Teniche di Sala, Bar e Sommellerie

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11-03-2012

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INDICE DEGLI ARGOMENTI

Macro area 2 • La professione del maître d’hôtel Si analizzano le caratteristiche delle figure professionali impegnate nell’attività di sala. Il mestiere del cameriere viene affrontato secondo l’ottica odierna, che richiede una competenza e una deontologia professionale specifica. Le mansioni dell’intera brigata di sala sono presentate in dettaglio e uno specifico capitolo è dedicato alle caratteristiche e alle attrezzature della sala ristorante. Il servizio nelle sue diverse tipologie e le tecniche da utilizzare costituisce la parte centrale di questa sezione, che viene completata da un capitolo in cui si prendono in esame i temi della comunicazione con il cliente, insieme alle fasi del servizio in sala. Macro area 3 • La professione del sommelier e del bartender Due parti specifiche il mondo del vino e il mondo del bar. La professione del sommelier è presentata offendo una panoramica completa sulla viticoltura, le fasi di produzione del vino, la presentazione delle principali tipologie. Il servizio del vino, gli elementi della degustazione, i criteri per un corretto abbinamento cibo-vino completano la trattazione. La professione del barman viene presentata sia attraverso le competenze e gli aspetti tecnici, sia attraverso la descrizione di tutti i prodotti utilizzati nell’esercizio della professione. Un capitolo è dedicato al Flair e alle tecniche utilizzate alla base del cosiddetto barman acrobatico. Macro area 4 • Organizzazione e gestione Questa area si focalizza sull’analisi degli aspetti organizzativi e gestionali, dallo staff management alla selezione delle risorse umane per l’impresa ristorativa. Il capitolo sul menu è affrontato sia in chiave storica sia attraverso le regole che ne permettono un pianificazione ottimale. L’aspetto del controllo dei costi (sia sotto il profilo del food, sia per quanto riguarda il beverage) è analizzato con numerosi esempi, e ampliato sul web con la proposta di fogli di calcolo finalizzati all’esercitazione didattica e all’applicazione.

C TE NI

Tecniche di Sala, Bar e Sommellerie è organizzato in macroaree che affrontano i seguenti temi: la sicurezza alimentare e l’igiene, la professione del maître d’hôtel, la professione del sommelier e del bartender, l’organizzazione e la gestione. Uno specifico capitolo di approfondimento è dedicato alle tecniche del Flair o barman acrobatico. Il testo rispecchia le indicazioni ministeriali e i nuovi orientamenti che al posto del concetto obsoleto di addestramento sviluppano un itinerario di studio finalizzato al conseguimento di competenze professionali. Tecniche di Sala, Bar e Sommellerie si caratterizza nell’approccio didattico in quanto trasmette un concetto fondamentale per la professione: quello del “rigore, essenzialità e semplicità del servizio”. Un testo finalizzato a formare una figura di “cameriere pensante”, di professionista in grado di stabilire una relazione corretta ed efficace con il cliente.

Didatticamente molto utile è fa funzione svolta dall’iconografia, con immagini di grande visibilità e chiarezza. Il metodo di lavoro proposto è unico e innovativo: insegnare attraverso l’esempio, mostrando “come si fa” e spiegando “perché si fa”. Le estensioni web del volume e le video lezioni forniscono suggerimenti tecnici, spunti di studio e di lavoro per integrare in modo non solo teorico il percorso di studio: dalle tecniche di servizio e di trancio al ricettario completo dei cocktails, ai fogli di calcolo per la gestione e il controllo dei food cost. Particolarmente interessante e completa è la parte dedicata alle tecniche del bartending. Un servizio personalizzato di tutorship curato dai Docenti di Alma permette di ottenere aggiornamenti costanti sulle tematiche trattate nel volume. www.edizioniplan.it

Il volume è disponibile anche in versione interamente scaricabile da internet ISBN 978 88 88 719 528 e, sempre in forma mista, in confezione indivisibile con il Dizionario di enogastronomia in cinque lingue ISBN 978 88 88 719 498

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Questo volume, sprovvisto del talloncino qui a lato, è da considerarsi SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 L. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n. 633, art. 2, lett. d). Esente da bolla di accompagnamento (D.P.R. 6-10-1978, N. 627, ART. 4, N.6).

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e attuali conoscenze in ambito professionale, le richieste del mercato del lavoro, le metodologie attraverso cui si ottengono oggi le informazioni stanno richiedendo anche alla scuola grandi cambiamenti. Due sono gli aspetti che connotano questo processo: una maggiore attenzione alla dimensione tecnicoprofessionale e quindi un collegamento più stretto con il mondo del lavoro; il passaggio da un concetto di addestramento ad un concetto di competenze. Solo dall’insieme di una serie di competenze tecniche, culturali, relazionali, organizzative le nuove figure professionali saranno infatti in grado di rapportarsi a contesti operativi dinamici molto diversi dal passato. Ed è anche per questa ragione che proposte didattiche che nascono anche da un contatto diretto e quotidiano con una realtà in continua evoluzione rappresentano una garanzia per costruire un professionalità al passo con i tempi.

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Per i Professionisti di domani

Tecniche di Sala, Bar e Sommellerie

Macro area 1 • Sicurezza e igiene Viene esaminata la normativa sanitaria con le sue modalità di attuazione. Il sistema HACCP, le azioni da compiere per il mantenimento dell’igiene, i rischi microbiologici e i fattori che influenzano la crescita dei microrganismi, le modalità di conservazione degli alimenti con i diversi metodi, fisici e chimici. Questa parte si completa con un capitolo sulla sicurezza sul posto di lavoro. L’obiettivo è quello di fornire un quadro informativo completo che viene ulteriormente integrato dalle estensioni web che corredano il volume.

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Tecniche di Sala, Bar e Sommellerie Libro misto, con videolezioni e integrazioni on line (L. 133/2008). Disponibile anche in versione scaricabile.

I volumi di questa collana sono in sintonia con questo approccio per competenze. Nel volume cartaceo si trovano le basi degli insegnamenti, presentate appunto per competenze; nei materiali disponibili in rete sono disponibili molteplici approfondimenti, dove le sequenze di lavoro descritte nel testo vengono “fatte vedere” anche attraverso video lezioni appositamente preparate nelle aule attrezzate di Alma per rendere più efficace l’apprendimento (come fare un caffè, un cappuccino, come raccogliere una forchetta o come mettere in pratica una tecnica di Flair e via discorrendo): un vero e proprio laboratorio virtuale per integrare il percorso di studio. Il metodo proposto è unico e innovativo: insegnare attraverso l’esempio, mostrando “come si fa” e spiegando “perché si fa”. Questo testo di Sala, Bar e Sommellerie nasce dalla professionalità dei docenti Alma, ciascuno dei quali si è dedicato ai vari ambiti descritti nel libro per portare all’interno di ciascun argomento informazioni scientificamente rigorose e aggiornate. Il volume rispecchia quindi un nuovo modo di fare formazione, che prevede da un lato una forte interdisciplinarità tra le materie e dall’altro un apprendimento basato sulla didattica laboratoriale, per sollecitare nell’allievo lo sviluppo del pensiero critico grazie alle esperienze significative che nascono dalle relazioni che si instaurano durante il lavoro. La GUIDA ON LINE che correda il volume si configura come un elemento di innovazione rispetto ai supporti cartacei che, solitamente, sono abbinati ai manuali scolastici. Si tratta infatti di una vera e propria Guida Personalizzata in cui il docente che ha adottato il corso può avere a disposizione tutti i materiali utili per il lavoro quotidiano: dalla programmazione didattica, agli spunti per lo svolgimento delle lezioni, ai suggerimenti per l’utilizzo delle video lezioni collegate al testo, test e mappe concettuali e spunti per una efficace programmazione didattica coerente con le richieste delle Linee-Guida.

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2 IL REGNO

DEL MAÎTRE D’HÔTEL

La

LA SALA RISTORANTE La sala ristorante è il perno sul quale si muove il mondo della ristorazione: essa non è soltanto il luogo dove viene consumato il pasto, ma anche quello dove poter fissare un incontro, di lavoro o personale, o dove si possono vivere esperienze gastronomiche e tanto altro ancora.

Una collocazione adeguata L’ubicazione della sala ristorante deve rispondere sia alle esigenze del personale sia a quelle del cliente: quest’ultimo, infatti, deve poter accedere alla sala stessa in modo agevole, mentre il personale ha la necessità di garantire un servizio preciso e veloce agli avventori. Nel caso in cui il ristorante si trovi all’interno di una struttura alberghiera, è indispensabile che sia facilmente raggiungibile dagli ospiti che provengono dal bar interno o dall’ascensore, ma anche dagli eventuali clienti esterni; per questo motivo, la sala ristorante deve essere situata al piano terra dell’edificio. Poiché le strutture ristorative devono poter essere utilizzate da tutti con la massima sicurezza, compresi i diversabili, la legge impone che siano eliminate tutte le 48

barriere architettoniche eventualmente presenti nelle parti che compongono il locale, affinché l’ingresso sia sicuro e facile e il soggiorno privo di spiacevoli complicazioni. Il lavoro del personale di sala è ottimizzato ulteriormente grazie alla suddivisione della sala ristorante in due settori: • il rango, coordinato dallo chef de rang e costituito da 6-8 tavoli; • la sezione, gestita dal maître di sezione, nella quale sono raggruppati 2-3 ranghi.

Come arredare la sala ristorante L’arredamento della sala deve essere consono allo stile del ristorante e al tipo di servizio offerto alla clientela. Gli elementi di arredo necessari per poter effettuare un servizio accurato devono poter consentire un loro utilizzo semplice e pratico. Le sedie e i tavoli, in particolare, devono poter essere stoccati, se necessario, e, quindi, occorre prediligere quei componenti che siano impilabili o pieghevoli, i quali devono comunque rispondere alla richiesta di una buona qualità costruttiva unita a piacevolezza estetica.


I tavoli e la loro forma • Il tavolo è il principale arredo della sala ristorante: esso deve essere comodo per il cliente ma anche leggero, maneggevole e facile da assemblare con altri tavoli, quando se ne ravvisi la necessità. Pertanto, allo scopo di allestire tavoli più ampi o più lunghi, per esempio per organizzare eventi con numerosi avventori, è bene che il ristorante ne abbia a disposizione alcuni smontabili, oltre a poter impiegare prolunghe di varia lunghezza. Una volta terminato il servizio, tutte queste componenti devono poter essere riposte con il minimo ingombro. Per quanto riguarda la forma, il tavolo rettangolare è il più versatile, soprattutto in caso di banchetti, mentre il tavolo quadrato, anche se adatto per pochi coperti, è il più pratico, sia nella fase di preparazione della mise en place sia per quanto concerne l’uso delle prolunghe. Particolarmente elegante è, invece, il tavolo ovale o rotondo, che può ospitare fino a dieci coperti, consentendo, inoltre, ai commensali di conversare guardandosi reciprocamente: tuttavia, questo arredo occupa uno spazio maggiore dei precedenti. Ricordiamo, comunque, che per poter organizzare un servizio adeguato alle esigenze del locale, contando anche su


un arredo piacevole, è importante avere a disposizione tavoli di forma diversa, così da poter creare un ambiente raffinato durante l’allestimento di un ricevimento o di un buffet. Le sedie • Le sedie sono i complementi necessari del tavolo. Esse devono presentarsi solide, maneggevoli, eleganti e comode. Soprattutto in ristoranti di alta classe, e di grandi dimensioni, si utilizzano sedute a poltroncina, con braccioli molto confortevoli, con il difetto, però, di occupare parecchio spazio, così che il loro utilizzo non può essere facilmente generalizzato in altri locali. Lo schienale delle sedie, inoltre, non deve essere troppo alto perché potrebbe ostacolare il lavoro del personale di sala; sotto ogni gamba, poi, è conveniente posizionare un sopporto antisdrucciolo per garantire la massima sicurezza all’ospite. Un aspetto importante della sala ristorante è anche legato al fatto di poter disporre di seggiole dedicate ai più piccoli, per poter accogliere in modo adeguato le famiglie o i gruppi organizzati, entrambi spesso accompagnati da bambini di varie età. Non si può dimenticare, infine, che i materiali di cui sono realizzate le sedie devono essere ignifughi, ben lavabili e resistenti. Il tavolino di servizio: il guéridon • Il tavolino di servizio, o guéridon, ha forma ovale o rettangolare ed è un elemento molto utile per il cameriere durante lo svolgimento dell’attività in sala. Infatti, è utilizzato come piano di appoggio, da disporre a fianco del tavolo degli ospiti, per compiere le operazioni di servizio o di porzionatura dei cibi che si svolgono in loro presenza.

Le dimensioni ridotte (90 cm x 50 cm) di questo tavolino permettono, inoltre, di spostarlo agevolmente all’interno della sala ristorante, grazie anche alle 2 o 4 ruote di cui è dotato, alle quali è applicato un “fermo” per impedire che compia movimenti inopportuni durante il servizio. Naturalmente, il numero di guéridon che trovano posto in sala deve essere riferito all’ampiezza del locale. Il tavolo di servizio: la consolle o panadora • La consolle, o panadora, è un mobile nel quale si trova tutto ciò che è utile per il servizio ai tavoli, ma costituisce anche un’ampia superficie di appoggio. Come nel caso del guéridon, in sala il numero di consolle deve essere adeguato alla capienza del locale, per consentire un più agevole


disbrigo delle attività da parte dei camerieri. Per questo motivo, normalmente, vi è una panadora in ogni rango di servizio. Poiché il personale deve poter lavorare in tutta sicurezza, la panadora è realizzata con angoli arrotondati e maniglie di presa molto comode, ed è dotata di cursori autofrenanti per i cassetti, soprattutto per evitare colpi rumorosi e fastidiosi per i clienti in sala. Esistono diverse tipologie di consolle ma, in ogni caso, sono sempre caratterizzate dal possedere un piano di appoggio superiore, un certo numero di cassetti e di ripiani, oltre a disporre di un contenitore per la biancheria sporca. Sul piano di appoggio della consolle, in genere ricoperto da una tovaglia, si collocano i piatti puliti, come pure le stoviglie tolte dai tavoli. In alcuni cassetti, rivestiti da un panno antirumore, vengono riposte, invece, le posate e tutti i piccoli attrezzi, come i cavatappi, gli sbriciolatori, le penne, mentre in altri cassetti, più ampi dei primi, sono collocate le tovaglie e i tovaglioli. Per una disposizione razionale delle posate, si suggerisce di riporle nei cassetti secondo un ordine prestabilito, cioè da destra verso sinistra, partendo dalle più grandi fino alle più piccole e disponendole nella sequenza che prevede, in ordine, cucchiaio, forchetta e coltello, terminando con i mestoli e le posate particolari, come le pinze per l’astice e le forchette per le ostriche. Sui ripiani, invece, andranno riposti ordinatamente i vari tipi di piatti e i bicchieri, ma anche le formaggiere, nonché le ampolle dell’olio e dell’aceto, le varie salse, le zuccheriere e i macinapepe. In particolare, sul ripiano principale spesso viene collocato lo scaldapiatti, mentre in un apposito spazio sono riposti i menu, la carta dei vini e i blocchetti delle comande. L’ampio cassetto nel quale si accantonano le tovaglie e i tovaglioli sporchi serve soprattutto a non far mai abbandonare al cameriere la posizione in sala durante il servizio. La biancheria • La biancheria contribuisce in modo determinante a definire l’immagine e il livello qualitativo del ristorante. I tessuti impiegati per realizzarla sono, principalmente, cotone, lino o fibra sintetica. Il cotone più pregiato è di origine americana o egiziana, ma anche quelli di qualità inferiore vengono comunque sottoposti a lavorazioni che ne migliorano le caratteristiche. In particolare, il cotone è sottoposto a: mercerizzazione, che lo rende brillante e resistente, e a sanforizzazione, che fa diventare il tessuto irrestringibile. La biancheria in lino è senza dubbio la più pregevole fra i vari tipi (per esempio, il lino di Fiandra) ed è apprezzata anche per la sua capacità di resistere più del cotone allo sporco. Tuttavia, poiché il lino fornisce un tessuto gualcibile (cioè che si stropiccia facilmente), la sua fibra viene

mescolata con altre di origine sintetica, per favorirne la stiratura. La fibra sintetica è sicuramente più economica del cotone e del lino, ma l’impatto visivo e al tatto la rende meno pregiata per il cliente. Tuttavia, per molte attività ristorative, è un buon compremesso tra costo e qualità del servizio offerto. Per quanto riguarda i diversi componenti della biancheria del ristorante, essi meritano di essere presi in considerazione singolarmente. Le tovaglie devono avere dimensioni proporzionate al tavolo, con una caduta laterale minima di circa 30 cm, fino a raggiungere le cadute a terra, nel caso di allestimenti molto eleganti. Esse costituiscono l’accessorio con il maggior impatto agli occhi del cliente e, di conseguenza, devono essere utilizzate una sola volta, risultando così sempre pulite e ben striate. Ricordiamo, infine, che per l’organizzazione di pranzi per congressi o di buffet si devono utilizzare tovaglie che ricoprano l’intero tavolo. 51


I runner, o tovagliette a striscia, di differenti colori, sono molto impiegati in alberghi e ristoranti dotati di un arredamento moderno e caratterizzati dal fornire un servizio rapido e informale. Questo tipo di tovaglia copre, volutamente, soltanto la parte centrale del tavolo e deve abbinarsi opportunamente allo stile del tavolo stesso e del locale. I tovaglioli per i commensali devono avere il lato di circa 55 cm e lo stesso colore della tovaglia; i tovaglioli di servizio, invece, con il lato di circa 35 cm, sono usati dal cameriere per il servizio in sala, per portare piatti caldi e per asciugare quelli che gocciolino eventualmente di condensa o di acqua. Il tovagliato comprende, in genere, anche alcuni pezzi di diversa utilità, come: • i frangini, usati per coprire i vassoi; • i coprimacchia, più piccoli della tovaglia, il cui utilizzo consente di pulire più velocemente il tavolo, anche se, in alcuni ristoranti, hanno soltanto una funzione decorativa; • i copri-guéridon, bianchi o colorati, ma sempre di tessuto più resistente rispetto a quello della tovaglia; • gli asciugabicchieri, il cui uso si deduce dal nome, realizzati in cotone con le tipiche righe alternate; • il mollettone, che consiste in un copritavolo utilizzato per fare in modo che la tovaglia non scivoli, ma anche per evitare i rumori provocati dalla posa di bicchieri e posate, nonché per proteggere il tavolo dai liquidi, da fonti di calore o graffi; provvisto agli angoli di un apposito elastico per rimanere fermo sul tavolo, il mollettone dona anche alla tovaglia una maggiore morbidezza e ne prolunga la durata nel tempo.

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L’attrezzatura della sala ristorante Il personale di sala, che deve effettuare il servizio, e il cliente, che vuole consumare il proprio pasto, devono impiegare specifiche attrezzature, come piatti, bicchieri e così via, che, nonostante la loro apparente semplicità, sono fondamentali per la buona riuscita di tutte le operazioni che si svolgono in sala. Di conseguenza, il cameriere deve conoscere bene le caratteristiche di queste attrezzature per utilizzarle tutte adeguatamente. Il vasellame: i piatti e la porcellana • Il vasellame da ristorazione racchiude in sé un aspetto funzionale e un altro decorativo. Per le esigenze quotidiane viene utilizzato il servizio di vasellame bianco, ma, a seconda della tipologia di evento a cui si deve dare seguito (pranzo, ricevimento e così via) si possono impiegare servizi di porcellana particolari. La porcellana, ricordiamo, consiste in un tipo di ceramica i cui componenti, fra i quali il caolino, sono sottoposti a una cottura effettuata a 1300-1400 °C di temperatura. Già nota ai Cinesi tra il I e il II secolo d.C. fu introdotta in Europa soltanto dal XIII secolo, in seguito ai viaggi di Marco Polo in Oriente. Rimasta inaccessibile ai più per parecchi secoli, a causa del suo costo elevato, divenne nel tempo simbolo di eleganza e cura del servizio. L’uso di questi piatti avviene soprattutto in ristoranti gastronomici di livello molto elevato, dove il contenitore del cibo assume un’importanza notevole e, quindi, in genere, si deve disporre di vari servizi in porcellana. Spesso sul bordo del piatto (detto anche falda o fascia) è presente una preziosa decorazione o il logo del ristorante che, in entrambi i casi, non deve essere coperto dalle vivande. I piatti hanno dimensioni diverse a seconda dell’uso a cui sono destinati. Di seguito analizziamo, partendo da quello di dimensioni maggiori, l’utilizzo di ciascuno di essi.


I piatti e il loro utilizzo Tipo di piatto

Utilizzo

Segnaposto

Delimita il posto del commensale e, di conseguenza, è tolto soltanto a fine servizio. Può essere realizzato anche in vetro o in metallo.

Piano

Si usa per portate di carne, pesce, vegetali, ma anche per antipasti e dolci. Attualmente sono in uso anche piatti dalle dimensioni maggiori, con forme e disegni particolari, che sono impiegati in base al tipo di pietanza da servire.

Fondo

Impiegato per le paste asciutte italiane e per le minestre in brodo o le zuppe, deve essere corredato sempre da un piatto piano. La cucina moderna prevede l’utilizzo del piatto fondo anche per le altre portate, compreso il dolce.

Piccolo

Ăˆ utilizzato per servire sia frutta sia dessert.

Piattino da pane

Posto alla sinistra dell’ospite, contiene il pane da consumare durante il pasto.


Spesso alcune portate sono servite in ciotole o tazze, tra le quali occorre ricordare anche quelle per il servizio di bevande calde, che analizzeremo insieme alle attrezzature per il servizio della prima colazione. Ciotole, tazze e attrezzature per la piccola colazione e loro utlilizzo Attrezzatura

Utilizzo

Ciotola grande

È usata per insalate.

Ciotola media

È usata per insalate, paste alimentari e riso, verdure, macedonia di frutta e dolci.

Ciotola piccola

È usata per macedonia di frutta o di verdura, ma anche per gelati e granite.

Tazza e sottotazza da consommé

Si usa per il servizio del consommé, ma anche per quello delle creme e delle zuppe.

Tazza e sottotazza da tè

Sono utilizzate per il servizio di tè o di caffè a filtro.

Tazza e sottotazza da cappuccino

Oltre al prodotto a cui sono dedicate, si usano anche per tisane e altre bevande calde.

Tazza e sottotazza da caffè espresso

Sono utlizzate per il servizio del caffè.

Bricco per il caffè

Altro e stretto con coperchio, è usato per il servizio del caffè.


Attrezzatura

Utilizzo

Bricco per il latte

Impiegato per il servizio del latte, è un po’ più piccolo del bricco per il caffè.

Bricco per le bevande fredde

Utilizzato per il servizio delle bevande fredde, è simile ai bricchi impiegati per le bevande calde, ma è privo di coperchio.

Teiera

Usata per il servizio del tè, è più larga e più bassa rispetto, ai bricchi con lo scopo di facilitare l’infusione.

Cremierina

È utilizzata per il servizio della crema di latte (panna) o per il latte freddo.

Thermos

È impiegato per mantenere a temperatura le bevande calde.

Passino

È utilizzato per filtrare latte caldo o tè.

Portauova

Lo si usa per il servizio delle uova à la coque.

Tostapane

È utilizzato per la tostatura del pane.

Bollitore per uova

Impiegato per la cottura delle uova, è dotato anche di timer.

Distributori per le bevande

Possono essere utilizzati per l’erogazione di bevande fredde, come i succhi, oppure, se termici, sono usati per la somministrazione delle bevande calde, come tè, latte o caffè. In entrambi i casi, sono posti sul buffet.


Le posate • L’introduzione della forchetta, e a seguire delle altre posate, nella forma che conosciamo oggi, risale, nel mondo occidentale, a circa il 1000 d.C. Prima di questa data, infatti, per mangiare venivano utilizzate le mani nude oppure, nel caso di famiglie nobili, si impiegavano ditali di argento che, indossati dai commensali, avevano lo scopo di non far loro sporcare le dita. Attualmente, per le posate è possibile distinguere due tipologie: le posate in acciaio inossidabile (lucide o satinate) e l’argenteria, cioè l’alpacca o l’acciaio ricoperti da argento, due materiali che richiedono, però, una manutenzione piuttosto accurata. Rispetto al passato, le dimensioni delle posate si sono notevolmente ridotte, per consentire al cliente di spostare il cibo più agevolmente; anche l’utilizzo di alcune di esse è cambiato. Bisogna dire, tuttavia, che sono i locali informali a essere maggiormente propensi a sperimentare nuove soluzioni di servizio, mentre i ristoranti di alto livello tendono a mantenere impostazioni di servizio classiche. Per quanto riguarda, invece, le trasformazioni di impiego delle varie posate, possiamo ricordare, per esempio, che:

• è stato eliminato il coltello per il pesce, sostituito da un cucchiaio piano, ideale per rompere il pesce stesso e raccogliere la salsa di accompagnamento; • la forchetta, in generale, è ora provvista di rebbi corti e ha assunto una forma più panciuta, ideale per raccogliere anche i pezzi più piccoli di alimento; • la piccola paletta per mescolare il tè è stata sostituita, invece, dal cucchiaino vero e proprio; • il coltello da dolce ha sostituito quello da burro. Esaminiamo, ora, i vari tipi di posate in relazione al tipo di portata a cui sono dedicati.

Le posate e il loro utilizzo Tipo di posata

Utilizzo

Cucchiaio grande

Usato per minestre in brodo, ma anche per servizio, insieme a una forchetta grande.

Cucchiaio piccolo

Utilizzato per alcuni tipi di antipasti, per minestre servite in tazza e per i dessert.

Coltello grande

Per secondi piatti o piatti principali.

Coltello piccolo

Per antipasti, dessert e a colazione.

Coltello da carne

Da usare quando il secondo di carne è una costata o una bistecca.

Coltello spalmaburro

Posizionato sul piatto da pane, lo si usa per spalmare il burro.

Forchetta grande

Per minestre asciutte e secondi piatti.

Forchetta piccola

Per antipasti e dessert.

Cucchiaio da pesce

Per secondi piatti e per antipasti a base di pesce.


Tipo di posata

Utilizzo

Cucchiaio lungo

Per bibite e long drink.

Paletta da gelato

Per il gelato e per il sorbetto.

Cucchiaino da tè

Per il servizio di tè, cappuccino, caffè in filtro e per alcuni tipi di dolci.

Cucchiaino da caffè

Per il caffè ma anche per le uova à la coque.

Forchetta per ostriche

Riservata esclusivamente a questo utilizzo.

Forchetta per lumache

Da usare soltanto per questa preparazione.

Pinza per lumache

Da usare per tenere fermo il guscio della lumaca mentre si estrae la carne.

Forchetta estrattrice

Per estrarre la carne dalle chele dei crostacei serviti con il carapace.

Pinza per crostacei

Da usare per spezzare le chele dei crostacei.

Forchetta per fondue

Da usare per la fondue di formaggi.

Forchetta per fondue chinoise o bourguignonne

Da usare per queste due tipologie di fondue.

Per alcune preparazioni specifiche si impiegano posate particolari, descritte nella tabella a sinistra. I bicchieri • L’utilizzo dei bicchieri in vetro è da far risalire al Cinquecento, poiché prima di allora essi erano realizzati in legno, argilla o in metallo, talvolta anche prezioso. La qualità del bicchiere in vetro dipende dalla composizione chimica di questo materiale: infatti, i vetri a base di sostanze saline sono più brillanti rispetto al vetro comune. La trasparenza e la brillantezza maggiori sono invece una tipica caratteristica dei bicchieri in cristallo, nella cui composizione si trova un minimo del 24% di ossido di piombo.

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I vetri usati nella produzione di bicchieri si dividono in: • vetro comune, che è piuttosto spesso, impiegato per il servizio di “tutti i giorni”; • vetro fine o mezzo cristallo, che è incolore e resistente ed è adoperato per i servizi da tavola e per gli specchi utilizzati per servire le preparazioni ai buffet; • pirex, detto anche vetro speciale, che ha la caratteristica di resistere alle alte temperature. I cristalli si distinguono, invece, in: • cristallo di Boemia, che è brillante ed è utilizzato per realizzare i servizi da tavola molto raffinati;

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• cristallo pesante o inglese, che è trasparente e incolore ed è usato per i servizi come il Baccarat (storica azienda di fama mondiale, produttice, appunto, di bicchieri). Ricordiamo, inoltre, che i bicchieri, come le posate e il tovagliato, svolgono un duplice ruolo: funzionale ed estetico. In commercio si trovano bicchieri dalle forme più varie e realizzati per esaltare le peculiarità del liquido contenuto; in particolare, la forma e la trasparenza dei bicchieri da vino, per esempio, devono valorizzare colore, profumo e sapore della bevanda per la quale sono usati. Vediamo quali bicchieri prevede la dotazione base della sala.


Attrezzature e accessori per il servizio • Completiamo l’elenco della attrezzature necessarie per il funzionamento del servizio di sala con alcuni strumenti che vengono utilizzati ogni giorno, al fine di facilitare il lavoro degli addetti. La colonna scaldapiatti, generalmente elettrica, consente di tenere al caldo piatti di diverse dimensioni e anche tazze; quando è dotata di rotelle, può essere spostata all’interno del locale nel quale si renda più utile. Lo scaldavivande a piastre è alimentato dall’energia elettrica o da una candela. La piastra può essere posta

direttamente a tavola, con lo scopo di mantenere il calore del cibo, soprattutto in occasione dei buffet caldi o del servizio al guéridon. I carrelli mobili sono dotati di dispositivi refrigeranti o di piastre riscaldanti, poiché possono contenere preparazioni calde, come, per esempio, arrosti e bolliti, oppure fredde, come antipasti, formaggi e dessert. Per motivi di praticità, il carrello è sempre dotato di ruote. Oltre a queste attrezzature, esistono anche altri oggetti che vengono solitamente utilizzati per il servizio, che indichiamo nella tabella seguente.

Attrezzature e accessori per il servizio e loro utilizzo Attrezzature e accessori

Utilizzo

Formaggiera

Contiene il formaggio grattugiato.

Taglieri

Si usano per il taglio del pane e della frutta, per tranciare la carne, ecc.

Salsiera

Usata per il servizio di salse e di burro fuso.

Cloche

Detta anche coprivivande a campana, riveste sia i piatti caldi sia quelli freddi.

Secchielli

Servono per mantenere fresco il vino.

Chafing dish

Si usano per mantenere in caldo le diverse preparazioni.

Fornello per fonduta

Si usa per il servizio della fonduta di carne e di formaggio.

Pinza ferma prosciutto

Utile in occasione dei buffet nei quali è previsto il taglio del prosciutto intero.

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L’inventario delle attrezzature di sala In ogni ristorante, periodicamente è bene effettuare l’inventario delle attrezzature di sala, cioè il computo del materiale presente nel reparto, allo scopo di verificare gli eventuali ammanchi, dovuti a usura naturale deigli oggetti, a rotture o a furti degli stessi. Queste operazioni dovrebbero essere svolte almeno due volte nel corso dell’anno, preferibilmente in periodi di minor impegno lavorativo. Tuttavia, per oggetti di facile usura, come piatti e bicchieri, si suggerisce di effettuare un inventario circa ogni due settimane. Per svolgere queste operazioni in modo ottimale devono essere seguiti alcuni accorgimenti: • prima di tutto lo stesso oggetto deve essere controllato almeno da due persone; • gli oggetti devono essere suddivisi per tipo, agevolandone così il conteggio; • i piatti, in particolare, devono essere impilati in 10-20 elementi, capovolgendo l’ultimo piatto se la pila è incompleta; • le posate, invece, devono essere distinte a gruppi di dieci, mettendone una di traverso per i gruppi di numero inferiore.

L’ufficio L’office svolge un ruolo fondamentale per il corretto funzionamento di tutto il locale: posto tra la cucina e la sala, è l’area dove sono collocati gli arredi in cui riporre materiali e piccole e grandi attrezzature usate durante il servizio. Questa zona di transizione, quindi, deve essere organizzata ed equipaggiata in modo razionale. Vediamo quali tipi di armadi vi sono collocati. 60

Un office bene organizzato consente, infatti, a tutto il personale di lavorare al meglio. Per questo motivo, in questo locale esistono, per esempio, armadi per diverse esigenze: • nell’armadio per le posate esse sono separate in base al tipo di servizio a cui sono dedicate; • le porcellane e i bicchieri sono riposti in un altro armadio dove collocare, partendo dal basso, i vari tipi di piatti e tazzine; anche i bicchieri devono essere riposti a seconda della loro altezza in modo tale da facilitarne il prelievo; • il tovagliato pulito sarà sistemato in un altro armadio, suddividendolo per grandezza, per esempio, le tovaglie, i coprimacchia e i tovaglioli. Oltre a questa tipologia di armadi, nell’office è possibile trovarne alcuni

altri, usati per riporre ménage, macinapepe e così via. Eventualmente può essere presente anche un ripiano con la cassetta del pronto soccorso (altrimenti la cassetta deve essere appesa al muro). Nell’office, inoltre, trovano collocazione anche vari smacchiatori, i prodotti per la pulizia, riposti in appositi armadietti, oltre a essere presenti vari tavoli, un lavello, il lavabicchieri e la macchina per il ghiaccio.

Gli altri reparti Nell’office, si svolgono tutte quelle operazioni propedeutiche al servizio in sala e, per questo motivo, è situato in modo tale da collegare direttamente la sala con la cucina. Tuttavia, dall’office devono essere facilmente raggiungibili anche la caffetteria, la dispensa, la


cantina e il locale lavastoviglie. La collocazione della cucina vicino alla sala ristorante consente di far arrivare in tavola i piatti in modo veloce. Attualmente, però, il cliente è spesso interessato anche alle diverse fasi di preparazione del piatto, tanto che alcuni locali separano la cucina dalla sala soltanto mediante un vetro, così che ogni operazione possa essere osservata dall’avventore. Una cucina razionale è suddivisa per settori così da evitare l’incrocio pulito-sporco e per rendere più veloce l’arrivo dei piatti al tavolo del cliente. Le diverse portate sono realizzate nel reparto di preparazione, dove si trovano le celle frigorifere, i freezer, i lavelli, il lavaverdure e tutti gli utensili necessari per la prima fase di lavorazione delle materie prime (verdure, pesce e carne). Nell’area centrale della cucina, generalmente, è collocata la zona cottura, dove si svolgono le cotture e la finitura delle preparazioni. La pasticceria, invece, è uno spazio a fianco della cucina dove si predispongono tutte le preparazioni dolci, compresi i gelati e i prodotti della prima colazione. Per quanto riguarda il passe, esso è composto da due o più banchi riscaldati o refrigerati, dove vengono portate a termine le presentazioni dei piatti prima di passarli al cameriere per il servizio. Le stoviglie e le pentole, invece, vengono lavate nel centro lavaggio (plonge) e sono poi riposte su scaffali organizzati o su appositi carrelli, per essere trasportati in magazzino o al passe. Il ristorante è composto anche da altri locali, importanti tanto quanto la cucina stessa. Nella dispensa si trovano gli alimenti facilmente deperibili, con le provviste annotate in appositi registri; è in questo locale che si preparano i cestini

del pane, della frutta, i vassoi del formaggio e così via. Infine, nella dispensa sono conservate bottiglie di acqua, bibite varie e una scorta di vini per rendere veloce il servizio, a meno che accanto alla dispensa non sia stato organizzato un locale apposito, denominato cantina del giorno (cave du jour). Nel magazzino è possibile trovare alimenti sia di breve sia di lunga scadenza, come pure il necessario per le pulizie.

La caffetteria è un’area tipica di hotel o di strutture ricettive simili. In questo locale si prepara la prima colazione e, pertanto, vi si trovano un frigorifero per il latte, il burro, la frutta, le marmellate e le uova, le macchine per scaldare l’acqua e preparare il caffè, il tostapane e così via. La cantina, infine, deve essere in grado di soddisfare le richieste del cliente più esigente e, di conseguenza, deve poter contare su una ricca dotazione di vini.

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MACROAREA

La professione del sommelier e del bartender


1 IL MONDO DEL VINO

La

LA VITICOLTURA: LA VITE E LA VIGNA

La pratica della viticoltura allo scopo di produrre vino risale a tempi remoti e ha origine nei territori euroasiatici, in epoche che si possono far risalire circa al 5000 a.C. In Italia, questa coltivazione fece la sua comparsa in tempi successivi, intorno al 2000 a.C. ma, nonostante ciò, si sviluppò a tal punto che gli antichi Greci chiamavano il nostro Paese Enotria, con un termine che significa “terra del vino”. Produrre un buon vino richiede abilità e capacità notevoli nella gestione di alcuni fattori decisivi per ottenere un prodotto di qualità. Essi sono: • genetici, cioè la scelta del vitigno, del clone, del portainnesto; • ambientali, rappresentati dal clima e dal terreno; • umano, costituiti dalla scelta delle tecniche colturali, dai sistemi di vinificazione, nonché dai periodi e dalle modalità di maturazione e di invecchiamento.

Non ci resta ora che intraprendere la scoperta dei segreti di questa bevanda, così diffusa sulle nostre tavole, partendo dalla vite, la pianta di origine.

La vite e i suoi cicli biologici La Vitis vinifera, o vite europea, è una specie che appartiene alla famiglia botanica delle Vitacee o Ampelidacee ed è un arbusto rampicante dotato di un apparato radicale molto esteso. La sua origine è antichissima: viene infatti citata nel libro della Genesi, nella Bibbia, e i reperti della specie maggiormente datati sono stati trovati nel Caucaso e sul monte Zagros, in Iran, alcuni dei quali risalenti a 7.000 anni fa. Questa pianta fu introdotta nella nostra penisola dagli antichi Greci, anche se, probabilmente, veniva già coltivata dagli Etruschi. Si diffuse poi in tutto il bacino del Mediterraneo grazie all’espansione coloniale dell’Impero Romano. Nel nostro percorso dedicato alla viticoltura ci occuperemo della Vitis vinifera sativa, la varietà utilizzata per vinificare. L’analisi dei cicli biologici • La vite ha due diversi tipi di cicli biologici, che sono indicati come ciclo vitale e ciclo annuale.

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Il ciclo vitale interessa l’intera esistenza biologica della pianta, da quando, cioè, viene impiantata fino alla sua vecchiaia. Lungo tale percorso, sulla base della quantità e della qualità di uva prodotta nelle diverse età, sono distinte le fasi di improduttività, produttività crescente, produttività costante e vecchiaia. L’età giovane, dal primo al terzo anno, è il periodo in cui la pianta è improduttiva, mentre quello di massima produttività è l’età adulta, distinguendo ancora le fasi: • di produttività crescente, dal quarto al quinto anno; • di produttività costante, dal sesto al venticinquesimo anno. La fase della senescenza o della produttività decrescente, che arriva fino a 40 anni di età, è il periodo in cui la produzione diminuisce gradatamente. La durata dei cicli vitali è influenzata da diversi fattori: per esempio, le viti con piede-franco, cioè non innestate, possono produrre uve di qualità anche oltre i 50 anni di età, mentre lo sfruttamento intensivo della vite riduce notevolmente il periodo di produttività. Il ciclo annuale della vite, invece, indica il percorso ciclico, che avviene durante l’anno e che conduce alla produzione dei grappoli d’uva. Esso si divide in due sottocicli: vegetativo e produttivo.

Il sottociclo vegetativo. Dopo la fase di riposo che segue la vendemmia, prima che riprenda l’attività vegetativa, si verifica il cosiddetto “pianto della vite”, che segnala la riattivazione della circolazione della linfa, essenziale per sviluppare i nuovi germogli. La potatura della vite deve precedere tale fenomeno: è proprio dai punti in cui si effettua la potatura che escono le goccioline di linfa (il “pianto”), che sta iniziando la sua risalita nel tronco. A questa fase seguono altri passaggi, che chiudono il sottociclo: • germogliazione (tra marzo e aprile), che avviene quando la temperatura è di circa 10°C, provocando la comparsa di germogli fogliari e le gemme si schiudono; • accrescimento (da aprile ad agosto), durante il quale i germogli si ingrandiscono e crescono; • agostamento (da agosto in poi), quando il germoglio lignifica sviluppando i tralci e diventando marrone; è in questo periodo che si verifica la corretta lignificazione dei tralci, un fattore determinante per la resistenza al freddo invernale e per la ripresa vegetativa in primavera; • riposo (da dicembre), che inizia quando le temperature basse provocano la caduta delle foglie, per durare fino allo spuntare dei nuovi germogli. 121


Il sottociclo produttivo. Tra aprile e maggio si ha la comparsa dei grappoli, con la differenziazione dei pollini e degli ovuli per la fecondazione, secondo una sequenza di avvenimenti. • Fioritura: dalla metà di maggio alla metà di giugno si aprono i fiori e avviene la fecondazione; per non compromettere questa fase così delicata, le temperature dovrebbero aggirarsi introno ai 20 °C, associate a poche piogge. • Allegazione: nella seconda metà di giugno, nei fiori fecondati si sviluppa il frutto. • Invaiatura: tra la metà di luglio e quella di agosto inizia la maturazione dell’acino, che accumula acqua, zucchero sostanze estrattive e acidi organici, mentre la buccia della bacca assume il colore della varietà di vite; in questo periodo è possibile selezionare i grappoli, prediligendo così la qualità rispetto la quantità. • Maturazione: fino a settembre/ottobre l’uva continua a maturare, concentrando sempre più gli zuccheri e le sostanze aromatiche.

Alcune varietà di uva

Malvasia

Catarratto

Trebbiano

Negroamaro

Barbera

Merlot

Sangiovese

Primitivo

Il grappolo Per intraprendere il nostro viaggio all’interno dei segreti del vino, è importante conoscere quali sono le caratteristiche del grappolo d’uva. Per prima cosa, ricordiamo che nella pianta della vite i pampini sono le foglie, i viticci sono, invece, foglie modificate con la funzione di sostegno, mentre il tralcio, legnoso, è il ramo, da cui pendono i grappoli per mezzo del picciolo. Il grappolo è composto dal raspo o rachide, costituito da materiale ligneo, che si ramifica nei pedicelli, all’estremità dei quali sono attaccati gli acini, nei quali si riconoscono tre parti. L’epicarpo è la parte esterna dell’acino, cioè la buccia, ricca di pectine, cellulosa, sostanze aromatiche ma, soprattutto, di polifenoli, costituiti principalmente da due tipi di pigmenti: • flavoni, di colore giallo chiaro, che danno colorazione alle uve bianche; • antociani, di colore rosso violaceo, responsabili della colorazione delle uve a bacca rossa. Sostanze molto importanti sono poi i tannini, che si trovano anch’essi principalmente nelle cellule epidermiche dell’acino, una collocazione che è motivata dal fatto che il loro sapore astringente fa evitare l’attacco del frutto da parte 122

Malvasia nera


di numerosi insetti. La buccia è ricoperta, infine, da una sostanza cerosa, la pruina, che, grazie ai lieviti che contiene, svolge un ruolo fondamentale nella fermentazione alcolica. Il mesocarpo è la parte interna, o polpa, dell’acino, composta da acqua, zuccheri e acidi. Tra gli zuccheri presenti il glucosio, o zucchero d’uva, è il più importante, perché è l’unico che può essere metabolizzato dai lieviti, che lo trasformano in alcol durante il processo fermentativo. L’endocarpo, infine, è la parte più interna, dove vi sono i vinaccioli, o semi dell’uva, ricchi di sostanze legnose e grasse, con tannini meno nobili di quelli contenuti nell’epicarpo. Naturalmente, in relazione al colore della buccia degli acini, le uve vengono distinte in: • rosse, con tonalità che variano dal rosso fino al violaceo e al blu inchiostro; • bianche, le cui tonalità di colore vanno dal giallo-verde al giallo dorato o ambrato. Schema dell’acino

pedicello epicarpo

mesocarpo endocarpo

buccia

vinaccioli

L’ambiente pedoclimatico La vite trova condizioni ideali per svilupparsi nelle zone temperate, cioè tra il 30° e 40° di latitudine nell’emisfero australe e tra il 40° e 50° di latitudine in quello boreale. La maggiore concentrazione di superfici coltivate a vite si trova in Spagna, Italia, Francia, Asia Minore e in alcune zone dell’Africa Settentrionale. Si devono però segnalare, come aree in netto sviluppo nella coltivazione della vite, gli Stati Uniti, l’Argentina, il Cile, il Sudafrica, l’Australia e la Nuova Zelanda.

La vite, inoltre, cresce bene fino a 600 m. d’altitudine anche se in Alto Adige e in Valle d’Aosta si possono trovare vigneti che si spingono fino a 800-1.200 m. Se è importante scegliere un vitigno di qualità per ottenere vino dalle caratteristiche pregiate, è altrettanto rilevante scegliere la corretta esposizione e il terreno adatto. Senza dubbio, la vite cresce meglio in zone collinari, poiché la naturale inclinazione del suolo consente un buon drenaggio del terreno e una maggiore esposizione ai raggi solari; in pianura, invece, le possibili gelate primaverili rappresentano un pericolo per i germogli. Il terreno stesso, inoltre, svolge un ruolo decisivo: il medesimo vitigno coltivato in suoli con caratteristiche chimico-fisiche diverse sviluppa uva con peculiarità organolettiche differenti, con la quale, pertanto, si otterranno vini molto dissimili l’uno dall’altro. Un esempio tra i tanti è quello rappresentato dal vitigno Nebbiolo: in provincia di Cuneo, nella zona delle Langhe, dove sembra aver avuto origine, in comuni a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, esso produce due vini differenti ma ugualmente importanti: il barolo e il barbaresco. Lo stesso Nebbiolo, nella provincia di Novara, con il nome di Spanna produce il ghemme oppure, questa volta nella provincia di Vercelli, dà origine al gattinara, mentre, in provincia di Sondrio, col nome di Chiavennasca, è la base per i vini della Valtellina come l’inferno o lo sforzato. Il terreno ideale per la coltivazione della vite deve essere sufficientemente ciottoloso, in modo tale da assicurare il corretto drenaggio e da consentire alle radici, bisognose di 123


nutrimento, di insinuarsi nel sottosuolo alla ricerca di sali minerali e acqua. In linea di massima, al variare della composizione del terreno, si otterranno vini con le seguenti caratteristiche: • da terreni sabbiosi si ottengono vini scarichi di colore, ma dai profumi delicati e con buona acidità; • da terreni calcareo marnosi si ricavano vini dal colore intenso, con profumi persistenti, alta percentuale di alcol ma bassa acidità e qualità fine; • da terreni ciottolosi si ottengono vini alcolici e di elevata qualità; • da terreni un po’ argillosi si producono vini longevi, con pigmentazione intensa, ricchi di alcol e dotati di morbidezza. Condizioni climatiche favorevoli consentono lo sviluppo migliore della vite: in estate, la temperatura dovrebbe esser in media intorno a 20 °C mentre in inverno dovrebbe scendere al massimo fino a –1°C. Il calore, infatti, è un elemento importante per ottenere una maturazione costante e graduale dei grappoli, mentre le basse temperature invernali sono utili in quanto riescono a eliminare i parassiti. Altrettanto fondamentale è l’escursione tra giorno e notte, cioè tra il dì e la notte, che favorisce la formazione di sostanze aromatiche, dando anche maggiore acidità fissa. L’eccessiva umidità dovuta alla pioggia può favorire, invece, il proliferare di parassiti fungini: la vite, infatti, pur avendo buone capacità di adattamento alle diverse condizioni ambientali, predilige un clima secco. Per limitare gli eventuali danni climatici alla vite, nelle zone fredde si impiantano varietà precoci, mentre in quelle calde si mettono a dimora varietà tardive. Pertanto, in base alla temperatura, si ottengono uve con le seguenti caratteristiche: • in zone molto calde si producono uve zuccherine, quindi vini con gradazione alcolica maggiore; • in zone più fredde si raccolgono uve con meno zuccheri e maggiore acidità, quindi vini meno alcolici e di grande freschezza; • zone a clima intermedio si ottengono vini bianchi e rossi di buona struttura ed equilibrio (Francia centrale e Italia settentrionale). Un po’ di normativa • Per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione della produzione vitivinicola italiana più pregiata sono previste apposite leggi che regolano le condizioni per la coltivazione e la produzione dei vini che possono fregiarsi della denominazione di origine, DOC e DOCG, nonché delle indicazioni geografiche IGT. 124

In questi ultimi anni, uno dei temi più rilevanti della riforma dell’OCM (Organizzazione Comune di Mercato) è stata l’istituzione di un quadro unico a livello Europeo per la protezione delle denominazioni di origine, che fa riferimento alla normativa comunitaria per i prodotti agricoli e alimentari, cioè alle Denominazioni di Origine Protetta, DOP, in cui convergono le nostre DOC e DOCG, come anche alle Indicazioni Geografiche Protette, IGP, che inglobano le attuali IGT.

Le tecniche di vigna Per preparare adeguatamente il vigneto, prima dell’impianto è necessario procedere allo scasso del terreno, consistente in un’aratura profonda anche 80 cm. Se la pendenza del terreno è eccessiva, si deve invece intervenire realizzando terrazzamenti, per agevolare la lavorazione del campo e per limitare il dilavamento del suolo.


La qualità delle uve è anche condizionata dalla scelta del sesto di impianto, cioè dalla distanza tra i filari e tra le piante di uno stesso filare. Tali parametri determinano la cosidetta densità di impianto per ettaro, che, per ottenere uve di qualità, deve essere almeno di 6-7000 ceppi per ettaro. In tal modo, le piante entrano in competizione fra loro, sviluppando così meno grappoli ma più ricchi di succo e di sostanze pregiate, derivanti anche dal fatto che le radici si devono spingere più in profondità per trovare nutrimento. La densità di impianto deve essere abbinata anche alla potatura delle gemme per ceppo, che porta alla formazione di acini più piccoli, nei quali aumenta il rapporto buccia/polpa.

Allevamento Guyot φ 16

L’allevamento • Le varie forme di allevamento della vite sono rappresentate dai sistemi utilizzati per modificare, mediante adeguate tecniche colturali, la crescita della pianta, per renderla idonea, grazie anche al tipo di potatura praticata, alla produzione di uva da vinificare, così da ottenere la maggiore quantità di prodotto o la migliore qualità dello stesso. Le forme più diffuse di allevamento sono: Guyot, a cordone speronato, Sylvoz, a pergola semplice e ad alberello.

φ 16 φ 18

Guyot. In questo caso, sul fusto, alto 50-80 cm, vengono lasciati uno sperone con due gemme, che cresce in verticale, e un tralcio, con al massimo 10-12 gemme, che viene poi piegato da un lato (capo a frutto). Durante la potatura si eseguono tre tagli, con finalità differenti: • si asporta il vecchio tralcio che ha fruttificato (taglio del passato); • si sceglie uno sperone con due gemme nel tralcio più basso (taglio del futuro); • il tralcio destinato alla produzione (taglio del presente) viene infine legato orizzontalmente a un filo di ferro. Cordone speronato. Questa forma di allevamento prevede che, un paio di mesi dopo l’inizio del riposo invernale, si proceda con la potatura, lasciando soltanto una o due branche che resteranno sulla pianta per almeno quattro o cinque anni. La potatura è eseguita in modo tale da far sviluppare la vite in orizzontale, a spalliera, su un filo di ferro. Vengono quindi lasciati quattro speroni alla stessa distanza fra loro; la potatura degli anni successivi consisterà nel rinnovare lo sperone anno dopo anno. Il fusto della pianta può arrivare a circa 1 m di altezza, assicurando così una buona qualità di uva e consentendo di effettuare una raccolta completamente meccanizzata.

Allevamento cordone speronato

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Sylvoz. Secondo questo sistema la pianta può arrivare all’altezza di quasi 2 m, con un tralcio orizzontale dal quale prendono origine i rami fruttiferi, arcuati verso il basso. Adatto alle grandi produzioni, è diffuso nell’Italia nordorientale. Pergola semplice. In questo sistema espanso, di cui esistono comunque alcune varianti, la vegetazione si sviluppa su un piano obliquo, inclinato rispetto a quello orizzontale. Particolarmente adatto per l’allevamento della vite in zone collinari, è molto diffuso in Italia nelle province di Verona e Vicenza, come anche in Trentino e nell’Alto Adige. Allevamento Sylvoz 5m 30 cm 30 cm 50 cm 100 cm

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Alberello. In questo caso, dal tronco, alto circa 30-40 cm, si elevano tre tralci, ognuno dei quali presenta uno sperone potato a due gemme; per questo tipo di formazione non è previsto l’utilizzo di tutore. Tipico della Puglia e della Sicilia, è un sistema di origine greca, che ben si adatta ai climi caldi. Esso consente di svolgere una viticoltura di pregio, ma, a causa della lavorazione non meccanizzabile, è una tipologia di allevamento ormai quasi in disuso.


La potatura • La potatura è una pratica che ha come scopo quello di mantenere l’equilibrio vegetativo-produttivo durante il ciclo annuale della pianta.

• La potatura invernale, detta anche secca, viene eseguita una sola volta, asportando i tralci vecchi e alcuni nuovi, decidendo, inoltre, quale sarà il numero di gemme, a seconda che si voglia una produzione orientata alla qualità (7-8 gemme) o alla quantità (15-25 gemme). • La potatura estiva, effettuata almeno un paio di volte tra la primavera e l’estate, è denominata potatura verde: essa richiede maggiore precisione. Per eseguirla si cimano, cioè si accorciano, i tralci erbacei e si eliminano i germogli sterili con anche parte delle foglie, per favorire la penetrazione della luce e dell’aria. Quando i grappoli sono ormai formati si procede anche al loro diradamento, al fine di ottenere un buon rapporto tra superficie fogliare e frutti, che così risultano più ricchi di sostanze estrattive. Le propagazioni • A carico della Vitis vinifera è possibile eseguirne la propagazione secondo tre modalità: per seme, per talea e per innesto.

• La modalità per seme è utilizzata soltanto e principalmente per il miglioramento genetico della specie oppure per ottenere nuove varietà di vitigni o di porta-innesti. 127


• La propagazione per talea era diffusa soprattutto in passato, poiché i viticoltori moderni acquistano le viti già innestate. Questa tecnica, comunque, consiste nel piantare verticalmente nel terreno un frammento qualunque della vite, che, in condizioni opportune, emette le radici e dà origine a una nuova pianta. • La propagazione per innesto si esegue unendo due parti della pianta, cioè innestando su di un piede di vite americana un tralcio con una o due gemme, la cosiddetta marza, proveniente dalla varietà desiderata. Questo tipo di innesto viene realizzato in ambienti controllati, per favorire adeguatamente l’attecchimento tra il piede e la marza.

Le patologie della vite La vite è una specie colpita da numerose avversità che i fitopatologi distinguono in: • non parassitarie, causate cioè, dal gelo invernale e dalle gelate primaverili, dalla siccità ma anche dall’eccesso idrico, ecc.; • parassitarie, provocate da agenti quali virus, funghi e insetti. Prendiamone in considerazione alcune fra le più temibili patologie parassitarie per le colture viticole. Le muffe • Mal bianco od oidio (Oidium tuckeri). Parassita fungino di origine nordamericana, si presenta come una massa biancastra lanuginosa aderente alle parti verdi e con macchie scure sui tralci. La malattia, che è favorita dai climi caldi e afosi, si combatte con trattamenti a base di zolfo.

Peronospora (Plasmopara viticola). Questa malattia fungina, tipica dei climi umidi, è riscontrabile come una muffa bianca presente sulla pagina inferiore delle foglie e sui grappoli; per contrastarla sono indispensabili trattamenti a base di rame e calce (poltiglia bordolese). Muffa grigia (Botrytis cinerea). Si tratta di una muffa che causa il marciume degli acini; per evitarla, è importante, quindi, che il viticoltore effettui un adeguato diradamento delle foglie e dei grappoli, aumentando così l’areazione della vite. Come tutte le muffe, in genere danneggia l’uva ma, in particolari stadi di sviluppo e in certe condizioni climatiche, essa permette la produzione di vini di altissimo livello, tra cui il Sauternes, il più famoso dei cosiddetti “vini muffati”. 128


Insetti e aracnidi • Tignola (Eupoecilia ambiguella, in Italia soprattutto Lepidoptera botrana). In questo caso siamo in presenza delle larve di lepidotteri che attaccano i boccioli, rosicchiandoli e avvolgendoli con fili di seta oppure, in fase di maturazione, svuotando gli acini del contenuto. Per contrastarli sono necessari insetticidi specifici.

Acari. I danni maggiori sono provocati da due piccoli parassiti, il ragnetto rosso (Panonychus ulmi) e quello giallo (Eotetranycus carpini), due aracnidi che fanno seccare le gemme, compromettendo la produzione; si deve intervenire con appositi acaricidi. Fillossera (Viteus vitifoliae). Insetto della famiglia degli afidi, attacca soprattutto le radici della vite, ma anche le foglie; a partire dal 1863 la quasi totalità dei vigneti europei fu distrutta a causa di questo parassita, proveniente dall’America. Il problema, oggi come allora, viene risolto innestando la marza autoctona europea su portainnesto di vite America, che è immune agli attacchi dell’afide.

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La

LA PRODUZIONE DEL VINO L’enologia (dal greco oinos, vino, e logos, studio) è la scienza che studia il vino in tutti i suoi aspetti, iniziando, cioè, dalla viticoltura, passando per la vinificazione e l’affinamento (compresa la conservazione in cantina) fino alla sua degustazione. Il vino è una bevanda alcolica fermentata, cioè ottenuta esclusivamente dalla fermentazione, totale o parziale, del frutto della vite, l’uva (sia essa pigiata o meno), o del mosto. Per capire meglio come si giunge dall’acino al vino, è utile seguire tutte le fasi che ne caratterizzano la produzione.

La vendemmia La vendemmia, cioè il momento in cui si effettua la raccolta dell’uva, è una fase di fondamentale importanza per il tipo di vino che si vuole ottenere e per il valore del risultato finale. Nel periodo della maturazione, l’acino subisce complessi processi chimico-fisici, acquistando le caratteristiche tipiche del vitigno: in questa fase la bacca (cioè l’acino) prende il colore della varietà di appartenenza, mentre nella polpa aumenta la concentrazione di zuccheri e si formano gli aromi propri della varietà d’uva. In Italia, il periodo per la vendemmia è compreso, generalmente, tra la fine di agosto e la metà di ottobre, anche se possono esserci variazioni dovute al clima della zona interessata, causando in tal modo anticipi o ritardi della vendemmia stessa. Nelle più fredde, per esempio, si tende a ritardare il più possibile la vendemmia, per permettere una migliore maturazione, concentrando di più gli zuccheri: così facendo, la quantità di acqua contenuta negli acini diminuisce, mentre aumenta la percentuale di zuccheri contenuti. Diversamente, nelle zone più calde, dove la maturazione dell’uva è facilitata dal sole, la vendemmia può essere anticipata, per mantenere fissa la presenza degli acidi fissi e garantire il mantenimento di aromi delicati. Per stabilire se l’uva ha raggiunto veramente il corretto stadio di maturazione o quello ricercato dal viticoltore, in genere si ricorre a un apposito strumento, il mostimetro, in grado di misurare il grado zuccherino, sebbene anche 130

l’esperienza del viticoltore sia importante, poiché, grazie alle sue conoscenze e all’esperienza maturata nel corso del tempo, egli giudica il colore degli acini, del rachide, del pedicello, così come è capace di valutare la giusta maturazione in base al profumo che percepisce attraversando i filari. Di solito, comunque, si tiene conto di molte variabili e si considerano tre tipi di maturazione: • tecnologica, valutata in base al rapporto tra zuccheri e acidi; • fenolica che valuta la componente di fenoli (alcoli aromatici) più concentrata nelle bucce e nei vinaccioli quando è possibile effettuare la massima estrazione e dissoluzione di questi elementi nel mosto; • aromatica, che si riferisce all’accumulo degli aromi varietali, soprattutto i terpeni.


La diraspatura e l’ammostatura Quando l’uva raccolta con la vendemmia viene portata nelle cantine, si dà inizio, con appositi macchinari, all’operazione della diraspatura, che consiste nella separazione degli acini dai raspi, in modo tale da evitare che le sostanze contenute nel rachide, cioè i tannini ruvidi, le resine, le pectine e la cellulosa, modifichino le qualità organolettiche del vino. Al termine, o in contemporanea, alla diraspatura si procede con la pigiatura o ammostatura, che dà origine al mosto. Questo prodotto, se lo si considera semplicemente come il risultato della spremitura delle uve senza altri procedimenti, è composto per l’80-85% di polpa, per il 10-15% di bucce e per il 5% di vinaccioli o semi. In realtà, il mosto, come frazione liquida di tale processo, è composto per il 70-80% di acqua, per il 10-30% di zuccheri (prevalentemente fruttosio e glucosio) oltre a sostanze minerali e azotate (inorganiche e proteiche), polifenoli (tannini e sostanze coloranti) e acidi

organici. Al contrario, la parte solida, le vinacce, del pigiato dell’uva è composta dalle componenti fibrose della polpa, dai vinaccioli e dalla buccia. Ricordiamo che si otterranno vini monovitigno se sono composti da uve di un solo vitigno, ma, in molti casi, prima di effettuare la pigiatura, si procede all’uvaggio, che consiste nel miscelare uve di diverse varietà, che nell’insieme comporranno poi un determinato vino.

Le fermentazioni La fermentazione è un processo biochimico naturale che porta alla trasformazione in vino del succo dell’uva o mosto (il liquido denso e ad alto tenore di zuccheri, derivante dalla pigiatura degli acini). A seconda delle condizioni di 131


fermentazione, si otterranno differente qualità organolettiche (colore, sapori, aromi) del vino, caratteristiche che si arricchiscono ulteriormente durante le fasi successive di lavorazione. La fermentazione è un processo estremamente complesso che sviluppa differenti reazioni dipendenti dal microorganismo che la attiva. Le due principali fermentazioni che avvengono nel processo di vinificazione sono: la fermentazione alcolica (ad opera di lieviti ellitici in particolare il Saccharomyces cerevisiae o altri lieviti selezionati capaci di adattarsi al meglio ai diversi processi produttivi) e quella malolattica (ad opera di batteri lattici tra cui il Lactobacillus e il Leuconostoc). La fermentazione alcolica • Il mosto incomincia a fermentare a causa dei lieviti (Saccharomyces sp.) che sono presenti sulla buccia dell’uva, dando avvio alla fermentazione alcolica, durante la quale i lieviti trasformano gli zuccheri presenti in alcol etilico più anidride carbonica, con sviluppo di calore. Durante la fermentazione, tuttavia, non si produce soltanto alcol etilico e anidride carbonica, ma si formano anche polialcoli, come la glicerina, acidi organici, come l’acido succinico, esteri e acetaldeidi, come pure molte altre sostanze che determinano il profilo sensoriale del vino che sarà prodotto. Il primo periodo della fermentazione è detto tumultuoso a causa del ribollire del mosto per lo sviluppo di anidride carbonica, dando il caratteristico fenomeno del gorgoglìo, in cui la temperatura del mosto aumenta e dalle bucce pigiate si liberano tannini e altre sostanze. A questo proposito, occore ricordare che, a causa della formazione di anidride carbonica, durante la fermentazione, è bene aerare il locale nel quale essa avviene, poiché questo gas è letale se viene respirato ad alte concentrazioni. Il termine della fermentazione indica che la maggior parte degli zuccheri è stata trasformata in alcol, quindi che i lieviti non hanno più substrato su cui agire. 132

I lieviti lavorano al meglio quando si trovano a una temperatura compresa tra 15 e 30 °C. La temperatura del mosto, comunque, deve essere inferiore a 37 °C, poiché, diversamente, si danneggerebbero aromi e qualità del vino. Temperature troppo basse, invece, bloccherebbero la fermentazione: oggi, tuttavia, le moderne tecnologie, fra cui l’impiego di vasche termoregolabili, permettono di controllare perfettamente la temperatura di fermentazione. La fermentazione malolattica • Questa fermentazione consiste nella trasformazione di acido malico in acido lattico, mediante l’attività svolta dai batteri lattici. Si tratta di un fenomeno che avviene in primavera, in seguito al normale rialzo termico stagionale, e che determina la diminuzione di acidità del vino, garantendo maggior morbidezza e equilibrio al prodotto finale. È un tipo di fermentazione apprezzata per i vini rossi, ma che attualmente viene indotta anche durante la preparazione di alcuni vini bianchi importanti, destinati a periodi di maturazione in barrique.


Il trattamento e la correzione del mosto Prima di essere vinificato, il mosto può essere sottoposto ad alcuni trattamenti che lo rendono più limpido, stabile e qualitativamente migliore, oppure a processi che ne correggono le caratteristiche, per compensare eventuali difetti o carenze. Tra i trattamenti ricordiamo: • la chiarificazione, la centrifugazione e le filtrazioni, per ottenere maggiore limpidezza; • il termocondizionamento a basse temperature, che diminuisce la solubilità delle particelle solide nel mosto e ne favorisce la precipitazione; • la concentrazione e l’osmosi inversa, due procedimenti che permettono di concentrare il liquido senza alterarne le caratteristiche organolettiche, separandolo (con osmosi inversa) in parte dalle molecole d’acqua; • l’utilizzo di anidride solforosa, la quale elimina i batteri, blocca la fermentazione e i processi ossidativi (nei vini bianchi), accelera la solubilizzazione delle sostanze presenti nelle bucce (in quelli rossi), fa precipitare le fecce (chiarificazione), produce il “mosto muto” (cioè che non fermenta più). Le correzioni, invece, possono favorire l’aumento o la diminuzione di: • grado zuccherino, se la maturazione è stata incompleta; tuttavia, si ricorda che la legislazione italiana vieta l’uso di saccarosio nella vinificazione, per cui si ricorre a tagli con mosti più o meno ricchi di zucchero; esempi in tal senso sono il cosiddetto mosto concentrato e rettificato (MCR), che si ottiene facendone evaporare l’acqua e creando un mini-mosto, da utilizzare per integrare altri mosti carenti, oppure il mosto muto; • grado di acidità, se l’annata è stata fredda e umida; in tal caso, per elevare l’acidità, si ricorre all’uso di acido tartarico o citrico, mentre per ridurla si impiegano sali come il carbonato di calcio o si ricorre a tagli con mosti meno acidi.

I metodi di vinificazione Le tecniche impiegate per la vinificazione sono differenti a seconda del tipo di prodotto che si vuole ottenere, in particolare per quanto riguarda la vinificazione in rosso, in bianco e in rosato.

La vinificazione in rosso • Questo tipo di vinificazione è detta anche con macerazione, poiché le vinacce e il mosto restano a contatto per un ben determinato periodo di tempo:

• per produrre vini giovani e fruttati, la macerazione deve essere breve, da 4 a 5 giorni alla temperatura di 25-28 °C; in tal caso il vino avrà colore intenso poiché gli antociani, le sostanze colorate, passano nel mosto all’inizio della vinificazione; • per i vini adatti all’invecchiamento è necessaria una macerazione che superi i 20 giorni per favorire i processi estrattivi; in tal modo verranno ceduti i tannini, sostanze che hanno anche proprietà antisettiche e antiossidanti, utili per un corretto invecchiamento del prodotto. Per consentire il continuo contatto tra mosto e vinacce, poiché è in questa fase che avviene lo scambio tra i diversi componenti, bisogna sempre disperdere nel mosto il cosiddetto cappello, consistente nell’agglomerato compatto di vinacce che viene spinto in superficie dall’anidride carbonica durante la fermentazione. Le operazioni dette di follatura e di rimontaggio servono a evitare la comparsa di un processo ossidativo, che trasformerebbe l’alcol etilico in acido acetico, ma, nello stesso tempo, sono utili per far penetrare l’ossigeno nella massa liquida favorendo la crescita dei lieviti e per consentire il contatto delle vinacce con la parte liquida, per una migliore estrazione di pigmenti e tannini. Al termine della fermentazione, il vino nuovo, torbido e ricco di anidride carbonica, viene separato dalle sue vinacce mediante un travaso che prende il nome di svinatura; il vino nuovo, o “fiore”, è destinato, a seconda dei casi, alla conservazione in tini d’acciaio o in botti in legno, mentre le vinacce vengono sottoposte alla torchiatura, dalla quale si ottiene il vino torchiato. Quest’ultimo, meno pregiato di quello ottenuto dalla svinatura, può essere riunito con il vino “fiore”, se deriva da una torchiatura delicata, oppure lo si può utilizzare come prodotto finito di qualità inferiore ma di massima estrazione, se si utilizzano torchi continui a pressione elevata. Le vinacce esaurite vengono portate in distilleria, per essere sottoposte a distillazione, mediante la 133


quale produrre grappa. Durante il travaso, oltre a essere eliminate le parti solide e i residui, il vino viene a contatto con l’aria, comportando così una vantaggiosa ossigenazione e l’eliminazione di eventuali inconvenienti dovuti a un’eccessiva riduzione del prodotto (odore di feccino, d’idrogeno solforato, ecc.). Dopo la fermentazione malolattica, si passa poi a una serie di travasi e, prima che il vino venga imbottigliato, è sottoposto ancora alle fasi di stabilizzazione e di breve maturazione, grazie alle quali può raggiungere un miglior

equilibrio, diventando così una bevanda morbida e stabile. Nell’ambito della vinificazione in rosso, si utilizza talvolta una tecnica per produrre vini molto colorati: la termovinificazione. Infatti, per favorire la solubilizzazione degli antociani (che danno il colore), l’uva pigiata viene conservata a una temperatura di 50-70 °C per un periodo di 10-30 minuti, estraendo così tutte le sostanze coloranti. Il mosto viene successivamente fatto fermentare alla temperatura solita di di 25-30 °C.

Vinificazione in rosso

diraspatura e spremitura mosto + vinacce

fermentazione alcolica e macerazione svinatura vino

vinacce

fermentazione malolattica travasi in vasca maturazione e stabilizzazione

torchiatura vino da torchio

chiarificazione e filtrazione distillazione imbottigliamento

in botte

invecchiamento

mercato

mercato

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La vinificazione in bianco • La vinificazione in bianco è realizzata in genere con uve bianche ma talvolta anche con uve a bacca scura, poiché in questo tipo di produzione la macerazione delle bucce nel mosto è assente. Le vinacce, ricordiamo ancora una volta, cedono sia colore, sia tannini, ma rendono il vino bianco aspro e poco stabile. La prima fase di questa vinificazione è rappresentata dalla pigiatura che deve essere “soffice” e delicata, in modo tale da non schiacciare i vinaccioli che darebbero al mosto un sapore erbaceo e amaro. Con la successiva sgrondatura, invece, si separano le bucce e i vinaccioli dal mosto. A questo punto la fermentazione del mosto-fiore ha inizio, agevolata dall’introduzione di lieviti selezionati. Inoltre, la temperatura nella vinificazione in bianco è inferiore a quella in rosso e si assesta intorno a 18-22 °C. In seguito si procede con la svinatura per eliminare le “fecce”, rendendo così limpido il vino, anche se un’ulteriore pulizia può essere effettuata tramite centrifuga o con l’introduzione di chiarificanti. Dopo circa un mese di lavorazione, il vino è sottoposto a fasi di stabilizzazione come i travasi, la filtrazione, la refrigerazione e poi l’imbottigliamento. Generalmente, tuttavia, per non fare perdere aroma e sapidità al vino, si evita di innescare la fermentazione malolattica. Nelle bucce e nei vinaccioli vi sono sostanze necessarie ai vini rossi (come i tannini e le sostanze coloranti) ma negative per i vini bianchi: tuttavia, nella parte interna delle bucce risiedono però la maggior parte degli aromi. Per evitare tali problemi si impiega la criomacerazione o macerazione a freddo degli acini interi, che permette di estrarre il massimo degli aromi senza acquisire sostanze negative per il vino bianco. Con questo procedimento, per escludere danni alla qualità del mosto, si porta la temperatura a 5 °C, scendendo a 0-2 °C per un periodo che va da 10 a 24 ore. La rottura delle cellule dell’acino dovuta all’aumento del volume dell’acqua che congela, facilita l’estrazione delle sostanze odorose e dei precursori aromatici durante la successiva pressatura, limitando, invece, quella dei polifenoli. Con la criomacerazione si ottiene un vino ricco di aromi primari che richiamano l’uva dalla quale il vino è prodotto. La vinificazione in rosato • Un vino rosato può essere prodotto impiegando tre metodi:

• vinificando in bianco le uve rosse o limitando al minimo la macerazione delle bucce nel mosto, cioè non oltre le 36 ore a una temperatura di circa 8 °C, fino a ottenere il colore desiderato, e rallentando contemporaneamente la fermentazione; il mosto viene quindi spillato e fatto

Vinificazione in bianco

diraspatura e spremitura

mosto + vinacce criomacerazione (mosto + vinacce a bassa temperatura)

torchiatura

distillazione sgrondatura (separazione delle vinacce)

fermentazione alcolica

svinatura

travasi

filtrazione

refrigerazione

imbottigliamento

mercato

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fermentare alla stessa temperatura dei vini bianchi, cioè 16-18 °C, conservando così tutti gli aromi e i profumi; • vinificando uve a bacca rossa poco pigmentate e prive di tannini; • mescolando in uvaggio prima della pigiatura uve bianche e rosse, per poi procedere come al primo punto. In Italia non è consentito miscelare vini bianchi con vini rossi per ottenere vini rosati. I vini novelli • Il vino novello è prodotto con un procedimento diverso da quelli che abbiamo considerato finora, poiché si ottiene con la macerazione carbonica, che si effettua sistemando grappoli interi di uva in vasche saturate con anidride carbonica e chiuse ermeticamente per 5-10 giorni, alla temperatura di 30 °C. Inoltre, per evitare pericolose ossidazioni, l’ambiente in cui si trova l’uva viene saturato con anidride solforosa. Si favorisce così la produzione di sostanze profumate e di glicerina, mentre i pigmenti passano dalla buccia alla polpa e inizia la demolizione parziale dell’acido malico. Nell’uva ancora intera si verifica così il fenomeno della fermentazione intracellulare, quindi senza l’intervento dei lieviti, che sono aggiunti soltanto successivamente. In tali condizioni la quantità di acidi è inferiore rispetto a quella iniziale e si formano sostanze volatili che sviluppano un aroma particolare e un intenso profumo fruttato. Al termine della permanenza in vasca, tutta la massa viene pigiata e posta nei tini di fermentazione in cui, nel giro di pochi giorni, termina la trasformazione degli zuccheri in alcol.

Il vino così ottenuto, che giungerà a maturazione dopo breve tempo, deve essere imbottigliato e consumato in pochi mesi, poiché ha livelli tannici molto bassi e quindi, è un prodotto privo della struttura necessaria per tollerare l’invecchiamento. In Francia, la legislazione prevede che il 100% del vino contenuto in una bottiglia di Beaujolais Nouveau sia prodotto con il metodo sopra descritto, utilizzando esclusivamente uva Gamay. La legislazione italiana, invece, è meno restrittiva, richiedendo, per definire un vino “novello”, che almeno il 30% delle uve abbia subito la macerazione carbonica e che il restante 70% di vino possa derivare dalla più fermentazione tradizionale. Tuttavia, questo aspetto comporta che si possono trovare in commercio novelli con una percentuale di vino ottenuto da macerazione carbonica variabile dal 30 al 100% e, quindi, molto differenti gli uni dagli altri. Inoltre, tra Italia e Francia vi sono a questo proposito due differenze rilevanti: • i vitigni utilizzati per questa tecnica nel nostro Paese sono moltissimi e non uno soltanto come oltralpe; • la data d’inizio della commercializzazione in Italia è il 6 novembre dell’annata di produzione delle uve utilizzate, mentre la legge in Francia prevede l’uscita sul mercato a partire dal terzo giovedì di novembre. Infine, ricordiamo che è un errore comune quello di confondere il vino nuovo con il vino novello, poiché si tratta di due prodotti distinti, perché ottenuti con metodi di vinificazione diversi.

L’evoluzione del vino L’evoluzione di un vino avviene per mezzo di una serie d’importanti fenomeni fisici, chimici e biologici che si svolgono a carico dei suoi elementi costitutivi, portandolo ad acquistare speciali caratteristiche organolettiche. Questo processo prende avvio alla conclusione della fermentazione, quando il vino viene fatto maturare in recipienti di conservazione, che possono essere di acciaio, vetroresina o legno, affinando e mutando lentamente tutte le sue caratteristiche. Ciò nonostante, non tutti i vini sono idonei a subire l’invecchiamento: infatti, mentre alcuni migliorano nel tempo, quelli di pronta beva perdono ogni piacevolezza. Il processo di evoluzione del vino va distinto in due fasi: maturazione e invecchiamento. La maturazione è compresa fra la fermentazione alcolica e l’imbottigliamento. Durante questa fase, il vino si stabilizza, illimpidisce e, se avviene la fermentazione malolattica, attenua le sue durezze. La maturazione del vino può avvenire in diversi modi.

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Il riposo soltanto in vasche di acciaio è il metodo più usato per i vini bianchi, rosati e rossi da bersi giovani. Il vino, in questo caso, mantiene l’integrità dei caratteri originari del vitigno. Il riposo di qualche mese in acciaio e successivo periodo di riposo in botti di legno di diversa dimensione è usato per vini bianchi o rossi con una certa struttura che, pertanto, non temono periodi di maturazione più lunghi. Il vino mantiene così le sue caratteristiche organolettiche e sviluppa nuovi profumi grazie al riposo finale nel legno. Il riposo direttamente in botti di legno di diverse dimensioni fa sì che il vino acquisti maggiore complessità, poiché le microporosità del legno lo mettono in contatto indiretto con l’ambiente esterno, permettendo che avvengano lentissimi scambi di ossigeno. Il processo evolutivo del vino a contatto con il legno è variabile a seconda delle dimensioni delle botti ed è tanto più veloce quanto maggiore è il rapporto tra la superficie del legno e il volume del vino. Fino a qualche decennio fa si utilizzavano botti di grandi dimensioni mentre oggi si ricorre, molto spesso, alle barrique, che hanno dimensioni più contenute e rendono più rapida l’evoluzione del vino. Si dice, inoltre, sur lie il riposo del vino in botte a contatto con i lieviti (lie, feccia con lievito) di fermentazione, proteggendolo così dalle ossidazioni e arricchendone la struttura e il profumo. Insieme a questa tecnica viene applicato il batonnage, che consiste nel rimescolare periodicamente i lieviti di fermentazione riportandoli in sospensione.

Fra i vari tipi di maturazione, è però quella nel legno che agisce maggiormente su numerose caratteristiche del vino, quali il colore, il profumo e il sapore. • Colore. Nei vini rossi il colore sfuma verso tonalità granate e aranciate. Queste trasformazioni sono dovute alla presenza dell’ossigeno, che causa l’ossidazione dei tannini e degli antociani. Nei vini bianchi il colore 137


passa, invece, dal giallo paglierino al dorato, fino a sfumare nelle tonalità dell’ambra e del topazio tipiche di alcuni vini passiti o liquorosi. • Profumi. Il vino si arricchisce e assume sentori evoluti, con sfumature di spezie e confetture, di frutta secca e sotto spirito, di fiori appassiti e cuoio, di pelliccia e caffè, di cacao o tabacco. Questi profumi sono dovuti alla formazione di eteri, esteri e acetali per reazione tra diversi tipi di alcoli portati dal vino e dal legno, nonché tra acidi e aldeidi. • Gusto. Grazie all’ossidazione dei tannini e alla trasformazione degli acidi, il gusto del vino diventa più morbido ed equilibrato. I tannini, in particolare, perdono l’aggressività giovanile e acquistano toni più morbidi. Con l’invecchiamento si giunge al processo conclusivo per la formazione del vino e, salvo qualche eccezione, è una pratica enologica riservata ai vini rossi. Un vino invecchiato presenta un sapore più morbido e armonico, un colore meno intenso e con riflessi ambrati, associati a un profumo più accentuato, etereo e delicato. L’invecchiamento è un processo naturale assai lento, che comprende due fasi molto diverse fra loro: • ossidativa, durante la quale il vino matura in botti di legno di piccole dimensioni (barriques), ossidandosi grazie all’ossigeno che penetra dai pori del legno; • riduttiva, nella quale il vino si affina in bottiglia, quindi senza venire a contatto con l´aria.

Trattamenti e correzioni del vino Il vino messo a maturare prima dell’imbottigliamento è sottoposto a una serie di interventi, al fine di esaltarne le caratteristiche e garantirne la stabilità. L’operazione iniziale è il travaso, il primo dei quali avviene, come si è già visto, con la svinatura. Per i vini bianchi si effettua al massimo un secondo travaso, mentre per i vini rossi, che continuano a produrre residuo, ne sono necessari fino a cinque durante il primo anno, che si riducono in modo scalare negli anni successivi. Il vino contenuto nelle botti è soggetto anche a una diminuzione di volume, sia per evaporazione o per contrazione dovuta al freddo, sia per assorbimento da parte delle pareti delle botti. Inoltre, siccome il contatto con l’ossigeno è dannoso per il vino, che può cambiare colore, risultando anche più esposto a contrarre malattie, per questi motivi si provvede a continue colmature. Le botti moderne generalmente sono fornite di un tappo colmatore, che segnala il livello del contenuto e lo ripristina automaticamente. In zone dove la temperatura raggiunge valori alti, il vino contenuto nelle botti può, invece, aumentare di livello: per evitare perdite del contenuto si provvede allora a rimuovere una certa quantità di liquido tramite la scolmatura. Oltre ai normali trattamenti del vino, è necessario provvedere ad alcune correzioni e stabilizzazioni per fare in modo che il vino non si modifichi nel tempo. Le principali correzioni riguardano: • il titolo alcolometrico, poiché la quantità di alcol nel vino può essere aumentata eliminando parte dell’acqua, ricorrendo alla refrigerazione;


• l’acidità, in quanto, in presenza di vino con acidità elevata, la si corregge immettendo sali come carbonato di calcio, bicarbonato di potassio oppure tartrato neutro di potassio, così da fare precipitare gli acidi in eccesso; se al contrario l’acidità è bassa, la si può aumentare aggiungendo acido citrico e acido tartarico; • il colore, in quanto se è troppo intenso, si interviene con trattamenti a base di carbone vegetale decolorante, che prima di sedimentare assorbe parte delle sostanze pigmentanti e le trattiene in modo tale da permettere poi di eliminarle con una semplice filtrazione; in caso contrario, il colore viene intensificato tagliando il vino con altri più colorati; • i tannini, esaltati dal travaso del vino in botti di legno di quercia o di castagno, nuove e di piccole dimensioni.

potrebbero causare alterazioni al vino; questa tecnica non viene applicata, però, ai vini pregiati, bensì ai prodotti mediocri, che potrebbero stazionano a lungo sugli scaffali di un supermercato e sono chiusi con tappi di scarsa qualità; • la rifermentazione, impiegata per rendere il vino più vivace oppure per correggerne lievi difetti; per tali scopi si aggiungono mosto concentrato addizionato di lieviti, vinacce di qualità, mosto muto e filtrato dolce, che fanno ripartire la fermentazione.

Tra le azioni di stabilizzazione ricordiamo, invece:

L’imbottigliamento e la tappatura

• la chiarificazione, per ottenere la quale si aggiungono al vino sostanze (come colla di pesce e albumina) in grado di catturare le particelle che rendono torbido il prodotto, che verranno poi eliminate tramite filtrazione; • la filtrazione, con la quale le sostanze sospese nel vino sono eliminate mediante filtri a piastre, a carbone e a membrane sterilizzanti; a seconda delle dimensioni delle particelle parleremo, quindi, di filtrazione sgrossante, brillantante o sterilizzante; • la centrifugazione, che separa, grazie alla forza centrifuga, le particelle grossolane in sospensione nel vino; • la refrigerazione, utile per eliminare i sali dell’acido tartarico, come anche i tannati e i fosfati depositati nel vino; • la pastorizzazione, che si effettua scaldando il vino intorno a 70°C, così da distruggere lieviti e batteri che

Al termine delle varie lavorazioni, il vino deve essere imbottigliato. Anche se talvolta questa operazione viene sottovalutata da chi è inesperto, in realtà si tratta di un’operazione importante, poiché è proprio nella bottiglia che ha termine la lunga produzione del vino ed è in questo contenitore che affina le proprie caratteristiche organolettiche. Inoltre, è molto importante che durante l’imbottigliamento sia garantita la massima igiene, poiché l’eventuale presenza di batteri potrebbe danneggiare in modo irreparabile il vino. Per quanto riguarda, invece, la scelta delle bottiglie, si può contare su una gamma piuttosto ampia, tanto che è possibile trovarne in commercio di forma, spessore, colore del vetro e capienza diversi. In particolare, la scelta del tipo di bottiglia è strettamente legata al tipo di vino da imbottigliare. Nella tabella, a titolo di semplificazione, elenchiamo alcuni tipi di bottiglie, in relazione al vino che possono contenere.

Una bottiglia per ogni vino Tipo di bottiglia

Colore

Vino contenuto

Bordolese

Verde o marrone scuro o incolore per i bianchi

Vini a medio o lungo invecchiamento

Borgognona

Vario

Vini fermi bianchi e rossi

Renana

Verde chiaro o bianco

Vini bianchi

Champagnotta

Verde

Vini spumanti di prestigio

Marsalese

Marrone scuro o nero

Marsala

Porto

Verde o marrone scuro

Vini e liquori della penisola iberica

Ungherese

Trasparente

Tokaji ungherese

Albeisa

Scuro

Vini rossi come il Barolo

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Ricordiamo, inoltre, che una bottiglia di colore chiaro rende più attraente un vino bianco o rosato, nonostante sia inadatta a proteggerlo dagli effetti negativi della luce, che può facilitare fenomeni di ossidazione e imbrunimenti. Per quanto riguarda, invece, la tappatura delle bottiglie, essa è realizzata con tappi di sughero per i vini di qualità, mentre per quelli da consumarsi in breve tempo si usano materiali alternativi, come plastica e silicone. La scelta del tappo di sughero deve essere accurata perché garantisce la qualità del vino. Il sughero è un materiale naturale, che si ricava asportando la corteccia di una specie di quercia (Quercus suber) diffusa prevalentemente lungo il bacino mediterraneo occidentale. L’alterazione nota come “sapore di tappo” è riconducibile nel 70-80% dei casi alla presenza di tricloroanisolo (TCA) e non al sughero stesso. Si ritiene, infatti, che in genere la

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formazione del TCA derivi dall’interazione di particolari muffe con il cloro utilizzato nelle fasi di lavaggio pulizia e sbiancatura del sughero. Il tipo di tappo di qualità migliore è senza dubbio il massello, ricavato, cioè, da un unico pezzo di sughero, seguito dai tappi agglomerati, costituiti da granuli di sughero uniti con uno speciale collante, e dai tappi birondellati o tecnici, simili a quelli agglomerati, con l’aggiunta, però, di due cilindri di sughero intero (rondelle) alle estremità. Per i vini non destinati all’invecchiamento si ricorre, invece, al tappo sintetico, spesso in silicone, oppure ai tappi a vite e a quelli a corona. Attualmente si utilizzano anche i tappi in vetro, dotati di un anello di gomma per sigillare ermeticamente il contenuto della bottiglia: seppure siano eleganti e funzionali, risultano, però, molto più costosi degli altri tipi.


• fosfatica e ferrica, provocate dall’eccesso di residuo di ferro che genera un’ossidazione con l’ossigeno contenuto nel vino; nella prima forma, lo ione fosfatico si lega con parte del ferro, dando vita a una precipitazione bianco-grigiastra e lattiginosa che, nel secondo caso, è bluastra, per la formazione di tannato ferrico; i vini più esposti a questa alterazione sono quelli bianchi, non ancora stabilizzati; • proteica, che è dovuta a un eccesso di polifenoli, i quali generano alterazioni riconoscibili come depositi di colore biancastro, tipici dei vini bianchi; l’unica prevenzione è una corretta pratica enologica; • rameosa, nella quale il rame, ceduto in ambiente scarso di ossigeno, precipita, formando una sostanza di colore rosso-giallastro; in questo caso, è opportuno attuare pratiche di chiarificazione e utilizzare la bentonite.

I difetti • I difetti sono rappresentati da odori e sapori sgradevoli, in genere legati a fattori esterni al vino, derivati da errori o problemi durante la fase produttiva. I più comuni sono l’odore di:

Alterazioni, difetti e malattie del vino Le buone condizioni igieniche delle cantine odierne, nelle quali si esegue la vinificazione, rendono minima l’insorgenza di alterazioni, difetti e malattie del prodotto. Tuttavia, può capitare che, nonostante ogni accortezza, insorgano ugualmente difetti e malattie che rovinano irrimediabilmente il vino, rendendolo inadatto al consumo e alla commercializzazione. Le alterazioni • Le alterazioni di un vino sono modificazioni del suo aspetto, in paricolare della limpidezza e del colore, consistendo in rotture (casse in francese) dei legami chimici del prodotto. Il vino può essere protetto inserendo gas per evitarne l’ossidazione, oppure unendo sostanze de-proteinizzanti o ancora aggiungendo acidi particolari, in grado di impedire che i metalli si leghino con altri componenti del vino. Le rotture sono distinte in:

• ossidasica, consistente in un’ossidazione causata da enzimi che trasportano l’ossigeno e lo fissano alle molecole del vino; l’effetto è l’intorbidimento del prodotto, che si previene con la corretta chiarificazione del vino e con l’introduzione di anidride solforosa nella veste di antiossidante.

• tappo, un difetto olfattivo-gustativo che colpisce circa il 7% delle bottiglie sul mercato e si manifesta quando il sughero viene attaccato dalla muffa Armillaria mellea; • feccia, che si riscontra quando il vino non è opportunamente travasato; questo difetto, tipico del vino giovane, si evita arieggiando il liquido con tempestivi travasi; • muffa, il cui sentore è dovuto alla presenza di muffe sull’uva, alla contaminazione batterica, nonché a una cattiva conservazione e pulizia delle botti; • svanito, noto anche come mal di bottiglia, che è provocato da travasi eseguiti con eccessivo arieggiamento, con la conseguenza che il vino perde i tipici profumi; • solforizzazione, che si avverte quando la presenza di anidride solforosa (SO2) è eccessiva, così che il vino acquista un sapore amaro e pungente; l’acido solfidrico (H2S) conferisce, invece, l’odore di uova marce e i mercaptani (altri composti con lo zolfo) un odore agliaceo; • maderizzazione, consistente in un fenomeno dovuto all’eccessiva ossidazione delle sostanze polifenoliche del vino, che, per la presenza di composti come l’acetaldeide, imbrunisce e diviene maderizzato; alcuni vini, però, come per esempio il madeira (da cui il nome), sono ottenuti proprio favorendo questo processo, che li rende unici nel loro genere. 141


Le malattie • Le malattie del vino sono causate da batteri acetici e lattici oppure da lieviti. I vini colpiti da malattie sono quelli con bassa gradazione alcolica e con poca acidità, che risultano così più esposti allo sviluppo microbico. Tra le principali malattie ricordiamo:

• fioretta, provocata da funghi lievitoidi aerobi, come la Candida e il Brettanomyces, che si manifesta con la formazione sulla superficie del vino di un velo biancastro, che si rompe in tanti piccoli fiorellini e, col passare del tempo, può intorbidire il vino, rendendolo piatto se non addirittura acetico; • spunto e acescenza, delle quali lo spunto è dovuto ai batteri acetici (aerobi) in presenza di ossigeno, ma si trasforma in acescenza quando la quantità di acido acetico aumenta notevolmente, tra 18° e 28 °C e in un vino con titolo alcolometrico minore di 13% Vol.; in questo caso, il colore del prodotto è inalterato, ma l’odore è pungente, a causa dell’acetato di etile, e il sapore aspro; si evita tenendo le botti ben colme; • spunto lattico (agrodolce o fermentazione mannica), che si manifesta se il fruttosio è presente in eccesso e l’uva ha poca acidità; in tal caso, il vino viene attaccato dai batteri lattici anaerobi che lo trasformano in acido acetico e lattico; il sapore, tuttavia, è dolce e allo stesso tempo aspro, mentre l’odore ricorda quello della frutta troppo matura; • girato (fermentazione tartarica o sobbollimento), che si verifica quando i batteri lattici anaerobi attaccano l’acido tartarico, sviluppando acido lattico e acetico; ciò determina una leggera effervescenza dovuta alla liberazione di anidride carbonica; l’aspetto del vino è torbido, l’odore pungente e il sapore sgradevole; questa malattia si previene con la corretta igiene dei locali; • amarone, che si manifesta se i batteri lattici anaerobi attaccano la glicerina, formando sostanze di sapore amaro, mentre il colore vira verso tonalità giallastre; • filante (grassume), che compare in seguito alla rifermentazione malolattica, dovuta, per esempio, a un rialzo della temperatura, così che i batteri lattici e gli zuccheri residui formano una sostanza vischiosa e filante, che diminuisce agitando il vino; questa malattia è anche denominata grassume, poiché l’aspetto del prodotto è simile a quello dell’olio mentre il sapore diventa fiacco.

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Gli

GLI SPUMANTI

Un’ulteriore diversificazione deve poi essere fatta tra:

I vini che attraggono maggiormente il pubblico, per l’atmosfera che creano e per il fascino delle bollicine che sviluppano nel calice, sono certamente i vini spumanti, il più celebre dei quali è lo champagne. Da un punto di vista più tecnico, però, una prima classificazione che possiamo effettuare è quella tra:

• spumanti aromatici, per produrre i quali i vitigni più idonei sono la Glera (quella del prosecco), il Moscato, la Malvasia e il Brachetto; • spumanti non aromatici, i cui vitigni sono Chardonnay, Pinot Nero, Pinot Bianco e Pinot Meunier.

Il metodo classico o Champenoise • spumanti artificiali, dal costo basso e di qualità molto inferiore, costituiti da vini addizionati con anidride carbonica a basse temperature (0-5 °C) e a elevata pressione, per favorirne la solubilizzazione nel vino; • spumanti naturali, nei quali, invece, l’anidride carbonica si sviluppa in seguito a una seconda fermentazione. Quando si parla di VSQ, cioè di vini spumanti di qualità, ci si riferisce soltanto agli spumanti naturali. Infatti, alla base dei vini spumanti vi è un processo di rifermentazione, con la conseguente produzione di alcol e di anidride carbonica, che rimane disciolta nel vino: affinché ciò avvenga, è necessario che siano presenti zuccheri residui e cellule vive di lievito. La normativa europea prevede che si possano definire vini spumanti quei vini nei quali la concentrazione di anidride carbonica sia tale da esercitare una pressione di almeno 3 atmosfere (3,5 per i VSQ) alla temperatura di 20 °C. Gli spumanti naturali sono distinti ulteriormente in base al processo produttivo, che può essere: • il metodo classico o Champenoise; • il metodo Charmat o Martinotti.

Il metodo classico, inventato dal monaco benedettino Dom Pierre Pérignon (cantiniere, alla fine del Seicento, presso l’abbazia di Saint-Pierre d’Hautvillers, a nord di Épernay, nella regione chiamata Champagne), consiste essenzialmente in una rifermentazione lenta in bottiglia e in una maturazione piuttosto lunga sui lieviti. La produzione del vino base • Le uve per produrre il vino base non devono essere troppo mature ma nello stesso tempo devono avere una buona acidità. Esse sono poi sottoposte a pressatura “soffice”, in modo tale da estrarre il succo più nobile: il mosto fiore. Al termine della spremitura vengono rimosse le vinacce e il mosto è sottoposto a una prima fermentazione che terminerà a primavera, periodo in cui si procede all’assemblaggio, che avviene verso marzo aprile dell’anno successivo alla vendemmia, quando si scelgono le partite migliori per essere mescolate (in francese, cuvée). Tuttavia, la miscela di vini base può essere anche di annate precedenti. Per i vini spumanti e gli champagne si usano vitigni a bacca bianca, come lo Chardonnay, e uno a bacca rossa, come il Pinot Nero, vinificato in bianco. 143


Se l’etichetta della bottiglia di champagne riporta l’indicazione Blanc de Blanc, in questo caso la cuvée è formata soltanto da uve a bacca bianca, come lo Chardonnay e il Pinot Bianco, mentre se l’indicazione è Blanc de Noir il vino è ottenuto soltanto da uva a bacca nera, come il Pinot Nero e il Pinot Meunier. Un’indicazione importante è data dalla dicitura millesimato: in questo caso la cuvée è ottenuta da vini di un’unica annata di particolare pregio. Dal vino base al prodotto finito • Il vino base che si è ottenuto subirà, da questo momento in poi, una serie di lavorazioni, che elenchiamo secondo la loro successione temporale.

Aggiunta del liquore di tiraggio (addition de la liqueur de tirage). In questa prima fase, al vino base o alla cuvée viene aggiunta una miscela formata da un vino scelto allo scopo, addizionato con zucchero di canna, lieviti e sostanze minerali. Imbottigliamento. Il vino viene imbottigliato nelle champagnotte e chiuso con un tappo a corona; lo si sistema quindi orizzontalmente, alla temperatura di 10-12 °C e lo si lascia fermentare. Presa di spuma. A questo punto, la fermentazione viene protratta per quasi 6 mesi, alla temperatura costante di 10 -12 °C. Maturazione. Siamo giunti alla fase più lunga (molti disciplinari italiani e francesi prevedono almeno 18 mesi e addirittura 24 per i millesimati) ma anche più delicata, poiché i lieviti ormai morti liberano le sostanze aromatiche, comprese quelle che componevano le loro cellule, donando al vino i caratteristici profumi di lievito. Per favorire la maturazione, le bottiglie vengono quindi posizionate in cantine buie e al fresco, in posizione orizzontale e in grandi cataste. Per evitare incrostazioni di fecce, si procede allo sbancamento, mediante il quale le bottiglie sono spostate e riaccatastate. Rimozione delle fecce sui cavalletti. Nel momento in cui si ritiene finalmente concluso l’affinamento sui lieviti, le bottiglie vengono poste su cavalletti dotati di fori e con diversa inclinazione, detti pupitre, inizialmente in posizione orizzontale, ma facendo loro assumere la posizione verticale a mano a mano che si effettua il remuage o rimescolamento; così facendo i residui si concentrano nella bidule, un cilindro di plastica inserito sotto il tappo. 144


Sboccatura (dégorgement). In questa fase della lavorazione si eliminano le fecce accumulate nella bidule. Un tempo veniva tolto il tappo, si eliminavano le fecce e si tappava nuovamente la bottiglia; la tecnica moderna prevede, invece, di immergere la bottiglia in un liquido a -25 °C, in modo tale da congelare la parte contenente i residui. Stappando poi la bottiglia, la pressione espelle il ghiacciolo che imprigiona nella bidule il vino con le fecce, così che si elimina la parte indesiderata senza perdere liquido.

nome del vitigno) sono regolamentate, e quindi, in quanto espressamente riservate a determinate categorie di vini spumanti, sono vietate per quelli che non vi appartengono.

Aggiunta dello sciroppo di dosaggio. Il liquido eventualmente perso nella fase precedente viene ora reintegrato con la liqueur d’expédition, mediante la quale si effettua la colmatura. Lo sciroppo che costituisce il liqueur è una ricetta segreta di ogni produttore, ma è formato, in generale, da vino più o meno invecchiato, da zucchero di canna e, a volte, anche da qualche goccia di distillato; se, invece, non si effettua alcun dosaggio il vino spumante prodotto viene chiamato pas dosé. Tappatura finale. La bottiglia è infine tappata con un tappo di sughero a fungo e poi chiusa con la gabbietta metallica; per consentire, però, l’amalgama con lo sciroppo di dosaggio, la bottiglia deve riposare ancora alcuni mesi. Etichettatura. La data di sboccatura e la classificazione a seconda della quantità di zucchero (residuo zuccherino) presente sono obbligatorie, mentre alcune indicazioni facoltative (annata, zona geografica, metodo di elaborazione, 145


Il metodo Charmat L’ideazione di questo metodo, che consente di ottenere spumanti utilizzando autoclavi, avviene nel 1895 ad opera di Federico Martinotti (1860-1924), direttore dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, che lo invento nel 1895, anche se fu poi perfezionato e brevettato dall’ingegnere francese Eugène Charmat, nel 1910. In questo metodo di spumantizzazione non è prevista la rifermentazione in bottiglia e, di conseguenza, è una tecnica produttiva più rapida del metodo classico. I vini più adatti a essere preparati con questo metodo sono il Prosecco, il Moscato e la Malvasia, quindi, provenienti da uve aromatiche e semi-aromatiche, in genere, tra l’altro, poco alcoliche. Il vino-base viene inserito in autoclavi in acciaio inossidabile da 100 a 500 hl, cioè in contenitori in grado di sopportare fino 12 atm di pressione. Al vino vengono aggiunti i lieviti selezionati, gli zuccheri e i sali minerali che, con una temperatura variabile da 12 a 20 °C, danno inizio alla rifermentazione. La temperatura di fermentazione nell’autoclave è controllata dal

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liquido refrigerante che scorre nelle intercapedini. L’autoclave viene chiusa con l’inizio della fermentazione, che si protrae fino a quando si ottiene la gradazione alcolica desiderata. Le fasi successive alla rifermentazione, cioè i filtraggi e l’imbottigliamento finale, avvengono in condizioni isobariche (con l’identica pressione) in modo tale da non disperdere l’anidride carbonica e gli aromi freschi, fruttati e floreali tipici di questo prodotto. Gli spumanti dolci • Con il metodo Charmat otteniamo anche gli spumanti dolci, per preparare i quali è sufficiente fermare la rifermentazione, permettendo così di far risaltare i profumi primari delle uve. Il liquido refrigerante che circola sotto le vasche, consente di portare la temperatura sotto 0 °C; questo brusco abbassamento di temperatura blocca la rifermentazione: gli zuccheri, quindi, invece di trasformarsi in alcol, restano disciolti nel vino. Alla fine del processo, per eliminare i lieviti che altrimenti riprenderebbero la fermentazione all’aumentare della temperatura, questi vini vengono sottoposti a una filtrazione sterilizzante prima dell’imbottigliamento.


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I VINI DOLCI Gli archeologi sono d’accordo nel ritenere che nell’antichità greco-romana i vini prodotti fossero per la maggior parte dolci: ciò è plausibile sia perché le conoscenze riguardanti il processo di fermentazione erano limitate, sia perché i lieviti contenuti nell’uva cresciuta col clima caldo dell’area mediterranea difficilmente portavano a termine la fermentazione degli zuccheri. Oggi, però, molte cose sono cambiate per quanto riguarda la preparazione dei vini dolci.

La produzione dei vini dolci L’alcol nel vino, come abbiamo già visto, è il prodotto della fermentazione che avviene grazie ai lieviti che trasformano appunto lo zucchero presente nel mosto in una determinata quantità di alcol e anidride carbonica. Di conseguenza, la sensazione di dolcezza tipica di questo tipo di vini è dovuta proprio alla quantità di zuccheri non fermentata, cioè agli zuccheri residui. L’alcol complessivo del vino è la somma dell’alcol svolto, cioè quello indicato in etichetta, e di quello potenziale, che si otterrebbe se si facessero fermentare anche gli zuccheri residui; nei vini dolci la differenza tra alcol svolto e potenziale oscilla tra +2 e –2 gradi. Per ottenere zuccheri residui è necessario, quindi, interrompere la fermentazione, che può anche avvenire naturalmente, oppure con il freddo e mediante la fortificazione.

• Naturalmente. I lieviti, in genere, diventano inattivi quando la quantità di alcol è di circa 14°, un limite variabile a seconda del tipo di lievito e della temperatura della cantina, quindi, se l’uva è molto zuccherina a 14° gli zuccheri contenuti non vengono più fermentati. Questo processo si verifica per i vini passiti naturali, per i vini da uve botritizzate (con Botrytis) e per vini ottenuti da uve sovramature oppure passite sulla pianta e congelate naturalmente in zone molto fredde. I vini che si ottengono in questo modo sono corposi e adatti all’invecchiamento. • Con il freddo. Grazie a questa tecnica si ottengono vini dolci frizzanti e spumanti: il vino, o meglio, il mosto semi-fermentato, prima dell’imbottigliamento, è quindi privato dei lieviti, per evitare la ripresa della fermentazione in bottiglia. Questa operazione si esegue con la pastorizzazione o con la filtrazione sterile. I vini ottenuti avranno di conseguenza una bassa gradazione alcolica ma saranno freschi e aromatici. Non sono adatti, invece, all’invecchiamento. • Con la fortificazione. La fortificazione è un processo che consiste nell’aggiungere alcol al vino, che prende quindi il nome di vino liquoroso: i vini fortificati più famosi sono il porto, il madeira, lo sherry e il marsala. I vini liquorosi sono sia rossi sia bianchi e vengono fortificati con l’aggiunta di mistella, alcol etilico, acquavite di vino, mosto concentrato o cotto, in tempi diversi a seconda del prodotto che si 147


desidera ottenere. Per mistella, o sifone, si intende il prodotto ottenuto da un mosto di gradazione alcolica complessiva naturale non inferiore a 12°, reso infermentescibile mediante l’aggiunta di acquavite di vino oppure di alcol in quantità tale da portare la gradazione alcolica svolta a non meno di 16° e a non più di 22°.

I vini passiti I vini passiti sono prodotti utilizzando le stesse tecniche di vinificazione impiegate per i vini normali. L’uva però, prima di essere vinificata, è sottoposta a un appassimento più o meno prolungato, riducendo così, o eliminando, l’acqua presente nell’acino, che evapora grazie alla sovramaturazione, lasciandovi una maggiore ricchezza di zuccheri e di sostanze estrattive che poi nel vino determinano un maggiore tenore alcolico e zuccherino. L’appassimento può essere effettuato in due modi. La prima tecnica lascia appassire gli acini d’uva direttamente sulla pianta, mediante: • vendemmia tardiva, che prevede la sovramaturazione dell’uva per alcune settimane, aumentando la concentrazione degli zuccheri e provocando la prevalenza del fruttosio, più dolce del glucosio; • sviluppo di muffa nobile (Botrytis cinerea), che avvolge

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l’acino in una sorta di feltro, provocando un appassimento per evaporazione e conferendo alle uve aromi e sapori particolari. La seconda tecnica lascia appassire i grappoli o gli acini d’uva, dopo essere stati vendemmiati: Si deve tuttavia ricordare che lo sviluppo della cosiddetta muffa nobile si verifica soltanto in certe aree, con particolari condizioni ambientali e climatiche (predilige la buona umidità ma non i climi caldi). I vini ottenuti grazie a essa sono detti vini muffati o vini botritizzati. La comparsa della muffa nobile nei vigneti è complessa da gestire per il viticoltore e rappresenta comunque una situazione di rischio, in quanto, se le condizioni non sono favorevoli, tale muffa può facilmente degenerare, dando un marciume che rovina le uve, rendendole inutilizzabili. • in ambiente aperto, stesi al sole su stuoie o graticci, come per il Moscato di Pantelleria; • in ambiente chiuso, dentro appositi locali dove vi sono particolari condizioni di temperatura e umidità, come avviene per il Recioto di Soave. Con l’appassimento, l’evaporazione dell’acqua è maggiore, così che risulta più elevata la concentrazione delle sostanze negli acini. Dopo l’appassimento, le uve vengono pressate e vinificate e il periodo di affinamento può durare anche alcuni anni.


I vini speciali Sono denominati vini speciali quelli che, dopo il processo di vinificazione, e prima di essere immessi sul mercato, vengono sottoposti a ulteriori interventi tecnici o all’aggiunta di altri componenti.

Esistono poi i vini di ghiaccio, che sono ottenuti dalla vinificazione di grappoli d’uva raccolti soltanto a gennaio, quando sono avvolti da un sottile strato di ghiaccio. In questo periodo invernale l’acino si disidrata in modo naturale, concentrando così gli zuccheri, gli acidi e gli estratti dell’uva, intensificando l’aroma e conferendo grande complessità. In questo caso, la vendemmia viene effettuata a mano, raccogliendo e scegliendo acino per acino, a una temperatura attorno a –10 °C e quasi sempre di notte. L’uva è poi pressata con un freddo estremo, in modo tale che l’acqua presente rimanga ghiacciata e venga raccolta soltanto qualche goccia di succo concentrato. Nascono così i pregiati Eiswein, come vengono chiamati in Germania e in Austria, e gli icewine del Canada. Se i vini passiti vengono addizionati con alcol o mosto fermentato, danno luogo ai vini passiti liquorosi. È importante precisare che, pur essendo i vini passiti essenzialmente dolci, alcuni vini prodotti con uve fatte appassire, come per esempio l’Amarone della Valpolicella, sono vini secchi e, quindi, non danno al palato la stessa sensazione di dolcezza. Per produrre vini dolci molto più velocemente, e senza dubbio con un costo minore, ma con metodi poco nobili, in alcune Nazioni si dolcifica, con l’aggiunta di zucchero poco prima dell’imbottigliamento, il vino secco. In diversi Paesi, come l’Italia, questa pratica è vietata per legge, ma anche dove è consentita, sicuramente i produttori di qualità evitano questo “trucco” perché è facilmente riconoscibile e il risultato è alquanto discutibile.

• Vini aromatizzati. Per prepararli, si aggiungono, a un vino base neutro, acquavite di vino, alcol etilico, saccarosio, erbe e infusi: un esempio famoso è rappresentato dal vermut, un vino piemontese con erbe aromatiche, assenzio, caramello (nella versione rosso) e scorze di arance. Il vermut fu inventato nel 1786 da Antonio Benedetto Carpano a Torino, il quale coniò questo nome riadattando il termine Wermut, con il quale è chiamata la specie erbacea artemisia maggiore (assenzio) in lingua tedesca. • Vini spumanti. La loro denominazione deriva dalla presenza di bollicine, dovute all’anidride carbonica sviluppatasi in fase di seconda fermentazione. • Vini liquorosi. Sono tali poiché, durante la preparazione, si aggiunge del mosto o del distillato di vino, così che il prodotto raggiunga almeno i 15°.

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da una tazzina d’argento, del diametro di 8 cm, da portare al collo, utilizzata per assaggiare il vino scelto dagli ospiti. Tuttavia, oggi il tastevin è ormai soltanto un simbolo di questa professione, poiché per esaminare le caratteristiche di un vino, il sommelier si serve del bicchiere di degustazione. Oltre al tastevin e al bicchiere di degustazione, il sommelier utilizza alcuni strumenti, fondamentali per svolgere opportunamente il suo ruolo in sala.

Il

IL SERVIZIO DEL VINO Il vino, nella cultura e nella tradizione gastronomica italiana, è un componente fondamentale del pasto. Di conseguenza, la sua scelta e il servizio che ne consegue sono momenti importanti, che possono anche qualificare, in positivo o in negativo, il ristorante nei confronti della clientela.

Cavatappi professionale. Denominato anche cavatappi a leva, esso è dotato di un coltellino per incidere ed eliminare la capsula presente sulla bottiglia. Questo strumento è dotato del verme, una spirale in acciaio che viene inserita al centro del tappo per estrarlo.

Il sommelier Nei ristoranti, il servizio del vino è affidato a uno specifico professionista all’interno della brigata di sala: il sommelier. Egli ha il compito di consigliare alla clientela il vino più adatto, in base al menù scelto e, di conseguenza, deve avere una conoscenza globale su questo prodotto, dalla produzione fino al momento del servizio. Attualmente, però, il sommelier sta assumendo sempre più funzioni manageriali, poiché svolge anche gli incarichi di acquistare vini, di elaborarne la carta e di organizzare la cantina. Per svolgere in modo ottimale questo ruolo, è quindi indispensabile possedere, oltre che spiccate doti comunicative, un’ottima cultura di base e la conoscenza almeno delle principali lingue europee, associando il tutto a un aggiornamento professionale continuo.

Gli strumenti del sommelier • Il sommelier, nel compiere le proprie mansioni, dispone di una serie di attrezzi, anche se quello che attira maggiormente l’attenzione dei clienti è senza dubbio il tastevin, costituito 150

Pinza. Usata per il servizio dello spumante, essa agevola l’estrazione del tappo.


Tappo stopper. Si tratta di un tappo che evita la fuoriuscita di anidride carbonica dagli spumanti e dai vini frizzanti, garantendo, tramite la molla di cui è dotato, il mantenimento della pressione all’interno della bottiglia.

Secchiello per il ghiaccio. È utilizzato per raffreddare vini bianchi, rosati e spumanti o per mantenerne bassa la temperatura. Viene sistemato sopra la colonna, detta stand, che si colloca vicino al tavolo del cliente.

Cestello portabottiglia. Lo si usa se la bottiglia prelevata dalla cantina ha fatto un lungo affinamento e, quindi, presenta sedimenti: infatti, mantenendone la posizione inclinata, si impedisce ai depositi di ritornare in sospensione nel vino. Decanter o caraffa da decantazione. Il decanter, generalmente in cristallo, svolge diverse funzioni. Infatti, in esso si travasa il vino prima del servizio, in modo tale da far depositare eventuali sedimenti, oltre ad arieggiare il contenuto e, all’occorrenza, favorire la volatilizzazione delle sostanze che possono causare leggere imperfezioni olfattive.

Termometro a lettura rapida. Questo strumento, che ha una scala compresa tra 0 e 40 °C, si inserisce nel bicchiere di degustazione, dopo aver versato un po’ di vino, in modo tale da verificarne la corretta temperatura di servizio.

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La cantina e la cantina del giorno • Il sommelier, tra i vari compiti, ha anche quello di organizzare e gestire la cantina, che deve rispondere a precisi requisiti, in modo tale da perfezionare il lungo processo di maturazione del vino. Vediamo, allora, quali dovrebbero essere le caratteristiche della cantina perfetta.

Temperatura. Deve mantenersi tra 11 e 15 °C, poiché a temperature inferiori o superiori il vino si può deteriorare. È anche importante che in questo locale non ci siano bruschi e dannosi sbalzi di temperatura. Posizione. Se è possibile, la cantina deve essere scavata nella roccia, a circa 5 m di profondità, e deve essere orientata a nord. Areazione. Il riciclo dell’aria è un aspetto molto importante, poiché eventuali odori sgradevoli presenti nel locale potrebbero essere assorbiti dal vino; per questo motivo, è buona norma non conservare nella cantina dei vini alimenti con sapori forti. Umidità. Il tasso ideale deve essere tra il 65 e il 70%, infatti, percentuali maggiori favoriscono la formazione di muffe, mentre a temperature inferiori i tappi si restringono, consentendo all’aria di entrare nella bottiglia. Illuminazione. La luce deve essere ottenuta con lampade al sodio o schermate di bassa potenza e mai al neon. Inoltre, 152

non si deve utilizzare la luce diretta e, soprattutto, l’illuminazione deve essere attivata soltanto per il tempo strettamente necessario, così da evitare processi ossidativi. Vibrazioni. La cantina deve essere collocata lontana da fonti di vibrazioni, dannose per i vini destinati al lungo invecchiamento: infatti, se vengono scossi, i residui naturali depositati sul fondo della bottiglia si disperderebbero nel liquido. In cantina, le bottiglie devono essere riposte in scaffali, generalmente in legno (un materiale che attutisce le vibrazioni e che, essendo un isolante termico, mantiene costante la temperatura) e disposte in orizzontale, in modo tale che il tappo di sughero rimanga a contatto con il vino, mantenendo l’elasticità originale. È bene conoscere qual è l’ordine corretto da seguire nel riporre le bottiglie senza rovinare il contenuto. I vini da invecchiamento, per esempio, devono essere posti lontano dal pavimento, sia per evitare di assorbire umidità e odori, sia perché la temperatura dell’aria aumenta a mano a mano che si sale verso il soffitto. Per quanto riguarda la disposizione dei vini, partendo dall’alto, è utile seguire la sequenza: • • • • •

vini rossi maturi; vini rossi giovani; vini rosati; vini bianchi; spumanti e champagne.


L’organizzazione della cantina deve essere tale da consentire di reperire facilmente le bottiglie. Di conseguenza, su ogni ripiano è bene porre cartellini con il nome del vino, il produttore e l’annata. Nel registro della cantina, invece, si riporteranno il codice dello scaffale, il tipo di vino e il nome, la denominazione di origine, il produttore, la regione di origine, l’annata e così via. Queste indicazioni sono fornite, naturalmente, a titolo di esempio, poiché ogni cantiniere può organizzare gli scaffali nel modo preferito. Per quanto riguarda, invece, la cantina del giorno, o cave du jour, essa, in genere, è attigua alla sala del ristorante e contiene i vini da utilizzare durante il servizio della giornata. Per questo motivo è indispensabile che il sommelier conosca i piatti del menu del giorno, così da poter preparare i vini da sistemare in questa cantina, per proporli quindi all’avventore. In questo spazio troveranno posto sia frigoriferi per mantenere alla giusta temperatura i vini, sia il materiale necessario al servizio, come cestini, secchielli e caraffe. Ricordiamo, inoltre, che nello scaffale le bottiglie devono essere ordinate con lo stesso criterio impiegato per la cantina.

Le fasi del servizio Il sommelier, o un altro componente della brigata di sala, prima di servire il vino, deve predisporre il tavolo di servizio con tutto il necessario, composto da: un piattino con il cavatappi, un frangino pulito e il bicchiere da degustazione. Il servizio dei vini bianchi • Se la bottiglia del vino bianco è portata al tavolo nel secchiello del ghiaccio, prima di iniziare il servizio si deve estrarre e asciugare la bottiglia con l’apposito tovagliolo, senza nascondere l’etichetta con le mani. Si procede, quindi, come segue:

• si presenta al cliente la bottiglia ponendosi alla sua sinistra, mostrandola con l’etichetta rivolta in avanti; • con il coltellino del cavatappi, si incide, con un taglio netto, la capsula, sotto il secondo anello di vetro (baga); • si posa la capsula sul piattino apposito e, con un tovagliolo di servizio, si pulisce la parte superiore della bottiglia privata ormai della capsula; • si inserisce la spirale del cavatappi nel sughero, senza farlo uscire dalla parte opposta, tenendo ferma la bottiglia con la mano sinistra; • si toglie parzialmente il tappo con il cavatappi e si completa l’operazione utilizzando un tovagliolo, inclinando nello stesso tempo il tappo da un lato, per evitare qualsiasi rumore; 153


• si verifica l’assenza di difetti, annusando il tappo prima di riporlo sul piattino e passarlo al cliente, perché possa anch’egli controllarne lo stato; • si toglie con il frangino il tappo dalla spirale e lo si appoggia sul piattino; • si pulisce, sempre con il frangino, il collo della bottiglia; • si assaggia, quindi, il vino e si serve. Il servizio dei vini rossi • Sistemandosi alla sinistra dell’ospite, gli si deve mostrare, senza nascondere l’etichetta, la bottiglia o il cestino per i vini che la contiene. A questo punto:

• se i vini non sono particolarmente invecchiati, si procede al servizio come per i vini bianchi; • se i vini sono di lungo invecchiamento, si devono eseguire tutte le operazioni che seguono senza togliere la bottiglia dal cestino. Per servire un vino di lungo invecchiamento: • si incide con il coltellino la capsula e levarla; • si introduce la spirale del cavatappi a leva nel sughero e lo si estrae, utilizzando un tovagliolino;

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• si versa una piccola quantità di vino nel decanter, ruotandolo con ampi movimenti in modo tale da avvinarlo; • si preleva la bottiglia dal cestello, reggendola dalla base in modo appena inclinato e, ponendo la spalla della bottiglia davanti alla fiamma della candela, si inizia il travaso del vino, reggendo il decanter a circa 45° rispetto all’asse verticale; il travaso deve avvenire lentamente, interrompendolo quando iniziano a comparire i primi sedimenti nel collo della bottiglia; • si verifica la limpidezza del vino nel decanter e si versa una piccola quantità al commensale che lo ha ordinato, per l’assaggio di rito; se il cliente non riscontra alcun difetto, si inizia a servirlo, procedendo in senso orario. Il servizio dello spumante e dello champagne • Per prima cosa si deve disporre la bottiglia su un tovagliolo piegato in due e posizionato sul guéridon, sopra al quale si è preparato anche un bicchiere per l’acqua. Dopo di che si prosegue con questa sequenza di operazioni:

• si incide la capsula come si è già visto in precedenza e la si rimuove (talvolta sono presenti delle linguette che agevolano l’operazione); • si allenta e si toglie la gabbietta di metallo, facendo attenzione a che il tappo non parta improvvisamente; • si impugna la base della bottiglia con la mano destra, in modo tale da tenere il pollice sinistro sopra il tappo, iniziando così a far ruotare la bottiglia; • si tiene inclinata la bottiglia a 45°, per aumentare la superficie del liquido a contatto con l’aria, che limita la fuoriuscita di prodotto; • si estrae delicatamente il tappo, senza provocare il “botto”; • si raccoglie l’eventuale schiuma con il bicchiere per l’acqua collocato in precedenza sul guéridon; • si assaggia lo spumante o lo champagne e lo si serve ai commensali. Come versare correttamente il vino • Quando il sommelier ha assaggiato il vino prescelto e anche il cliente ha dato il suo parere favorevole, il sommelier:

• si sistema alla destra dell’ospite, e, tenendo la bottiglia con la mano destra, inizia a versare il vino, restando distante circa 10 cm dal bordo del bicchiere e avendo l’accortezza di riempirlo per 2/3; • ruotando la bottiglia a destra o a sinistra, il sommelier asciuga con cura il collo della stessa, aiutandosi con un tovagliolo;

Il servizio del vino deve iniziare prima dalle donne presenti al tavolo, si prosegue quindi con gli uomini e, infine, con l’ospite che ha scelto il vino, muovendosi in senso orario. Se la bottiglia è di formato Magnum, la si dovrà sorreggere con entrambe le mani: in particolare, il pollice della mano destra deve trovarsi nel fondo concavo, mentre la mano sinistra è posizionata nella parte inferiore del collo della bottiglia. Alcuni suggerimenti finali sono d’obbligo per migliorare il servizio. Se si servono vini bianchi o spumanti, il liquido deve cadere da una certa altezza, mentre i vini rossi si servono avvicinando la bottiglia al bordo del bicchiere, senza però toccarlo e avvolgendo la bottiglia con il frangino per asciugare le gocce. I vini rossi invecchiati devono essere serviti tenendo lo stelo del bicchiere tra l’indice e il pollice della mano sinistra e il decanter a destra; dopo aver avvicinato bicchiere e decanter, si versa il vino lentamente. Infine, senza compiere movimenti bruschi, si pone il bicchiere sul tavolo e lo si fa scivolare nella giusta posizione di fronte al cliente. 155


Le temperature ottimali di servizio dei vini Ogni vino, per essere gustato al meglio, deve essere servito a una certa temperatura, ideale per mantenere intatte le proprietà del prodotto. La tabella ci fornisce alcune indicazioni a questo proposito. Vini a temperatura si servizio Tipologia di vino

Temperatura ottimale di servizio

Vini bianchi secchi, giovani e fruttati

8-10 °C

Vini bianchi secchi, aromatici, abboccati, rosati

10-12 °C

Vini passiti e liquorosi bianchi

10-12 °C

Vini bianchi maturi e strutturati

12-14 °C

Vini rossi leggeri, fruttati e poco tannici

14-16 °C

Vini passiti e liquorosi rossi

14-16 °C

Vini rossi di media struttura e tanninicità

16 -18 °C

Vini rossi invecchiati di grande struttura e tanninicità

18-20 °C

Spumante e champagne

6-8 °C

Siccome quando il vino viene versato nei bicchieri tende a scaldarsi, è importante riuscire a mantenerne la temperatura ideale per tutto il servizio. Nel caso del vino bianco o dello spumante che richiedono valori di temperatura compresi tra 6 e 14 °C, è previsto l’uso del secchiello, contenente acqua e ghiaccio, che va collocato sullo stand o sul tavolo di servizio, appoggiato su un piatto coperto da un tovagliolo. I vini rossi devono essere serviti a una temperatura che ne esalti le peculiarità (morbidezza, profumi e così via.). In particolare, per un servizio ottimale dei rossi invecchiati, questi ultimi vanno stappati qualche ora prima di essere serviti, in modo tale da far prendere loro aria: poiché non sempre è possibile effettuare questa operazione preliminare, per ovviare a questa difficoltà si procede a farli decantare. I bicchieri da vino • I bicchieri svolgono un ruolo fondamentale per apprezzare le qualità del vino ed è quindi importante che il sommelier sappia scegliere il bicchiere più adatto alla bevanda che sta servendo. Nonostante siano di solito realizzati in vetro, i bicchieri migliori sono in cristallo, mezzo cristallo o vetro sonoro superiore, ma, sicuramente, non dovranno avere alcuna decorazione, che impedirebbe di apprezzare appieno il contenuto. Anche il gambo lungo a stelo è importante, poiché consente di impugnare il bicchiere senza che il 156

contatto della mano scaldi il vino, modificandone le caratteristiche. In relazione al tipo di vino da servire, cambiano anche le caratteristiche del bicchiere, che: • per i vini bianchi giovani e freschi, cioè ricchi di acidità, è del tipo a tulipano, cioè con lo stelo e il calice non molto ampio;


155 mm (+/– 5)

100 mm (+/– 2)

46 mm (+/– 2)

spessore vetro 0,8 mm (+/– 2)

Tipo di bicchiere

Utilizzo

Bicchiere da vino rosso

Da usare per il servizio dei vini rossi.

Bicchiere da vino bianco

Si usa sia per i vini bianchi, sia per i vini rosè.

Bicchiere da acqua

Da impiegare esclusivament per il servizio dell’acqua

65 mm (+/– 2)

55 mm (+/– 3)

linea ideale per degustazione (vol. = ca. 50 ml)

diametro stelo 9 mm (+/– 1)

65 mm (+/– 5)

• per i vini bianchi maturi, strutturati e profumati, è di Bicchiere da dessert dimensioni maggiori rispetto al precedente; • per vini rossi di media struttura è panciuto, con una buona ampiezza, per consentire una corretta ossigenazione del prodotto; in generale, maggiore è la struttura del vino, più grandi saranno le dimensioni del bicchiere, per esaltarne i profumi e la complessità; Flute • per spumanti aromatici dolci (come il moscato o il bracchetto) è un calice basso e largo, con ampia apertura (coppa); • per spumanti secchi e champagne è la flûte, dalla forma stretta e allungata, per fare in modo che le bollicine possano liberarsi verso l’alto. Il bicchiere da degustazione del sommelier, formato dalla base, dallo stelo e dal calice a forma leggermente panciuta, ha misure codificate dall’ ISO. (International Standard Organization) e può essere realizzato sia in vetro, sia in cristallo incolore.

Coppa spumante

Per servire i vini passiti.

Richiesto in genere, da spumanti e champagne.

Per il servizio del moscato e degli spumanti dolci.

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Le basi della degustazione

La

LA DEGUSTAZIONE Prima di addentrarci negli aspetti tecnici per una corretta degustazione, fermiamo l’attenzione su alcune regole fondamentali che il sommelier deve seguire. Prima di tutto, è essenziale ricordare che ogni operazione deve essere svolta dal sommelier badando a mantenere una buona concentrazione. È fondamentale praticare la degustazione quando si è in una buona condizione di salute, per poter percepire al meglio le varie sensazioni. Poiché la valutazione del vino deve essere effettuata anche sul colore e sulla brillantezza, è importante che l’ambiente sia bene illuminato. Il bicchiere da degustazione deve essere riempito soltanto per un quarto della sua capienza massima. Si deve tenere il bicchiere esclusivamente dallo stelo, per evitare che eventuali odori provenienti dalla mano possano influenzare l’aroma del vino. Per evitare di contaminare il sapore del vino, prima di effettuare una degustazione, è bene evitare di bere caffè, di fumare o di usare dentifrici a base di menta o di clorofilla, che danno sapori molto persistenti. È importante degustare i vini alla temperatura che a loro più si addice. I vini devono essere degustati secondo un preciso ordine, in modo da evitare sovrapposizione di sapori. Infine, tra un assaggio e l’altro, per non mescolare i sapori dei diversi vini, è opportuno sciacquarsi la bocca con acqua naturale fresca.

Tutto il procedimento della degustazione coinvolge non soltanto il gusto, ma anche altri sensi, quali la vista, l’olfatto, il gusto e il tatto, poiché l’esperienza del vino, come dicono gli esperti, è multisensoriale. Ogni associazione professionale che si occupa di vino ha elaborato nel tempo una propria tecnica e una specifica terminologia di degustazione. Tuttavia, nonostante leggere differenze, in generale esiste una certa convergenza sui criteri, sui requisiti qualitativi e sugli indici di tipicità a cui fare riferimento per effettuare una corretta valutazione del prodotto. Esame visivo • Gli occhi sono lo strumento con cui si valuta il colore e le sue sfumature, la limpidezza ma anche la consistenza di un vino. Per poter effettuare al meglio questo tipo di valutazione, il bicchiere da degustazione deve essere sollevato e posto di fronte a una superficie bianca, che mette meglio in evidenza ogni sfumatura cromatica. Il colore del vino dipende dalla presenza dei polifenoli che, come abbia visto in precedenza, sono presenti nelle bucce. Dall’analisi del colore è possibile stabilire il tipo di vino, l’età; i più esperti sono in grado di risalire anche al tipo di uva utilizzata. Il sistema di riferimento secondo il quale si definisce il colore, è suddiviso per livelli cromatici:

• per i vini bianchi i livelli cromatici sono 4, comprendendo giallo verdolino, paglierino, dorato e giallo ambrato; • per i vini rosati i livelli cromatici sono 3, cioè rosa tenue, rosa-cerasuolo e rosa chiaretto; • per i vini rossi i livelli cromatici sono 4, vale a dire rosso porpora, rosso rubino, rosso granato e rosso aranciato. La vista, però, consente al sommelier di distinguere altre caratteristiche dei vini, come la limpidezza, la consistenza, l’effervescenza (quest’ultima nel caso dei vini spumanti) e la trasparenza. • Limpidezza. Si distingue in brillante, limpida e cristallina. Se un vino è limpido significa che non ha particelle in sospensione, mentre, se sono presenti opalescenze, allora può essere definito velato, opaco oppure torbido. • Consistenza. Questa caratteristica è riscontrabile facendo compiere al liquido una rotazione all’interno del bicchiere, dove si forma, quindi, un velo che scende verso il basso, formando tipici archetti, prodotti dall’evaporazione alcolica, che è più veloce di quella dell’acqua: dal numero di archi si deduce, in genere, la ricchezza o meno di etanolo e glicerina del vino.

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• Effervescenza. Questa proprietà dipende dall’anidride carbonica presente nei vini e quindi, la si deve ricercare in quelli frizzanti e negli spumanti. In questi vini l’esame della consistenza viene sostituito con quello dell’effervescenza che analizza la presenza di spuma (una serie di bollicine gassose che si forma in superficie) e bollicine. Se la spuma è assente e si riscontra soltanto un lieve pétillant e una pressione al massimo di 1 atm, il vino si definisce fermo o tranquillo. È considerato invece vino frizzante quello che presenta una leggera spuma, mentre è chiamato spumante quello con un deciso perlage e una pressione minima pari a 3 atm. Per quanto riguarda il perlage, le bollicine possono essere grossolane o fini, scarse o numerose, evanescenti o persistenti, ricordando che più sono fini e durature, migliore è la qualità del vino. • Trasparenza. Fattore diverso dalla limpidezza, si riferisce alla capacità della luce di attraversare il vino. Questa caratteristica è molto apprezzata nei vini bianchi, mentre quelli rossi, per il tipo di vitigno o in seguito alla tecnica di vinificazione, possono essere limpidi ma non trasparenti, anche se questo non necessariamente è un difetto. Esame olfattivo • I ricettori nervosi dell’olfatto percepiscono gli odori trasportati dalle molecole provenienti dal vino, che possono compiere il percorso diretto per via nasale o per via retronasale: in questo secondo caso, si percepiscono soltanto dopo l’assaggio del vino stesso, quindi, nella successiva fase gusto-olfattiva. L’olfatto è comunque un senso fondamentale per riconoscere le qualità del vino, poiché grazie a esso si possono valutare l’insieme dei vari profumi che compongono il cosiddetto bouquet; è quindi possibile determinare:

• l’intensità, cioè l’impatto del profumo sulla mucosa olfattiva, per cui un certo vino può risultare debole o carente, tenue o intenso; • la qualità, in base alla quale il vino può essere fine, elegante oppure comune; • la franchezza, che definisce il vino come franco, pulito o sporco. In base poi ai cosiddetti descrittori olfattivi (floreale, fruttato speziato, ecc.), rappresentati dalle note odorose che si riferiscono alle sostanze volatili presenti in un vino e responsabili dei suoi profumi, se ne può capire la complessità. Esame gusto-olfattivo • L’assaggio del vino porta a coinvolgere sia il gusto, sia il tatto. Le papille gustative presenti sulla lingua permettono di percepire il sapore dolce, amaro, salato o acido, ma la lingua stessa avverte anche sensazioni

dermo-tattili, rappresentate da ruvidità, rugosità, temperatura, e così via. I vari sapori sono determinati dalla presenza nel vino di alcune sostanze, le cui molecole raggiungono le papille linguali, dalle quali la sensazione viene trasmessa, tramite connessioni nervose, al cervello. In particolare, le molecole che nel vino responsabili delle varie sensazioni sono: • • • •

per il dolce alcol etilico, glicerina zuccheri; per l’amaro tannini; per il salato sale e sostanze minerali; per l’acido acidi lattico e tartarico, oltre a piccolissime quantità di acido citrico.

Le sensazioni dermo-tattili che si percepiscono sono invece: • • • •

la freschezza, determinata dalla presenza di acidi; l’effetto termico, che dipende dalla temperatura del vino; le sensazioni pseudocaloriche, per la presenza di alcoli (etanolo); la morbidezza, di cui è principale responsabile la glicerina, un polialcol che avvolge e arrotonda il gusto; • l’astringenza e la rugosità, tipiche dei vini rossi e provocate dai tannini; • la pungenza o piccantezza, causata soprattutto dall’anidride carbonica. • la consistenza gustativa, che consiste nella percezione dell’estratto del vino, che ne indica la struttura e il corpo. Le sensazioni gusto-olfattive in sinergia a quelle retronasali determinano la persistenza aromatica intensa. 159


L’

L’ABBINAMENTO CIBO-VINO L’obiettivo dell’abbinamento cibo-vino è creare armonie gustative, per cui sia il vino sia il cibo devono esaltarsi reciprocamente, rimanendo l’uno al servizio dell’altro. È importante che il vino non sovrasti il sapore del cibo e viceversa, ma soprattutto che non vi siano stridenti contrasti tra i due. La scelta del vino da abbinare al cibo deve essere quindi fatta in modo tale che il secondo trovi nel primo un grande alleato e non un nemico. Nonostante i molti tentativi per formulare regole precise e rigorose di abbinamento tra cibo e vino, le variabili sono così numerose che è difficile codificare regole certe e attuabili in ogni situazione. Negli abbinamenti, infatti, intervengono molti elementi, primo fra tutti il gusto soggettivo e poi la temperatura del cibo, gli ingredienti della pietanza, i condimenti, l’interpretazione della ricetta da parte del cuoco, il vino stesso (zona, vitigno, produttore, annata, e così via). In generale, quindi, si può affermare soltanto che esistono indicazioni che tracciano la strada da seguire per ottenere accostamenti armonici e equilibrati.

analoghe, come, per esempio, nel caso di un vino dolce che viene abbinato al dessert. Tecnica di abbinamento per contrasto. Si basa sui quattro sapori fondamentali percepiti dalla lingua, che tendono a rafforzarsi o a smorzarsi tra loro. Il principio di questa tecnica è quello secondo il quale si deve utilizzare un vino che bilanci gli squilibri del cibo con sensazioni esattamente opposte. Per esempio, un cibo con spiccata succulenza vorrà in abbinamento un vino che “asciughi” la bocca, quindi ricco d’alcol etilico, mentre un piatto di pesce marinato con il limone, con una spiccata tendenza acida, non deve essere abbinato a un vino bianco giovane e molto fresco, bensì a un vino con decise doti di morbidezza, in grado di sfumare e riequilibrare l’acidità della pietanza. Tecnica di abbinamento per tradizione. In questo caso si valorizza la saggezza della tradizione locale, nel creare un legame tra vini e cibi di un determinato territorio. Volendo dare, invece, uno sguardo Oltralpe, gli esperti francesi hanno stabilito che:

Le regole di abbinamento Nell’abbinamento cibo-vino, in Italia sono utilizzate principalmente tre tecniche: per concordanza, per contrasto e per tradizione, che meritano di essere prese in considerazione. Tecnica di abbinamento per concordanza. È applicata quando si accoppiano vino e cibo con caratteristiche 160

• i vini bianchi vanno serviti prima dei rossi; • i vini leggeri devono essere serviti prima di quelli robusti; • vanno serviti prima i vini con una temperatura di servizio bassa, (prima lo spumante, poi bianchi e rosati, infine i rossi, quasi a temperatura ambiente); • i vini, in generale, devono essere serviti secondo una gradazione alcolica crescente.


Gli antipasti • Poiché è servito all’inizio del pasto, il vino da abbinare all’antipasto deve avere un grado alcolico e un invecchiamento inferiore rispetto a quelli successivi. Per questo motivo, con gli antipasti si privilegiano i vini leggeri, non molto alcolici e non troppo strutturati. Soprattutto con gli antipasti delicati oppure a base di pesce, in genere sono ottimi i bianchi mediamente secchi e profumati (anche gli spumanti), mentre con le preparazioni più corpose, come gli antipasti all‘italiana, gli affettati o i piatti regionali, possono andare bene anche vini rosati o rossi giovani. In particolare, relativamente ai salumi, per bilanciarne la grassezza e la tendenza al dolce, possono essere abbinati uno spumante brut o un vino fermo o frizzante, purché sia fresco e sapido. Un salume che dà succulenza sostiene un vino mediamente tannico e alcolico, mentre la sapidità va contrastata con la morbidezza del vino. La speziatura e l’aromaticità dei salumi richiedono, invece, un vino dotato di una PAI (Persistenza Aromatica Intensa) accentuata, per bilanciare il profilo aromatico e gustativo del salume. A un salume strutturato si abbina un vino di corpo. Se, invece, osserviamo quelli che sono gli abbinamenti per tradizione nella regione italiana d’elezione per i salumi, l’Emilia, il lambrusco è il vino principe. Le minestre • Con questo tipo di preparazioni, tenuto conto della loro varietà, le possibilità di abbinamento sono numerose. Le minestre e le vellutate di verdure si abbinano meglio ai vini poco corposi, che accompagnano con discrezione i sapori del piatto senza complicarne la percezione. La pasta ripiena in brodo richiede vini rossi leggeri e asciutti, che per tradizione possono essere anche mossi, come il lambrusco. Le minestre a base di pesce si abbinano bene a vini bianchi giovani, profumati, sapidi e di buona struttura; se c’è il pomodoro fra gli ingredienti può andare bene anche un vino rosato giovane. Volendo fare riferimento a un esempio pratico, la classica pasta e fagioli, comprendente i legumi, un alimento ricco di proteine e glucidi complessi, che danno una tendenza dolce, richiede vini freschi o effervescenti, che possono essere bianchi, rosati, spumanti o frizzanti. L’alto contenuto di proteine di questo piatto, che provoca una salivazione più o meno accentuata, richiede, inoltre, un vino con un buon grado alcolico o con un’astringenza moderata e, di conseguenza, anche i vini rossi con un modesto contenuto di tannini risultano particolarmente adatti a questo abbinamento. In ogni caso, è possibile applicare alle minestre la regola della concentrazione: al classico brodino abbineremo un bianco lieve di corpo. 161


Infine, è opportuno ricordare che, siccome le minestre vanno servite calde, è meglio abbassare di 2 °C la temperatura dei vini serviti, al fine di evitare effetti spiacevoli durante la loro degustazione. Le minestre asciutte • Le salse di condimento e le tecnica di cottura “comandano” l’abbinamento del vino con le paste e il riso Sotto l’aspetto organolettico, sia la pasta sia il riso manifestano una tendenza al dolce, per la presenza di amidi. Questo fatto richiede un vino con una buona acidità. In genere, comunque, la scelta del vino deve essere effettuata facendo riferimento alla struttura della ricetta:

• la pasta condita con salsa leggera e delicata richiede un vino con le stesse caratteristiche; • la pasta condita con una salsa ricca e robusta, richiede un vino di corpo. In altre parole, pur considerando il sapore tendenzialmente dolciastro della pasta e del riso, la scelta del vino è largamente condizionata dalla salsa, dai suoi ingredienti e dalla sua preparazione. Con un sugo a base di pesce si devono preferire i vini bianchi secchi di medio corpo, morbidi e aromatici, oppure i vini spumanti, scegliendoli in base alla corposità dei pesci utilizzati nella ricetta. Per armonizzare con sughi di carne, sono adatti vini rossi giovani mediamente corposi. Con sughi a base di cacciagione, è necessario ricorrere a vini decisamente generosi e robusti. Con sughi di verdure, ad esempio, in abbinamento alla tradizionale pasta al pomodoro o con un risotto alle zucchine, si devono scegliere vini bianchi secchi e giovani, leggeri, oppure rosati. Le carni • Per effettuare un corretto abbinamento del vino con i piatti a base di carne, è prima di tutto necessario distinguere i tipi di carne (bianche e rosse) e i vari metodi di cottura impiegati, che modificano profondamente le caratteristiche gusto-olfattive degli alimenti. In modo semplice, ma efficace, in genere si combina il vino con il colore della carne, quindi, vino bianco con carni bianche e vino rosso con carni rosse, senza dimenticare che le carni rosse necessitano di vini più strutturati e maturi rispetto alle carni bianche.

Così, la selvaggina richiede vini di gran corpo e struttura, con una forte persistenza gusto-olfattiva, così come agnello e capretto vogliono vini con persistenza aromatica intensa. 162

Per la carne alla griglia e ai ferri, caratterizzate da una tendenza amarognola e da una succulenza marcata, sono preferibili vini rossi piuttosto giovani, leggermente tannici e abbastanza alcolici, che aiutano a compensare la forte succulenza della portata. Per le carni cotte al forno sono da preferire vini tannici e sapidi, con media struttura. Generalmente, infatti, tale metodo di cottura tende ad asciugare la carne, aumentando la sensazione di grassezza: un rosso giovane, quindi, aiuta a sgrassare la bocca e la sua freschezza compensa la tendenza dolce della carne. Con i bolliti sono adatti i rossi di struttura, con buone quantità di tannini e un buon tenore in alcol e acidità, che attenuano la grassezza, la succulenza e la tendenza dolce. I brasati, infine, hanno forse l’abbinamento più semplice, poiché questo tipo di cottura utilizza del vino, lo stesso che accompagnerà poi questo piatto.


• Formaggi erborinati (gorgonzola): sono serviti con sauternes o passiti dalla morbidezza vellutata o vini rossi di grande complessità e corpo, che ne valorizzino la personalità.

I formaggi • Per quanto riguarda l’abbinamento del vino con i formaggi, entrano in gioco molte variabili da considerare, quali, per esempio il tipo di latte, la lavorazione e la stagionatura, anche se, in genere, con il crescere della stagionatura deve aumentare anche il corpo del vino. Vediamo alcuni possibili abbinamenti.

• Formaggi a pasta molle (crescenza, primo sale, quartirolo): sono serviti con vini bianchi giovani, freschi e sapidi. • Formaggi a pasta semidura (fontina e asiago): si abbinano a vini bianchi morbidi o vini rossi morbidi e delicati, di media evoluzione e con tannini non aggressivi. • Formaggi a pasta filata (provolone e caciocavallo): sono serviti con rossi corposi o vini bianchi di grande struttura, dai profumi evoluti nel caso di affumicatura del formaggio. • Formaggi stagionati (grana padano, bitto, pecorino toscano): si abbinano a vini rossi invecchiati e di corpo. In particolare, con il parmigiano reggiano si abbina bene, a seconda della maturazione, un elegante metodo classico o vini rossi di grande corpo (per quello stagionato più anni).

Infine, volendo, per esempio, effettuare abbinamenti per tradizione, si potrebbero considerare: • amarone con monte veronese stagionato; • vermentino di Gallura con pecorino sardo fresco; • asprino di Aversa con la mozzarella di bufala. Il pesce • Con il pesce si preferisce da sempre il vino bianco, secondo una tradizione antica che risale addirittura all’epoca romana. Di solito questo abbinamento è rispettato, anche se sta prendendo piede il gusto di accompagnare alcune preparazioni, come il pesce in guazzetto e le zuppe di pesce, con un buon rosato o con un vino rosso giovane e leggero. Come per le tipologie di carne, anche in questo caso una prima distinzione va fatta tra pesci di mare e pesci d’acqua dolce, considerando che quelli con un sapore più marcato richiedono vini di maggior corpo e più invecchiati, mentre quelli dalle carni più delicate preferiscono vini bianchi morbidi e profumati.

• Pesci bianchi crudi, al vapore o bolliti (cotture che esaltano la delicatezza): un vino giovane fresco, delicatamente strutturati come un vermentino dei colli di Luni o un verdicchio dei castelli di Jesi. • Pesce cucinato con pomodoro: è servito con vini rosati o rossi poco strutturati, giovani e leggeri. • Pesce fritto: si abbina a vini bianchi con discreta alcolicità e buon corpo, anche spumanti. 163


I dolci • I dessert e i dolci in generale seguono la regola dell’abbinamento per concordanza, cioè si accompagnano con vini che tendono ad avere le stesse caratteristiche organolettiche, in particolare la dolcezza e la morbidezza.

• Crostacei e molluschi: per la tendenza dolce si abbinano a vini bianchi freschi e di media struttura, anche aromatici, come il Gewürztraminer. • Ostriche o molluschi: sono serviti con lo champagne. • Zuppe di pesce: si abbinano a vini bianchi maggiormente strutturati e di buon tenore alcolico e sapidità, oppure a vini rosati di buon corpo o rossi leggeri. • Pesce affumicato: è ottimo con uno spumante secco di buona struttura e alcol.

• Dolci con creme: sono abbinati a sauternes o muffati, oppure, se le creme sono molto grasse, vini spumanti freschi di acidità e lievemente aromatici, serviti ben freschi. Se, invece, la crema è a base di mirtilli o di frutti di bosco, completa l’abbinamento un Brachetto.

La pizza • Il suo “matrimonio” enogastronomico è dichiarato con la birra, ma nulla vieta di abbinare a questo piatto del buon vino bianco leggero, sia secco sia frizzante. Se la pizza è arricchita da ingredienti più sostanziosi, come speck, salami o salsiccia, è meglio preferire l’abbinamento con vini rossi freschi e vivaci.

• Pasticceria secca: è servita con vini bianchi passiti del sud Italia. • Panettone: è ottimo con Asti spumante e moscato d’Asti. Per quanto riguarda il cioccolato, si tratta di un prodotto molto difficile da abbinare, tuttavia, si possono azzardare vini liquorosi come il porto o lo sherry oppure un distillato morbido, come un rum; con i dolci al cioccolato, invece, può essere abbinato il barolo chinato.


La frutta • In genere la frutta è un alimento a cui non si abbina vino. In particolare, una regola importante stabilisce che vino e agrumi sono nemici dichiarati. Normalmente, per tutte le ricette a base di frutta, in cui non spicchi particolarmente il sapore di un liquore, è bene orientarsi verso vini più o meno dolci. Rari casi di un felice abbinamento tra vino e frutta sono quelli delle pesche con il moscato, dei mirtilli con un vino rosso giovane e fruttato, del melone con il porto. In generale:

• con la frutta fresca sono meglio i vini amabili, sia bianchi sia rossi; • con la frutta cotta o essiccata vanno meglio i vini decisamente più dolci; • con la frutta secca si incontra bene il marsala. Infine, ricordiamo che assolutamente non si deve consumare vino coi gelati, siano essi alla frutta o alle creme.


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