Antonella Mazzara
Un fantasma in cornice
Il piacere di apprendere
Ad Aurora, Tommaso, Vittoria Sole, Riccardo ed Enea, affinché imparino a disegnare traiettorie di luce.
Un fantasma in cornice
Lo strano caso di Palazzo Barberini
Direttore di collana: Mariagrazia Bertarini
Testi: Antonella Mazzara
Art Director: Letizia Pigini
Redazione: Francesca Bugiolacchi
Correzione di bozze: Micaela Di Trani
Progetto grafico: Romina Duranti, Valentina Mazzarini
Illustrazioni: Miriam Gambino
Impaginazione: Carmen Fragnelli
Responsabile di produzione: Francesco Capitano
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Stampa: Tecnostampa – Pigini Group Printing Division Loreto – Trevi 24.83.304.0
ISBN 978-88-468-4418-7
Antonella Mazzara
Un fantasma in cornice
indice
cap. 1 • Uno scontro violento p. 5
cap. 2 • Un terrificante nascondiglio p. 11
cap. 3 • Un baule pieno di ricordi p. 16
cap. 4 • Il Tevere e la salvezza p. 19
cap. 5 • Primi sospetti p. 21
cap. 6 • Un fantasma in carne e ossa p. 26
cap. 7 • Zia Misia p. 31
cap. 8 • Un artista scapestrato p. 35
cap. 9 • Il giuramento segreto p. 39
cap. 10 • Una notte agitata p. 46
cap. 11 • Un piano perfetto p. 50
cap. 12 • Una cena soporifera p. 56
cap. 13 • Terrore sotto il letto p. 64
cap. 14 • Una storia triste p. 74
cap. 15 • La verità svelata p. 76
cap. 16 • La giusta ricompensa p. 92
Glossario p. 100
La storia e i personaggi p. 101
Schede operative p. 110
Capitolo 1
Uno scontro violento
Bammm! L’urto fu forte.
Emilia La Grua detta Mimì non ebbe nemmeno il tempo di capire che cosa o chi l’avesse colpita! Si ritrovò a terra con una spalla dolorante. Accanto a lei una figura incappucciata tastava con fare nervoso il pavimento per cercare la borsa di pelle nera, finché la trovò, se la mise a tracolla e si rialzò con un lamento. I suoi occhi incontrarono per un istante quelli di Mimì, poi riprese la sua fuga zoppicando visibilmente.
Mimì, riavutasi dallo spavento, si tirò su e si toccò la spalla dolente come a cercare la conferma dell’urto. Ma che cos’era stato? La mente non fece in tempo a elaborare alcun pensiero, d’istinto la ragazza diresse lo sguardo oltre il portone d’ingresso e finalmente lo vide.
L’uomo vestito di buio, che le era piombato addosso come una bufera d’inverno, stava oltrepassando il cancello trascinandosi dietro la gamba dolorante, come una volpe liberatasi da una trappola.
Un solo pensiero in quel momento le attraversò la mente: quella figura losca poteva essere un ladro o addirittura un assassino, senza alcun dubbio!
La ragazza, ignorando qualsiasi forma di prudenza e di buon senso, decise di lanciarsi all’inseguimento della sinistra sagoma che aveva ripreso la sua fuga trascurando il dolore alla gamba. Mimì correva e pensava, pensava e correva. Le sembrava di sentire la voce di suo padre: “Incosciente! Torna subito qui! Il mondo è pieno di pericoli e tu hai solo undici anni! Tu si ‘na camurria! ”
Già… tutte le volte che Mimì faceva qualcosa che non avrebbe dovuto fare, il padre, attingendo alle sue radici sicule, le diceva “Tu si ‘na camurria”, “Sei una vera scocciatura”. A Mimì la parola camurria faceva tanto ridere, forse per il suono o forse perché suo padre, quando la pronunciava, si metteva il palmo della mano tra i denti assumendo un’espressione che, invece di essere minacciosa, era molto comica. Mimì, nonostante il pensiero del padre, decise di continuare il suo inseguimento e così, tenendo in mano un lembo del vestito, riprese a correre cercando di non perdere di vista l’uomo incappucciato, che portava sulle spalle una specie di faretra senza frecce!
Non appena girò su via delle Quattro Fontane, lo vide rallentare. Così, quando arrivò al centro della piazza, ne approfittò per riprendere fiato
appoggiandosi alla vasca della fontana con il grande Tritone che la guardava severo. Cento tamburi le rullavano in petto mentre la stanchezza e la paura le asciugavano la bocca. Era ancora in tempo, avrebbe potuto fermarsi, tornare indietro e lanciare l’allarme, ma le sue gambe ripresero a correre decidendo per lei!
L’uomo girò l’angolo in direzione di Porta Pinciana mentre Mimì stava facendo i conti con la fatica e con la luce fioca delle lanterne. Proprio quando pensò di stare per raggiungerlo, si rese conto che l’uomo incappucciato era svanito… puff… dileguato! Era sparito nelle tenebre, lasciando Mimì sopraffatta dalla delusione e dalla stanchezza.
La ragazza tornò allora a palazzo cercando di recuperare la regolarità del suo respiro e sperando che nessuno si fosse accorto della sua assenza.
Da lontano notò che tutte le lampade del palazzo erano accese. Nonostante la distanza, si sentiva il rumore della confusione: mille voci si intrecciavano tra loro e l’abbaiare dei cani squarciava il silenzio della sera. Riconobbe subito il principe Colonna che con voce tonante dava ordini convulsi alla servitù: «Controllate tutte le stanze del piano nobile! Perlustrate ogni angolo del parco
con i cani! Chiamate la gendarmeria, che vengano IMMEDIATAMENTE!»
Nel giardino il caos regnava sovrano: camerieri in mutandoni, governanti in camicia da notte e giardinieri spettinati correvano a destra e a manca senza sapere che cosa cercare.
«Il ladro! Cercano il ladro, Mimì!» disse Giacomo La Grua alla figlia che gli si parò davanti con aria interrogativa.
«Ma che cosa è stato rubato?» chiese Mimì.
«IL NARCISO! IL QUADRO DEL NARCISO!»
Lei rimase immobile. Ecco che cos’era quel rotolo che usciva dalla faretra di pelle nera dell’incappucciato. La tela del Narciso!
La ragazza non sapeva se rivelare subito dell’incontro-scontro con il ladro o tenerselo per sé. Parlare avrebbe significato raccontare anche dell’inseguimento e questo avrebbe fatto infuriare suo padre. Scelse il silenzio. Si sedette sullo scalone quadrato del Bernini cercando di mettere ordine nei suoi pensieri. Ripercorse con la mente tutto il tragitto dell’inseguimento per capire come il ladro avesse potuto dileguarsi all’improvviso. Di sicuro aveva un complice che lo aspettava con un cavallo, pensò.
Capitolo 2
Un terrificante nascondiglio
«Che mocciosa ostinata! Ce n’è voluto per seminarla!»
L’incappucciato era riuscito a forzare il portone della cripta della chiesa di Santa Maria della Concezione e a richiuderlo dietro di sé.
Era rimasto nascosto a lungo mentre la sera si era fatta più buia. Durante quell’interminabile attesa aveva ripensato con una certa soddisfazione a quanto era stato abile nel trafugare il prezioso quadro: l’entrata a palazzo di soppiatto, il distacco della tela dalla cornice, il nascondiglio dietro la grande libreria e, infine, la fuga per le scale… Certo, quello scontro con la ragazzina stava per rovinare tutto, ma alla fine era riuscito a seminarla!
L’incappucciato stava per ritornare in strada quando un rumore di zoccoli gli fece cambiare idea.
«Mi stanno cercando! Di sicuro la ragazza avrà dato l’allarme!» mormorò tra sé e sé.
Decise così che sarebbe stato più prudente aspettare l’alba prima di riprendere la fuga.
Dentro la cripta, l’oscurità rendeva difficili i suoi movimenti. Gli venne in mente che in un posto come quello l’unica cosa che non poteva mancare erano le candele; così, procedendo a tentoni nel buio, attraversò l’atrio e ne cercò qualcuna.
L’andatura era lenta ma fiduciosa. Aveva già contato almeno cinquanta passi, quando una grossa asse di legno del pavimento, sotto il suo peso, gli tese un tranello e, spostandosi, gli fece perdere l’equilibrio.
«Aaahhh!»
L’incappucciato aprì le braccia come se sperasse di salvarsi volando, ma atterrò con la faccia in avanti su un cumulo di sassi… no, di pezzi di legno… insomma, qualsiasi cosa fossero, erano duri e spigolosi e l’incappucciato urlò di dolore.
«Ma dove diamine sono capitato? Questa è la seconda volta che finisco a terra!»
Mentre cercava di scrollarsi di dosso i pezzi di
Un terrificante nascondiglio
legno, toccò il freddo metallo di un candeliere e, dimenticando la sfortuna di quella sera, infilò una mano nella sua bisaccia per prendere l’acciarino. Qualche minuto dopo, la luce tremolante di una candela gli restituì la fiducia perduta. Ancora steso per terra, l’incappucciato avvicinò la candela al viso; fu allora che scoprì di trovarsi faccia a faccia con un teschio. Cercò di ricacciare l’urlo in gola, ma quando vide che i pezzi di legno non erano pezzi di legno, bensì ossa e teschi che sembravano sghignazzare, l’urlo uscì fuori come il tappo di una bottiglia di vino troppo fermentato!
Ma che posto era mai quello? Si rimise in piedi e accese un’altra candela.
«Misericordia!» esclamò tremando.
Tutte le pareti erano adorne di ossa che formavano ghirigori: stelle, croci e lampadari che penzolavano dal soffitto, costruiti con falangi e coccigi… Qualcuno, lì, aveva giocato con la morte!
Si ricordò che aveva sentito parlare di quel posto inquietante che tutti chiamavano cripta nonostante non fosse sottoterra e dove c’erano strane composizioni fatte con le ossa dei corpi di frati cappuccini.
I brividi gli percorsero la schiena e il sudore gli disegnò sulla fronte l’aureola di un santo!