Portfolio I --U --A --V UniversitĂ Iuav di Venezia
Elvis Paja Architect / Urban Planner
CITY PRODUCTION CYCLES
Portfolio Elvis Paja
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Architect / Urban Planner
Informazioni personali: * Dati Indirizzo: Via Nicolò dal Cortivo, 81, Venezia 30173 Nr. cel.: 327 6836216 email: paja.elvis@gmail.com * Formazione Laurea in “Scienze dell’Architettura” 2009-2014 Università Iuav di Venezia Laurea Magistrale in “Pianificazione e politiche per la città il territorio e l’ambiente” 2015-2018 Università Iuav di Venezia * Esperienze 2014 Tirocinante, Studio “Giorgio Pettenò Architetti” 2018 Tirocinante, Regione del Veneto
Sett. 2018 / Sept. 2018 Venezia / Venice, Italy
Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Portfolio a.a. 2015-2018
Indice: * IPA Terre Alta Marca Trevigiana, Quadro conoscitivo di sintesi - Provincia di Treviso * Rigenerazione dei volumi dismessi - Vittorio Veneto * Analisi e proposte per la rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave - Mestre * Energia rinnovabile e Sistemi Informativi Territoriali - Bologna * Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning * Urban Governance in Portugal and the Lisbon Expo’98 urban project * Lisbona Expo’98, progetto e legacy * Land grabbing ed Unione Europea: gli impatti determinati dalle politiche energetiche * Workshop: Fattorie rivoluzionarie, Restituzione di casi studio originali * Riflessioni sullo spazio. Relazione sui libri Arrivederci amore ciao e Alla fine di un giorno noioso di Massimo Carlotto, secondo una chiave di lettura di dialettica triplice dello spazio.
p. 005 025 043 127 161 179 201 223 243 259
* = Laboratori sulla città e sul territorio * = Studi e analisi della città, del territorio e dell’ambiente 3
Laboratorio di Politiche Terre Alta Marca Trevigiana, Provincia di Treviso
IPA Terre Alta Marca Trevigiana, Quadro conoscitivo di sintesi
Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina mantendendo i bordi scuri, oppure essere più piccola (va comunque mantenuto il fondo scuro) 1
Laboratorio di Politiche
Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Laboratorio di Politiche Professori: Francesca Gelli Luciano Vettoretto Collaboratori: Dott. Matteo Basso Dott. Andrea Mariotto a.a. 2015-2016
Ottobre 2015 Febbraio 2016 Venezia
IPA Terre Alta Marca Trevigiana. Quadro conoscitivo di sintesi Contenuti: 1* Introduzione Metodo Sintesi dell’analisi Inquadramento 2* Mobilità e popolazioni Infrastrutture per la mobilità Nodi di mobilità e poli di attrazione Chi abita, chi vive l’area IPA 3* Economia e società Lavoro: sottotono l’occupazione Agricoltura: risorsa e opportunità Manifatturiero: la grande perdita Turismo vitale 4* Analisi SWOT
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Team * Sara Cabrelle * Alessia Cibin * Davide Comerlati * Elvis Paja
IPA Terre Alta Marca Trevigiana
Introduzione
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Metodo Il presente report è frutto del lavoro svolto durante il Laboratorio di Politiche (a.a. 2015 / 2016) dal gruppo PECA ed ha come oggetto di studio l’area dell’IPA Terre Alta Marca Trevigiana. La premessa di questo report è l’osservazione delle esposizioni analitiche dell’area da parte di tutti i gruppi del Laboratorio durante l’incontro con gli stakeholders dell’IPA, svoltosi presso la Sala Consigliare del comune di Conegliano il giorno 22 gennaio 2016. Dall’incontro si è potuto constatare che i numerosi elementi conoscitivi, derivanti dalle analisi dei gruppi, risultavano sconnessi e disaggregati. Ciò ha suscitato in noi l’interesse di ricostruire una visione d’insieme e proporre un quadro conoscitivo di sintesi dell’area IPA. Riunire tutti i quadri conoscitivi non è stata un’operazione facile e immediata in quanto ci si è dovuti confrontare con molteplici diversità circa: - il metodo utilizzato nella produzione ed elaborazione dei quadri conoscitivi; - il carattere delle analisi, qualcuna di marcato carattere quantitativo, qualcun’altra di carattere qualitativo, - gli argomenti trattati. Si è proceduto quindi in primo luogo alla lettura di tutti gli elaborati dei gruppi e ad un censimento degli argomenti trattati individuando alcune possibili relazioni tra elementi conoscitivi, di cui si propone uno schema dove ad ogni hashtag corrisponde un elemento.
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Si sono individuati due temi: 1. mobilità e popolazioni, 2. economia e società. All’interno di ciascun tema si sono sviluppate alcune questioni rilevanti, emergenti dai lavori dei gruppi, caratteristiche della fase di post-crisi economica quali: 1. infrastrutture per la mobilità: la grande sfida per l’accessibilità; popolazioni: chi abita chi visita l’area IPA (popolazione residente, popolazione straniera, turisti). 2. lavoro: sottotono l’occupazione; manifatturiero: la grande perdita; Fig.1 Terre dell’area Alta Marca Trevigina. Fonte: GAL Alta Marca Trevigiana.
Laboratorio di Politiche
Fig.2 Schema sugli argomenti dei gruppi del Laboratorio e relazioni
agricoltura: risorsa e opportunità; turismo vitale. Al fine di facilitare la comprensione di fenomeni e variabili si sono elaborate cartografie e schemi di sintesi riguardanti le principali variabili in gioco. Si è reso necessario, infine, costruire un’analisi SWOT per l’area IPA circa i temi individuati. I quadri conoscitivi dei singoli gruppi ed in particolare il nostro (si veda il Quadro Conoscitivo Aggiornato a cura del Gruppo PECA), prodotti nella prima fase del laboratorio, costituiscono le principali fonti di riferimento. Il presente report è costituito da una sintesi delle analisi effettuate nella quale sono presenti i rinvii alle schede di approfondimento. Le schede sono state pensate per poter essere lette autonomamente, tuttavia attraverso la colorazione si suddividono in quattro parti: - azzurro chiaro: inquadramento, - blu: il tema mobilità e popolazioni, - arancione: il tema economia e società, - verde: analisi swot.
Sintesi dell’analisi L’ambito territoriale di riferimento dell’IPA Terre Alta Marca Trevigiana vede la compresenza di diverse istituzioni amministrative: 30 comuni, 1 Comunità Montana, 1 GAL; sono presenti altresì 3 ambiti territoriali. Mobilità e popolazioni. L’area è divisa in due parti, occidentale ed orientale, dalla presenza di una sviluppata infrastrutturazione per la mobilità lungo la direttrice nord-sud che garantisce un’elevata accessibilità territoriale della parte orientale. Attorno alle infrastrutture di mobilità si concentrano sia il maggior numero di flussi di mobilità pendolare sia il maggior numero di presenze turistiche, i nodi principali della mobilità e i poli di attrazione risultano essere i comuni di Conegliano e Vittorio Veneto. Dall’analisi delle dinamiche demografiche emerge che la popolazione residente, negli ultimi quindici anni, aumenta e tende continuamente ad invecchiare,
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IPA Terre Alta Marca Trevigiana
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in particolare invecchia di più nella parte settentrionale dell’area, quella che registra variazioni percentuali di popolazione inferiore. La tendenza all’invecchiamento si giustifica sia dal saldo naturale, negativo dal 2007 e in continua decrescita e, si suppone, dall’emigrazione dei giovani a causa della mancanza di opportunità occupazionali. Si rileva un aumento del livello d’istruzione della popolazione, in modo particolare del numero di laureati e di giovani in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore. Questi fattori comportano una tendenza allo sbilanciamento verso le classi di popolazione più anziana con inevitabili ripercussioni sul sistema sociale, economico e produttivo. Da ciò ne deriva la necessità di promuovere politiche per il capitale umano e per il sociale, vista la più evidente diminuzione del numero di giovani e quindi di forza lavoro. Significativo e contestuale all’aumento della popolazione residente è l’incremento della popolazione straniera residente. I comuni che hanno avuto un maggior incremento di popolazione straniera sono quasi tutti limitrofi e sono collocati nel Coneglianese, nella parte sud-orientale dell’area. I turisti, quella porzione di popolazione che visita il territorio, lo usa e lo abita temporaneamente sono in continua crescita in particolare per numero di arrivi. Tuttavia diminuiscono le presenze sintomo di una predilezione al turismo “mordi-fuggi” piuttosto che alle lunghe permanenze. Economia e società. L’analisi delle dinamiche occupazionali evidenziano un tasso di disoccupazione in continuo aumento e una diminuzione del rapporto tra occupati e forza lavoro per tutti i comuni dell’area. Infatti diminuiscono gli addetti, la cui perdita
è ascrivibile alla grande crisi del settore manifatturiero. La decrescita, per numero addetti nel manifatturiero, è compensata dalla crescita dell’agricoltura e del settore alloggio e ristorazione. Gli occupati tuttavia aumentano ma chi sono? dove lavorano? Nell’area IPA, il settore manifatturiero è basato su numerose imprese di piccole-medie dimensioni ed è il primo settore economico per numero di addetti. In quest’area hanno sede alcuni distretti produttivi, tra i quali: Inox Valley (produzione di elettrodomestici) e il Distretto dell’Occhialeria, Distretto del Legno Arredo. Il comparto più rilevante del manifatturero è quello metalmeccanico presente in misura maggiore a Conegliano e Vittorio Veneto. Negli ultimi anni, complici la crisi e il processo di globalizzazione, il settore ha subito: un ridimensionamento della base produttiva causata dalla diminuzione della richiesta di prodotti e una perdita sia di sedi d’impresa sia di addetti. La chiusura di alcune attività manifatturiere ha causato l’abbandono di manufatti industriali all’interno dell’area. La maggior parte di questi manufatti si colloca lungo il fiume Meschio nella parte settentrionale dell’area. Per riqualificare e valorizzare i manufatti di carattere industriale sono stati previsti, dai diversi livelli di pianificazione, incentivi per interventi di riqualificazione con lo scopo di riutilizzare l’edificato esistente e limitare il consumo di suolo (Gruppo MECHIVITO). La grande debolezza del manifatturiero risiede nella non sempre concreta innovazione delle strutture produttive e delle modalità di comunicazione dovuta in parte alla tradizione del sapere empirico presente nel periodo postbellico, durante il quale era possibile fare esperienza ed imparare-facendo.
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Oggi, con l’avvento della globalizzazione è necessario dare risalto alle nuove tecnologie presenti sul mercato andando a creare un tessuto coeso tra le varie imprese del settore in risposta ad un mercato sempre più dinamico ed in continua evoluzione. Un’ opportunità e grande sfida per il territorio è la riqualificazione delle aree dismesse finalizzata alla creazione di nuova occupazione. Un’altra opportunità è rappresentata dalla rivalorizzazione delle stesse al fine di aumentare la qualità del paesaggio e del territorio. L’agricoltura è una grande risorsa per il territorio, il 47,6% della superficie è agricola. Le aziende agricole sono presenti in modo accentuato nella zona di Valdobbiadene e sono caratterizzate da un’elevata professionalità degli operatori del settore. Nella zona sono presenti Istituti di formazione, per ogni livello di istruzione, specializzati nelle tecnologie vitivinicole ed enologiche. La maggior parte delle aziende agricole è a conduzione individuale-familiare causando una frammentazione aziendale e una scarsa richiesta di manodopera esterna al nucleo familiare. L’elevata età media dei conduttori delle aziende, un livello d’istruzione medio-basso, una propensione ridotta all’ammodernamento ed all’innovazione della struttura aziendale possono avere effetti nell’utilizzo di nuove tecnologie al fine di: migliorare la competitività e commercializzare i prodotti. La mancanza di cooperazione tra diverse aziende e lo scarso utilizzo di app e siti web possono generare una diminuzione della percezione all’esterno del potenziale offerto dai prodotti locali oltre che una scarsa valorizzazione dell’eccellenza che essi rappresentano. Il turismo, nonostante la crisi economica, è un settore in crescita in quanto sono aumentati i numeri degli arrivi.
La capacità delle strutture ricettive è aumentata grazie ai B&B, i quali rispondo alle richieste del turista offrendo una breve permanenza confortevole. Gli agriturismi, oltre ad essere luogo di sosta confortevole, offrono una valida alternativa di alloggio. Essi rappresentano l’elemento principale di connessione tra i settori dell’agricoltura e del turismo e si localizzano in prossimità degli itinerari turistici, questi ultimi sono utili per far interagire il turista con diversi tipi di risorse presenti nell’area (paesaggistico-ambientale, architettonico, storico-culturale, enogastronomico). I principali punti di debolezza si possono trovare nella limitata visibilità delle strutture turistiche a livello internazionale causata da una scarsa conoscenza delle lingue straniere e dall’inefficiente utilizzo di siti internet e mobile app da parte degli operatori del settore. Un’opportunità è rappresentata dall’apprendimento di lingue straniere e dallo sviluppo di sistemi informatici finalizzati alla conoscenza del territorio. Il turismo è vitale e corrisponde alla vocazione turistica del territorio sia per lo sviluppo integrato di paesaggio, territorio, filiera eno-gastronomica, e sistema culturale; sia come scenario di sviluppo locale presente e prevalente. Inquadramento L’area studio dell’IPA “Terre Alta Marca Trevigiana” si estende nel settore nordorientale della provincia di Treviso. I comuni riuniti nell’IPA sono 30 suddivisi in tre ambiti territoriali: - Quartier del Piave: situato nella parte orientale del territorio dell’IPA ed è formato dai comuni di Valdobbiadene, Segusino, Pieve di Soligo, Farra di Soligo, Miane, Sernaglia
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IPA Terre Alta Marca Trevigiana
della Battaglia, Moriago della Battaglia, Refrontolo, Follina e di Vidor; - Vittoriese: situata nel settore settentrionale e formata dai comuni Vittorio Veneto, Cison di Valmarino, Tarzo, Revine Lago, Fregona, Cappella Maggiore, Sarmede, Cordignano e Colle Umberto; - Coneglianese: l’area posta a SudEst, comprende i comuni di Conegliano, Susegana, Santa Lucia di Piave, Mareno di Piave, Vazzola, Codogné, San Fior, San Feletto, Godeva di Sant’Urbano, Orsago e Gaiarine.
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La compresenza di istituzioni amministrative. All’interno dell’area IPA insistono due istituzioni amministrative quali: 1. Gal Alta Marca a cui aderiscono i comuni: Cappella Maggiore, Cison di Valmarino, Cordignano, Farra di Soligo, Follina, Fregona, Miane, Pieve di Soligo, Refrontolo, Revine Lago, San Pietro di Feletto, Sarmede, Segusino, Sernaglia della Battaglia, Tarzo, Valdobbiadene, Vidor, Vittorio Veneto; 2. Comunità Montana delle Prealpi Trevigiane che raccoglie sedici Comuni e include la parte più accidentata della Collina Trevigiana, nel tratto compreso tra il Piave e il confine con la regione del Friuli Venezia Giulia. Nella CM rientrano, parzialmente, i Comuni di: Cappella Maggiore, Cordignano, Farra di Soligo, Pieve di Soligo, Refrontolo, Sarmede, Valdobbiadene, Vidor e Vittorio Veneto; mentre vi sono interamente compresi quelli di Cison di Valmarino, di Follina, di Fregona, di Miane, di Revine Lago, di Segusino e di Tarzo.
Fig.3 Comuni dell’area IPA “Terre Alta Marca Trevigiana”
Fig.4 Comuni dell’area IPA, GAL e Comunità Montana Prealpi Trevigiane
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Mobilità e popolazioni
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Infrastrutture per la mobilità Accessibilità. Il territorio è attraversato da diverse arterie stradali e ferroviarie che connettono le aree del Bellunese e del Pordenonese con l’area centrale veneta. La maglia stradale si dirama su tutto il territorio: causa e conseguenza dello sviluppo insediativo diffuso presente. Le arterie infrastrutturali principali si sviluppano principalmente in direzione Nord-Sud, non mancano le connessioni lungo le direttrici EstOvest, seppur di minor importanza. Un ostacolo ai collegamenti è la barriera naturale del Fiume Piave, il quale impedisce parzialmente le connessioni con il centro Veneto. Gli attraversamenti, confinanti con quest’area sono solo quattro: a Segusino, in connessione con la provincia di Belluno; a Vidor, che collega quest’area con i colli asolani e Montebelluna; Ponte della Priula, importante attraversamento nei pressi di Susegana ed infine il Viadotto Piave dell’Autostrada A27. Un ulteriore confine naturale è determinato dalle Prealpi Trevigiane: i collegamenti si concentrano per lo più attraverso il Fadalto a Nord-Est, il Passo San Boldo a Nord e la Valle del Piave a Ovest. Per quanto riguarda le connessioni ferroviarie troviamo la ferrovia Venezia-Conegliano-Ponte nelle Alpi e la Venezia-Udine. In passato, era presente la ferrovia Susegana-Montebelluna che correva ai piedi del Montello. Un’altra linea ferroviaria è la Padova-Calalzo, la quale non attraversa direttamente i territori analizzati, ma offre un servizio importante per i comuni del settore occidentale.
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Fig.5 Mobilità “veloce”
IPA Terre Alta Marca Trevigiana
Fig.6 Carta riassuntiva dei flussi
Fig.8 Attrattori di mobilitĂ pendolare
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Fig.9 Attrattori del tempo libero
Fig.7 Flussi pendolari
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Chi abita, chi vive l’area IPA Popolazione residente. La popolazione residente nel territorio IPA dal 2006 al 2014 cresce dello 0,9%. I Comuni che registrano una variazione demografica positiva e maggiore si distribuiscono lungo la direttrice Nord-Sud nella parte orientale dell’area. E’ il caso di: Santa Lucia di Piave, Mareno di Piave, San Vendemiano, San Fior, Colle Umberto, Cappella Maggiore. L’indice di vecchiaia, dal 2007 al 2014 aumenta del 14%. I comuni con indice di vecchiaia superiore sono quelli collocati nella parte settentrionale dell’area, buona parte di essi appartengono all’area del Vittoriese. Il saldo naturale dal 2006 è in progressiva diminuzione e registra valori negativi, il più basso nel 2014 pari a -340. Popolazione straniera. Dal 2006 al 2014 Refrontolo è il comune che ha avuto l’incremento maggiore di popolazione straniera, (56,9%), a seguire: Conegliano (48,5%), Santa Lucia di Piave (40,9%) e Cappella Maggiore (44,2%). I comuni che hanno registrato un maggiore aumento di popolazione straniera sono quasi tutti comuni limitrofi. In area IPA, all’anno 2006, su 224.796 abitanti totali 21.438 sono stranieri. Il valore di incidenza della popolazione straniera residente sulla popolazione totale dell’Area, pari a 9,5%, si discosta di poco da quello provinciale (pari a 9,1%), mentre da quello regionale lo scostamento è del 2,2% All’anno 2014, invece, su 226.729 abitanti, 25.984 sono stranieri. Ne consegue che il valore di incidenza della popolazione straniera è pari a 11,5%, che si discosta di poco da quello provinciale (0,3%), mentre da quello regionale lo scostamento è dell’1%. Come si può notare dalla cartografia “Incidenza della popolazione straniera anno 2014”, i comuni che presentano un’incidenza maggiore degli stranieri sono principalmente quelli distribuiti lungo l’asse nord-sud dell’area: Cison di Valmarino, Pieve di Soligo, Susegana, Conegliano; ma anche nei comuni Vidor, Moriago della Battaglia, Farra di Soligo, e Vazzola. Turisti. I turisti dal 2008 al 2014 aumentano per numero arrivi (+ 10,7%), tuttavia diminuiscono le presenze (- 3,2%). Il contributo dei turisti stranieri è superiore: non solo in termini di arrivi, ma anche di presenze che aumentano, contro la lieve flessione dei turisti italiani.
Fig.10 Variazione percentuale della popolazione residente, anni 2006-2014
Fig.11 Indice di vecchiaia, anno 2014
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Fig.12 Variazione percentuale della popolazione straniera, anni 2006-2014
IPA Terre Alta Marca Trevigiana
Economia e società Lavoro: sottotono l’occupazione. Disoccupazione: inarrestabile aumento? La perdita di posti di lavoro è l’effetto più immediato della crisi economica. Il tasso di disoccupazione risultava nel 2001, compreso tra un minimo del 2,1% ed un massimo del 4,6% contro una media provinciale del 3,2%. Nel 2011 il tasso varia da un minimo di 4,3% ad un massimo di 8,4%, tutti i comuni al 2011 registrano mediamente un raddoppio del tasso di disoccupazione.
Fig.13 Tasso di disoccupazione per comuni, anni 2001 e 2011
Si osservano i tre comuni più popolati dell’area: Conegliano, Vittorio Veneto e Pieve di Soligo che risultano avere il maggiore tasso di disoccupazione sia nel 2001, sia nel 2011.
16 Fig.14 Tasso di disoccupazione, anno 2011
I Comuni che hanno registrato un maggior aumento di occupati sono limitrofi a Conegliano e quelli che hanno registrato nel 2011 un tasso di disoccupazione minore.
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Distretto Veneto Lattiero Caseario. Dal 2001 al 2014 la variazione percentuale degli addetti è del 493,2% e i Comuni che maggiormente hanno contribuito sono: Valdobbiadene, Farra di Soligo, Vittorio Veneto, Susegana.
Fig.15 Addetti per settori di attività economica, anni 2001-2014
Manifatturiero: la grande perdita. Il settore manifatturiero è quello che ha risentito maggiormente gli effetti della crisi. Da sempre il settore trainante, attraversa oggi un momento di crisi e di calo. Si registra, nell’area IPA, una diminuzione sia di sedi d’impresa (- 19% dal 2006 al 2014) sia di addetti (- 9.066 unità dal 2001 al 2014). Dal 2006 al 2014, in area IPA, le sedi d’impresa nel settore manifatturiero sono diminuite del 19%. La dismissione dei capannoni nonché delle strutture produttive sono l’effetto più visivo e dirompente della crisi economica. All’interno del manifatturiero le industrie che si collocano nella top ten per numero di addetti ono: prodotti in metallo (I posto), mobili (II osto), a seguire gli alimentari al V posto, l’industria del legno al VI e le bevande all’VIII posto. Nell’area sono presenti infatti il Distretto del Legno Arredo e quello dell’Inox Valley di Conegliano-Vittorio Veneto. Si confermano al primo posto i prodotti in metallo e al secondo i mobili per numero di sedi d’impresa attive rispettivamente con 689 e 368 sedi. L’industria del legno ne conta invece 255 e si colloca al terzo posto, seguono gli alimentari e le bevande con rispettivamente 167 e 89 sedi. Agricultura: risorsa e opportunità. L’agricoltura al 2014, registra 4.844 sedi d’impresa e 4.562 addetti. Il settore agricoltura silvicoltura e pesca si colloca, nello stesso anno, primo per numero di sedi d’impresa e quarto per numero di addetti. L’agricoltura è un settore rilevante in quanto: il 47,60% della superficie del territorio IPA è agricola; sono presenti nel territorio il Distretto del Prosecco di Conegliano-Valdobbiadene e il
Fig.16 Dopo la crisi…la dismissione dei capannoni
Fig.17 Variazione percentuale degli addetti nel settore manifatturiero, anni 2001-2014
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Fig.18 Numero addetti per sezioni del manifatturiero, anno 2014
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Turismo vitale. Su 136 agriturismi: 98 offrono servizio di ristorazione, 70 alloggio, 35 vendita di prodotti tipici enogastronomici, 36 svolgono attivitĂ ricreative, 17 organizzano incontri culturali e attivitĂ di promozione della cultura rurale, 14 propongono degustazione di prodotti locali e 3 organizzano corsi di cucina. Gli agriturismi risultano importanti per lo sviluppo ruraleagricolo e per il settore del turismo.
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Fig.19 Superficie agricola dell’area IPA
Fig.21 Gli agriturismi: servizievoli luoghi di sosta
Fig.20 Variazione percentuale degli addetti nel settore agricoltura, anni 2001-2014
Fig.22 Innovazione a portata di turista
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SWOT
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Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats. Attraverso l’analisi SWOT è stato possibile mettere in evidenza i diversi punti di forza e di debolezza e le relative opportunità e minacce. Abbiamo analizzato gli elaborati degli altri gruppi di lavoro ed inserito gli elementi principali all’interno di una nuova tabella collegando le informazioni più caratteristiche con le relative interrelazioni all’interno dei vari ambiti. Per dare maggiore incisività a questa analisi complessiva sono stati studiati i vari settori caratteristici dell’area IPA. In particolar modo sono stati approfonditi le tematiche dell’agricoltura, del turismo, della mobilità, del commercio e dell’industria, della dismissione dei capannoni e dello sviluppo di nuove tecnologie collegate al turismo. L’andamento demografico all’interno dell’area IPA si presenta relativamente stabile durante gli ultimi 15 anni con un aumento dell’indice di vecchiaia, in modo particolare nella parte settentrionale dell’area. Il saldo migratorio risulta positivo specialmente nei comuni dove sono presenti le maggiori unità produttive. La popolazione all’ interno dell’area IPA è distribuita in modo uniforme sul territorio con un aumento nei due poli urbani di Conegliano e Vittorio, grazie alla presenza di maggiori possibilità occupazionali e per la presenza di infrastrutture e servizi. Abbiamo inoltre rilevato la presenza di un aumento del livello d’istruzione della popolazione, in modo particolare del numero di laureati e di giovani in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore. I maggiori punti di debolezza consistono nell’aumento del tasso di disoccupazione in parte dovuto alla richiesta di manodopera specializzata con un rapporto tra occupati e forza lavoro disponibile sul territorio in diminuzione. Inoltre è stato registrato un aumento dell’indice di vecchiaia dovuto allo spostamento dei giovani causato dalla mancanza di opportunità occupazionali ed un saldo naturale nell’area negativo ed in continua diminuzione. Da questa situazione demografica emerge la necessità di promuovere politiche per la famiglia e per il sociale con la problematica sempre più evidente della diminuzione del numero di giovani e quindi di forza lavoro da impiegare anche nel settore sociale. Questi fattori compartono una tendenza allo sbilanciamento verso le classi di popolazione più anziane con una ripercussione sulle dinamiche delle politiche sociali all’interno dell’area IPA.
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Da un punto di vista economico produttivo nel settore manifatturiero, all’interno dell’area IPA, sono presenti numerose imprese di mediopiccole dimensioni che, nonostante gli effetti della crisi economica, contengono il maggior numero di addetti dell’intero territorio. In quest’area hanno sede alcuni distretti produttivi, tra i quali la nota “Inox Valley” di ConeglianoVittorio Veneto, (focalizzata sulla produzione di elettrodomestici ed attrezzature per la collettività) ed il Distretto dell’occhialeria presente nell’area di Segusino-Valdobbiadene. Negli ultimi anni il settore ha subito un significativo ridimensionamento della base produttiva causata dalla diminuzione della richiesta di prodotti legata ad una competitività non più nazionale ma globalizzata. Queste imprese sono localizzate sull’intero territorio andando a formare un tessuto imprenditoriale diffuso utile a creare occupazione ed a favorire lo sviluppo. Il comparto più rilevante all’ interno dell’area è quello metalmeccanico presente in modo consistente nei poli urbani di Conegliano e Vittorio Veneto, anch’esso limitato nella crescita, durante gli ultimi anni, a causa della diminuzione della richiesta dei prodotti e dalla non ottimale interazione tra le varie aziende del settore. La chiusura di alcune attività manifatturiere ha causato una presenza di manufatti industriali abbandonati all’interno dell’area, i quali vanno a sommarsi a quelli preesistenti la crisi economica, data la natura storica del territorio vocata alla produzione ed allo sviluppo di nuovi prodotti a partire dagli anni 60. La maggior parte di questi manufatti è situata lungo le vie di comunicazione naturali, come i fiumi e lungo la linea ferroviaria presente nella parte orientale dell’area. Alcuni fabbricati industriali sono localizzati lungo la strada statale 13 ed è quindi possibile riscontrare un numero maggiore nella zona di Conegliano e lungo tutto il tragitto della strada passante per la parte sud-orientale dell’area IPA. Per riqualificare e valorizzare i manufatti presenti nell’intera zona sono stati previsti, attraverso i vari livelli di pianificazione territoriale regionale, provinciale, sovracomunale (IPA) e comunale, degli incentivi per gli interventi di riqualificazione con lo scopo di riutilizzare i fabbricati esistenti e limitare il consumo di suolo. I maggiori punti di debolezza riscontrati durante la nostra analisi consistono nella congestione del traffico lungo le vie principali ed all’ interno dei poli urbani principali ed una non sempre concreta innovazione delle strutture produttive e delle modalità di comunicazione dovuta in parte alla tradizione del sapere empirico presente
nel periodo post-bellico, durante il quale era possibile fare esperienza ed “imparare facendo” prima di aprire una attività in proprio. Oggi, con l’avvento della globalizzazione è necessario dare risalto alle nuove tecnologie presenti sul mercato andando a creare un tessuto coeso tra le varie imprese del settore in risposta ad un mercato sempre più dinamico ed in continua evoluzione. Oltre allo sviluppo dell’innovazione tecnologica una seconda opportunità presente sul territorio consiste nella riqualificazione delle aree dismesse ed abbandonate e la crescita del marketing territoriale con la finalità di creare nuova occupazione e rivalorizzare le aree degradate aumentando la qualità del paesaggio e del territorio. Per quanto riguarda l’analisi del settore dell’agricoltura è emersa la presenza di numerose aziende agricole presenti all’ interni del territorio e situate in modo più accentato nella zona del Valdobbiadene con un’elevata professionalità da parte degli operatori del settore. Nella zona sono presenti alcuni Istituti superiori ed un corso universitario per lo studio delle tecnologie vitivinicole ed enologiche. La maggior parte delle aziende agricole è a conduzione individuale causando una frammentazione aziendale lungo l’intero territorio ed una mancanza della richiesta di manodopera esterna al nucleo famigliare. Abbiamo riscontrato nel corso della nostra analisi un’elevata età media dei conduttori delle aziende ed un livello d’istruzione medio-basso con una tendenza molto ridotta all’ammodernamento ed all’innovazione della struttura aziendale. Questi fattori causano di conseguenza un limitato utilizzo delle nuove tecnologie anche a fini commerciali per la conoscenza e diffusione dei prodotti tipici. Il territorio dell’IPA è conosciuto a livello internazionale per la produzione del prosecco grazie ad alcune aziende che hanno investito sul territorio andando però a sfruttare, a causa della crescita del prodotto sul mercato, la quasi totalità del territorio incidendo sulla produzione di altri prodotti. Infatti all’interno dell’area è presente una cospicua produzione di prodotti lattiero-caseari purtroppo non adeguatamente sviluppata. Le opportunità emerse sono principalmente orientate al coinvolgimento degli agriturismi all’ interno del tessuto turistico grazie anche alla presenza degli itinerari turistici oltre allo sviluppo di coltivazioni biologiche. La mancanza di cooperazione tra le diverse aziende causata anche dall’ assenza di supporti informatici può generare una diminuzione della percezione all’ esterno del potenziale offerto dai prodotti locali
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e dalle istituzioni scolastiche e formative. Infine il limitato utilizzo dei supporti informatici a fini comunicativi può causare una diminuzione della richiesta dei prodotti. Dalla nostra analisi è emerso che il settore del turismo, nonostante questo periodo di crisi, risulta in crescita, aumentando in modo considerevole il numero delle presenze ma diminuendo la durata media del soggiorno. All’interno dell’area IPA sono presenti numerosi numerose strutture turistiche in modo particolare i B&B, i quali rispondono alle richieste del turista offrendo una permanenza confortevole ma per un breve periodo di tempo. Oltre alla presenza dei B&B è da sottolineare il numero consistente di agriturismi, uno degli elementi principali di connessione tra i settori dell’agricoltura e del turismo. Abbiamo individuato un aumento dei turisti provenienti da stati extraeuropei con una non sempre elevata preparazione da parte degli
operatori della conoscenza della lingua inglese. All’ interno dell’area sono inoltre presenti alcuni itinerari utili a far interagire il turista con la natura ed i prodotti tipici della zona. Infatti il turista ha la possibilità di percorrere l’itinerari eco-museale della Marca Storica per poter visitare i numerosi reperti presenti nella zona. Un secondo itinerario tipico dell’area IPA è la Strada dei Vini, utile per la scoperta dei luoghi anche attraverso la cultura eno-gastronomica. I principali punti di debolezza si possono trovare nella limitata visibilità delle strutture turiste a livello internazionale causata da una non elevata conoscenza delle lingue straniere e dell’utilizzo non ottimale dei siti internet da parte degli operatori del settore e dalla limitata offerta di servizi di guida turistiche. Da questo primo quadro conoscitivo ne è emerso l’opportunità di sviluppare l’apprendimento di lingue straniere e lo sviluppo di sistemi informatici finalizzati alla conoscenza del territorio.
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IPA Terre Alta Marca Trevigiana
Punti di Forza
Mobilità e Popolazioni
Economia e Società
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Punti di Debolezza
Presenza di infrastrutture di collegamento (Austroda A27, A57, Linea Ferroviaria, SS13) nella parte orientale che la rendono facilmente accessibile
Assenza di collegamenti a scorrimento veloce la direttrice Est-Ovest dell’area IPA
Presenza della "Strada dei vini" e di itinerari suddivisi per percorsi tematici con lo scopo di esplorare le ricchezze del territorio
Mancanza di indicazioni approfondite sui perc limitata estensione delle piste ciclabili
Stabilità demografica negli ultimi anni e distribuzione uniforme ed equilibrata della popolazione tra zone a bassa densità abitativa e centri urbani
Sostenuto invecchiamento della popolazione rispetto a Provincia e Regione grazie anche al naturale negativo
Saldo migratorio positivo nelle zone produttive specialmente servite da infrastrutture e servizi (Conegliano, S. Lucia di Piave, S. Fior)
Netta diminuzione del saldo migratorio dal 20
Popolazione straniera equamente distribuita tra maschi e femmine
Taso di crescita dell'incidenza della popolazio straniera più alto rispetto alla Provincia
Aumento del numero complessivo dei laureati, specialmente giovani, e di coloro che possiedono il diploma di scuola secondaria superiore
Contenuto divarico tra il livello di istruzione maschile e quello femminile
Aumento del numero dei occupati di 5% tra 2001-2011
Raddoppio del tasso di disoccupazione negli u dieci anni (media presente=6%)
Aumento del numero complessivo degli addetti specialmente in agricultura e turismo
Tasso di crescita del numero complessivo di a è molto inferiore rispetto a quello provinciale
Maggior incidenza del settore manifatturiero in termini di addetti e unità locali rispetto alla situazione provinciale
Il settore manifatturiero durante la crisi ha per maggior numero di addetti e sedi d'impresa
Localizzazione degli insediamenti industriali lungo la linea ferroviaria
Presenza diffusa di capannoni abbandonati su territorio
Elevata presenza di prodotti tipici sul territorio e di relative certificazioni
Promozione dei prodotti lattiero-caseari non adeguatamente sviluppata
Elevata professionalità degli operatori del settore agricolo
La maggior parte delle aziende agricole è a co one individuale
Presenza di Istituti superiori ed Università per lo studio delle tecnologie vitivinivole ed enologiche
Età media dei conduttori delle aziende è eleva livello d' istruzione medio-basso
Permanenza della tradizione nella cultura produttiva agricola
Ridotta propensione all' ammodernamento ed innovazione
Aumento del numero delle presenze turistiche all' interno dell' area
Diminuzione della durata media del soggiorn
Aumento dei turisti provenienti dai paesi extra-europei
Formazione linguistica limitata
Elevato numero di agriturismi
Mancanza di un sito con tutte le informazioni collettivo sui agriturismi e loro specializzazion
Presenza di numerose ville venete di elevato valore artistico, architettonico e culturale
Manutenzione non diffusa del patrimonio arc tonico
Laboratorio di Politiche
Opportunità
e lungo
Realizzazione della Pedemontana Veneta, "Ferrovia delle Dolomiti", e delle aree verdi di mitigazione
corsi e
Valorizzazione delle risorse ambientali ed delle attività economiche presenti lungo i percorsi attraverso l'ulteriore integrazione delle infrastrutture
e
saldo
012
one
ultimi
addetti
Minacce Ulteriore inaccessibilità della parte occidentale dell’area IPA
Attuazione di politiche a sostegno di: famiglie, giovani, natalità
Minore disponibilità di giovane capitale umano in grado di abitare e sviluppare il territorio.
Quantificazione e soddisfazione dei fabbisogni abitativi degli immigrati anche rivitalizzando e ripopolando spazi territoriali abbandonati
Insufficienza dei consistenti flussi migratori a rallentare l'aumento dell'età media della popolazione
Arrichimento culturale
Possibili rischi sociali per via del cambiamento della tradionale struttura della popolazione residente
Disponibiltà di capitale umano più formato, qualificato e specializzato attraverso la razionalizzazione della rete scolastica
Tendenza ad aumentare il divario tra occupazione femminile e maschile , nel caso di crisi diffusa della perdità dei posti di lavoro
Favorire l’accesso al lavoro femminile e migliorare le condizioni di lavoro Emersione del lavoro irregolare
Continuità della crisi economica
rso
Valorizzazione delle filiere produttive e delle specificità distrettuali
ul
Riutilizzo delle aree industriali dismesse per la realizzazione nuove unità immobiliari
Degrado del territorio e dell' ambiente
Sviluppo di coltivazioni biologiche
Perdita di concorrenza causata dall' assenza di supporti informatici
onduzi-
Sviluppo del sistema logistico all' interno dell' azienda
Polverizzazione e frammentazione aziendale, e diminuzione di richiesta di manodopera fuori dalla 'famiglia'
ata con
Aumento della formazione e della conoscenza di nuovi linguaggi multimediali
Ridotta percezione all' esterno del potenziale offerto dalle istituzioni scolastiche e formative
d all'
Diffusione delle fattorie didattiche grazie al programma interregionale "Comunicazione ed educazione alimentare"
Perdita di attrazione con relativa diminuzione di interesse per il settore
no
Sviluppare strategie di trattenimento del flusso turistico Sviluppo sito web e comunicazione multimediale
Limitata interazione tra proposta ed effettiva fruizione all' interno delle app e dei siti web delle strutture turistcihe
ne
Integrazione attività produttiva con l' ambiente e conseguente valorizzazione del paesaggio e relativa possibilità di vendita dei prodotti enogastronomici
Limitazione dei servizi connessi agli agriturismi con possibile perdita di qualità
chitet-
Sviluppo del turismo congressuale
Assenza di risorse pubbliche per la conservazione e la promozione del patrimonio artistico ed architettonico
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Laboratorio di Progettazione e Pianificazione Comune di Vittorio Veneto
Rigenerazione dei volumi dismessi
Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina mantendendo i bordi scuri, oppure essere più piccola (va comunque mantenuto il fondo scuro) 1
Laboratorio di Progettazione e Pianificazione
Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Laboratorio di Progettazione e Pianificazione Professori: Anna Marson Collaboratori: Dott. Moreno Baccichet Dott. Mateo Basso a.a. 2015-2016
Febbraio 2016 Luglio 2016 Venezia
Rigenerazione dei volumi dismessi, Vittorio Veneto Contenuti: 1* Introduzione Metodo Sintesi dell’analisi Inquadramento 2* Mobilità e popolazioni Infrastrutture per la mobilità Nodi di mobilità e poli di attrazione Chi abita, chi vive l’area IPA 3* Economia e società Lavoro: sottotono l’occupazione Agricoltura: risorsa e opportunità Manifatturiero: la grande perdita Turismo vitale 4* Analisi SWOT
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Team * Alessia Cibin * Ignazio Marcolongo * Elvis Paja * Andrea Pesaresi
Rigenerazione dei volumi dismessi
Le aree dismesse a Vittorio Veneto. Alcune riflessioni
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Negli ultimi anni si sono sviluppate pratiche sociali, modelli economici, istituzioni e regole basate sulla condivisione di responsabilità pubbliche, di risorse, di stili di vita e di processi produttivi, fondati sulla condivisione. Accanto al modello tradizionale di amministrazione, si sta sviluppando un altro modello definito “amministrazione condivisa”, fondato sul principio costituzionale di sussidiarietà orizzontale (Art. 118 u.c.). “La novità del nuovo modo di amministrare sta tutta nel diverso rapporto fra politica, amministrazioni e cittadini: nel caso del modello tradizionale, politica e amministrazione si presentano rispetto ai cittadini come un unico blocco da essi separato; nel caso dell’amministrazione condivisa, invece, politica, amministrazione e cittadini convergono nel perseguimento dell’interesse generale” [1]. Siamo entrati cioè in quella che viene chiamata “società della condivisione”. Il bene che connota tale società è il bene comune. Ora, se diciamo che “i beni comuni non sono intesi solo come edifici, ma sono anche quei luoghi e quegli spazi nel senso più ampio che non rientrano più nella vita quotidiana delle persone, ma che portano con sé frammenti di storia” [2] Vittorio Veneto risulta costellato di beni comuni abbandonati. Allora ci si potrebbe dire: “siamo spacciati, non c’è possibilità di rigenerare questo territorio” come più o meno ci lascia intendere un signore (ex dirigente dell’Italcementi di sotto) con le seguenti parole: “È chiuso tutto qua ormai. Questa è una città dormitorio per anziani che sono in attesa di andare al cimitero. Questo è un parcheggio in attesa del cimitero. […] Quindi qui non si farà niente, non state a perder tempo a studiare niente che non serve”. Questo signore paradossalmente è un cittadino attivo poiché cura un ampio spazio verde all’interno della proprietà dell’ex Italcementi di sotto sulla base di un comodato d’uso precario. Il signore in questione ha messo in piedi un piccolo orto, con le galline, i conigli, gli alberi da frutto e un ex garage che funziona da ripostiglio per attrezzi. Ma ora ritorniamo al nostro discorso. Il territorio in cui abitiamo è l’esito di alcune politiche che, nel tempo, si sono incarnate in modi di praticare il territorio; a politiche diverse corrispondono pratiche differenti di utilizzo del territorio. Nella “società della condivisione” ciò che conta non è il possesso, ma l’uso del bene e ciò comporta un cambiamento sostanziale rispetto ad una società fondata sul diritto di proprietà.
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Rigenerazione dei volumi dismessi
Oggi ai cittadini non è ancora consentito prendersi cura dei beni di proprietà di soggetti pubblici poiché anche a questa categoria di beni si applica lo “schema escludente ed esclusivo del diritto di proprietà”[3]. Tuttavia i beni comuni non sono di proprietà di nessuno pur essendo di tutti (tutti possono usarli e goderne). Un secondo elemento da considerare poiché contraddistingue la “società della condivisione” è il paradosso per cui “condividendo si moltiplicano energie, risorse, capacità e opportunità”[4]. Nell’età della condivisione lo stesso bene può essere utilizzato più volte da molteplici soggetti senza logorarsi al punto da diventare inservibile. Nel prendersi cura dei beni comuni i cittadini attivi (singoli e/o associati) condividono con le PA risorse (tempo, competenze, relazioni, esperienze, etc.) e responsabilità, poiché si assumono autonomamente le responsabilità relative alla cura dei beni comuni. Si mettono in circolazione nuove e preziose risorse civiche e al contempo si moltiplica l’effetto delle risorse esistenti. Ora, proviamo a considerare Vittorio Veneto. Saliamo sull’Altare, osserviamo e ascoltiamo. Tutto è silenzio, come dice Simone Boccanegra nella sublime opera Verdiana. Il “tutto è silenzio” è dovuto ad un atto di incomparabile coraggio che ribalta completamente la situazione iniziale che vedeva Simone e i patrizi in pericolo di vita. Simone accoglie il popolo in tumulto che poco prima lo voleva morto, ribaltando la situazione e stabilendo un nuovo “patto” con esso. Ecco, proprio un atto di coraggio potrebbe riscattare Vittorio Veneto. Vittorio Veneto è “un luogo straordinario nella sua specificità, che merita di essere valorizzata in quanto tale, per costruire un futuro altrettanto durevole”[5] così si era aperto il Laboratorio di progettazione e pianificazione.
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[1] “Il valore aggiunto”, Gregorio Arena e Giuseppe Cotturri (a cura di), 2010, Carocci [2] “Forlì, alla riconquista degli spazi abbandonati”, Valentina Taurini, 18 dicembre 2015, http://www.labsus.org/tag/spazi-indecisi [3] “I beni comuni nella società della condivisione”, Gregorio Arena, 3 novembre 2015, http://www.labsus.org/2015/11/i-beni-comuninella-societa-della-condivisione [4] “I beni comuni nella società della condivisione”, Gregorio Arena, 3 novembre 2015, http://www.labsus.org/2015/11/i-beni-comuninella-societa-della-condivisione [5] “Vittorio Veneto. L’Italia che non ti aspetti”, Rivivelab, 15 marzo 2016, https://rivivelab. wordpress.com/2016/03/15/vittorio-venetolitalia-che-non-ti-aspetti-un-territorio-nel-qualenonostrante-le-trasformazioni-del-secolo-breve-
e-ancora-ben-leggibile-la-trama-dellassettoterritoriale-di-lungo-periodo-la Riflessioni ancora Le riflessioni precedenti si concludevano con una breve considerazione sul coraggio, l’azione del cuore. L’agire è strettamente connesso con le forze che si hanno a disposizione. Quando si è spossati è difficile avere coraggio proprio perché mancano le forze. Vittorio Veneto sembra in gran misura spossata ma, in verità, ci siamo accorti che c’è la possibilità di raccogliere le forze e compiere qualcosa per rigenerarla. Come si possono raccogliere le forze? Innanzi tutto c’è da chiedersi se Vittorio Veneto abbia delle peculiarità espressive, un linguaggio con cui potersi esprimere. Sopralluoghi, interviste e colloqui ci avevano inizialmente lasciati senza alcun tipo di speranza. Tuttavia non ci siamo abbattuti, abbiamo raccolto le nostre forze e abbiamo continuato la nostra ricerca e rielaborando gli appunti, le annotazioni, le fotografie, i video e tutti gli altri materiali, ci siamo accorti che, a dir la verità ci sono delle realtà che, a varie scale, riescono a catalizzare energie civiche o, più semplicemente pubblico, tramite eventi e attività. Queste realtà sono sicuramente un punto dal quale Vittorio Veneto può partire. In particolare pensiamo che, per la rigenerazione dei volumi e delle aree dismesse, sia di vitale importanza la collaborazione tra cittadini singoli e associati e amministrazione. La collaborazione è l’unione delle forze che permette di superare la spossatezza. Ora, se il fine è la rigenerazione dei volumi dismessi crediamo non basti far emergere le vocazioni linguistiche di Vittorio Veneto. Ci sono almeno altri due punti di cui vorremmo parlare. Il discorso dovrebbe, a nostro avviso, partire dall’etimologia della parola rigenerazione. Cosa significa rigenerazione? Generare di nuovo, riprodurre. Ora, qualcosa che va ri-generato abbisogna di un formidabile organismo che si occupi di curare tale nuova generazione. Se bisogna partire da capo, poiché tale è il significato intrinseco della parola rigenerazione, bisogna pensare a come gli uomini possano unirsi. Certo il linguaggio comune è fondamentale altrimenti non vi sarebbe quasi la possibilità di capirsi, ma cos’è che può far si che si formi un organismo tale da essere all’altezza del compito di generare di nuovo? Bisogna che il linguaggio parli di qualcosa che accomuna le persone che si ritrovano con il fine di ri-generare. Cos’è che può farlo? Ebbene io posso considerare un edificio e farmene una mia opinione che differisce totalmente da quella
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Rigenerazione dei volumi dismessi
delle altre persone. Tuttavia c’è una cosa sulla quale non si può avere opinioni differenti (in merito al caso dell’edificio), il ricordo dell’edificio, la storia dell’edificio. Nel nostro caso pensiamo sia imprescindibile la questione “ricordo” poiché mentre con il linguaggio gli uomini si uniscono prevalentemente esteriormente, con il ricordo accade qualcosa di magico. Useremo un esempio pur conoscendo i limiti degli esempi. Quando ci si ritrova dopo molti anni con persone, che non si vedevano da quei “molti anni” appena accennati, con le quali si son fatte delle esperienze memorabili ma che per i più disparati motivi la vita ha deciso che non ci si doveva più vedere fino a quei “molti anni” dopo, e quando con queste persone ci si riconosce e si prova a parlare accade che si finisce a ricordare insieme quella memorabile esperienza vissuta. Questo permette di ri-allacciare legami, di unire le forze sotto il ricordo. Le considerazioni fin’ora fatte devono tuttavia ancora essere sviluppate poiché mentre nel linguaggio risiede la possibilità di pensare ed immaginare insieme, e mentre nel ricordo risiede la possibilità di sentirsi uniti e di rappresentare, è nello svolgere insieme un compito, in quello che potremmo chiamare “coltivare”, che si estrinseca quel formidabile organismo di cui parlavamo inizialmente: “per questo, quando dei cittadini si prendono cura degli spazi del proprio quartiere, quelle persone stanno facendo qualcosa di molto più importante che non la mera manutenzione di quegli spazi, esse stanno in realtà ricostruendo la propria comunità, curando i legami che li uniscono, producendo e sviluppando capitale sociale, integrazione, senso di appartenenza. In una parola, danno fiducia”[1]. Sia chiaro che, un orto si coltiva se ci sono almeno le forze e le sementi, tutti e tre i punti toccati in queste riflessioni sono fondamenti per la ri-gener-azione. Bisogna in ultima analisi anche chiarire che l’ordine cronologico con il quale sono stati affrontati i punti è, a parer nostro, l’unico ordine cronologico praticabile a Vittorio Veneto. 32
[1] “I beni comuni nella società della condivisione”, Gregorio Arena, 3 novembre 2015, http://www.labsus.org/2015/11/i-beni-comuninella-societa-della-condivisione L’abbandono a Vittorio Veneto in pillole Vendesi affittasi vendesi affittasi affittasi vendesi affittasi vendesi affittasi affittasi silenzio, balconi rotti, finestre arrugginite, pareti ammuffite.
Un bar, ogni tanto, persone a vederle manco oro. Negozi, appartamenti, ex fabbriche vendesi affittasi vendesi affittasi edifici in cui il cartello non c’è proprio più. Hanno perso la speranza? É passato troppo tempo e sarebbe eccessivamente costoso rimettere a nuovo l’edificio? Le vetrine impolverate dei negozi sfitti. Passeggiando qua e là, per Ceneda e Serravalle, si notano dei cartelli. “Alt farsi riconoscere” “Zona militare Divieto di accesso” note di campo, sopralluogo a Vittorio Veneto. Nel nostro primo colloquio con il Comune di Vittorio Veneto (primo aprile 2016) organizzato dai docenti del Laboratorio di Progettazione e Pianificazione, eravamo stati informati che il Comune sentiva l’esigenza di censire gli edifici dismessi dato il numero elevato di appartamenti sfitti e locali invenduti. Le impressioni di vuoto, di città in abbandono, acquisiscono maggiore inquietudine nelle affermazioni di alcuni nostri intervistati. “É chiuso tutto qua ormai. Questa è una città dormitorio per anziani che sono in attesa di andare al cimitero. Questo è un parcheggio in attesa del cimitero.” [1] “I giovani non sanno dove andare la sera. Sembra un cimitero.” [2] Vittorio Veneto sta invecchiando e sta perdendo popolazione. L’indice di vecchiaia del comune di Vittorio Veneto è superiore al valore provinciale e regionale in entrambi gli anni considerati, 2011 e 2014. Ciò significa che la popolazione di 65 anni e più supera quella compresa nella fascia di età 0-14. Ma c’è di più, è pure aumentata! Diminuisce la popolazione a Vittorio Veneto. Nello stesso arco temporale, il comune, subisce un decremento di popolazione dello 0,7% a fronte di variazioni percentuali positive di Provincia e Regione, rispettivamente 1,3% e 1,5%. Questo dovuto anche ad un saldo naturale e migratorio costantemente negativo. [3] La situazione è abbastanza drammatica tuttavia non disperiamo! Se Vittorio Veneto dovesse essere una tela da dipingere e fino ad ora la tavolozza era priva di colori se non il nero ora iniziamo a parlare di ciò che dovremmo rappresentare in bianco candido o giallo: gli edifici dismessi. Questi grandi mostri per alcuni, vuoti urbani a rendere per altri. Problemi per qualcuno. Opportunità per altri, incluso per noi.
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CITY PRODUCTION CYCLES
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Rigenerazione dei volumi dismessi
La rigenerazione dei volumi dismessi a Vittorio Veneto è una questione che concerne proprietà private residenziali, commerciali, produttive, dell’Agenzia del Demanio e comunali e questo ci è chiaro sin dal primo giorno. I sopralluoghi e gli incontri con l’Amministrazione Comunale, le Associazioni locali (ad es. Legambiente, Consulta delle Associazioni Vittoriese), le interviste ai cittadini e la rassegna stampa dei quotidiani locali (OggiTreviso, Tribuna di Treviso, Il Gazzettino) ci hanno indotto a concentrare l’attenzione su sei aree e complessi militari e tre edifici pubblici di proprietà comunale per le seguenti motivazioni: - l’importanza strategica attribuita ad essi; - la minor difficoltà nel reperire informazioni; - la possibilità di ragionare sul ruolo della pubblica amministrazione nei processi di rigenerazione; - l’approfondita e lunga ricerca che richiederebbe il trattamento degli edifici privati residenziali e commerciali.
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Di chi/che cosa ci siamo occupati? I dismessi di recente formazione: le aree e complessi militari di proprietà dell’Agenzia del Demanio. Tutte queste aree militari sono inserite all’interno di un piano di valorizzazione, con ciò inteso il “Protocollo d’Intesa per la razionalizzazione e la valorizzazione di alcuni immobili militari presenti nel territorio comunale” sottoscritto il 10 novembre 2014 tra Ministero della Difesa, Comune di Vittorio Veneto e Agenzia del Demanio. Parcheggiamo, per un attimo, il Protocollo davanti al Piccin, rimandando ad un secondo momento approfondimenti e considerazioni. Pensavate che potessimo accontentarci di questi sei? Sbagliavate… Due su tre degli edifici comunali sono stati inseriti recentemente nel Piano delle Alienazioni: Villa Papadopoli e Scuola Nazario Sauro. Il terzo, la Scuola Cosmo, risulta papabile per l’insediamento della Polisteca, progetto già finanziato della nuova biblioteca comunale a discapito della già esistente e localizzata in un’unità di Villa Papadopoli. Chi non conosce sua maestà Villa Papadopoli? Al centro di Ceneda, rinomata per la presenza della Biblioteca Comunale e del Parco Papadopoli di cui l’associazione Insieme Per Ceneda si prende cura attraverso lo sfalcio dell’erba e l’organizzazione di eventi e attività ricreative. Punto di riferimento non solo culturale bensì identitario di un’intera città. Inserita nel Piano delle Alienazioni e valorizzazioni immobiliari
anno 2014″ e messa in vendita per 4.500.000 euro. Rimasta invenduta e ritirata dal piano di alienazioni. [1] Intervista ad un ex dirigente dell’Italcementi, Vittorio Veneto, 06 maggio 2016 [2] Intervista ad un cittadino, Vittorio Veneto, 06 maggio 2016 [3] I dati derivano da un’analisi demografica basata sull’elaborazione di dati ISTAT a cura del Gruppo Peca (Sara Cabrelle, Alessia Cibin, Davide Comerlati, Elvis Paja) effettuata durante il Laboratorio di Politiche del primo semestre (a.a. 2015/2016) coordinato dai Prof. Francesca Gelli, Luciano Vettoretto con la collaborazione dei Dott. Matteo Basso, Andrea Mariotto. Un’analisi necessaria per attribuire usi e funzioni agli edifici dismessi. “Cosa ce ne facciamo?” “Che cosa ci mettiamo?” Questi sono due interrogativi che emergono dalla rassegna stampa e dalle interviste riguardanti l’attribuzione di usi e funzioni agli edifici dismessi. Interrogativi a cui l’amministrazione comunale sta tentando di dare una risposta per due motivi. Il primo motivo è il perseguimento dell’obiettivo, previsto dal Protocollo d’Intesa, riguardante il cambio di destinazioni d’uso degli edifici demaniali attraverso variante del piano urbanistico. Il secondo è realizzare progetti avviati dall’amministrazione stessa come ad esempio il progetto della Polisteca per cui sono già stati predisposti i finanziamenti necessari. Per rispondere a queste domande è indispensabile reperire informazioni quali: la localizzazione, l’accessibilità all’area mediante mezzi di trasporto pubblico e privato, la disponibilità di parcheggi pubblici o di pertinenza, la presenza di aree verdi di pertinenza e le caratteristiche morfologiche degli edifici. L’abbiamo fatto e abbiamo elaborato un format di schede di analisi degli edifici dismessi sulle quali basare la ricerca di possibili usi e funzioni. Le schede di analisi sono state elaborate su: Villa Papadopoli, ex scuola Cosmo, ex scuola Nazario Sauro, Palazzo Marinotti, Palazzo Doro Altan, Palazzo Piccin, Caserma Gotti, Caserma Tandura, Aviosuperficie S. Giacomo. All’interno di esse sono presenti diverse sezioni: inquadramento, informazioni generali, rassegna stampa, peculiarità, foto. L’inquadramento si basa sull’elaborazione di un’ortofoto in scala 1:3000 dove si evidenziano: gli accessi carrabili e pedonali, le infrastrutture stradali adiacenti e le fermate dei mezzi di
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Rigenerazione dei volumi dismessi
trasporto pubblico. Le informazioni generali riguardano: la localizzazione nel territorio e nei borghi storici, il tipo di proprietà, l’anno di costruzione e dismissione, le destinazioni d’uso proposte dalle istituzioni (Comune di Vittorio Veneto e Agenzia del Demanio), la superficie territoriale, la superficie lorda di pavimento, il volume e il numero di unità. La rassegna stampa consiste in una timeline di estratti di quotidiani locali (OggiTreviso, la Tribuna di Treviso, il Gazzettino) che indicano le visioni sugli edifici dismessi, i progetti eventualmente presenti per la riqualificazione e i conflitti. Le peculiarità evidenziano i punti di forza e i punti di debolezza rispetto a: accessibilità, localizzazione, vicinanza a fermate di mezzi di trasporto pubblico e presenza di aree verdi di pertinenza. Fonti: Chiovaro S. (a cura di), “Ville Venete. La Provincia di Treviso”, Marsillio, 2001; Comune di Vittorio Veneto, D.C.C. n. 46 del 30 Novembre 2015; Regione Veneto, CTR, shapefile“edifici” e “elementi divisori”; Foto e osservazioni da sopralluoghi aprile e maggio 2016; Interviste e colloqui con Scalet, responsabile Uff. Urbanistica e responsabile U.O. Patrimonio – Manutenzione Fabbricati; Elaborato di inquadramento sulle centralità del gruppo “Città Policentrica”; agenziademanio.it; vittorioveneto.gov.it; investinitalyrealestate.com. Quali usi e funzioni per gli edifici dismessi?
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Dalla rassegna stampa sui quotidiani locali sembra proprio che le scommesse non manchino. Nessuna di queste idee ha preso forma eccetto il progetto Polis-teca per cui “sono già disponibili i finanziamenti”, questo emerge da un colloquio con il Responsabile Uff. Urbanistica. Attribuire usi e funzioni agli edifici dismessi è una questione che ci siamo posti e alla quale abbiamo tentato di dare risposta contestualmente alla fase di analisi sui “caratteri intrinseci delle aree dismesse (dimensione, forma, localizzazione, accessibilità etc.)” [2] che ci ha portato all’elaborazione delle schede. La nostra attribuzione di usi e funzioni si è concretizzata in una tabella che è stata costruita
a partire dagli edifici dismessi considerati e da 5 macro-funzioni: abitare, ricrearsi, ospitare, imparare, produrre. L’individuazione di tali funzioni sono un’elaborazione effettuata sulla base del progetto di rigenerazione urbana per Trieste “Spazi Opportunità”. [3] All’interno di queste macro-funzioni sono state individuate delle funzioni puntuali sulla base di: - idee e visioni emerse dalla rassegna stampa, - contenuti del Documento Programmatico dell’Amministrazione 2014-2019, - incontro con ZephiroTorna svoltosi a Venezia, maggio 2016. [4] Il semplice fatto che più tipi di funzioni siano attribuibili ad uno stesso edificio testimonia la possibilità (che forse dovrebbe tramutarsi in credenza) di puntare ad una compresenza e compatibilità di funzioni garantendo una mixitè funzionale. Le funzioni sono state pensate sia contemplando l’eventualità di possibili vendite ad investitori e per indirizzarli verso la migliore vocazione dell’edificio, sia pensando a funzioni ad elevato impatto sociale promosse e condivise dalla Pubblica Amministrazione. usi e funzioni [1] https://rivivelab.wordpress.com/2016/07/16/ unanalisi-necessaria-per-attribuire-usi-e-funzioniagli-edifici-dismessi/) [2] Bobbio R., Gastaldi F. (2008), La trasformazione delle aree industriali in Paolo Colarossi e Antonio Pietro Latini, La progettazione urbana. Declinazioni e strumenti, Il Sole 24 Ore, Milano, 2008, (pagg. 223-257) [3] http://www.pso-trieste.eu [4] http://www.zephirotorna.it ReViVe – conoscere per promuovere Vittorio Veneto attraverso le applicazioni Android ReViVe App è un progetto software rivolto a soggetti pubblici e privati del Comune di Vittorio Veneto, interessati a conoscere per poter promuovere la propria realtà territoriale mediante App per Smartphone. L’applicazione è stata ideata come invito a partecipare al processo collettivo di riconoscimento dei valori architettonici, urbani e sociali dei volumi da salvaguardare, cosi che possano accogliere nuove funzioni e servizi per i cittadini di Vittorio Veneto. Utilizzando il GPS dello Smartphone ReViVe fornisce la precisa localizzazione dell’utente, visualizzandola sulla mappa Google. L’utente può quindi conoscere la propria
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Rigenerazione dei volumi dismessi
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posizione su diversi tipi di mappe Google offerte (come quella Normale, Satellite, Ibrida o Terreno) a seconda della categoria di informazioni territoriali che l’utente sceglie di visualizzare. ReViVe permette di accedere a informazioni dettagliate inerenti i punti di interesse presenti (POI) sul territorio, quali, ad esempio, siti che offrono maggiori informazioni sui temi ed edifici considerati (come rivivelab.wordpresse.com). Ogni punto di interesse è rappresentato come un marker ed è “vestito” da una scheda descrittiva contenente le informazioni relative all’oggetto territoriale: testi descrittivi del nome, indirizzo e peculiarità del complesso degli edifici analizzati, proprietario, destinazione d’uso attuale, superfice lorda di pavimento. ReViVe può mostrare graficamente il percorso minimo che collega il POI (volume dismesso) e l’utente. Le informazioni sui punti di interesse si possono anche trovare in una lista dei volumi dismessi preordinata dai componenti del Gruppo “Rigenerazione Volumi Dismessi”. All’utente gli viene data l’opportunità di aggiornare ed aggiungere altri edifici o complessi di edifici a questa lista. ReViVe in questo caso necessita che l’utente si trovi adiacente al POI o all’interno della superficie territoriale di pertinenza, siccome recepirà le coordinate GPS dell’utente e gliela consegnerà al nuovo edificio dismesso da aggiungere nella lista e chiederà di completare i dati sul nome del edificio, indirizzo, proprietario, destinazione d’uso, peculiarità, ecc. Una funzionalità in più è la possibilità che l’utente crei percosi di punti consequenziali scelti da se. ReViVe crea un’altra lista di punti ordinati secondo il tempo in cui vengono memorizzati dall’utente, e può mostrare nella mappa: - un itinerario che comincia con il primo punto salvato e si conclude con l’ultimo, rappresentato da una linea blu sottile; - un poligono che collega in linea area solo i punti di interesse del percorso, raffigurato da una linea blu spessa. Note: l’applicazione Android ReViVe non è ancora stata resa commerciabile; essa è stata programmata e sviluppata dallo studente Elvis Paja del Gruppo “Rigenerazione Volumi Dismessi”, che ne è il proprietario momentaneo.
La sharing economy per la rigenerazione dei volumi dismessi. Nel mondo d’oggi sempre più spesso si parla di economia e delle sue diverse forme. E tra esse ne spicca una diversa da tutte le altre e che è sempre più frequentemente il volano per la
rigenerazione degli edifici dismessi: è l’economia della condivisione o sharing economy. La sharing economy è una nuova economia che propone il riuso anziché l’acquisto e l’accesso al bene piuttosto che la proprietà attraverso collaborazione, condivisione e partecipazione. Essa favorisce la mobilitazione di quelle conoscenze e competenze che ognuno possiede, della quali altri potrebbero beneficiare, se solo sapessero dove trovarle e che grazie alle piattaforme digitali riescono ad incontrarsi. Fondamentale importanza rivestono quindi i servizi collaborativi digitali ovvero quei servizi che prevedono uno scambio tra pari e che sono abilitati dalle nuove tecnologie. Marta Mainieri, consulente di marketing digitale e fondatrice e presidente di Collaboriamo.org sottolinea l’importanza di tali servizi: «I servizi collaborativi digitali offrono tre generi di ricompense: economica, sociale e ambientale. Tutti e tre questi benefici hanno un valore per il singolo individuo e un effetto positivo sulla collettività, e generano quell’individualismo collaborativo secondo cui l’interesse di ognuno corrisponde anche a quello della comunità». Questi concetti si sono trasferiti anche in campo urbanistico e sono diventati opportunità di rigenerazione di edifici dismessi. Ecco quindi che un coworking si può inserire in una vecchia scuola. O che degli edifici dismessi vengono mappati ed identificati attraverso un qrcode ciascuno e diventano un museo itinerante dell’abbandono, per far cominciare a conoscere l’entità del problema ad amministrazioni e cittadini. Oppure una villa abbandonata o un vecchio edificio degradato possono diventare la sede di associazioni con benefici sia per i proprietari degli immobili e sia per i fruitori: i primi così non si ritrovano con un edificio ormai abbandonato da così tanto tempo che ormai è inutilizzabile e diventa solo un costo, i secondi invece hanno la possibilità di ottenere una sede con un affidamento dell’immobile in concessione a canone ridotto o pure gratuito. Numerosi sono gli esempi riscontrabili in Italia e di particolare interesse risulta quello di Zephiro Torna. Zephiro è un’esperienza di Castelfranco Veneto realizzata dall’”incubatore mobile” Art(h) emigra in cui uno dei capannoni dismessi del complesso industriale e commerciale della cittadina è stato ristrutturato e riadattato a nuove funzioni sociali e culturali, attraverso un processo di partecipazione degli abitanti della zona. Ora ospita al suo interno uno spazio scenico, un Fab Lab e uffici particolari. Un edificio così abbandonato è stato rigenerato e ha ripreso vita attraverso un processo di coinvolgimento e condivisione di idee.
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Laboratorio di Sintesi Mestre, Quartiere Piave
Analisi e proposte per la rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina mantendendo i bordi scuri, oppure essere più piccola (va comunque mantenuto il fondo scuro) 1
Laboratorio di Sintesi
Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Laboratorio di Sintesi Professori: Arch. Ruben Baiocco Arch. Giulio Ernesti Collaboratori: Dott. Marco Bordin Dott. Massimiliano Barbiero Dott.ssa Cristina Catalonotti a.a. 2016-2017
Team * Nicolò Dalla Costa * Giancarlo Faresin * Alessandro Marcadella * Elvis Paja
Ottobre 2016 Marzo 2017 Venezia
Analisi e proposte per la rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave Contenuti: 1* Introduzione Quartiere Piave Di cosa ci occupiamo 2* Materiali e metodi Obiettivi del lavoro Metodologia di lavoro 3* La storia: il quartere Piave Trasformazioni urbane Trasformazioni sociali Trasformazioni del settore commerciale 4* Processo partecipativo Attività preliminari alla Charrette Charrette: l’incontro con i cittadini Interviste raccolte durante la charrette Interviste a commercianti residenti 5* Strategia progettuale Introduzione Linee d’azioni da intraprendere per la rivitalizzazione del quartiere Piave Criteri per la selezione delle buone pratiche * Linea d’azione 1: rivitalizzazione del settore commerciale Buone Pratiche Analisi di una modalità d’intervento: diminuire il numero dei negozi sfitti * Linea d’azione 2: riqualificazione estetica del fronte stradale e dell’area Buone Pratiche Analisi di una modalità d’intervento: introduzione di strumenti di coordinamento (Piano del Colore) * Linea d’azione 3: interventi sulla viabilità. Buone Pratiche Analisi di una modalità d’intervento: adozione di iniziative di traffic calming 6* Sintesi delle proposte progettuali * Proposta progettuale in Via Piave * Proposta progettuale in Via E. De Amicis Conclusioni Fonti
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Introduzione
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Il Quartiere Piave Via Piave non è una strada di periferia, ma percorrendola, questa impressione ci accompagna. Attraversa per un chilometro un quartiere che richiama il suo nome – Piave 1860, collegando la stazione di Mestre con il centro storico. Il quartiere Piave 1860 (Fig.1) non è tale in senso amministrativo ma così è percepito dalla popolazione che vi abita. In pochi minuti di cammino possono essere raggiunti i principali punti di interesse della città, come il centro storico, la stazione ferroviaria, l’università e, utilizzando l’estesa rete dei percorsi ciclabili e dei servizi pubblici, possono essere raggiunte facilmente tutte le località contermini della terraferma e anche la vicina Venezia. L’immagine che i media diffondono attraverso la stampa e la televisione è quella di un quartiere in crisi, degradato, insicuro; un quartiere che esaspera i conflitti e trasforma i residenti in “prigionieri in casa”, “assediati da decine di africani che minacciano e fanno sentire la loro presenza” (il Gazzettino di Venezia Mestre, 6/7/2016). Il quartiere di via Piave si è profondamente trasformato negli ultimi quarant’anni, anche in conseguenza dell’immigrazione straniera: i nuovi arrivati sono giunti soprattutto dal Bangladesh, dalla Cina, dall’Est Europa e dall’Africa. In pochi anni la zona ha cambiato volto e i residenti si sono ritrovati ad essere, loro stessi, stranieri in casa. Le trasformazioni sono percepibili anche guardando le vetrine: numerosi sono i negozi etnici che propongono prodotti simili e apparentemente di modesta qualità che si contrappongono ai pochi negozi “storici” rimasti. Balza all’occhio anche il rilevante numero di serrande abbassate e vetrine abbandonate. Quello che si vede contrasta con la storia di via Piave raccontata da Leopoldo, residente nel quartiere: “…negli anni’60 e ’70, via Piave aveva tutte le cose che avevano le altre città (T.C.I., A.C.I., negozi di tessuti e di arredamenti di qualità)… c’era una ricchezza che si stava formando in modo forte. Tutte le strade laterali erano piene di attività”. Anche secondo Alessandro, via Piave in quel periodo “era un luogo con molte risorse anche di tipo culturale… via Piave era la zona principale di Mestre”. Secondo Pietro, commerciante storico, invece, dopo un periodo di difficoltà, il quartiere si sta lentamente ma in modo continuo riprendendo con una qualità della vita migliore rispetto a quella di una decina di anni fa.
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Di cosa ci occupiamo Il nostro lavoro si propone di raccontare le complesse trasformazioni socio-economiche che hanno interessato il quartiere negli ultimi quarant’anni, focalizzando le riflessioni sul settore commerciale. Utilizzando fonti diverse (storie raccontate dai residenti e documentazione), abbiamo cercato di leggere e interpretare i cambiamenti che hanno portato alla progressiva scomparsa del tessuto economico esistente nel passato e all’attuale situazione. Infine, abbiamo individuato alcune linee d’azione che potrebbero, se attuate, invertire la tendenza. 49 1. “Se non sai guardare, non puoi vedere” - la foto è una metafora dell’immagine che i mass media danno del quartiere: ci è sembrato che in molte occasioni (specialmente nella cronaca) i media non hanno saputo guardare da una posizione privilegiata che offre una visuale più obiettiva e ricca in dettagli. In sottofondo lo skyline del quartiere Piave 2. Vista satellitare di Mestre, nel centro il Quartiere Piave 3. Primo incontro con Via Piave: fotografata dall’uscita della stazione di Mestre 4. Sottosopra: Viale Stazione 5. Vista delle ex case dei operai ferrovieri vicino ai Giardini di Via Piave
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Materiali e metodi
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Obiettivi di lavoro La nostra attività di ricerca ha fatto emergere una diffusa richiesta di una migliore qualità della vita nel quartiere e una maggiore presenza delle Istituzioni locali. Queste devono recuperare la fiducia dei cittadini attraverso azioni sinergiche che attivano in modo coordinato tutte le risorse presenti sul territorio. Il coordinamento è fondamentale, altrimenti, come descritto da Alessandro, il fallimento dell’obiettivo è probabile: “hanno sistemato via Piave ed è andata in crisi, hanno sistemato via Poerio ed è andata in crisi, hanno sistemato piazza Ferretto e sta andando in crisi. Questo perché alla riqualificazione fisica non è seguita una riqualificazione socioeconomica.” La finalità di questo lavoro è quella di stimolare e promuovere idee e progetti affinché il territorio sia di nuovo un luogo di relazioni e incontri in un contesto più sicuro e accogliente. Va quindi orientata l’adozione di buone pratiche per attivare iniziative in grado di generare un positivo impatto sul territorio ed una capacità di produrre insieme al lavoro e al reddito una migliore qualità della vita. Metodologia di lavoro Le informazioni che ci hanno consentito di ricostruire e comprendere le trasformazioni del quartiere sono state acquisite mediante visite, testimonianze da parte di soggetti con una diretta conoscenza dei luoghi e attraverso la consultazione di documenti storici, statistici oltre al materiale disponibile in rete. Sono stati quindi predisposti alcuni elaborati che prendono in considerazione l’evoluzione del quartiere dal punto di vista dell’edificato (dalla fine del XIX secolo), una ricognizione del settore commerciale e l’analisi demografica della struttura della popolazione. L’analisi è stata completata con la ricerca di buone pratiche poste in essere in altre realtà locali. Successivamente, nei due giorni della charrette e con le interviste effettuate in seguito, sono state raccolte ulteriori informazioni e importanti suggerimenti. È stato così possibile comporre un quadro conoscitivo che, di fronte all’obiettivo considerato, ci ha consentito di individuare e formulare le proposte di buone pratiche da indirizzare all’Amministrazione comunale. 6. Indicazioni: Via Piave, vista dalla stazione di Mestre
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La storia: il Quartiere Piave 1888
1888 1931
1931 1954
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Trasformazioni urbane Il quartiere Piave si sviluppa a partire dai primi del’900, in concomitanza della crescita del nodo ferroviario e con la nascita delle prime zone industriali. Gli edifici vengono concentrati lungo gli assi stradali che collegano la stazione con il centro di Mestre, per poi espandersi successivamente a est e ad ovest, attraverso la contemporanea realizzazione di una rete infrastrutturale. La prima fase dello sviluppo urbano si contraddistingue per un disegno ordinato come, ad esempio, si può osservare con il complesso delle “case dei ferrovieri”. Dal secondo dopoguerra, invece, si assiste ad una fase priva di una strategia di sviluppo che ha privilegiato una crescita “anarchica e incontrollata senza alcun vincolo e coi soli limiti imposti dal vigente regolamento edilizio”. Solamente a partire dai primi anni’60, con l’approvazione del primo P.R.G., la trasformazione del territorio è stata affidata a nuovi strumenti di pianificazione. In questi ultimi anni nella zona in prossimità della stazione sono stati avviati importanti interventi edilizi per la realizzazione di nuovi spazi ad uso ricettivo. Trasformazioni sociali
1954 1974
1974 2010
Attualmente, un residente su tre nel quartiere Piave è di origine straniera, con una prevalenza (Fig.1) di cittadini cinesi e bengalesi, seguiti da moldavi, rumeni e ucraini. Nel 2010 il rapporto era di un cittadino su quattro. La distribuzione sull’area dei cittadini stranieri non è omogenea: i cinesi, per esempio, prediligono l’area in prossimità della stazione mentre la comunità bengalese si concentra nella parte occidentale di via Cappuccina. Le comunità dell’est Europa si sono invece insediate nell’area più prossima al centro storico di Mestre, quindi nella parte orientale del quartiere, tra via Piave e via Cappuccina. Le classi d’età della popolazione riportate nel grafico (Fig.2), evidenziano come la maggioranza dei residenti stranieri appartenga alle classi più giovani, dove il rapporto è 1 a 1, mentre la popolazione autoctona è più anziana. Fig.1 Serie storiche del nuovo edificato (in rosso) nella Località Piave 1860
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Da quanto emerso dalle interviste, questa situazione è vissuta con difficoltà dai residenti italiani. Una signora all’interno di un negozio, ci ha raccontato la condizione di insicurezza del quartiere, specie la sera, a causa delle frequenti liti fra le bande di immigrati e il suo desiderio di lasciare Mestre per un’altra città in grado di garantirle una migliore qualità di vita. Alessandro sostiene che: “…la progressiva “cinesizzazione” partita anch’essa dagli anni ‘90 ha determinato un progressivo degrado con bordelli e sale massaggi (vedi Keke Pan). Il fenomeno ha progressivamente disgregato il tessuto storico ed è stato amplificato dal decremento della popolazione residente”. Frequentemente anche la rassegna stampa dei quotidiani locali descrive il degrado attraverso fatti di cronaca che coinvolgono con frequenza gli immigrati. Osservando i luoghi e con il lavoro di approfondimento svolto, siamo giunti ad una diversa valutazione. Paolo, durante la charrette, suggerisce una diversa chiave di lettura: “…prima stava già
Bangladesh 30.5%
Cina 20.0%
Moldavia 8.3%
Romania 9.0%
Altro 32.3% 7. La città non riposa mai: l’ampliamento del Hotel Plaza 8. Dove le gambe non si fermano: Sottopassaggio della Stazione di Mestre
Fig.2 Località Piave 1860: residenti stranieri per cittadinanza (2010)
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cedendo tutto. Siamo nel 1996 e via Piave era già morta, praticamente non c’era più quella vivibilità che c’era negli anni ’60 e ’70”. Nelle interviste, emerge in modo ricorrente l’assenza di un ricambio generazionale, con la popolazione italiana più giovane che preferiva emigrare nei territori contermini piuttosto che continuare a risiedere nella zona. Sembra che le trasformazioni del quartiere, e quindi l’inizio della sua decadenza, abbiano avuto origine più da scelte strategiche di sviluppo della città che dal fenomeno migratorio. L’arrivo della popolazione straniera, concentrato prevalentemente negli ultimi sedici anni, ha forse contribuito ad amplificare la sensazione di malessere, facendo si che i cittadini individuassero negli immigrati la causa esclusiva del degrado. Trasformazioni del settore commercialie Negli anni ’60 e ’70, via Piave era per Mestre la via del passeggio e del “lusso”. Leopoldo, riportando i racconti dei genitori, ricordava che
suo padre, lavoratore a Marghera, percepiva un salario di cinquanta mila lire al mese; in via Piave c’erano negozi che vendevano tessuti a sessanta, cento mila lire al metro. Un altro residente, ci ha ricordato come nella via fosse presente una concessionaria di automobili molto costose, tra le quali le sportive Ferrari, e come i bambini le guardassero con molta ammirazione. L’immagine che ci viene restituita dalle foto dell’epoca, mostra una via viva, con la presenza di numerose attività commerciali e bar che, anche attraverso l’uso degli spazi antistanti le vetrine, favorivano l’incontro e la socializzazione. A partire dagli anni ’80, le scelte di pianificazione fatte dalle Amministrazioni comunali hanno privilegiato la realizzazione di grandi centri commerciali definiti da Alessandro, durante un’intervista, come una ”catena di fuoco” che circonda la città di Mestre. Nello stesso periodo, una parte dei negozi cessava l’attività sia per l’anzianità del gestore, sia per la mancanza di un ricambio. Lo spostamento dei consumatori verso la grande distribuzione, accompagnato dalla progressiva riduzione dei negozi di vicinato, ha comportato l’aumento del numero dei negozi sfitti.
Fig.3 Struttura della popolazione residente nel 2010: italiana (grigio) e straniera (rosso)
oltre 79
65-79
45-64
30-44
15-29
0-14
5000 4000 3000
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2000 1000 0
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La nuova domanda di spazi commerciali generata dall’immigrazione (in particolare da imprenditori cinesi e bengalesi) ha determinato la riattivazione di una parte di questi negozi. Si è verificato parallelamente un fenomeno speculativo legato alle compravendite con un doppio vantaggio per i proprietari degli immobili: i prezzi di vendita erano elevati e le superfici improduttive venivano cedute. Leopoldo ci ha confermato che, a quelle condizioni, i trasferimenti di proprietà sono stati numerosi e ha citato come esempio “Keke Pan” (un cittadino cinese finito al centro di un’indagine della Polizia per prostituzione ed evasione fiscale, visto come un benefattore da qualcuno), che in pochi anni ha acquisito proprietà immobiliari per svariati milioni di euro. Per questo motivo, durante l’intervista, ha affermato: ”io contesto quelle persone che si lagnano perché il quartiere è cosi… chi glieli ha venduti i negozi? Loro sono più furbi di noi, vengono lì con la valigetta”. Nel 2011, il Comune ha effettuato un censimento dei negozi presenti nel quartiere, con l’obiettivo di fotografare l’esistente, individuare le aree potenzialmente a rischio e avviare le opportune azioni di miglioramento della qualità della vita. Lungo la sola via Piave 31 negozi sono gestiti
da stranieri, di cui 21 gestiti da cinesi. Nell’intero quartiere, 4 negozi su 10 sono stranieri. Se valutiamo solamente i pubblici esercizi (bar, pizzerie, ristoranti) si arriva a 5 su 5. Dei 131 negozi del quartiere, 81 sono italiani e i restanti gestiti da stranieri. Inoltre, sono stati contati un centinaio di negozi chiusi. L’ex vicesindaco Sandro Simionato affermava: “Una cosa è affrontare la questione sulla percezione, e altro e lavorare su dati certi”. Passando davanti ai negozi etnici, generalmente poco frequentati, ci si domanda quali siano i clienti tipo e a chi possa interessare la merce offerta. Leopoldo sosteneva ”… per i bangladesi sono i bangladesi, per i cinesi non si sa. Dai cinesi non entra mai nessuno […]”. Ascoltando i residenti, in generale, emerge una certa diffidenza verso questi negozi, che può essere in parte giustificata dalle modalità poco curate di esposizione della merce, dall’aspetto dimesso delle vetrine e, a volte, dall’approccio del negoziante con il cliente. Qualcuno ipotizza anche che queste siano funzionali ad attività non propriamente lecite. Si ha quasi l’impressione che questo derivi da una volontà dei commercianti stranieri di creare zone di autoesclusione e separazione in cui le caratteristiche identitarie dei vari negozi sono
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messe in primo piano non solo nei confronti dei clienti italiani ma anche tra le diverse etnie: autonomia senza interferenze esterne. Alcune tipologie di negozi, in particolare di elettronica, riscuotono invece un elevato grado di apprezzamento da parte di una clientela indistinta, in conseguenza dell’elevato rapporto qualità/prezzo sui prodotti o sui servizi offerti. Oltre a questi, anche il cibo etnico offerto nei ristoranti o venduto per asporto (kebab) è generalmente apprezzato, a differenza dei prodotti alimentari offerti dai “minimarket”. I pochi commercianti italiani ancora presenti lungo via Piave, pur lamentandosi di una minore presenza di clienti, non sembrano subire l’effettiva concorrenza da parte dei negozianti stranieri, in ragione della diversità dei prodotti/ servizi offerti. Una conferma arriva da Pietro, storico tabaccaio di via Piave, che, nel raccontare la sua attività, affermava di non aver risentito significativamente delle trasformazioni della via, in ragione di una consolidata clientela proveniente dall’intera regione e dall’estero per l’esclusività dei prodotti da lui venduti. Per incentivare la presenza delle attività commerciali, l’Amministrazione comunale ha cercato di riattivare il commercio e rivitalizzare l’area istituendo un mercato contadino ed uno
del biologico dalla metà dello scorso anno, per due giorni la settimana. L’iniziativa, condivisa dalle associazioni di categoria coinvolte nel progetto, è stata ostacolata in una prima fase dagli spacciatori che utilizzavano il parco come luogo di ritrovo. Non abbiamo avuto comunque l’impressione che l’iniziativa abbia ottenuto un grande successo: il numero delle bancarelle che abbiamo potuto vedere un sabato mattina era modesto e poche erano le persone che le visitavano. Quel che emerge è una sostanziale assenza di iniziative, anche da parte delle Associazioni di categoria, per rivitalizzare il settore, invertendo quindi la tendenza. Le dinamiche sembrano più una sequenza di eventi affidate a logiche di autoregolazione piuttosto che da processi guidati.
9. Negozi in prossimità dei Giardini di Via Piave 10. Mercato contadino nei Giardini di Via Piave
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Macrocategorie attivitĂ economiche al piano terra Negozi sfitti Commerciale Direzionale Ricettivo Servizi Pubblici Servizi Scala 1:5000
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Macrocategorie attività economiche al piano terra
Microcategorie attività Negozi sfitti economiche al piano terra Negozi sfitti Scala 1:5000 Agenzie Alimentari Macrocategorie attività Microcategorie attività Negozi sfitti Bed&Breakfeast economiche al piano terra economiche al piano terra Banca Bar Negozi sfitti Scala 1:5000 Biblioteca Agenzie Centro Civico 60 Alimentari Chiesa Bed&Breakfeast Cinema Banca Ferrovia Bar Galleria Biblioteca Hotel Centro Civico vità Microcategorie attività Negozi sfitti Impresa Chiesa o terra economiche al piano terra Lavanderia Cinema Mix Negozi/Direzionale Ferrovia Negozi sfitti Scala 1:5000 Negozi Galleria Agenzie Noleggio auto Hotel Alimentari Palestra Impresa Bed&Breakfeast Parcheggio Lavanderia Banca Parruchiere Mix Negozi/Direzionale Bar Ristorante Negozi Biblioteca Scuola Noleggio auto Centro Civico Studio Palestra Chiesa Tabaccheria Parcheggio Cinema Teatro Parruchiere Ferrovia Scala 1:5000 Ristorante Galleria Scuola Hotel Studio Impresa Tabaccheria Lavanderia Teatro Mix Negozi/Direzionale
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itĂ o terra
Negozi sfitti Negozi sfitti Altre att. economiche Scala 1:5000
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Processo partecipativo
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Le attività preliminari alla Charrette La partecipazione di residenti, amministratori e attori locali, al fine di formulare proposte condivise su via Piave, riveste un ruolo fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dal nostro lavoro. A questo proposito, il 13 e 14 dicembre 2016, è stata organizzata dagli studenti e dai Docenti di Pianificazione una charrette presso il centro civico di via Sernaglia a Mestre. Si tratta di una pratica “finalizzata a rendere manifesta e importante la capacità di prefigurazione dei cittadini, nella convinzione che le loro parole, idee e concetti debbano poter prendere forma”. Nei giorni precedenti l’evento, abbiamo predisposto del materiale per agevolare la discussione: un poster che ripropone in sintesi le trasformazioni del quartiere, un elaborato che riporta alcune “buone pratiche”, una breve ricostruzione storica del quartiere ed infine una mappa da mettere a disposizione dei partecipanti per tradurre graficamente le loro proposte. Per pubblicizzare l’evento, è stato predisposto un volantino che abbiamo diffuso consegnandone alcune copie agli esercenti della zona oltre ad averlo inviato via mail alle Associazioni di categoria (Ascom, ConfCommercio, ConfArtigianato, ConfEsercenti, ConfAgricoltura). Charrette: l’incontro con i cittadini Per l’evento, i gruppi di lavoro hanno costituito cinque tavoli di discussione, per approfondire argomenti diversi: nella fattispecie, abbiamo cercato di ricostruire le dinamiche del settore commerciale, un importante elemento dell’economia del quartiere. Ci siamo confrontati con soggetti aventi differenti background, principalmente rappresentanti di associazioni e comitati, ai quali abbiamo posto alcune domande focalizzate sulle trasformazioni urbane, demografiche ed economiche che hanno interessato il quartiere negli ultimi quarant’anni. Analogamente, per le attività commerciali, abbiamo cercato di comprendere le cause dell’attuale situazione di degrado, le possibili iniziative da adottare per correggere la tendenza e il ruolo delle Amministrazioni comunali. I partecipanti hanno avuto piena libertà di
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COSA VORRESTI PER IL QUARTIERE PIAVE?
13 / 14 DICEMBRE DALLE ORE 9.00 ALLE ORE 20.00
IL PROGRAMMA DELLE GIORNATE: (MARTEDÌ 13 E MERCOLEDÌ 14 DICEMBRE 2016)
mattina: Gli Studenti e i Professori dell’Università IUAV di Venezia vi invitano al
Ore 9.00 - ACCOGLIENZA OSPITI Ore 9.30 - INIZIO LAVORI Ore 11.00 - PAUSA CAFFÈ
Laboratorio di Progettazione Partecipata
Intorno a 5 tavoli professori e studenti, cittadini, amministratori, esperti, associazioni e comitati collaborano per ripensare il quartiere Piave, integrando le conoscenze esperte con quelle dei cittadini che vivono questi luoghi ogni giorno.
Il laboratorio si svolgerà al Centro Civico N° 43 / Via Sernaglia, Mestre
Ore 11.30 - RIPRESA LAVORI Ore 13.00 - PAUSA PRANZO
pomeriggio:
Ore 14.00 - RIPRESA LAVORI Ore 18.30 - ESSERCI! briefing finale e aperitivo offerto da noi!!!
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A cura di Giulio Ernesti e Ruben Baiocco, con Massimiliano Barbiero e Marco Bordin e gli studenti della Laurea Magistrale in Pianificazione e Politiche per la città, il territorio e l’ambiente, Università Iuav di Venezia
Con il patrocinio e la collaborazione di
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esprimersi: i nostri interventi si sono limitati a favorire la discussione o a riportare le riflessioni all’interno del tema di interesse. Inoltre, durante il confronto, abbiamo chiesto agli intervistati di riportare le loro idee sulle mappe a disposizione con semplici schizzi, utili nella successiva fase progettuale. Sono state raccolte le testimonianze di alcuni rappresentanti del Gruppo di lavoro di Via Piave, del Comitato Mestre Second Life e di un ex dipendente del comune di Venezia che, per attività svolta ha operato direttamente nel quartiere. Durante gli incontri è sempre emerso come, in questi ultimi anni, l’Amministrazione abbia trascurato il quartiere Piave e come le poche iniziative proposte non siano riuscite ad avviare un percorso virtuoso di rivitalizzazione. La mancanza di coinvolgimento della cittadinanza si è tradotta in azioni parziali, volte più che altro a tamponare situazioni di contingenza: un esempio è l’incremento della presenza delle Forze dell’ordine sul territorio per contrastare la microcriminalità. Contrariamente alle aspettative, la partecipazione da parte dei residenti è stata molto modesta: hanno probabilmente giocato a nostro sfavore il breve tempo a disposizione per pubblicizzare l’evento e la sfiducia/disinteresse o la rassegnazione causata da una situazione che perdura da tempo e pare non trovare soluzione. Anche da parte delle Associazioni di categoria, c’è stato un completo disinteresse: nessuna tra quelle invitate ha partecipato all’evento. Inoltre, non è stato sempre semplice raccogliere le testimonianze dei partecipanti: pur esprimendo le proprie opinioni, l’ex dipendente comunale non ha voluto lasciarci il suo nominativo mentre un altro è stato invitato dalla moglie ad uscire sulla scorta della motivazione “non sono cose per noi”.
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Le parti salienti delle interviste sono riportate di seguito, con una breve descrizione del soggetto intervistato. Interviste raccolte durante la Charrette Durante la charrette, sono emerse dai partecipanti alcune tematiche ricorrenti che, per rendere più agevole la lettura, riportiamo di seguito. Nel dopoguerra via Piave era molto diversa: c’era ottimismo e la voglia di riprendersi dal difficile periodo appena trascorso. L’economia era fiorente e iniziava a delinearsi un periodo di benessere economico, che giustificava anche la presenza di negozi con prodotti di alta qualità. A partire dalla fine degli anni ’70, tuttavia, la zona ha cominciato ad andare in crisi a causa del trasferimento della popolazione giovane (per motivi di studio/lavoro o perché nei Comuni contermini acquistare una casa costava di meno). Il tessuto commerciale ha così iniziato a risentire di una diminuzione della domanda e del mancato ricambio generazionale dei titolari, oltre alla diffusione dei centri commerciali. Gli immigrati, arrivati negli anni ’90, hanno progressivamente riempito i vuoti generati da chi aveva lasciato il quartiere, anche nel settore economico. Le Amministrazioni e le Associazioni di categoria sono stati attori poco presenti nel gestire queste trasformazioni sociali ed economiche, preferendo assecondare l’immagine di un quartiere in crisi che sembra non avere alternative. Le proposte emerse riguardano importanti settori: il miglioramento della viabilità, 11.14. Foto scattate durante la charrette 12. Volantino della charrette (formato originale in A5) 13. Poster del nostro gruppo usato durante la charrette
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mediante l’introduzione di un eventuale senso unico in via Piave e la realizzazione di parcheggi gratuiti a tempo per le auto; interventi sul decoro urbano, che preveda anche una regolamentazione dell’allestimento delle vetrine; maggiore controllo delle attività commerciali “etniche”; l’introduzione di forme di commercio “alternativo” e interventi di incentivazione per i proprietari dei negozi sfitti al fine di favorirne la cessione. Di seguito riportiamo i passaggi delle singole interviste con le considerazioni proprie di ciascun partecipante. Leopoldo M.: è uno dei membri del Gruppo di Lavoro Via Piave, architetto in pensione con esperienza pluriennale di lavoro all’estero. Leopoldo ci ha raccontato come la progressiva trasformazione della popolazione del quartiere fosse dovuta ad “un’immigrazione di nuova colonizzazione, soprattutto di cittadini provenienti dalla Cina”, molto diversa da quella di massa a cui assistiamo oggi. In poco tempo, i nuovi arrivati, provenienti per la maggior parte dell’Asia, sono diventati imprenditori, acquistando numerosi esercizi commerciali (non solo sfitti), inserendo attività diverse dalle precedenti. Alla nostra richiesta di capire come gli immigrati riuscissero in breve tempo ad acquisire la proprietà dei negozi, Leopoldo ci ha spiegato come ci fossero diversi meccanismi: i bengalesi hanno un proprio sistema sociale, che prevede la realizzazione di una cassa comune nella quale tutti versano una quota, in base alla propria disponibilità; i cinesi, invece, si presentano con una somma in contanti superiore al valore di mercato
e, quasi sempre, i proprietari concludono l’affare. La disponibilità economica di questi ultimi, secondo Leopoldo, va ricercata in: “[…] una situazione di degrado culturale: non gliene frega niente di come fanno i soldi. Keke Pan […] aveva dei soldi che non gli costavano niente sempre disponibili. Ha comperato una quota pazzesca […]”. In ogni caso, le dinamiche speculative sono state molto importanti: i proprietari hanno ceduto i locali in breve tempo, guadagnando somme consistenti. “Chi glieli ha venduti i negozi?”, così Leopoldo ha risposto alla nostra domanda sul malcontento tra i commercianti italiani per la presenza di attività “etniche”. La clientela dei negozi gestiti dagli immigrati è ben definita: “Per i bangladesi sono i bangladesi, per i cinesi non si sa. Dai cinesi non entra mai nessuno.” Inoltre, ci raccontava con amarezza come l’intero fronte della via è dimesso dal punto di vista architettonico e come la presenza delle “perline” nelle vetrine non contribuisse affatto a migliorarne l’aspetto. “Chi entra in via Piave, fa 80 metri e torna indietro perché non c’è niente, non ha il coraggio di andare oltre il primo incrocio”. Nell’ultima parte dell’incontro, abbiamo chiesto quali azioni fossero state messe in campo dall’Amministrazione e cosa invece lui proponesse per rivitalizzare l’area. “Sono cieche, in questo settore sono cieche!”, così ha risposto alla prima domanda, affermando che le Amministrazioni non hanno fatto nulla, perché non hanno le capacità per intervenire e mancano di una visione strategica a 20-30 anni. Le azioni che ritiene utili sono, tra l’altro, l’inserimento di attività legate alla cultura, come una libreria-caffè, da insediare, per esempio, in uno dei locali sfitti attigui alla sede della loro Associazione, vista la
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disponibilità del proprietario ad agevolare i giovani imprenditori e fare in modo che: “Chi vende perline se ne vada a vendere altrove o paghi per favorire gli altri a venire qui”. Anche gli interventi di trasformazione urbana per sostenere la domanda turistica possono essere una risorsa: “Non vedo così male il fatto che questa zona stia diventando il parcheggio per Venezia: se questo comporta investimenti, arrivo di gente, eccetera, ben venga”.
Paolo: ex dipendente comunale presso l’ufficio tecnico; ha operato nel quartiere nel corso degli anni novanta fino al 2006 effettuando numerosi sopralluoghi per attività connesse alla verifica delle idoneità degli alloggi. Paolo, a differenza degli altri intervistati, ci ha raccontato come in via Piave fosse “[…] finita l’era del passeggio” già a partire dai primi anni ’90, lasciando intendere che il fenomeno dell’immigrazione si
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fosse inserito in un quadro generale già compromesso. I cinesi e i bengalesi si sono divisi le aree del quartiere (i primi vicino alla stazione, gli altri in prossimità d via Cappuccina), espandendosi poco alla volta, fino agli ultimi fatti di cronaca (Keke Pan). Secondo Paolo, la presenza dei suoi negozi, tutto sommato, aveva risollevato l’economia della via oltre a mantenere il fronte strada illuminato e favorire il passaggio di persone. È stato molto critico verso i “Giardini di via Piave”, sostenendo: “Quando funziona quel parco? Solo nei tre mesi d’estate e d’estate non ci sono i bambini, ma sempre le solite donne”. Ne ha quindi proposto la riconversione a parcheggio per i residenti, piuttosto che come punto di ritrovo di tossicodipendenti e prostitute. La riqualificazione dell’area richiede la riduzione del traffico e un maggior controllo delle licenze da parte dell’Amministrazione. Alessandro C.: urbanista presidente dell’Associazione Nazionale Urbanisti e Pianificatori. Ha collaborato con la Camera di Commercio, Confesercenti e altri soggetti che operano nel campo della promozione economica del territorio.
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Alessandro durante l’intervista ci ha raccontato come via Piave fosse, negli anni ’60-’70, un luogo con molte risorse culturali e con un ruolo centrale per la città. A suo parere “… uno dei problemi che ha innescato negli anni ‘80 la decadenza è stato il mancato recupero degli immobili “ex lavanderia” a nord, che costituiscono una sorta di barriera tra la parte nord e sud del quartiere…” e “la progressiva cinesizzazione…”. Ha affermato che la rivitalizzazione del quartiere deve passare attraverso l’insediamento di “…attività produttive innovative che richiedono spazi ridotte e basate sulla tecnologia, integrate dalla residenza …” anche mediante il riuso degli edifici sequestrati a Keke Pan e la creazione di nuovi stimoli per favorire l’investimento in zona piuttosto che in altre zone limitrofe a Mestre che hanno prezzi di mercato degli immobili inferiore del 30-40%. Commentando la presenza di molti negozi etnici e delle possibilità di dialogo e collaborazione con le altre attività commerciali presenti Alessandro è convinto
che la soluzione vada ricercata attraverso la creazione di nuovi “conflitti” per “… mescolare le situazioni per poter vedere cosa nasce ...... il conflitto va scatenato, devo mescolare, per vedere l’effetto che fa. Ovviamente devo scatenarlo per migliorare …” Discutendo sul commercio Alessandro focalizzava l’attenzione su alcuni elementi critici: il franchising “… i commercianti in franchising non sono proprietari delle loro iniziative commerciali ma sono di fatto dipendenti …” e la mancanza della tipologia dell’offerta tipica del vecchio bottegaio o del commerciante innovativo per contrastare la “catena di fuoco” costituita dai centri commerciali. Tra le iniziative da attuare il prima possibile segnalava la necessità di contrastare il fenomeno dei negozi chiusi “… serranda abbassata crea serranda abbassata ...”, favorire l’ampliamento delle attività che lo richiedono e inserire forme di commercio come quello ambulante lungo la via (mercato settimanale). Un aspetto sul quale ha posto particolare enfasi, citando ad esempio gli interventi di sistemazione di via Piave, via Poerio e piazza Ferretto è la necessità di un’azione fortemente integrata tra riqualificazione fisica e riqualificazione socio-economica. La prima deve essere fortemente legata alla seconda da politiche integrate tra di loro. Un ulteriore esempio che ha citato riguarda la zona dell’ospedale “…. prima di pensare ai 3 palazzoni bisognava realizzare la stazione FMSR. Questo avrebbe alzato i valori dell’area e avrebbe consentito l’avvio delle iniziative edilizie. Prima si prende la patente e poi si guida l’auto. Le iniziative si devono auto attivare mentre invece, come ad esempio l’area ex ospedale, sono ferme e ad oggi senza futuro ...” Ci ha anche raccontato di alcuni esempi positivi di rigenerazione urbana all’estero: Edimburgo e Barcellona dove gli investimenti dei privati hanno favorito il processo. Abbiamo poi chiesto se da parte delle Associazioni di categoria fossero state adottate iniziative per contrastare il fenomeno ma la risposta è stata negativa giustificata dall’assenza di un “… tavolo di confronto. Su via Piave non c’è mai stato un tavolo di confronto. L’Amministrazione Comunale non ha mai sollecitato l’attivazione di un tavolo di confronto.”.
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Anche nei confronti dei commercianti Alessandro ha espresso delle valutazioni critiche: “Il commerciante ha il malessere ma non sa perché. Il commerciante è conscio che se l’attività vicino alla sua è concorrente ma non sa, o finge di non sapere, che se muore quell’attività muore anche lui. Il commerciante è sempre fondamentalmente bloccato: vuole aprire la domenica ma non vorrebbe aprire, vorrebbe il concorrente ma non lo vorrebbe, vuole pagare le tasse ma non le vuole pagare,
è difficile!”. Sono quindi necessarie “…. politiche e iniziative che portino a creare nuove opportunità da offrire ai vari soggetti attraverso proposte che comprendono l’intero processo di riqualificazione/rigenerazione in modo definire un percorso certo.” Gli abbiamo anche chiesto quali potrebbero essere le iniziative per migliorare la qualità della vita dei residenti: Alessandro ha affermato che queste sono una prerogativa della pubblica amministrazione ma che devono essere univoche e coerenti:
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
“Nelle politiche ci vuole ordine, inteso come univoca individuazione di strategie”. L’intervista si è conclusa con una visione pessimistica e alla domanda se esistono prospettive per il quartiere ha risposto “No. Se non c’è la forza della politica che si fa carico di sostenerle anche le migliori idee non possono trovare attuazione” rimarcando la necessità di “…. forme di incentivazione per favorire gli investimenti. Più si ripartiscono le spese, anche attraverso forme di incentivazione, più diminuisce il rischio per l’imprenditore”. Gruppo di Lavoro di Via Piave
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I cinque componenti del Gruppo ci hanno spiegato come gli unici negozi di italiani rimasti siano quelli gestiti a livello familiare, dove è ancora forte la passione per l’attività svolta. Il progressivo aumento dei negozi etnici è giustificato dal fatto che gli stranieri: ”se li fanno i negozi”, nel senso che ad un cambiamento della domanda generato dall’immigrazione, si verifica l’adeguamento dell’offerta. Mentre la clientela dei negozi etnici è molto ben definita (e prestabilita), i bar gestiti dagli stranieri (ad esempio “l’Arcimboldo”)si rivolgono ad un pubblico più ampio. “Difficile avere rapporti con i commercianti, perché ognuno vede la sua bottega”, così hanno motivato le difficoltà nel coinvolgere gli esercenti e come, di conseguenza, preferiscano lamentarsi piuttosto che intervenire per cambiare le cose; la mancanza di collaborazione, tuttavia, è evidente anche tra i negozianti stranieri. È poi emerso come tra i residenti, specialmente quelli anziani, prevalga la nostalgia verso il passato: “ah, una volta via Piave!”, sia perché i negozi che c’erano non ci sono più sia per la diversa tipologia della merce venduta (in particolare i negozi di abbigliamento). A differenza del passato, quando prevalevano le logiche speculative, i proprietari dei negozi sembrano aver cambiato mentalità: “Non affittiamo più a chiunque e a tutti i costi, non ci interessa, non abbiamo problemi di soldi. C’interessa, però che tutte le vetrine siano illuminate e aperte”; così ha detto loro il proprietario che ha concesso loro a titolo gratuito il negozio nel quale hanno trasferito la sede. Se c’è la disponibilità dei proprietari a
cedere a titolo gratuito o con affitti bassi gli spazi, devono essere trovate le risorse umane disponibili a mettersi in gioco. Tra le possibili attività, hanno proposto “l’Osteria Piave”, sia perché diventerebbe un punto di attrazione sia perché in altre vie contermini alcuni giovani hanno aperto locali di tendenza molto frequentati: “Quel tipo di bar là, da spritz, cicchetto, eccetera, da movida, funzionano solo se sono uno vicino all’altro”. In generale, hanno proposto per le aree commerciali sfitti: “un utilizzo che abbia a che fare con la formazione, con la cultura, […] sarà difficile portare ancora distribuzione di merce”. “Diventiamo una strada della cultura!”. Nell’ultima parte dell’intervista, è emerso come: “La vocazione del quartiere stia cambiando in senso turistico”, e ne vada tenuto conto nello scenario futuro. Le interviste a commercianti residenti Per avere una visione più completa e integrare le informazioni raccolte durante la charrette, abbiamo provveduto ad intervistare anche alcuni commercianti storici e residenti del quartiere. A questo proposito, sabato 7 gennaio è stato dedicato a raccogliere e successivamente organizzare le interviste. Dopo una breve presentazione del nostro lavoro, abbiamo rivolto alcune domande agli interlocutori per agevolare la discussione. Sono stati intervistati due commercianti che risiedono anche nel quartiere (la titolare di un negozio che ci ha chiesto di restare anonima e il tabaccaio) ed un’altra residente. Tra i commercianti, sono emerse due visioni opposte sull’attuale situazione del quartiere: la prima critica verso gli stranieri e l’Amministrazione (colpevoli i primi di allontanare i clienti, la seconda di non adoperarsi per salvaguardare i piccoli commercianti) ed una più fiduciosa verso il futuro (legata al lento ma costante miglioramento delle condizioni dell’area). Queste riflessioni, tuttavia, richiedono un’analisi più approfondita: il malessere e l’insofferenza generalizzati espressi della titolare, piuttosto che con il fenomeno dell’immigrazione, vanno spiegati con la difficoltà a fronteggiare la concorrenza della grande distribuzione (centri commerciali e franchising), con il suo modo di fare un po’ distaccato (è stata particolarmente restia a rispondere alle nostre domande) e con l’aspetto un po’ dimesso del locale. Il tabaccaio,
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specializzato nella vendita di pipe artigianali, propone un prodotto di nicchia e di alta qualità che non risente della concorrenza. Durante l’intervista ha dimostrato una grande passione per il suo lavoro che, anche a noi, appariva evidente dalla cura messa nell’esposizione dei prodotti in vendita. Il numero dei clienti che ha frequentato i negozi durante l’intervista ha confermato quest’impressione: due persone nel primo esercizio, la coda alla cassa nel secondo. Entrambi hanno confermato, tuttavia, che le Associazioni di categoria sono rimaste un po’ nell’ombra, senza riuscire a coinvolgere attivamente i loro iscritti e senza mettere in campo iniziative adeguate per favorire l’integrazione e forme di collaborazione con i commercianti stranieri. Allo stesso modo l’Amministrazione comunale, solo apparentemente disponibile ad ascoltare i commercianti. Alla richiesta di indicare alcune possibili iniziative per il quartiere, la negoziante non ha dato suggerimenti, mentre il tabaccaio proponeva di organizzare eventi per promuovere l’artigianato (nel caso di specie mostrare come si realizza una pipa). Inoltre, raccontava con orgoglio di aver riunito un gruppo di ragazzi che condividono la passione per la pipa. Non era invece d-accordo sulla proposta di modifica della
viabilità (senso unico). Tra i residenti sono altrettanto evidenti le due correnti di pensiero e sembra comunque prevalere una sorta di nostalgia verso il passato. Una signora ci raccontava come si sentisse insicura nel quartiere, specie la sera, a causa delle frequenti liti tra bande di immigrati e si chiedeva come i negozi etnici possono sopravvivere con i pochissimi clienti che li frequentano: “Non voglio dire niente, ma saranno una copertura per qualcosa …”. Inoltre raccontava che quando era andata ad abitare in via Piave, quella fosse “La zona migliore di Mestre, con i negozi più belli, mentre oggi fa schifo. Se trovo un appartamento altrove vado via, non riesco più a starci a Mestre”. Dalle interviste, sono inoltre emerse differenti posizioni in merito agli interventi di trasformazione urbana che stanno interessando l’area in prossimità della stazione. L’ampliamento dell’Hotel Plaza, secondo Nicola, creerà entro il 2017 circa 5.000 nuovi posti letto che potranno essere determinanti nella riqualificazione di via Piave. “Nelle proposte che farete, non dovrete tenere conto solo dei residenti ma 15. Stazione di Mestre vista dall’alto 16. Stazione di Mestre vista dalle fermate del trasporto pubblico urbano
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di tutti i presenti”. La sua affermazione, si riferiva al fatto che oggi, la via non è attrattiva nei confronti dei turisti: non ci sono locali di tendenza per mangiare piuttosto che per trascorrere la serata e i negozi non propongono alcun prodotto che possa soddisfare le loro esigenze. Dal suo punto di vista, nell’immediato futuro si prospettano scenari interessanti per
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l’intero settore commerciale. Al contrario due residenti affermavano di non condividere questa tesi né tantomeno gli interventi in atto: i turisti, se vengono a Mestre, restano solo per dormire; se vogliono divertirsi vanno a Venezia. Inoltre, l’inserimento di nuova cubatura ha appesantito ulteriormente la visuale.
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Strategia progettuale
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Introduzione Nella fase di analisi, abbiamo cercato di individuare le principali dinamiche in atto nel quartiere, per definire alcune linee d’azione che potrebbero contribuire alla rivitalizzazione dello stesso. A questo proposito, sono state attentamente valutate anche le richieste emerse durante la charrette e nelle successive interviste che, per gli argomenti di maggiore interesse, riportiamo di seguito: * miglioramento della viabilità; * decoro urbano; * verifica della regolarità delle attività commerciali; * inserimento di nuove attività; * riuso degli spazi commerciali dismessi. Riprendendo la finalità del nostro lavoro: “stimolare e promuovere idee e progetti affinché il territorio sia di nuovo un luogo di relazioni e incontri in un contesto più sicuro e accogliente” sono stati definiti gli obiettivi e le modalità di intervento per le tre linee d’azione individuate: rivitalizzazione del settore commerciale, riqualificazione estetica del fronte stradale e dell’area e interventi sulla viabilità.
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Fig.4 Linee d’azioni
Obiettivi
1. Rivitalizzazione settore commerciale * diminuire il numero dei negozi sfitti; * riorganizzare il sistema dell’offerta (diversificazione, caratterizzazione, nuovi settori commerciali e maggiore competitività); * fornire un’immagine unitaria del sistema commerciale.
- Comune di Verona; - Progetto Sirena (NA); - Altri. 78
3. Miglioramento dell’accesibilità * migliorare l’accessibilità e la fruibilità della zona privilegiando la mobilità lenta.
> incremento del numero degli spazi per la sosta e attivazione di convenzioni con i gestori dei parcheggi; > adozione di iniziative di traffic calming; > introduzione di un piano urbano della mobilità sostenibile. - PUMS (strumenti di partecipazione): Comune di Brescia, Milano, Pordenone, Bologna, etc.
Intervento
> introduzione di strumenti di coordinamento (Piano del colore e Regolamento sistemazione facciate); > regolamento di decoro estetico per le attività commerciali. Obiettivi
Intervento
2. Riqualificazione estetica del fronte stradale e dell’area * migliorare la qualità estetica del fronte stradale e commerciale (per aumentare l’attratività dei luoghi e favorire la strategia comunicativa delle attività commerciali).
Obiettivi
- Temporary windows, Faenza - Fare centro, Forlì - Spazio agli spazi, Forlì - Progetto Nuova gestione, Roma - Progetto Brescia Open, Brescia - Sfitto a rendere, Mantova - Programma Vital’ Quartier, Parigi - West 26th Street, New York - Progetto Lo sbaracco - Mercati by night, Campi Bisenzio (FI) - Progetto Compra a Bondeno (FE) - Progetto Bassano Excellence (VI) - Progetto UrbeCom, Treviso - Coworking, etc.
Buone pratiche
Intervento
> riuso temporaneo degli spazi (locazione con canoni variabili, forme di incentivazione a proprietari e operatori, corsi di formazione professionale degli operatori economici, creazione di un portale web con un database dei negozi sfitti); > creazione di un “centro commerciale naturale” (marketing territoriale, sinergia tra commercio fisso e ambulante); > inserimento di attività innovative (coworking, artigianato di servizio, hi-tech, food); > commercio ambulante (mercato settimanale e/o per tema);
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Infine, abbiamo riportato alcune buone pratiche già utilizzate con successo sia in Italia che all’estero, che ci sono servite per formulare le proposte progettuali. Abbiamo immaginato che i singoli obiettivi potrebbero essere raggiunti attraverso alcune modalità d’intervento che fanno riferimento alle buone pratiche selezionate. Per ogni linea d’azione abbiamo proposto un diagramma (Fig.5; Fig.6; Fig.7) che mette in relazione gli elementi che caratterizzano l’intervento. Seppur con le indispensabili semplificazioni, sono state individuate le variabili che possono intervenire e i benefici attesi in conseguenza delle diverse relazioni possibili. I diagrammi sono stati poi applicati ad un caso studio e a un’ipotesi d’intervento nel quartiere Piave. Linee d’azioni da intraprendere per la rivitalizzazione del quartiere Piave In ragione degli obiettivi, abbiamo individuato tre linee d’azione e per ciascuna di esse le modalità di intervento (Fig.4): * linea d’azione 1: rivitalizzazione del settore commerciale; * linea d’azione 2: riqualificazione estetica del fronte stradale e dell’area; * linea d’azione 3: miglioramento dell’accessibilità. A supporto di queste ultime, sono elencate le buone pratiche selezionate. Criteri per la selezione delle buone pratiche La ricerca delle buone pratiche in rete ha reso necessaria una selezione preliminare delle stesse, per individuare quelle che, secondo noi, meglio si prestano ad essere replicate con successo nel contesto di studio. A questo proposito, sono stati individuati quattro criteri principali: 17. Negozi in prossimità dei Giardini di Via Piave
* Replicabilità: la valutazione delle proposte di buone pratiche ha tenuto conto del contesto della realtà cittadina e, in particolare, del quartiere Piave. Per tale motivo, non abbiamo considerato le iniziative che hanno interessato contesti territoriali, sociali ed economici molto diversi da quello oggetto del nostro studio e quindi difficilmente replicabili. * Costi: abbiamo privilegiato le buone pratiche che non richiedono importanti investimenti finanziari. Questa scelta è giustificata dall’attuale congiuntura economica che limita le risorse a disposizione delle Amministrazioni pubbliche ma anche da parte degli operatori privati. Ciò non esclude che altre iniziative non considerate in questa fase possano essere valutate positivamente in presenza di opportunità finanziarie messe a disposizione da altre Istituzioni (Comunità Europea, Stato, Regione). * Tempi di realizzazione: sono state considerate quelle pratiche che possono essere attivate in tempi relativamente brevi (max. 5 anni). Abbiamo anche proposto alcune pratiche con tempi di attuazione più lunghi (es. Piano Urbano della Mobilità Sostenibile - PUMS), ritenendolo di particolare importanza e interesse per il raggiungimento delle finalità che ci siamo posti. * Permanenza nel tempo: le dinamiche in atto nel quartiere richiedono iniziative che producano i loro effetti nel tempo. Le trasformazioni devono essere strutturali per garantire un concreto e permanente cambiamento. Un altro aspetto sul quale ci siamo soffermati, anche se non l’abbiamo considerato un vero e proprio criterio di selezione, è il numero dei soggetti coinvolti: in genere, più è elevato, maggiori sono le difficoltà di raggiungere accordi condivisi. La maggior parte delle buone pratiche prese a riferimento, tuttavia, prevede la partecipazione di una pluralità di attori pubblici e privati ma questo non sembra essere stato d’ostacolo al successo dell’iniziativa.
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Linea d’azione 1: rivitalizzazione del settore commerciale Buone pratiche Le buone pratiche individuate (elencate in precedenza nella Fig.4) sono descritte sinteticamente nei contenuti ed organizzate per gruppi in base alle modalità di intervento proposte i. riuso temporaneo degli spazi; ii. creazione di un “centro commerciale naturale”; iii. inserimento di attività innovative; iv. commercio ambulante. i. Riuso temporaneo delgi spazi i.a. Progetto “Brescia Open”, Brescia (2014). Brescia Open è un progetto di riuso integrato dei negozi sfitti veicolato da un gruppo di lavoro sinergico che coinvolge i proprietari dei locali inutilizzati, il Consorzio Brescia Centro, Confcommercio e Confesercenti, i residenti del centro storico e il Comune. Il progetto prevede forme di utilizzo a diversi
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i.a
livelli, attraverso strumenti (forme contrattuali) diversificati in funzione delle tipologie di riuso previste.
Infine il curatore è chiamato a coordinare l’operazione, mediando fra le diverse istanze dei soggetti coinvolti.
i.b. Progetto “Nuova gestione”, Roma (2012). Il progetto ha per finalità il riutilizzo di spazi commerciali in disuso attraverso una serie di operazioni complementari e sinergiche: * rivalutare spazi commerciali sfitti; * proporre l’arte in contesti nuovi e diversi rispetto alle tradizionali location istituzionali; * incoraggiare, promuovere e sostenere il lavoro di giovani artisti; * diffondere l’arte a un pubblico più ampio. Gli attori coinvolti sono: gli artisti, ai quali è affidata l’ideazione e la realizzazione dell’intervento, i locatari, gli abitanti del quartiere, realtà associative, gruppi, scuole (attraverso visite guidate, incontri con gli artisti e tavole rotonde).
i.c. Progetto “Spazio agli spazi”, Forlì (2013). Il Comune di Forlì, con la collaborazione della società mista “Forlì nel Cuore” e delle Associazioni di categoria, nell’ambito del Progetto realizzato con il contributo della Regione Emilia-Romagna, sta attuando l’azione “Negozi sfitti.” Tale attività, dopo la realizzazione del monitoraggio degli spazi vuoti, è proseguita con la stipula di convenzioni con le proprietà di negozi inutilizzati disponibili. Nell’ottica di valorizzazione del centro storico, si è previsto di animare questi locali con una serie di iniziative finalizzate al decoro delle vetrine e all’utilizzo degli spazi per attività di animazione culturale, esposizioni, workshop. i.c
i.b i.d
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i.d. Progetto “Temporary Windows”, Faenza (2014). Il progetto rappresenta un’iniziativa pilota proponente azioni di valorizzazione e recupero dei negozi sfitti all’interno delle politiche attive di valorizzazione del Centro Commerciale Naturale del centro storico di Faenza. L’intervento prevede il recupero estetico funzionale dei locali commerciali vuoti attraverso allestimenti e utilizzi temporanei con il massimo coinvolgimento delle realtà associative locali (di volontariato, culturali, ricreative, sportive, musicali, ...) e delle realtà economiche esistenti e potenziali (agenzie immobiliari, esercizi di vicinato, turismo, servizi e artigianato, nuova imprenditorialità, catene di franchising). i.e. Progetto “Sfitto a rendere”, Mantova (2014). La città di Mantova vede la presenza di numerosi locali commerciali sfitti che contribuiscono a i.e
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trasmettere un segnale di degrado alla città. Dalla collaborazione tra Istituzioni, Associazioni, cittadini e imprese, è stato attivato il progetto “Sfitto a rendere” che, attraverso la mappatura degli spazi sfitti, la definizione di procedure per la riutilizzazione e la costituzione di una piattaforma informatica con lo scopo di favorire la connessione tra il proprietario dell’immobile e i soggetti interessati intende contrastare il fenomeno attraverso il riuso degli spazi (intero negozio, sola vetrina o solo spazio antistante il negozio). i.f. Progetto “Bassano Excellence”, Bassano del Grappa (VI). E’ un progetto nato all’interno di un laboratorio partecipato per il centro storico, frutto della collaborazione tra Urban Center, Consiglio di quartiere “Centro storico” e proprietari degli spazi commerciali sfitti. Nella prima fase, i locali sfitti sono stati oggetto di manutenzione e utilizzati come veicolo di promozione del sistema museale mediante l’installazione di gigantografie all’interno delle vetrine che descrivono il patrimonio storico/artistico della città. In un secondo momento, i locali saranno utilizzati dalle categorie economiche del territorio per l’esposizione temporanea delle eccellenze artigianali e produttive locali. i.g. Progetto “Vital’ Quartier”, Parigi (2009). Il Comune di Parigi ha incaricato la società mista SEMAEST per redigere uno studio del tessuto urbano commerciale e della realizzazione del programma Vital’Quartier in aree definite in collaborazione con i sindaci dei quartieri. Gli obiettivi dell’iniziativa sono: * implementare la sicurezza delle zone urbane; * preservare il carattere storico e tradizionale del commercio; * riqualificare le aree urbane; * sostenere i negozi come servizi di prossimità. Il progetto è stato attuato in quattro fasi e nel periodo 2003-2013 ha portato ad una riduzione dei negozi sfitti pari al 40%. i.h. West 26th Street, New York (2009). Il progetto si è sviluppato intorno ad uno spazio commerciale sfitto, definendo i seguenti obiettivi: * rivitalizzare le aree adiacenti l’esercizio commerciale; * contrastare il degrado urbano; * ricostruire un livello di attrattività urbana come condizione utile al riutilizzo del locale stesso. I soggetti coinvolti nell’iniziativa sono l’Associazione “No Longer Empty” che riveste il ruolo di intermediario tra il proprietario tra
Laboratorio di Sintesi i.g1. prima la proprietà, la pubblica amministrazione e l’utilizzatore. Il progetto prevede che il proprietario metta a disposizione lo spazio vuoto ad un intermediario che gestisce l’intero processo di riuso temporaneo fornendo garanzie sulla riconsegna dello spazio al termine del processo di riuso. L’intermediario mette a disposizione dell’utilizzatore lo spazio con un contratto di comodato d’uso gratuito. Al termine del contratto, l’utilizzatore riconsegna lo spazio all’intermediario, secondo le condizioni stabilite. ii. Creazione di un “centro commerciale naturale” ii.a. Progetto “Fare centro”, Forlì (2010). Il progetto si ripropone di qualificare il centro commerciale naturale della città, sulla base di quanto previsto dal Programma FESR 2007-2013. La società mista “Forlì nel cuore” ha ideato, progettato e realizzato politiche di marketing finalizzate alla promozione commerciale del centro cittadino. Gli obiettivi di rilancio del centro riguardano: la riduzione del numero dei negozi sfitti, il recupero estetico e funzionale del centro città e la valorizzazione commerciale e di immagine di Forlì. ii.b Progetto “Compra a Bondeno”, Bondeno (FE) (2014). L’amministrazione comunale ha messo in atto un progetto che prevede una serie di misure al fine di incoraggiare l’acquisto al dettaglio locale da parte dei cittadini. Le iniziative avevano le prerogative di rafforzare l’economia locale tramite le buone pratiche dell’acquisto di vicinato, valorizzare e mantenere vivo il centro storico, incentivare gli acquisti fatti senza bisogno di spostarsi in automobile. ii.c. 20 progetti di valorizzazione dei “centri commerciali naturali” della regione EmiliaRomagna (2013). Si tratta di progetti realizzati dalla Regione, volti alla promozione del “centro commerciale naturale” delle città attraverso il recupero degli spazi commerciali inutilizzati e con specifiche forme di marketing (eventi, marchio del centro, fidelizzazione del cliente, promozione delle attività nel territorio…). Sono stati utilizzati strumenti di collaborazione stabile fra Enti pubblici e privati, al fine di condividere le strategie e i ruoli nel processo. Le azioni intraprese sono state suddivise in funzione dei tempi di attuazione (brevi-lunghi) e delle risorse a disposizione. Tra il
i.g1. dopo
i.g2. prima
i.g2. dopo
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2011 e il 2013 sono stati interessati 35 comuni, prevedendo la conclusione dei progetti tra il 2014 e il 2016. ii.d. Progetto “Lo sbaracco”. E’ un’iniziativa molto diffusa a livello nazionale, che prevede in date predefinite o in concomitanza di eventi specifici (saldi, festività,…) la possibilità da parte dei negozianti di poter esporre i prodotti all’esterno dei negozi, occupando gli spazi pubblici a titolo gratuito. L’iniziativa è interessante e sta avendo un significativo successo anche in considerazione del fatto che si svolge in orari serali e notturni, quando normalmente i negozi sono chiusi. Inoltre, è un’opportunità sia per i negozianti che per i consumatori in quanto i prodotti vengono venduti a prezzi scontati. iii. Inserimento di attività innovative iii.a. Coworking (Mestre, Ferrara, Padova, Verona, Molfetta, Parigi, Berlino, etc.). Il progetto prevede il riutilizzo degli spazi dismessi per convertirli in ambienti di lavoro condivisi. I fruitori sono gruppi di persone che iii.a. Coworking CO+, Padova
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iii.a. Coworking CoWo, Mestre
lavorano in modo indipendente tra di loro ma che possono ottenere benefici dalle sinergie che si attivano grazie alla condivisione dello spazio fisico. iii.b. Centro commerciale naturale, Comune di Pino Torinese (TO) (2009). Il Comune ha provveduto in fasi diverse alla creazione di un centro commerciale naturale mediante: * l’adeguamento della regolamentazione comunale alla normativa commerciale regionale; * la presentazione di un dossier in Regione per candidarsi ad un Programma di Qualificazione Urbana che prevede apposite azioni per il miglioramento dell’offerta commerciale da un punto di vista sia qualitativo sia quantitativo. Inoltre, è stato avviato un progetto enogastronomico che, attraverso l’utilizzo di un edificio pubblico, prevede: valorizzazione della cultura enogastronomica, difesa della biodiversità, valorizzazione della produzione agricola locale. Per l’attuazione del progetto, sono state coinvolte le istituzioni che operano sul territorio, le organizzazioni agricole. iii.c. Progetto “UrbeCom”, Treviso (2015). È un progetto integrato che prevede il rilancio del centro storico mediante una serie di iniziative che operano in diversi ambiti. Viene favorito l’inserimento di nuove startup anche in locali sfitti, sono previsti eventi culturali con cadenza annuale, mostre, attività connesse all’accoglienza del turista (isola del gusto). Il progetto è nato dalla collaborazione tra l’Amministrazione e le Associazioni di categoria fronteggiare una situazione di crisi economica e di forte calo demografico della città di Treviso. iii.d. Bolognina Finger Food Festival (2015). L’evento è stato organizzato dall’Associazione Estragon di Bologna, in collaborazione con il Comune e il quartiere Navile. Nei tre giorni della manifestazione (ottobre 2015), insieme ad eventi culturali, è stato proposto lo street food proveniente da varie parti del mondo. L’evento si è svolto in Piazza Liber Paradisus. Il progetto si inserisce in un contesto di riqualificazione di un’area degradata con lo scopo di riattivare l’uso degli spazi. iii.e. Copenhagen Street Food (2014). In un ex magazzino della Danimarca, ristrutturato e arredato con materiali e componenti ecocompatibili, è stata avviata un’originale attività di Street Food. Il Copenhagen Street Food si
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trova sull’isolotto Papirøen ed è un mercato dove si può sostare su sdraio allestite appositamente al sole, si possono ascoltare performance musicali ma soprattutto si possono trovare quaranta food trucks, che propongono dal classico fish and chips britannico alle specialità caraibiche, passando per pizza, hot dog, sushi e tanto altro. iii.f. wd~50 Restaurant, New York (2003). Nel 2003, in Clinton Street, una delle zone meno raccomandabili di Manhattan, ha aperto il wd~50 di Wylie Dufresne. In seguito all’apertura del locale, il quartiere ha cambiato volto, diventando una delle mete più in voga in tutta la città per uscire a mangiare la sera. Anche Orchard Street, a pochi passi dalla Clinton Street, si è progressivamente popolata di caffè e ristoranti; oggi è diventata la meta dove potersi ristorare dalla mattina presto fino a tarda sera. iii.g. Festival del cibo di strada, “In Food We Truck”, Reggio Emilia (2015). Il festival itinerante dello street food si inserisce nelle azioni del progetto di riqualificazione che l’Amministrazione comunale sta portando avanti nel quartiere della stazione. L’intenzione è favorire attività di rigenerazione sociale e degli spazi pubblici, al fine di potenziare le politiche di inclusione, partecipazione e animazione attraverso la promozione di iniziative ed eventi e l’apertura di nuovi spazi. L’evento infatti, oltre alle ‘cucine su ruote’ di qualità, unisce la buona tavola alla buona musica. Si promuove anche la sicurezza urbana dell’area e la frequentazione di una delle principali porte di ingresso della città. iv. Commercio ambulante iv.a. Progetto “Mercati by night”, Campi Bisenzio (FI). Si svolgono in estate e operano in sinergia con il “centro commerciale naturale” operativo nei comuni Campi Bisenzio, Sesto Fiorentino e Scandicci. Si tratta di fiere promozionali, gestite
iii.d
dalle Associazioni dai categoria, e riservate agli operatori titolari di posteggio. Tali iniziative si pongono l’obiettivo di migliorare l’integrazione tra commerci in sede fissa e commercio su area pubblica, proponendo al consumatore un’offerta molto ampia, sia in termini di prodotti che in termini di orario. iv.b. Fiera promozionale Magenta, Campi Bisenzio (FI). E’ un’iniziativa dedicata al commercio ambulante con cadenza settimanale e pomeridiana che prevede la rotazione degli operatori sulla base della tipologia merceologica. L’evento è stato promosso dal Comune insieme a Confesercenti e Confcommercio e prevede che 48 operatori si alternino sui 12 posteggi disponibili il martedì esponendo i prodotti preventivamente organizzati sotto il profilo merceologico. iv.c. Mercato di Natale di Heidelberg, Firenze È un’iniziativa che si svolge nel mese di dicembre, attivata dalle Associazioni di categoria e con il patrocinio di Comune di Firenze. Analogamente a quanto accade nel nord Europa, in questo periodo, vengono organizzati mercatini “di Natale” con la presenza di oltre 50 operatori tedeschi provenienti dalla città di Heidelberg. L’evento è importante sia sotto il profilo merceologico che tematico, per la valenza culturale data dalla presenza di operatori stranieri e si pone come offerta complementare a quella del sistema commerciale locale. iv.d. Associazione arti e mercati Firenze (dal 2009). L’Associazione culturale Arti e Mercati si prefigge di divulgare la musica (e non solo) nei mercati e luoghi storici di Firenze. Si avvale del contributo del Comune di Firenze, di Confesercenti e di tutti gli operatori commerciali dei mercati fiorentini. L’Associazione organizza eventi culturali (rassegne musicali) con lo scopo di valorizzare ed animare i mercati, favorendo la socializzazione e l’aggregazione.
iv.b
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
iv.e. Mercato Europeo del commercio ambulante, Senigallia. Il Mercato Europeo Ambulante è una manifestazione organizzata da Confcommercio, in collaborazione con il Comune di Senigallia in alcune aree della città. Si tratta di una vera e propria mostra-mercato con banchi di vendita provenienti da tutta Europa e da gran parte delle Regioni italiane. Questa suddivisione non va intesa rigidamente poiché questi esempi producono effetti anche su altri ambiti d’intervento. Il raggruppamento ha il solo scopo di agevolare la lettura.
Fig.5
Analisi di una modalità d’intervento: diminuire il numero dei negozi sfitti
Per la linea d’azione “Rivitalizzazione del settore commerciale”, abbiamo approfondito la modalità di intervento “Diminuire il numero dei negozi sfitti”. Il riutilizzo degli spazi inutilizzati, infatti, da un lato favorisce il recupero estetico dell’area, dall’altro potrebbe diventare il volano per la riqualificazione sociale ed economica del quartiere. Di seguito sono riportate e brevemente descritte le variabili che abbiamo considerato per il singolo intervento e che sono state inserite nello schema riassuntivo. Quest’ultimo è stato poi applicato ad un caso studio e ad un’ipotesi d’intervento nel quartiere Piave. Attori coinvolti nel processo di riuso temporaneo
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Il processo di riutilizzo temporaneo richiede generalmente la presenza di alcuni soggetti che possono essere identificati nel seguente modo: * proprietario del bene: generalmente è un soggetto privato o, in alcuni casi, può coincidere con la pubblica amministrazione. A Mestre, ad esempio, ci si può riferire agli immobili confiscati a Keke Pan e trasferiti al patrimonio del Comune; * utilizzatore: può essere una persona singola, un’associazione o una società che utilizza gli spazi a disposizione. Nei casi di buone pratiche analizzate, generalmente, questi soggetti appartengono al mondo universitario, dell’associazionismo, della cultura o dell’imprenditoria giovanile; * Pubblica Amministrazione: ha il compito di individuare percorsi procedimentali in grado di facilitare l’iniziativa e, se possibile, erogare contributi o finanziamenti a supporto; * intermediario: ha il compito di mettere in collegamento il proprietario, l’utilizzatore e la Pubblica Amministrazione. Può essere un soggetto privato, un’associazione di categoria oppure la Pubblica Amministrazione stessa attraverso la formazione di specifiche agenzie.
Tempi di riuso temporaneo Abbiamo ipotizzato 4 fasce temporali di riuso, che si basano sulla tipologia dell’attività ospitata: * fino a un mese: sono previste attività di breve durata (mostre d’arte, workshop, forme espositive
Laboratorio di Sintesi
legate ad eventi temporanei e turismo); * fino a un anno: sono previste attività economiche di breve periodo, come ad esempio la vendita di prodotti stagionali oppure attività didattiche da svolgersi all’esterno delle strutture istituzionali; * fino a 2 anni: sono previste attività economiche legate all’insediamento di imprese di startup (anche giovanili) e attività di associazionismo come, ad esempio, il volontariato, il no profit o associazioni di promozione culturale, territoriale. * oltre 2 anni: sono previste attività economiche con un orizzonte temporale più ampio e le realtà dell’associazionismo e volontariato.
* livello 2: gli spazi richiedono interventi di adeguamento anche alle strutture e interventi di rifacimento degli impianti e alle finiture (pavimenti, vetrine, infissi). Nella prefigurazione proposta, abbiamo ipotizzato che, per le forme d’uso di breve periodo (1-2 settimane), lo spazio non richieda interventi di Livello 2 che potrebbero diventare per l’utilizzatore una forma di disincentivo.
Strumenti utilizzati nel processo di riuso temporaneo Gli strumenti che possono essere utilizzati a tale scopo sono di diversa natura e, in particolare: * comodato d’uso: prevede che l’utilizzatore prenda in consegna l’immobile per un determinato periodo di tempo, assumendosi il compito di riconsegnarlo al proprietario alla scadenza. Questa forma è essenzialmente gratuita; * concessione d’uso: prevede che la P.A., proprietaria del bene, consente all’utilizzatore l’uso dello stesso per le proprie finalità, in forma gratuita oppure a titolo oneroso. * locazione: è una forma contrattuale dove il proprietario dell’immobile dà in uso il bene all’utilizzatore in cambio del pagamento di un canone predefinito. Nei casi analizzati, queste iniziative sono attivate attraverso atti amministrativi (delibere da parte della giunta o del consiglio comunale) o attraverso la costituzione di specifiche agenzie che si occupano della gestione di queste pratiche. Gradi di intervento architettonico nel processo di riuso temporaneo Gli spazi da riutilizzare si presentano in diverse condizione di manutenzione: alcuni possono essere immediatamente utilizzati, altri richiedono la preventiva risistemazione. Abbiamo quindi ipotizzato di suddividere gli edifici in due categorie, a seconda della tipologia di intervento richiesto: * livello 1: gli spazi richiedono minimi interventi di manutenzione (tinteggiatura, pulizia, arredamento, piccoli interventi agli impianti);
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Spazi commerciali inutilizzati
Tempi di riuso temporaneo
Regole d’uso temporanee
Inter archite nece
fino a 1 mese (eventi, turismo)
comodato d’uso gratuito (per Associazioni/ Studenti)
livel (allisti tempo arredo ed es impiant bas
Mese
via F elisa ti
via P iave
Anni
fino a 1 anno (lavoro, studio)
Anni
Mese
locazione a canone variabile (attivitĂ economiche)
livel (stru tempo prefabb pittura murale f
fino a 2 anni (lavoro, associazinsmo)
Anni
Mese
via P
iragh
etto
via C
avall otti
3 anni e oltre
88 Anni
Mese
Fig.5 Schema di applicazione della Linea d’azione 1: rivitalizzazione del settore commerciale
concessione dalla Pubblica Amministrazione
Laboratorio di Sintesi
rventi ettonici essari
Benefici attesi
Utilizzatori temporanei
Buone pratiche: casi studio
llo 1 imenti oranei; interni sterni; tistica di se)
rivitalizzazione del settore commerciale
studenti
Temporary Windows, Faenza Spazio agli spazi, ForlĂŹ
associazioni non profit
riqualificazione urbana e valorazzazione degli spazi
Nuova Gestione, Roma Brescia Open, Brescia Sfitto a rendere, Mantova
artisti / workshop
Progetto Lo sbaracco Mercati by night, Campi Bisenzio (FI)
llo 2 utture oraneo bricate; azione facciata)
Progetto Bassano Excellence (VI) commercianti e artigiani miglioramento della qualitĂ della vita
Progetto UrbeCom, Treviso Coworking
city users
Programma Vital’ Quartier, Parigi No Longer Empty, New York
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Tempi di riutilizzo 1 mese (vetrine temporanee + espozioni) 1 anno (negozio temporaneo)
Regole d’uso comodato d’uso gratuito
Intervento architettonico livello 1
locazione a canone variabile
livello 2
Benefici attesi rivitalizzazione commerciale riqualificazione urbana miglioramento qualità di vita
Fig.6 Schema di relazione delle variabili per il Progetto Brescia Open
Tempi di riutilizzo 2 anni
Regole d’uso comodato d’uso gratuito
Intervento architettonico livello 1
Benefici attesi riqualificazione urbana
Fig.7 Schema di relazione delle variabili per l’Associazione Gruppo Via Piave
Tempi di riutilizzo oltre 2 anni 90
Regole d’uso locazione a canone variabile
Intervento architettonico livello 1
livello 2
Benefici attesi rivitalizzazione commerciale riqualificazione urbana miglioramento qualità di vita
Fig.8 Schema di relazione delle variabili per un’ipotesi di progetto di Coworking in Via Piave
Laboratorio di Sintesi
Fig.6
Progetto Brescia Open
Brescia Open nasce per contrastare la desertificazione commerciale e il conseguente degrado di alcune vie di Brescia. Obiettivo dell’operazione: rivitalizzare il centro mantenendo attivi tutti i negozi, garantendo migliore visibilità e maggiori opportunità di locazione. Attori: Consorzio Brescia Centro Commercianti Proprietari negozi sfitti Comune di Brescia Confesercenti. Fruitori: soggeti interessati a esporre/proporre le proprie creazioni all’interno dei temporary shop in attesa di un locatario.
Forme d’uso previste: vetrina temporanea per espozioni; vetrina temporanea per negozi commerciali; negozio temporaneo; vetrina temporanea con forte interesse alla locazione. Strumenti per il riuso: locazione e comodato d’uso gratuito. Risultati raggiunti in una anno: 28 negozi gestiti direttamente da Brescia Open; 22 negozi affitati tramite il progetto. Benefici indiretti: effetto emulazione; associazionismo per attività collettive; maggiori opportunità per nascita di StartUp.
18
Fig.7
Caso esistente del Gruppo Via Piave
In Via Piave già esiste un caso concreto di riuso di un locale sfitto, un negozio chiuso concesso gratuitamente al Gruppo di Lavoro di Via Piave per trasferire la propria sede (precedentemente situata presso “La casa Bainsizza”). Questo spazio è utilizzato per le attività culturali e sociali dell’Associazione (nel mese di gennaio, quando abbiamo avuto l’opportunità di visitarlo, era in fase di allestimento una mostra fotografica).
Fig.8
Ipotesi progettuale di Coworking proposta in Via Piave
In Via Piave, sono presenti spazi commerciali inutilizzati anche di dimensioni rilevanti. A questo proposito, abbiamo proposto una ipotesi di riuso che prevede la trasformazione in spazi per il Coworking. In questo caso, il proprietario dell’immobile potrebbe percepire un canone di locazione.
18. Foto della sede del Gruppo di Via Piave 19. Fotomontaggio dell’ipotesi progettuale di Coworking situato in Mestre, Via Piave nr. 76
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave 19
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Laboratorio di Sintesi
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Linea d’azione 2: riqualificazione estetica del fronte stradale Buone pratiche Le buone pratiche individuate sono descritte sinteticamente nei contenuti ed organizzate per gruppi in base alle modalità di intervento proposte: v. introduzione di strumenti di coordinamento; vi. regolamento e proposte di decoro estetico per le attività commerciali. v. Introduzione di strumenti di coordinamento (Piano del Colore e/o Regolamento di Sistemazione delle Facciate) Il Piano del Colore consiste, di norma, in una serie di operazioni collegate alla manutenzione e conservazione delle facciate, legate ad una “tavolozza colore” studiata specificatamente per il contesto. Questo strumento ha una valenza più ampia rispetto al solo aspetto cromatico, comprendendo l’approccio più generale alla conservazione dei luoghi e dei loro caratteri costitutivi. Le ragioni che hanno indotto numerosi Comuni ad adottare i piani del colore sono da attribuire alla capacità che tali strumenti hanno nell’arginare le incontrollate trasformazioni dell’immagine urbana e alla contestuale azione 20
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Laboratorio di Sintesi
propulsiva per la riqualificazione della stessa. Alcuni studi specialistici hanno inoltre evidenziato le relazioni intercorrenti tra i colori, i materiali dell’edificato, l’ambiente urbano e la qualità della vita. Questi elementi, che contribuiscono a formare l’immagine intrinseca dei luoghi, se lasciati all’incuria, influiscono in modo negativo sia sull’estetica dell’immagine urbana sia sulla qualità della vita. Per attuare il Piano del colore, sono necessarie azioni basate su attività concertate e unitarie tra i proprietari degli immobili, gli utilizzatori, le Pubbliche Amministrazioni e altri soggetti che possono intervenire. v.a. Progetto SIRENA, Napoli (2002-2012). Il progetto SIRENA, si poneva di attuare il recupero delle parti comuni degli edifici, con particolare attenzione alla ricostituzione di condizioni di decoro delle fronti urbane della città. Per attuare l’iniziativa, è stata creata una società mista (S.I.RE.NA.), con lo scopo di promozione e gestione del programma e sono state introdotte alcune forme di incentivazione. Il progetto si è inizialmente sviluppato in assenza di un Piano del Colore, redatto in seguito dall’Amministrazione, a seguito dei risultati positivi raggiunti. v.b. Piano del Colore, Torino (1979). È nato a livello sperimentale nel 1979 sulla base di una ricerca universitaria che aveva la finalità di riportare alla luce le procedure e coloriture che decoravano originariamente le facciate degli edifici. A tale scopo, l’Amministrazione comunale ha istituito un “Ufficio colore” che ha avviato un’attività sistematica di controllo degli interventi di ripristino delle facciate. Nel 1993, la sperimentazione si è trasformata in uno specifico Piano del Colore, dotato di strumenti operativi. L’esperienza è stata complessivamente positiva e, dal 1982 al 2009, gli interventi di ripristino delle facciate coordinati sia in fase sperimentale che in presenza dello strumento operativo vero e proprio, sono stati oltre 25 mila. v.c. Città a Colori, L.R. 26/2003 Regione Liguria. Nel 2003, la Regione Liguria ha modificato la L.R. 25/1987 che ha per oggetto: “Contributi regionali per il recupero edilizio abitativo ed altri interventi programmati” introducendo la possibilità per i Comuni di dotarsi di un “Progetto colore” che, una volta approvato, diventa parte integrante degli strumenti di pianificazione. A supporto dell’iniziativa, la Regione ha stanziato fondi sia per la redazione del progetto
(incentivando anche la stesura partecipata con altri Comuni, Università e altri soggetti) sia per la realizzazione degli interventi attraverso l’erogazione di contributi. Infine, è stata prevista la possibilità per i Comuni, attraverso ordinanze sindacali, di ingiungere ai proprietari degli edifici la realizzazione degli interventi di sistemazione dei prospetti se inclusi nel “Progetto colore”. I Regolamenti di sistemazione e/o tinteggiatura delle facciate sono strumenti molto snelli che disciplinano questa tipologia di interventi di decoro urbano, associandoli spesso a forme di contribuzione provenienti direttamente dalle risorse comunali. Alucni esempi di regolamento e concessione contributi sono i Comuni di: Scurelle (TN), Carzano (TN), Fornace (TN), Borgo Valsugana (TN), Rudiano (BS), Pregnana Milanese (MI), Meana Sardo (NU), etc. vi. Regolamento e proposte di decoro estetico per le attività commerciali L’esercizio delle attività commerciali si interfaccia in modo diretto con gli spazi pubblici. Per garantire un adeguato livello di decoro, è prassi che i Comuni si dotino di regolamenti finalizzati a disciplinare le varie forme di interazione: le insegne pubblicitarie, l’esposizione della merce all’esterno dei locali, l’utilizzazione di spazi per l’esercizio dell’attività (dehors), le forme di allestimento della vetrina e i piccoli interventi di manutenzione. Alcuni regolamenti, propongono anche forme di collaborazione tra gli operatori economici e l’Amministrazione per attivare forme di tutela e valorizzazione dei luoghi. vi.a. Linee guida per la progettazione: caratteristiche techniche per la composizione dei “Dehors”, Agropoli (SA), 2010. Le linee guida hanno l’obiettivo di coordinare l’allestimento delle attrezzature esterne di carattere precario o degli arredi di pertinenza degli esercizi commerciali, i cosiddetti “dehors”, che attualmente si presentano in assoluta anarchia di forme, colori e materiali, spesso in contrasto con il decoro urbano della città. vi.b. Regolamento per le insegne commerciali per gli impianti pubblicitari nei centri storici cittadini, Genzano, Roma. Il regolamento disciplina l’installazione delle insegne commerciali, degli impianti pubblicitari e delle altre forme di pubblicità al 20. Foto di Via Piave
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
fine di razionalizzarne il posizionamento e la distribuzione, promuovendone un equilibrato inserimento nel tessuto urbano. I principali obiettivi sono: la compatibilità ambientale delle insegne e la creazione di un valore aggiunto dell’area commerciale, favorendone la visibilità attraverso il disegno di insegne e/o altri mezzi pubblicitari coordinati tra loro. vi.c. Regolamento Comunale in materia di tutela del decoro urbano nell’esercizio di attività economiche, Matere (2015). Il regolamento intende migliorare l’ambiente urbano, riconosciuto come bene primario della comunità locale, attraverso adeguate forme di regolamentazione dell’esercizio delle attività economiche. In particolare, vengono date specifiche indicazioni sugli obblighi e le prescrizioni riguardanti le attività o gli interventi che i negozianti devono adottare per garantire elevati livelli qualitativi degli spazi pubblici prospicenti i singoli negozi. Inoltre, il regolamento propone forme di collaborazione tra la P.A. e gli operatori economici (anche in forma associata) per attivare azioni di valorizzazione degli spazi pubblici anche in forma di “adozione” o di interventi sponsorizzati. vi.d. Concorso “Finestre, balconi, vetrine e vicoli fioriti”, Osimo (AN) (2016). L’iniziativa è finalizzata all’abbellimento, con decorazioni floreali, di spazi urbani, per incentivare e valorizzare gli aspetti estetici, ambientali e turistici della città. È prevista una selezione dei vincitori e l’attribuzione di un premio.
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vi.e. Concorso “Il Dehor più bello, la vetrina più bella”, La Spezia (2016). Il concorso, promosso da Confesercenti con il patrocinio del Comune di La Spezia, è rivolto agli operatori dei pubblici esercizi e agli esercizi di vicinato del centro storico. Sono stati premiati i dehors e le vetrine più belli con un contributo economico.
Fig.9
Analisi di una modalità d’intervento: introduzione di strumenti di coordinamento (Piano del Colore e/o Regolamento di Sistemazione delle Facciate)
In riferimento alla linea d’azione “Riqualificazione estetica del fronte stradale”, abbiamo approfondito la modalità di intervento “Introduzione di strumenti di coordinamento”. Questi ultimi sono flessibili, relativamente economici e consentono di migliorare l’immagine del quartiere senza prevedere interventi edilizi radicali. Di seguito sono riportate e brevemente descritte le variabili che abbiamo considerato per il singolo intervento e che sono state inserite nello schema riassuntivo. Quest’ultimo è stato poi applicato ad un caso studio e ad un’ipotesi d’intervento nel quartiere Piave. Attori coinvolti nel processo di formazione e attuazione degli strumenti Il processo di formazione e attuazione richiede generalmente la presenza di alcuni soggetti che possono essere identificati nel seguente modo: * Pubblica Amministrazione: ha il compito di individuare percorsi procedimentali in grado di facilitare l’iniziativa e, se possibile, erogare contributi o finanziamenti a supporto; * proprietario del bene: generalmente è un soggetto privato; * altri soggetti: Università, Associazioni di categoria, Professionisti che possono collaborare in fase di indagine e di formulazione delle proposte progettuali; * Sponsor e Istituti finanziari: possono partecipare all’iniziativa attraverso l’erogazione di contributi o finanziamenti per facilitare la realizzazione degli interventi.
Operatività Abbiamo ipotizzato due modalità di attuazione, che si basano sulla tipologia di strumento adottato: * immediata: l’adozione dei “regolamenti di sistemazione delle facciate” sono strumenti snelli che richiedono modesti approfondimenti e quindi tempi di adozione rapidi da parte della P.A.; * non immediata: i Piani del colore sono strumenti complessi che richiedono analisi approfondite delle caratteristiche del tessuto urbano per
Laboratorio di Sintesi
poter definire le migliori soluzioni da adottare. Inoltre, per una maggiore efficacia, deve esserci necessariamente una coordinazione con gli altri strumenti di pianificazione comunale.
Regole d’intervento Le regole che possono essere utilizzate a tale scopo sono: * divieti: prevedono l’esclusione a priori di attività in evidente contrasto con gli obiettivi degli strumenti. * prescrizioni: consentono la realizzazione degli interventi a condizione che vengano osservate specifiche modalità esecutive per raggiungere gli obiettivi prefissati; * proposte: favoriscono la partecipazione attraverso la formulazione di proposte di intervento da sottoporre all’Amministrazione e che, se condivise, possono integrare il piano o costituire una linea guida. Le proposte possono originarsi da workshop o da soggetti economici (sponsor) interessati ad investire nell’area.
Gradi d’intervento Le condizioni delle facciate possono richiedere interventi di manutenzione più o meno estesi. Abbiamo quindi individuato due categorie, a seconda della tipologia di intervento richiesto: * livello 1: le facciate possono essere ripristinate attraverso la semplice tinteggiatura; * livello 2: le facciate richiedono interventi più consistenti quali, ad esempio, il rifacimento dell’intonaco o preliminari interventi sulle finiture.
Chi paga Nella prefigurazione proposta, abbiamo anche immaginato la gestione economica degli interventi, attraverso quattro possibili scenari: * intervento gratuito; * a carico del proprietario; * a carico del proprietario con contributi della P.A.; * sponsor o altri soggetti economici. 21. Progetto SIRENA. Indagine/intervento: via Duomo 131 22. Fotomontaggio dell’ipotesi progettuale del Piano di Colore per Mestre; lougo porticati intorno alla Parrocchia Santa Maria Immacolata di Lourdes
Fig.10
Progetto SIRENA (NA)
Il progetto SIRENA ha contribuito a migliorare le condizioni ambientali di alcune aree della città, attraverso la riqualificazione delle facciate degli edifici, promuovendo la bellezza dei luoghi e la cultura della manutenzione urbana coniugata con il decoro. Attori: Comune di Napoli, Società mista pubblico-privata S.I.RE.NA., Associazione Costruttori Campania, Unione industriali, Camera di Commercio e Regione Campania, proprietari, amministratori di condominio, imprenditori. Forme di finanziamento: per l’attuazione del programma, il Comune di Napoli e la Regione Campania cofinanziano le spese sostenute dai privati in misura variabile dal 30 al 40% degli importi dell’intervento. Risultati: 1.257 interventi edilizi finanziati; 1.170 cantieri attivati; 270 milioni di euro circa il valore degli interventi effettuati. Benefici indiretti: elaborazione in corso del Piano del colore; rilevante patrimonio di conoscenze scientifiche acquisito con l’attuazione del programma.
Fig.11
Ipotesi proguttuale per Mestre
Riteniamo che attraverso il Piano del colore la riqualificazione del fronte stradale di via Piave possa essere attuata e contribuire in modo importante al miglioramento complessivo dell’immagine del quartiere, attraverso una maggiore attrattività dei luoghi.
21 97
Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Spazi urbani/ commerciali
Operatività
Regole d’intervento
immediati
divieti
Gra d’inter
livel
via Piave
prescrizioni
livel
non immediati
proposte
? 98
Fig.9 Schema di applicazione della Linea d’azione 2: riqualificazione estetica del fronte stradale
Laboratorio di Sintesi
adi rvento
Tipologia di spazio
Chi paga
Risultati attesi
llo 1
pubblico
gratuito
attrattivitĂ
llo 2
free
proprietari
qualitĂ urbana
privato
proprietari con contributi P.A.
+ funzionalitĂ spazi
finanziamenti da Sponsor 99
Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
OperativitĂ
Regole utilizzo
non immediata
proposte
Gradi intervento livello 1
livello 2
Fig.10 Schema di relazione delle variabili per il Progetto SIRENA
22
100
Spazi
Chi paga
Risultati attesi
privati
proprietari + P.A.
attrativitĂ
qualitĂ urbana
Laboratorio di Sintesi
Operatività
Regole utilizzo
non immediata
prescrizioni
proposte
Gradi intervento livello 1
Spazi
Chi paga
Risultati attesi
privati
proprietari
attratività
sponsor + banche
qualità urbana
Fig.11 Schema di relazione delle variabili per un’ipotesi di progetto del Piano del Colore per Mestre
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Linea d’azione 3: miglioramento dell’accessibilità Buone pratiche Anche in questo caso, le buone pratiche accennate in precedenza nella Figura 4, vengono raggruppate in tre gruppi in base alle modalità e alle entità d’intervento proposte: vii. incremento del numero degli spazi per la sosta e attivazione di convenzioni con i gestori dei parcheggi; viii. adozione di iniziative di traffic calming; ix. introduzione di un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile. vii. Incremento del numero degli spazi per la sosta e attivazione di convenzioni con i gestori dei parcheggi vii.a. Iniziativa “Parcheggia gratis in centro”, Livorno (2006). Il parcheggio “Odeon” è convenzionato con le attività economiche del centro di Livorno che hanno aderito all’iniziativa. Il soggetto economico che partecipa all’iniziativa regala ai suoi clienti un ticket per un’ora di sosta gratuita all’interno del Parcheggio Odeon. In questo modo, si rende più comoda e conveniente la frequentazione della città.
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Laboratorio di Sintesi
vii.b. Iniziativa “Compra, mangia e dormi a Vasto, il parcheggio è gratis”, Vasto (CH) (2017). Gli utenti del parcheggio Multipiano di Vasto sono esonerati dal pagare il ticket nella fascia oraria 18.00 - 20.00 del venerdì, del sabato e della domenica. Per usufruire dell’offerta gli utenti dovranno esibire al personale del parcheggio uno scontrino d’acquisto di un qualsiasi negozio o ristorante del Comune di Vasto dell’importo non inferiore a 20 €. vii.c. Iniziativa “Parcheggi del centro”, Verona (2016). È un’iniziativa promossa dal Comune di Verona, in accordo con i gestori dei parcheggi limitrofi al centro storico, e in collaborazione con Confcommercio e Confesercenti, per agevolare la sosta nella fascia oraria 18-24. Il progetto ha previsto due fasi: il parcheggio con “sconto incentivo” in base al quale in alcuni giorni della settimana è stato applicato uno sconto del 15% sulle tariffe orarie; l’attivazione di “coupon parcheggio” che commercianti ed esercenti del centro storico hanno acquistato dai gestori, a tariffa agevolata, da regalare ai clienti della fascia serale. viii. Adozione di iniziative di traffic calming viii.a. Progetto “Isola ambientale quartiere Magré”, Schio (VI) (2012).
L’isola Ambientale del Quartiere Magrè a Schio nasce da un Piano Urbano del Traffico di nuova generazione, con un approccio orientato alla sicurezza stradale (analisi d’incidentalità), alla moderazione del traffico, alla ciclo-pedonalità, al management della mobilità e alla partecipazione. Il Piano prevede un insieme di Isole Ambientali che uniscano la vivibilità delle zone residenziali alla riconoscibilità e alla valorizzazione dei luoghi dell’identità supportato da un sistema di mobilità urbana che garantisca un rapido collegamento multimodale tra le diverse parti della città e con l’esterno. Un percorso partecipato ha accompagnato e guidato la progettazione delle isole ambientali di Schio: obiettivo di questi percorsi è sempre stato la condivisione delle scelte progettuali e dei principi della mobilità sostenibile. La concreta realizzazione del percorso è stata affidata operativamente a un gruppo di lavoro trasversale, formato da tecnici comunali operanti in diversi settori. Sono stati, così, individuati i portatori d’interesse, poi incontrati in diverse assemblee. Le realizzazioni hanno previsto la definizione delle isole ambientali attraverso: la creazione di “zone 30” e di strade residenziali; la valorizzazione di alcune aree di uso pubblico e l’ordinamento del traffico veicolare, in modo da consentire al pedone un migliore e più sicuro accesso ai poli attrattori pubblici e privati; la riorganizzazione dello spazio stradale con la creazione d’interventi di moderazione del traffico che diano sicurezza a pedoni e ciclisti (ad esempio pedane rialzate, sensi unici alternati, …); la realizzazione
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
di percorsi pedonali e ciclabili nuovi, di collegamento con quelli esistenti; la sistemazione di delle numerose panchine per permettere la fruizione dello spazio pubblico; l’inserimento di verde con alberi e aiuole per migliorare la qualità dello spazio strada. viii.b. Progetto “Quartire esteso a strade strette”, quartiere Piraghetto, Mestre (2004). È l’esempio più vivido perché anche il più prossimo alla nostra area d’intervento, nonché, conseguentemente, sintomo dell’attenzione delle amministrazioni per la zona. Qui sono stati applicati molti dei vari sistemi di moderazione del traffico poiché, precedentemente, le vie laterali erano utilizzate anche dal traffico d’attraversamento per evitare i punti caldi quali gli incroci agli estremi di via Piave e per cercare parcheggi nei pressi della stazione. L’utilizzo di soluzioni progettuali innovative per la città, dopo un primo momento di disorientamento è stato apprezzato molto dai residenti, non appena si è capito che cambiando leggermente le proprie abitudini di spostamento si sarebbe goduto a pieno della qualità dei nuovi spazi del quartiere. I lavori, durati due anni e mezzo, sono stati seguiti con particolare interesse da tutti gli abitanti e dalla stampa locale. Oggi rappresentano un esempio per gli altri interventi di moderazione del traffico e zone 30 che si stanno progettando nel resto della città.
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ix. Introduzione di un Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) è lo strumento con cui l’amministrazione comunale definisce le azioni necessarie per pianificare e governare la mobilità pubblica e privata nel proprio territorio. È un piano strategico che orienta la mobilità in senso sostenibile con un orizzonte temporale di mediolungo periodo (10 anni), ma con verifiche e monitoraggi a intervalli predefiniti, che sviluppa una visione di sistema della mobilità e si correla e coordina con i piani settoriali ed urbanistici a scala sovraordinata e comunale. Il PUMS pone al centro le persone e la soddisfazione delle loro esigenze di mobilità, seguendo un approccio trasparente e partecipativo che prevede il coinvolgimento attivo dei cittadini e di altri portatori d’interesse fin dall’inizio del suo processo di definizione.
23. Foto di Via Dante: la divisione dei tipi del traffico 24. Foto dei parcheggi in vicinanza di Via Dante 25. Foto dei interventi puntuali di traffic calming del progetto “Quartiere a strade strette”, quartiere Piraghetto
Laboratorio di Sintesi
Fig.12
Analisi di una modalità d’intervento: adozione di iniziative di traffic calming
In riferimento alla linea d’azione “Miglioramento dell’accessibilità”, abbiamo approfondito la modalità di intervento “Adozione di iniziative di traffic calming”. Di seguito sono riportate e brevemente descritte le variabili che abbiamo considerato per il singolo intervento e che sono state inserite nello schema riassuntivo. Quest’ultimo è stato poi applicato ad un caso studio e ad un’ipotesi d’intervento nel quartiere Piave.
Localizzazione dell’intervento Gli interventi possono essere di tre tipologie: * puntuale: sono interventi che interessano uno spazio ben definito (ad esempio intersezione stradale); * lungo una via: sono interventi che interessano in tutto o in parte un asse stradale; * sul quartiere: sono interventi che interessano un’ampia zona.
Tipologia dell’intervento Attori coinvolti nel processo di formazione e attuazione degli strumenti Il processo di formazione e attuazione richiede generalmente la presenza di alcuni soggetti che possono essere identificati nel seguente modo: * Pubblica Amministrazione: ha il compito di individuare percorsi procedimentali in grado di facilitare l’iniziativa e di investire risorse per la realizzazione di interventi; * Comitati di quartiere: partecipano al processo di formazione delle decisioni suggerendo proposte integrative/modificative.
Tempi di attuazione Abbiamo ipotizzato due modalità di attuazione, che si basano sulla tipologia di iniziativa che si intende attivare: * fino a 6 mesi: sono interventi realizzabili in tempi brevi che operano prevalentemente sulla riorganizzazione della segnaletica senza interventi fisici; * fino ad un anno e oltre un anno: sono interventi che prevedono la realizzazione di opere attraverso una preventiva attività di progettazione.
Gli interventi possono essere di tre tipologie: * fisici: sono interventi che prevedono la realizzazione di specifiche opere per ottenere i risultati prefissati; * limitazione della velocità: sono interventi che interessano unicamente limitare le velocità di percorrenza dei tratti stradali (si attuano generalmente attraverso ordinanze); * accessibilità: sono interventi che tendono a limitare l’accessibilità dell’area ad alcuni utenti preventivamente individuati (si attuano generalmente attraverso ordinanze).
Costi L’attuazione delle iniziative comporta un impegno di risorse economiche che varia in ragione della tipologia d’interventi: * basso costo: si tratta di interventi che necessitano di un modesto impegno di risorse economiche potendosi attuare attraverso provvedimenti dell’Autorità amministrativa e semplici interventi (a esempio realizzazione di segnaletica orizzontale e verticale); * elevato costo: sono conseguenti alla realizzazione di interventi più complessi che comportano modifiche strutturali dei luoghi, come ad esempio la realizzazione di manufatti per ridurre la larghezza della sezione stradale o variando il profilo altimetrico.
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Spazi urbani
Tempi di attuazione
Localizzazione dell’intervento
fino a 6 mese
puntuale
fino a 1 anno
lungo una via
oltre 1 anno
sul quartiere
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Fig.12 Schema di applicazione della Linea d’azione 3: interventi sulla viabilitĂ
Laboratorio di Sintesi
Tipologia d’intervento
Costi
Benefici attesi
interventi fisici
basso costo
aumento dei spazi per la sosta
miglioramento della qualità di vita limitazione della velocità
costo elevato
riduzione della velocità delle automobili
limitizione della accessibilità limitazioni del traffico di attraversamento
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Tempi di attuazione
Localizzazione dell’ intervento
Tipologia dell’ intervento
Costi
Benefici attesi
oltre 1 anno
puntuale
interventi fisici
basso costo
riduzione velocità
sul quartiere
limitazione velocità limitizione accessibilità
meno traffico costo elevato
aumento spazi sosta migliore qualità di vita
Fig.13 Schema di relazione delle variabili per il Progetto Quartiere esteso a strade strette” Piraghetto
Fig.13
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Progetto “Quartiere esteso a strade strette” Piraghetto, Mestre
Conosciuto anche come “Piraghetto la prima zona 30 di Mestre”, venne previsto dal Piano Particolareggiato del Traffico Urbano, approvato specificamente nel 2004, avviando una serie di cantieri promotori della trasformazione di seguito descritta dal 2006. Con la nuova organizzazione della viabilità e l’istituzione di alcuni sensi unici si è ridotto notevolmente il traffico di attraversamento dall’esterno e anche generato dagli spostamenti interni. L’inserimento di sensi unici sugli assi principali del quartiere ha dimezzato il numero di strade dalle quali è possibile entrare nella zona 30. Le nuove porte d’ingresso, più strette, alberate e con attraversamento pedonale rialzato, realizzano in prossimità dei principali assi d’ingresso nel quartiere, comunicano all’esterno, in maniera inequivocabile, le caratteristiche interne delle strade, residenziali e poco adatte a chi va di corsa. Dove la sede stradale lo permetteva, sono stati tolti spazi carrabili per trasformarli in pedonali
d’incontro, mentre l’inserimento di pedane rialzate presso le intersezioni ha rallentato la velocità riducendo gli incidenti stradali. La sosta è stata mantenuta, organizzandola e allontanandola dagli incroci. Con la regolamentazione della sosta, i parcheggi sono più ordinati, sicuri e accessibili Contestualmente ai lavori di moderazione del traffico e arredo urbano, sono stati introdotti spazi di sosta a pagamento in tutte le strade del quartiere. S’è ottenuto come risultati: dei parcheggi più ordinati, lontani dagli incroci, e più posti a disposizione. È evidente il restringimento della strada che è stato effettuato, con molteplici effetti positivi: riduzione della velocità delle auto, della lunghezza degli attraversamenti pedonali. Attori: Comune di Venezia, residenti. Forme di finanziamento: fondi della P.A. Risultati: meno rumore, meno traffico di attraversamento, spazi di sosta più ordianata, maggior confort nello spostamento dei pedoni, meno incidenti stradali.
Laboratorio di Sintesi
Tempi di attuazione
Localizzazione dell’ intervento
Tipologia dell’ intervento
Costi
Benefici attesi
oltre 1 anno
puntuale
interventi fisici
basso costo
riduzione velocità
sul quartiere
limitazione velocità limitizione accessibilità
meno traffico costo elevato
aumento spazi sosta migliore qualità di vita
Fig.13 Schema di relazione delle variabili per un’ipotesi di progettuale di “strade strette” per la zona est del quartiere
Fig.14
Ipotesi progettuale proposta nella zona est del quartiere Piave (via Felisati e via Ariosto)
La proposta progettuale si tratta, sostanzialmente, dell’estensione delle misure adottate nel quartiere Piraghetto a tutto il quartiere Piave, ma mantenendo le residuali vie principali (Piave, Sernaglia, Felisati e parte della Cavallotti), accessibili, pur se con qualche limitazione, comunque inferiore a quella delle strade locali che diventano prettamente residenziali. Vediamo qui di seguito come applicare alcuni esempi delle politiche già attuate nel quartiere Piraghetto. Per gli accessi al quartiere si prevede di creare delle “zone a porta” come già presenti nel quartiere vicino, ossia: il restringimento degli ingressi, con gli attraversamenti pedonali rialzati al livello del marciapiede (questa particolare opzione va esclusa su via Piave per le difficoltà e l’applicazione prolungata dell’operazione) e l’utilizzo di diversa pavimentazione e l’accostamento con elementi di pregio quali piccole alberature o siepi nelle immediate
vicinanze dell’accesso. Si tratta quindi si operazioni puntali, comprese nel complesso dell’azione comune estesa, e lo schema esemplificatore seguente mostrerà in sintesi come si sviluppa l’operazione. Lo stesso si può applicare funzionalmente a un altro intervento di tipo puntuale ma tendente a soddisfare una diversa esigenza: ossia quello di ricavare alcuni posti auto ottenuti trasformando quelli in linea a pettine (o, eventualmente, a spina di pesce), abbinato a una leggera traslazione (disassamento) del percorso del viale principale. Per motivi di spazio quest’operazione può avvenire solo presso il parco di via Piave, deviando i pedoni nei percorsi all’interno del parco e sfruttando il marciapiede esistente per ricavare i posti auto. Data la situazione, anche la carreggiata stradale si trova a essere ristretta, ma consente comunque il passaggio di due file di veicoli, costringendo così gli utenti a precedere più adagio.
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
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Fig.15 Aree residenziali e Zona 30 esistenti, con limitazioni del traffico in scorrimento
Laboratorio di Sintesi
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Fig.16 Proposte per le nuove aree residenziali e Zona 30, con limitazioni del traffico in scorrimento
Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Zona d’intervento Via De Amicis
Zona d’intervento Ferrovia e Giardini di Via Piave
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Laboratorio di Sintesi
Sintesi delle proposte progettuali
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Introduzione Per poter verificare la potenziale utilizzazione delle 3 linee di azione proposte nel precedente capitolo abbiamo ipotizzato l’applicazione coordinata delle stesse in due distinte aree del quartiere: la prima situata a sud, in corrispondenza dei giardini di via Piave e la seconda situata a nord in corrispondenza di via E. De Amicis. Le aree selezionate presentano caratteristiche diverse per aspetti economici, di decoro dei luoghi e riguardanti la viabilità. L’approccio utilizzato è di conseguenza differente per ognuna di esse ma riconducibile comunque alle linee di azione che abbiamo proposto e alle buone pratiche collegate. Proposta progettuale in Via Piave Descrizione dell’area L’area di studio è compresa tra via Piave, via Sernaglia e via Ortigara, in prossimità dei giardini di via Piave. È una zona prevalentemente residenziale, anche se sono presenti numerosi spazi ad uso commerciale alcuni di questi, inutilizzati, situati nel “civico 161” e di proprietà del Comune. Nell’area sono presenti due aree a verde pubblico: i giardini di via Piave (c.d. parco delle badanti) e il piccolo parco pubblico di piazzale Bainsizza. Sono due aree verdi poco utilizzate e in condizioni dimesse. Immediatamente a sud di via Ortigara sono anche in corso lavori per la realizzazione di nuovi spazi ad uso ricettivo, incentivati dalla vicinanza della stazione ferroviaria. Le nostre proposte d’intervento intendono riqualificare esteticamente e funzionalmente l’area attraverso il riuso degli spazi, con particolare attenzione a quelli meno attrattivi, migliorando l’accessibilità e in modo da favorire una maggiore frequentazione dei luoghi anche da parte di turisti, viaggiatori ecc. Questi interventi dovrebbero anche produrre positive ricadute per le attività commerciali presenti in zona, in conseguenza dei maggiori flussi di visitatori inbound non solamente a Venezia ma anche a Mestre.
Fig.17 Zone d’intervento delle proposte progettuali
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Fig.18a Proposta progettuale per la zona Ferrovia e Giardini di Via Piave
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Fig.18b Proposta progettuale per la zona Ferrovia e Giardini di Via Piave
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Riqualificazione funzionale ed estetica dell’area La rimozione delle panchine nei giardini di Via Piave, per ovviare ai fenomeni di spaccio, non ha risolto il problema del degrado ed ha causato il progressivo allontanamento dei residenti che utilizzavano l’area in favore degli spacciatori. Anche il piccolo parco in piazzale Bainsizza non è particolarmente attraente: è poco curato dal punto di vista estetico e anch’esso ha un aspetto che denota scarso decoro. Gli edifici prospicienti le aree sono generalmente in mediocri condizioni manutentive e presentano accostamenti cromatici poco coerenti. Le nostre proposte prevedono i seguenti interventi: * per il parco di piazzale Bainsizza prevediamo di realizzare nuovi percorsi pedonali in modo da favorire la sua utilizzazione anche come luogo di passaggio. Questo intervento oltre a migliorare l’attrattività dell’area è sinergico con quello finalizzato all’incremento degli spazi di sosta, in quanto si verrebbero a creare le condizioni per la riorganizzazione della viabilità esistente; * nei giardini di via Piave e nel parco di piazzale Bainsizza, proponiamo l’installazione di nuove panchine in legno, veri e propri oggetti di design, dotate anche di prese per la ricarica dei dispositivi hi-tech. Diversamente dalle scelte operate dalla Pubblica Amministrazione
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Fig.19a Prima alternativa progettuale dei nuovi parcheggi di via Piave ad orientantamento a 30°
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(eliminazione delle panchine) si ritiene che la frequentazione dei luoghi, dal numero più ampio possibile di persone (residenti e visitatori) costituisce certamente un elemento qualificante che si contrappone al degrado oltre a una opportunità da parte dei viaggiatori in attesa del treno o dagli ospiti delle strutture ricettive in fase di costruzione quando vorranno rilassarsi e sedersi all’aperto; * la riqualificazione estetica degli edifici prevede interventi di tinteggiatura con tonalità che si adattano a quelle già presenti, ma che possano creare un dinamismo cromatico. Alcune facciate, in accordo con i residenti e l’Amministrazione Comunale, potrebbero essere decorate con murales. L’obiettivo è quello di rendere la zona più attraente e visivamente allegra. * nei giardini di via Piave, all’angolo con via Ortigara, proponiamo inoltre l’insediamento di una o più attività di street-food, per rendere più accogliente l’area e favorire l’afflusso delle persone. Incremento e riorganizzazione degli spazi degli spazi per la sosta Nell’area a sud di via Piave, in prossimità dei giardini, proponiamo alcuni interventi per riorganizzare ed incrementare il numero degli spazi di sosta. Questa scelta è giustificata dal fatto che l’area presenta minori problematiche
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Fig.19b Seconda alternativa progettuale (la più ottimale) dei nuovi parcheggi di via Piave ad orientantamento a 45°
Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
legate alla disponibilità di spazio e consentirebbe, in parte, di ridurre il traffico di attraversamento legato alla ricerca di uno spazio dove poter lasciare l’auto. La nostra proposta prevede la risistemazione degli attuali parcheggi in linea con una disposizione a spina di pesce, per sfruttare al meglio lo spazio a disposizione ed aumentarne il numero. Nel tratto d’interesse sono presenti 18 parcheggi, oltre ad alcuni spazi occupati dai contenitori per la raccolta dei rifiuti. In base alle diverse angolature delle aree di sosta e al riposizionamento dei cassonetti, sarebbe possibile ottenere un numero variabile di spazi aggiuntivi, con ingombri diversi. Abbiamo analizzato tre possibili angolazioni (30, 45 e 60 gradi) e abbiamo convenuto sull’orientamento a 45°. L’intervento prevede l’eliminazione del marciapiede e il restringimento di circa un metro del confine del parco, deviando il flusso pedonale al suo interno. In questo modo, si guadagnerebbero circa 12 nuovi posti, rendendo anche più agevoli le manovre di entrata/uscita. L’orientamento di 30°, invece, consentirebbe di creare un limitato numero di posti aggiuntivi (circa 8), che non giustifica la convenienza dell’intervento. La disposizione a 60° permetterebbe di ottenere il maggior numero di posti, ma l’abbiamo esclusa in quanto prevede un eccessivo
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Fig.19c Terza alternativa progettuale dei nuovi parcheggi di via Piave ad orientantamento a 60°
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consumo di spazio e rende più complesse le manovre, con possibili ricadute negative sul traffico. Proponiamo inoltre l’installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici in testa e in coda dell’area di sosta, utilizzando gli spazi residuali dei vecchi marciapiedi. Proposta progettuale in Via E. De Amicis Descrizione dei luoghi Via E. De Amicis è un tratto stradale che collega via Piave con via Felisati, situato immediatamente a nord del complesso denominato “ex lavanderie” e a sud di via Carducci. Sul fronte stradale, lungo circa 100 m, sono stati realizzati a partire dal secondo dopoguerra una serie di edifici di rilevanti dimensioni e consistenza volumetrica (fino a 5 piani), caratterizzati dalla generalizzata presenza al piano terra di spazi ad uso commerciale. In corrispondenza dell’incrocio con via Piave, a sud, è presente l’edificio che ospitava il supermercato PAM mentre a nord è presente una palazzina, edificata prima del 1930, che ospita anch’essa delle superfici commerciali. Sul lato nord della strada è stato realizzato un fabbricato su più livelli che vede la presenza vetrine oltre a un porticato sull’intero fronte. Infine in corrispondenza dell’incrocio con via Felisati, a nord e a sud, sono presenti edifici con negozi. La sede stradale, di sezione contenuta (non superiore a 8,50 m) è dotata di marciapiedi con larghezza variabile e a volte ridotta, mentre il traffico veicolare è organizzato in un unico senso di marcia oltre alla presenza di alcuni spazi a parcheggio. Gli edifici, infine, si presentano prevalentemente in condizioni estetiche mediocri sia per la vetustà che, per alcuni di essi, per la carente manutenzione. A ciò si aggiunge la sensazione di abbandono derivante dalla mancata utilizzazione degli spazi commerciali a disposizione. Riuso degli spazi sfitti L’ipotesi progettuale parte dall’idea di poter riutilizzare queste superfici con finalità diverse, anche in ragione delle loro caratteristiche intrinseche e estrinseche come, ad esempio, la localizzazione, le dimensioni e lo stato manutentivo. * Localizzazione: via E. De Amicis è posta in posizione baricentrica tra il centro di Mestre (Piazza Ferretto e la stazione ferroviaria); a breve distanza è presente la biblioteca civica e il centro
sociale “L.O.Co.”. * Dimensioni: le superfici inutilizzate sono generalmente di medie dimensioni (oltre 150 m2); sono presenti anche alcuni negozi di piccole dimensioni. * Stato manuntentivo: lo stato manutentivo è generalmente sufficiente/discreto; in alcuni casi (ex PAM) le condizioni sembrano essere mediocri con la necessità di interventi che vanno oltre la semplice manutenzione ordinaria. Abbiamo anche cercato di ipotizzare forme di riuso in grado di offrire nuove e diverse proposte sia ai cittadini residenti che ai visitatori (turisti) o frequentatori (per motivi di lavoro) della città. Queste riflessioni ci hanno indotto a proporre le seguenti forme di riuso: * per l’edificio che ospitava il supermercato PAM abbiamo ipotizzato l’insediamento di attività connesse al “food”; le dimensioni del locale (il più grande tra quelli considerati) si prestano ad ospitare attività di “street food” organizzate, in grado di proporre cibi preparati secondo diverse tradizioni; * per l’edificio posto sul lato nord di via E. De Amicis, le ampie superfici dotate di vetrine che si affacciano sul portico si prestano per attività espositive temporanee, connesse ad eventi culturali organizzati dalle Istituzioni pubbliche o dalle numerose associazioni che operano a Mestre; questi spazi possono essere anche utilizzati per workshop o attività similari; * per l’edificio situato a sud dell’incrocio tra via De Amicis e via Felisati abbiamo immaginato la realizzazione di spazi per co-working in modo da poter offrire opportunità di spazi lavorativi accessibili da parte di giovani professionisti, favorendo attraverso il contatto la condivisione di valori e l’attivazione di sinergie; * per i restanti edifici si è ipotizzato l’insediamento di piccoli laboratori di artigianato di servizio connessi con la manualità (piccoli restauri, riparazioni ecc.) o per l’insediamento di piccole attività economiche (start-up) collegate al mondo della comunicazione elettronica. Queste forme di riuso possono essere attivate attraverso forme di comodato di uso gratuito, come ad esempio per i locali da utilizzare per le iniziative culturali o espositive o attraverso canoni di locazione variabili per le attività economiche. Non abbiamo previsto specifici interventi edilizi, fatta eccezione per l’edificio “ex PAM”: per quest’ultimo abbiamo previsto l’arretramento delle vetrine esistenti sul lato ovest (via Piave) e su parte del lato nord (via De Amicis) in modo da realizzare un portico che potesse in parte contrapporsi a quello esistente sul lato nord di via De Amicis.
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Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Via Piave, ex supermacato Pam
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Riqualificazione estetica del fronte stradale e della viabilità Per gli spazi pubblici proponiamo l’adozione di un intervento di “traffic calming” attraverso la realizzazione di 2 varchi in corrispondenza degli incroci con via Piave e via Felisati. Inoltre, in considerazione delle ridotte dimensioni della sede stradale e dei percorsi pedonali riteniamo che la netta separazione degli stessi (marciapiedi e carreggiata stradale) debba essere rimossa. Attraverso la riduzione della velocità delle autovetture (max 10 kmh) e limitando la percorrenza ai soli residenti, l’interà piattaforma stradale potrà essere condivisa in sicurezza con il traffico lento (pedoni e cicli). Lo spazio per quest’ultimi quindi si amplia favorendo le relazioni e la frequentazione dei luoghi rivitalizzati. Abbiamo stimato che gli interventi da realizzare non sono economicamente di importo rilevante e i tempi di realizzazione sono inferiori ad un anno. Gli edifici di maggior consistenza (ex PAM e a nord di via Felisati) hanno bisogno di interventi di riqualificazione estetica che, nella nostra proposta, si limitano ad una ipotesi di sistemazione delle facciate attraverso tinteggiature cromaticamente coordinate.
Fig.20a Stato attuale della Zona d’intervento in Via De Amicis
Entrata di via De Amicis da via Piave
Vista dei colonati di via De Amicis
Vista di via Felisati
Laboratorio di Sintesi
Conclusioni Questo studio ci permette di affermare che la visione tendenzialmente pessimistica sulla condizione del quartiere potrebbe migliorare attraverso l’applicazione di alcune delle buone pratiche proposte. In questo modo, la possibile rivitalizzazione del settore commerciale potrebbe contribuire al miglioramento complessivo della qualità della vita. Emerge costantemente che queste azioni richiedono la partecipazione di una pluralità di soggetti e che non possono essere unicamente delegate all’Amministrazione.
Nuovo intervento in via De Amicis, vista da via Piave
Proposta progettuale vicino ai colonati di via De Amicis
Intervento in via Felisati
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Fig.20b Proposta progettuale per la Zona d’intervento in Via De Amicis
Rivitalizzazione del commercio nel quartiere Piave
Fonti: * Sopralluogo e interviste sul territorio 13/14 dicembre 2016 6 gennaio 2017 10 gennaio 2017 01 febbraio 2017
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* Bibliografia Angeli L (2013), La casa e il mondo, esperienze transnazionali di famiglie bengalesi a Mestre, Università Ca Foscari Bertan F., Giambruni V., Polo L. (2000), Manuale per la progettazione dei sistemi di sicurezza stradale e di moderazione del traffico, Arti Grafiche Padovane Berti Nulli T. et al (2015), Piano Urbano della Mobilità Sostenibile, del Piano di Classificazione Acustica, del Regolamento acustico e delle VAS, PUMS, Comune di Pordenone Boninsegna P. et al (2016), Norme Tecniche sui Fronti Commerciali e Affacci sulle Aree Pubbliche, valevole per la Ato 1, Aggiornato con DCC n. 5 del 18.2.2016, Comune di Verona Bortoletto B, Pavan A. (2012), Partecipare la città Canniello A. (2016), Osservatorio sul Commercio, Associazione Culturale “il Cantiere”, Mestre Mantovan C., Ostanel E. (2015), Quartieri contesi. Convivenza, conflitti e governance nelle zone Stazione Padova e Mestre, FrancoAngeli, Milano Odetto D., Pinna M., Sicurezza Stradale con interventi Low cost, La città possibile Passigato (a cura di) (2012), Moderazione del traffico, Cierre Grafica, Quaderno del Centro Studi FIAB Riccardo Gallimbeni Pedrocco P., (2012), Mestre che cambia 1985–2005 - Trasformazioni viabilistiche e trasformazioni urbane, Arcane editrice Pietroni L., (2013), Studio preliminare per la redazione del manuale di arredo urbano del comune di Ascoli Piceno: rapporto finale, Scuola di Archiettura e Design, Comune di Ascoli Piceno Pinna F. (2012), I risultati conseguiti dagli interventi di moderazione del traffico, Università di Cagliari Ros D. (2016), Lo sviluppo urbanistico di Mestre, Università Ca Foscari Stevanato M. et al (2014), Relazione Tecnica, Piano Generale del Traffico Urbano, Stato di attuazione e aggiornamento, Allegato alla Deliberazione G.C. n. 265 del 23.5.2014 Tripodi E., (2013), Rivitalizzazione economica e rigenerazione urbana Sviluppo di percorsi
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Sistemi Informativi Territoriali per il Planning e l’Urban Design
CittĂ Metropolitana di Bologna
Energia rinnovabile e Sistemi Informativi Territoriali
Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina mantendendo i bordi scuri, oppure essere più piccola (va comunque mantenuto il fondo scuro) 1
Sistemi Informativi Territoriali per il Planning e l’Urban Design Università Iuav di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Sistemi Informativi Territoriali per il Planning e l’Urban Design Professore: * Arch. Giovanni Borga a.a. 2016-2017
Team * Nicolò Dalla Costa * Giovanni Litt * Pietro Milanese * Elvis Paja * Edoardo Sovrani
Marzo 2017 Giugno 2017 Venezia
Energia rinnovabile e Sistemi Informativi Territoriali
Contenuti: 0* Premessa 1* Scouting Valutazione e comparazione dei punti di forza e debolezza dei sette casi studio ricercati Motivazione del caso studio scelto 2* Caso studio: Bologna Solar City Introduzione Tematica e problematiche Attori coinvolti e domanda informatica Basi informative e strumenti tecnologici utilizzati Ipotesi del modello dati Tecnologie di elaborazione e consultazione Supporto decisionale offerto dal sistema e valore informativo aggiunto al quadro conoscitivo complessivo Modello di manutenzione dell’applicazione Rapporto costi e benefici 3* Proposta progettuale BoSS: innovare e integrare BSC Introduzione Finanziamenti Attori Raccolta ed elaborazione dei dati Modelle E.R. Esempio query di selezione e aggregazione Progettazione nuova interfaccia Conclusioni Fonti
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CITY PRODUCTION Energia rinnovabileCYCLES e SIT
Premessa
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All’interno del vasto tema “energia” abbiamo scelto di approfondire gli aspetti riguardanti le energie rinnovabili, perché crediamo essere un tema di grande attualità, che persegue obiettivi condivisibili come la ricerca della riduzione di gas clima alteranti, cercando di produrre energia elettrica con risorse a minor impatto ambientale. Sappiamo che nel futuro le città saranno sempre più popolate e centri vitali dell’economia e della vita globale; altresì è ormai chiara la necessità della transizione a modelli energetici più intelligenti, più efficaci e più sostenibili, così come imposto dai differenti accordi inerenti il futuro ambientale: dal recente Accordo di Parigi ai PAES. Sappiamo inoltre che, dopo il 2020, tutte le nuove edificazioni dovranno essere a consumo energetico quasi zero, così come gran parte dei consumi dovranno provenire da fonti rinnovabili e che le procedure per la certificazione energetica diventeranno più restrittive; In quest’ottica di sostenibilità la produzione locale di energia per cercare di raggiungere l’autonomia energetica diventano sempre più fondamentali strumenti interattivi e basati su nuove tecnologie per aiutare i cittadini, le aziende, gli enti, a prendere decisioni basate su dati completi e accessibili sul tema.
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Il nostro lavoro si è articolato in tre fasi: * Scouting: all’interno della quale abbiamo analizzato sette differenti web app non solo italiane inerenti il tema della pianificazione ed efficientamento energetico, il risparmio energetico e la relativa riduzione delle emissioni di CO2 e la produzione diffusa di energia da fonti alternative e rinnovabili. Queste sono state comparate e valutate analiticamente valutandole per la loro ricchezza e differenziazione di basi informative e la loro possibilità di accesso e condivisione tra differenti attori (enti, cittadini, associazioni, aziende…), la loro diffusione dunque utilizzazione e la loro continuità di operatività, l’efficacia e l’efficienza, infine quanto siano presenti elaborazioni d’informazioni. * Analisi di BSC: La suddetta analisi ci ha portato a definire la web app che, per noi, risponde globalmente in modo migliore alle nostre valutazioni, Bologna Solar City (BSC) quindi nella seconda fase ci siamo occupati di entrare nel dettaglio del suo funzionamento sotto tutti gli aspetti e di verificarne punti di forza e di debolezza. * Progetto: come noi pensiamo che la web app analizzata possa essere ampliata al territorio della Città Metropolitana di Bologna migliorando ciò che abbiamo visto non essere ottimale nell’app e, se necessario, adattandola alle necessità del territorio da noi scelto.
Sistemi Informativi Territoriali
Scouting
1
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Valutazione e comparazione dei punti di forza e debolezza dei sette casi studio ricercati
*EU Electricity Map
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*DatiOpen.it
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*Bologna Solar City
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*Go Compare
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*Repower Map
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*SLAMP
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*Index Mundi
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Tabella 1. Valutazione dei punti di forza e debolazza dei vari casi studio
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EU electricity map - Il sito é impostato sulla base di una carta politica globale, che offre la possibilità di ingrandire a piacere e accedere ad una serie di dati relativi ai singoli stati, anche se già ad un primo impatto ci si accorge come le informazioni caricate si riferiscano più che altro al mondo occidentale. La campitura dei paesi si basa su una scala cromatica che sta ad indicare il livello di consumo di CO2 ai fino della produzione elettrica, una serie di frecce che indicano gli scambi import/export tra le nazioni, cliccando su di esse inoltre si ha una panoramica tabellare rispetto alle fonti di produzione e prezzo unitario aggiornato. Si possono inoltre accendere due ulteriori layer i quali indicano uno il potenziale eolico e l’altro quello solare. DatiOpen.it - Si tratta di una pagina in cui vengono illustrati i consumi di energia della pubblica amministrazione classificati per unità di lavoro e per regione, attraverso tabelle e grafici, i valori, derivati dagli archivi Istat, sono stati inseriti come indicatori territoriali per le politiche di sviluppo. Tuttavia l’interfaccia non consente di spingersi ad un livello approfondito di analisi ma consente un veloce paragone tra i consumi delle regioni.
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Go Compare - Offre subito un impatto accattivante, mostrando uno sfondo nero, su cui é possibile accendere tre diversi layers, che ricalcando la distribuzione antropica sulla superficie del globo, rappresentano, rispettivamente, l’energia prodotta tramite combustibile fossile, tramite nucleare e attraverso energie rinnovabili. Muovendo il cursore sui singoli stati si apre una finestra con le percentuali di queste tre tipologie di produzione energetica A seconda del layer che accendi ti propone degli spot su cui cliccare per avere delle informazioni puntuali sull’argomento, ad esempio lo stato con la più alta percentuale di energia rinnovabile etc. Non offre la possibilità di interagire o di scendere di scala, ma svolge bene la sua funzione panottica e di comprensione di una tematica che va compresa in primo luogo a livello globale. Repowermap.org - È un’iniziativa per la promozione delle energie rinnovabili, la cui interfaccia rappresenta una mappa mondiale interattiva, su di essa puoi segnalare installazioni (differenziate per tipologia), fornitori, progetti, attori, ed eventi. Cliccando su questi punti si può visualizzare una finestra con informazioni tecniche, contatti e, se esiste, il link del sito internet relativo. Non si tratta di una restituzione grafica di un indice esaustivo, ma della rappresentazione della distribuzione sul territorio dei singoli che hanno aderito all’iniziativa. Inoltre é difficile rendersi conto della attendibilitità dei dati caricati e del livello di controllo. Slamp - Ci mostra la mappa dell’Italia ecologica su cui ogni regione presenta una campitura che é tanto più scura quanto più alto é il numero di impianti green esistenti; cliccando su di esse esce una tabella che indica potenza per gigawattora e numero di impianti, distinguenti tra energia idraulica, eolica, solare, geotermica e bioenergia. Al di la di un aspetto grafico molto curato da gli strumenti per fare un’analisi più approfondita di una classifica italiana. Index Mundi - È un interfaccia molto semplice e schematica dove attraverso l’attivazione di due filtri, continente e tematica, si ha la possibilità di visualizzare i valori resi disponibili dalla CIA. Non si tratta di un sito specifico sul tema dell’energia e tantomeno di quelle rinnovabili, ma consente di inquadrare lo stato di fatto dei consumi attuali e rapportarlo ad altri parametri, siano essi antropologici, economici, politici, in un’ottica transdisciplinare.
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Motivazione del caso studio scelto Abbiamo deciso di valutare e approfondire il caso studio Bologna Solar City perché lo riteniamo uno strumento efficace nell’aiutare in modo semplice i cittadini della città di Bologna a visualizzare il potenziale che otterrebbero dall’installazione di impianti solari. BSC ha, infatti, a disposizione i dati precisi e specifici relativi alla radiazione solare potenziale (kwh/m2) per ogni singolo edificio, e l’indice completo riguardo la presenza a scala comunale di pannelli termici e fotovoltaici (potenziale elettrico di picco, produzione annuale e risparmio di CO2) nonché il consumo annuo di metano delle caldaie; è aggiornato dagli uffici che si occupano del SIT del Comune di Bologna e facilmente accessibile da chiunque, grazie anche ad un’interfaccia che ne semplifica l’utilizzo. 1. EU Electriciy Map | http://www.electricitymap.org 2. DatiOpen.it | http://www.datiopen.it/it/opendata/ Consumi_energia_elettrica_della_PA_per_Unit_di_lavoro_e_ regione?t=Mappa 3. Go Compare | http://www.gocompare.com/energy/whatpowers-the-world/ 4. Repower Map | http://www.repowermap.org/index_it.php 5. SLAMP | https://www.slamp.com/italia-ecologica/ 6. Index Mundi | http://www.indexmundi.com/ map/?t=0&v=88&r=eu&l=it
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Caso studio: Bologna Solar City Introduzione Per incentivare l’applicazione e la diffusione di tali pratiche è importante riuscire a divulgare le informazioni al riguardo in modo chiaro, semplice e trasparente. Ecco allora che la ricerca di un SIT, che abbia lo scopo di produrre un servizio informativo accessibile a una vasta serie di possibili utenti, e che divulga in modo semplice e rapido le informazioni riguardanti la fattibilità di impiego, è una buona risposta allo sviluppo e sensibilizzazione di questa tecnologia.
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Nel contesto generale riguardante l’evoluzione delle pratiche urbanistiche, si registra, negli ultimi decenni, una perdita di efficacia da parte delle politiche calate dall’alto per mano di attori istituzionali, si può notare, da parte degli stessi, una scarsa reattività alle seppur solo relativamente nuove criticità legate alla sostenibilità delle attività umane e alla protezione e salvaguardia dell’ambiente. Al contrario, il mercato ha saputo sfruttare la sempre crescente attenzione da parte dei singoli e dalle comunità locali affinando un’offerta tecnologica che però non sempre ha tra le sue priorità la riduzione di gas serra o altre azioni che tendano ad alleggerire l’impatto ambientale, facendo sì che l’informazione e la conoscenza dettagliata passi in secondo piano. Tutto ciò si verifica in un’epoca caratterizzata da una crescita esponenziale dell’utilizzo della rete internet da parte della quasi totalità dei cittadini, dall’implementazione di banche dati digitali di informazioni geografiche, frutto della condivisione di conoscenza tra privati, imprese e istituzioni, e dello sviluppo tecnologico della sensoristica che permette di arricchire il modello digitale di informazioni aggiornate in tempo reale riguardo a fenomeni di natura variabile come possono essere temperatura, irraggiamento, umidità etc. Questi tre ingredienti, conditi dall’urgenza di reinventare un modello energetico a scala urbana ma relazionabile al singolo edificio, dando ormai per assodato che sia oggigiorno questa la principale nonché unica scala d’intervento percorribile, hanno portato negli ultimi anni alla creazione di interfacce interoperabili che hanno come obiettivo la archiviazione, condivisione e divulgazione di informazioni che possano stimolare operazioni vantaggiose sul piano del rapporto costi/benefici. Bologna Solar City ne è un caso esemplare.
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Tematica e problematiche A seguito della fase di scouting di casi studio riferiti alle energie rinnovabili, è emerso che il progetto elaborato dal SIT del comune di Bologna e denominato BSC, abbia ricevuto una valutazione superiore agli altri. Infatti, il SIT del comune, dal punto di vista di fornire servizi utili al cittadino nel campo del rispetto dell’ambiente e della riduzione dei consumi energetici, ha realizzato un’applicazione web che permette sia di individuare i sistemi di energia rinnovabile già realizzati, sia di valutare la convenienza nell’installare pannelli solari fotovoltaici sul tetto delle abitazioni presenti all’interno del territorio comunale. Si tratta di uno strumento efficace nell’aiutare, in modo semplice, i cittadini della città di Bologna a prendere atto del potenziale offerto dalle coperture dei loro edifici, e quindi del vantaggio derivante dall’installazione di impianti solari. Il concetto alla base dell’applicazione BSC è la stima dell’energia solare disponibile sulle coperture degli edifici. Offre all’utente una panoramica dei sistemi di energia rinnovabile (fotovoltaici e solari termici) già realizzati sul territorio comunale (con la loro esatta localizzazione e i dettagli tecnici degli impianti) e consente di simulare la riduzione dei valori di CO2 che si ottiene con l’installazione della tecnologia rinnovabile su uno o più edifici d’interesse, nonché il consumo annuo di metano delle caldaie.
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Il sistema è aggiornato dagli uffici che si occupano del SIT del Comune di Bologna e facilmente accessibile da chiunque e in modo gratuito, grazie anche ad un’interfaccia che ne semplifica l’utilizzo. Grazie all’intuitiva interfaccia grafica l’utente finale, attraverso una navigazione territoriale, è chiamato sia a una maggiore attenzione alle tematiche legate alle fonti di energia rinnovabile, che alla valutazione delle ricadute positive, sul singolo e sulla collettività, derivanti dalla conversione all’energia rinnovabile in questione. Tuttavia, questo strumento web, attraverso il quale è possibile paragonare le potenzialità dell’uso di energia solare disponibile sul tetto di ogni singolo edificio presente e consentire, quindi, di individuare quali possano essere le esposizioni più adatte per l’installazione d’impianti solari fotovoltaici in modo rapido e semplice, non ha reso obsoleta la consulenza tecnica che continua a far parte del processo
che come risultato finale porta all’installazione del pannello, ma riesce nell’obiettivo divulgativo e nel far entrare le potenzialità di questa risorsa nell’immaginario comune. Sul piano conoscitivo, BSC presenta alcune semplificazioni che ne ridimensionano le prestazioni come supporto decisionale a servizio dell’ipotetico privato interessato ad avere un’idea precisa riguardo al potenziale che può sfruttare dalla propria copertura. L’interfaccia è stata costruita sulla base della cartografia comunale in scala 1:2000 la quale contiene informazioni sulle altezze degli edifici, senza tuttavia tenere conto delle falde, ovvero considerando per astratto l’intera città a tetti piani. Un altro fattore omesso di non scarsa rilevanza sono le coperture vegetali, che possono creare ombreggiamento e quindi ridurre la radiazione solare incidente nelle coperture degli edifici. Si tratta di parametri che elaborati con metodi classici richiederebbero una mole considerevole di lavoro, esistono però alternative già testate di rilevazione tridimensionale semiautomatica come il LiDAR, acronimo di Light Detection and Ranging, che consiste in un sistema laser avionico che raccoglie i dati sotto forma di nube di punti e restituisce un modello digitale ad altissima risoluzione che può integrare il lavoro fin qui svolto portandolo ad un livello superiore. Attori coinvolti e domanda informatica BSC, basata sulla CTC - Carta Tecnica Comunale è realizzata dal SIT del Comune di Bologna, sottoarea di Area Urbanistica, Ambiente e Mobilità, e tenuta in costante aggiornamento dagli uffici dell’Amministrazione che assicurano la diffusione di informazioni precise, aggiornate e complete. BSC è un metodo innovativo di utilizzare il GIS grazie ai dati trattati con algoritmi innovativi e di ultima generazione che rendono la navigazione semplice, veloce e intuitiva, dedicata e comprensibile da tutti i cittadini in modo da invitare loro e i proprietari di immobili, fabbriche, esercizi presenti sul territorio comunale, a prestare sempre più attenzione ai problemi collegati all’energia; questi vengono, così, invogliati ad installare un impianto grazie alla simulazione di riduzione dei valori di CO2 che si otterrebbe con l’installazione di pannelli fotovoltaici sul proprio edificio.
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Basi informative e strumenti tecnologici utilizzati Per l’aggiornamento della Cartografia Tecnica Comunale i rilievi di dettaglio sono stati eseguiti con strumentazione di alta precisione: stazione totale LEICA TC1700 e PENTAX R-125M, due ricevitori TRIMBLE TSC per i rilievi GPS. Per i rilievi GPS fu predisposta una rete primaria negli anni ’90, aggiornata poi con una rete geodetica nel biennio 2000-2001. Stima della radiazione solare globale: La radiazione solare globale è una delle principali fonti di energia, che attraversando l’atmosfera, arriva su una superficie, scomposta nelle sue tre componenti: diretta, diffusa e riflessa. La radiazione diretta, seguendo una linea retta, parte dal sole e arriva direttamente sulla superficie terrestre, la radiazione diffusa viene dispersa/ assorbita da elementi atmosferici quali le nuvole o il pulviscolo, mentre la riflessa o componente di albedo è un’ulteriore porzione riflessa dalle superfici sulle quali incide la radiazione solare. Il valore della radiazione solare dipende da una serie di fattori, primo fra tutti la topografia del terreno. Altri fattori che la determinano
sono quelli microclimatici come le condizioni di temperatura dell’aria e del terreno, l’evapotraspirazione, l’andamento dello scioglimento delle nevi, l’umidità del terreno e la luce disponibile per la fotosintesi, ma anche le coordinate geografiche (latitudine, longitudine), la quota altimetrica, la posizione del sole nell’arco della giornata e al variare delle stagioni (Figura 10). Per calcolare la radiazione solare globale su tutti gli edifici del territorio comunale si è utilizzato il tool Solar Radiation disponibile nell’estensione Spatial Analyst di ArcGIS Desktop versione 9.3. L’algoritmo Solar Radiation richiede in input, tra le altre cose, un DSM, il modello digitale delle superfici.
7. Schermata Home del sito internet di Bologna Solar City 8. Accensione dei layer di “Radiazione solare” e “Consumo di metano” di BSC 9. Schermata informativa sulla radiazione solare di un edificio prescelto 10. Radiazione solare globale per un’area nei dodici mesi dell’anno
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Base cartografica: La nuova cartografia CTC (Carta Tecnica Comunale) è stata realizzata con metodo fotogrammetrico diretto (volo luglio 2001) alla scala 1:2000 per l’intero territorio comunale esteso per circa 14.085 ettari. È inquadrata nel sistema cartografico nazionale GaussBoaga ed è stata convertita nel sistema in uso nell’amministrazione UTM*ED50. La cartografia è un sotto-sistema della Carta Tecnica Regionale a scala 1:10.000, con inquadramento geometrico congruente ad essa. Per l’elaborazione delle mappe di corredo al quadro conoscitivo per la realizzazione del Piano Strutturale la cartografia vettoriale comunale è stata integrata con i raster della Carta Tecnica Regionale a scala 1:5.000, previo sfoltimento dei dettagli presenti alla scala 1:2000, garantendo così un continuum territoriale compatibile con analisi e tematizzazioni a carattere sovracomunale. Con la CTC è introdotto il concetto di “edificio particellare”, individuato sulla cartografia comunale dalle dividenti catastali, consentendo la creazione dell’Anagrafe degli oggetti edilizi, al quale sono associati: • i dati tecnici, • le pratiche degli interventi, • la disciplina urbanistica, • i censuari catastali. Il processo d’integrazione della CTC nel sistema di gestione delle banche dati del SIT è passato attraverso il ridisegno del grafo stradale e il
riposizionamento dei civici, mantenendo intatta la logica dei riferimenti territoriali e i legami topologici tra gli oggetti. I dati sono stati ricavati dal City Trek Web che è il sistema di accesso alle banche dati cartografiche e alfanumeriche del SIT. Sviluppato in tecnologia web-gis, è disponibile sulla rete intranet del Comune connettendosi semplicemente a un browser. Quindi per ottenere, per ogni tetto della città, il valore medio della radiazione solare globale, è stata utilizzata la funzione di join spaziale, disponibile tra le funzioni dell’ArcToolbox, che consente di aggregare dati per via spaziale. Sono state inserite a sistema anche la quota di gronda e al piede degli edifici. I dati riguardano la radiazione solare, l’utilizzo di pannelli fotovoltaici e termici, le caldaie e gli indirizzi dei singoli edifici. Alcuni dati sono completi, addirittura dell’andamento nel tempo, mentre per alcuni edifici, specialmente in periferia i dati sono mancanti.
11. 12. Strumento radiazione solare di BSC. Tabella 2 (sotto). Flusso delle operazioni attraverso il Model Builder, la cui finalità è di avere un indice di radiazione solare per ogni poligoni di edificio; Legenda: Relazione
Entità
Radiazione raster Extract by Mask Edifici volumetrici Edifici volumetrici
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Raster to Point
Spatial Join selezione punti
Radiazione shape file
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Ipotesi del modello dati. Calcolo della radiazione solare ed elaborazione dati: La valutazione di tale energia, somma di quella solare diretta e diffusa, è resa possibile con l’ausilio degli strumenti Solar Radiation, disponibili con l’estensione Spatial Analyst di ArcGIS Desktop (Tabella 2). L’algoritmo utilizzato richiede in input diversi elementi, primo fra tutti un DSM (Digital Surface Model) del territorio comunale, di elevata precisione, elaborato partendo dalla gran quantità d’informazioni planoaltimetriche della CTC. Gli altri fattori presi in considerazione dal modello sono: • le condizioni atmosferiche, • l’orientamento, • l’ombreggiatura di ogni punto in funzione dell’esposizione solare annuale. Per calcolare la radiazione solare globale, una volta ottenuto il DSM, nel tool Area Solar Radiation, è stato necessario inserire: • percentuale di radiazione diffusa, • trasmittanza, • latitudine, • longitudine, • periodo temporale di riferimento (anno, mese, etc.). Il flusso di lavoro è stato organizzato mediante l’utilizzo di un modello creato con il Model Builder, strumento dell’ArcGIS Desktop.
Supporto decisionale offerto dal sistema e valore informativo aggiunto al quadro conoscitivo complessivo Lo strumento permette, proprio in nome del suo chiaro scopo di incentivare quanto più possibile la presa d’atto da parte del privato delle potenzialità produttive che ciascun edificio ha, in modo semplice e diretto, il calcolo della radiazione solare annuale in kWh/m² per tutte le tipologie di superficie di tetto relazionandola all’ammontare di ore in cui vi è radiazione solare. Esso permette inoltre di modificare la percentuale di tetto utilizzabile per tale scopo variandolo tra il 5% e il 75% della superficie totale e informandoti di conseguenza circa la potenza elettrica di picco, l’andamento ipotetico di radiazione solare per ciascun mese dell’anno e i kg/anno di CO2 risparmiati; in questo modo l’utente viene responsabilizzato e ha riscontro tangibile e autorevole del potenziale che ha nel fare la differenza grazie a una sua possibile azione (Figura 11 e 12). Ciò potrebbe essere molto utile anche in ottica di unione al progetto esecutivo del PAES denominato “I tetti di Bologna: dall’amianto al
Tecnologie di elaborazione e consultazione I servizi di mappa sono stati pubblicati utilizzando ArcGIS Server 9.3.1 e l’interfaccia user friendly dell’applicazione è stata realizzata sfruttando le ArcGIS API (Application Programming Interface) per Flex. L’API ArcGIS per Flex è, però, andata “in pensione”, perché dal 1° giugno 2016 l’ArcGIS API per Flex è entrato nella fase di pensionamento del ciclo di vita del prodotto. Non ci saranno ulteriori aggiornamenti al prodotto o alla sua documentazione e sono state trovate soluzioni Web basate sull’API di ArcGIS per JavaScript. Mediante questa web application è possibile conoscere per ogni edificio il valore della radiazione solare totale, da cui la stima di energia prodotta da fonte solare e di conseguenza la riduzione delle emissioni di CO2 da combustibili fossili in atmosfera.
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Censimento
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Edificio
ID edificio comune via/piazza civico esponente superficie tetto altezza edificio geometria radiazione globale 1
Impianti solari esistenti ID edificio comune via/piazza civico esponente tipologia impianto potenza di picco
Produzione
Produzione potenziale Energia Elettrica ID edificio area tot. tetto % tetto utilizzabile m2 tetto utilizzabile radiazione globale potenza annuale potenza di picco risparmio CO2 140 Tabella 3. Modello E.R. di BSC. Legenda: EntitĂ Chiave primaria
Relazione
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13. Schermata Home BSC, basemap Ortofoto 2016 14. Strumento panelli fotovoltaici di BSC 15. Strumento panelli termici di BSC
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16. Strumento legenda di BSC 17. Strumento ricerca civico di BSC
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fotovoltaico” creato dal Comune di Bologna assieme a CNA e Unindustria atto a rimuovere l’amianto dai tetti di Bologna e, allo stesso tempo, realizzare impianti fotovoltaici su patrimonio edilizio privato con un potenziale di intervento di 2,2 MWp di fotovoltaico, corrispondenti a circa 18.000 m2 di superficie di tetti; il Comune di Bologna, al fine di promuovere il progetto, offre esenzioni dal pagamento dei diritti di segreteria delle pratiche edilizie volte alla bonifica dell’amianto legate a questo progetto e l’esenzione dal pagamento del Canone di occupazione di suolo pubblico normalmente dovuto per la superficie dei cantieri per la realizzazione degli interventi di bonifica dall’amianto (Figura 13 e 14). Il sistema in oggetto offre sicuramente una possibilità di conoscenza e informazione in assenza della quale il privato cittadino dovrebbe trovare presso un operatore privato dietro, ovviamente, compenso. Ciò permette dunque di dare un’idea preliminare dei benefici, più o meno, ottenibili in caso venisse presa in considerazione la possibilità di installare questo impianto di produzione di energia. È dunque uno strumento che senza dubbio allarga il numero di persone che possono venire a conoscenza di queste tematiche così importanti evitando loro possibili imbrogli e raggiri perpetrati dai proponenti che potrebbero avvantaggiarsi dalla poca conoscenza in materia da parte dei semplici cittadini. Modello di manutenzione dell’applicazione
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L’aggiornamento della CTC comporta livelli di precisione elevati, in modo da preservare nel tempo la qualità iniziale del prodotto. L’amministrazione utilizza strumenti informatici per la gestione delle pratiche edilizie e per il monitoraggio dello stato di attuazione del PRG (tramite l’anagrafe degli oggetti edilizi, il Catasto e il servizio CDU via web). In linea generale, si è usato il criterio secondo cui per i dati che necessitano un continuo aggiornamento si è creato un servizio dynamic, mentre per i dati che non ne richiedono uno molto frequente, e comunque non in tempo reale, si è realizzato un servizio cached. Per questo motivo durante la progettazione dell’applicazione è stata inserita una fase in cui si è deciso quali dati esporre in servizi con cache e quali invece in servizi di tipo dinamico, poiché da questo dipende la buona prestazione di un’applicazione web; la maggior parte dei layer
che costituiscono la cartografia o una generica mappa di base sono stati esposti come servizi con cache, mentre solo una percentuale di dati (quelli che più rapidamente subiscono delle modifiche e che sono quindi da aggiornare con maggiore frequenza) è stata trattata come un servizio dinamico. Rapporto costi e benefici Probabilmente il costo di realizzazione della web app BSC non è particolarmente elevato, in quanto è stata prodotta direttamente dai tecnici del comune di Bologna, senza avvalersi di consulenza tecnica esterna, e utilizzando risorse e dati già disponibili all’amministrazione. Il vantaggio che può portare questa applicazione probabilmente non è da valutare tanto in termini economici, quanto in miglioramento ambientale e sensibilizzazione sociale. Infatti la divulgazione gratuita di informazioni riguardanti l’utilizzo di risorse rinnovabili, in particolare per quel che riguarda la possibilità di installazione di pannelli fotovoltaici e solare termico, potrebbe portare un vantaggio in termini di qualità ambientale, riducendo problematiche di inquinamento.
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Proposta progettuale BoSS: innovare e integrare BSC
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Inroduzione L’obiettivo progettuale è ampliare il modello del BSC sul territorio della città metropolitana di Bologna. Si tratta un’unità amministrativa di 3 703 km² e 1 007 644 abitanti su 55 comuni che racchiude aree strettamente interconnesse, ma dalle caratteristiche morfologiche e antropologiche assai variegate: epicentro di quest’organismo è il centro storico di Bologna che, in virtù della sua unicità e bellezza, genera consistenti flussi di merci e di persone; Ci si chiede allora che tipo di azioni si possano intraprendere per raggiungere l’obiettivo del 20-20-20: il traguardo decantato con l’adesione del comune di Bologna, risalente al 28 maggio 2012, al Patto dei Sindaci, attraverso il quale, in linea con i principi del Protocollo di Kyoto, ci si promette, entro il 2020 di diminuire del 20% l’emissione di CO2 rispetto ai valori del 1990, di soddisfare il 20% della domanda di energia attraverso fonti rinnovabili e di ridurre il consumo totale del 20%. Il Piano Energetico Comunale, del 2003, integrato poi nel Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile del 2012, che a sua volta è strumento attuativo del Patto dei Sindaci, prevede l’installazione del sistema fotovoltaico su gran parte delle scuole, asili e altri edifici pubblici del Comune. Ecco allora delineata la cornice in cui si può inserire la nostra proposta di una applicazione web che possa spronare anche i privati all’installazione di pannelli solari e fotovoltaici diffondendo dati e conoscenze in merito ai potenziali benefici da essi derivanti. Finanziamenti I costi di sviluppo di questa applicazione possano rientrare negli strumenti finanziari del PAES, ossia in quel 4% che il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale dedica al miglioramento dell’efficienza energetica e all’uso di energia rinnovabile negli alloggi esistenti. Al FESR si aggiungono altri fondi europei dedicati a questa tematica, tra di essi vale la pena citare JESSICA, Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas e il programma Horizon 2020, successore del programma Energia Intelligente per l’Europa, volto a supportare la competitività globale dell’Europa tramite finanziamenti dedicati all’attuazione di politiche energetiche sostenibili.
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Un’ulteriore iniziativa può essere quella di chiedere un finanziamento da parte dalle aziende locali che operano nel settore del fotovoltaico che ne ricaverebbero un ritorno grazie ad un’esposizione pubblicitaria direttamente sull’applicazione web. Attori Come in Bologna Solar City rimane centrale il ruolo dell’unità intermedia Sistemi Informativi Territoriali, del Dipartimento Riqualificazione Urbana del Comune di Bologna. Essa può contare da un lato degli strumenti tecnologici e informatici, degli archivi e delle banche dati, che sa come aggiornare e integrare con facilità, e dall’altro su un canale privilegiato di dialogo con le altre istituzioni ed in particolare modo con i politici locali che potrebbero essere interessati ad una versione più raffinata di BSC, ad esempio, per essere più efficienti nella comunicazione e nella promozione di progetti che siano in grado di intercettare fondi europei dedicati all’abbattimento delle emissioni di CO2 e di conversione alle fonti di energia rinnovabile. Va detto, che fino ad ora BSC è stato capace di fornire al cittadino valori indicativi e rapportati al singolo edificio, facendo approssimazioni che, in questi termini, riducono in parte l’utilità della suddetta interfaccia. Ecco allora che l’introduzione di un’altra funzione che evidenzi le sommatorie e le medie dei valori può portarci ad un livello superiore di analisi, e permetterci di fare considerazioni ad una scala più ampia, quella del ritorno economico ed ambientale per la collettività aiutando quindi, come già detto, il politico, ma anche il pianificatore, che viene dotato di un dispositivo in grado di distinguere le aree dove più è urgente l’intervento dalle altre. Il fatto di rendere intuitive queste funzioni può essere utile anche alle associazioni ambientaliste per capire quali sono le richieste che è più opportuno avanzare alle istituzioni. 144
Raccolta ed elaborazione dei dati Nella seconda fase, quella progettuale, ma la cui componente sarebbe sviluppabile dopo un’accurata raccolta di dati a lungo termine, prevedrebbe, all’interno di una app precostituita, il confronto dei consumi totali per edificio, andando confrontare ogni tipo di consumo (e quindi non solo i consumi di metano) e il risparmio economico sia effettivo sia ricavabile con eventuali interventi. Come per BSC, che comprende un sito in cui visualizzare il SIT e interrogarlo sui dati degli edifici, la medesima cosa può essere costruita per l’intera Città Metropolitana di Bologna. Data la conformazione e la dimensione dell’area di studio, però, il lavoro andrebbe svolto progressivamente per aree, oppure svolgendo un’azione coordinata tra i vari singoli comuni. Una volta costruita la “base”, comprendente già la cartografia e le ortofoto (ricavabili sia dalle foto aeree sia da quelle ricavate dal satellite), si può, tramite la creazione di un’app, oppure tramite la creazione di un forum (entrambi accendendo con una registrazione e un’autenticazione), integrare la costruzione e l’aggiornamento, oltre che coi dati preesistenti, anche con le segnalazioni e l’inserimento di fonti “grigie” (dati ricavati da fonti esterne, o private), ovviamente dopo un’accurata e opportuna verifica dell’affidabilità dei dati. Nel dettaglio, la base cartografica del SIT progettato, dovrebbe comprendere sia la cartografia della CTR, sia le ortofoto, attivabili con gli appositi layer. A questi si sovrappongono i dati, interrogabili per edificio, e il layer della radiazione solare potenziale, ricavabili con le stesse procedure viste per BSC. Per i dati relativi alla presenza dei pannelli fotovoltaici e termici, e ai consumi delle caldaie, si può ricercare presso le banche dati dei singoli comuni; altri dati degli edifici possono essere ricavati dal catasto o altre organizzazioni governative (quali l’Agenzia delle entrate). I dati, una volta disponibili per essere visualizzati, devono essere resi anonimi e riportare solo ciò che è strettamente inerente al tema. Tra i dati ricavabili dal geoportale della Regione Emilia-Romagna sono presenti i consumi di metano per i Punti di Riconsegna della rete Snam Rete Gas, ripartiti ai vari livelli di divisione amministrativa (regionale, provinciale e comunale), dall’anno 2000 al 2011 (ultimo aggiornamento). I dati al livello comunale son ripatiti, oltre che per anno e per singolo comune, per settore: autotrazione, industria, termoelettrico e riconsegne a reti di distribuzione e terziario diretto. I volumi sono espressi in milioni di m3/
Sistemi Informativi Territoriali
anno a potere calorifico superiore 38,1 MJ/ m3. Si potrebbe svolgere ulteriori indagini sulla distribuzione tra i punti di riconsegna e i singoli edifici e valutarne i diversi gradi di consumo per quartieri, o fino al livello d’indagine più dettagliato possibile. Modello E.R.: Nell’ambito della progettazione dei database, il modello entity-relationship (modello entità-associazioni) è un modello per la rappresentazione concettuale dei dati ad un alto livello di astrazione. Esso viene spesso utilizzato nella prima fase della progettazione di una base di dati in cui è necessario tradurre le informazioni risultanti dall’analisi di un determinato dominio in uno schema concettuale. Il modello E-R si basa su un insieme di concetti molto vicini alla realtà di interesse, ma pur essendo orientato alla progettazione di basi di dati, il modello prescinde dai criteri specifici di organizzazione fisica dei dati persistenti nei sistemi informatici. I costrutti principali (Tabella 4) del modello sono: * Entità - rappresentano classi di oggetti che hanno proprietà comuni ed esistenza autonoma ai fini dell’applicazione di interesse. Un’occorrenza di un’entità è un oggetto o istanza della classe che l’entità rappresenta. Non si parla qui del valore che identifica l’oggetto ma dell’oggetto stesso. Un’interessante conseguenza di questo fatto è che un’occorrenza di entità ha un’esistenza indipendente dalle proprietà ad essa associate. In uno schema, ogni entità ha un nome che la identifica univocamente, e viene rappresentata graficamente tramite un rettangolo con il nome dell’entità al suo interno. * Relazioni - (dette anche associazioni) rappresentano un legame tra due o più entità. Il numero di entità legate è indicato dal grado della relazione: un buono schema E-R è caratterizzato da una prevalenza di relazioni con grado due. È possibile legare un’entità con se stessa (attraverso una relazione ad anello), nonché legare le stesse entità con più relazioni. Di norma viene rappresentata graficamente da un rombo (in questo lavoro è stato usato il esagono per economia di spazio) contenente il nome dell’associazione. Il nome può essere un verbo in modo da fornire una direzione di lettura, oppure può essere un sostantivo in modo da non dare una direzione di lettura. * Attributi - Le entità e le relazioni possono essere descritte usando una serie di attributi. Tutti gli oggetti della stessa classe entità (associazione) hanno gli stessi attributi: questo è ciò che si intende quando si parla di oggetti
simili. La scelta degli attributi riflette il livello di dettaglio con il quale vogliamo rappresentare le informazioni sulle entità e sulle relazioni. Per ciascuna classe entità o associazione si definisce una chiave. La chiave è un insieme minimale di attributi che identifica univocamente un’istanza di entità o associazione. L’attributo chiave in questo lavoro è stato rappresentato in grassetto associato ad un simbolo di chiave. Esempio query di selezione e di aggregazione: Si presenta perciò la necessità di estrapolare e raggruppare dal nostro database gli edifici secondo determinati criteri, che possono essere la vicinanza geografica, o l’esposizione di un dato range di esposizione alla radiazione solare globale. La seconda operazione consiste nell’indagine dei valori dei gruppi di records selezionati, ovvero nel calcolo delle sommatorie e delle medie. Per fare ciò bisogna ricorrere al linguaggio SQL Structured Query Language. Supponiamo che il politico locale voglia inviare alla commissione europea un rapporto che metta in evidenza il potenziale risparmio derivato da un intervento di installazione di pannelli fotovoltaici sugli edifici pubblici a scala comunale. Ecco che nell’indice completo degli edifici va fatta una prima selezione, che in SQL ha la seguente formulazione: SELECT*FROM edifici WHERE proprietà = pubblico in questo caso la clausola where ha attivato un filtro nell’attributo proprietà, creando una tabella che raggruppa solamente gli edifici pubblici. Con l’operatore group by si estraggono informazioni da una tabella raggruppando i valori uguali. Utilizzando l’operatore group by su più campi, l’aggregazione viene effettuata in base alla combinazione dei valori di tutti i campi. L’operatore group by si utilizza in generale contestualmente agli operatori di aggregazione sui dati. I più comuni operatori di aggregazione sui dati sono: • count (conteggio delle righe raggruppate), • sum (somma di valori quantitativi), • avg (media di valori quantitativi), • min (valore quantitativo più piccolo o prima stringa in ordine alfabetico), • max (valore quantitativo più grande o ultima stringa in ordine alfabetico). Avendo messo a sistema una tabella in cui tra gli attributi vi è il risparmio potenziale di CO2, basterà utilizzare un operatore di aggregazione
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1
Censimento
Edificio
N Impianti solari esistenti ID edificio comune via/piazza civico esponente tipologia impianto potenza di picco
2
ID edificio comune via/piazza civico esponente proprietĂ superficie tetto altezza edificio geometria ID impianto radiazione globale 1 Produzione 1
Produzione potenziale Energia Elettrica ID edificio area tot. tetto % tetto utilizzabile m2 tetto utilizzabile radiazione globale potenza annuale potenza di picco 1 Permette 1 146
Tabella 4. Modello E.R.della proposta progettuale per BoSS. Legenda: EntitĂ
*
Nuova EntitĂ Relazione
Chiave primaria
2
Chiave esterna Chiave esterna
Risparmio Energia Elettrica ID edificio costo kWh potenza annuale er risparmio economico risparmio CO2
1
1
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Identifica
N Libretto di Impianto
*
2
Produzione 1 Produzione potenziale Energia Termica
ID impianto ID edificio classe energetica dell’edificio vol. lordo riscaltato tipologia impianto potenza impianto codice catasto codice impianto comune via/piazza civico esponente 1
ID edificio area tot. tetto % tetto utilizzabile area tetto utilizzabile radiazione globale potenza annuale potenza di picco
Con chi?
1
1 Permette
Login Utente
*
1 2
Risparmio Energia Termica ID edificio tipologia impianto potenza impianto efficienza impianto produzione annuale costo kWh risparmio economico risparmio CO2
ID utente ID edificio Nome Cognome Data di Nascita Email Password
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come SUM per avere il totale in termini di guadagno per l’ambiente, derivato da un intervento massivo su tutti gli edifici pubblici: SELECT SUM (risparmio CO2) FROM edifici GROUP BY proprietà A questo punto è sufficiente formulare un inventario esaustivo di queries e associarle ad un clic sulla mappa interattiva per ampliare il campo di informazioni a cui l’utente può accedere. Un altro caso è nella tabella “Risparmio di energia elettrica”, dove abbiamo il campo “risparmio economico”, che è dato dal prodotto tra i campi “Costo (in kWh)” e “Potenza annuale”. SELECT costo, potenza_annuale, costo*potenza_ annuale as risparmio_economico FROM t_ risparmio_enel Progettazione nuova interfaccia
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La nuova interfaccia grafica della web app BoSS è stata progettata con molta attenzione, vista l’importanza che ricopre nella restituzione della elaborazioni dei dati, ed è stata pensata per essere di semplice uso e comprensione, ma al contempo essere sia funzionale, che esteticamente gradevole. La web app differenzia il patrimonio di impianti a energia rinnovabile solare esistenti - permettendo sia per ciascuno un approfondimento che una visione globale a livello metropolitano - dalla potenzialità che ciascun edificio ha in quanto a produzione potenziale di energia elettrica e termica. La web app permette anche la rapida condivisione dei risultati ottenuti sui principali social e via mail. E’ possibile il log in per entrare nella sezione personale: ciò vale sia per ciascun privato cittadino che per la pubblica amministrazione. In questa sezione è possibile visualizzare e inserire i dati relativi al proprio libretto di impianto grazie al personale codice catasto e d’impianto rilasciati con il libretto elettronico regionale. Da qui è inoltre possibile analizzare le prestazioni dei propri impianti, lo storico dei consumi e delle produzioni e, in caso una persona non abbia impianti o voglia implementare gli esistenti, si può confrontare le condizioni attuali rispetto a quanto si otterrebbe con un rinnovato sistema ad energia rinnovabile. La pubblica amministrazione, grazie a un’interfaccia specifico, riesce a visualizzare l’insieme del patrimonio immobiliare pubblico
- potendo altresì analizzare ciascun specifico edificio identificato dal codice impianto e codice catasto - nell’intero territorio metropolitano inserito nelle zone uniformi di potenza annuale stimata, riuscendo ad avere così facile e intuitiva capacità di indirizzare la propria azione di riqualificazione e investimento, in quanto a impianti solari, dove quest’ultima lo ritiene più opportuno. 18. Browser degli elementi che compongo il Database “boss” come viene esposto su PgAdmin III
Sistemi Informativi Territoriali
19. Diverse entità di tabelle, loro attributi, tipologia di dati e dati esempio
Entità “tabella boss.t_edifici”
Entità “tabella boss.t_impiantiesistenti”
Entità “tabella boss.t_libretto_impianto”
Entità “tabella boss.t_prod_potenz_enel”
22. Entità “tabella boss.t_prod_potenz_ente”
23. Entità “tabella boss.t_risparmio_ente”
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24. Entità “tabella boss.t_utenza”
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Conclusioni
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La realizzazione della nuova web app “BoSS” (Bologna Solar System), è stata elaborata a partire dallo sviluppo della già esistente “Bologna Solar City”, la quale però è riferita esclusivamente al contesto geografico della Municipalità della Città di Bologna, mentre “BoSS” si riferisce a un contesto territoriale molto più ampio, ovvero l’intera Città Metropolitana di Bologna. La scelta di ampliare il contesto territoriale di riferimento è stata individuata come primo obiettivo dell’evoluzione della web app, questo per poter garantire un ampliamento del bacino di fruitori potenziali, ma anche per poter farla divenire strumento di appoggio alle decisioni pubbliche in campo energetico. Infatti, nell’utilizzo della web app, è stata predisposta una specifica funzione esclusivamente accessibile da parte della pubblica amministrazione (che essa sia Comune o Città Metropolitana) con la possibilità di visualizzare gli edifici di proprietà di queste e analizzarne i consumi energetici e le potenzialità. Oltre a ciò l’attore pubblico, nel momento in cui sia chiamato a scegliere di installare un nuovo impianto energetico con tecnologia rinnovabile a pannelli solari, può compiere un’azione di valutazione, in prima istanza, degli edifici ricadenti nelle zone a maggior radiazione solare globale, e quindi individuare gli edifici in cui installare un nuovo impianto fotovoltaico garantirebbe una maggior convenienza, rispettando così appieno il principio di economicità, efficienza ed efficacia che, oggi giorno, devono distinguerla. Inoltre, l’ampliamento del contesto territoriale di analisi, garantirebbe uno sviluppo del lavoro di creazione della nuova web app condiviso fra tutti i comuni appartenenti alla Città Metropolitana di Bologna, così da poter garantire gli strumenti che garantiscano il rispetto del principio di integrazione e di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo del territorio, garantendo anche una condivisione delle politiche adottate per il raggiungimento degli obiettivi energetici. L’app rimane come era BSC un ottimo e autorevole strumento di censimento degli impianti esistenti poiché elaborato e filtrato dagli uffici competenti della pubblica amministrazione. Questo entra più nello specifico dando la possibilità al privato di analizzare più nel dettaglio la situazione energetica del proprio edificio. L’aver reso più intuitiva e semplice l’interfaccia della web app permette maggior coinvolgimento dei cittadini che con una facile navigazione riescono a ipotizzare le enormi potenzialità della tecnologia a energia rinnovabile vista sia in benefici economici che in benefici ambientali.
Sistemi Informativi Territoriali
Fonti Bibliografia: * Africani P., et al. (2013), Integration of LIDAR Data into Municipal GIS to study solar radiation, International Archives of the Photogrametry, Remote Sensing and Spatial Information Sciences, Vol. XL-1/W1, pp. 1-6 * Minghetti A., et al. (2010), Bologna Solar City, una web application per l’analisi dell’energia potenziale: dalla stima della radiazione solare alla realizzazione dell’applicazione, Atti 14° Conferenza Nazionale AITA, 9-12 novembre 2010, Fiera di Brescia, pp 1-6 * Borga G. (2006), Idee per il sistema informativo urbano, due casi studio, www.borga.it, pp. 1-6 * Borga G., a cura di (2012), Sicuri sulle strade, Conoscere per prevenire dalla incidentalità alle misure di mitigazione del rischio, Università Iuav di Venezia, Giornale IUAV, N. 121, pp. 1-8 * Borga G. (2011), Geomatic City Sensing, città, reti, sensori e tempo reale. Tecnologie e approcci innovativi per conoscere e governare il territorio, GEOmedia, N. 5, pp. 10-13 * Borga G., et al. (2013), “Energy Web Feltre”: verso la conoscenza condivisa dello stato energetico urbano, FMI Facility Management Italia, N. 22, pp. 44-50 * Borga G., et al. (2013), Geo-ICT e conoscenza condivisa per città intelligenti e resilienti, www.borga.it, pp.1-10 * Casini C., et al. (2009), Valutazione della potenzialità di utilizzo dell’energia solare termica in ambito urbano, AISRe, Atti della XXX Conferenza Scientifica Annuale, Firenze, pp. 1-8 * Condotta M., a cura di (2013), Energy Web Feltre, conoscenza condivisa e collaborativa della città e dello stato energetico a scala urbana, Università Iuav di Venezia, Giornale Iuav, N. 129, pp. 1-16 * Condotta M. (2013), Energy Web, conoscenza condivisa, intelligenza collettiva e nuove tecnologie per il contenimento dei consumi energetici a scala urbana, Università Iuav di Venezia, Scuola di Dottorato Iuav * Condotta M., et al. (2015), Urban Energy Web. A transnational and common energy city platform for sustainability in the built environment, CISBAT, 9-11 settembre 2015, pp. 975-980 * Conforti G., Fabiani R., Appunti del corso di Progettazione Sistemi Informativi Territoriali, Università di Pisa, pp. 1-84
Sitografia: www.borga.it www.comune.bologna.it/sit www.postgresqltutorial.com pgadmin.com/ resources.esri.com/arcgisserver/apis/flex/ gis.cityofboston.gov/SolarBoston/ webhelp.esri.com/arcgisdesktop/9.3/ EU Electriciy Map | http://www.electricitymap.org DatiOpen.it | http://www.datiopen.it/it/opendata/ Consumi_energia_elettrica_della_PA_per_Unit_ di_lavoro_e_regione?t=Mappa Bologna Solar City | http://sitmappe.comune. bologna.it/BolognaSolarCity/index.html Go Compare | http://www.gocompare.com/ energy/what-powers-the-world/ Repower Map | http://www.repowermap.org/ index_it.php SLAMP | https://www.slamp.com/italiaecologica/ Index Mundi | http://www.indexmundi.com/ map/?t=0&v=88&r=eu&l=it
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Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina mantendendo i bordi scuri, oppure essere più piccola (va comunque mantenuto il fondo scuro) 1
Land Use and Transportation Planning Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Land Use and Transportation Planning Professor: Reid Ewing (visiting professor, University of Utah, Salt Lake City, US) a.y. 2015-2016
December 7, 2015 Venice
Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
Content: * Abstract, what is a “woonerf”? * Introduction: woonerfs, residential yards, and home zones: a first glimpse * Country-specific characteristics: case studies from the Netherlands, Germany, United Kingdom, Israel, and United States * The Netherlands, Woonerven *Germany, Wohnstrasse *United Kingdom, shared space * The example of Israel * United States of America * Design elements of a Home Zone References
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Team * Elvis Paja
Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
Abstract, what is a “woonerf”?
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The idea for woonerfs, or “home zones”, was developed in the Netherlands during the 1960s. The idea behind woonerfs was to develop a street design integrating car traffic, pedestrians, cyclists, as well as children at play, within a commonly shared residential street space. The goal is to achieve a peaceful coexistence among all user types of urban residential streets. This objective is reached by getting away with the traditional separation of streets from sidewalks. Integrating all vehicular and pedestrian traffic into one living space simultaneously enhances safety and quality of life (International Home Zones 2004; WalkingInfo 2004; Biddulph 2001). In a woonerf, the street is shared among pedestrians, bicyclists, and motor vehicles; however, pedestrians have priority over cars. The street is designed without a clear division between pedestrian and auto space (i.e., no continuous curb), so motorists are forced to slow down and travel with caution. Limiting vehicular speed not only improves residents’ feelings of safety, but also promotes greater use of the public space. This action allows more room for new features in the street such as street furniture (e.g., planters, street trees, benches) and areas for social interaction, bringing more people out on the streets to walk, bike, play, and interact with each other. In other words, a woonerf transforms the street into a livable and attractive environment for a variety of activities. The woonerf concept in urban planning has proven to be successful in the Netherlands. As a result, it has become increasingly popular in many other countries in Europe as well as around the world. (Appleyard and Cox 2006) The term itself, “woonerf,” varies from one country to another. For example, a woonerf is also known as a home zone. The home zone concept was developed from the woonerf concept in Britain in the late 1990s. According to Appleyard and Cox, there is a subtle difference between the two: a woonerf in the Netherlands emphasizes creating a sense of place, while a home zone in Britain focuses more on easing traffic and reducing accidents. However, both concepts incorporate formal and informal space for children’s play and social activities. Another concept is the shared street, which is commonly used in the United States; however, this concept can be applied to residential streets as well as commercial ones. Since all these terms, as well as others, originated from the woonerf concept, they share similar principles and design characteristics, and thus they are often used interchangeably.
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Fig.2 The Methleys Home Zone, Leeds. Source B. Hamilton-Baillie, Towards shared space, Urban Design International, 2008, page 8.
Introduction: woonerfs, residential yards, and home zones: a first glimpse. While the most common translation for woonerf into English is “home zone,” the literal translation most likely would be “residential yard” (Hass-Klau 1990). Indeed, many home zone streets evoke the impression of a residential yard with trees, flowerbeds, benches, play areas, front gardens and other traffic-calming measures. Home zones make neighborhoods safer by allowing residents to reclaim their streets. They also create valuable living space and enhance the quality of life for everybody within the community (International Home Zones 2004; Biddulph 2001.). On the one hand, home zones allow residents to walk around freely and safely, socialize and pursue active lifestyles; on the other hand, they promote the idea of shared space and call for motor vehicle traffic to enter neighborhood streets as guests rather than as dominators of the space. In a home zone car speeds are very slow, often 10 mph or even “walking speed” (about 3 mph). Walking and cycling, as well as children playing outdoors, are integrated into one area similar to a big residential yard. Overall, home zones Fig.1 The Methleys Home Zone, Leeds. Source B. Hamilton-Baillie, Towards shared space, Urban Design International, 2008, page 4
are used in an attempt to restore safety and a sense of “place” in neighborhoods that have become overwhelmed with automobile traffic (Hass-Klau 1990; International Home Zones 2004). The home zone concept can be applied not only when new neighborhoods are built, but also to retrofit existing roads into home zone streets (Children’s Play Council 2002). Due to the aesthetically enhanced environment and the resulting higher quality of life in home zone areas, the Dutch government has found that housing prices there are about 10 to 15 percent higher than on ordinary streets (Pharaoh and Russell 1991). The potential benefits of Home Zones are manifold and can be summarized as follows: × improved safety × higher property values × increased and wider ranging social activities and civic interaction × higher levels of accessibility for non-motorized modes of transport × less air and noise pollution × more efficient use of the street and urban living space. In a home zone, the formerly cardominated street scene becomes a more attractive, diverse, and livable environment (Hass-Klau 1990; Children’s Play Council 2004).
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There is also a range of negative opinions against the home zone concept. Some have merit and some are not supported by empirical evidence. These varied arguments include: × loss of parking × fear of accidents due to the mix of transportation modes × a potential for increased noise and air pollution (such as noise caused by driving over vertical traffic-calming devices or cobblestones) × air pollution resulting from frequent stopping and re-acceleration through trafficcalming devices (Voorhees 2004). After its development in the Netherlands, the home zone concept spread quickly across Europe, tailored to address conditions peculiar to each nation. In the next section case studies from the Netherlands, Germany, and the United Kingdom are presented. And some examples from Israel and the United States, that seems to have been slower in moving toward home zones, the idea has begun to take root, and some remarkable American adaptations of the woonerf follow the European examples. Country-specific characteristics: case studies from the Netherlands, Germany, United Kingdom, Israel, and United States. Home zones have existed in Europe for over 35 years. Many European countries, in fact, have established laws and regulations supporting home zone schemes. These laws have speed restrictions within home zones ranging from 20 to 10 mph and less. Many countries support the idea of assigning legal priority to pedestrians and cyclists, and within the home zone, motorists are presumptively responsible for accidents involving pedestrians and cyclists (European Commission 2004). 166
Fig. 3 Start of Home Zone and End of Home Zone. Source: IHIE, Home Zone Design Guidelines, 2002, page 19.
In most European countries, home zones are used as part of a broader urban strategy to calm traffic and increase safety and livability, for example traffic calming schemes or safer routes to school programs (Hass-Klau 1990; Biddulph 2001; Hamilton-Baillie 2001). Indeed, it is important not to treat home zones as a single measure, but rather as part of a broader concept to reduce car traffic and enhance walking and cycling. The design of home zones all over Europe varies, but every country implementing these schemes has taken the core concepts and adapted them to its own particular social, economic, and juridical environment. By doing so, each nation has broadly achieved the same results: safer and more livable streets. The Netherlands, Woonerven. The original concept of the woonerf was developed and initiated in the late 1960s , in particular the citizens of Delft, Netherlands were at the forefront, where residents of a neighborhood were upset with cut-through traffic speeding through their neighborhood, making it unsafe; they took out their brick streets and replaced them with winding serpentine paths. This action initiated the woonerf, or “residential yard” in Dutch. According to Tolley (1990, chapter 4): Planners there began to ask why it was that their residential streets were so dull and so unsafe, and why was it impossible to do anything else there except drive cars - even though most of the time there were no moving cars. Traffic was seen as one of the greatest sources of blight, causing unsafety, discomfort and taking most of the space. Experiments with these new street designs, in which there was no segregation between motorized and nonmotorized traffic and in which pedestrians have priority in the whole street area, became Dutch law in 1976. In the 7 years after the new traffic law defining woonerven was passed a total of 2,700 such features (average size: two streets of approximately 200 meters (600 feet) in length) were built. The 1976 law lists some important characteristics of a woonerf that differentiate it from any other type of street. These include some very specific design requirements such as:
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Fig. 4 A cyclist on a woonerf in the Netherlands. Source: Burden, http://www.pedbikeimages.org.
Fig. 5 Woonerf, cul-de-sac in the Netherlands. Source: Dijkstra, VTC.
× The impression that the highway is divided into a separate roadway for motor vehicles and a footpath must be avoided. There should, therefore, be no continuous difference in crosssectional elements along the length of the road. × On those parts of the highway intended for motor vehicle use, features must be introduced which will restrict the speed of all types of vehicles. × These features should not be located so as to cause vehicles to pass too close to housing which fronts directly onto the road. × Adequate street lighting must be provided to e sure that all features, especially those referred to above, are fully visible at night (US Department of Transportation 1994).
The new Home Zone traffic sign was introduced with symbols of a house, playing child, pedestrian, and car. The biggest change, of course, was the notion that all road users should be integrated, not separated, for their mutual safety and benefit. The legal change was backed up with quite radical new street designs and layouts, and planners, engineers, and residents alike clamored for the introduction of woonerven. Drivers entering a woonerf must pass by a sign indicating the new rules that apply. No sidewalks are provided - the whole street is on the same level. Regular shifts in the vertical and horizontal alignment, street furniture, play areas, designated parking spots and different surface materials all contribute to the feeling that priority rests not with the motor vehicle, but with residents on foot, children playing, and nonmotorized users. Other important principles inherent in the original woonerf design included: × Woonerven were only appropriate for streets with an already low flow of through traffic. × Woonerven should always be two-way streets, with passing places where necessary. × Access for emergency and service vehicles is always maintained.
These main features, along with 10 others, were required in every woonerf. As a result, it was also felt necessary to publish a new set of traffic regulations especially for the woonerf. Five basic principles were outlined: × Pedestrians may use the full width of the roads within a woonerf which is designated as such; playing is also permitted on the roadway. × Drivers within a woonerf may not drive faster than at walking pace. They must make allowance for the possible presence of pedestrians, including children at play, unmarked objects, and irregularities in the road surface, and the alignment of the roadway. × Traffic from the right has priority over traffic from the left in a woonerf. × Drivers may not hinder pedestrians within a woonerf. Pedestrians shall not unnecessarily hamper the progress of drivers in a woonerf. × Drivers of motor vehicles with more than two wheels are not permitted to park in a woonerf except at places which are identified by the appropriate traffic sign or the letter P marked on the pavement (US Department of Transportation 1994).
The widespread introduction of woonerven was closely evaluated: × Nationally, 70 percent of the Dutch population thought woonerven attractive or highly attractive. × Nonmotorized users assessed them more positively then motorized users. × Residents appreciated the low traffic volumes and absence of through traffic, but the bigger play areas and environmental improvements were even more of a benefit. × Injury accidents were reduced by 50 percent. × Vehicle speeds were reported to average 13-25 km/hour (8-15 mph) (US Department of Transportation 1994).
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Fig. 6 Shared space in Friesland, Netherlands. Source B. Juyoung Jung, Urban Streetscape, Delft University of Technology, 2013, page 53.
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As a result of this success, woonerven have become a routine feature of new residential area design. However, there have also been a number of problems identified with woonerven. Indeed, one problem experienced with their use was that residents living on the streets wholly inappropriate for implementation of a woonerven, pressured their governments to have their street changed. Retrofitting existing neighborhoods to become woonerven was prohibitively expensive. The very strict design requirements of woonerven often could not be met. For example, traffic flows in inner city neighborhoods might exceed the low volume required for a woonerf and cause an overflow of traffic onto neighboring streets. Pedestrians complained that there was no designated or protected space for them without raised sidewalks. Finally, the principles of woonerven could not legally be extended to shopping streets or village centers (winkelerven and dorpserven). Thus, in 1984, a Review Panel established by the Dutch Government reviewed the woonerf law and made a number of substantial changes. These new laws were effective July 16, 1988. ‘Me 14 strict design rules were reduced to just six basic principles, close to the original concept of the woonerf, but allowing more flexibility. 1. The main function of the “erf’ shall be for residential purposes. Thus, roads within the “erf’ area may only be geared to traffic terminating or
originating from it. The intensity of traffic should not conflict with the character of the “erf.” In practical terms, conditions should be optimal for walking, playing, shopping, etc. Motorists are guests. Within woonerven, traffic flows below 100 vehicles per hour should be maintained (300 vehicles per hour for winkelerven). 2. To slow traffic, the nature and condition of the roads and road segment must stress the need to drive slowly. Particular speed reducing features are no longer mandated, so planners can utilize the most effective and appropriate facilities. 3. The impression shall not be created that the road is divided into a carriageway and sidewalk. Therefore, there shall be no continuous height differences in the cross-section of a road within an “erf.” 4. The entrances and exits of “erven” shall be recognizable as such from their construction. They may be located at an intersection with a major road (preferable) or at least 20 meters (60 feet) from such an intersection. 5. The area of a section of the road surface intended for parking one or more vehicles shall be marked at least at the comers. 6. Informational signs may be placed under the international “erf’ traffic sign to denote which type of “erf “ is present. (US Department of Transportation 1994) Since the late 1960’s, this country has applied the concept to more than 7,000 streets and residential areas (Hamilton-Baillie 2001). The
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Fig. 7 A shared street in Delft, Netherlands. Source B. Juyoung Jung, Urban Streetscape, Delft University of Technology, 2013, page 63.
Fig. 8 A shared street in Delft, Netherlands. Source B. Juyoung Jung, Urban Streetscape, Delft University of Technology, 2013, page 63.
two most famous early demonstration projects were established in 1977 in residential areas of Eindhoven and Rijswijk to compare the costs and benefits of a full-blown woonerven with Buchanan-style one-way street systems. In between was a third trial area: streets with many woonerf style treatments such as speed humps, carriageway narrowing and parking management. The woonerven was effective but expensive. The simple traffic diversion method was cheap and largely ineffectual (Hass-Klau: 1990; HamiltonBaillie 2001). In between came what is now known as the 30 kmph zone (18 mph) where significant speed and accident reductions could be achieved without the high costs of a woonerven.
The original home zones implemented in Holland were accompanied by expensive alterations to the existing street layout or integrated into the construction of new neighborhoods. Early home zones provided traffic-calming measures on cul-de-sacs shared by pedestrians, cyclists, and motorists, as described by Hamilton-Baillie above. These measures were supplemented by the provision of additional throughways for pedestrians and cyclists. In later home zones, traffic-calming measures, such as speed bumps, raised junctions and bottlenecks were used on a “street layout that was largely kept intact” (HassKlau 1990), resulting in big cost reductions. The Delft demonstration project showed that the creation of home zones often relies upon and proves to be most successful when local citizens give input in the redesign of “their” neighborhood street (Hass-Klau 1990; Biddulph 2001).
The resulting impression created by a home zone is described by Hamilton-Baillie (2001, 6): One leaves the busy main through fare in Rijswijk to find oneself in a set of tranquil streets paved with Dutch bricks, cobbles and pavers. Cars are parked in offset groups shielded by trees, which themselves become the dominant feature of the street. Speed cushions are discrete, and carefully planned into the overall street design, which in turn takes into account a multiplicity of uses. There is beautifully planned seating on corners, play areas separated from the carriageway only by sets of bollards, and a blessed absence of signs and road markings. Street paving patterns have been designed to emphasize the “place” nature of junctions, and deliberately eschew any reference to the “carriageway.”
Germany, Wohnstrasse. The mainly single-street Dutch home zone concept evolved in Germany to fit whole areas, mainly within traffic-calmed residential parts of cities. After word of the success of the homezone prototype in Delft had spread, German planners visited the Netherlands to learn firsthand about the concept. In the late 1970s, the first study projects were launched in Germany, based on models developed in the Netherlands: streets without a division of street and sidewalk, bottlenecks, road humps, changed street surfaces, and new parking layouts (this was the era when the
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Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
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Fig. 9 Cul-de-sac Home Zone in Germany. Source Burden, http://www.pedbikeimages.org
Fig. 10 Signage for a home zone/wohnstrasse in Germany. Source: Burden http://www.pedbikeimages.org
term “verkehrsberuhigung”, translated as traffic calming, was coined). The success of these pilot studies made home zones and traffic calming acceptable in Germany; it was quickly learned that calming individual streets resulted in traffic diversion and already quiet streets became quieter as traffic moved to already congested streets (Ewing 1999).
by the Children and Traffic initiative introduced by the government in 1980, including a law requiring that drivers be particularly attentive to children.
The Germans began to treat the urban street system according to a new kind of hierarchy: × Arterials and major routes should have a maximum speed of 50 km/hr (33 mph), synchronized traffic lights, bike lanes, marked crosswalks, medians and attractive sidewalk areas for people to linger. × Collector/distributor streets should have a maximum speed of 30 km/hr (18 mph) with design features-such as narrower lanes, bike lanes, wider sidewalks, speed tables-to make this limit self-enforcing. × Residential streets should be woonerf-type streets with carefully managed parking, very slow speeds (walking pace), chicanes, play areas, speed humps, and environmental road closures to deter through traffic (US Department of Transportation 1994). During the early 1980s, home zone-type streets (known as “wohnstrasse”) and whole areas were implemented throughout the country. Many cases showed that traffic calming reduced the number of accidents and their severity, the average speed driven, noise and pollution, parking problems and that community interaction increased (Hass-Klau 1990). These programs were accompanied
In some cities, the alterations to the street surface and layout for home zones were considered too expensive to be applied to larger areas. Keeping in step with the Dutch, the Germans the developed a less expensive solution, slow speed signs (30 kph; 20 mph) were placed in residential areas that became known as “Tempo 30 Zones” with relatively few alterations to the street design: area-wide traffic calming, or “verkehrsberuhigung.” As with the 30 km/zones (18 mph), they combined the best features of the woonerven with Buchanan’s concept of environmental areas. The road system remained fully connected - unlike in Buchanan’s model, where road closures, diversions and one-way streets kept unwanted traffic away-but traffic speeds throughout the system were to be significantly decreased. Short-cut traffic would be deterred, yet residents could still reach their homes directly. There would be a more uniform distribution of traffic across the area and traffic volumes would be brought into line with area functions and land use policies. The speed reductions would be achieved by applying at critical areas in the network some of the same sort of traffic-calming measures (Tolley, Rodney, Chapter 5, Calming Traffic in Residential Areas, Brefi Press, 1990, Wales). As experience grew, however, it became clear that physical changes to the street were needed to really control vehicle speeds (US Department of Transportation 1994).
Land Use and Transportation Planning
In 1989, the German federal government elevated local practice into permanent law. Many German cities and towns have now incorporated “Tempo 30 Zones” throughout most or all of their jurisdictions as part of safety programs. For example, about 80 percent of the city of Bonn, with a population of 310,000, is now within 30 km/h zones (Hass-Klau 1990). Nongovernmental organizations, such as the Verkehrs Club Deutschland (VCD), an alternative transportation advocacy group, and the Deutsche Staedtetag (Union of German Cities) are important lobbyists and promoters of traffic calming (Hass-Klau 1990). The VCD has fostered large-scale public awareness campaigns called “More Tempo 30” or “Vision Zero Fatalities” to reduce speeds (VCD 2004). As a result, speeds of 50 kph (30 mph) are widely regarded as inappropriate for urban residential areas, and speed reducing programs and measures are in effect almost everywhere (VCD 2004). United Kingdom, shared space. The United Kingdom’s urban transportation and planning history took an interesting turn with the introduction of home zones. A 1963 British government document, Traffic in Towns, who’s author, Colin Buchanan, is considered the father if traffic calming in Europe and often credited with launching the modern traffic calming movement. The report was the first official document to recognize that growth of traffic threatened the quality of urban life, but the solutions offered were shortsighted: urban areas were to be reconstructed to accommodate the automobile; neighborhoods were to be protected largely by closing streets and using short oneway segments to prevent through trips; volume control measures were emphasized to the virtual exclusion of speed control measures (Ewing 1999). As early as 1966, a predecessor of the Dutch home zone concept could be found in the United Kingdom, called the “shared space” layout. Like its Dutch counterpart, shared space was based on a cul-de-sac street layout (HassKlau 1990). Many ideas for creating pedestrianfriendly zones and traffic calming existed in the United Kingdom during the 1960s, but they did not begin to attract attention until the late 1980s. Buchanan-inspired traffic calming plans were implemented throughout Britain under the 1969 Housing Act and a 1977 street design manual (Design Bulletin 32, updated in 1992), and the
Fig. 11 Pilot Home Zone in Leeds, Uk. Source: Methleys Community Action Group.
Urban Safety Project, a traffic calming initiative launched in 1982 to reduce accidents. These measures had relatively a modest impact on collision rates compared with the other European countries, and they were implemented not in an harmonic and fainthearted manner (Ewing 1999). A very important role in bringing home zones to the political agenda was played by civic organizations, most prominently the National Children’s Play Council, which has joined
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Fig. 12 Home Zone in Hull, Uk. Source: Hull City Council.
Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
with other organizations in actively promoting a British “Safe Routes to School” program (Hamilton-Baillie 2001). The “Children and Road Safety” campaign launched in 1990 and an accompanying regulation permitted for the first time the designation of 20-mph zones. Continued active lobbying by interest groups and growing public awareness of home zones has pushed the topic to the national stage.
traditional streets, homebuyers may well be prepared to pay more to live in a home zone. It is important to note that as with the Dutch experience, all successful UK Home Zone pilot projects include citizens in the planning and design process of their streets (Biddulph 2001).
Changes in law and regulation, and a new edition of the street design manual, have brought Britain into line with the rest of Europe. Regulations were liberalized in 1986 and 1990 to permit the use of vertical measures of traffic calming, and the 1992 edition of Design Bulletin 32 shifted from advocating a tree-like hierarchy of roads to a hierarchical network of traffic-calmed streets.
These regulations developed in the European countries were the basis of the guidelines for shared streets in many other countries. In Israel, in the early 1980’s the Ministries of Construction and Housing, and of Transportation formed a Technical Council Committee to review the guidelines of the 1978’s earliest commission and propose criteria for the installation of a shared street; the committee comprised government transportation agency staff, traffic engineers from academia and private practice, planners, architetcts, and landscape architects. The revised guidelines were published in 1981 and 1982 were heavily based on the already european calculated experiments and regulations, and included these conditions for creating a shared street: × the area must be zoned as residential; × analysis of existing traffic conditions and traffic impact must be carried out; × design must follow planning guidelines as well as redient’s input. A research team was then commissioned to devise revisions of build streets. This research led to the 1987 legislation adopting the shared street concept, in a specific traffic ordinance (Ben-Joseph 1995).
As a result, the UK government has been showing increasing commitment to home zones. The concept now appears in relevant policy documents, including its 10-year transport plan developed in 1999. Home zones have also been the subject of a pilot project initiative and have been accorded a legal basis under Section 286 of Transportation Act 2000 and Section 74 of the Transport Scotland Act. Local traffic authorities in England, Wales, and Scotland now have specific power to designate home zones (Voorhees 2004).
172
Local authorities are using a wide range of approaches to implement home zones. The UK Department for Transport is monitoring the pilot projects, just described, which are focused mainly on alterations to existing streets. The monitoring process will measure how well the pilot projects are meeting home zone objectives within the existing legislation. Elements that are being measured include traffic volume and speed, street activity, the living environment and changes in attitudes. In addition to the “official” pilot projects, local authorities, developers, and housing associations have set up a growing number of home zones independently across the United Kingdom. Many local authorities now include the scheme in their Local Transport Plans as well (Biddulph 2001; Hamilton-Baillie 2001). Private homebuilders are increasingly aware of the home zone concept and are trying to incorporate home zone features into their developments. Builders recognize that in certain situations, home zones might allow for higher densities and are finding that the concept can be readily marketed as “family friendly.” Furthermore, developers realize that when compared to
The example of Israel
Also in Israel, residents, developers, and manufacturers of concrete pavers were quicker off the mark than was the government in adopting the woonerf concept. In 1981, and initiative by the residents to eliminate through traffic on a residential street led to the first shared street design in a suburb, and encouraged by the positive results the local municipality commissioned three more streets. The economic actors such as concrete paver manufacturres, realizing the economic potential, then lowered their prices to be competitive with bituminoes paving and began an advertising campaign for shared streets. Developers adopted the concept and often used it as a sales pitch for their communities as safer, green, and more aesthetically pleasing.
Land Use and Transportation Planning
Fig. 13 Downtown woonerf design, Kalamazzo, US. Source: Kalamazzo County.
Fig. 14 Safe residential Home Zone, Missoula, US. Source: http://www.homeword.org.
The woonerf concept became so common in Israel that thoso who controlled the planning and design process of streets, the road engineers, felt professionally threatened. To calm the waters, the Ministry of Construction and Housing decided to charge the landscape architect for the physical design and the road engineer for subgrading and drainage (Ben-Joseph 1995).
Another example is on Appleton Street in Boston, where the street and house typology are very similar to a European street. It was converted into a woonerf in the 1980s. Appleton Street’s design includes a raised entrance, traffic calming measures, and angled and parallel on-street parking. While it does have different pavement materials, there is a continuous curb.
United States of America Most of the woonerven implemented in the United States are shared streets in commercial areas. Good examples are found in Asheville, NC (Wall Street) (Alan M. Voorhees Transportation Center. “Home Zone Concepts and New Jersey,” 19), San Francisco, CA (Linden Street) (Langdon, “Shared-Space’ Streets cross the Atlantic”) and Cambridge, MA (Palmer and Winthrop Street). However, woonerf implementation in residential areas is rare. Two known cases are The Cottages and Bridgewalk in Boulder. Both projects were built based on the woonerf concept; however, both had some difficulties applying the concept. For example, in the case of Bridgewalk, houses already had backyards, porches, and other areas for people to congregate, so the shared street was used more by cars than people (Voorhees 2004). Much of the reasons why some of the home zone s may have not been to much successful in US are usually practical. European cities tend to be more compact than United States cities and cannot cope with the volume of traffic experienced in the United States. Car ownership is still higher in the United States than in most European countries. European cities tend to have better public transport services already in place and local governments have much greater control over land use planning and development than their counterparts in the United States.
The most useful example is the Borderline Neighborhood Shared Streets Project in Santa Monica developed by Nelson\Nygaard Consulting Associates in collaboration with other consultants.The project retrofitted four connected streets into a community front yard that promotes walkability, adds sustainable landscaping, and provides community gathering space. The project raised the roadbed to eliminate vertical curbs and used decorative pavers to delineate walking, driving, and socializing spaces. It also incorporates sustainable features such as urban runoff retention elements, permeable concrete and pavers and solar lighting. The project took nearly six years to be completed and cost $2.1 million. Design Elements of a Home Zone Most of the examples of woonerven are in the Netherlands, Germany and the United Kingdom, but the concept has spread through Europe as well as Japan, Australia and Israel. While each country has implemented the woonerf scheme, there is no cookie-cutter design for a woonerf. This means that each country - and place - has transferred the core concepts of a woonerf and created their own safe areas according to their needs and local culture. Each woonerf implementation requires a distinct approach to street design, so the woonerf core concepts are clear and adaptable; and they consist of the following guidelines:
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Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
Ă— Have a clear and distinct entrance: A woonerf should be marked by some kind of entrance so people going into the street will know that this area is not a typical neighborhood. This can be achieved by incorporating gateway features such as trees and planters, curbs extensions to make the carriageway narrow, and a ramp up to the
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Fig. 15 Morice Town masterplan, Uk. Source: IHIE, Home Zone Design Guidelines, 2002, page 59.
shared surface. Any of these approaches should be also accompanied by a sign indicating the woonerf status. Exits from the woonerf should therefore also include a sign indicating the end of the status. Ă— Eliminate the continuous curb: Pedestrian and auto space should be on the same level.
Land Use and Transportation Planning
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Fig. 16 Home Zone design in Northmoor, Uk. Source: IHIE, Home Zone Design Guidelines, 2002, page 74.
Fig. 17 Home Zone design in Northmoor, Uk. Source: IHIE, Home Zone Design Guidelines, 2002, page 58.
Shared surfacing encourages drivers to travel more slowly and carefully since there is no clear definition of the travel lane. Using different colors or textures in pavement material is also important for guiding the users of the street within the carriageway (e.g., pedestrian vs. auto lanes). By eliminating the continuous curb, residents especially children - can move freely across the entire space. Ă— Use traffic calming measures: The design of the street should add slight curves to break up the sightlines of a driver and also introduce physical and visual features that will encourage
people to drive slowly and with greater caution. These measures include chicanes, speed bumps and cushions, narrow travel lanes, small corner radii, different pavement treatments, as well as other elements such as street trees, bollards and furniture. According to Biddulph (2001), these measures should be located less than 160 feet apart so there is no length that would allow drivers to think they have priority over pedestrians and bicyclists, but at the same time they should be designed so they do not represent a hazard if they are passed at an inappropriate speed. Furthermore, these traffic calming measures cannot be an obstacle for emergency responders. It is recommended that planners and architects engage emergency responders in a collaborative approach to designing trafficcalming elements. Ă— Provide on-street parking: Parking should be provided intermittently rather than continuously so the car is not the predominant element in the street. Areas in which parking is permitted should be indicated by physical elements (e.g., bollards) and/or different pavement material. Parking arrangements should also be used as a mechanism to calm traffic. There are a few common strategies to arrange parking as well as code allowance.
Fig. 18 Hand made paving bricks in Methleys, Uk. Source: IHIE, Home Zone Design Guidelines, 2002, page 18.
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Evolvements of the Woonerf concept and design in urban planning
× Incorporate outdoor furnishings and landscaping: Street trees and planters make the street look more attractive as well as calm traffic. Tree planting should be carefully coordinated with existing or planned underground utilities to avoid conflict. Seating also should be included to encourage people to use and stay in the street for other activities. Seating areas should be protected from cars, using bollards or other physical barriers. All home zones… share(d)… common characteristics. Typically these include lack of separate raised pavement, a variety of surface treatments…, the use of trees, planting and street furniture to define and screen parking, the use of bollards and street lighting to define space, and the use of simple “gateways” at the entry points. But.…the striking quality of Woonerf streets is their individuality. There is no common template, every street is treated differently. This of course stems from the simple fact that every successful home zone is designed and adapted according to local preferences and circumstances, with residents and users involved at the outset. Hamilton-Baille (2001, 17)
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According to Biddulph (2001), a woonerf works better in areas in where there is resident support as well as existing street activity such as children playing on the streets. It also works better if the street’s current traffic is considered dangerous by the residents, discouraging people from going out. Also, a woonerf would be more successful if there is little or no open spaces available close by. As a result, woonerf implementation should not be applied in isolation - instead, it should be part of a wider strategy such as an area-wide traffic calming initiative, a related safety initiative (e.g., Safer Route to School), or an expanded pedestrian and cyclist network, among other possibilities. Research also suggests that streets need to be used by fewer than 100 vehicles per hour at peak times. In addition, the area treated should be less than 1,968 feet long (600 meters). However, Appleyard and Cox (2006) recommend a length of 300 to 500 feet. Even though there is no clear justification for determining the street limit, research suggests that shorter distances might reduce driver frustration at having to drive slowly through the woonerf.
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Comparative Study on Planning and Development of Chinese and Western Cities
Urban Governance in Portugal and the Lisbon Expo’98 urban project
Comparative Study on Planning and Development in Chinese and Western Cities Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in ambienti complessi Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e politiche per la città, il territorio e l’ambiente
Study Course “Comparative Study on Planning and Development in Chinese and Western Cities” Professor: * Wang Lan - College of Architecture & Urban Planning, Tongji University, Shanghai, China a.y. 2016-2017
Curriculum Pianificazione della città e del territorio
January 15, 2017 Venice
Urban governance in Portugal and the Lisbon Expo’98 urban project Content: * Abstract * Portugal’s international and European integration * The planning institutional structure * Urban governance in the Lisbon Metropolitan Area * Changing governance in the LMA * Lisbon’s socioeconomic and urban context in the 1990s * Big development projects as catalysers of urban transformation - the Lisbon Expo’98 World Fair * The intervention programme for the Expo’98 project * Expo’98 Urban Development Plan * Detailed Plans * References
Work Team * Ignazio Marcolongo
* Elvis Paja
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Urban governance in Portugal and the Lisbon Expo’98 urban project
Urban governance in Portugal and the Lisbon Expo’98 Abstract The aim of this study is to understand the urbanistic development of Portugal, in particular the city of Lisbon, and what is the elapse relation between its urban development and territorial policies. For this reason, we focus our analysis on these topics: the planning system and the planning institutional structure; the urban governance and the major plans for the city of Lisbon accompanied with some basic information about the Lisbon’s best practice. In a second part of this study we analyse and evaluate the Lisbon Expo’98 urban development project by elaborating the programme for the area of intervention, the urban and detailed plans, while reporting the architectural legacy that Expo’98 left to the city. Portugal’s international and European integration
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Portugal’s processes of economic internationalization started in the 1960s. Portugal intensified the processes of economic modernization, sectoral restructuring and urbanization with EU accession (in 1986). We can find the traces of these processes of change in three “macro-sectors” which are: political; financial and organizational. In the first case the European integration has brought some fundamental changes regarding the public policy that “have been highly influential in driving forward the nature and direction of governance change” (Silva, 2006, pg. 4). From the financial point of view, “structural and cohesion funds have sponsored a round of largescale investment in basic infrastructures as well as encouraging the development of the policy agenda into new areas, such as the promotion of economic competitiveness” (Silva, 2006, pg. 4). From the organizational point of view, the process of bidding for the EU funds has led to changes in the state administration: by expanding the role for the Planning and Regional Development Commission (CCDRs); and by the quantitate growth of the inter-municipal activities and institutional arrangements. Furthermore, the rapid increase in publicprivate partnerships and private sector involvement in public policy delivery has been sponsored by the need for match funding for EU
projects. Some new institutional agencies have emerged like the local and regional development agencies, the public-sector companies, and, more recently, the creation of new forms of intermunicipal organizations. European competition law on liberalization has paved the ground for the creation of important and influential private sector actors (especially at the municipal level). The reconfiguration of the state has encouraged the development of new governance forms. This has been particularly evident in two key respects: the state decentralization, the growth of new policy challenges and rising levels of public expectations. The phenomenon of state decentralization started after the realisation of the postrevolutionary Constitution of 1976 (on April 25th, 1974, in Lisbon, there was the Carnation Revolution, which ended the Estado Novo and established the new democracy in Portugal). The Constitution established three levels of local government (regional, municipal and parish councils), but actually the new regional level was never established. Moreover, the rejection of the 1998 referendum’s proposals, for the creation of regional administrations, makes it unlikely the establishment of the regional level in the short term. The lack of a regional government, combined with the Europeanization process, has allowed the development of existing regional institutions, such as CCDRs that are centrally set by the state and it has promoted the development of new forms of local, metropolitan and regional governance systems. In 2002, the ruling political parties rejected the creation of directly elected administrative regions and instead centred their approach to the administrative decentralization. For this reason, the government tried to develop new forms of inter-municipal cooperation. This has been achieved through the extension and reform of the existing institutional model of metropolitan government, already in existence in Lisbon and Porto since 1991, to a wider range of urban areas. The legislation, approved in 2003, is now in the process of creating new forms of intermunicipal cooperation like the Grandes Áreas Metropolitanas (nine or more municipalities covering at least 350,000 inhabitants) and the Comunidades Urbanas (three or more municipalities covering at least 150,000 inhabitants). For those areas not able to meet the criteria, there is a third institutional model for inter-municipal cooperation: Comunidades InterMunicipal (CIM). This new architectural governance wanted to
Comparative Study on Planning and Development in Chinese and Western Cities
encourage the transfer of planning power and the increase of cooperation at the local level, but their financial capacity and autonomy remain unclear and possibly unstable. For example, the event of a big political change or lack of political consensus of the ruling parties could bring the destructuring of this governance scheme (Silva, 2006). The last 40 years has seen the overall improvement of citizen education, income and political freedom which have caused a growing public expectation to deliver a broader and more responsive services to the citizens’ needs. This has meant that the role and the political challenges of the central and local government in assuring basic welfare services (health, education) has increased. The decentralization process has mandated to the local authorities some powers that before were managed by the central state like social housing, local transport, green spaces and cultural facilities, because of fact that the local governance would possess a better understanding and a faster feedback of the rapidly changing citizens’ conditions and demands.
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The planning institutional structure In Portugal, there are three different planning levels: national, regional and local. The national level has as its institutions the Ministry and the Secretariat of State. The national level has competence in relation to the strategic framework of the national territory and in the field of regional and local development. The regional level is connected to the autonomous region (insular Portugal) and it is represented by the Regional Government (executive body) and by the Assembleia Regional (deliberative body). In mainland Portugal the decisions are made by decentralized units of the national government (for example: the Direcções, the Delegações and the Administrações Regionais). In close articulation with national policies, the regional level defines the strategic framework of the regional territory and lays down the guidelines for local planning. Fig. 1. Places of Continental Portugal in 2011, agglomeration with ten or more accommodations intented for housing of people and with a designation of its own, indipendently of belogning to one or more parishes (elaboration of the primary source: INE Instituto Nacional de Estadistica) Fig. 2. Satellite image of Continental Portugal (original source: ESRI & Digital Globe)
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Urban governance in Portugal and the Lisbon Expo’98 urban project
Insular Portugal
Mainland Portugal
National level
Ministry and Secretariat of State
Ministry and Secretariat of State
defines the strategic framework of the national territory and the regional and local development
Regional level
Autonomous Region (Regional Government and Assembleia regional)
Decentralized units of the National Government (the Direcções, the Delegações and the Administrações Regionais)
defines the strategic framework of the regional territory, in close articulation with national policies; lays down the guideline for local planning
Municipal level
Càmara Municipal and Assembleia Municipal
Càmara Municipal and Assembleia Municipal
manages the strategic development of the municipal territory and the land use regime
Table 1. The planning institutional structure in Portugal. (source: authors)
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Type of tool
Denomination
Territorial scale
Features
Territorial development tools
* National program of spatial planning policy (PNPOT) * Regional plans for territorial planning (PROT) * Inter-municipal plans for territorial planning (PIMOT)
National level
Strategic plans that set out general guidelines relevant to the organization of the territory
Regional level Municipal level
Spatial planning tools
* Municipal plans for territorial planning (PMOT)
Municipal level
Plans that regulate the regime of land use by integrating the guidelines of national and regional instruments
Sectorial policy tools
* Sectoral plans (transport, industry, health, housing, etc)
National level
Sectoral plans that develop and realize the guidelines of PNPOT
Special nature of instruments
* Special plans of territorial planning
National level
Supplementary plans for the protection and enhancement of particulary sensitive and significant interest that make compatible the PNPOT and the PROT and prevail over PIMOT and PMOT
Table 2. Different planning tools, their denomination, territorial scale of influence and their generic features. (source: authors)
Comparative Study on Planning and Development in Chinese and Western Cities
National level
Sectorial policy tools
Territorial development tools
Special nature of instruments
Sectorial plans (transport, industry, health, housing, etc.)
National program of spatial planning policy (PNPOT)
Special plans of territorial planning (PEOT)
Sector plans
Supplementary plans
Regional level
Regional plans for territorial planning (PROT)
Municipal level
Inter-municipal plans for territorial planning (PIMOT) Strategic plans
Spatial planning tools Municipal plans for territorial planning (PMOT) Regulative plans (land use)
Table 3. Interconnection and interdependency of the various planning tools. (source: authors)
State
State ‘Regional Offices’ (CCDR, etc) Municipalities
Public-private partenrships (PPPs)
Municipal Associations Metropolitan Government
Parishes Table 4. Public administration structure in the LMA. (orignal source: Silva, 2006, pg. 10)
The local level is made by the Câmara Municipal (executive body) and from the Assembleia Municipal (deliberative body). The level of local planning manages the strategic development of the municipal territory and land use regime. In Table 1 we graphically demonstrate the current planning institutional structure in Portugal, the different type of planning tools and their features (Table 2), and finally the way they are interconnected (Table 3). Urban governance in the Lisbon Metropolitan Area Lisbon is the capital city of the Portugal so the processes of economic and social changes are particularly marked in Lisbon Metropolitan Area (LMA). In this chapter we will focus on the current governance arrangements in the LMA. There is a ‘metropolitan government’ constituted of a special form of ‘municipal association’ between the 19 local authorities that compose the LMA. The metropolitan governments have the responsibility for planning, but mainly they represent a consultative board
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LMA (1991 law) GAML (2003 law)
LMA (2016)
19
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18
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207
118
3,209
2,953
2,921
Population (census, 2001)
2,682,687
2,661,850
-
Population (census, 1991)
2,540,276
2,520,708
-
-
-
2,821,876
836
901
966
Municipalites (Concelhos) Parishes (Freguesias) Total area (km2)
Pupulation (2016) Population density, 2001 (inhabitants/km2) Table 5. Dimension of the LMA. (source: http://www.aml.pt)
during the preparation and implementation of metropolitan plans, and are consulted on local issues of public investment from state and EU funding. Another type of institutional cooperation are the Municipal Associations, which are cooperative partnerships of municipalities based around the promotion of certain common territorial interests and/or the delivery of particular services. However, the Portuguese urban governance has clearly a top down structure (Table 4). The present governance system retains a high degree of centralization of competencies within the national government. The Ministries of Planning, Environment and Public Works together with the Ministry of Economy are the most influential state actors. The multiple forms of public-private partnerships, which now exist, reflect the increased liberalization and privatization of the Portuguese economy. As a result, the private sector has become much more directly involved in urban development. The interests of the business sector have also become more influential on the policy agenda, especially with respect to major concerns around transport infrastructures. The first legislation on urban planning was approved by the central government in 1932. Even if the development of urban planning system was elaborated from 1932 to 1946, it is only after the foundation of the first State Secretariat for the Environment, in 1975, that Fig. 3. Land Use in Lisbon and sorrounding regions. (Data credits: SIO, NOAA, U.S. Navy, NGA, GEBCO - David T. Sandwell, Walter H. F. Smith, and Joseph J. Becker Copyright 2008 - The Regents of the University of California - http://inspire-geoportal. ec.europa.eu/discovery) Fig. 4. Satellite photo of the LMA
started to take on the question of urban planning with a trenchant approach. Indeed, the Basic Law on the Urban Planning (L.48/98) was published in 1998 and defined: the frame of urban planning policies; the urban management tools; the rules and type of relationships between the different layers of public administration; the rules and relationships between all stakeholders (the PA, the social and economic partners and the citizens). The Law declared that the urban planning power is represented (from the top to the bottom) by the State, the Administrative Regions and the Local Administrations with the participation of the Associations and the Citizens. Law 48/98 underlines some fundamental key points: it promotes the coordination of the different PA layers in order to endorse the decision-making level closest to the citizen (the town hall is the prime drive for urban administration); it guarantees the equity through some urban tools like the equalization and the compensation; it promotes the public participation, guaranteeing information and the possibility of intervention in the process of elaboration and definition of planning instruments; it establishes a clear distinction between the strategic tools (State and regional jurisdiction) and planning tools directly binding on individuals. Changing governance in the LMA The Lisbon territorial marketing has been closely intertwined with the tourism sector and the cultural sector, which has attracted foreign investment. In this sense, the National Agencies (for example ICEP, the body formerly responsible for the promotion of foreign trade), some events (such as the European Capital of Culture 1994,
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Plano Geral de Melhoramentos 1904 (Garcia) Provision of new green spaces and the definition of a new street system, the Avenidas Novas. The Garcia plan supported the northern expansion of the city until the 40s. Plano Geral de Mehloramentos 1927 (Forrestier) Plan focused on the enhancement of the natural landscape and the definition of the street system. Forrestier ignored the residential question at a time where this topic was already a social concern in the city. The plan a modest if not residual impact on the city, since none of the proposals was build. Plano Director de Urbanização de Lisboa 1948 (Groer) The master plan is based on the preliminary studies on the street system, the green public space and the new social housing estates. The plans established, at the macro-structural level the great transformations that occurred in the city in the following 25 years. Zoning became a permanent characteristic of urban planning in Lisbon.
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Plano Director de Urbanização de Lisboa 1959 (Gabinete de Estudos de Urbanização) This plan included some new proposals: the location of the first Lisbon bridge across the Tagus River in the western parte o the city in Alcãntara; a new access to the so-called North Motorway; a new alignment for the west wing of a proposed inner ring road, the Primeira Circular; and, finally, the street grid for Chelas. Plano Director da Cidade de Lisboa 1967 (Meyer-Heine) Rational plan that wanted to: build a distributive axis tangent to the city almost totally detached from the inner urban fabric circulation; construct four tunnels shaping an underground axis parallel to the river; and the extension of one of the main Lisbon avenues (António
time
1910
1926
1940
Foundation the Portuguese Republic Republican revolt of October 5, 1910 that deposed the Prince Regent and established the Republic Cuop d’État (Estado Novo) Coup d’état that caused the fall of the First Republic, and brought to power the military led by General Óscar Carmona
Decree No. 2879 The decree simplified the purchase processes, allowing the municipality to implement a more ambitious land policy. Other exceptional measures were those to ease the payment of studies and projects, the attribution of special fund, and a special expropriation procedure.
Creation of the Ganibete de Estudos de Urbanização 1954 Constitution of a new planning department in the municipality with the aim of preparing a new plan.
1974
1986
Foundation of the Portuguese Republic On April 25, 1974, in Lisbon, there was the Carnation Revolution which ended the Estado Novo and established the new democracy in Portugal Portugal in Europe Portugal joined the European Union
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Augusto de Aguiar).
time goes by
Plano Director Municipal 1994 (Soares) Besides establishing the regulation of land use, this PDM was conceived as an operational tool for municipal management. It was complemented by a number of other planning documents of a strategic and detailed nature. The Lisbon PDM also benefited from the simultaneous elaboration, at a lower level, of urban development plans and local plans that detailed several elements of the urban form. The common coordination of these three planning levels – strategic, municipal, and local – has to be emphasized as a remarkable achievement of the municipalities’ ruling coalition in the first half of the 1990s. Plano Director Municipla 2001 (Municipal planning department) The World Exhibition, in 1998, brought about a tremendous opportunity to requalify a large site on the eastern part of the city and along the riverside. Meanwhile, some new fundamental questions emerged: the alleged need for a third Lisbon bridge, the highspeed railway system and the possible relocation of the main railway station; the new Lisbon international airport; the physical and functional relationships between the former World Exhibition site, now called Parque das Nações, and the rest of the city and, in particular, the old historic centre. Within the new context provided by the Regional Plan for the LMA, ratified in 2002 after a long preparation process started in 1989, and a new strategic vision for the city based on strengthening four catching ideas – local neighbourhoods, entrepreneurship, culture and innovation – the PDM presented a number of main strategic objectives: urban rehabilitation, environmental improvement, the integration of uses and function, the selective occupation of gap and vacant sites, the strengthening of the city’s identity and cosmopolitanism.
1994
1998
(then known as European Community) European Capital of Culture This event left traces in the urban matrix of Lisbon. The selection as the European capital of culture was a significant event, organized for the purpose of promoting and restoring the city, to improve and develop its infrastructure, and to construct new facilities for public and social use (galleries, museums, theatres, parks). World Fair Expo’98 The selection of the location for the Expo’98 site on the eastern coastal zone, which was until the a structuralfunctional barrier to urban development and to an opening toward the Tagus River, led to intense transformation of the entire zone. The strategic project of Expo’98 was based on two subprojects: the organisation of the World Exhibition and the urban redevelopment and revitalisation of the eastern coastal zone of Lisbon, planned as a medium and long-term. The global project management was conceived and structured in two phases: the first phase included the concept of the Intervention Zone as well as the Expo’98 site, preparing the ground, building the necessary infrastructure and suprastructure, setting up the exhibition, and organizing and operating the exhibition; the second phase included leading and managing the project for the further development of the IZ. Law 48/98 The law sets out the basis of spatial planning policy and urban development by defining and integrating the actions promoted by the public administration, in order to ensure proper organization and utilization of the national territory with a view to its exploitation, having as objective the economic, social and cultural integration, harmonious and sustainable development of Portugal and then of its regions and urban agglomerations.
Table 6. The most important urban plans of Lisbon (left) and the major national and citywide events (right). (source: authors)
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the Expo’98, the Euro2004, and the failed candidacy for the 2007 America’s Cup) and some strategies (for example, the attraction of EU agencies to Portugal) have operated in favour of Lisbon. As the economic and political capital, Lisbon is one of the first cities of Portugal to benefit from loans from the European Bank for EU structural investment and social cohesion funds. EU resources were fundamental for the realization of all the great recent urban projects (expansion of metropolitan networks, highway, railway, construction of the Tagus bridge, Expo’98, upgrading of water and sanitation services). The series of large-scale projects that have characterized the development of Lisbon by the end of the 1980s (the expansion of the motorway network and metro systems, the Vasco da Gama Bridge and the construction of Expo ‘98, as well as further plans for development of a new airport) were all central government initiative. The new policy initiatives have focused upon public welfare issues (for example housing and transportation). These policies have also developed significantly with respect to economic development (such as policies encouraging the development of skills, innovation and competitiveness) and the environment. In this way, national government programmes such as POLIS, which underline the importance of the environment within urban regeneration, and PER, a program for the improvement of slums, are examples of how the municipalities in the AML have been faced with delivering a new and rapidly developing central government policy agenda. “The existence of a number of examples of innovative private–public deals provides evidence of a significant change in thinking by both private sector interests and public entities towards the potential benefits of partnership working. The most high profile example of this was perhaps provided by Expo98” (Silva, 2006, pg. 14). In Table 6 we show the most relevant urban plans of Lisbon (on the left) and the major national and citywide events (on the right) of the last century. Lisbon’s socioeconomic and urban context in the 1990s In this chapter we will take a short excursus on the context in which Lisbon was collocated at the end of the XX century, and represent some relevant urban and socioeconomic challenges
that needed to be handled – this to introduce our Lisbon Expo’98 study case and to preface its frame of reference. From the economic point of view Lisbon has seen the shift towards a service-based economy and the tertiary sector employment rise to 70% of total employment from 1991, with a concomitant fall in manufacturing employment to 28% according to the population census. In the city, service sector employment in financial services and tourism has grown rapidly via major inflows of foreign investment, whilst resident population levels have fallen. Since 1981 the overall population that lives in the LMA has been relatively stable (and it is about 25% of the national population: 2.6 million - Table 5), but Lisbon’s demographic evolution is characterized by an aging population and the movement of the middle class and the young generation in the neighbouring municipalities. Since the 1980’s, former areas of port and manufacturing activities had undergone dereliction and in some cases subsequent regeneration, causing abandonment and decay of the industrial areas along the river margin; a double process of relocation can be seen here: from the historic centre to the outskirts of the city and from the periphery to the surrounding municipalities (small industries and workshops in the first case and heavy industry in the second). From an urban point of view the eastern half of the city of Lisbon was characterized by the isolation and social segregation of the ‘poorer’ strata of the city’s popolation, separated from the rich western zone, from an axis perpendicular to the Tagus river that consisted of natural obstacles and was strengthened by the lack of road connection structures. The effect of this situation, as well as the lack of cultural and recreational facilities (exclusively concentrated in the western part of the city), made the eastern part unattractive for investments. Lisbon’s port, as an essential structure of historic connection between Portugal and its colonies, was emptied of its original function and it was seen as an obstacle for the relationship between the city and the riverfront. Since the 1960s Lisbon’s urban governance history was defined by a centralized political and administrative power that not always created the conditions for equal opportunities for all the population that represented. A political and industrial elite promoted processes of capital concentration and the urbanization of land. “In the absence of spatial policies promoting decentralization, capital was allowed to take
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full advantage of economies of agglomeration without having to relocate production” (Cabral & Rato, 2002). The 1970s and 1980s were characterized by the increasing importance of the tertiary economy sector and by the urban sprawl into the northern and southern areas of the LMA; urban policies were mainly regulated by shortterm management criteria. Summarizing, in the early 90s there was pressing demand to achieve a better distribution of functions in the LMA; policies to counter the decline and aging of the population by way of attracting new and young residents; recovery of the riverfront through the creation of new open and public spaces; improvement of the transport and communication infrastructure in order to prevent the breakup of the urban and metropolitan system and by enhancing its natural hidden potential. In the next part we will focus on a particular urban development project: the Lisbon Expo’98. Big development projects as catalysers of urban transformation – the Lisbon Expo’98 World Fair
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In this context, the World Fair of 1998 was seen as a project capable of mobilizing the necessary resources to speed up the modernization of the city. In February 1990, the government initiated the application process and to the City of Lisbon was given the privilege of hosting the last International Exposition of the XX century (now on: Expo’98) under the jurisdiction of the Bureau International des Expositions (BIE). The theme of the event was “The Oceans, a Heritage for the Future”, which commemorated the 500th anniversary of Vasco de Gama’s arrival in India, and took place form May 22nd to September 30th. The city and the central government were highly interested in this opportunity of citybranding, and used this event to their advantage by promoting the regeneration and urban transformation of an important part of riverside with prospects for the environmental conversion and reclassification, also through the attraction of foreign investment. As soon as the confirmation was given by the BIE, the ruling government set up new planning instruments to replace the old urban plans. In 1994 was approved a Master Plan and a Strategic Plan, which picked the Riverside Arc as one of the four structural areas of the city, in particular the eastern riverfront was consider
as a ‘Logistic Platform’ for the metropolitan system as it offered the possibility to strengthen and reinforce the urban and economic integrity between the northern part of the municipality of Lisbon with the neighbouring Loures municipality. The Expo was seen as an occasion to give impetus to the urban renewal of the city, promote tourism and stimulate the economic development of the entire LMA. In planning terms, the Expo had the task to help modernize and upgrade a significant portion of the city, recompose the peripheral areas by accelerating the implementation of major road, transportation and communication systems in order to make the area more open and accessible. As a design project, it needed to boost the discussion around the city-river relationship and mobilize the urban government structure to accomplish awaited strategic objectives – in the Expo’98 case there were established special planning and financial conditions and tools that represented new ways of governance for Portugal, which were experimented in earlier urban development projects (UDP) in the US, UK, France and Spain. The appropriate location of the event was decided by analysing and searching where the greater catalyst effect could take place. The alternatives were: the metropolitan periphery, the west zone (Belém) or the eastern part of the city (as mentioned before was the poorest of them). The first choice was excluded for coordination and practical execution difficulties; the second was excluded as it would augment the internal imbalance of the city; the third option was chosen – an industrial site which had recently been abandoned but which had great development potential because of its proximity to the Tagus river – for it offered the greatest benefit to the modernization and rebalancing of the city structure and because it disposed a larger availability of soils. Once the site was chosen the City of Lisbon adopted a strategic plan for the eastern industrial/dockland area by means of new zoning regulations and planning objectives based on: (a) a support centre to the importexport enterprises integrated with offices, Fig. 5. Satellite image (2016) of the Lisbon and the location of Expo site, in blue dotted lines (original source: ESRI & Digital Globe). Fig. 6. The run-down part of eastern coast of Lisbon where the future Expo project would be developed. Fig. 7. The Expo site during the relocation works. Fig. 8. The construction of the new Expo project, just before the opening of World Fair Exhibition.
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shopping areas, accommodation and recreational parks; (b) a research and training centre on new technologies; (c) the reorganization of the Lisbon’s logistic platform as a regional interface in terms of passengers and goods; (d) the creation of public spaces along the east riverfront, integrating the different areas, community facilities, water sports and recreational facilities (Pelucca, 2010). In March 1993 was created an urban development corporation (UDC) named Parque Expo SA, a private coorporation with access to public funds. UDCs generally are created by initiative of the central government with the objective of regenerating an urban area by autonomously developing its own projects and attracting private investors; they have the power to acquire land and control its development process; most of them even surpass local authority regulations and established urban governance procedures when they possess specially conferred development power. There are many examples of UDCs in European countries that anticipated the Expo’98 case, the most resembling one (and nearly identical in organizational structure to Parque Expo SA) being Bilbao, Spain – where a declined industrial city, with loss of jobs and population was regenerated by the direct intervention of the central and regional government through the delegation of public resources and planning power to a UDC, named RIA 2000. If thoroughly compared to other UDCs (the first one in Europe appeared in 1981 in the dockland areas of London and Liverpool and more than 20 other similar cases followed it) we would clearly see a pattern and a trend of copying redevelopment strategies from precedent similar citywide projects, that make use of large international events to change the image of the city (Carrière & Demazière, 2002, pg. 3). Parque Expo SA had to accomplish two spatially different speculative operations: (a) one internal, that related to the production of high position value for the business, catering and services that were destined to reside inside the boundaries of the exhibition; (b) the other external of the Expo site, which consisted in the resale of urbanized land to private developers in order to build housing and offices. In addition, it had to manage and organize the representative and didactic theme of the ephemeral event during the official opening. The aim of this strategy was to assure the economic self-sufficiency of the operation.
The intervention programme for the Expo’98 project The Expo’98 Redevelopment Area covers a total area of 340 hectares, stretching along 5km of the Tagus estuary water-front, and includes 50 hectares around the former Olivais Dock – built as a hydroplane airport in the 1940s. The challenge of the Expo project was essentially to re-centre the city in its traditional urban shell, finding a new balance and new relationship in the city of Lisbon. In this context, the central riverside, from Cais do Sodré station in Santa Apolonia and tis connection to the downtown area of Baixa have played a strategic role. The Regional Strategic Plan for the metropolitan territorial planning (PROTAML) focused on the regeneration of the east riverside of the city, which in 1993 was abandoned and consider a run-down suburban area that needed the relocation of hazardous, polluted, and environmentally dangerous industrial installations – an oil refinery and fuel tanks, an abattoir, a sewage treatment plant, and a landfill dump site – in order to make it usable for future visitors and inhabitants. The Expo project enhanced the opportunities created by projects already programmed under the national and regional investment plans, financed by the EU Regional Development Fund (ERDF) (Cabral & Rato, 2002). Following the detailed studies of architectural and urban design ideas expressed in the competition for the renovation of the riverside area, launched by the Association of Portuguese Architects in 1988, a study of the Expo’98 site was carried out in 1991, with the preparation of the preliminary plan by the architects Carlos Duarte e José Lamas. Towards the end of 1992, once the corridor for the new bridge was decided (over the Tagus, between Sacavém and Montijo), the architects Graca Dias and Egas Vieira build the Preliminary Master Plan and authored the “design study for a new urban model in Expo’s surrounding area”.
Fig. 9. Post-Expo’98 Urban Plan - Nations’ Park (simulation of the final urban land use). Vassalo Rosa/ Parque Expo SA Fig. 10. Satellite image (2016) of the Expo site and the sorrounding neighbourhoods today (original source: ESRI & Digital Globe).
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Expo’98 Urban Development Plan It was in this context that Parque Expo SA (created by a central state decree on March 23rd, 1993) set up a clear urbanization plan for the redevelopment of the area as much as for its legacy, under the direction of architect Vassalo Rosa in November 1993. The comprehensive development programme, worked out by Parque Expo SA, was officially adopted by the Ministry of Planning and Development the 15th July 1994 and dispensed the need for public inquiry. The plan focused on the design of the public areas and buildings for Expo’98. The urban design concept was based on the “system of small plazas” and makes a definitive mark on the place. The availability of the whole area laid down the conditions for individual architectural expression – that is a constant in a World Exposition. “The emblematic buildings are therefore active participants in the creation of the urban design … in the same way that other buildings make a strategic contribution to the design of public space” (Vassalor Rosa, 1998, pg. 2). The involvement of prestigious figures within the international architectural scene constituted a big factor for rehabilitating the urban image of the site by raising the architectural quality of the whole surrounding area. Most of the buildings are an extraordinary legacy left behind to the city: the multi-modal international station designed by Calatrava, the Oceanarium (the most important in Europe), the Portuguese Pavilion designed by Siza Vieira, the panoramic Tower of the old refinery now re-used as the South Gate to the Central Boulevard, the multi-purpose Pavilion (a vast 11,000-seat arena for large-scale cultural and sporting events), the Exhibition Centre, the 600-berth marina, the careful landscaping of five kilometre of the river bank, etc. Public space as a whole is seen here as a structure-providing project and treated as a space for urban relations, combining all its function on the human scale. The pedestrian traffic on the waterfront is separated from the road infrastructure system which skirts the site. The environment component was a determining factor in the urban renewal of the Parque Expo’98 Redevelopment Area, combining water resources, climate, geology, transport, public spaces, green zones, the system views, diversity and density of use, facilities, infrastructure and services, cultural and architectural testimony, urban art and technological innovation, the uniqueness and
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sensitivity of the site. There are 110 hectares of open space (including a park of 84 hectares), and 30,000 trees were planted before the construction. Since the operation needed to be financially self-sufficient the economic strategy had a clear and important role by favouring up-marked properties. This was done by locating lowrise buildings close to the river front, while the high-rise buildings are closer to the historic neighbourhoods, volumetrically creating a levelled scheme of panoramic views – this also assures the improvement in marketability of the high-rise portion. The facilities on the Intervention zone, which mostly are concentrated in the expo park boundaries, have a local and citywide influence and are grouped in three types: housing, cultural and service-oriented, and commercial (Bischeri & Bosio, 2015, pg. 7). A variety and high density of mixed uses has been reached by ensuring important service and commercial facilities, which have local and citywide functions, like: the largest shopping centre in the country, university facilities, a hospital and the Lisbon Exhibition Centre – all these contribute to the attractiveness of the new central space. The impact of the Expo’98 urban project is clearly intended to be felt at a wider scale than the boundaries of Intervention Zone (50 hectares) or even of Action Zone (350 hectares). In all the official executive documents prepared by Parque Expo SA, the action zone was always promoted and portrayed as a new city-centrality – so the augmenting of accessibility through the reorganization of the road system was another key factor. The infrastructure includes the 13 kilometre long Vasco de Gama bridge and the Gare do Oriente transport hub (the inter-modal station: rail, subway, and bus lines), which guarantee easy circulation to the Nations Park (as the whole Expo site will be known later). The hierarchical and articulated road network facilitates the integration of the existing neighbourhoods with the new urban project. Detailed Plans The Urban Plan was subdivided in six Detailed Plans (DP) and Projects for Public Space, which covered the whole of the Redevelopment Area. At that time it was forecasted that the construction of the large-scale facilities on the 50 hectares of the interior of the Expo would be the priority and they would be completed before the
opening of the official exhibition by May 1998 – while the entirety of the project would continue until 2009 across the action zone. Again, one has to notice the important role and leadership of Parque Expo’98, whose activities were all along guided by long-term urban regeneration objectives. The DPs were developed simultaneously under the general direction and coordination of the Urban Plan (Architect and Urbanist Vassalo Rosa), in order to consolidate the guidelines of the urban concept proposed: * DP1, Central Area (Prof.Arch. Tomas Taveira), develops the morphology of the environmental already existing in Lisbon, and explores new forms linked to southern cultural anthropology. * DP2, Site Area (Arch. Manuel Salgado and Landscape Arch. Gomes da Silva), was the object of an initial masterplan (Arch. Marumatsu) and it articulates the ephemeral with the permanent components of the Lisbon World Exposition, in line with the modulated urban mesh of the city, so as to guarantee its visual identity. * DP3, Southern Area (Prof.Arch Troufa Real and Arch.Paes. Ribeiro Telles), valorises local morphological unique features and affirms urban reference models already rooted in the Portuguese urban planning culture. * DP4, Northern Area (Arch. Cabral de Mello e Arch. Maria Manuel Godinho), in line with the Urbanisation Plan, makes public space more diverse and informal, though without destroying its overall discipline. * DP5, Sacavèm Area (Arch. Maria Manuel Cruz and Arch. Ricardo Parrinha), valorises the uniqueness of its location and context, opposite the City Park. * DP6, Tagus and Trancào City Park Area (Arch.Paes. Hargreaves and Joào Nunes), reinvents and makes its aesthetic mark on the landscape of the river-front area. References * Alden J. (1996) , Lisbon Strategic planning for a capital city, Cities, Vol 12, No 1, pp. 25-36 * Balbo M. (2007), International migrations and the ‘Right to the City‘, Università IUAV di Venezie, Cosmopolitan Urbanism * Balsas C. (2007), City Centre Revitalization in Portugal A Study of Lisbon and Porto, Journal of Urban Design, Vol. 12, No. 2, pp. 231 – 259 * Baptista I. (2011), How Portugal Became an ‘Unplanned Country’ A Critique of Scholarship
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La CittĂ nella Globalizzazione
Lisbona Expo’98, progetto e legacy
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Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente La Città nella Globalizzazione Professore: Prof. Marcello Balbo a.a. 2015-2016
Febbraio 2016 Giugno 2016 Venezia
Lisbona Expo’98, progetto e legacy
Contenuti: * Abstract * Introduzione * Contesto socio-economico e urbanistico della città di Lisbona * L’Expo come catalizzatore di trasformazione urbana * Il programma per l’area * Il Piano di Urbanizzazione * I Piani dettagliati (PP) * Expo Urbe – Parco delle Nazioni * Conclusioni Bibliografia
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Team * Davide Comerlati * Elvis Paja
Lisbona Expo’98, progetto e legacy
Abstract Le Esposizioni Internazionali mettono in mostra la capacità delle nostre società di realizzare una trasformazione efficace, molto estesa nello spazio e molto breve nel tempo. L’Expo’98 è stata ispirata al mare, agli oceani, alla Scoperta e alle scoperte. Questa relazione studia la forma dell’evoluzione di questo fenomeno e le ripercussioni e i contributi che ha apportato a livello di area metropolitana della città di Lisbona. Vengono analizzate il contesto, le sfide e le misure adottate dal governo centrale e locale per raggiungere gli obiettivi prefissati a breve e lungo termine e l’eredità urbana lasciata dopo l’avvenimento. Parole chiavi: Expo’98, Parco delle Nazioni, Parque Expo S.A. Introduzione
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L’Esposizione universale di Lisbona del 1998 è uno degli ultimi progetti e l’ultima esposizione del XX secolo, con il tema “Gli oceani: un’eredità per il futuro”, nell’anno internazionale degli Oceani. Essa ha avuto luogo dal 22 maggio al 30 settembre generando profonde conseguenze sulla trasformazione urbana con prospettive di riconversione e riclassificazione ambientale. Lisbona è una delle città posizionate più ad ovest dell’intero continente europeo e la sua esposizione internazionale è stata ideata come la fine di un percorso e l’inizio del nuovo millennio. L’Expo, per realizzare il costoso obiettivo didattico e rappresentativo delle mostre a tema, ha associato due operazioni speculative: una interna, relativa alla produzione di un alto valore di posizione per le attività commerciali, per la ristorazione e i servizi; situazione temporanea, ma destinata a una certa permanenza, seppure con una distribuzione dipendente dalle nuove centralità che hanno cominciato a formarsi dopo la mostra. Una seconda, in gran parte esterna all’area dell’Expo, che consiste nella rivendita dei suoli urbanizzati a imprenditori privati per la costruzione di alloggi e di uffici. Con le risorse finanziarie che si addensano intorno all’Expo, si riesce a pagare un’operazione più estesa, che ha fatto affluire ancora nuove risorse e nuovi guadagni. Fig. 1. “Parco delle Nazioni” Lisbona. Fonte: http:// bussoladiario.com
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Fig. 2. La Baixa Pombalina
L’area totale è di circa 340 ettari e la sua localizzazione è stata scelta in base a diversi fattori: la riqualificazione, la relazione con il contesto, lo sviluppo sostenibile e l’integrazione urbana, con l’obiettivo di ristabilire la relazione della città con le rive del fiume Tago e rivalorizzando la città come Capitale dell’Atlantico. La posizione dell’Esposizione lungo la riva del fiume Tago e la zona portuale ha conformato le aspettative di questo evento concentrando nell’area infrastrutture e servizi. La condivisione di modelli urbani (evidenti in molte metropoli), il successo di Barcellona e le difficoltà di Siviglia, sono state di fondamentale importanza per l’Expo di Lisbona. Con lo sviluppo dell’area destinata ad Expo si è formata una nuova centralità, contribuendo al bilanciamento dello sviluppo dell’area metropolitana di Lisbona, senza competere con le esistenti centralità della città. Ad oggi l’idea di “Lisbona, Città sul fiume” è associata alla memoria della città del quindicesimo secolo, dove la varietà degli spazi urbani, la morfologia ed i nomi dei luoghi sono connessi con il sito e la vita di questi tempi. L’Esposizione universale di Lisbona del 1998 sembra aver contribuito alla sua individualizzazione ideale, proponendosi come un evento di apertura del nuovo millennio con conseguenze relative al mutamento ed alla trasformazione della capitale portoghese e con l’obiettivo di restare una delle città più importanti d’Europa. La localizzazione dell’Expo lungo le sponde del fiume Tago è stata una delle scelte più lungimiranti per la rivalorizzazione dell’intera area e per l’importanza dell’acqua sia per la città sia per il tema trattato durante l’esposizione.
Nella parte restante della relazione abbiamo ripercorso la strada progettuale di quest’operazione di grandi dimensioni, analizzando le più importanti innovazioni introdotte sia a livello dell’ambiente urbano dell’area metropolitana, ma anche quelle a livello delle procedure legislative nazionali e locali. Si è ricostruito il quadro contestuale socio-economico e urbanistico che procedeva la realizzazione dell’evento, e come tale esperienza ha soddisfatto le aspettative dei cittadini e delle istituzioni. Si sono analizzate le sfide che l’amministrazione competente ha dovuto affrontare, gli strumenti di gestione amministrativo-urbanistici necessari per la formazione e alienazione dei lotti urbani dopo la conclusione dell’evento, gli effetti moltiplicatori e la legacy che l’Expo ha lasciato. Contesto socio-economico urbanistico della città di Lisbona
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Nel quindicesimo secolo il Portogallo era una delle più grandi potenze marittime con oltre 300 navi ed a metà del sedicesimo secolo Lisbona non era soltanto un punto tra l’Europa e gli altri continenti ma uno dei più importanti centri commerciali, finanziari, tecnici, scientifici e demografici. La relazione tra la città e la riva del fiume Tago è molto importante visto che la città di Lisbona si identifica con il suo riverfront, uno dei maggiori spazi economici, politici, sociali e culturali. La Corte Reale, il commercio, attività economiche pubbliche e private sono localizzate ed organizzate vicino ed attorno alla riva. Fin dal XVIII secolo, Lisbona era la città sul fiume
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per eccellenza, dove la vita si espandeva tra la riva ed il mare, in cui il fiume Tago è considerato “the great road”. La perdita della supremazia navale del Portogallo durante il diciassettesimo secolo e l’emergere di una nuova potenza navale e commerciale hanno fatto diventare Lisbona uno dei più importanti centri commerciali internazionali. Da questo periodo in poi, lo sviluppo e la modernizzazione della città sono stati possibili da alcuni progetti finanziati dal lavoro delle colonie, Brasile in particolare. Con la catastrofe e la crisi causata dal terremoto del 1755, Lisbona ha subito un profondo cambiamento grazie alle risorse tecniche, politiche e finanziarie. La ricostruzione della Baixa Pombalina, notabile esempio di urbanistica illuminsta del XVIII secolo, è stata pianificata, progettata e realizzata in un breve arco di tempo, in seguito al terremo che distrusse la quasi totalità del centro di città. Il riverfront e la relazione con il fiume ha assunto un ruolo centrale nella trasformazione e modernizzazione della capitale, con il chiaro intento di connettere la città con il suo interno e creare nuove aree di sviluppo economico, con particolare attenzione al commercio ed all’industria. A metà del diciannovesimo secolo iniziarono i lavori per la modernizzazione dello stato tramite le infrastrutture ferroviarie, stazioni e lo sviluppo del porto. Dopo decenni di studi, piani ed indecisioni per quanto riguarda lo sviluppo del lungofiume, è stato deciso che il porto avrebbe subito opere di ingegneria. Allo stesso tempo, la ricostruzione della città è stata orientata verso l’interno, aprendo nuovi percorsi stradali e la creazione di nuove aree residenziali fuori dalla vista del Tago. Nel corso del XX secolo, Lisbona ha consolidato questa “interiorizzazione” in relazione al fiume, accentuata dalla stazione metropolitana che è stata costruita durante gli anni cinquanta e sessanta. Sul fronte del fiume la città è formata da due spazi pubblici in relazione con esso, Praca do Comércio e Praca do Cais do Sodré. Altre aree erano occupate da attività dipendenti e accessibili create dal porto, dalla ferrovia e dalla rete di strade regionali. Durante gli anni quaranta il regime salazarista, supportato da un’intensa politica di lavori pubblici, manodopera a basso costo, un potere forte e concentrato, ha riorganizzato la città di Lisbona come capitale di un vasto impero coloniale. In quegli anni, espropriando vaste aree a beneficio dell’amministrazione comunale vaste
aree che ancora oggi costituisco una riserva per l’espansione delle città, si realizzarono un aeroporto, l’ampliamento del porto, nuove attrezzature pubbliche (tra cui il nuovo campus universitario e lo stadio nazionale), i tracciati di nuove vie urbane ed il primo nucleo del Parque de Monsanto. La caduta del regime nel 1974 e l’indipendenza delle colonie riporta il Portogallo e Lisbona nel contesto europeo e solleva il tema del ruolo della capitale di un paese periferico. Negli anni ottanta Lisbona era una città degradata dotata di una rete infrastrutturale e di comunicazione deficitaria, nel pieno di un processo di deindustrializzazione. La necessità di modernizzazione corrisponde alla fine della guerra coloniale, alla stabilizzazione postrivoluzionaria del 1974 e all’adesione alla Comunità Europea. L’esigenza di migliorare la qualità di vita della popolazione, e di sviluppo della base economica rendono imprescindibili il recupero del ritardo accumulato nella costruzione dei grandi sistemi viari di trasporto e comunicazione, nell’ammodernamento dei sistemi di telecomunicazione, delle reti di smaltimento e nella localizzazione di nuove attrezzature collettive. Parallelamente una nuova coscienza richiede il recupero del patrimonio storico, architettonico e paesaggistico della città. È a partire dall’inizio degli anni ’90 che inizia il rinnovamento: • gli ingenti finanziamenti della Comunità Europea danno una grande spinta allo sviluppo dei nuovi “materiali urbani” – infrastrutture viarie e di telecomunicazione, attrezzature pubbliche, aree commerciali, centri servizi – che hanno in pochi anni praticamente riallineato il paese agli standard degli altri stati europei; • il paese si dota di un moderno sistema di pianificazione e si approvano i primi piani regolatori. È in questo contesto che nasce l’idea di lanciare un grande progetto catalizzatore del rinnovo urbano di Lisbona, capace di mobilitare i mezzi finanziari e generare le sinergie per una effettiva modernizzazione della città. Per capire il progetto Expo’98 è importante soffermarsi sugli aspetti più rilevanti della situazione di Lisbona all’inizio degli anni novanta: • da un punto di vista demografico Lisbona si caratterizza per la sua stabilità nei decenni ’60 e ’70, anche se questa è dovuta al forzato rientro dalle ex-colonie, mentre nel decennio ’80 si segnala una diminuzione e nel 1991 si
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Fig. 3. Piano Regolatore di Lisbona 1995: l’area Expo (in rosso) in rapporto alla città.
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contano 670.000 abitanti. Parallelamente, nel periodo ’60-’70 si verifica un’accelerata crescita della propria Area Metropolitana con una fase di stabilizzazione negli anni ’80, con i 2.5 milioni di abitanti nel 1994. L’evoluzione demografica di Lisbona si caratterizza dall’invecchiamento della popolazione e dallo spostamento della classe media e giovane nei comuni limitrofi dell’Area Metropolitana. da un punto di vista della sua base economica, Lisbona verifica l’obsolescenza della sua struttura industriale, con l’abbandono e la decadenza delle aree industriali lungo il margine fluviale ed un doppio processo di delocalizzazione: dal centro storico verso la periferia della città e dalla periferia ai comuni limitrofi (piccola industria ed officine nel primo caso e industria pesante nel secondo). Per quanto
riguarda il terziario Lisbona denota una elevata concentrazione nel centro della città con un conseguente congestionamento dell’area centrale ed una forte pressione alla trasformazione dell’uso della struttura edificata (causa di un elevato numero di alloggi inutilizzati, nel 1991 circa il 15%, e della desertificazione del centro storico). • da un punto di vista urbanistico Lisbona si caratterizza per: 1. l’isolamento e la segregazione sociale della metà orientale della città, separata dalla zona ricca, posta ad ovest, da un asse perpendicolare al fiume Tego costituito da ostacoli naturali (orografici e fisici) rafforzati, oltre che dalla mancanza di strutture di collegamento viario, da una politica di localizzazione dei quartieri di edilizia sociale e delle industrie che caratterizzano quest’area come una zona povera e poco
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attrattiva per gli investimenti; 2. l’insufficienza di attrezzature culturali e ricreative (concentrate esclusivamente nella parte occidentale della città) e la mancanza di spazi pubblici e di verde sacrificati alla circolazione e al parcheggio delle automobili; 3. la distruzione indiscriminata della città storica dovuta alla carenza di politiche di difesa del patrimonio sostenute da azioni concrete di pianificazione e gestione della città; 4. il blocco delle relazioni della città con il fiume; il porto di Lisbona, cresciuto nei secoli come struttura essenziale nei rapporti Portogallo/Colonie, è ormai svuotato delle sue funzioni 5. la carenza e obsolescenza delle reti infrastrutturali, in particolare le reti di smaltimento, di distribuzione dell’energia elettrica, gas e telecomunicazioni. Riassumendo all’inizio degli anni ’90 si verifica l’urgenza di interventi volti a: • ottenere un miglior equilibrio interno della città e dell’area metropolitana nella distribuzione delle funzioni principali; • contrastare la diminuzione e l’invecchiamento della popolazione, attraendo nuovi residenti e stabilendo i giovani; • recuperare il fronte fluviale, aprendo la città al fiume, riqualificando gli spazi pubblici e riequilibrando le aree in tutto la città; • migliorare le infrastrutture di trasporto e comunicazione per evitare la rottura del sistema urbano e metropolitano. L’Expo come catalizzatore trasformazione urbana
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di
È in questo contesto che nasce il progetto Expo’98 come progetto capace di mobilitare i mezzi necessari per accelerare l’ammodernamento della città. Nel febbraio del 1990 il Governo decide di dar inizio al processo di candidatura del Portogallo alla realizzazione di una Esposizione Mondiale incentrata sugli eventi legati alle scoperte portoghesi oltreoceano. L’Expo rappresenta da subito l’opportunità per dinamizzare il rinnovo urbano della città, di promuovere il turismo e di stimolare lo sviluppo economico dell’intero paese. In termini urbanistici, l’Expo dovrà contribuire a modernizzare e riqualificare una parte significativa della città, ricomporre le aree periferiche accelerando la realizzazione dei grandi sistemi viari e di comunicazione,
rilanciare attorno ad un progetto concreto la discussione sul rapporto città-fiume e sul riordino del fronte portuario, proporzionare un insieme di attrezzature di livello metropolitano capaci di riequilibrare urbanisticamente Lisbona e di renderla competitiva a livello nazionale e internazionale. Lisbona ha seguito l’esempio di Barcellona, sfruttando la possibilità di ospitare l’Esposizione Internazionale tramite lo sviluppo di nuove opportunità urbanistiche. La ricerca di un maggior effetto catalizzatore possibile ha orientato il progetto fin dall’inizio, nella scelta della corretta localizzazione dell’evento. Le alternative: nella periferia metropolitana, nella zona occidentale (Bèlem) o nella zona orientale della città, da sempre la parte più povera. Esclusa la prima per le difficoltà pratiche di coordinamento e di esecuzione, esclusa la seconda perché causa di incremento di squilibri all’interno della città, scelta la terza per i maggiori benefici all’ammodernamento e al riequilibrio della città, oltre che per la maggior disponibilità di suoli. Questa decisione di localizzare l’Expo a est della città, in una zona industriale, coinvolta da un processo di delocalizzazione da parte dei grandi gruppi industriali, ha creato le condizioni per una riconversione controllata, nella forma e nel tempo, di una vasta area la quale stava diventando sempre più degradata, con un impatto ambientale fortemente negativo per la città. L’opzione viene sostenuta dal Comune di Lisbona attraverso l’adozione di un piano strategico per l’area industriale/portuaria orientale basata su: • un centro di sostengo alle imprese di importexport integrato con uffici, aree commerciali, strutture ricettive, parchi ricreativi; • un centro di ricerche e di formazione professionale sulle nuove tecnologie; • riorganizzazione e modernizzazione della piattaforma, logistica di Lisbona quale interfaccia della regione a livello di passeggeri e merci; • creazione di un spazio pubblico lungo il fronte fluviale orientale, integrando le diverse aree, le attrezzature collettive e le strutture per le attività nautiche e ricreative. Il programma per l’area Il progetto urbano Expo’98 è il culmine di un percorso culturale e politico che ha avuto luogo negli ultimi decenni, permettendo la creazione di nuove proposte di urbanistica che corrono verso il fiume.
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Fig. 4. Foto aerea della zona del futuro Expo nel 1993. Fonte: Vassalo Rosa / Parque Expo S.A.
Fig. 5. Foto aerea della zona Expo durante i lavori di riqualificazione. Fonte: Vassalo Rosa / Parque Expo S.A.
La sfida del progetto Expo è essenzialmente quella di ri-centrare la città nel suo guscio urbano tradizionale, trovando nuovi equilibri e nuove relazioni nella città di Lisbona. In questo contesto, la zona centrale di riverside, dalla stazione di Cais do Sodré a Santa Apololonia, e la sua connessione con la zona del centro di Baixa hanno avuto un ruolo strategico. Il Piano regionale per la pianificazione territoriale della strategia dell’area metropolitana (PROTAML) si è incentrato sulla riqualificazione della zona orientale riverside della città di Lisbona, la quale nel 1993, era in abbandono e considerata una fatiscente zona periferica occupata da sgradevoli, locali industriali inquinanti e pericolosi, ponendosi come obiettivo la sua trasformazione e riconversione
con la realizzazione di nuove infrastrutture per renderla fruibile dai futuri visitatori. Seguendo i dettagliati studi di progettazione architettonica e urbana espresse al Concorso Idee per la ristrutturazione della zona riverside, lanciata dall’associazione degli architetti portoghesi nel 1988 e il VALIS, nel 1990, uno studio sul luogo di Expo’98 è stata effettuato nel 1991, con la redazione del Piano preliminare da parte degli architetti Carlos Duarte e José Lamas, garantendo lo svolgimento della manifestazione a Lisbona, dopo aver gareggiato con successo contro altre città in tutto il mondo. Verso la fine del 1992, una volta che il corridoio per il nuovo ponte sul fiume Tago tra il Sacavém e Montijo era stato deciso, gli architetti Graca Dias e Egas Vieira hanno costruito il Master Plan
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preliminare e redatto lo “Studio di progetto per un nuovo modello urbano nella zona Expo’98 circostante”, con l’obiettivo di stabilire una idea per il disegno urbano e per valutare l’idoneità per la costruzione sul terreno. Una volta presa la decisione di tenere l’Esposizione Internazionale di Lisbona 1998 è stata istituita Parque Expo’98 S.A., una società dotata di poteri e competenze specifiche in termini di pianificazione territoriale dell’area di riqualificazione con lo scopo di promuoverne l’attività. A metà del 1993, il progetto preliminare di urbanizzazione per l’area di 25 ettari è stato elaborato sotto la direzione dell’architetto Nuno Portas con il titolo “Idea Contest per il sito Expo’98”. Lo scopo del concorso è stato di non venire con un progetto definitivo per il sito, ma di generare idee finalizzate alla sua pianificazione territoriale. La maggior parte delle proposte presentate dai concorrenti era focalizzata sull’Esposizione del sito stesso; alcuni, però, hanno affrontato il problema della sua posizione all’interno dello spazio di riqualificazione, rispettandolo o alterandolo. Delle cinque proposte vincenti sono da sottolineare le soluzioni presentate dagli architetti Norman Foster e Manuel Vincente, entrambi con grande impatto simbolico e abbracciando “l’effimero” come un linguaggio urbano. Dopo la conclusione della strategia di Master Plan di Lisbona e Loures, entrambi i comuni hanno elaborato documenti urbanistici nel mese di aprile 1993. Questi erano da prendere in considerazione nello sviluppo dei progetti, di studi di pianificazione territoriale e dei progetti per l’area di sviluppo in quanto questo territorio era coperto anche da distretti municipali. Il Piano di Urbanizzazione 210
È stato in questo contesto, nel novembre 1993, che Parque Expo S.A. ha impostato il Piano di urbanizzazione per l’area di riqualificazione sotto la direzione dell’architetto Vassalo Rosa. Il piano si è concentrato sulla progettazione delle aree pubbliche e gli edifici per Expo’98, che copre l’intera area oggetto di riqualificazione, per una superficie totale di 340 ettari con 5 chilometri di fiume, ubicata nel centro geografico e con facile accesso all’area metropolitana di Lisbona. Il Piano di urbanizzazione integra il disegno della struttura urbana, sulla base del “sistema
delle piccole piazze”, con la progettazione dello spazio pubblico, i recinti urbani con le loro singolarità, le cosiddette invarianti, andando a ridurre gli aspetti essenziali di variazione e la diversità formale dell’architettura. La città di Lisbona è strutturata attraverso assi che corrono in modo perpendicolare tra loro. I principali assi longitudinali, simbolicamente allineati, sono arricchiti dagli assi trasversali, che corrono verso il rivefront; la regolarità della griglia ortogonale è adattata alla morfologia, livellato dal terreno e si sviluppa, in zone con quote più elevate, lungo fondamenta sollevate, formando piazze e terrazze che si affacciano sul fiume. Lo spazio naturale del grande estuario del Tago spicca sorprendentemente dal sistema di punti di vista formati dai viali alberati e sentieri del parco cittadino. Il Piano di Urbanizzazione, il cui obiettivo era la riqualificazione urbana e la riconversione della zona oltre allo sviluppo prioritario di Expo’98, si è basato sui seguenti obiettivi strategici: • rafforzamento dell’unicità geografica della zona di riqualificazione lungo il fiume Tago e il suo ruolo centrale nella rete stradale e ferroviaria dell’area metropolitana di Lisbona; • attuazione di una struttura polifunzionale, la quale forma un polo metropolitano di elevate dimensioni di elevata qualità ambientale ed urbana; • sfruttamento della posizione di Expo’98 e realizzazione di progetti e piani presenti nel processo di riqualificazione e riconversione urbana; • incorporare all’interno della strategia PROTAML, l’articolazione con i piani e la creazione del piano di urbanizzazione entro i limiti di legge al fine di consentire lo sviluppo di alternative che potranno essere concluse nei Piani dettagliati (PP). I piani dettagliati (PP) e Piani di area pubblica da eseguire prima della fase di EXPO, hanno contribuito a consolidare le grandi linee del disegno urbano proposto: • PP1, Zona Media, dall’architetto Tomaz Taveira, sviluppa le morfologie delle condizioni ambientali preesistenti ed esplora nuove forme legate all’Europa meridionale; • PP2, Exposition Site, l’attenzione del piano elaborato dall’architetto Muramatsu e successivamente sviluppato dall’architetto Manuel Salgado, integra l’effimero e il permanente lungo la griglia urbana modulando la città, in modo da garantire l’identità visiva dell’Esposizione mondiale;
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Fig. 6. Pianta post-Expo’98 (simulazione dell’occupazione finale). Fonte: Vassalo Rosa / Parque Expo S.A.
PP3, Zona Sud, dall’architetto Troufa, esalta le caratteristiche morfologiche locali e approva i modelli di riferimento urbani che fanno parte della radicata cultura urbanistica europea; PP4, Zona Nord, elaborato dagli architetti Cabral de Mello e M. Manuel de Almeida, valorizza le aree pubbliche, rendendole diverse ed informali, pur senza distruggere la loro disciplina generale; PP5, Sacavém Zone, progettato dagli architetti Manuel Cruz e Ricardo Parrinha, esalta l’unicità della sua posizione e l’ambiente; PP6, Tago e Trancão City Park, progettato degli architetti del paesaggio Hargreaves e Joao Nunes, il quale qualifica esteticamente il paesaggio del lungofiume.
Nei piani di sub-settore sono compresi necessariamente gli studi di architettura urbana, contenenti la descrizione dei concetti e dei regolamenti che devono essere rispettati, volumetria, allineamento, livelli, linee di vista, materiali di rivestimento e tonalità dei colori, norme specifiche per le facciate, ecc., insieme a una descrizione delle opere urbane. Al fine di garantire che questi piani subdivisione siano coerenti e fare in modo che i concetti contenuti nel piano di urbanizzazione siano implementati, quest’ultimo comprende “unità” e “pianificazione e gestione sub-unità”, regolati da piani dettagliati, e identifica i piani di riferimento urbani (PUR), i piani di costruzione di riferimento (PER), ed i piani per le zone interstiziali (PAI), così come i regolamenti che disciplinano l’unificazione dell’urbano e le sue caratteristiche. I PUR coprono le zone urbane in cui la continuità e strutture urbane determinano l’immagine urbana, formando i suoi assi di strutturazione: piattaforma panoramica, la strada Thoroughfare e l’ingresso del Sole, nel PP1; Dock e Riverside Walk, Boulevard e Central Plaza, nel PP2; Riverside Walk, entrata in mare e Cabeço das Rolas, nel PP3; Rua Joao Pinto Riberio e la Via de Portela, nel PP4. I PER coprono le zone urbane la cui immagine urbana è determinata dalla unicità dell’edificio, formando i suoi poli di strutturazione: stazione Oriente, l’edificio in cima alla strada principale della piattaforma e gli edifici panoramiche centrali, nel PP1; Padiglione portoghese, Padiglione dell’Oceano, Torre della raffineria, Padiglione multiuso, Centro espositivo, nel PP2; edificio “schermata” nel PP3; edificio “Spirale” nel PP4.
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Fig. 7. Pianta degli Spazi Pubblici e degli Elementi Strutturanti, comprendente indicazioni per i Piani dettagliati (PP). Loìs Vassalo Rosa, 1994.
Infine, il PAI copre il tessuto urbano completando e omogeneizzando la struttura urbana. Così, la delimitazione ed i programmi preliminari dei piani dettagliati, che è servita come base per la selezione delle squadre incaricate di redigere le dettagliate studi di pianificazione urbana, ha assicurato che sono stati attuati in conformità con questi principi, parte integrante del piano di urbanizzazione di essere rispettato e valorizzato. All’interno della flessibilità prevista dai piani dettagliati e rispettando i loro parametri urbanistici, era stata consentita l’alterazione al layout dei lotti. Tuttavia, tali modifiche, inserite successivamente, implicano la creazione di nuove soluzioni progettuali, le quali devono salvaguardare l’unità urbana, in conformità con i concetti stabiliti, e le unità architettoniche e paesaggistiche precedentemente regolate. Anche per i colori e per le facciate degli edifici, i materiali e le specie da utilizzare nella pavimentazione e messa a dimora degli spazi aperti, oltre alla segnaletica, alle attrezzature ed all’arredo urbano, si sono osservate delle specifiche indicazioni stabilite da Parque Expo S.A. I Piani dettagliati (PP) 212
I piani dettagliati (PP) sono gli strumenti di gestione amministrativa e urbanistica necessari per la formazione della divisione legale della terra in lotti urbani e la sua rispettiva alienazione. I piani dettagliati, redatti in conformità con la legislazione specifica, stabilita per l’area oggetto di riqualificazione, contengono una definizione e descrizione dei lotti di terra e dei regolamenti che disciplinano la loro suddivisione in lotti urbani, di cui Parque Expo è stato uno dei responsabili per la loro preparazione e successiva approvazione. A quest’ultima è stato inoltre conferito il potere di definire il regime di alienazione e rispettivi diritti.
PP1 - Piano per l’area pubblica nella zona centrale. Il piano per l’area pubblica PP1, comprendente la stazione ferroviaria e le caratteristiche del piano di urbanizzazione, è stato sviluppato presso Parque Expo 98, S.A. sotto la direzione dell’architetto Luis Viana Baptista, e si è concentrato su tre obiettivi principali: • fornire in tempi brevissimi, durante l’allestimento di Expo’98, un’immagine di elevata qualità; • fornire a lungo termine l’immagine di un periodo ed un luogo simbolo per la storia della città di Lisbona; • fornire a medio termine, dopo l’Expo, un’immagine sostenibile di qualità che contribuirà nella sua fase più critica verso il successo dell’operazione immobiliare Expo Urbe. I principali fattori alla base della sua progettazione sono stati gli edifici, la rete stradale e gli alberi, integrati dal sistema di illuminazione pubblica, la progettazione delle pavimentazioni e gli impianti pubblici della zona pubblica. Il PP2, Zona del Recinto (Manuel Salgado). Il PP2 corrisponde all’area di maggior importanza in quanto fulcro di tutta l’operazione Expo’98; in quest’area infatti sono state concentrate le attrezzature collettive servite nel 1998 per la manifestazione ed oggi utilizzate per gli avvenimenti a scala metropolitana. Il progetto dello spazio pubblico della zona del Recinto è strutturato sui seguenti elementi: • un progetto di suolo fondato su di una maglia ortogonale di 7 metri, che stabilisce le regole della composizione e del disegno delle pavimentazioni, dell’arredo urbano, delle piantumazioni e delle edificazioni; • due assi ordinatori ortogonali, Alameda dos Oceanos e Rossio dos Olivais. L’alameda alberata, parallela al fiume, ha ospitato durante l’Expo il percorso tematico
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Fig. 8. La sequenza di spazi collettivi dalla Gare do Oriente fina al Tego
dell’acqua; oggi accoglie e distribuisce gli abitanti della capitale che vi si recano per passeggiare o per recarsi ad una delle grandi attrezzature ricreative e culturali. Il Rossio collega Praça do Oriente al secondo percorso tematico dell’esposizione, la costa, lungo le sponde del Tego (Passeio Fluvial); • la Doca dos Olivais caratterizzato dal muro-argine in pietra e dalla grande piazza d’acqua sul Tego che ospita le attività nautiche e ricreative. La concezione dell’ambiente esterno, dall’arredo urbano e delle installazioni artistiche pensate per l’esposizione sono rimaste e contribuiscono alla fruizione pubblica degli spazi collettivi. PP3 – Piano per la zona sud dell’area pubblica. Il design della nell’area pubblica del PP3, elaborato sotto la direzione dell’architetto Troufa Reale, sviluppa il concetto di modelli di riferimento urbani citati in precedenza, come l’organizzazione del percorso seguito dalle infrastrutture sotterranee per garantire la vitalità del paesaggio e “l’architettura del suolo” proposte, con l’intervento di progettisti del paesaggio, da artisti e pianificatori del sistema urbano, con l’obiettivo di ottenere soluzioni creative con materiali tradizionali e coerenti. Queste soluzioni, rispettando le norme e gli standard che regolano la progettazione, ma mantenendo una certa affinità con le aree adiacenti attraverso l’utilizzo di materiali comuni, come il calcare, il granito, il basalto, la pietra ed il conglomerato bituminoso, sviluppano nuovi modelli di progettazione. Il design dei modelli geometrici adottati nella sede dell’Expo spicca come un’incisione frastagliata, la quale costituisce una innovazione creativa per la città di Lisbona.
PP4 – Piano per la zona nord dell’area pubblica. In accordo con i concetti delineati nel piano dettagliato, i piani per l’area pubblica PP4, sono stati redatti sotto la direzione degli architetti Duarte Cabral de Mello e Maria Manuel Almeida, con lo scopo di rinnovare la tradizione degli spazi urbani esterni in Portogallo. In questo piano, gli spazi esterni sono delimitati da blocchi con funzione circolare ed accesso dalla strada. L’uso della vegetazione, file di alberi e cespugli, è molto accentuato dati i suoi riflessi sulla qualità dell’ambiente urbano. Questi stessi elementi si possono trovare anche in diversi punti strategici, dove vengono visualizzati come opere scultoree d’arte oppure nella loro forma naturale. Le aree di circolazione e le aree di parcheggio sono trattate in modo integrato, fornendo la ripartizione necessaria tra comfort e sicurezza, senza perdere l’unità e la dimensione globale dello spazio. Questo significa che le estremità delle vie pedonali principalmente hanno una continua superficie asfaltata la quale scaricha in una grondaia centrale. Al confine settentrionale del PP4, l’area urbana cambia gradualmente, rendendo il passaggio da una griglia urbana densa composta da spazi pubblici tradizionali in uno spazio urbano più aperto con l’inserimento di spazi pubblici informali, i quali si estendono lungo tutto il percorso ed attraverso il parco della città. PP5 – Piano per la zona Cabeço da Rolas. Cabeço das Rolas è un luogo unico nella zona di riqualificazione, al comando di una vista panoramica sulla foce del fiume Tago. Una collina di rilievo circa 30 metri al di sopra del lungofiume e delle paludi basse, era a schiera, quando sono stati costruiti i depositi e serbatoi della raffineria.
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per ospitare una grande varietà di attività, sport, tempo libero, educazione ambientale, passeggiate e semplice “ contemplazione”. Expo Urbe – Parco delle Nazioni
Fig. 9. Il “recinto” Expo’98 (Manuel Salgado).
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Questa configurazione ha portato i suoi autori, l’architetto Troufa e l’architetto del paesaggio Riberio Telles, ad approfittare del sistema continuo della collina con il suo profilo, la quale assomiglia a quella di un promontorio a forma di piramide. I riferimenti alle industrie che una volta si trovano ancora presenti nell’area, come ad esempio serbatoi e piattaforme, e manufatti edilizi costruiti con l’utilizzo dei mattoni. Cabeço das Rolas è quindi un elemento emblematico unico nel rinnovamento urbano e ambientale dell’area di riqualificazione, con l’obiettivo di recuperare e valorizzare la memoria geografica ed industriale del territorio nella sua riconversione con uno spazio verde unico nella zona metropolitana di Lisbona. PP6 – Il fiume Tago ed il Piano del Parco Trancão. L’area PP6 è delimitata dall’area urbana e dai fiumi Tago e Trancão, e mira a creare una zona verde esteticamente gradevole, come un paesaggio scolpito, appositamente progettato
Alla fine di settembre 1998, dopo due settimane dalla chiusura del evento, il sito si è riaperto in blocchi con alcune aree chiuse per lavori di ristrutturazione. Il progetto complessivo (Expo’98 e tutti i lavori di rinnovamento urbano) ammontava a due milioni di euro ottenuti in tal modo: 65% da prestiti bancari, 25% dal governo portoghese e il restante 10 % dall’Unione Europea. L’aumento della quantità dei visitatori stranieri in Portogallo sono state stimate al 10% nel 1998 e 13% di aumento della dotazione di bilancio (circa 0.5 milioni di euro). Il consiglio d’amministrazione dell’Expo sostiene che tali profitti netti associati con le tasse dovute e pagate ha superato la quantità di soldi donati dallo stato a questo progetto. La grande operazione di rigenerazione urbana della parte orientale di Lisbona, resa possibile dall’evento Expo’98, è riuscita a creare una nuova città dentro la città. In un arco di tempo assai breve, un’area abbandonata per decenni è stata trasformata in un polo alternativo alla crescita della capitale. Il progetto del Parque das Naçòes (Parco delle Nazioni; PdN), denominato all’epoca come Expo Urbe, è stato redatto su di un foglio da disegno completamente bianco, infatti, il terreno interessato è stato completamente liberato da tutte le attività e costruzioni esistenti, consentendo così che “l’urbanistica trattasse la terra alle esigenze di una città ideale, invece di puntare alla costruzione di una città in grado di soddisfare i vincoli e gli ostacoli allo sviluppo, tradizionale di altre zone di Lisbona” (Manuel Salgado, Manual do formado Expo’98, Lisbona 1997). Identificate le principali necessità, attraverso studi di mercato diretti alle imprese e ai futuri abitanti del Parque da Naçòes, si è delineata la forma migliore per soddisfarle. In questo caso accade che le migliori aspettative sono state superate. L’eredità dell’Expo La strategia adottata per creare uno spazio urbano di qualità (compito facilitato dalla privilegiata localizzazione lungo i margini del Tego), integrando le diverse funzioni urbane, ha consentito di raggiungere una equilibrata vivibilità. Agli abitanti non mancano le attrezzature di appoggio alla residenza
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Fig. 10. Rossio dos Olivais e Passeio Fluvial. Fonte: wikipedia.org.
Fig. 11. Parco Trancão. Fonte: proap.pt.
(commercio, ristorazione, scuole, ospedali) ed uno spazio urbano integrato con le più recenti tecnologie infrastrutturali e di servizio. Tra le opere completate di rilevante importanza si possono menzionare: • la costruzione del più grande centro commerciale del paese (60,000mq – con più di 10 milioni di visitatori previsti ogni anno) sotto la gestione della più grande multinazionale portoghese, SONAE; • hotel di diverse qualità; • università e scuole; • una ‘zona internazionale’ che riunisce la sede della Fiera Internazionale di Lisbona e un quartiere d’affari di 450,000mq di uffici, destinate ad ospitare sedi di aziende
nazionali e multinazionali. Il centro commerciale Vasco de Gama, incorniciato da due torri di 23 piani, le più alte del sito, è progettato per dare un tratto urbano a tutto il quartiere e per contribuire a creare il senso di trovarsi nel centro città. Questo centro comprende gallerie commerciali, ipermercati, cinema, ristoranti, attività ricreative e altre strutture. Altri effetti di legacy connessi alla rigenerazione urbana sono quelli legati alla costruzione di strutture simbolo della magnificenza della città ospitante, grandi ancore urbanistiche costituite dagli edifici concepiti non solo come principali attrazioni di una esposizione, ma anche come dei progetti bandiera (flagship projects) che
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Fig. 12. Parco delle Nazioni, visto dalla Torre Vasco de Gama.
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definiscano un nuovo centro urbano vivo ed animato e divengano assets di una nuova identità. L’Oceanario (il più grande del Europa, progettato da Peter Chermayesff), il Padiglione Multiuso, il Centro delle Esposizioni di Lisbona (FIL), il Porto Turistico, i Padiglioni della Conoscenza (che diventerà il Museo Interattivo della Scienza e della Tecnica), il Padiglione del Futuro (che si trasformerà in Casinò), il Padiglione Atlantico (una sorta di auditorium con la capacità di 20,000 posti), la Stazione ferroviaria Oriente (progettata dall’architetto Santiago Calatrava), il Parco del Tego hanno trovato una funzione urbana o metropolitana anche dopo i 132 giorni di Esposizione Mondiale. Al contrario di quanto successo a Siviglia con l’Expo’92, Lisbona ha scelto di strutturare il progetto a partire dal disegno dello spazio pubblico ed ha pensato sin da subito alla riconversione delle strutture create per la manifestazione occasionale in strutture per la città, così da traghettare l’intera operazione di rinnovo urbano oltre il valore effimero di un evento eccezionale come può essere una Expo. Nuno Portas diceva che l’evento di Expo’98 è stato concepito come un “progetto urbano a due velocità”, una meta fissata nell’evento del 1998 e l’altra proiettata al 2010 con lo sviluppo globale dell’intera area orientale di Lisbona. Il sistema finanziario imposto dal Governo Centrale stabiliva come condizione che i risultati
negativi della manifestazione ed i costi finanziari del credito necessario per la sua realizzazione, dovessero venir coperti dai benefici delle operazioni immobiliari effettuate dopo l’Expo. Pertanto, dopo la realizzazione dell’evento, l’investimento privato si è concentrato sui terreni della Parque Expo S.A., in particolare l’investimento immobiliare residenziale e ricettivo. La Revisione del Piano di Urbanizzazione del 1999 si è occupata essenzialmente di rendere fattibile l’operazione a livello immobiliare, attualizzando i piani particolareggiati una volta terminato l’evento e rendendoli compatibili con la programmazione economica stabilita. Le variazioni non interessano la struttura delle attrezzature collettive e degli spazi pubblici, ma esclusivamente l’ambito delle parti edificate destinate alla residenza e al terziario. Nonostante la discutibile qualità architettonica degli edifici realizzati negli ultimi anni, si può affermare che sino ad oggi non si sono verificati effetti importanti in termini di catalisi urbana nelle aree circostanti, forse perché la strategia realizzativa dell’Expo’98, o meglio del Parque das Naçòes, non risiede nella particolarità degli edifici ma in uno spazio pubblico chiaro e facilmente riconoscibile, che è stato capace da un lato di strutturare l’edificazione a venire e dall’altro di restituire al Tego la sua città, Lisbona. Riassumendo, in generale, gli effetti più
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significativi di legacy dell’Expo’98 sono riconducibili a: • benefici politici e sociali, • benefici economici, • sviluppo competenze, • miglioramento/riposizionamento immagine della città di Lisbona, • nascita e sviluppo di network. Qualità dell’ambiente e della vita urbana Al momento dell’Expo-98 un numero di servizi erano offerti ai visitatori, come fontane, servizi igienici, aree di riposo ombreggiate, trasporto gratis per i bambini, macchine elettrice noleggiabili, che fino ad oggi sono conservate. Il fiume Tago è presentato accanto al viale alberato per le passeggiate. Decine di specie di alberi sono stati piantati, come querce, tigli, banana e altre palme, pini e alberi d’ortica, comprese specie rare. Le viste panoramiche si estendo davanti ai numerosi ristoranti, bar e caffetterie. Il PdN incorpora nuove tecnologie urbane come la galleria per i servizi tecnici, l’alloggiamento per le telecomunicazioni in fibra ottica, una centrale di riscaldamento e raffreddamento, la raccolta centralizzata dei rifiuti solidi, in aggiunta alla più tradizionale rete di servizi pubblico (acqua e elettricità). La centrale di riscaldamento e di raffreddamento funzionante a gas naturale ha un notevole risparmio energetico rispetto ai sistemi tradizionali, ed è stata una delle innovative soluzioni implementate. Il costo complessivo delle operazioni di recupero ambientale e degli interventi di riconversione sono stati valutati intorno ai 44 miliardi di scudi, corrispondenti a circa 220 milioni di euro, di cui oltre il 65% destinato alla ricollocazione delle aziende petrolifere. È stato disegnato un piano di monitoraggio che ricopre la totalità del Parco delle Nazioni, controllando la qualità del suolo, l’acqua, i sedimenti, l’inquinamento atmosferico, il rumore, la geologia, la meteorologia ed altri criteri che valutano la qualità della vita. Circa 1/3 dei 340ha del Parco è riservato per i spazi verdi ed attualmente sono stati piantati in modo permanente oltre 6500 alberi, oltre a 6500 alberi sono stati piantati in modo permanente, di cui circa 1700 all’interno del sito dell’Expo. Innovazioni sul sistema di mobilità È in relazione al sistema della mobilità che il progetto dell’Expo risulta particolarmente innovativo soprattutto se riferito al contesto storico in cui si è svolta la sua realizzazione. La costruzione di una rete integrata del trasporto pubblico è stata, infatti, veicolata dai finanziamenti per la realizzazione
Fig. 13. La Torre Vasco de Gama. Fonte: wikipedia.org.
dell’evento. La ristrutturazione del sistema delle infrastrutture per il trasporto pubblico ha riguardato praticamente tutti i settori: dalla sosta, all’offerta di trasporto su ferro urbana ed extraurbana (metropolitana e treni), agli assi viari di accesso alla città, agli attraversamenti sul fiume Tago. Già nella fase precedente alla realizzazione dell’evento la politica dei trasporti era stata orientata all’implementazione dell’uso del mezzo pubblico in alternativa al mezzo privato proprio per contenere i livelli di congestione urbana che caratterizzavano la città. L’idea progettuale ha fatto riferimento alla necessità di stravolgere il precedente modello radiale, dimostratosi fallimentare, a favore di un modello riferito alle differenti destinazioni d’uso delle aree urbane, nel tentativo di operare un’integrazione tra sistema della mobilità e territorio. La realizzazione del ponte, dedicato a Vasco de Gama su progetto di Santiago Calatrava terminato proprio in occasione dell’Expo’98, oltre al suo ruolo fondamentale nel sistema di trasporti urbano ha avuto anche un valore altamente simbolico per la città, rappresentando la concretizzazione delle attese da parte della popolazione residente. Al miglioramento dell’offerta di trasporto pubblico su ferro e della rete viaria, le strutture realizzate per l’esposizione costituiscono ancora un polo di richiamo per la presenza di spazi ed attività destinate al tempo libero. E sebbene il numero di visitatori durante l’esposizione sia stato
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Fig. 14. La Stazione di Oriente (Santiago Calatrava): ambiente esterno e galleria interna. Fonte: bassavelocità.it.
inferiore a quello previsto (10 milioni invece che 15), il sistema di collegamento consente oggi un’ottima gestione dei flussi di spostamento.
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Nella parte settentrionale dell’area del PdN, invece, la realizzazione della Stazione di Oriente e successivamente la costruzione della linea metropolitana rappresentano un importante nodo di interscambio del sistema della mobilità urbana. La Gare do Oriente è uno dei nodi di trasporto pubblico di più vasta portata in Europa. Include un terminal di bus, con un parcheggio sotterraneo a doppio livello e servizi per 2000 vetture. Il complesso rappresenta la chiave del centro urbano e, perforando l’argine, sancisce visuali forti e un collegamento pragmatico fra le due aree separate del distretto di Olivais. La già esistente Avenida Berlin, perpendicolare all’argine, è prolungata fino al bordo del fiume. Avenida Reciproca, lievemente obliqua, prolungata anch’essa, stabilisce un importante asse di penetrazione est-ovest per l’area dell’Expo. Le piattaforme della stazione sono realizzate su una struttura contenente cinque file parallele (luce totale 78 metri) di doppi archi (luce 60 metri); il terminal dei bus è a ovest della stazione; a est un complesso di edifici commerciali si sviluppa intorno a una piazza. Il parcheggio e i terminal della metropolitana sono al livello sotterraneo. La linea tranviaria deve estendersi lungo Avenida Henrique, principale collegamento nord-sud. La stazione è delimitata a sud da strutture alberghiere e a nord da uffici che definiscono i limiti spaziali. Direttamente sotto le piattaforme, dentro lo spazio multilivello della stazione si trovano diversi servizi e centri commerciali. Al di sopra delle piattaforme, «alberi» d’acciaio e vetro si uniscono a formare un sistema di coperture trasparenti su una griglia di diciassette metri. Le tettoie vetrate del terminal si innalzano, cinque metri al di sopra degli autobus, sulla galleria superiore che consente un accesso coperto alla stazione.
Expo’98: un progetto che rafforza l’importanza del nuovo centro dell’area metropolitana? All’inizio del 1998 intorno al ‘recinto’ dell’Expo’98 vivevano 4000 abitanti e lavoravano circa 6000 persone. Invece nel 2009, intorno ad esso vivevano 25,000 abitanti e oltre 20,000 persone lavoravano in modo permanente. Tuttavia, alcuni dubbi circondano la capacità del Parco delle Nazioni per rispondere ai problemi creati dalla mancanza di strutture e servizi nei grandi quartieri di edilizia popolare di Olivais e Chela, che vi si affacciano. Questi quartieri contengono una popolazione impoverita di fronte a prospettive occupazionali incerte dopo la ristrutturazione della vecchia economia industriale e portuale che aveva sede nella zona. Nonostante nove passaggi sotto la linea ferroviaria che circonda il sito del Parco delle Nazioni, questa linea sembra destinata a rimanere una potente barriera simbolica per i loro abitanti, aggiungendo ulteriore distanza sociale e culturale già esistente tra il nuovo e il vecchio quartiere. Tali timori sono rafforzati dalla prova che, dopo quattro anni di attuazione del progetto, una tendenza verso la gentrification del ‘quartiere’ Parco delle Nazioni era chiaramente evidente. Le prime case ed i primi uffici completati occupavano, nel marzo 1999, 28 ettari (dei 240 ettari previsti per il 2009). Le agenzie immobiliari e le imprese edili che avevano comprato la terra servita da Parque Expo S.A. hanno sviluppato quasi esclusivamente proprietà di mercato primario. La dimensione media delle case sul lungofiume raggiunge i 165 mq al posto dei 115 mq che era stato fissato nel piano di sviluppo per la zona d’azione. Essi sono accessibili solo alle famiglie molto benestanti, siccome nell’anno 2002 il prezzo era spesso sopra 150,000 euro. Con un programma di costruzione di 12,000 abitazioni, è probabile che il ‘mix sociale’ non sarà la caratteristica dominante del futuro quartiere. Questa ipotesi circa la composizione sociale del quartiere solleva interrogativi anche circa la natura del centro città che si sta ricercando. Si potrebbe sostenere che un vero e proprio
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Fig. 15. Parco delle Nazioni ed altri quartieri vicini. Fonte: Google Earth.
centro dovrebbe essere tale per tutti gli abitanti della città, e non un ‘isola’ di usi più elevati di gruppi sociali molto ricchi. Parco delle Nazioni: un progetto con un forte partenariato pubblico-privato Il mega progetto Parco delle Nazioni è illustrativo delle tendenze contemporanee dello sviluppo urbano metropolitano dal momento che è stato sviluppato secondo i principi dell’imprenditorialità urbana. La sua gestione era stata affidata, dopo l’accordo tra il governo e la città di Lisbona, a una società del settore privato con accesso a capitale pubblico, seguendo principi simili a quello di Bilbao o alle UDC (Urban Development Corporation) della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Tuttavia, ha due caratteristiche importanti: la progettazione di un evento temporaneo come parte di un piano urbanistico strategico e una strategia finanziaria di pareggio. Quindi le ambiziose decisioni di sviluppo urbano sono state combinate con un’audace strategia finanziaria. Parque Expo ha svolto il ruolo di un’agenzia di sviluppo urbano. Entro il 1993 aveva ricevuto un’iniezione di capitale iniziale da parte dello Stato di circa € 1,000,650 e la concessione dei terreni di proprietà pubblica, del valore di € 24,090,000. In qualità di azienda parastatale, essa è stata responsabile per la progettazione e gestione del programma di sviluppo, ma con la flessibilità di una società privata. Questo approccio è stato giustificato per la necessità di velocità, siccome il sito doveva essere pronto per la prevista apertura della mostra. Lo scopo dell’operazione era quello di coprire, dalle entrate fiscali, tutte le spese che non erano finanziate dalla UE (stimato intorno ai circa 8% del bilancio complessivo dell’operazione). È il vincolo ‘costo netto pari a zero’ (imposto dal Tesoro Portoghese) che ha reso necessaria la
ricerca di un partenariato pubblico-privato. Non essendo in grado di finanziare con i propri fondi le operazioni iniziali di pulizia (che erano molto costose a causa dell’inquinamento industriale) più la manutenzione del territorio, così come le operazioni di punta (descritte sopra), Parque Expo aveva fatto ricorso a prestiti bancari e a capitali del mercato internazionale per entrambi i finanziamenti di lungo e breve termine. Nel 1998, il capitale della società ha raggiunto circa € 31,350,000. Innovazioni sul governo del territorio: Programma Cidades e le S.A. Polis L’esperienza Expo si è caratterizzata per il forte ruolo assunto dallo Stato, che ha operato anche a discapito degli Enti locali. Il Governo, in particolare, aveva provveduto come prima cosa a revocare le concessioni ai privati per i suoli di proprietà demaniale, e poi ad acquistare gli altri terreni interessati dall’intervento, ed infine a trasferirli tutti alla società Parque Expo S.A. Il successo del rinnovo urbano dovuto all’Expo’98, la qualità dello spazio pubblico e le potenzialità dell’uso del lungofiume, hanno spinto il governo a voler allargare l’esperienza ad altre città del paese. Nasce così l’idea di un Programa Cidades che si concretizza con la risoluzione del Consiglio dei Ministri che crea “Polis. Programma de Requalificaçao Urbana e Valorizaçao Ambiental da Cidades”. Polis sono società per azioni con capitali completamente pubblici, di cui il 60% appartiene allo Stato ed il restante 40% ai Comuni. Queste società vedono il proprio consiglio di amministrazione composto dal Sindaco o dall’Assessore all’Urbanistica, dal Direttore Regionale del Ministerio do Ambiente e Ordenamento do Territorio e da una figura più operativa del Direttore Esecutivo. Il consiglio è essenzialmente un organo decisionale, per
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la Società Polis ed opera ricorrendo a figure esterne come manager che si occupano della tutta gestione operazionale. Su un insieme di 28 città Polis, 10 sono quelle gestite dalla Parque Expo, che come abbiamo menzionato è una società nata per la realizzazione della Esposiozione Universale di Lisbona del 1998 e poi mantenuta per lo sviluppo dei progetti di trasformazione urbana di grande importanza. Le altre sono invece affidate a società private scelte su base concorsuale internazionale ed atte a garantire il successo dell’operazione: qualità dei progetti e rispetto dei tempi del processo. Per rispondere meglio alle esigenze derivanti dai compiti ad essa assegnati, la Parque Expo aveva partecipato, inoltre, con varie quote al capitale sociale di altre aziende, quali la società Torre Vasco da Gama, la Jardins Expo, la Telecabine Lisboa, l’APA, l’Expo Domus, la Oceanário de Lisbona, l’Atlãntico. Tutte queste società si sono unite nel Gruppo Expo, costituito allo scopo di agevolare il processo di rigenerazione urbana dell’area di intervento. Conclusioni
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Le Expo si configurano come occasioni uniche ed irripetibili per consolidare politiche già sviluppate o per avviare e accelerare progetti, con l’obiettivo di migliorare la vivibilità della città ospitante. Da un lato, sensibilizzano l’opinione pubblica sui temi dell’ambiente, della sostenibilità e dell’integrazione sociale; dall’altro le stesse Expo rappresentano occasioni per innescare politiche orientate alla sostenibilità mediante l’utilizzo di tecnologie innovative per la riduzione degli impatti ambientali, o mediante interventi di mobilità sostenibile sia per l’accessibilità, che per la mobilità interna all’area espositiva. In termini urbanistici, l’Expo’98 ha contribuito a modernizzare e riqualificare una parte significativa della città, ricomponendo le aree periferiche ed accelerando la realizzazione dei grandi sistemi viari e di comunicazione, proporzionare un insieme di attrezzature di livello metropolitano capaci di riequilibrare urbanisticamente la città, e rilanciare attorno ad un progetto, fondato sul ruolo strutturante dello spazio collettivo, la discussione sul rapporto città-fiume e sul riordino del fronte portuario e fluviale. Questa esperienza costituisce una sorta di spartiacque, un prima e un dopo, tra due modi di intervenire sulla città e quindi rappresenta un buon punto di partenza, temporale, per leggere i recenti interventi di rinnovo urbano
del Portogallo. Lo Stato ha sfruttando questa occasione e il sollecito dall’UE e ha introdotto nuove misure legislative e di governo del territorio, facilitando e centralizzando la procedura del raggiungimento dei obiettivi prefissati per il programma dell’area. Expo’98, in quanto evento catalizzatore di finanziamenti, è stata un’opportunità di internazionalizzare Lisbona. Questa zona ha portato un contributo unico e di elevata qualità degli edifici per la creazione e il consolidamento di un nuovo urban skyline, rimarcando la relazione della città con il fronte orientale del fiume Tago. Le municipalità di Lisbona e Loures hanno lavorato insieme per la riconversione e il rinnovamento, garantendo l’accessibilità ai trasporti durante la pianificazione dei centri commerciali, dei servizi e delle infrastrutture e sponsorizzando eventi ambiziosi. La strategia adottata richiedeva la costruzione di spazi urbani di alta qualità, integrando servizi come negozi, ristoranti, scuole, attrezzature sportive, ospedali ed altri servizi simili. Dall’inizio della pianificazione, uno degli obiettivi principali è stato il miglioramento delle condizioni della vita urbana. Questa, per il momento, sembra che sia stato ottenuto, siccome gli indicatori quantitativi sono il doppio dei minimi requisiti portoghesi per le attrezzature, le aree verdi e i parcheggi. Infatti il territorio all’interno ed all’esterno del recinto si è completamente rinnovato in servizi quali: il riscaldamento, lo smaltimento e riciclaggio dei rifiuti, il sistema delle acque, l’arredo urbano, i parchi, le aree verdi e il waterfront. Si sono introdotte nuove strutture culturali come musei, università, scuole e spazi espositivi. L’offerta del trasporto pubblico e la ricettività sono aumentate considerevolmente. Lo sviluppo del Parco delle Nazioni resta probabilmente la più grande operazione urbanistica realizzata negli ultimi anni in Europa meridionale e nel bacino del Mediterraneo. Essa rivela tutte le caratteristiche dei grandi flagship projects, che sono stati progressivamente riprodotti dal 1980 in poi in Europa e nel resto del mondo. Qui, come altrove, la ‘ricetta’ è più o meno la stessa: la dipendenza da un ‘mega progetto’ confezionato per ripensare il sito e per renderlo attraente a livello internazionale; i tentativi di ristrutturare l’intera area urbana attraverso la riqualificazione delle aree che sono diventate obsolete attraverso i cambiamenti tecnici ed economici; e il coinvolgimento degli investimenti privati attraverso nuove forme di partenariato pubblico-privato. Se Expo’98 è stato un successo, misurato dal
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numero di visitatori e dall’impatto nei media e nel turismo, l’operazione di sviluppo urbano che ha sostenuto solleva le stesse questioni, come quelle sollevate dai progetti di una scala di simili dimensioni realizzati altrove. Queste domande riguardano la discussione dell’effetto ‘moltiplicatore’ di un progetto di grande portata, i suoi legami e le connessioni con il resto dell’area urbana, l’impatto sociale e le sue conseguenze finanziarie. C’è anche la questione della compatibilità tra il principio di dare il controllo ad un partenariato pubblico-privato per lo sviluppo di un’area su una scala efficace, che avrà un impatto a livello di area metropolitana, e il principio della democrazia locale. Questa domanda è ancora più accentuata, perché l’operazione di sviluppo urbano è stato affrontato con stretti vincoli di tempo relativi all’apertura della mostra, lasciando poche opportunità per la consultazione con la popolazione locale.
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Politica economica e territoriale
Land grabbing ed Unione Europea: gli impatti determinati dalle politiche energetiche
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Politica economica e territoriale Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Politica economica e territoriale Professore: Prof.ssa Margherita Emma Turvani Collaboratori: Marta Antonelli a.a. 2015-2016
Ottobre 2015 Febbraio 2016 Venezia
Land grabbing ed Unione Europea: gli impatti determinati dalle politiche energetiche Contenuti: * Abstract 1* Introduzione 2* Fonti e metodologia 3* Risultati 3.1. Ruolo dell’Europa 3.2. Land grabbing in Europa 3.3. Trend Europei e Globali 3.4. Il Trend dei Contratti falliti 3.5. Relazione tra land grabbing europeo e politiche energetiche 3.6. Stato attuale dell’Unione Europea nel raggiungimento dei target proposti 4* Conclusioni Bibliografia
Team 225 * Giada Crepaldi * Alessandra Dal Bianco * Nicolò della Costa * Gabriele Fumai * Olga Irranca Galati * Carol Mattera * Jhonny Nicolis * Elvis Paja * Davide Perissinotto * Luca Zao Gong
Land grabbing ed Unione Europea
Abstract Lo studio si propone di analizzare il recente fenomeno di land grabbing, ovvero l’acquisizione su larga scala di terreni agricoli principalmente nei paesi in via di sviluppo, soffermandosi sul ruolo che l’Unione Europa ricopre nel contesto globale. Si vuole studiare l’andamento del fenomeno negli ultimi quindici anni, indagando i principali paesi investitori, il loro scopo, i drivers, e gli impatti di tale fenomeno nei paesi target, appartenenti e non all’Unione Europea. L’attenzione si focalizza sulle politiche europee in ambito energetico ed agricolo e la correlazione che si è innescata con il fenomeno di land grabbing, osservando gli obiettivi e gli impatti di ciascuna di esse. Keywords: Land grabbing; Politiche Europee energetiche ed agricole; Unione Europea. Introduzione
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Il land grabbing è definito come l’acquisizione avvenuta in violazione dei diritti umani, non basata sul previo e informato consenso libero degli utilizzatori dei terreni interessati (ILC, 2011). Per von Braun e Meinzen-Dick, invece, si tratta di una controversa questione economica e geopolitica, riguardante gli effetti di pratiche di acquisizione su larga scala di terreni agricoli in paesi in via di sviluppo, mediante affitto o acquisto di grandi estensioni agrarie da parte di compagnie transnazionali, governi stranieri e singoli soggetti privati (Von Braun J. e MeinzenDick, 2009). Sebbene il ricorso a simili pratiche sia stato largamente diffuso nel corso della storia umana, il fenomeno ha assunto una particolare rilevanza agli inizi del secolo, in particolare nel biennio 2007-2008, a causa della crisi dei prezzi del cibo e della conseguente necessità di tutelare l’approvvigionamento alimentare (De Schutter, 2011). La localizzazione di molte acquisizioni ricade nel Sud del mondo, in particolare nell’Africa subsahariana, nel Sudest Asiatico e in America Latina. Vi sono tre fattori chiave che hanno determinato la crescita esponenziale del fenomeno: la necessità di assicurarsi un affidabile approvvigionamento alimentare; la crescente domanda di biocarburanti, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, sostenuta da direttive energetiche comunitarie; ed infine investimenti 1. “Land Grabbing” di Kurt Langbein
Politica economica e territoriale
speculativi. Ma in letteratura se ne possono individuare altri, quali la domanda di legname, di materie prime per usi industriali, sviluppo industriale, mercati del carbonio ed infine turismo (Anseeuw et al., 2012). Conseguentemente gli investitori possono essere divisi in tre tipi: industrie agroalimentari, governi, e investitori speculativi. Si tende a pensare che il land grabbing possa incentivare gli investimenti nei paesi in via di sviluppo, lubrificandone il motore dell’economia locale. Tuttavia, numerose ricerche dimostrano che tale pratica ha devastanti impatti ambientali e sociali tra cui la riduzione dell’occupazione locale, lo sfruttamento fisico dei lavoratori coinvolti e della terra (Laura German et al, 2011; Actionaid, 2012; Sylvain Auby, 2012). Nel contesto globale, l’Unione Europea gioca un ruolo centrale nel fenomeno del land grabbing: le sue politiche hanno, sia direttamente che indirettamente,contribuito ad alimentare l’acquisizione di terra. Nel 2014 il Parlamento Europeo ha definito la nuova Politica Agricola Comune (PAC 2014-2020) secondo indirizzi e criteri che mettono al centro la vocazione agricola dell‘Europa, dell’Africa e degli altri continenti, attraverso una corretta politica di accordi commerciali. L’idea di base è quella di tenere viva l’agricoltura in tutte le regioni del mondo supportando le diverse vocazioni, per assicurare sufficiente quantità di cibo in futuro. Secondo l’Unione Europea l’agricoltura è cultura: essa è fatta di pratiche, di competenze e di significati sociali che si legano alla cura del territorio, alla corretta gestione delle risorse, all‘attenzione all’ambiente e alla biodiversità dei luoghi. Un ulteriore aiuto, infatti, sarebbe diversificare la produzione, al fine di aumentare il numero dei Paesi esportatori di prodotti alimentari di base; ma anche promuovere la produzione agricola nei Paesi in via di sviluppo e l’integrazione dei rispettivi mercati regionali. Tra gli organismi internazionali a condurre una politica contro l’accaparramento delle terre, la FAO nel maggio 2012, ha approvato le “Linee guida per i regimi fondiari e l’accesso alle risorse ittiche e forestali” varate dalla Commissione sulla Sicurezza Alimentare. Il documento ha individuato principi e pratiche ai quali i governi di tutto il mondo dovrebbero ispirarsi per garantire un più equo accesso alla terra. L’Unione Europea però in questi anni, con la Politica Agraria Comune, non ha frenato il diffondersi del fenomeno; anzi, lo ha favorito tramite l’elargizione di sussidi destinati quasi esclusivamente alle grandi
aziende agricole. Questo è avvenuto con la PAC 2013, in particolare nell’Europa orientale, negli stati che entravano nell’Unione Europea (Direttiva generale 2015). Ovviamente il fenomeno ha già avuto ripercussioni considerevoli, con alcune derive violente. La PAC 2014 è stata ripensata per evitare la diffusione del land grabbing: ha mantenuto gli stessi obiettivi, ma cercando di limitare i sussidi alle grandi aziende e dando la possibilità ai giovani di entrare nel mercato. Nonostante queste modifiche, la politica risulta inefficiente rispetto al tentativo di arrestare il processo. In questo contesto l’articolo si propone tre principale obiettivi. Nella prima parte si cerca di capire il ruolo che l’UE riveste nel processo di land grabbing in relazione agli altri investitori globali. Si mette in evidenza il numero di contratti e la quantità di ettari acquisita dall’Europa, rispetto al totale complessivo; si individuano i principali paesi investitori europei e gli stati target extra-europei; a seguire si parla delle acquisizioni di terra praticate dagli Stati membri dell’UE all’interno dello stesso confine europeo. In secondo luogo si analizza il trend del fenomeno negli ultimi quindici anni: partendo dalle prime manifestazioni si individua l’andamento del numero di contratti stipulati dal 2000 al 2015 e di quelli falliti nello stesso arco di tempo. Il terzo obiettivo è indagare la relazione che sussiste tra gli investimenti europei e le politiche energetiche proposte dalla Commissione Europea, analizzando nello specifico le due Direttive 2009/28/CE e 2009/30/CE. Questa politica volta alla tutela ambientale, alla riduzione dei gas-serra, all’utilizzo di energia rinnovabile e al risparmio energetico, ha dimostrato una scarsa attenzione verso la sostenibilità ambientale e sociale nei paesi target. Infine si indagano i drivers che spingono l’UE a praticare tale attività, soffermandosi sulle principali colture prodotte dagli Stati membri, e sull’utilizzo primario che ne viene fatto. Viene realizzata un’analisi sulla coltivazione e il commercio di biocarburanti e sulle conseguenze che questa produzione comporta nei paesi target. Per concludere, lo studio focalizza l’attenzione sulle implicazioni indirette di queste politiche, e sui possibili strumenti da utilizzare per contrastare tali effetti indesiderati.
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Fonti e metodologia I dati analizzati ed elaborati nel seguente articolo sono stati forniti da Land Matrix, database pubblico online lanciato in Aprile 2012 e aggiornato in Ottobre 2015. Tale banca dati1 raccoglie le transizioni globali di monitoraggio dei terreni, sotto forma di contratti, di cui si fornisce un elenco dettagliato di attributi: Investor name, Investor country, Intention, Negotiation status, Implementation status, Size2 of Land deals, Nature of deal e Contract farming. Le informazioni del database non devono essere considerate come una rappresentazione attendibile della realtà, poiché non tutte le transazioni mondiali sono presenti e in più il database può riportare degli errori di affidabilità delle contrattazioni poiché non riesce a registrare in tempo reale i cambiamenti in atto.
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Per analizzare il ruolo che l’UE riveste nel processo di land grabbing, in relazione agli investitori globali e alle politiche proposte dalla Commissione Europea, è stato necessario selezionare, raccogliere e organizzare le informazioni presenti nel database principale e utili per il nostro studio all’interno di un foglio di calcolo elettronico in cui ogni campo è associato univocamente al corrispettivo deal. Per distinguere la provenienza dei diversi contratti sono state create tre categorie in cui si differenziano i paesi appartenenti all’Unione Europea (UE) da quelli appartenenti al continente Europeo (E) e dagli altri paesi del mondo (W). La scelta di strutturare i dati attraverso una tabella ha permesso inoltre di aggiungere nuovi campi man mano che procedeva la ricerca. Ad esempio, è stato necessario creare il campo new_eval_size in cui si è definita la superficie relativa ad ogni singolo investor in partnership con altri paesi, al fine di valutare l’esatta quantità di ettari acquisita dall’Unione Europea rispetto agli altri investitori globali. Il valore finale è stato definito quindi analiticamente dividendo la contract size per il numero di investitori coinvolti: invece, se il valore non fosse stato disponibile, si è considerata la production size e successivamente l’intended size, parametri sintetizzati nel campo eval size riportato nel database. Infine, per indagare la relazione che sussiste tra 1 Download in Ottobre 2015. 2 Indica lo stato di negoziazione di un contratto, il quale può essere Concluded (Oral agreement o Contract signed), Failed (Negotiations failed o Contract cancelled) o Intended (Expression of interest o Under negotiation).
gli investimenti europei e le politiche energetiche si è ricorso al metodo della triangolazione, la quale è stata applicata ai deals dell’UE. Il database Land Matrix, pur categorizzando i tipi di coltura e le intention, non è in grado di distinguere gli usi finali del prodotto coltivato. Quindi, la sola indagine sulle colture può essere fuorviante per capire l’intenzione reale delle aziende che acquisiscono migliaia di ettari nei paesi target (la stessa coltura può essere utilizzata per i diversi fini quali Food crops, Industry, Biofuel, ecc). Per tanto, per capire lo scopo finale dell’investimento è stato necessario procedere con la triangolazione delle informazioni: sono state messe in relazione le diverse colture con le principali attività svolte dall’azienda. Il Land Matrix fornisce informazioni riguardo ad un contratto generico: se guardiamo soltanto alla coltura (es. olio di palma) e all’intention, il contratto potrebbe essere classificato come flexible in quanto l’olio di palma può essere utilizzato sia per scopi industriali, che per cibo, o per produrre biocarburante. Indagando il nome dell’investitore e le attività da lui svolte, si può capire il vero scopo dell’azienda. Le intenzioni risultano cosi raggruppate: - Food: aziende esclusivamente concentrate nella produzione alimentare; - Biofuel: colture finalizzate alla produzione di biocarburante; - Flexible: la stessa coltura può essere utilizzata per scopi differenti (Industry, Food, Biofuel, ecc.) a seconda delle quotazioni sul mercato internazionale (Antonelli et al., 2015); - Other: tutti gli altri usi delle coltivazioni che non sono inseribili nelle definizioni precedenti. Questa classificazione è stata applicata ad ogni contratto stipulato da un membro dell’UE. Rispetto alla letteratura da cui trae origine lo studio (Antonelli et al., 2015), la classificazione è notevolmente ridotta, in quanto si focalizza l’attenzione su due driver principali: cibo e biofuel. Essa può risultare meno dettagliata, ma comunque efficace a comprendere l’entità quantitativa, in termini di contratti e superficie, delle intention degli investitori presi in esame. 3. Risultati 3.1 Ruolo dell’Europa L’analisi sul ruolo che riveste l’Europa nel fenomeno del land grabbing è strutturata sulla base di 1900 contratti circa, corrispondenti
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Fig. 1. Investitori mondiali (W), europei (E) e appartenenti all’Unione Europea (EU). Percentuale dei contratti (somma di contratti nei diversi stati di negoziazione intended, concluded, failed) a livello mondiale con specifica percentuale per ogni paese EU; Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
ad una superficie di produzione pari a 138 milioni di ettari, rilevati all’interno del database più completo e disponibile degli investimenti di terra a scala globale: il Land Matrix. Tali accordi, che coinvolgono differenti investitori (singoli o multipli) e paesi target, sono identificati rispetto al loro stato di negoziazione: realised, intended o failed. Gli investimenti conseguiti dall’UE rispetto al numero di deals, come si nota dalla fig.1, sono il 19% del totale degli investimenti realizzati a scala globale. Tra questi, il 85% sono concluded, il 10% intended e il restante 5% sono classificati come
failed (fig. 2). È interessante osservare come a livello europeo, i primi tre posti siano occupati dal Regno Unito, dalla Francia e dai Paesi Bassi (rispettivamente al 5,71%, 2,15% e 1,50%), mentre l’Italia ricopre il quarto posto (fig. 3). Se invece analizziamo gli investimenti dell’UE rispetto al totale della superficie di terra acquisita a scala globale (fig. 4) notiamo che, rispetto al 90% della produzione mondiale, l’UE detiene solo il 6 % circa, corrispondente a 10 milioni di ettari su un totale di 138. Sebbene si pensi spesso che l’Europa sia al di fuori del “furto di terra globale”, i dati elaborati dimostrano l’inverso ovvero un crescente interesse. Gran parte degli investimenti europei, se consideriamo il numero di deals, sono localizzati in Uruguay (37) Mozambico (34) Indonesia (29) e Romania (26); gli altri paesi target, come la Guinea o Sierra Leone, nonostante un numero inferiore di contratti, presentano una superficie che incide fortemente su quella complessiva (fig. 5). E’ importante quindi non definire una correlazione diretta tra numero di contratti e l’area della superficie acquisita. 3.2 Land grabbing in Europa
Fig. 2. Investitori appartenenti all’Unione Europea (EU) percentuale di contratti concluded, failed e intended. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
Il fenomeno del land grabbing non riguarda solo i paesi europei a basso e medio reddito (i cosiddetti spaces of poverty), ma si sta manifestando anche in quelli caratterizzati da un alto livello di reddito (gli elite spaces) (European parlament, 2015).
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Fig. 3. Investitori appartenenti all’Unione Europea (EU). Numero contratti ed ettari (in migliaia) suddivisi per paese (somma di contratti nei diversi stati di negoziazione intended, concluded, failed), confronto tra contratti stipulati da singolo paese o da più paesi. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
Fig. 5. Investitori mondiali (W), europei (E) e appartenenti all’Unione Europea (EU). Percentuale degli ettari (somma di contratti nei diversi stati di negoziazione: intended, concluded, failed) a livello mondiale con specifica percentuale per ogni paese EU. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
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Attualmente emerge una inadeguata conoscenza di informazioni sul farmland grabbing in Europa. Le banche dati internazionali disponibili relative agli accordi commerciali su larga scala finora non coprono l’ambito europeo. A questa tendenza generale fa eccezione il Land Matrix, un’iniziativa di monitoraggio del territorio dell’Internetional Land Coalition (ILC). La scala e lo scopo dell’accaparramento di terra in Europa è comunque limitato rispetto ai principali paesi target (Africa, Asia, America Latina ed ex Eurasia sovietica). Si nota infatti, da una prima elaborazione dei dati, che l’accaparramento delle terre si concentra in particolare negli Stati
membri dell’Europa orientale ovvero Russia, Ucraina, Romania, Bulgaria e Lituania (fig. 6). Confrontando il grafico (fig. 6) con il recente studio condotto da Antonelli (2015), basato su dati aggiornati ad Ottobre 2013 (Antonelli et al., 2015), si evidenziano due cambiamenti principali: un aumento generale dell’area acquisita nei paesi target suddetti e l’incremento sostanziale della superficie coltivata, in particolare modo in Ucraina (700.000 ha ca. corrispondenti a 8 contratti realised (Box 1). I land agreements coinvolgono cinque tipi differenti di attori: investitori di compagnie private, compagnie statali, fondi di investimento,
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Fig. 5. Paesi target che subiscono acquisizioni da parte dell’Unione Europea (EU), numero di contratti (intended, concluded, failed), e superficie acquisita (in ha). Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
Fig. 6. Paesi target in Europa, numero contratti realised da investitori appartenenti all’Unione Europea. Fonte: elaborazione degli autori (basata su Land Matrix,ottobre 2015).
partnership pubblico-privato ed infine soggetti privati (Anseeuw et al., 2012). In Europa la creazione di grandi aziende agricole, avvenuta per mezzo di capitali provenienti da tutto il mondo, ha comportato il coinvolgimento di una nuova classe di investitori finanziari, tradizionalmente non coinvolti nel settore agricolo, composta da gruppi bancari, fondi di investimento, singoli operatori e società private, impegnati nella acquisizione di terreni agricoli nell’UE. I processi di accaparramento delle terre, a livello europeo, sono stati favoriti dalla promozione di politiche pubbliche legate all’energia, alla liberalizzazione del commercio e degli investimenti e alla politica agricola comunitaria. La Pac costituisce una delle più importanti politiche dell’Unione europea adottata nel settore agricolo per promuovere un’agricoltura
nuova, sostenibile e solidale, integrata alle strategie di sviluppo economico. Il mantenimento dell’attività agricola in Europa garantisce: un approvvigionamento alimentare sicuro e di qualità a prezzi accessibili, la tutela dell’ambiente, la difesa dal dissesto idrogeologico e la salvaguardia del benessere animale. Nel corso del tempo, questa politica ha subito cinque grandi riforme. Le più recenti nel 2003 (revisione intermedia), nel 2009 (“valutazione dello stato di salute”) e nel 2013 (per il periodo finanziario 2014-2020). Il ruolo che la PAC riveste nelle dinamiche di accaparramento di terra è strettamente correlato alla distribuzione di benefici diretti riservati esclusivamente alle grandi aziende agricole. Per capire questo fenomeno, dobbiamo fare riferimento alla riforma Fischler del giugno 2003 che ha semplificato le misure
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Box 1. Ucraina La riforma agraria sviluppatasi negli anni 90 in Ucraina ha ripartito la superficie coltivabile disponibile tra 7 milioni di piccoli agricoltori appartenenti a collettivi o piccole imprese agricole affidando a ciascuno di loro circa 4 ha di terreno. Nonostante i presupposti di equità di cui si faceva promotrice, essa ha prodotto numerosi ostacoli: spesso, infatti, i contadini non erano a conoscenza della localizzazione dell’area loro affidata e, all’indomani della caduta dell’Unione Sovietica, erano anche sprovvisti della tecnologia necessaria ad una efficiente coltivazione. È iniziato così un lungo esodo dalle campagne verso la città e la conseguente cessione della terra a pochi grandi investitori terrieri definiti, dagli stessi ucraini, latifondisti (Christina Plank, 2013). Attualmente 10 latifondisti detengono 2.8 milioni di ettari (Latifundist, 2012 in Christina Plank, 2013). La maggior parte sono di nazionalità ucraina, e le aziende estere che tentano di entrare nel mercato ucraino, assumendosi forti rischi per ottenere maggiori profitti, incorrono spesso in fusioni e acquisizioni. E’ comunque necessario sottolineare il bisogno di capitale e tecnologia straniera, che spinge le grandi aziende nazionali a stipulare contratti con la Borsa di Londra, Varsavia e Francoforte. (Christina Plank, 2013). L’Ucraina è divenuta uno delle più importanti esportatrici di colture a livello mondiale: i suoi 32 milioni di ettari coltivabili rappresentano un terzo dell’intera superficie europea arabile (FAOSTAT,2012). Inoltre nel biennio 20082009, essa è divenuta il terzo più grande esportatore di grano al mondo (Jaroszewska, 2011 in Christina Plank, 2013). Le colture prodotte vengono esportate principalmente in Medio Oriente, Nord Africa, Unione Europea, e Turchia: èindicativo l’aumento produttivo di colza (necessaria alla produzione di biocarburante), a metà degli anni 2000, coincidente con l’emissione delle due Direttive sulle energie rinnovabili (2009/28/CE; 2009/30/CE). Più del 90% delle coltivazioni ucraine vengono esportate in Europa (Ogarenko e Nivievskyi, 2012). Analizzando la letteratura su questo particolare caso studio emerge che l’Ucraina riveste certamente un ruolo predominante nel fenomeno, sia come investitore che come paese target. Ma ciò che ha fatto registrare il picco dal 2013 ad oggi è la cosiddetta Rivoluzione ucraina (Yuriy Shveda et al.,2015), scaturita nel Novembre 2013. Gli scontri hanno fortemente minato la stabilità del governo, rendendolo più attraente per investimenti stranieri. Nonostante i rischi siano molto alti, la debolezza istituzionale di un governo democratico è uno dei principali fattori alla base degli investimenti fondiari: una governance democratica debole, non può che acuire il fallimento nel proteggere i diritti e gli interessi di coloro la cui sussistenza è già precaria. (Anseeuw et al., 2012).
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di sostegno del mercato e degli aiuti mediante il disaccoppiamento dalla produzione dei pagamenti diretti agli agricoltori3, i quali sono erogati indipendentemente dalla produzione. Quindi gli agricoltori, sono liberi di produrre o non, in entrambi i casi ricevono un sostegno sotto forma di pagamento unico purché soddisfino i requisiti imposti dalla condizionalità. Lo scopo principale di tale pagamento è garantire una maggiore stabilità dei redditi agli agricoltori i quali decidono cosa produrre senza perdere gli aiuti e adattando l’offerta
alla domanda. Il disaccoppiamento dunque ha determinato la trasformazione dell’aiuto da sostegno al prodotto a sostegno al reddito dei produttori. Tale direttiva quindi non ha frenato il diffondersi del fenomeno del land grabbing, anzi sembrerebbe averlo favorito tramite un pagamento unico all’azienda, inteso a garantire la stabilità dei redditi. Questo è avvenuto con la PAC 2013, in particolare nell’Europa orientale, negli stati che entravano nell’Unione Europea (Direttiva generale 2015). Tale politica si è
3 La riforma della Pac 2014-2020 prevede un sistema di pagamenti diretti che sostituirà, a partire dal 1° gennaio 2015, il pagamento unico aziendale. Il nuovo sistema prevede sette componenti di aiuto. Alcune di queste devono essere obbligatoriamente previste dallo Stato membro:pagamento di base, pagamento verde e pagamento per i giovani agricoltori. Le altre componenti sono facoltative: aiuto ridistributivo per i primi ettari, aiuto per le aree con vincoli naturali, sostegno accoppiato facoltativo e pagamenti per i piccoli agricoltori. Tutti gli aiuti sono finanziati attraverso il massimale nazionale fissato per ciascuno Stato membro (Agriregionieuropa, 2016).
Tab. 1. Distribuzione dei Pagamenti diretti erogati nel 2013 secondo quando previsto dalla PAC.
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dimostrata non lungimirante poiché, da un lato, ha di fatto impedito l’ingresso nel mercato agricolo di nuovi soggetti (piccoli proprietari in grado di contrastare lo strapotere dei grandi aziende), dall’altro, ha confermato un’ulteriore volta quanto il Vecchio Continente sottostimi il problema della terra, che non viene considerata alla stregua di un bene comune. Questo discorso vale in modo particolare per i pagamenti diretti, al centro delle politiche europee di sovvenzione, la cui distribuzione è particolarmente problematica. Ad esempio, nel 2013, con il 42,7% delle aziende, gli Stati membri dell’Europa occidentale hanno ricevuto l’82% delle PS mentre, nello stesso anno, gli Stati dell’Europa orientale - con il 61,9% delle aziende - hanno ricevuto il 18% delle PS (CE , 2015; CE, 2013b). Anche nei nuovi Stati membri (UE-10), come la Bulgaria e la Romania, i sussidi vengono distribuiti sulla base di un nuovo sistema di pagamento noto come regime di pagamento unico (European Parliament, 2015). Questo implica che ci sia un legame diretto tra Pagamento unico e suolo perché, in assenza di terra, le aziende agricole non possono attivare i diritti SPS4 (CEPS, KUL & CCR, 2013). Mentre il disaccoppiamento ovvero la rottura del legame tra distribuzione dell’aiuto e produzione oggetto di aiuto, risponde efficacemente alle nuove istanze di orientare meglio le aziende in funzione del mercato e di ridurre le distorsioni nella produzione e nel commercio agricoli. L’assenza di un filtro a monte che regoli la distribuzione di questi sussidi è divenuto una delle principali cause di un eccessivo consumo di suolo in quanto gli aiuti previsti non necessitano di alcun obbligo di produrre. Perciò in assenza di criteri di valutazione restrittivi c’e il pericolo che la terra venga acquistata per l’unico scopo di accedere ai sussidi. 3.3. Trend Europei e Globali La fig. 7 riporta il trend del land grabbing, da cui si evince l’origine del fenomeno agli inizi del secolo, e la notevole accelerazione nel biennio 2007-2008 a causa della crisi mondiale del prezzo del cibo (De Shutter, 2011). Anche l’Unione Europea è spinta da questa crisi nella propria corsa alla terra, ma il driver di investimento principale è determinato dalle politiche del Consiglio Europeo in materia di Energie Rinnovabili (Renewable Energy Road Map CE, 2006; Direttiva 2009/28/CE). 4
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La strategia complessiva comunitaria mira a raggiungere il duplice obiettivo di accrescere la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e ridurre le emissioni di gas a effetto serra (CE, 2006). La tabella di marcia presentata dalla Commissione si propone di fissare un obiettivo obbligatorio del 20% per la quota di fonti energetiche rinnovabili sul consumo totale di energia dell’UE per il 2020 e, nello specifico, un obiettivo obbligatorio minimo del 10 % nel settore dei trasporti (CE, 2006). Questo obiettivo si è concretizzato con la Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio 2009/28/ CE anche conosciuta come RED, Renewable Energy Directive, per la promozione delle energie rinnovabili. Il trend globale e quello dei Paesi appartenenti all’UE sono concordi (fig. 7), eppure la quota di terreni agricoli dedicata alla produzione di colture energetiche è aumentata. Sono esemplificativi i casi della Germania, della Spagna e della Gran Bretagna. In Germania, dove la produzione di agro-carburanti ha visto la crescita maggiore in Europa, più del 10 per cento dei terreni coltivabili è stato utilizzato fin dal 2007 per la produzione di agro carburanti a partire dalla colza, la cui coltivazione era pari a 1,53 milioni di ettari. Solo il 0,7-0,9 (circa) veniva utilizzato per la produzione di biodiesel (Franco, J. et al., 2010). Si stima che l’area di terreno dedicata alla produzione di colza in Germania aumenterà fino a 1,8 milioni di ettari. Tale fenomeno, probabilmente è sostenuto dalla Direttiva UE sulle energie rinnovabili, e da una normativa nazionale nota come il piano d’azione 2009 Nazionale di biomassa che impone una quota del 10 per cento di bioetanolo (ibid.). Inoltre la Germania dipende fortemente dall’importazione di colture energetiche, infatti per produrre energia nel 2006 ha importato il 60% della biomassa utilizzata dai paesi dall’Europa dell’Est. In Spagna l’aumento della domanda di agro combustibili ha determinato nel 2008 una crescita del 26,9% nella produzione di frumento a cui fa seguito 233
Fig. 7. Investitori mondiali (W), europei (E) e appartenenti all’Unione Europea (EU). Numero di contratti (somma di contratti nei diversi stati di negoziazione: intended, concluded, failed) stipulati dal 2000 al 2015. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
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anche un aumento della produzione di semi oleosi, orzo e mais (Aparicio, M. et al., 2013). In Gran Bretagna, vi è stata una rapida diffusione di mais da biogas, coltura che cresce sui migliori terreni coltivabili, e per la quale si è previsto entro il 2020 un aumento di superficie di 100.000 ettari da destinare a tale coltivazione. (Monbiot, G., 2014). L’aumento del fenomeno è stato significativo nel biennio 2006-2007, in cui i Paesi appartenenti all’UE hanno intrapreso un maggior numero di contratti (da 16 a 42) rispetto all’andamento globale che in quell’anno si mostra statico se non addirittura decrescente (da 116 a 114) (fig. 7). Il grafico mostra la crescita del fenomeno, determinata dalle nuove politiche europee che hanno influenzato il consolidamento del mercato dei biocarburanti. Le fonti rinnovabili nel 2008 hanno rappresentato circa il 13% della produzione complessiva di energia, a fronte del 33% rappresentato dal petrolio, del 27% rappresentato dal carbone, del 21% dal gas naturale e dal 5,8 % dall’energia nucleare. Il 10 % delle fonti rinnovabili è rappresentato dalla produzione di energia proveniente da biomasse, ed è in questo settore che ritroviamo la produzione di biocarburanti (INEA, 2011).
Fig. 8. Trend numero contratti failed dal 2000 al 2015: investitori mondiali (W), europei (E) e appartenenti dell’Unione Europea (EU). Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
3.4 Il Trend dei Contratti falliti La fig.8 mostra l’andamento del numero di contratti di negoziazione failed nello stesso intervallo di tempo (2000-2015), stipulati dai paesi europei (E), appartenenti all’UE (UE), e del resto del mondo (W). Il picco maggiore, a livello globale, si verifica nel 2010 e nel 2012, mentre nel caso delle acquisizioni di terre dell’Unione Europea, esso si verifica soltanto nel 2010: si tratta solo del 9% del totale dei contratti in stato di negoziazione dello stesso anno (18 contratti falliti su 197 totali). Nella fig. 9 si riportano i paesi investitori che hanno subito il fallimento nel suddetto intervallo di tempo, in questo modo notiamo che i primi paesi elencati non appartengono all’Unione Europea e il Regno Unito, primo paese europeo, ricopre il sesto posto con un totale di soli 6 contratti falliti, percentuale minima rispetto ai 133 contratti realizzati nel medesimo arco di tempo (4,5% ). Il fallimento di 5 contratti su 6, si colloca dopo il 2010: il Regno Unito infatti, con Germania e Francia, è uno dei paesi europei che dispone del più alto tasso di incentivazione (tab.1), nel 2008 il governo britannico ha introdotto il Renewable Trasport Fuel Standard Obligation che stabilisce un obbligo di miscelazione del 5% nel 2010, con la condizione che i biocarburanti siano prodotti in modo sostenibile. Nello stesso anno però, a causa del dibattito sorto a livello internazionale sulla sostenibilità dei biocarburanti, il governo ha deciso di portare avanti un’analisi sugli effetti di questa produzione. La ricerca, Gallagher Review, ha promosso una riduzione delle percentuali di miscelazione fissate in precedenza (INEA, 2011),
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Fig. 9. Investitori che hanno subito il maggior numero di contratti falliti tra il 2000 al 2015, contratti failed. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
Politica economica e territoriale
abbassandolo al 3,25% per il 2009. Questa politica può aver influito sulla percentuale dei contratti falliti dopo il 2010. La seconda ragione del picco negativo può essere ricondotta proprio alla RED: a partire dal 2011, soltanto i biofuels certificati come sostenibili, in accordo con quanto emesso dalla Direttiva, sono stati inclusi nelle statistiche dell’Eurostat. Alcuni stati membri non hanno ancora adeguato le proprie leggi nazionali ai criteri di sostenibilità e questo spiega il calo di energia rinnovabile nell’impiego dei trasporti tra il 2010 e il 2011(fig.10) (Eurostat, 2014). 3.5 Relazione tra land grabbing europeo e politiche energetiche I principali drivers che vedono l’Unione Europea come uno dei protagonisti del fenomeno sono, in misura minore, la scarsità di risorse naturali e, in misura maggiore, le politiche energetiche. In letteratura sono stati individuati tre gruppi di investitori, suddivisi in base alla propria disponibilità di terra ed acqua: Resourceabundant countries, Moderately resourceabundant countries, Resource-poor countries. I paesi appartenenti all’UE si collocano prevalentemente nel secondo gruppo, ad eccezione di Svezia e Austria che si caratterizzano per l’abbondanza di risorse naturali, e Danimarca e Spagna che, al contrario, fanno parte di quegli Stati carenti di acqua e terra, i cui investimenti sono indirizzati verso colture alimentari (Antonelli et al., 2015). Il secondo principale driver che spinge l’Unione Europea all’acquisizione di terra, all’esterno
dei suoi confini, è il raggiungimento dei target proposti dalle politiche agricole ed energetiche. Per contrastare i cambiamenti climatici, l’UE ha deciso di portare avanti una politica volta alla riduzione delle emissioni di gas serra, l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili e il risparmio energetico attraverso una migliore tecnologia. Le due Direttive guida in queste azioni sono la 2009/28/CE (RED, Renewable Energy Directive) e la 2009/30/CE (Fuel Quality Directive), che traggono origine dalla Renewable Road Map (CE, 2006), in cui viene definito il “Piano 20-20-20” : 20% di energia proveniente da fonti rinnovabili, 20% di risparmio energetico, 20% di emissioni di gas effetto serra in meno entro il 2020. La fig.11 mostra lo stato dell’Unione Europea nel raggiungimento dei suddetti targets. Raggiungere il 10% di energia proveniente da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti, significa incrementare il mercato dei biocarburanti. I principali paesi produttori e consumatori di biocarburante sono Brasile, USA e UE: mentre gli Stati europei si sono
Fig. 11. Emissioni di gas-serra 1990-2012 Fonte: Eurostat, 2013.
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Fig. 10. Quota di energia rinnovabile nel consumo di trasporti EU- 28 Fonte: Eurostat, 2013.
Land grabbing ed Unione Europea
Tab. 3. Materie prime utilizzate per la produzione di agrocarburanti. Fonte: Inea, 2011.
Fig. 13. Scopo degli investimenti realizzati dai paesi appartenenti all’UE elaborato attraverso il metodo della triangolazione, numero di ettari coltivati (migliaia), numero di contratti. Fonte: elaborazione degli autori (basato sul Land Matrix, ottobre 2015).
Fig. 12. Coltivazioni prodotte dall’Unione Europea, contratti realised. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
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specializzati nella produzione di biodiesel, la produzione statunitense e brasiliana ha insistito maggiormente sull’etanolo (INEA,2011). Nella tab.3 si elencano le materie prime maggiormente utilizzate nella produzione di biocarburanti. Nella fig.12 si mostrano le principali coltivazioni prodotte dalle terre acquisite all’estero dai paesi appartenenti all’Unione Europea: al primo posto vi è la coltivazione della Jatropha, pianta altamente tossica, dai cui semi è possibile ricavare dal 30 al 38% di olio combustibile. Questa analisi è coerente con i principali driver che spingono l’Europa all’acquisizione di terre: produzione alimentare, rappresentata nel grafico dalle coltivazioni di grano, e politiche energetiche, Jatropha. Ciò che emerge dalla nuova classificazione basata sul metodo della triangolazione (fig.13) è l’incremento relativo delle colture destinate a biofuel, rispetto alle intention mostrate nella fig. 14. Infatti, secondo le stime dell’INEA i biocarburanti coprono oggi circa il 3% della domanda di energia nel settore dei trasporti e si prevede una forte crescita del loro impiego sotto la spinta delle politiche di sostegno attuate da molti paesi al fine di aumentare la propria sicurezza energetica, contribuire alla
riduzione delle emissioni di anidride carbonica e il sostegno all’agricoltura attraverso la creazione di una domanda addizionale di prodotti agricoli (INEA,2011). La fig. 15 analizza nello specifico la produzione di biofuel, evidenziando i principali paesi investitori, le superfici acquisite e i paesi target coinvolti. Si nota come il Regno Unito, la Francia, la Spagna e l’Italia costituiscano i principali paesi produttori di biofuel a scala europea. Secondo le valutazioni dell’INEA (2011) anche la Germania rientra tra questi, anche se come si nota dalle nostre elaborazioni la superficie ricoperta a tale coltura costituisce solo 0.8 % della complessiva, forse perché nel 2010 la Germania ha proceduto a ridurre i benefici fiscali a favore dei biocarburanti. 3.6 Stato attuale dell’Unione Europea nel raggiungimento dei target proposti In relazione ai target proposti dalle politiche europee in ambito energetico con il “Piano 20-20-20” si indaga lo stato attuale dell’Unione seguenti obbiettivi:
Politica economica e territoriale
Fig. 14. Intention degli investitori appartenenti all’Unione Europea, numero di contratti realised. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
Fig. 15. Ripartizione della produzione di biofuel in ettari (migliaia) rispetto agli investitori appartenenti all’Unione Europea e ai paesi target in cui avvengono gli investimenti. Fonte: elaborazione degli autori (basata su Land Matrix,ottobre 2015).
1. ridurre del 20% le emissioni di gas serra; 2. l’utilizzo del 20% di energia proveniente da fonti rinnovabili; 3. risparmio del 20% di energia, attraverso il miglioramento dell’efficienza tecnologica. Di seguito si analizzano brevemente la situazione rispetto al primo e al terzo scopo per poi focalizzare l’attenzione sul secondo in quanto strettamente collegato al fenomeno del land grabbing.
In riferimento al primo obiettivo la fig. 16 mostra il livello raggiunto dall’Unione Europea nel 20135. In questo periodo l’Unione Europea è riuscita a ridurre del 17,9% le proprie emissioni di gas ad effetto serra, raggiungendo i picchi massimi nel biennio 2008-2009 (- 7,3%), a causa della crisi economica e, nel 2010-2011, per una riduzione della domanda di energia dovuta ad un inverno 5 Rispetto ai diversi obiettivi i dati elaborati prendendo come anno di riferimento il 1990.
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Land grabbing ed Unione Europea
Fig. 16. Quota di riduzione delle emissioni di gas serra dal 1990 al 2013 dei paesi EU-28. Fonte: Eurostat, 2013.
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particolarmente mite. Si tratta di una media, infatti se si considerano due paesi come Cipro e Lituania il gap rimane comunque ampio. Relativamente al terzo obiettivo6 il livello di consumo medio di energia è rimasto, con le dovute eccezioni, sostanzialmente invariato: vi sono, tuttavia, delle grandi differenze tra i paesi membri. Lo stato di raggiungimento del secondo obiettivo, ovvero l’utilizzo del 20% di energia proveniente da fonti rinnovabili, è mostrato nella fig.17. Nonostante il Regno Unito sia al primo posto nell’acquisizione di terra, seguito da Francia e Italia, la quota di energie rinnovabili utilizzate corrisponde solo al 5,1% (Eurostat, 2014). L’Italia, invece, ricopre un’alta posizione nell’utilizzo di energia rinnovabile grazie alle proprie condizioni geo-morfologiche che le permettono di sfruttare anche la fonte solare, eolica e geotermica. Gli Stati membri hanno recepito le due Direttive attraverso misure per promuovere la produzione e l’utilizzo di biocarburante: il sostegno diretto, gli obblighi di miscelazione, misure di protezione commerciale e misure che stimolano la produttività e l’efficienza (INEA,2011). Analizzando i contratti stipulati si evince che il principale driver che spinge l’Italia a fare land grabbing, è proprio il commercio di biocarburanti. Infatti la Francia e il Regno Unito lo scopo finale delle principali colture prodotte (grano semi di soya e riso) corrisponde all’intention Food (fig.18 e 19). L’Italia investe principalmente in colture (olio di palma e canna da zucchero) definibile come flexible, cioè utilizzabile per molteplici scopi (fig.20). Questo spiegherebbe il motivo per cui l’Italia, nel 2013 raggiunge una percentuale più alta nella produzione di energia proveniente da fonti rinnovabili (16.7%) rispetto al Regno unito (5,4%) e la Francia (14,2%).
6 Il risparmio del 20% di energia, attraverso il miglioramento dell’efficienza tecnologica viene calcolato attraverso due indicatori: Primary Energy Consumption e Final Energy Consumption.
Fig. 17. Quota di utilizzazione di energia proveniente da fonti rinnovabili dei paesi EU-28. Fonte: Eurostat, 2013.
Fig. 18. Colture prodotte dal Regno Unito, numero di contratti realised. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
Fig. 19. Colture prodotte dalla Francia, numero di contratti realised. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015)
Fig. 20. Colture prodotte dall’Italia, numero di contratti realised. Fonte: elaborazione degli autori (basato su Land Matrix, ottobre 2015).
4. Conclusioni In questo studio si è valutato il ruolo che l’Unione Europea ha ricoperto nel fenomeno del land grabbing: una recente ondata di investimenti finalizzati all’accaparramento di terra cominciata nei primi anni 2000. I dati utilizzati fanno riferimento al database Land Matrix che fornisce i dati più completi fino ad ora disponibili sugli investimenti globali di larga scala in agricoltura definendo anche lo stato di negoziazione corrente di un accordo.
Politica economica e territoriale
Le informazioni riguardo le acquisizioni di terreni su larga scala non saranno mai prive di errori dato che riflettono la rapida evoluzione del fenomeno, e sono certe volte accompagnate da fonti imprecise di cui si deve sempre conoscere l’integrità. E’ importante quindi, saper dire con precisione e specificità se la terra acquisita in questi investimenti è stata già destinata alla produzione. Gli investimenti considerati comprendono sia quelli che coinvolgono investitori dell’Unione Europea, o organizzati in forme di partenariato con altri soggetti provenienti da diversi paesi, che spesso includono gli stessi paesi target. L’analisi ha mostrato che i drivers principali sono le politiche agricole ed energetiche, e in misura minore la scarsità di risorse naturali. Per contrastare i cambiamenti climatici, l’UE ha deciso di portare avanti una politica volta alla riduzione delle emissioni di gas serra, l’utilizzo di energia proveniente da fonti rinnovabili e il risparmio energetico attraverso una migliore tecnologia. E’ stato mostrato come la produzione dei di biocarburanti è uno dei motivi principali che spingono gli investitori europei a comprare terreni, specialmente in Africa ed in Asia. Sono state poi condotte ulteriori ricerche per studiare la relazione tra gli investimenti europei e le politiche energetiche, in quanto i soli dati offerti dal sistema Land Matrix non erano esaustivi per comprendere l’intenzione reale delle aziende; la ricerca su diverse piattaforme ci ha permesso di ottenere informazioni più sicure riguardo all’investitore e ai suoi affari economici. Tali informazioni sono state sottoposte al metodo della triangolazione per capire i reali motivi che hanno spinto a tali acquisizioni di terra. Sono stati menzionati casi recenti di acquisizione di terra praticate all’interno dei stessi confini europei. L’analisi condotta evidenzia come gli indirizzi delle politiche europee nate per affrontare il problema del cambiamento climatico si è dimostrata altamente impattante dal punto di vista ambientale e sociale. L’Unione Europea dovrebbe integrare nelle proprie Direttive un’attenzione maggiore verso i temi sopracitati: ma non è abbastanza. E’ necessario operare una riduzione del consumo e della produzione, utilizzare le risorse in modo più efficace, ridurre al minimo i rifiuti, comprare con maggiore attenzione all’ambiente e al processo produttivo, ma soprattutto un forte cambio di mentalità (Friends of the Earth Europe, 2013).
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Land grabbing ed Unione Europea
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Workshop
Fattorie rivoluzionarie - Restituzione di casi studio originali
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Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina, oppure essere più piccola
Corso
Maggio2017 Giugno 2017 Venezia
Fattorie rivoluzionarie Restituzione di casi studio originali
Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione in ambienti complessi Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Politiche della Città, il Territorio e l’Ambiente WS Fattorie rivoluzionarie Ruben Baiocco, con Luca Silvestrin e Davide Tecchio Tutor: Debora Billo Margherita Favaro Elisa Gobbato Giulio Grienti Giovanni Rossi a.a. 2016-2017 Work team 4: * Alessia Motti * Elvis Paja * Chiara Rossi * Irene Salmaso
Contenuti: * Nuove forme rivoluzionarie di produzione * Pratiche per la costruzione di una nuova agricoltura * Casi studio relativi a orti urbani * Casi studio relativi a fattorie
Fonti: * Articoli * Di Iacovo F., Scarpellini P. (2003), La governance e le aree rurali: una introduzione critica, Policies, Governance and Innovation for Rural Areas * Sitografiche * http://www.architetto. info/news/green-building/ orti- urbani-esperienze- modello-in- italia-enel-mondo/ * http://www.secondowelfare.it/poverta-alimentare/ agricoltura- urbana-e- orti-sociali- per-costruire- citta-sostenibili.html * http://www.ilcambiamento.it/articoli/agrivillaggio_leoni_parma * http://www.green.it/floating-farm- amsterdam/ * http://www.educazionesostenibile.it/portale/ pianeta-azzurro/1838l-orto- di-nemo- di-emiliomancuso.html
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Fattorie rivoluzionarie
Nuove forme rivoluzionarie di produzione Oggi le città sono caratterizzate da una frammentazione degli spazi, dovuta alla presenza di vuoti urbani. Questi frammenti che risultano essere abbandonati o sottoutilizzati nascono dalla dismissione di luoghi industriali/produttivi e commerciali. Il fenomeno si ripercuote anche su alcuni spazi aperti adiacenti alle zone industriali, o marginali delle città. Le città iniziano a cambiare il modo di concepire la produzione, non hanno più bisogno di omologarsi, e diventa quindi fondamentale la diversità. L’agricoltura tradizionale cede il passo a nuove forme sperimentali.
2 Fattoria urbana, Baltimore USA
Inizialmente si pensava che per fare agricoltura si doveva uscire dalla città e recarsi in campagna, ora questa vocazione si è completamente capovolta, ha subito un’inversione di tendenza; oggi si coltiva ovunque, anche in città dove l’agricoltura urbana diventerà sempre più una necessità. Le fattorie rivoluzionarie come le nuove forme di agricoltura urbana diventano importanti per la città e il cittadino, in quanto vengono identificate come servizi veri e propri che la città non offre più, come il welfare (servizi sociali). Esse svolgono diverse funzioni non si limitano alla produzione di cibo in se ma offrono attività didattiche, di inserimento lavorativo, di sostegno ecc.
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Queste nuove forme vengono definite “rivoluzionarie” perché cambiano i modi di abitare, di stare, di vivere, oltre che produrre, la città. Alla base comunque ci deve essere un sistema di produzione che generi economie ma allo stesso tempo tali forme rivoluzionarie originano relazioni e flussi tra persone con esperienze diverse, oltre che la promozione di ideologie ambientali quali il km0 e lo sviluppo sostenibile. I nuovi modi di produzione costituiscono una risposta concreta a più esigenze delle comunità urbane e dell’ambiente: permettono di investire positivamente il proprio tempo libero ed entrare in relazione con le persone che abitano il quartiere, favoriscono lo scambio di conoscenze, rispondono al desiderio di sapere cosa si mangia. (Legambiente, 2014) L’inserimento di queste pratiche nel centro
3 Nutritional Teaching Garden, New York
4 Orto delle Zitelle di Spiazziverdi,Venezia
5 Orto delle Zitelle di Spiazziverdi, Venezia
Workshop
6 Orto delle Zitelle di Spiazziverdi, Venezia
città, e non più nelle zone periferiche, genera cambiamenti socio-culturali ma anche estetici della città stessa. All’interno di agricoltura “rivoluzionaria” o innovativa, possono rientrare diverse tipologie di esperienze; dagli eco-villaggi a fattorie didattiche. Orti urbani L’orto urbano nasce come esigenza da parte di nuovi protagonisti che decidono per hobby di avvicinarsi al mondo dell’agricoltura. L’idea è quella di condividere un luogo in cui lavorare e in cui creare relazioni sociali; questo fenomeno è in crescita e le amministrazioni si adoperano per aumentare i luoghi disponibili. Eco-villaggi Gli eco-villaggi sono comunità di persone che conducono una vita in armonia, rappresentano un modo di vivere.
Pratiche per la costruzione di una nuova agricoltura Nella definizione di agricoltura urbana possono rientrare esperienze differenti, da quelle classiche a quelle più originali. Un primo tentativo di fare una distinzione tipologica ha evidenziato fattorie con vendita diretta, mercati agricoli e GAS, aziende biologiche con vendita diretta, fattorie turisticoricreative, fattorie agro-ambientali, parco agricolo ed infine l’orticultura (orti comunitari e didattici). L’agricoltura urbana è praticata in tutto il mondo, negli ultimi anni le coltivazioni in aree urbane hanno contagiato sempre più strade, abitazioni e palazzi. Sia all’estero, in Europa, che in Italia l’attività maggiormente svolta sono gli orti urbani.
Fattorie didattiche È un’azienda agricola o agrituristica in cui si fanno attività educative “attive” per bambini e ragazzi, la didattica diventa un’integrazione alle normali attività. L’obiettivo è diffondere la conoscenza sulle attività svolte in fattoria, coinvolgendo il pubblico nella realizzazione di un prodotto tipico.
1 Public Farm 1, Queens, NY
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Fattorie rivoluzionarie
Casi studio relativi a orti urbani
Alimende Kontor
Berlino
Cittadini
Il progetto agricolo è nato dall’iniziativa di un gruppo di cittadini berlinesi che, dopo la chiusura dell’aeroporto di Tempelhof, ha deciso di prendere in concessione i terreni per creare uno spazio dedicato alla socializzazione, al giardinaggio e all’orticoltura. Oggi è il più grande orto urbano della città di Berlino. Sulle piste di atterraggio si trovano circa trecento appezzamenti di terra in cui gli aspiranti contadini possono coltivare. La struttura, quasi interamente ricavata grazie a materiali di riciclo come i pallet, e suddivisa da piccole palizzate di bambù, è completamente autogestita dai cittadini.
7 Alimente Kontor, Berlino
8 Alimente Kontor, Berlino
Growing underground
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9 Growing underground, Londra
10 Growing underground, Londra
Londra
Zero Carbon Food Gli orti urbani di “Growing Underground” si trovano a 33 metri sotto la stazione della metropolitana Clapham North, lungo la Northern line, nel cuore di Londra. Due giovani londinesi sono riusciti a riportare la vita in questi tunnel senza sole, utilizzati da migliaia di persone come riparo dai bombardamenti durante la seconda guerra mondiale. Il progetto utilizza una speciale illuminazione a Led che consente la crescita delle piantine anche in mancanza di luce solare diretta, a una temperatura costante intorno ai 16°C, garantendo un’ottima resa in tutte le stagioni attraverso tecniche di coltivazione idroponica, senza quindi l’impiego di terra. L’orto sotterraneo può arrivare a una produzione annua tra le 5 e le 20 tonnellate di ortaggi, senza utilizzare pesticidi e risparmiando il 70% di acqua rispetto ad una produzione ortofrutticola convenzionale. La verdura viene successivamente venduta a km 0 ed in poche ore si trova già sugli scaffali dei supermercati e nei ristoranti della zona.
Workshop
Orto di Nemo
Ocean Reef
Italia
E’ un’esperienza innovativa, un progetto sperimentale di coltivazione subacquea, sviluppata nella Baia di Noli (SV). Il progetto ha lo scopo di creare e installare, a 100 metri dalla spiaggia ad una profondità di 7/9 metri, delle biosfere subacquee ancorate al fondale in cui coltivare il basilico. L’idea originaria era quella di creare un sistema interattivo tra superficie terrestre e quella subacquea, che fosse diversa dall’attività consueta. 11 Orto di Nemo
12 Orto di Nemo
Orto in areoporto
13 Orto in aeroporto, New York
14 Orto in aeroporto, New York
New York
JetBlue e GrowNYC
Al terminal 5 dell’aeroporto JKF di New York, è stato realizzato il primo orto aeroportuale, nato grazie al progetto di una compagnia aerea americana, la JetBlue, con la consulenza di un team di esperti giardinieri e botanici di GrowNYC. Nei 7.500 mq di spazio coltivato spuntano 1000 piantine di patate insieme a 2000 piante tra menta, rucola, barbabietole, aglio, cipolle e spinaci. Il tutto impiantato in cassoni e fioriere realizzate utilizzando esclusivamente materiale di riciclo riempiti di terriccio concimato con il compost ricavato dai rifiuti alimentari dei ristoranti – stimati in quasi 300 kg al giorno – presenti nello stesso terminal. L’iniziativa, oltre al rifornire i ristoranti della struttura aeroportuale di verdure biologiche e a chilometro zero, si pone anche un altro obiettivo, quello di contribuire ad abbattere l’inquinamento atmosferico ed acustico dell’area adiacente.
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Fattorie rivoluzionarie
Hortus Urbis
Roma
Hortus Urbis è un progetto sperimentale sullo spazio pubblico e la biodiversità di Zappata Romana e del Parco dell’Appia Antica che ha preso avvio il 25 marzo 2012 a Roma. L’Hortus Urbis ha visto l’attivazione di un’area verde non utilizzata nel parco dell’Appia Antica destinandola a spazio pubblico e ad orto a vocazione didattica con una selezione di circa 100 varietà di piante utilizzate ai tempi dell’antica Roma. L’orto è composto da 16 aiuole quadrate e occupa un’area di circa 50 piedi romani di lunghezza per una superficie di circa 225 mq. Con il contributo di lavoratori volontari sono state inoltre realizzate: una compostiera, un forno in terra cruda, una insect house, una pergola e un impianto di irrigazione. All’Hortus Urbis si svolgono laboratori per bambini le domeniche mattine, si ospitano scuole durante la settimana con attività ad hoc, si organizzano seminari e corsi per gli adulti.
15 Hortus Urbis, Roma
Orti alla Ferrovia
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16 Orti alla Ferrovia, Tokoy
17 Orti alla Ferrovia, Tokoy
Zappata Romana
Tokoy
East Japan Railway Company Il progetto degli orti urbani posizionati vicino alle stazioni è promosso dalla East Japan Railway Company, nato dal desiderio di contribuire al mantenimento ed alla riscoperta delle aree verdi situate nei pressi delle fermate dei treni. Lungo la rete ferroviaria della compagnia giapponese si trovano attualmente diverse Soradofarms. La prima ha preso vita nel 2010, grazie alla realizzazione di un tetto verde presso la stazione di Ebisu, a Tokyo. I pendolari trovano a propria disposizione tutti gli attrezzi necessari per il giardinaggio e i semi da piantare e coltivare. Chi è alle prime armi con la coltivazione dell’orto, può richiedere i consigli di un esperto mentre i pendolari che non hanno abbastanza tempo per dedicarsi alla coltivazione vera e propria possono essere d’aiuto per tenere sotto controllo la presenza di parassiti, oppure occuparsi del raccolto. Così il tempo trascorso in attesa del treno si trasforma in un momento da dedicare ad un’attività utile per socializzare e per imparare a coltivare gli ortaggi di stagione.
Workshop
Casi studio relativi a fattorie
Floating Farm
18 Floating Farm fuori, Rotterdam
Rotterdam
Istituto di agricoltura dei Paesi Bassi
Il progetto sperimentale e in via di definizione, prevede la costruzione, nell’area portuale Merwe-Vierhavens, di una fattoria galleggiante in grado di ospitare 40 mucche. L’allevamento sarà in grado di produrre latte e i suoi derivati a chilometro 0. La struttura è stata progettata per evitare le oscillazioni, ricreando un ambiente il più simile possibile a quello naturale. In oltre è stata pensata per essere totalmente autosufficiente e sostenibile: ogni giorno verranno generati i prodotti necessari per automantenersi tramite pannelli solari e turbine eoliche. L’urina degli animali sarà purificata e usata per coltivare erba medica e altro foraggio mentre il letame sarà utilizzato come concime o trasportato a fattorie vicine che ne avranno bisogno. L’acqua piovana verrà raccolta e filtrata per abbeverare gli animali.
19 Floating Farm dentro, Rotterdam
Mufi
20 Muti, Detroit
21 Muti, Detroit
Detroit
Urban Farming Initiative Michigan
A Detroit nasce il primo Agrihood (un modello alternativo di sviluppo e crescita di quartieri attraverso l’agricoltura quale mezzo per uno sviluppo sostenibile ed efficiente), l’esempio più efficace di quartiere agricolo pensato con una fattoria al centro per la produzione a chilometro 0. Mufi si sviluppa su 3 acri e vanta un giardino di 2 acri, un frutteto di 200 alberi e un giardino sensoriale per i bambini, inoltre offre prodotti freschi e locali a circa 2.000 famiglie. Negli ultimi anni, ha venduto 22 tonnellate di prodotti locali a ristoranti e privati, attraverso il mercato del sabato. Inoltre la comunità può raccogliere gratuitamente tutto ciò che vuole per il proprio consumo o per quello della propria famiglia.
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Fattorie rivoluzionarie
Home Farm
22 Home Farm, Singapore
Singapore
Sparck al World Architecture Festival
Il progetto è stato pensato per la città di Singapore, dove – considerando l’aumento delle persone in età pensionabile e la difficoltà a produrre ortaggi che non siano d’importazione – implementare un sistema in cui gli anziani producano cibo biologico da consumare all’interno della casa di riposo ha un valore economico e sociale. L’intenzione, inoltre, è quella di stimolare un senso di appartenenza, di comunità naturale tra i membri della struttura, favorendo il lavoro di gruppo e l’organizzazione dei ritmi colturali da parte degli anziani stessi. Nota di valore all’interno del progetto è il mercato ortofrutticolo in cui lo staff della casa di riposo venderà i prodotti in esubero, utilizzando i ricavi per le spese gestionali della struttura.
23 Home Farm, Singapore
Agro-Mainville
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24Agro-Mainville, Parigi
Romainville, Parigi
ABF-lab
A Romainville, sobborgo di Parigi, ha aperto al pubblico la Agro-main-ville, una torre di orti urbani: ben otto piani e sette enormi terrazzi in cui i cittadini possono coltivare le loro piante e curare gli orti condivisi. Una struttura ecosostenibile ed a risparmio energetico in cui sono stati previsti anche sistemi di raccolta e filtraggio dell’acqua piovana ed uno spazio per il compostaggio on-site degli scarti delle fattorie verticali e dei rifiuti organici della popolazione. La torre, infatti, è progettata per integrarsi con Romainville e il suo tessuto sociale. Produzione di cibo a km zero, preservazione della biodiversità, implementazione di forme di economia circolare, giardini urbani nei punti di raccordo tra i piani della torre. Inoltre la versatilità dell’edificio permette di sviluppare progetti ad hoc insieme alle associazioni presenti sul territorio.
Workshop
Fattoria di Alice
25 Fattoria di Alice, Viterbo
26 Fattoria di Alice, Viterbo
27 Fattoria di Alice, Viterbo
28 Fattoria di Alice, Viterbo
Viterbo, Italia
Cooperativa Sociale ALICE
La “Fattoria di Alice” è un’ azienda agricola e sociale a conduzione biologica che la Cooperativa Sociale ALICE e l’Associazione familiari e sostenitori sofferenti psichici della Tuscia hanno realizzato a Viterbo, in prossimità del centro cittadino. L’idea di coniugare attività di tipo agricolo e servizi di tipo sociale nasce dall’evidenza ormai consolidata che le attività di coltivazione delle piante e di allevamento degli animali sono uniche nel generare benefici ai soggetti con difficoltà fisiche, mentali e sociali. La Fattoria di Alice oltre ad offrire servizi di carattere “terapeuticoriabilitativo” nei confronti di particolari gruppi della popolazione, per la propria natura di impresa agricola sociale, vuole anche “produrre” occupazione per soggetti svantaggiati contribuendo in questo modo a ridurre il fenomeno dell’esclusione sociale. La cornice in cui tutto questo è stato realizzato rientra nell’espressione sempre meno infrequente di agricoltura sociale, vale a dire l’insieme di quelle attività, esperienze, programmi ed interventi, nei quali vengono condotte attività agricole, di coltivazione, di allevamento o di trasformazione di prodotti agroalimentari, che coinvolgono attivamente e produttivamente fasce deboli della popolazione. Il progetto “Fattoria di Alice” nasce dall’esigenza di creare uno spazio, “aperto” a tutta la cittadinanza, ma soprattutto “protetto” per alcune categorie di fruitori, nel quale poter svolgere attività varie tali da consentire la realizzazione di diversificate tipologie di interventi a vantaggio sia di persone con disabilità psico-fisica sia dei minori. Infatti in un’ottica multifunzionale, accanto ai processi produttivi classici di un’azienda agricola (funzione produttiva caratteristica) sono stati strutturati ed avviati da tempo percorsi tesi a sviluppare gli aspetti sociali dell’agricoltura con particolare riferimento alla: • funzione educativa, terapeutico-riabilitativa e di inclusione sociale; • funzione occupazionale e di inserimento lavorativo; • funzione didattico – culturale.
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Fattorie rivoluzionarie
Fattoria Verticale Toshiba
29 Fattoria Verticale Toshiba, Tokyo
Yokosuka, Tokyo
Toshiba
A Yokosuka, a soli quaranta chilometri da Tokyo, gli ortaggi si coltivano nell’ex fabbrica di floppy disk che Toshiba ha ora trasformato in una fattoria verticale idroponica. La grande compagnia giapponese è stata colpita dalla crisi energetica seguita al disastro di Fukushima (2011) e ha cancellato il suo piano industriale che prevedeva la costruzione di 38 nuovi reattori nucleari e da allora è impegnata in una massiccia diversificazione dei suoi prodotti. I manager del gruppo hanno studiato il mercato bio, intuendo le enormi potenzialità in un Paese dove si importano circa 10mila tonnellate di insalata all’anno. A questi consumatori si rivolgono i prodotti bio coltivati nei capannoni industriali della Toshiba, senza batteri, senza pesticidi e senza neanche la necessità di lavare l’insalata.
30 Fattoria Verticale Toshiba, Tokyo
Brooklyn Rooftop Farms
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31 Brooklyn Rooftop Farms, New York
32 Brooklyn Rooftop Farms, New York
New York
Brooklyn Garage
A New York i tetti coltivati sono un business ormai dal 2010, precisamente da quando è nato Brooklyn Grange, in Northern Boulevard, il più grande orto sul tetto, in grado di produrre 25mila chili l’anno di verdure fresche, erbe officinali, uova e miele. Brooklyn Grange è diventato un super marchio trendy: i giovani coltivatori rivendono i prodotti ai ristoranti più chic di Manhattan e Queens, organizzano corsi di formazione per scuole, visite guidate ed eventi. E nei weekend li si può trovare al mercatino all’angolo fra Russell Street e Nassau Avenue con i loro banchetti di prodotti di stagione.
Workshop
Rooftop Farms
33 Rooftop Farms, Amsterdam
Zuidpark, Amsterdam
IBiet & Boon
Il “Zuidpark”, originariamente risalente agli anni settanta, è composto da due edifici adibiti ad uffici ed è stato completamente rinnovato e adattato agli standard tecnici di oggi, nel 2012. Il complesso è circondato da edifici per uffici, edifici commerciali, parcheggi, strade e autostrade. In questo contesto, il tetto verde gioca un ruolo importante per quanto riguarda la sostenibilità. Frutta e verdura vengono coltivate sul tetto delle dimensioni di 3.000 mq all’altezza di 10 metri. Lo staff di questo complesso commerciale ha la possibilità di crescere e mantenere la propria frutta e verdura su una parte del tetto. Sul resto della superficie viene invece coltivata verdura da utilizzare nella mensa aziendale. Il tetto verde può essere visto perfettamente dagli uffici, un cambiamento di benvenuto in un’area dominata da edifici industriali. Bello per il pranzo e per le pause caffè o per un momento indisturbato all’aria aperta mentre si guarda l’ampio orizzonte. C’è il wifi, è possibile tenere riunioni o anche prenotare per le feste.
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34 Urban Farm Lab Project della New York University 35 Urban Farm in Staten Island, NY
Fattorie rivoluzionarie 34
Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in terza di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina, oppure essere più piccola. La pagina seguente (quarta di copertina) va lasciata vuota.
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Workshop 35
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Sociologia dell’ambiente Riflessioni sullo spazio. Relazione sui libri Arrivederci amore ciao e Alla fine di un giorno noioso di Massimo Carlotto, secondo una chiave di lettura di dialettica triplice dello spazio
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Immagine significativa (o schema, grafico, rappresentazione, foto opportunamente trattata) in seconda di copertina. L’immagine può essere inerente al tema o discostarsi ma deve avere un significato ed essere giustificabile. L’immagine può essere a tutta pagina, oppure essere più piccola
Sociologia dell’ambiente
Università IUAV di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Corso di Laurea Magistrale Pianificazione e Politiche per la Città, il Territorio e l’Ambiente Sociologia dell’ambiente Professori: Guido Borelli a.a. 2017-2018
4 marzo 2018 Venezia
Riflesisoni sullo spazio. Relazione sui libri Arrivederci amore ciao e Alla fine di un giorno noioso di Massimo Carlotto, secondo una chiave di lettura di dialettica triaplice dello spazio. Contenuti: 1* Introduzione 2* Le cose difficili prima: la dialettica triplice dello spazio di Henri Lefebvre 3* Le cose semplici dopo: i libri Arrivederci amore ciao e Alla fine di un giorno noioso. 3.a. Biografia di Massimo Carlotto 3.b. Genere letterario dei libri e stile narrativo 3.c. Riassunti 3.d. I personaggi dei romanzi 4* Certi luoghi, tempi e spazi di Pellegrini 4.a Certi spazi di Pellegrini in Arrivederci amore ciao 4.b Certi spazi di Alla fine di un giorno noioso 5* Riflessioni sui libri di Massimo Carlotto. Da interviste online e incontri con l’autore dei romanzi 6* Interpretazione degli spazi di rappresentazione del romanzo 7* Riflessioni sullo spazio 8* Visione prospettica: conclusioni e giudizi personali * Riferimenti bibliografici
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Team * Elvis Paja
Riflessioni sullo spazio
«Se generalizzassimo la distinzione, dovremmo riconsiderare tutta la storia. Cioè dovremmo studiare non soltanto la storia dello spazio, ma quella delle rappresentazioni, così come quella dei nessi che esistono tra di loro, con la pratica, con l’ideologia. Quindi fare la storia della genesi di questi spazi, e soprattutto fare la storia delle loro connessioni, distorsioni, spostamenti, interferenze, e dei loro legami con la pratica spaziale delle società (modi di produzione)». Henri Lefebvre, La produzione dello spazio, 1976, p. 62.
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1. Introduzione Seguendo l’esempio di Lefebvre, che abbiamo appena citato e che tra qualche paragrafo introdurremo con i sui concetti più fondamentali dello spazio, evidenziamo da subito l’obiettivo di questo lavoro personale: una “relazione” (come dice il titolo) sui libri Arrivederci amore ciao (2001) e Alla fine di un giorno noioso (2011) di Massimo Carlotto, interpretati in chiave di dialettica triplice dello spazio. Spieghiamoci. Perché relazione? Decisa dall’alto. Cioè da prof. Guido Borelli, come compito scritto necessario per concludere con successo il suo corso di laurea magistrale, in quanto professore associato di Sociologia dell’ambiente e del territorio all’Università Iuav di Venezia. Relazione di un libro alla classica? Non proprio, perché questo lavoro prende di più la forma di un paper, ma il professore penso che lo abbia richiesto in tale formato anche per non spaventare i studenti; comunque ci ha chiesto di rispettare un dato quantitativo: il numero di parole è tra il 10.000 e 12.000, che conferma l’ipotesi paper. È incluso il giudizio personale? Si. Prima di tutto perché sarebbe difficilissimo sfuggire da una interpretazione soggettiva a causa della complessità della situazione nella quale noi dovremmo dare il nostro giudizio, che conferma l’ipotesi relazione; vedremo più avanti che il terreno dove ci muoveremo è mobile e non ci è concesso adottare un’unica posizione prospettica: quella di una visione da un punto immobile e personale (velatamente credo che il professore sia curioso di sapere se noi abbiamo l’abilità di essere flessibili, di avere insomma la capacità, classica dei narratori/ descrittori, di immedesimarsi nell’altro: spazio molto complicato e pieno di trabocchetti mentali). Quale è il focus della relazione? Congiuntamente: il libro, la dialettica triplice dello spazio (si avvicina, ma non corrisponde completamente, al concetto di trialettica) elaborata da Henri Lefebvre (filosofo/sociologo, ma meglio meta-fisico francese del dopoguerra), un territorio preciso come il Nordest italiano (in particolare il veneto), e last but not least la nostra attuale formazione e futura professione da urbanisti-pianificatori. Dentro queste pagine dovremmo tessere con eleganza insieme questi fili per creare una piccola opera personale-sociale e/o produrre Fig. 1. “Venezia, laguna, terraferma”. Fonte: Elvis Paja, 2017.
Sociologia dell’ambiente
un prodotto intellettuale (questa differenza penso che solo il prof ha la competenza di qualificarlo). Ma quindi, se io sono interessato solo nei libri di Carlotto, perché dovrei leggere questa relazione? Perché i libri sono uno degli elementi a cui si tiene conto e ci serviranno come spunto di riflessioni sullo e dello spazio veneto, o magari in certe occasioni coraggiose come “prova” di una tesi socio-spaziale o personale. Per essere più precisi utilizzeremo i libri come input per la teoria dello spazio di Lefebvre, e dovranno essere interpretati principalmente secondo tale “metodo” e non semplicemente in chiave letterario-narrativa. Esso ci aiuterà a comprendere l’impatto che il particolare sviluppo economico e urbanistico degli ultimi decenni causa sui comportamenti degli abitanti e viceversa; di comprendere il linguaggio comune di questa pratica e i suoi tratti salienti, riconosciuti pubblicamente o celati inconsciamente (o segretamente). Parleremo ovviamente dei temi dei libri, dello stile dell’autore, del genere letterario, dello stile del narratore; rassegneremo un piccolo pezzo “polemico” sulla sua biografia, senza dilungarci. Passeremo all’analisi dei personaggi, focalizzandoci sui comportamenti sociali e sui rapporti tra i vari personaggi, sulle loro emozioni e motivazioni. Inquadreremo il romanzo all’interno del periodo storico in cui è ambientato e il contesto sociale in cui si svolgono le vicende. La trama verrà distesa e analizzata, ma non completamente svelata. A chi è destinato la relazione, chi è il lettore? Originariamente, solo il prof. Borelli. Ma dopo abbiamo deciso di dare un respiro più ampio a questi fogli e di destinarli/scriverli per chiunque abbia almeno conoscenza del contesto del nordest italiano e che voglia leggere i libri di Carlotto e/o Lefebvre. Rischi: uscire dal compito originale del lavoro; opportunità: essere apprezzati per l’originalità e magari essere letto d’altri occhi, che non per forza hanno considerato il valore espressivo e rappresentante delle relazioni sociali espressi nei libri di Carlotto. Magari i suoi libri possono qualificarsi come rilevatori delle “vere” relazioni interpersonali nella pratica quotidiana degli abitanti del veneto e nei variegati spazi di questa regione, che in termini metrici misura 18.407 km² e dove abitano circa 4,9 milioni di abitanti, ognuno con la sua vita e la sua pratica personale. Una delle domande che abbiamo fatto al professore durante il corso riguardava l’affermazione se uno degli obiettivi del corso (e forse anche suoi personali) era quello della presa di coscienza da parte dei suoi studenti su come il territorio cambia insieme alle “sue” relazioni sociali che contiene, alle persone che ci vivono e alla natura. La risposta era che sì, l’obiettivo era la nostra responsabilizzazione riguardo al futuro ruolo (come urbanisti e professionisti) che avremo nella formazione e modellazione del territorio (lefebvrianamente: produzione dello spazio). Quindi, penso, tecnicamente questa relazione dovrebbe essere un nostro tentativo a rispondere a questo richiamo didattico del professore. Si segnala inoltre, sin da subito, che i vari concetti, frasi, idee non sono citate secondo il serrato metodo accademico dell’articolo scientifico. Certe frasi possono essere vere e proprie intuizioni dello scrittore della relazione, altre riadattamenti/rielaborazioni di
concetti presi in prestito senza indicarne la fonte originale se non nella bibliografia generale. Come scusa per il lettore abbiamo la libertà narrativa e formale tipica della relazione, nonché la ricerca da parte nostra di una espressività non limitata dalle utili regole della citazione. Si richiede quindi indulgenza al lettore sistematico e accertante.
2. Le cose difficili prima: la dialettica triplice dello spazio di Henri Lefebvre.
Si deve cominciare con la teoria dello spazio di Lefebvre in quanto esso rappresenta il nostro metodo di lavoro. Nel 1974, il filoso e sociologo francese Henri Lefebvre (1901-1991), pubblica uno dei suoi libri più influenti: La production de l’espace. In Italia viene divulgato dalla casa editrici Moizzi due anni dopo. Il primo concetto, e il più fondamentale secondo Lefebvre, che dalle prime pagine comincia a decomporre e rivalutare e lo spazio. Le prime critiche vengo rivolte contro i filosofi e matematici moderni, che dimentichi della metafisica, loro vecchio tronco che li accomunava (infatti Lefebvre preferirà di appartenere alla ‘categoria’ metafisico), hanno elaborato tante versioni e definizioni dello spazio da renderlo, nei tempi moderni, l’equivalente di un mero e astratto concetto geometrico, o di una forma vuota, una specie di contenitore assoluto: «Ogni persona istruita lo completava immediatamente con un termine colto, come “euclideo”, o “isotropo”, o “infinito”. Il concetto di spazio competeva, nell’accezione generale, alla matematica, e soltanto ad essa. Lo spazio sociale. Queste parole avrebbero sorpreso» (Lefebvre, 1976, p. 27; enfasi aggiunte). Con l’emancipazione progressiva di queste scienze e dell’aumento del loro distacco dalla ‘realtà’, in particolare della matematica, esse riproponevano il vecchio problema, detto “della conoscenza”: «come passare dagli spazi matematici, cioè dalle capacità mentali del genere umano, dalla logica, alla natura prima e in seguito alla pratica, alla teoria della vita sociale, che si svolge nello spazio». L’epistemologia che cercò di sanare il divarico tra le scienze squisitamente mentali e fisiche, proponendosi come l’indagine critica intorno alla struttura e ai metodi (osservazione, sperimentazione e inferenza) delle scienze, riguardo anche ai problemi del loro sviluppo e della loro interazione. Pero questa riflessione «epistemologica-filosofica non ha dato un asse a una scienza che si cerca da molto tempo attraverso un grandissimo numero di pubblicazioni e lavori: la Scienza dello spazio», oppure attraverso la cosiddetta “teoria degli insiemi”. Alla fine anche l’epistemologia finisce per commettere gli stessi errori che commettevano le singole scienze che essa cercava di unire: il sociale finiva per diventare un sottoprodotto dell’individuale e non esistente se non nella pratica teorica o nella sfera mentale; oppure il gruppo e la società diventano per loro ininfluenti, superflui e non necessari. Quasi tutte le scienze specializzate costruiscono esclusivamente nello spazio mentale e logico, quindi scavando ancora di più l’abisso fra il
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Riflessioni sullo spazio
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mentale, il fisico e il sociale – giacché non può essere negata che questi tre campi esistano, in quanto ogni uomo li vede e li dà per scontato. I sensi dell’uomo (dal più semplice al più elaborato) e la sua unità fisicalogica-spirituale (irrazionale) non percepiscono altro se non questa unica complessità sempre presente e non veramente divisibile. Se quindi le “scienze” hanno specializzato il loro sapere e al contempo si sono allontanati da “un” (o “il”) tronco comune, quello che Lefebvre propone, continuamente nel suo libro e a diversi livelli applicativi, e l’unificazione, non solo delle scienze, ma dell’intero spazio: «Si tratta di scoprire o creare l’unità teorica fra “campi” separati, allo stesso modo delle forze molecolari, elettromagnetiche e gravitazionali. Di quale campo si tratta? Dapprima di quello fisico, la natura, il cosmo; poi di quello mentale, compresa la logica e l’astrazione; e, infine, di quello sociale. In altri termini, la ricerca concerne lo spazio logico-epistemologico – lo spazio della pratica sociale – quello che occupano i fenomeni sensibili, senza escludere il fantastico, i progetti e le proiezioni, i simboli, le utopie» (Lefebvre, 1976, p. 36). Lefebvre poi riprende a confutare i “modi mirabilmente incoscienti” delle “rappresentazioni dominanti” che esprime “una forte corrente ideologica (che tiene molto alla propria scientificità)”, secondo i quali «una certa “pratica teorica” genera uno spazio mentale illusoriamente esterno all’ideologia. Per un inevitabile circolo vizioso, questo spazio mentale diventa a sua volta il luogo di una “pratica teorica” distinta dalla pratica sociale, che si erige ad esse, cardine o centro del Sapere» (Lefebvre, 1976, p. 31; enfasi aggiunte). Lefebvre evidenzia che il passaggio e le implicazioni di uno spazio sull’altro (mentale, fisico, o sociale) non possono avvenire senza una reciproca influenza e senza uno mutuo interscambio. La pratica teorica che un individuo svolge, probabilmente componente di una classe benestante, è difficile che non sia influenzabile dalla sua ideologia (di classe), la quale è di per sé un prodotto sociale complesso e stratificato. Se l’obiettivo che si cerca di raggiungere è quello di produrre un lavoro mentale, le probabilità sono ancora più altre che esso rifletterà la propria ideologia e che nasconderà-dissimulerà, tra le pieghe dei sui ragionamenti, la sua motivazione originale (come per esempio la sua utilità per la modificazione dei modi di produzione attuali e dei rapporti sociali di produzione, quindi dello spazio sociale stesso). La pratica teorica di un individuo, che apparentemente e illusoriamente non ha secondi fini se non quella di disquisire nel “mondo” delle idee (o nello spazio mentale), finisce per qualche circolo vizioso a diventare uno strumento del Potere, che attraverso la tecnica del Sapere produce-regola-pianifica lo spazio sociale secondo una certa logica-gerarchia-trama congeniale al suo fine ultimo: il mantenimento della sua supremazia (del Potere) sul creato-universo. Il sapere finisce per essere una giustificazione del potere, anzi lo scheletro (o lo schema di applicazione) del potere: la struttura per la sovrastruttura. Infatti il metafisico dichiara subito che la
scienza dello spazio in questione, elaborata da tanti studiosi che nella storia hanno seguito le “tendenze molto forti, forse dominanti”: «a) equivale all’uso politico (“neo-capitalistico”, se si tratta dell’Occidente) del sapere, di cui si sa che si integra in modo sempre più “immediato” alle forze produttive, e in modo “mediato” ai rapporti sociali di produzione; b) implica una ideologia che maschera tale uso, come pure i conflitti inerenti all’impiego interessato al massimo di un sapere apparentemente disinteressato, ideologia che non si chiama con il suo nome, e si confonde con il suo sapere, per coloro che accettano tale prassi; c) contiene, nel migliore di casi, una utopia tecnologica, simulazione o programmazione del futuro (del possibile) nel quadro del reale, cioè del modo di produzione esistente. Operazione che si compie a partire da un sapere integratointegrante al modo di produzione. Questa utopia tecnologica, che riempie i romanzi di fantascienza, si ritrova in tutti i progetti che riguardano lo spazio: architettonici, urbanistici, di pianificazione» (Lefebvre, 1976, p. 33). Date le giuste scosse all’attuale sistema dei rapporti sociali di produzione (gerarchici e di supremazia) ed evidenziato l’inganno delle “maschere” che dissimulano certi rapporti velati di interesse e di accumulazione di proprietà e potere di un gruppo sul resto della società-universo, Lefebvre ci parla in particolare cosa contiene lo spazio sociale, tanto represso e non degnato di considerazioni dalle scienze nella storia. Nel mondo attuale e quindi del modo di produzione neo-capitalistico moderno lo spazio sociale contiene tre livelli che interagiscono: «a) riproduzione biologica (la famiglia); b) riproduzione della forza-lavoro (la classe operaia in quanto tale [oggi potremo dire qualunque individuo, che per sopravvivere, svolge un lavoro ripetitivo o meccanico]; c) riproduzione dei rapporti sociali di produzione (i rapporti costitutivi della società capitalistica). (…) Le rappresentazioni dei rapporti di riproduzione [a) e b)] consistono in simboli sessuali (…) [e] si dividono in relazioni frontali, pubbliche, dichiarate e quindi codificate, e relazioni nascoste, clandestine, represse, che definiscono delle trasgressioni. [Invece] le rappresentazioni dei rapporti di produzione [c)] che implicano rapporti di potere, si realizzano nello spazio, che le contiene sotto forma di edifici, di monumenti, opere d’arte» (Lefebvre, 1976, p. 54). E in questo punto Lefebvre, ci presenta con il suo celeberrimo concetto di dialettica triplice dello spazio, che finirà per influenzare molte scienze moderne (a citarne poche: la sociologia stessa, la geografia, l’urbanistica). Tra gli autori contemporanei che riprenderanno il lavoro di Lefebvre sarà anche il geografo della scuola di Los Angeles Edward J. Soja che conierà il termine trialettica nel suo libro Thirdspace (1996). È probabile che Lefebvre sia stato a sua volta influenzato dal libro Selvatichezza, barbarie e civiltà
Sociologia dell’ambiente
(1963) del pittore danese Asger Jorn, che partendo dalla tripla polarizzazione del tempo – presente, passato, futuro – senza antagonismi della pittura italiana del XV secolo (Vazques, 2011), elabora una versione dinamica dell’interazione-polarizzazione di questi tre elementi. Nella triplicità dinamica di Jorn non si arriva mai ad una attualizzazione (sintesi) di un duo di elementi rispetto al terzo: ogni elemento ha pari importanza, e non viene mai completamente virtualizzato o “annientato” dalla combinazione di un gruppo. Inoltre Jorn dalla triplicità del tempo (e dei tre colori semplici rosso-blu-giallo) passa ad interpretare la triplicità delle forme del potere: esecutivo-legislativo-giudiziario. Ritornando a Lefebvre, la sua dialettica triplice dello spazio è composta da: «a) la pratica spaziale, che ingloba produzione e riproduzione, luoghi specifici e insiemi spaziali propri ad ogni formazione sociale, e che garantisce la continuità in una relativa coesione. […] Cos’è, nel neo-capitalismo, la pratica spaziale? Essa associa strettamente nella percezione dello spazio la realtà quotidiana (l’uso del tempo) e la realtà urbana (i percorsi e le reti che collegano i luoghi di lavoro, della «vita privata», del tempo libero). b) le rappresentazioni dello spazio, legate ai rapporti di produzione, all’“ordine” che impongono e, attraverso questo, alle conoscenze, ai segnali, ai codici, alle relazioni “frontali”. […] Le rappresentazioni dello spazio, cioè lo spazio pensato, quello degli esperti, dei pianificatori, degli urbanisti, dei tecnocrati specializzati. […] È lo spazio dominante in una società (un modo di produzione). c) gli spazi di rappresentazione, che presentano (con o senza codificazione) dei simboli complessi, legati all’aspetto clandestino e sotterraneo della vita sociale, ma anche all’arte, che potrebbe eventualmente essere definita non come codice dello spazio, ma come codice degli spazi di rappresentazione. […] Gli spazi di rappresentazione, cioè lo spazio vissuto attraverso le immagini e i simboli che l’accompagnano, spazio degli «abitanti» e degli «utenti», ma anche di certi artisti e forse anche di coloro che descrivono e sono convinti di descrivere soltanto: gli scrittori, i filosofi. È lo spazio dominato, dunque subito, che l’immaginazione tenta di modificare e di occupare» (Lefebvre, 1976, p. 54-55; 59). Ora è il momento di rileggere la prima citazione con cui si apre questa relazione, in cui Lefebvre chiama alla riconsiderazione di tutta la storia (dello spazio) poiché si devono reinterpretare le dinamiche, interrelazioni, connessioni, distorsioni, spostamenti e interferenze tra la pratica spaziale, le rappresentazioni dello spazio e lo spazio di rappresentazione per ogni società e in ogni tempo. Quindi i libri di Massimo Carlotto si presentano a noi, sotto questa nuova interpretazione, come uno spazio di rappresentazione, in quanto lo scrittore “descrive” lo spazio sociale come lui lo vede e immagina. In particolare raccontando quei personaggi o quelle dinamiche clandestine e nascoste di certi rapporti
sociali di produzione che non spesso godono dei riflettori dell’attenzione sociale. Ci racconta di personaggi molto particolari (come il protagonista dei romanzi, Giorgio Pellegrini) e altri stereotipi di quel strato sociale che non preferiscono di essere riconosciuto per quello che sono, per quel che possiedono e che rappresentano per la società attuale, per i “servizi” che svolgono per il modo di produzione moderno: i criminali, le attività illegali, il traffico di persone, la prostituzione, l’azzardo, la corruzione, e se ne potrebbero aggiungere tantissime altre. Massimo Carlotto sceglie di interpretare queste dinamiche, nascoste e velate, dagli occhi e dai sensi di un individuo che odia: Giorgio Pellegrini, la carogna per eccellenza. Quindi ci presenterà la pratica spaziale del protagonista in un arco di tempo che, tra i due romanzi, passa i 28 anni circa di vita di Pellegrini. L’ultima cosa da ricordare da Lefebvre, sempre connessa alla dinamica d’influenza tra i “diversi” spazi, mentre ricerca una (o la) nozione universale che unifichi i campi, è quello del concetto de la produzione. «Per ora è possibile notare che i concetti di produzione e produrre presentano l’universalità concreta richiesta. Elaborati dalla filosofia, essi la superano. […] “Produrre lo spazio” sono parole che sorprendono: la schematizzazione secondo la quale lo spazio vuoto preesiste a ciò che lo occupa, conserva ancora grande attrattività» (Lefebvre, 1976, p. 39). Da questo deriva che «lo spazio (sociale) è un prodotto (sociale)», il che a sua volta implica: «a) lo spazio natura (fisico) si allontana; b) ogni società (quindi ogni modo di produzione con le sue specifiche differenze) produce un proprio spazio» (p. 52). Per non confondere lo spazio sociale dallo spazio mentale e dallo spazio fisico, per specificarlo, bisogna sempre tenere d’occhio le due illusioni, apparentemente contradditorie quando invece sono vicendevolmente rinforzanti, che hanno incantato la maggior parte della filosofia nella storia: a) «l’illusione della trasparenza: si rivela come un’illusione trascendentale». Essa (si avvicina all’idealismo filosofico) ha prodotte gli idealismi che affermano la superiorità del pensiero sopra il fisico, e ideologie che valorizzano “la parola” e sopravvalutano “la scrittura”, «a svantaggio della pratica sociale, che viene occultata». b) «l’illusione realistica: […] le “cose” hanno maggiore consistenza del suo soggetto, del suo pensiero, dei suoi desideri». Essa ha prodotto quelle elaborazioni mentali che ammettono che esiste esclusivamente la realtà sostanziale o materiale, quindi il: materialismo, sostanzialismo, o meccanicismo. L’illusione realistica, se vogliamo vederlo in un esempio e interpretarlo in senso stretto, è espresso da Tyler Durden (nel libro Figh club – che narra le storie di un gruppo di individui che sono affascinati dall’autodistruzione – di Chuck Palahniuk): «Tu non sei un delicato e irripetibile fiocco di neve. Te sei la stessa materia organica deperibile di chiunque altro e noi tutti siamo parte dello stesso cumolo in decomposizione». Ora procederemo verso lo spazio di rappresentazione di Carlotto descritti nei suoi libri. Parleremo dell’autore, del genere letterario dei libri, dei personaggi, del protagonista, dei spazi sociali,
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delle relazioni sociali che ci vengono narrate. Infine una nostra interpretazione dei spazi rappresentati e una riflessione sullo spazio. 3. Le cose semplici dopo: i libri Arrivederci amore ciao e Alla fine di un giorno noioso. 3.a. Biografia di Massimo Carlotto. Massimo Carlotto (nato a Padova nel 1956) vive a Cagliari, è uno scrittore, drammaturgo e sceneggiatorie. Secondo molte fonti è il massimo esponente del genere noir mediterraneo, nonché tra i migliori scrittori a livello internazionale del noir e hard boiled. Egli è stato al centro di uno dei casi giudiziari più controversi della storia italiana (infatti la sua voce in Wikipedia, dedica una lunghissima e dettagliata descrizione di questa vicenda; sono state prodotte lunghe trasmissioni televisive incentrate sul caso). Il “caso Carlotto” si genera a Padova, dove in un triste giorno del ’76 viene uccisa nella stessa abitazione una studentessa venticinquenne, di nome Margherita, con 59 coltellate. Carlotto nel tempo era studente e militante di Lotta Continua, e a quanto sembra scopre casualmente la vittima, insanguinata e morente. Si reca dopo un po’ dai Carabinieri per confessare l’accaduto, ma viene fermato, arrestato e imputato per omicidio. Nel primo processo viene assolto per insufficienza di prove dalla Corte d’Assise di Padova, ma viene poi condannato a 18 anni di reclusione dalla Corte d’Assise d’appello di Venezia. Pena che viene confermata anche dalla Corte di Cassazione nel 1982. Carlotto in queste circostanze fugge in Francia prima e poi in Messico. Dopo tre anni di latitanza, catturato dalla polizia messicana, si costituisce alla dogana italiana. Nel 1989 la Cassazione ordina la revisione del processo, e rinvia gli atti alla Corte di Appello di Venezia, che nel ’90 pone una questione di legittimità costituzionale, in quanto negli anni era cambiata il Codice della procedura penale. La sentenza della Corte Costituzionale arriva nel 1991, ma nel frattempo il presidente del Collegio rimettente è andato in pensione ed è necessario un secondo giudice, nel quale Carlotto viene condannato a 16 anni. L’opinione pubblica si attiva a favore di Carlotto, e nel 1993 il Presidente della Repubblica Scalfaro gli concede la grazia. Nel 2001 esce quello che secondo la critica è forse il miglior romanzo noir dell’autore, Arrivederci amore ciao. Nel 2011 riprende il primo romanzo con il sequel Alla fine di un giorno noioso.
3.b. Genere letterario dei libri e stile narrativo. Nel romanzo noir generalmente il protagonista non è un investigatore come nel genere letterario poliziesco, ma una vittima, un sospettato o un esecutore. Una delle caratteristiche più importanti del genere è la qualità auto-distruttiva del protagonista. Il protagonista noir, oltre al persecutore deve anche affrontare il sistema legale e politico che non sono meno corrotti del criminale di cui il protagonista è vittima, e/o deve perseguitare altri personaggi in una Fig. 2. “Venezia”. Fonte: Elvis Paja, 2017.
situazione con quasi nessuna possibilità di vincere. Nel nostro romanzo, Giorgio Pellegrini (il protagonista), farà di tutto non solo per sopravvivere ma anche per uscirne ‘vincitore’. Il narratore si focalizza costantemente sul protagonista, non ci sono narrazioni secondarie nel romanzo, tutto viene visto dalla egoistica prospettiva di Giorgio Pellegrini. Il tempo è lineare e progressivo e ci racconta mano a mano le vicende della ‘carogna’. Il linguaggio dell’autore è semplice, conciso con periodo brevi, scorrevole, in stile classico americano. Viene usato, specialmente nelle situazioni dove Pellegrini è in difficolta e alle strette, un gergo volgare per entrare nella dinamica del momento e dell’ambiente 3.c. Riassunti. In Arrivederci amore ciao una prima parte del romanzo è ambientata in un campo del Centro America, poi in Italia. All’inizio a Milano, poi nella provincia di Treviso e in seguito in qualche altra piccola città del veneto. Alla fine di un giorno noioso riprende, 10 anni dopo, il protagonista e la sua “vita perbene” che verrà stravolta da quello che lui considerava come figura paterna; farà di tutto però per riprendersi quello che era suo. Nel primo romanzo ci viene presentato Giorgio Pellegrini, membro di una organizzazione extraparlamentare «clandestina, comunista e combatte», condannato all’ergastolo in Italia, fugge nel Centro America. L’azione complicante si ha quando egli decide poi di tornare in Italia, spinto dal desiderio di avere anche lui come tutti gli altri una vita calma e prevedibile, dove riesce a trovare un’opportunità di ‘redenzione’ grazie al poliziotto Anedda e ad evitare la sua condanna. Dopo qualche anno di prigione trova lavoro in un locale di lap dance, compie insieme ad alcuni complici, compreso Anedda, una rapina ad un supermercato e uccide con il poliziotto gli altri complici, per dividere il malloppo solo a metà. Dopo un po’ decide di trasferirsi in Veneto per una vita nuova e si fa aiutare dall’avvocato Brianese a rientrare nel mondo dei cittadini a “pieno diritto” e onesti; nel frattempo deve aspettare qualche anno per la riabilitazione. Là compra una vecchia osteria trascorrendo una “vita normale” quando compare Anedda che gli chiede di eleminare uno sconosciuto per lui, ma il protagonista sceglie invece di ammazzare il poliziotto. È poi “costretto” ad uccidere anche Roberta, la sua compagna veneta, per paura che avesse capito dell’omicidio e potesse spifferare a qualcuno, e alla fine partecipa all’udienza dove gli viene dato il diritto civili e di cittadinanza: lui si sente finalmente “vincente”. Nel secondo romanzo, Alla fine di un giorno noioso, il protagonista, dopo 10 anni circa, riesce finalmente ad “accantonare” il proprio passato da delinquente e diventato un cittadino a tutti i diritti, sposatosi con la sua prima moglie Martina, emotivamente e sessualmente soddisfatto, rispettato per l’attività commerciale lecita e illecita che possiede, riconosciuto il suo status nella buona società, svolge una vita serena e monotona. Dovrà rifare i conti però con quelli che lui considerava i più vicini e fedeli, e che guardava con ammirazione e serviva con devozione, quelli delle scale superiori della gerarchia sociale. Pellegrini, abbassato la
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guardia, è diventato un oggetto di scambio e sacrificabile per quelli che, alla fine, lo hanno sempre visto come un servo. La crisi economica del 2007-2008 coinvolge nello sfondo tutti i personaggi del secondo romanzo. Tagliati i fondi leciti che le banche erano soliti dare ai “grandi impresari e figure professionali e politiche”, un nuovo attore – la criminalità organizzata – si farà avanti per supplire ai bisogni consolidati di un territorio/società che non può smetterla di non consumare (con l’intensità di prima, e magari anche più forte). Questa territorio “deve” mantenere la stessa capacità divorativa di materiale e capitale. Se il consumismo si ferma, si perde tutto, o meglio i personaggi più altolocati perdono tutto. Per lo sarà meglio continuare a cibarsi di fondi criminali e risorse illecite che rinunciare alla traiettoria che la loro vita pre-crisi sembrava “promettesse”. Entrato in scena un attore che ha regole imprevedibili e bruttali e un sistema di comando gerarchico, il protagonista cercherà di trovare lo spazio giusto per salvarsi, facendo fuori tante persone ovviamente. 3.d. I personaggi dei romanzi. Giorgio Pellegrini è il protagonista, uomo sfrontato e scanzonato, cinico ma anche sentimentale: è disposto a tutto pur di diventare un “vincente”, ricco, stimato e con potere, e compie delitto su delitto per alla fine raggiungere, anche se ingiustamente, il suo scopo. Anedda è un poliziotto corrotto che all’inizio per un bel gruzzolo fa evitare l’ergastolo al protagonista, con il quale organizza anche la rapina del supermercato. È l’antitesi dell’onesto e coraggioso membro delle forze dell’ordine che combatte contro il crimine, perché a lui interessano solo i soldi. E il potere. Roberta è la ragazza che durante la storia diventa lo convivente di Giorgio, che riesce quasi a sposarla, ma poi è costretto ad ucciderla per paura che avesse capito del suo omicidio di Anedda. È una ragazza timida, dolce e gentile, che prova sinceri sentimenti per il protagonista, ma segretamente non ricambiati, e anche a lei il protagonista toglie la vita. Brianese è un professionista, cittadino “onesto” che traghetterà Pellegrini in tale sfera sociale. Avvocato che riscatterà-riabiliterà il protagonista, con il giusto compenso. La sua storia attraversa i due romanzi. Lo aspetto un futuro brillante, e poi una caduta da meteorite verso la fine del secondo libro. 4. Certi luoghi, tempi e spazi di Pellegrini.
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4.a Certi spazi di Pellegrini in Arrivederci amore ciao. Il primo libro viene inizialmente ambientato in un campo di guerriglia armata del centro America, dove Pellegrini, nato a Bergamo nel 1957, ci viene presentato, dalla prima pagina, per colui veramente è (una carogna) e che lo rimarrà durante l’intero romanzo: «L’italiano chiacchierava con Huberto. Avvertì la mia presenza. Si voltò e mi sorrise. Gli strizzai l’occhio e lui riprese a parlare. Mi portai alle sue spalle, respirai a fondo e gli sparai alla nuca. Si afflosciò sull’erba». Uno dei suoi amici e ‘compagni’ italiani, con il quale era fuggito insieme nell’America latina, viene giustiziato da Pellegrini stesso, perché non sapeva più come comportarsi nella silenziosa giungla e nelle lunghe notti della lotta armata
guerrigliera: era diventato un ”automa”, uno che non rispondeva e non ascoltava più. «Avevo appoggiato la canna sui suoi cappelli biondi, stando attento a non toccare la testa per non correre il rischio che si girasse e mi guardasse negli occhi, e avevo tirato il grilletto»: egli è sempre uno che vive nei dettagli, immerso nei sensi e nei bisogni-obiettivi personali non gli scapa niente dalla vista e dall’udito. Non era questa però la prima esperienza violenta, la causa della sua latitanza era l’aver messo delle bombe sotto la sede dell’«Associazione Industriali», rappresentazione in mattoni del capitalismo. Ma un metronotte aveva aperto la borsa contente l’esplosivo e si era fatto saltare in aria, dalla casualità, per il ‘denaro’: morte per il poveraccio, e nuova linfa per il potere. Scopriremo che dopo un po’ si pentirà di aver intrapreso la folle iniziativa contro il denaro, e si inginocchierà di fronte al suo altare e alle sue promesse: presto vorrà lui stesso essere uno dei ‘vincenti’ che camminano per la città con la testa alta, e per le strade con le ultime macchine di lusso. «Quando vivevo in famiglia, prima di entrare nel movimento e farmi fottere il cervello, facevo parte della Bergamo bene. Ripensando a quanto avevo disprezzato e deriso quell’ambiente, mi veniva voglia di spaccarmi la testa contro il muro». Queste sentenze rappresentano anche il momentum del libro: una rincorsa alla società (per)bene. Dopo la sua ‘esperienza’ in centro America, passa sette anni a Costarica facendo l’amante e il cameriere per Elsa, padrona di un hotel. Dopo la fuga considera di mettere radici in quel luogo esotico, dove investitori europei, senza «nessun vincolo, nessun piano regolatore» e con solo la «concessione delle licenze basata su un semplicissimo sistema di bustarelle», cimentavano e costruivano alberghi nelle spiagge incontaminate. Avendo un debole per le donne, specialmente per quelle mature – perché gli dava i brividi «insinuarsi nelle loro esistenze e di giocare con le loro vulnerabilità» –, si fa caciare definitivamente dall’America. Questi tempi saranno per lui i più stabili e tranquilli. Deciso di tornare in Italia per un’intuizione avuta da “tre culi delle hostess dell’Air France”, passa per la Francia dove porta come regali pesanti conseguenze e tradimenti ai vecchi ‘compagni’ che conducevano là “una vita normale”. Minaccia che farà i nomi di tutti quelli che non erano denunciati alle autorità per il loro coinvolgimento in attività militari terroristiche. Loro gli fanno una proposta, proporzionale alle loro capacità e risorse, sperando di salvare i ‘superstiti’: si dovrebbe costituire alle forze italiane, e la confessione per il suo crimine (di associazione sovversiva) lo farà un altro compagno che già “ha perso quasi tutto, ma non proprio tutto”. Ed è quello che succederà, anche se Pellegrini farà comunque tutti i nomi dei suoi compagni davanti alla Digos di Milano, che essendo già informata di tutti i fatti del gruppo degli italiani sovversivi esuli in Francia, lo sfrutteranno per altre operazioni e in altri momenti. Ferruccio Anedda – anche lui faccia da carogna, ma vestito di buon taglio, poliziotto corrotto e contatto di Pellegrini alla Digos di Milano – dopo che il protagonista ha scontato dei anni nel carcere di San Vittore a Milano, facendo principalmente la spia, gli ricorda di che è “proprietà”.
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Ma Giorgio è anche un sentimentalista o almeno ancora si emoziona. Nei tempi della latitanza e del carcere i «momenti più intimi e struggenti legato ai ricordi finivano sempre per trasformarsi nel desiderio di un bonbon di cioccolato e liquore». La formula dei bonbon come il suo ricordo del nord Italia si erano trasformati durante il tempo che era lontano: Milano «brulicava di stranieri morti di fame lanciati all’assalto dell’opulenta Europa». Ben presto comincia a disperarsi: «non era facile fare il delinquente; la città era blindata e tutto quello che si poteva arraffare era già sotto il controllo di bande provenienti dall’Est, dal Nordafrica e dall’Estremo Oriente». Egli prende paura come un bambino che è messo d’improvviso, e mentre ancora immaturo, di fronte al suo duro destino. Non sa più come affrontare questo mondo, non è più quello che conosceva. Ma è scaltro, non tarda affatto ad imparare il modello comportamentale trionfante. Si mette a studiare e ad osservare nelle strade di Milano. Guarda la gente, le macchine, la sicurezza che “trasudavano” le persone con i soldi. Agisce, cercando di agganciare la sua specialità: le quarantenni. Ma niente da fare per lui; quelle di Milano erano diverse, perché rispecchiavano l’interesse per la propria immagine di fronte alle altre donne e agli uomini. Studia le reazioni degli altri rispetto alle sue azioni-avanzamenti; ma non c’era verso per farsi notare. «Mi si leggeva in faccia che ero un marginale. Cercai lavoro ma mi resi conto che entrare in quell’ottica mi avrebbe fottuto per l’eternità. Sarei rimasto un miserabile». E, il grande pentito, sognava in grande, assolutamente in grande. Soldi. Posizione rispettabile. Volto sereno da vincente. Ma ha bisogno di una scorciatoia, un passaggio inosservato tra i campi della vita quotidiana degli uomini-lavoratori, una scala segreta che gli faccia accedere (anche con le dovute peripezie) al prossimo livello esistenziale: dove le regole non sono quelle riconosciute pubblicamente, ma speciali: come gli uomini che vivono in questo ‘spazio’ altolocato e i loro metodi di per raggiungerlo. Non tarda il destino a proporgli un viaggio nella provincia di Treviso, dove una sua vecchia conoscenza di carcere – un barese che aveva accorciato la galera infamando un boss della Sacra Corona Unita – gli “offre” la possibilità di riscattarsi, cominciando dal togliersi quel ridicolo orologio d’oro che teneva in mano mentre lavoravo dietro un bar qualunque-dovunque. Ora da questo punto in poi Pellegrini comincia veramente ad essere un ‘attore’ molte più influente dello e nello spazio dove si troverà. «Intorno alla campagna deserta», da qualche parte della provincia, c’è Blue Sky – è un lap dance, come descritto in parole sempliciotte ma conciso dal barese è «un locale dove le ragazze ballano a tette nude e i clienti sbavano e infilano i soldi nelle mutandine». La persona di fiducia che gestisce i rapporti tra loro e le ballerine sarà Pellegrini. Blue Sky, il nome era banale, ma era comunque una «fabbrica di soldi» che dava ai suoi clienti il giusto intrattenimento, sfruttando ragazze straniere utili solo per il loro corpo – e meno testa e bocca avevano, meglio era. Spazio lontano dagli occhi e voci della città, assicurava la giusta distanza ai clienti e di non essere osservati: la giusta discrezione. Lontano dalla città Blue Sky, ma l’esperienza che i suoi clienti consumavano lì dentro, faceva si che
la sua essenza comunque visitasse le piazze della città, i suoi luoghi d’affari, le stanze da letto delle famiglie. Portata di nascosto sotto la pelle degli uomini benestanti – dentro le loro macchine, in forma di bacio o atto sessuale violento, o come memoria sbiadita – affinché non si lavassero la sua essenza dopo una lunga doccia, ella poteva entrare e conoscere ogni altro luogo, contaminandolo del suo intenso profumo. Certe volte il suo richiamo – di notte, o tra la pausa caffè, mentre si apriva la porta della macchina lussuosa, quando si guardava lo spazio aperto della campagna – si sentiva forte. L’esperienza con lei aveva sempre aveva sempre la stessa logica: non si dovrebbe fermare, ma continuare affinché si diventi accecati; dipendenti. Blue Sky, sì era una seduttrice, amante crudele, ma appassionata, irrazionale e rinfrescante. Non era facile stare distante da lei, dopo che eri fuggito cosi lontano e viaggiato così tanto, per essere dentro lei. Anche se sembra che sia lontana, in quel distante e desolato deserto, essa rimane sempre elemento del nesso città-campagna, e delle tempistiche giorno-notte della città-campagna e dei suoi abitanti. Lei si offre schietta e banale - come il suo nome – ma non per questo uno riesce a non cadere nella sua rete-trappola. Frontalmente, pubblicamente e durante il giorno negato il suo nome e la sua esistenza; di nascosto, alle spalle, in segreto e durante la notte si dichiara e si confessa a lei tutto la propria passione distruttiva, trattenuta e non espressa sotto il sole. «Il locale era un mondo a parte che esisteva solo di notte e di giorno svaniva». Il cielo blu sopra Blu Sky, di giorno, lo vedevano solo quelli che ci ‘lavoravano’. Durante il tempo che Giorgio rimane alla Blue Sky vede molti che si facevano “fottere”, «eppure il gioco era a carte scoperte. A parte gli ingenui e gli idioti, ho sempre pensato che quella gente non vedesse l’ora di farsi corrompere». Dopo un po’ di tempo finalmente, il Veneto, a Pellegrini gli viene presentato per quel che era: “un logo di frontiera” dove «tutti avevano la possibilità di costruirsi un futuro da vincenti. Bastava un po’ inventiva, voglia di fare e zero paura di metterlo in culo al prossimo. Primo della lista lo Stato e le sue tasse del cazzo». Il Veneto gli piace, gli sembra congeniale e appropriato per i suoi fini. Gli sembra che sia una specie di far west ma per fortuna non così lontano come in America. Era sempre stata vicini alla sua Bergamo. La pianura veneta era come una superficie liscia e oliata dove nessuno poteva fermare l’avanzamento dei affamati di progresso e sorpasso, come il nostro Pellegrini: l’orizzonte era lontano e non cerano notizie della “fine” o del “basta”. Anzi era solo l’inizio di una corsa, che fortunatamente Pellegrini era riuscito a rincorrerla in tempo. Voleva essere con il primo gruppo, con i pionieri della scoperta, delle scopate e degli schei. Le risorse da conquistare erano tante, ci si doveva munire solo dei giusti mezzi di appropriazione. Per essere anche chiari: lui mirava ad altro che di essere un semplice proprietario di un posto come Blue Sky. No no. L’esempio di come chi diventare glielo davano le miriadi di clienti che frequentavano il posto – gente rispettata e che camminava per la città senza vergona. Con la testa alta, appunto. Riusciva a trovare un senso alla vita e immaginarsi un futuro solo misurandosi con situazioni limite: il veneto gli ne offrirà in abbondanza. «Conoscevo gente che prima girava con le
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pezze sul sedere, poi aveva trovato il business giusto e ora il sedere lo appoggiava sul sedile in pelle di una Mercedes e spendeva in milione a sera con le ragazze». Dentro lo spazio mascherato del locale, Pellegrini cerca la via della salita. Adotta la giusta maschera con ognuno. C’è una per il capo, il barese, una per i clienti, una per i corpi delle ragazze straniere, specialmente dall’est Europa. Pronto e caparbio si comporta in tale modo da raggiungere i suoi obiettivi finali in qualunque modo: con sorrisi, con pugni nello stomaco, con inganni e tranelli, con il lavoro e la dedizione. E ancora continua a sognare il momento consolatorio quando comprerà il suo “macchinone”. Blue Sky era ovviamente frequentato dalla malavita italiana e straniera. Pellegrini teneva comunque tutti sott’occhio e ben presto si rende conto che clienti onesti – come industriali della zona – e malavitosi «si integravano perfettamente». Assisteva spesso nelle conclusioni d’affari. «In particolare nel campo assicurativo: incendi di capannoni» e crimini ai danni di merce inesistente.
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Dopo aver compiuto con successo una grande rapina con Anedda, uccidendo gli altri superstiti, Pellegrini finalmente vede la vera nuova vita cristallizzarsi. Bisognava di una nuova “verginità”. Voleva aprire un suo posto, un locale di lusso, voleva avere e possedere anche lui un suo spazio. Questo glielo potevano offrire solo certa gente per bene, «con il portafoglio gonfio e le conoscenze giuste». Monta sulla sua Panda, trasportando un miliardo di lire, e imbocca l’autostrada diretto a nordest. Dove precisamente, non ha importanza. Non aveva ancora le idee chiare, ma sapeva che partiva per la giusta direzione, là «dove chi ha le palle e cervello può andare lontano: il Nordest dei vincenti» dove la fame di soldi era uguale dappertutto. Venote e Giorgio. Pellegrini e il Veneto. Sembra che si combinano bene tra di loro. Adatti e consoni uno per l’altro, nessuno feriva l’indole dell’altro. Congeniali. Tutti e due rincorrevano il progresso e il cambiamento, la pace eterna della ricchezza sconfinante e possedente. Mai più indigenza, miseria e povertà. Solo agio, benessere, lusso, averi, beni, fortuna, patrimonio e sicurezza. Ok, forse con la sicurezza magari abbiamo esagerato: alla fine non è essa uno stato che deriva come effetto del possedimento di beni che “nessuno” ti potrà mai togliere dalla forte stretta della tua mano tentacolare? Incontra Brianese, il professionista-avvocato che lo riqualificherà-riabiliterà per il mondo dei cittadini onesti. Per i professionisti come Brianese, è fondamentale una cosa: quando si tratta di soldi, non si chiede mai la loro provenienza. Basta che le coseaffari non “puzzino” di malaffare, ma al contrario devono profumare di «duro lavoro e intelligenza produttiva». Lui svolge da solo il compito di risanare la figura di Giorgio: egli istruisce il nostro nuovo arrivato come è giusto comportarsi da buon cittadino lavoratore. L’avocato ha comunque come obiettivo uno grande e centrale: Roma. Per questa ascese ha bisogno di fondi, qualunque, anche se rappresenta «un gruppo di commercianti e professionisti» che per troppo tempo sono stati costretti a stare ai margini della vita politica della città dove Pellegrini vive. Egli ha tutti i
giusti contatti: commerciali, industriali, politici, bancari e finanziari. Il protagonista sarà abbastanza intelligente da seguirlo nel suo volo e stare sotto le sue ali. Il tempo passa per Giorgio e lui ne compie tante di altre azioni criminose. Non raccontiamo tutto. Il primo libro finisce con: «L’incubo era finito. Potevo finalmente essere uno come gli altri. Uno dei tanti. Mi asciugai gli occhi. Non vedevo l’ora che finisse quello strazio. Qualcuno mi prese la mano. Era Martina. Nel suo sguardo lessi la determinazione a prendere il posto di Roberta. Risposi alla stretta. L’avrei sposata. E non avrei più ucciso nessuno. Non ne avevo bisogno. Ero riuscito finalmente a recidere ogni legamene con il passato. Il presente e il futuro erano rappresentati da una comunità che aveva il senso dell’amicizia e della solidarietà. E degli affari. Sarei stato considerato uno stimato e onesto cittadino, impegnato solo a guadagnarsi il pane. E a godersi i soldi». Pellegrini si commuove dalla felicità di essere finalmente diventato un cittadino a pieni diritti e di essere riuscito ad accantonare il suo passato. È contento di essere diventato “uno come gli altri”, anche se non cambierebbe molto da prima, in quanto anche nei nuovi ambienti ricchi – dove ora si muove – le persone sono rimangono come lui: ingannevoli, crudeli e senza scrupoli, amanti solo della propria immagine e rappresentazione. 4.b. Certi spazi di Alla fine di un giorno noioso. Pellegrini non si muove mai dalla sua Nena. Il bar-ristorante è la cosa più preziosa che c’è per lui; in una scala gerarchica dell’attaccamento e della cura per le altre persone o oggetti nel primo posto c’è il suo bar, poi la sua “nuova” moglie Martina. Per lui i figli non sono una buona idea, quindi non avrà bisogno di dedicare tempo a loro, o agli “amici”, ai viaggi o alla cultura. Dedica un po’ di tempo a sua moglie, solo perché riconosce il bisogno di nutrire periodicamente i rapporti umani. Ma solo la giusta porzione: tra il non far innamorare l’altro profondamente e con tutto il suo essere, e il non farla sentire abbondonata ed esclusa dalla propria immaginazione e attenzione-preoccupazione-cura per lei/lui. Nella Nena – spazio “sicuro” di Pellegrini, poiché è certo che sia prodotto da lui – ci passano periodicamente tutti gli amici del protagonista; giornalmente la sua moglie con la sua migliore amica. Oltre il perimetro segnato e custodito dai suoi bodyguard si possono vedere anche quelli che non possono accedere alla sua “casa” e al luogo dove i suoi “amati” si ritrovano per rinfrescarsi e deliziarsi del cibo-pietanze-frutti-cocktail preparati dal “signore” della casa. La sua Nena gli sembra come un campo sopra un’alta collina dove crescono i migliori frutti, i cui confini sono così larghi e lontani dal luogo della goduria e della gioia che nessuna pensa a loro. È un luogo che non può essere raggiungibile da ogni strato della società, dalla massa: perché troppo lontano da loro, troppo rampante per gambe deboli, troppo in alto per cuori impauriti, troppo rischioso per menti che non azzardano. E in questo posto ci sono saliti così spesso con gli stessi amici, per lo stesso percorso, che l’abituarsi alle
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stesse espressioni faciali in visi quasi somiglianti, gli ha cancellato ogni tipo di paura o preoccupazione che gli “altri” verranno visti nel luogo sacro. L’abitudine accompagnata dalla dedicazione crea un rito. Lo spritz, nel caso dei frequentatori della Nena. E Pellegrini si sente come il sacerdote che apre il rito, benefica il cibo dal quale gli discepoli/adepti si nutriranno, così che non rinunceranno al prossimo incontro rituale. È meticoloso a controllare lui stesso ogni piatto che preparato dai cuochi della cucina, consegnarlo con le sue mani con un sorriso e una frase originale per ogni cliente; nessuno dei clienti deve sentirsi escluso dall’ambiente. Ovviamente ad altri in questo spazio gli viene dedicato più attenzione e disponibilità: sono i prescelti, i maestri o i grandi discepoli che danno la qualità allo spazio, quelli che riempiono l’ambiente e lo rinnovano con il loro carattere, con le loro parole, con i loro movimenti, con la loro semplice presenza; gli altri sono visti più come numeri che confermano il buon andamento del progetto. Questo spazio fisico rispecchia lo spazio mentale di Pellegrini. I suoi frequentatori sono come i pensieri prescelti dalla sua personalità per la coerenza che offrono e perché rinforzano e danno nuova linfa e materiale ad una struttura, ad un progetto che non si abbandono più – poiché lo si è dedicato troppo tempo, e perché per loro sarebbe tardi per ricominciare. I suoi frequentatori/pensieri vengono selezionati con cura, dopo aver passato molte prove caratteriali, psicologiche, attitudinali, e ovviamente dopo aver comprovato che sono utili materialmente per l’interessato. Dopo la certificazione gli viene data una opportunità: la possibilità di sorprendere, di essere seguiti, di essere dei soggetti che formano e plasmano l’”oggetto Pellegrini”, di essere la nuova pelle del serpente fino alla prossima stagione di rinvigorimento. Come cambia-evolve il protagonista tra i due romanzi? Pellegrini si trova molto cambiato, ma non più buono di prima; rimane il solito grande bastardo. La filosofia che lo porta ad essere un vincente nel mondo criminale è il fatto di essere il più cattivo di tutti. Lui sembra convintissimo di non fare nulla di illegale anche se gestiva un giro di quattro escort periodicamente rinnovate: così che non si affezionavano, e non capivano troppo; rimanevano meno attaccate al territorio. Non si era accorto alle fine del primo libro di essere uscito ‘vincente’, ma comunque di essere rimasto fondamentalmente un servo di certi potenti e di essere percepito come tale, per cui nel secondo volume gli riservano il destino del pezzo scambiabile. Lui capisce i processi e le dinamiche distruttive nei suoi confronti avviati da un personaggio, Brianese, che stimava molto e li si atteneva come ad un padre. Alla fine tra i due si crea una tensione che Pellegrini non riesce a definire, ma fa di tutto per scoprirlo, fino ad arrivare allo scontro frontale tra i due.
5. Riflessioni sui libri di Massimo Carlotto. Da interviste online e incontri con l’autore dei romanzi. L’autore porta nei sui romanzi la ‘realtà’ della società italiana. Per l’autore l’introduzione della realtà nel romanzo è avvenuta dopo la consapevolezza “che era finita l’esperienza del giornalismo investigativo”. Egli racconta che tra gli autori di genere si è fatta una decisione quasi unanime di colmare questo buco informativo, ovviamente con uno strumento diverso che quello dl romanzi giallo, e di raccontare storie realmente accadute e infilarle nelle trame dei loro romanzi. Cioè arrivare ad un punto di fusione tra la finzione letteraria e il giornalismo investigativo. Questo ha cambiato il modo di lavorare dell’autore perché ha dovuto concepire il romanzo in modo diverso – nel senso che quando scrive un romanzo sta già lavorando sull’inchiesta del romanzo successivo. Egli si ispira al “giallo” che nasce tra gli anni cinquanta dell’ottocento, perché risponde una richiesta specifica del suo lettore e consumatore del genere: «il fatto di indagare su un crimine, soprattutto su un delitto, di una persona che non conosciamo, in luogo che non conosciamo allontana dal lettore l’ansia della morte perché la reifica: trasforma in oggetto la morte». Il personaggio del poliziotto che oltrepassa il confine della legalità, quindi delle regole, è un personaggio secondo Carlotto straordinario. È quello che gli dà la possibilità di raccontare il meglio e il peggio di una cosa assolutamente umana e reale che è l’ambiente poliziesco. L’autore preferisce descrivere uno spazio di rappresentazione dove tutti giocano sporco, perché questa è la “realtà e perché è giusto che il lettore-consumatore sia consapevole di queste dinamiche”. «Il serial killer affascina molto il lettore perché di fatto esso è un mistero, il lato più oscuro di questa società, in quanto dedica tutte le sue energie e la sua esistenza ad eliminare e annichilire il prossimo. È una forma molto particolare di criminale, di fatto è un individuo che non può essere recuperato e non guarisce mai: non c’è trattamento psichiatrico, non c’è pena che possa in qualche grado reintegralo per la società». In altre interviste online, Carlotto ci parla del nordest e della “schizofrenia sugli immigrati”: c’è bisogno di loro ma si teme l’invasione degli stranieri. «La schizofrenia ha un’origine squisitamente economica, nel senso che il sistema economico che si è impiantato e sviluppato nel veneto, quello che veniva chiamata per molto tempo la “locomotiva economica d’Italia”, ha avuto bisogno di una massa enorme di manodopera. Però l’industria del veneto aveva calcolato che ci sarebbe stato una crisi molto forte, anche perché non avendo mai investito in tecnologia e ricerca e sviluppo, avevano perfettamente capito che le macchine delle industrie sarebbero diventate obsolete nel giro di poco tempo e l’unica possibilità sarebbe stata di spostare e delocalizzare l’impianti all’estero. Quindi il fatto di generare un conflitto sul terreno dell’immigrazione, negando i diritti agli immigrati, aveva proprio lo scopo di non dare gli stessi
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Riflessioni sullo spazio
diritti agli ‘extracomunitari’ come lavoratori, rispetto ai lavoratori italiani. Questi lavoratori (stranieri) erano subito allontanabili dal territorio proprio per questo motivo. È stato una scelta economica – dietro la xenofobia veneta si rifugia la necessità di avere manodopera e contemporaneamente avere la possibilità di espellerla subito dopo. E così è stato, perché quando la ‘locomotiva’ ha attraversato il confine e si è portato in un solo anno 15 mila aziende in Romania, ci sono state masse di licenziamenti enormi, e quasi tutti di extracomunitari che hanno dovuto “arrangiarsi”. E poi perché – è un altro discorso molto doloroso – tutto si è basato sul lavoro in nero, la massa enorme di lavoro nero che si è sviluppata in quei anni è veramente impressionante, e questo fa parte di una concezione economica dove l’evasione fiscale è l’asse portante degli introiti nelle aziende. Oggi ci sono proprio delle inchieste della Guardia di Finanza che svelano punto per punto queste dinamiche economiche» (Intervista allo scrittore Massimo Carlotto, YouTube, 14/08/2015).
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Il problema del veneto e del nordest in generale è che una terra di confine. Basti pensare che il tratto autostradale che parte da Trieste e arriva a Padova e poi si dirama verso centrosud o verso nordovest è il tratto stradale d’Italia dove quotidianamente transitano in entrata e in uscita il più grande volume di merce illegale a livello nazionale. Questo ha portato, dopo la caduta del muro di Berlino, all’insediamento di numerosissime culture criminali nel territorio. L’autore esprime che il «traffico di rifiuti è la forma di traffico più antica che c’è nel veneto, perché si è scoperta dalle indagini che risale a circa trent’anni fa. Sono trent’anni che le scorie industriali del Nordest hanno preso la via per la Campagna. C’è stato un accordo tra parti corrotte di ambienti industriali e la camorra proprio per questa vicenda. Nel senso che smaltire rifiuti secondo un processo autorizzato e certificato costa una certa cifra, invece smaltire illegalmente costa molto meno». Secondo l’autore il grande problema delle culture criminali è proprio il sistema del riciclaggio (del denaro sporco) e per questo obiettivo si inventano di tutto e lo perseguono in qualunque modo, dal micro: nelle piccole attività commerciali con un fatturato contenuto; fino a schemi più complessi, che il libro considera, come l’usura. E questo capita anche a Pellegrini, che non se lo prende bene, siccome si vede subito anche dalle sue espressione che egli ne è tanto affezionato. Il mondo della violenza della criminalità di oggi vive di prevaricazioni anche nelle relazioni personali: basta analizzare la storia personale di questi criminali. In questo ambiente Pellegrini non è l’eccezione, ma la norma. «L’eccezione diventa letteraria, in quanto pochi autori raccontano questo aspetto che nel ‘giusto’ momento diventa violentissimo per quelli che sono nelle mani della criminalità». Nel romanzo si spiega il meccanismo in cui si ripuliscono i soldi sporchi, nello specifico per mezzo dei ristoranti e i bar. Nel caso dei libri di Carlotto, un gruppo della criminalità organizzata, come l’ndrangheta, prende questi servizi commerciali per riciclare i soldi
attraverso un ‘tecnico contabile’ (un commercialista, uno che fa i conti) che manipola i bilanci attraverso la falsa fatturazione e consumazione di servizi o beni. Questa tecnica criminale sembra interessarsi all’autore perché avvolge e strozza il protagonista della storia in maniera diretta. Nel primo caso, come conseguenza della “crisi del cemento” (siccome si comprano e si costruiscono meno case), l’enogastronomia diventa il primo settore d’investimento per i grandi gruppi della criminalità organizzata per riciclare il denaro: si comprano meno case, ma vanno sempre più spesso al ristorante. In tutta Italia, dal nord al sud, si considera che siano più di 5 mila i ristoranti finiti nelle grinfie della criminalità organizzata: e Pellegrini gli è capitato, nel romanzo, di essere uno dei sfortunati. E intanto ristoranti, bar, bistrot costruiscono la migliore copertura per mascherare guadagni frutto delle attività illecite: traffico di droga, estorsioni, strozzinaggio. I pubblici esercizi - grazie alla complicità di imprenditori collusi che vendono una parte delle proprie quote - sono utili alle associazioni criminali in quanto hanno una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all’origine dei capitali. Esulando dalle riflessioni indirette del romanzo su certi specifici metodi criminali, ci sembra interessante di analizzare l’interferenza di questi in altri settori del mercato collaterali all’enogastronomia. Può sembrare assurdo, ma sembra che anche i mercati dei prodotti da tavola, a partire dalle arance calabresi, l’olio extravergine di oliva, la carne, l’ortofrutticolo, sono in grandi quantità controllate dalle varie ramificazione di queste organizzazioni. Per la Coldiretti, nel 2017, i numeri sono allarmanti: «Il volume d’affari complessivo dell’agromafia è salito a 21,8 miliardi di euro (+30% in un anno) perché la filiera del cibo, della sua produzione, trasporto, distribuzione e vendita, ha tutte le caratteristiche necessarie per attirare l’interesse di organizzazioni criminali. L’agroalimentare è divenuto una delle aree prioritarie di investimento della malavita che ne comprende la strategicità in tempo di crisi perché consente di infiltrarsi in modo capillare nella società civile e condizionare la via quotidiana delle persone. Trentamila i terreni agricoli in mano alla criminalità». Attraverso l’usura invece – la seconda tecnica considerata da Carlotto in Alla fine di un giorno noioso – si crea la condizione che in pochissimo tempo che gli usurai diventino padroni delle aziende (grandi o piccole che siano). La crisi economica e finanziaria mondiale ha destrutturato il sistema creditizio anteriore ad essa – tante famiglie scosse, giovani disperati, e imprese portate sull’orlo del collasso – e sembra che ha aperto la strada all’usura per crescere e radicarsi nel territorio. Durante la recessione, sfruttando il ritiro degli istituti di credito, che diminuendo drasticamente i prestiti e i crediti agli imprenditori e alle famiglie, concedono un margine di movimento alle organizzazioni criminali che colgono a pieno l’occasione. Questo diventa funzionale per la criminalità organizzata, il cui denaro sporco diventa sempre più appetibile, e condizionante sempre di più per l’economia legale e fomentante per quella illegale. In mano alla mafia, l’usura è diventata così uno strumento finalizzato all’impossessarsi delle attività imprenditoriali della vittima e infiltrarsi nell’economia sana. Nel rapporto Le mani della criminalità sulle
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imprese, pubblicato nel 2011 dalla ConfesercentiSos Impresa, si pone l’accento sul fatto che grazie alla connivenza e alla collusione con il mondo politico e amministrativo e con professionisti senza scrupoli, le mafie si sono radicate nel centro e nel Nord Italia, le zone più ricche del paese. Da lì controllano la quasi totalità del gioco d’azzardo, anche legale, il commercio dei rifiuti, soprattutto se tossici e nocivi, e l’edilizia. La criminalità organizzata si è infiltrata anche in settori nuovi, come quello sanitario, nei trasporti e nella logistica e nei servizi di vigilanza dei locali notturni. Il rapporto conclude affermando che «l’usura permette alla mafia di offrire un servizio funzionale, per accrescere il consenso sociale, per continuare ad affermare un criterio di sovranità nei luoghi in cui agisce; in secondo luogo, svolge una funzione alternativa al riciclaggio, consente di costruire legami stabili con settori dell’economia legale, acquisendo costanti flussi di liquidità che permettono di realizzare quello che tecnicamente viene chiamato laundering, cioè quella fase che mira ad allontanare quanto più possibile i capitali dalla loro origine illecita». Proprio in questi giorni invece i giornalisti di Fanpage.it, nella quarta puntata “la Dama di mezzo” della loro inchiesta Bloody Money, hanno rappresentato con prove quasi irrefutabili, con grande ingegno e con grande coraggio l’intreccio sempre più forte tra imprenditori, politica e criminalità “a casa nostra”. Commenta G. Bettin, presidente della Municipalità di Marghera (Comune di Venezia), città protagonista della quarta inchiesta: «Porto Marghera, crimini e affari. Dall’inchiesta Fanpage.it due novità inquietanti. Sono due gli elementi più significativi e inquietanti della meritoria, coraggiosa inchiesta di Fanpage che questa volta riguarda Porto Marghera. 1) La conferma della sconcertante e allarmante dimestichezza che la presunta procacciatrice di fondi camorristi rivela e anzi ostenta con importanti ambienti istituzionali, burocratici e imprenditoriali, sulla quale bisogna che sia fatta urgentemente la massima chiarezza, con piena trasparenza. 2) L’elemento forse più nuovo e preoccupante di questa storia, rivelata da Fanpage.it, è l’attuale innovazione criminale nella vicenda, pur non senza precedenti, degli affari loschi su Marghera. Finora avevamo conosciuto - e contrastato, denunciato, smascherato, spesso sconfitto iniziative criminali totalmente o in gran parte sporche (soprattutto nel ciclo dei rifiuti). Questa volta sembra di essere di fronte all’ingresso di capitali sporchi, di origine criminale (e apertamente dichiarata come tale, nel filmato, ai “mediatori” e “utilizzatori finali”), in un progetto di per sé, almeno all’apparenza, regolare. Si configurerebbe, cioè, l’applicazione a una realtà industriale che attualmente è in evoluzione, del modello già conosciuto, ad esempio, nel Veneto orientale, dove la camorra e altre congreghe affaristico-criminali riversano da anni capitali sporchi in progetti di per sé leciti, nello sviluppo immobiliare (a volte reso più spinto, con pesante consumo di territorio, proprio per questo, grazie
ad amministrazioni compiacenti e/o corrotte) e nella filiera turistica e commerciale (specie nella grande distribuzione). Qualcosa del genere, a Venezia, è già avvenuto nell’enclave di fatto rappresentata per decenni dal Tronchetto: capitali sporchi in attività sulla carta regolari (anche se a volte esercitate in maniera informale e abusiva). Una distorsione di questo tipo a Porto Marghera, in una fase di rapida trasformazione, di possibile riutilizzo di aree disponibili e di siti industriali da rigenerare, sarebbe oggi molto pericolosa, colpirebbe l’economia e l’impresa pulite e lungimiranti in favore di avventurieri e predatori da cui dobbiamo guardarci attentamente. Serve, dunque, la massima chiarezza, che forse solo l’intervento della magistratura oggi può garantire, insieme alla reazione di tutte le istituzioni coinvolte e delle forze sociali e politiche del territorio» (28/02/2018). 6. Interpretazione degli spazi rappresentazione del romanzo.
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In tutte le situazioni e ambienti dove Giorgio si trova alle strette, ha sempre la capacità di adattarsi, facendo una cosa semplice, perché utile, funzionale ed “universale”: egli sempre riconosce la gerarchia del comando e regole del gioco nello spazio e dello spazio. Il che vuol dire che prima egli legge da subito a chi appartiene la proprietà dello spazio, per fargli i giusti omaggi e stabilire la corretta reverenza verso quella persona, simbolo del proprio spazio. Secondo, prende un po’ di tempo, per decifrare le regole dello spazio posseduto: i comportamenti che portano alla “ricompensa e alla premiazione” e quelle che portano a “sanzioni, penalizzazioni e punizioni”. Nel secondo romanzo infatti, quando smetterà di adottare questa strategia di sopravvivenza, comincerà a perdere tutto. Qualunque sia il ‘nome’ riconosciuto dello spazio dove Pellegrini si trova in difficoltà – guerriglia comunista del centro America; stanza per gli interrogatori piena di schizzi di sangue e sbaffi di caffe alla Digos di Milano; carcere di San Vittore a Milano; lap dance nella provincia di Treviso; città diffusa nel veneto; osteria Nena; casa; chiesa – lui si ‘ambienta’ e si ‘abitua’ secondo lo schema sopra descritto. Per quanto riguarda invece la possibilità di scalare nella gerarchia dello spazio sociale frequentato da Pellegrini (ma anche altri), anche qui le regole sono semplici: 1) non esitare mai di attuare le “regole”, quindi di spazializzare sempre le regole che funzionano per l’interesse di una certa persona o gruppo di persone. Non si deve desistere alla simultanea oggettualizzazione delle idee (reificazione) e alla astrazione della realtà fenomenica (ipostatizzazione). Quindi il proprietario dello spazio deve continuamente materializzare (incarnare, personificare) le idee che governano uno spazio (dominando-forzando-spingendo gli spazi di rappresentazione degli altri con la propria rappresentazione dello spazio: facendo corrispondere il vissuto degli altri con il proprio
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Riflessioni sullo spazio
pensato-concepito) e astrarre la ‘realtà’ fisica (costringendo l’attuazione della pratica spaziali degli altri negli spazi costruiti da lui, quindi nei suoi spazi di rappresentazione) secondo il proprio volere. Il proprietario dello spazio deve quindi forzare il vissuto sociale ad essere interpretato secondo il suo pensato personale, e ad attualizzare un percepito sociale regolato secondo il suo pensato personale. Quindi, per poter beneficiare della proprietà dello spazio, il dominante di uno spazio deve manipolareingannare l’interpretazione e la lettura degli spazi di rappresentazione degli altri secondo il codice della propria rappresentazione dello spazio; e far subire agli altri una pratica spaziale che confermi la propria rappresentazione dello spazio. Le regole di Lefebvre, che li abbiamo trattati in chiave filosofica-sociale-urbanistica, possono essere applicate in qualunque “scala dello spazio”, sia macro che micro. 2) gestisci solo lo spazio che possiedi; oppure non regolare uno spazio, se non sei sicuro che lo possiedi. In senso gerarchico significa che uno deve essere “comandato dai superiori” e “comandare sui inferiori”: banale ma semplice. 3) per prendersi possesso di uno nuovo spazio posseduto da altri, devi essere sicuro che il tuo spazio è più ‘grande’ dell’avversario, o che il tuo tempo e più lungo dell’avversario. Il che vuol dire che la propria rappresentazione dello spazio deve essere più coerente (magari anche più omogenea) di quella dell’altro: il proprio pensato più unito, coeso e legato che quello dell’altro.
7. Riflessioni sullo spazio. Riflessione dello scrittore della relazione sulla storia dello spazio e la produzione dello spazio.
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È difficile per noi è pensare a spazi che a qualche livello non siano gerarchizzati, dove i rapporti di produzione non prendono una forma, riconosciuta da tutti gli individui o non. Solo la “spiaggia”, come dice Lefebvre, ci sembra uno spazio ‘reale’ dove potrebbe mancare una costrizione che spinge l’uomo (mente, corpo, e sua socialità) a riconoscere i rapporti di subordinazione e supremazia. Ma anche la spiaggia, non è tutto lo spazio; è solo una porzione dello spazio sociale moderno, che ‘forse’ potrebbe servire come modello elementare da perfezionare e sviluppare in forme più complesse e applicarlo in ‘altri’ spazi. Indipendentemente quanto coeso o grande in numero può essere il gruppo di individui che produce (regola) lo spazio – che sia un numero limitato di persone, come per altro sembra che sia sempre stato, come “capitalisti” e il capitalismo che governa lo spazio mondiale della merce, dei mercati e del capitale; o tanti altri nella storia, descritti da Lefebvre stesso – la ‘storia’ mostra che questo gruppo forzerà sempre la sua rappresentazione dello spazio sugli “altri” per il suo interesse. Quindi chiunque sia il gruppo dominante – re, oligarchi, feudali, teocrati, borghesia, capitalisti o proletariato – esso non ha rappresentato, nella storia,
mai la totalità dei individui che compongono la società, o ancora meno l’”intera società” del globo. Qualunque sia la quota di rappresentazione della classe dominante rispetto alla totalità della compagine sociale, se rimanesse anche “un individuo” non rappresentato da questa classe, sarebbe ‘giusto’ o tollerabile che egli subisse la dittatura dei dominatori? I sistemi di rappresentanza del potere non hanno mai rappresentato la totalità delle masse (di un qualunque territorio). Del resto questo è una questione vecchia quanto la storia dell’uomo, anzi dalla creazione in specifico della città come rappresentazione delle elevate capacità delle forze produttive di fondersi per un obiettivo comune e superiore. Nella città si specifica e si specializza il sapere e il fare. Si creano le professioni: ognuna è dipendente dall’altra, ma insieme creano una sintesi più complessa, potente e distruttiva che se fossero distaccati e non fusi. La composizione, la combinazione, l’unione delle parti o elementi che prima erano distaccati o in un altro stato (indipendente, come le singole famiglie dei agricoltori antichi) forma un nuovo “soggetto” che non ha niente in comune con la molteplicità dei sui “soggetti elementari” se non la provenienza: il fatto che gli ha usati come membra del suo nuovo “corpo”. La città (intesa “singolarmente”, senza la campagna e la natura) può essere vista come la “sintesi” per il pensiero idealistico post-kantiano: il momento conclusivo del processo dialettico, in cui si risolve la contraddizione della tesi e della antitesi in una superiore unità. Dove la tesi è la creazione stessa della città e l’antitesi è il distanziamento dalla natura fisica. Si può capire che questi due processi siano in continua mutazione ed evoluzione quindi (come confuta Lefebvre per altri processi) questa sintesi per la città non si raggiunge mai completamente: è sempre in divenire; è un’idea della città. La produzione dello spazio della città è essa stessa una dialettica triplice (o trialettica), composta: 1. dal processo di creazione/costruzione/ edificazione/materializzazione umana della città, 2. dal progetto (idea) per la città, 3. dal distanziamento dalle logiche (irrazionali) e dalla materialità della natura. Che può essere visto coincidere come trialettica del tempo tra: 1. presente, 2. futuro, 3. e passato. E ancora, come campi interconnessi e continuamente influenzabili tra il: 1. processo attuale della produzione dello spazio (o applicazione delle forze vitali e produttive nella vita quotidiana), 2. ideologia della produzione dello spazio (o progetto per cambiare la propria vita e/o il “mondo”), 3. esperienza dello spazio (o il vissuto e l’interpretazione della propria esistenza di vita). Riprendendo il discorso della città, i membri uniti in questo spazio ristretto, ma allo stesso tempo più potenziato, devono scambiarsi l’uno con l’altro lo spazio specializzato che producono (prodotti, idee, opere): nessuno è totalmente indipendente dal prossimo, solo il soggetto città è indipendente (in senso stretto)
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dalla natura. Tra gli individui che scambiano nella città sono anche quelli che ‘vendono’ il progetto per la città, quelli che creano il mito della città, che disegnano la rappresentazione dello spazio della città. Nasce così anche una nuova classe che deve ‘dirigere’ l’operato di questa nuova forza della natura nella natura: per prima cosa essa dominerà la selvatichezza e l’imprevedibilità dell’irrazionale. Altre riflessioni nascono spontanee appena si pensa che per tutte le ideologie (del mondo, nel tempo) ha sempre esistito un ‘noi’ e un ‘loro’ (o ‘altri’). Soja è continuamente in ricerca dell’“altro” (the “other”; Thirdspace), sperando di identificarlo e poi di inglobarlo nel suo “noi”. I primi cristiani convertivano gli altri con la parola nella loro visione del mondo e dell’esperienza spirituale. Qualunque sia stato nella storia la forma di “inglobamento-integrazione” degli altri (con la forza, con l’inganno, con la persuasione, con l’egemonia, con gli interessi, con l’amore), essa non hai mai offerto una rappresentazione dello spazio univoca e che si generasse dalla rappresentanza universale degli individui. In termini lefebvriani potremmo dire che, per quel che si sa, nella storia dello spazio è sempre esistito un momento dove la rappresentazione dello spazio di un individuo fosse diversa o “contraria” alla rappresentazione dello spazio di un altro individuo. Come si cercava di dire poco sopra: non è mai esistito che un sistema di rappresentanza globale che esprimesse una sintesi felice e fedele delle masse, per il semplice motivo che non si è mai raggiunta l’unanimità per una decisione (si potrebbe anche aggiungere che probabilmente non si è mai interpellato l’universo dei individui per una decisione di comune interesse). Perché nella città si “devono” prendere certe decisioni. Le più importanti sono: chi forma il progetto della città? chi costruisce la città? quanto ci si allontana dalla natura? Oppure detto in termini globali-unitari dello spazio: chi disegna la rappresentazione dello spazio? chi costruisce e come si costruiscono i luoghi della pratica sociale? quanto importanza e rilevanza ha lo spazio di rappresentazione nelle rappresentazioni dello spazio? Chi è più lecito che produca lo spazio: un piccolo numero di individui che possiede la qualità dello spazio (il potere); un grandissimo numero di individui che però non conosce la qualità dello spazio; o il grandissimo numero di individui che possiede lo spazio ed è conscio che lo produce? Di sicuro la terza opzione sembra la più democratica, anche se non universalistica. Si deve comunque dire che tecnicamente la massa ha sempre il potere, ha sempre fatto lo spazio, o prodotto lo spazio; magari non ha saputo come usufruire per altri obiettivi – come il miglioramento della qualità della propria vita – questo potere per mancanza di conoscenza o coscienza della sua posizione e delle sue complete potenzialità. Cioè si può giustificare, fino a un certo punto, che inconsciamente o non, le masse sono state persuase o obbligate a delegare il loro potere decisionale ad altri. Questi altri poi, si sa che per la maggior parte della storia, inconsciamente o non, hanno sempre sfruttato l’accumulazione del potere per gli interessi di un ristretto gruppo di persone o idee. Di sicuro si presenta come necessario, da ora e anche nel futuro, di stracciare piano piano e fino all’ultimo pezzo il velo che dissimula i rapporti
sociali di produzione così che ogni individuo possa vedere l’effettiva consistenza e connessione di ogni rapporto sociale (storico e attuale): a cominciare dai rapporti semplici uno-uno, a uno-gruppo, a relazioni più complesse uno-altri e gruppo-altri, fino al quadro più completo uno-universo e gruppo-universo. Ovviamente si dovrebbe cominciare dalla prima problematica del rapporto fra sapere e potere, evidenziando il loro intrinseco legame di mutuo rafforzamento e di reciproca dipendenza. «Togliere la maschera alle cose per svelare i rapporti (sociali), ecco la forza di Marx, la conquista del pensiero marxista, indipendentemente dai punti di vista politici che vi riferiscono» (Lefebvre, 1976, p. 98). Se mai si raggiungerà nel futuro uno stato di non-dissimulazione e di non-mascheramento – quindi di evidenza totale dei rapporti sociali (gerarchici o non) e della loro forma – e dove i bisogni fisici vengono esauditi, per ognuno, dall’incremento e perfezionamento delle forze produttive: ci sarà mai abbondanza di spazio per tutti? Se in una società futura l’unico modo di usare lo spazio sarà l’«appropriazione» e non la «proprietà», lo spazio sociale sarà un’«opera» o un «prodotto»? E se sarà un’opera, ognuno sarà un creatore-artista? La risposta alle ultime due sembrano più semplici. Lefebvre lasica qualche indizio: «Non c’è alcuna ragione che imponga di separare l’opera d’arte dal prodotto, fino a porre la trascendenza dell’opera. E se questo è vero, la speranza di trovare un movimento dialettico per cui l’opera attraversi il prodotto, e il prodotto non inghiotta la creazione nel ripetitivo, non è perduta» (Lefebvre, 1976, p. 96). E di nuovo: «Ora le forze produttive, passando dalla produzione delle cose nello spazio alla produzione dello spazio, hanno fatto un salto in avanti: l’attività rivoluzionaria deve, fra le altre cose, portare alle estreme conseguenze questo salto qualitativo, che è anche un salto nella qualità, e rimettere così in questione il processo stesso dello sviluppo produttivo, non per romperlo, ma per svilupparne le potenzialità» (Lefebvre, 1976, p. 343). Altre domande. Se l’unità dell’universo consistesse esclusivamente nelle effettive differenzediversità che le masse possiedono intrinsecamente, si potrebbe dire che quello che unisce l’umanità-globo (nei tratti sociali, ma anche personali) siano solo le differenze, o il bisogno di differenziarsi? Oppure l’unica cosa che ci unisce sono solo le similarità (logica, fisica, spirituale; nei bisogni) che ci rendono uguali, o il bisogno di assomigliarsi? O entrambi? 8. Visione prospettica: conclusioni e giudizi personali. Per quanto concerne i libri di Carlotto, l’immagine che traiamo del protagonista e quello di un criminale violento, crudo, spietato bastardo e cinico. Ci si può immaginare che quest’uomo agisce per purò istinto di altissimo ed esclusivo egoismo, egli afferra il suo spazio come un pitbull impazzito che morde gli pneumatici delle auto in sosta, egli forza lo spazio sociale intorno a lui a circolare e a reinterpretarsi attraverso il cerchio del suo egocentrismo. Pellegrini delude ogni speranza che il bene, prima o poi, possa solo accostarsi alla sua scorza intaccabile. Nel linguaggio estremamente scarno ed
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Riflessioni sullo spazio
essenziale della narrazione di Carlotto si riflettono le caratteristiche del protagonista. Poco ci importa degli altri personaggi: delle innumerevoli donne, che hanno come unico privilegio quello di dare il nome ai capitoli del libro; degli uomini, altrettanto malavitosi, ma sempre un passo indietro rispetto a Lui; ci si concentra solo sul protagonista e sullo spazio geografico in cui vive: descritto con poche parole, ma reso visibile e palpitante agli occhi del lettore. Carlotto sembra molto abile nel descrivere, con stile asciutto e distaccato, le atmosfere cupe del nostro nordest dove “tutto” viene immolato al dio denaro. Ci sono due modi per ritornare (all’«innocenza») dove ci si trovava prima: fare la strada all’indietro, recuperando i passi sbagliati; oppure andare così avanti, muoversi continuamente e all’impazzita verso l’orizzonte, che sperando di fare un giro completo del mondo, ci si trovi di nuovo al punto di partenza.
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Una buona sintesi dello spazio di rappresentazione di Carlotto, sul suo protagonista e sul nordest, lo ha fatto anche lo stesso prof. Borelli: «Io credo che utilizzare il noir per leggere la società – per costruire una lettura della società – sia un particolare e fecondo strumento. Quello che emerge [dalla letteratura]… è che un sistema [come quello del nordest] che ha dimostrato il massimo del virtuosismo nei processi economici e nel processo di rinnovamento – si pensi a cos’era il triveneto nei anni ’60, alla velocità con la quale è diventata una delle regioni più ricche d’Europa – crea anche quella che noi sociologici chiamiamo “effetti perversi”. Ovvero degli effetti non desiderati, non voluti, non previsti. Quello che ci racconta Carlotto – che il veneto ha la più alta concentrazione di criminalità e attività mafiose, etc. – è un tipico esito perverso di un sistema, che guardato ex post, non poteva non venire fuori perché tutti i presupposti erano iscritti nel suo essere. Nel senso che un personaggio come Pellegrini – che non ha nessuna moralità o fondamento etico, parla solo alla propria utilità personale (senza fare sconti a nessuno) – è l’esito di una ipertensione verso la crescita, verso lo sviluppo. Verso una fame di benessere che in questo territorio si è sviluppata negli ultimi 30-40 anni molto velocemente e potentemente. Esso [lo sviluppo industriale-commerciale] ha sicuramente prodotto del benessere – le cifre che noi abbiamo in termini di crescita economica, prima e dopo la crisi economica, sono da primato europeo… Pero il fatto di essere così focalizzata sul risultato mette in secondo ordine tutto una serie di questioni. Come la questione che i rapporti tra persone diventano strategici, monetizzati e considerati in termini di utilità: non esiste più un bene relazionale. Le relazioni sono tutte legate all’iper-produttività, al fatto di lavorare 20 ore al giorno, al fatto di considerare una persona come un mezzo per poter raggiungere dei risultati. Il processo di crescita di questo territorio si fonda anche sui dei meccanismi sociali di
questo tipo, quindi spariscono questioni come la gratuità, il fatto di poter costruire dei rapporti che non prevedano termini di scambio. […] Non so se il progetto di cementificazione del paese … sia anche il progetto di un disegno criminale. Sicuramente è il progetto di un disegno collettivo in cui lo sviluppo era a livello molecolare, di singola unità famigliare. Questo ha prodotto il consumo di territorio, il modello che F. Indovina ha definito “la città diffusa”, la grande conurbazione – che mangia suolo e che è intasata dal traffico…» (Massimo Carlotto. La distruzione letteraria del nordest: incontro con gli scrittori; 02/11/2017). Che ruolo hanno dati quantitativi – come il PIL di una regione, il fatturato di un’azienda, il reddito personale, il costo della vita e del piacere – sulla felicità di una persona, sulla sua “qualità” di vita, e se vista in scala più ampia quella delle persone che vivono in un territorio? Se i soldi non fanno la felicità, ma sono un buon sostituto, fino a che punto può l’uomo tollerare che l’unico canale di interscambio con altri uomini sia fatto per vie mercificabili e materiali? Domande vecchie quanto il mondo ma, per ogni uomo e per ogni società, sempre attuali. Siccome la strada dell’uomo medio – quello della norma, che teme equamente che la morte che la vita, di quello che vuole semplicemente cavarsela e continuare a godere dei raggi del sole per un altro giorno – è di solito il compresso: non sembra che questa sia quella dei personaggi principali del libro: Pellegrini, Anedda, Brianese. La loro è una strada precipitosa, storta, piena di insidie, e per questo affascinante, sfidante, pericolosa, e con conseguenze che lasciano marchi. I motivi possono essere tanti, magari a causa della mancanza, nella società moderna, di idealismi e lotte per progetti comuni di una vita più “giusta e equa” (le quali richiedono per forza un sacrificio per il prossimo), o in quanto non riscontrabili e riconoscibili – per i personaggi – qualunque altra via non violenta, degna di essere percorsa. Rimasti senza dio che giudica le loro azioni passate e i loro intenti, non abbastanza pazienti (o forse abbastanza fortunato) da conquistare con una ricerca personale le certezze della vita e le piccole o grandi felicità, mancante di fiducia nel prossimo – chiunque esso sia –, indignati e raccapricciati dalla “noia”-ripetitività e dalla quotidianità delle giornate, i personaggi del libro di Carlatto hanno scelto la via dirompente, esplosiva e violenta. Il brivido del sorpasso, entro limiti pericolosi, li ha conquistati ed aggiogati: consapevolmente irrecuperabili, rintracciabili, convertibili, ri-malleabili (anche dagli altri); loro hanno visto in una visione estasiata uno spazio continuamente mutabileindefinibile-irrazionale-distruttivo, e hanno scelto (basandosi su questa visione) di trasformare anche il più piccolo gesto “noioso” dello spazio sociale di cui fanno parte in un gesto “originale-particolare” pieno di carica emotiva e vitale. Questo sicuramente perché loro vedono nella quotidianità proprio la mancanza di intenzione e concentrazione: ovviamente questo non è di per sé vero per ogni uomo o donna. I ‘pellegrini’
Sociologia dell’ambiente
possono essere visti anche come provocatori che cercano di eliminare negli altri la mancanza di dedicazione nei dettagli. In quanto meticolosi, astuti e calcolativi non possono tollerare negli altri la mancanza di consapevolezza nei i piccoli gesti. Egli è abilissimo nella simulazione, proprio perché riconosce il profilo completo dell’uomo medio: sa che è fatto di emozioni e di ripetitività, di idealità e di materialità, di felicità-dolore e di respiri automatici (perché vivi). Sa inoltre che l’uomo medio nota quasi esclusivamente la qualità (gli ideali, le convinzioni, l’amore, l’odio) ma non dà abbastanza attenzione alle minuzie e ai particolari. Poi per il Pellegrini in specifico, prima di uccidere una persona, egli prima la prende in grande odio e antipatia, proprio perché non ha saputo leggere i segnali velati che gli lanciava prima di capitolarli con la sua esecuzione impietosa, dopo la quale si giustifica sempre che è “successo” perché non l’avevano capito e che i “patti” con lui non erano chiari, quindi che l’amicizia non sarebbe durata a lungo. È ovvio che ti viene tanto orrore per una persona come lui: però il lettore prova disgusto per il protagonista di Carlotto perché è inquadrabile in quanto vive dentro un libro. Il suo simulacro però, che vive nei territori vasti della pianura industrializzata, è quello che non vorresti conoscere, e magari non sapere che esiste da qualche parte là fuori, vicino a te o lontano da te. Penso che sia inutile commentare quanto imperdonabile sia il gesto di interrompere violentemente la vita di un’altra persona. Si denota che Pellegrini, in quanto maestro del realismo e della teoria della probabilità, maestro di numeri e misure insomma, come un matematico moderno, abbia fatto la scelta relativamente intenzionale di non essere tiepido: dovendo quindi scegliere tra caldo e freddo, per mancanza di una definizione di caldo, ha scelto il secondo. È facile dare dei giudizi deterministici, qualunque essi siano, a livello comportamentale, morale, o sui schemi concettuali (ideologie) di quelli hanno beneficiato della possibilità di potere (qui “potere” è usato come sostantivo, cioè capacità oggettiva di agire, di cambiare). Più difficile, per lo scrittore della relazione, è dare invece un giudizio su quelli che non hanno avuto la possibilità, il tempo, o la fortuna di emanciparsi, di conoscere sé stessi e le conseguenze delle proprie azioni, di discernersi, di indagare sulla ragione e causa di qualunque processo “reale” in uno dei spazi isotopicieterotopici-utopici, di individuare e codificare questo complesso “mondo”. Della prima tipologia, nei libri di Carlotto, troviamo: Pellegrini, Anedda, Brianese, e altri. Della seconda: Roberta e tantissime altre persona, in particolare donne violentate da Pellegrini. Nati nei tempi moderni dove il mutamento su ogni scala personale/sociale/economica è la prassi, questo non vuol dire però che non si deve avere stima di quelli che nei gesti anche più semplici, disarticolati o ciclici vedono uno spazio di applicazione della loro forza vitale e della loro “potenza”. Sono proprio gli innumerevoli e sfuggevoli gesti comuni e giornalieri che riempiono la maggior parte del “volume” dello spazio sociale. Loro sono i veri giganti che non sanno di essere tali. Loro sono il numero che non sanno che fanno anche la qualità. Sono così presenti diventano astratte, così
evidenti da celarsi, così spesso manifestati da diventare impercepibili, così spesso visti da essere irriconoscibili, così uguali da essere indistinguibili, così onnipresenti da essere indecifrabili, così spesso nella tua faccia da abituarti. Lefebvre ci ricorda che i molti sono spinti (da quelli che” comprano lo spazio” e conseguentemente il tempo) in tale spazio ristretto e soffocante, perché devono sopravvivere prima di vivere. Anche chi ha l’istinto innato di ‘ribellarsi’ contro la dominazione distruttiva della società nel suo complesso, ha poco da combattere se il destino lo pone nella fronte – della storia, o del tempo, o della gerarchia sociale (inteso come la più bassa e disprezzata). Contro la tortura ciclica di uno spazio limitato che batte contro il petto del ribelle con la stessa ‘naturalità’ e la sicurezza che le onde del mare sbattono contro la battigia della spiaggia, c’è poco da resistere. L’unica speranza che ci possa essere per lui, e che compi degnamente il ruolo della fronte, cioè del “numero sacrificabile”. Trasformatosi in un terreno infertile – perché pioniere, nella battigia, continuamente percosso dal moto ondoso e prevedibile della quotidianità estenuante – dove crescono solo poche specie di vegetazione che amano il sale (alofile), egli spera che dietro di lui possa almeno nascere-evolversi una vegetazione più ricca e complessa. La flessibilità e l’uso equilibrato di tutti i sensi e delle capacità mentali è quello che viene richiesto per non sfociare nella follia o nella mancanza di identità. Si richiede anche continua osservazione e azione sia nel spazio mentale che in quello materiale e sociale. Una divisione di queste sfere e la mancanza della comunicazione tra di loro nella persona porta inevitabilmente alla sopravalutazione o sottovalutazione della capacità e possibilità che solo una può offrire – sia individualmente sia se applicata sulle altre. In questo consiste anche la dialettica triplice dello spazio di Lefebvre (o trialettica se si preferisce): si tratta di un processo dove costantemente e interrottamente si negozia il peso e l’importanza di ogni sfera interpretativa. Ancora peggio, la convinzione che non ci può essere comunicazione tra queste sfere (mentale, fisica, sociale), e quindi reciproca influenza tra di loro (in un giro continuo di mutua trasformazione), porta “l’uomo medio” a preferire l’uno sull’altra. Poi per quella sfera interpretativa che egli sceglierà (consapevolmente, o no) come dominante sulle altre, è molto probabile che prenderà come modello di ‘produzione’ di quel spazio i metodi dominanti e consueti di rappresentazione e interpretazione (dello spazio) – dunque quelle della classe dominante che forgia le tendenze del tempo. Si rischia così di essere un accumulo di idee o oggetti spinti attraverso la grande porta della consuetudine dentro la propria essenza/completezza. La mancanza di visione-consapevolezza di anche di uno di questi campi, sfruttata come punto debole da altri (persone, idee, o oggetti) attraverso l’applicazione della così detta soft power o “forza dolce” (o persuasione attraverso l’influenza continua: l’egemonia), porta la divisione, che come una vecchia celeberrima formula – di supremazia attraverso l’uso ingannevole della diplomazia – vuole che i divisi vengano vinti e dominati da quelli che dividono. I più uniti diventeranno più potenti – più forti, più uniti, più
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Riflessioni sullo spazio
arricchiti, e minori in numero – quanto più potranno dividere altri uniti, i quali aumenteranno in numero ma perderanno in “possedimenti”. Il lettore avrà capito che questo paragrafo è interamente basato sull’interpretazione personale, ecco in cosa consiste il giudizio dello scrittore della relazione.
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Recensioni online dei libri di Massimo Carlotto - Chianese Salvatore, Arrivederci amore ciao, Massimo Carlotto, Thrillercaffe (Web), 04/05/2016 http://www.thrillercafe.it/arrivederci-amore-ciaomassimo-carlotto/ - AA.VV., Arrivederci amore ciao, Qlibri (Web), 2010-2014 https://www.qlibri.it/narrativa-italiana/gialli,-thriller,horror/arrivederci-amore,-ciao/ - AA.VV., Arrivederci amore, ciao, di Massimo Carlotto, Sconfini.eu (Web) http://www.sconfini.eu/arte-e-cultura/76-recensionilibri/2888-arrivederci-amore-ciao-di-massimo-carlotto. html
Sociologia dell’ambiente
Articoli sulla criminalità organizzata - Longo Grazia, La mafia ha in mano 5 mila ristoranti, La Stampa, 05/04/2017, Web, ultima consultazione 03/03/2018 http://www.lastampa.it/2017/04/05/italia/ cronache/la-mafia-ha-in-mano-mila-ristorantiflV0tFsCXbs3pHWjXTUdGM/pagina.html - N.D., L’usura ultimo business delle mafie: “Hanno scalzato il cravattaro di quartiere”, La Repubblica, 22/11/2017, Web, ultima consultazione 03/03/2018 http://www.repubblica.it/economia/2017/11/22/ news/l_usura_ultimo_business_della_mafie_non_c_e_ piu_il_cravattaro_di_quartiere_-181784863/ - Piqué Elisabetta, La crisi alimenta gli affari della mafia italiana, Il Fatto Quotidiano, 11/01/2012, Web, ultima consultazione 03/03/2018 https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/15/crisialimenta-mafia/184020/ - Confesercenti-Sos Impresa, Le mani della criminalità sulle imprese, XIII rapporto di Sos Impresa, 2012, Aliberti editore http://www.sosimpresa.it/1090/le-mani-dellacriminalita-sulle-imprese---xiii-rapporto-di-sos-impresa. html - I.A., Inchiesta rifiuti Fanpage.it, Bettin: “Soldi sporchi in un progetto regolare”, Fanpage. it, 28/02/2018, Web, ultima consultazione 03/03/2018 https://www.fanpage.it/inchiesta-rifiuti-fanpage-itbettin-soldi-sporchi-in-un-progetto-regolare/
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