra che comprenda anche le altre voci (personale, affitto, spese gestione ecc.) ci vuole il Coefficiente Moltiplicatore, che può variare da 3 a 10 (altri parlano da 5 a 7, ma è consigliabile avere una forchetta più ampia). Quindi: € 0,75 (drink cost) x 7 (coefficiente medio alto) = € 5,25 Il prezzo poi può essere arrotondato a 6 o a 7 €. Come dicevamo, queste informazioni saranno molto utili nel momento in cui si deve creare un menu poiché permette anche di farsi un’idea precisa dei ricavi che possiamo avere dai cocktail proposti. Su internet sono disponibili alcuni software in grado di calcolare il prezzo del cocktail: ad esempio Cocktail Cost Calculator di Cockeyed (http://www.cockeyed.com/inside/ cocktail/cocktail_calculator.shtml) offre varie opzioni. Per esempio possiamo selezionare con quale Tequila vogliamo creare il drink (Base, Premium, Ultra premium ); selezionare il Cointreau o un altro prodotto come aromatizzante e così via. L’unico inconveniente è che il totale è calcolato in dollari. Negli ultimi tempi anche Aibmproject ha realizzato un’app (scaricabile da Google Store) per Android. L’app Drink Cost, sviluppata con la collaborazione di Roberto Pucci di Paintweb, calcola il prezzo di ognuno dei 77 cocktail IBA, ma permette anche di inserirne degli altri, di modificare i prezzi delle bottiglie (quindi è personalizzabile), oltre che aggiungere nuovi cocktail. Potete scaricarla anche da www.aibmproject.it e www.paintweb.it. Fonti bibliografiche consultate...
Luigi Manzo • Guadagnare con Internet • Jackson libri
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Verticali
Orizzontali
3 5 6 7 9 10 11 12 13 15
1 2 4 8 14
Crucibarman • 5
È anche sinonimo di programmare eventi (9) Frequentano abitualmente lo stesso tipo di locale (7) Clienti che usufruiscono del bar nei paraggi dove abitano (9) Software di invio sms per promozioni (7) Fattore che comprende anche la clientela (5) Tipo di clienti che si adattano a bere drink o liquori a bassa gradazione (7) Abbreviazione di marketing (4) Lo sono quelli dolci che ricordano l’infanzia (7) Prediligono pochi drink ma forti (9) Clienti di buona cultura e status sociale, che prediligono cocktail classici (8)
Comprende arredo, struttura, layout e illuminazione (16) Procedure con l’apporto del personale e dei clienti (17) Lo può essere una pianificazione (10) Lo sono quei clienti che seguno uno stile salutista (11) Solitamente bevande rifiutate dai giovani che richiamano esperienze di penitenza (5)
198
Quanto ne sai sul... bar marketing?
1 2 3
4 5 6
7
Sinonimo di marketing a) b) c)
Market mix Mktg Merchandising
Usufruiscono dei servizi del bar senza spostarsi più di tanto a) b) c)
Residenti Abituali Transitori
La drink list deve comprendere a) b) c)
Informazioni essenziali Informazioni variegate Solo titoli dei cocktail
Il coefficiente moltiplicatore permette di a) b) c)
Calcolare il giusto prezzo per i drink da proporre Tenere i prezzi bassi Calcolare solo il prezzo del drink
La guarnizione di un drink va calcolata in modo a) b) c)
Fisso Forfettario Gratuitamente
Le P del marketing mix sono a) b) c)
2 4 5
Physical evidence comprende a) b) c)
Struttura e arredo Formazione del personale Posizione del parcheggio 199
8
L’origine delle 4 P risale a) b) c)
Anni Sessanta Anni Settanta Anni Novanta
Il fattore People comprende
9 10 11 12 13 14 15
a) b) c)
Personale e clientela Solo clientela Solo clientela occasionale
La pianificazione può essere a) b) c)
Personale preparato Personale e clientela Clientela selezionata
Il fattore umano è dato da a) b) c)
Clientela soddisfatta Arredamento del locale Marketing strategico
La formazione del personale deve essere a)
Iniziale e particolareggiata
c)
In brevi periodi
b) Continua È possibile aggiornare gratuitamente il proprio personale? a) b) c)
Sì, con i fondi professionali Solo in parte no
Negli USA il personale guadagna dalle mance… a) b) c)
Il 10% fisso Tra l’8 e il 100% Il 2%
La monitorazione consente di a) b) c)
Verificare le competenze del personale Verificare l’andamento dell’attività Controllare la clientela 200
16 17 18 19 20
I clienti che prediligono cocktail classici sono nella categoria a) b) c)
Equilibrati Attenti Moderati
Gli equilibrati li ritroviamo tra i clienti a) b) c)
Moderati Salutisti Eccentrici
La quantità prevale sulla qualità tra i clienti a) b) c)
Moderati Screanzati Esagerati
Il guadagno da un cocktail si ottiene con una operazione denominata a) b) c)
Food cost Drink cost Mixing cost
Seguono uno stile salutista a) b) c)
Vegani Equilibrati Esagerati
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modulo 6 ARTE E TERRITORIO
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ARTE E TERRITORIO L’Italia è un Paese straordinario ricco di storia, cultura e divertimento. La più grande industria è quella del turismo: per questo motivo abbiamo raccolto delle lezioni di Enogastronomia dove accanto all’enografia nazionale e alla gastronomia, troviamo l’arte e il territorio. Monumenti, curiosità, luoghi turistici che colui che si occupa di ristorazione e turismo deve conoscere per poi trasmettere.
Buon viaggio!
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modulo 7
PREPARIAMOCI ALL’ESAME DI STATO 204
PREPARIAMOCI ALL’ESAME DI STATO Siamo giunti alla fine dell’anno scolastico e del percorso quinquennale. Per molti rappresenta un traguardo, denso di significati, in realtà è una tappa di crescita come tante altre. In questo modulo daremo dei suggerimenti su come affrontare l’esame e le prove che lo compongono.
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MAPPE CONCETTUALI E MATERIALE DI SUPPORTO
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Note
TECNICHE AVANZATE PER SALA E VENDITA, BAR E SOMMELLERIE libro misto per il settore cucina con approfondimenti sul web
Il testo è in linea con la nuova riforma scolastica e le linee guida essenziali per gli Istituti di Enogastronomia. Nelle pagine riservate agli allievi del percorso di Cucina, si dà spazio a tematiche come la cucina flambé, le tecniche avanzate di Sala e Vendita e Bar, l’enografia italiana ed estera, le nuove tendenze dell’enogastronomia, fino alle tecniche di sferificazione e cucina molecolare. Il volume è supportato da materiale multimediale pubblicato sia su www.ristorazionebar.it, sia su Facebook.
TECNICHE AVANZATE PER SALA VENDITA BAR E SOMMELLERIE Settore cucina IV e V ANNO (Volume Unico)
Euro 15,90
www.bulgarini.it