Theriaké marzo 2019

Page 1

Theriaké MENSILE DELL’ASSOCIAZIONE GIOVANI FARMACISTI DI AGRIGENTO

Anno II n. 15 Marzo 2019


Sommario

4Gli Appunti di Formare l’Eccellenza

Fitocomponenti bioattivi della dieta

10 Cultura

Le Giornate FAI di Primavera

12 Delle Arti

Il San Gerolamo di Leonardo nella Pinacoteca Vaticana

14 Diabete Parodontite nel diabete, un approccio integrato tra diabetologo, odontoiatra e farmacista per la prevenzione primaria, la diagnosi precoce e la cura

20 Spazio mamma L’integrazione in gravidanza cosa è davvero necessario alla donna e al suo bambino

22 Fitoterapia&Nutrizione

Il microbiota intestinale, probiotici e salute

30 Apotheca&Storia

La medicina nell’Ottocento Responsabile della redazione e del progetto grafico: Ignazio Nocera Redazione: Valeria Ciotta, Elisa Drago, Christian Intorre, Francesco Maratta, Federica Matutino, Giorgia Matutino, Silvia Nocera, Giusi Sanci. Contatti: theriake@email.it Theriaké via Giovanni XXIII 90/92, 92100 Agrigento (AG). In copertina: Robert Culter Hinckley. The first operation with ether. Olio su tela. 1846. Questo numero è stato chiuso in redazione il 21 – 3 – 2019

2

Theriaké

Collaboratori: Giuseppina Amato, Stefania Bruno, Paola Brusa, Laura Camoni, Corrado De Vito, Roberto Di Gesù, Gaetano Di Lascio, Claudio Distefano, Vita Di Stefano, Carla Gentile, Aurelio Giardina, Pinella Laudani, Maurizio La Guardia, Erika Mallarini, Rodolfo Papa, Annalisa Pitino, Luigi Sciangula. In questo numero: Giuseppina Amato, Gero De Marco, Elisa Drago, Carla Gentile, Laura Gerli, Giuseppe Mannino, Rodolfo Papa, Giusi Sanci, Luigi Sciangula.

Anno II Numero 15 – Marzo 2019



1 2

Gli Appunti di Formare l’Eccellenza/5

FITOCOMPONENTI BIOATTIVI DELLA DIETA Carla Gentile* e Giuseppe Mannino*

Dati scientifici e evidenze epidemiologiche raccolti negli ultimi cinquant’anni hanno dimostrato che l’alimentazione ha un ruolo determinante sulla nostra salute. Quest’ultima, considerata fino all’ultimo dopoguerra essenzialmente come una condizione di non malattia, oggi, secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, è da intendersi come uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale. Nutrirsi in modo adeguato, infatti, non solo è necessario a soddisfare le richieste energetiche, nell’obiettivo di evitare patologie da eccessi o carenze, ma è anche determinante nella prevenzione di specifiche patologie in soggetti a rischio ed è potenzialmente utile al miglioramento della qualità di vita di ogni individuo. Il significato funzionale, protettivo e, al limite, “terapeutico” degli alimenti, suggerito già duemila anni fa da Ippocrate con l’aforisma «Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia

4

Theriaké

il tuo cibo», è oggi ampiamente dimostrato da evidenze scientifiche. D’altra parte, il consumatore moderno, nella convinzione sempre più radicata del ruolo attivo che l’alimentazione ha sulla sua salute, è sempre più attento nella scelta di alimenti di elevata qualità. Cibi funzionali e nutraceutici, termini usati oggi per riferirsi alle proprietà salutistiche di specifici alimenti o di loro componenti, sono il risultato di questo interesse crescente e convergente del consumatore nella ricerca del benessere, dell’innovazione tecnologica in campo agroalimentare e della ricerca scientifica che mira a dimostrare potenziali effetti protettivi della dieta. Il mercato della nutraceutica, per quanto *Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche, Chimiche e Farmaceutiche (STEBICEF), Università degli Studi di Palermo.

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


4 3

Gli Appunti di Formare l’Eccellenza/5

Figura 1. Caravaggio. Canestra di frutta. Olio su tela. 1594-98. Pinacoteca Ambrosiana, Milano.

ancora di nicchia, ha subito un rapido incremento nel corso degli ultimi anni. Le ragioni di questa crescita vanno anche da ricercarsi nel preoccupante incremento di patologie associate all’età avanzata, alla vita sedentaria e a diete non equilibrate e nel conseguente vertiginoso incremento della spesa sanitaria. La domanda di cibi funzionali nell’Unione Europea dal 1995 al 2010 è aumentata di sette volte. Ancora più importanti sono le dimensioni del mercato relativo agli integratori alimentari. In Italia negli ultimi cinque anni il mercato dei nutraceutici è aumentato di 500 milioni di euro e oggi ha superato i 3 miliardi di euro. D’altra parte, da dati dello scorso anno, l’Italia è al primo posto in Europa per spesa pro-capite per prodotti nutraceutici. Il ruolo attivo che la dieta può svolgere sulla salute umana dipende dalla presenza negli alimenti di molecole biologicamente attive. Queste sostanze raramente hanno anche un significato nutrizionale e sono dette “bioattive” perché producono un qualche tipo di effetto su un sistema biologico vivente. Le piante costituiscono la più importante

Theriaké

fonte di sostanze bioattive naturali e rappresentano ancora oggi la principale risorsa nella ricerca di nuovi farmaci. I fitocomponenti bioattivi o composti fitochimici costituiscono un insieme estremamente vario di sostanze appartenenti a numerose classi chimiche e famiglie botaniche, e tutte sono accomunate dalle seguenti quattro caratteristiche: 1) sono prodotte dalle piante e comunque non sintetizzate dalla cellula animale, 2) sono molecole organiche a basso peso molecolare, 3) non sono metaboliti indispensabili per l’organismo che li sintetizza (metaboliti secondari), 4) hanno una dimostrata attivita biologica. I composti fitochimici più abbondanti e diffusi nella nostra dieta appartengono al gruppo chimico dei polifenoli (flavonoidi, acidi fenolici, stilbeni, lignani e xantoni). La produzione di questi metaboliti secondari ha un ruolo importante nella fisiologia della pianta, perché è utile per esempio a conferirle resistenza nei confronti di microrganismi patogeni e insetti, a favorire l’impollinazione (colorazione dei fiori) e la dispersione del seme (aroma, sapore, colore dei frutti).

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

5


6 5

Gli Appunti di Formare l’Eccellenza/5

Figura 2. Gli acidi fenolici sono i derivati dell’acido benzoico e dell’acido cinnamico.

L’interesse per i composti fitochimici dietetici, quindi quelli contenuti negli alimenti di origine vegetale, è giustificata dai risultati di numerosi studi epidemiologici che dimostrano come diete ricche di frutta, verdura, legumi, semi, possano contribuire alla prevenzione di patologie di varia natura, incluse quelle cardiovascolari, neoplastiche, neurodegenerative e metaboliche. Non ci sono gli strumenti per dimostrare che gli effetti positivi derivanti dal consumo di un dato alimento o dall’utilizzo di uno specifico regime dietetico siano attribuibili a un componente in particolare, poiché non si può trascurare la presenza di altri componenti e eventuali effetti sinergici. Tuttavia, risultati sperimentali che documentano per molti composti fitochimici dietetici la capacità di produrre un effetto biologico, suggeriscono che un dato fitocomponente possa partecipare agli effetti protettivi associati al consumo di un alimento che lo contiene. L’attività biologica documentata per queste molecole si esprime attraverso effetti antiossidanti, antiinfiammatori, neuroprotettivi, immunomodulatori, protettivi della funzione cardiovascolare e antidiabetici. Su questi dimostrati effetti protettivi si basa il successo commerciale di numerosi integratori alimentari a base di polifenoli, consigliati, per esempio, per il controllo dei livelli di colesterolo ematici, come coadiuvanti nel trattamento dell’ipertensione, come agenti antiaging, per il controllo della glicemia post-prandiale, per la prevenzione delle infezioni nelle basse vie urinarie. Nonostante gli effetti protettivi associati al consumo di fitocomponenti dietetici, come i fenoli vegetali, siano riconducibili a un’ampia diversità di meccanismi, l’attività biologica di queste molecole è stata frequentemente riferita alla loro capacità di funzionare da molecole antiossidanti, ovvero alla capacità di spegnere specie estremamente reattive come lo sono quelle radicaliche. Si definisce radicale libero un'entità, avente vita media di norma brevissima, costituita da un atomo o una molecola che presenta un elettrone spaiato. Questa caratteristica rende il radicale estremamente reattivo nel sequestrare elettroni a molecole vicine che in questo modo vengono ossidate. Se il radicale

6

Theriaké

Figura 3. Lignano

si forma nelle nostre cellule le molecole vicine che vengono ossidate, mentre il radicale si spegne, sono le macromolecole biologiche necessarie a organizzare e a far funzionare la cellula, quindi proteine, lipidi di membrana, DNA. Un antiossidante, spegnendo il radicale per trasferimento di uno dei suoi elettroni, preserva le altre molecole evitandone l’ossidazione e quindi la perdita di funzione. D’altra parte, in questo processo l’antiossidante si ossida ma si trasforma in una specie stabile, non reattiva, grazie a fenomeni di delocalizzazione elettronica. Molti composti fitochimici sono molecole antiossidanti perché sono molecole ricche di elettroni e quindi con spiccata tendenza a trasferirli a specie reattive. Attraverso questa intrinseca capacità di donare elettroni, i composti fitochimici antiossidanti possono influenzare il bilancio redox cellulare, il delicato equilibrio che si instaura fra la produzione di specie reattive e ossidanti, come i radicali liberi, e le difese antiossidanti organiche. Un mancato equilibrio fra i sistemi di difesa antiossidante e i livelli di specie reattive è causa di stress ossidativo organico, coinvolto nell’eziopatogenesi di numerose patologie nell’uomo e nel processo fisiologico dell'invecchiamento. Nonostante specie reattive, radicaliche e non, siano normalmente prodotte dalla inefficace riduzione dell’ossigeno molecolare nei fisiologici processi del metabolismo ossidativo, la loro produzione può incrementare in seguito ad esposizione ad agenti fisici o chimici di varia natura, inclusi gli inquinanti ambientali e le radiazioni ionizzanti. Per limitare le conseguenze di una possibile sovrapproduzione di specie reattive, gli organismi viventi hanno sviluppato efficaci sistemi endogeni di difesa dallo stress ossidativo. Questi sono sofisticati meccanismi che mantengono l’omeostasi redox, sia attraverso un’azione scavenger diretta nei confronti delle specie reattive (difese antiossidanti solubili, come il glutatione, l’acido urico e la melatonina), sia attraverso la prevenzione della loro produzione (enzimi che neutralizzano le specie reattive direttamente o via sintesi di antiossidanti solubili). Dati sperimentali

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


7 8

Gli Appunti di Formare l’Eccellenza/5

a

c

b

d

Figura 4. Struttura generale di: a) flavononi, b) flavanoni, c) flavonoli, d) isoflavoni.

dimostrano che l’introduzione con la dieta di molecole antiossidanti concorre non solo a potenziare le difese antiossidanti solubili, ma può anche modulare l’espressione e/o l’attività degli enzimi antiossidanti. L’attività biologica di molti antiossidanti, correlata alle loro proprietà riducenti, non si limita solo alla capacità di proteggere la cellula da fenomeni di stress ossidativo. Il bilancio redox cellulare, entro piccole variazioni, regola il funzionamento di numerosi target biologici ai siti chiave di vari processi cellulari. La capacità di influenzare lo stato redox cellulare rende, quindi, le molecole antiossidanti anche potenzialmente attive nel modulare indirettamente la funzione di numerosi target biologici. Nei sistemi biologici complessi, i fotocomponenti bioattivi possono avere anche effetti non ascrivibili alla sola attività riducente e antiossidante. D’altra parte, spesso i prodotti del metabolismo di queste molecole perdono il potenziale antiossidante originale. Inoltre, più recentemente, è stato sottolineato come per alcuni polifenoli gli effetti benefici possano derivare anche dalla loro tendenza ad interagire direttamente con proteine o membrane biologiche e così dalla loro capacità di regolare siti chiave di vie di trasduzione del segnale. L’interazione con la membrana cellulare potrebbe per esempio chiarire le basi molecolari che sottendono le proprietà biologiche di composti fitochimici a elevato peso molecolare, come le proantocianidine, che difficilmente, non avendo tendenza ad attraversare le membrane, possono essere trasferiti all’interno delle cellule. Se si sommano i quantitativi medi stimati per il consumo dei diversi polifenoli distribuiti nei cibi, si può ipotizzare, nei Paesi Occidentali, un consumo medio di polifenoli compreso fra 100 e 150 mg/d. Questa quantità può raggiungere e superare 1g/d in soggetti che consumano diverse porzioni al giorno di frutta e verdura e che bevono caffè. D’altra parte, prescindendo dai quantitativi ingeriti, parlando di fitochimici dietetici, non si può non considerarne la biodisponibilità ai tessuti target dopo consumo di alimenti che li contengono. La

Theriaké

biodisponibilità nel sangue o a uno specifico tessuto target, richiede la capacità della sostanza in esame di attraversare le membrane biologiche e, sicuramente, quella relativa all’epitelio intestinale. Nonostante siano moltissimi i composti presenti nella dieta per i quali siano documentate attività biologiche in vitro, non per tutte queste molecole è stata dimostrata biodisponibilità in vivo. Un’indagine completa dell’attività di un composto presente nella dieta non dovrebbe, quindi, mai prescindere da studi di farmacocinetica. La biodisponibilità, oltre ad essere influenzata dalla capacità della sostanza in questione di attraversare l’epitelio intestinale, capacità legata alle caratteristiche chimico-fisiche della sostanza e all’efficacia con cui è liberata dalla matrice in cui si trova, dipende anche dalla sua stabilità durante la digestione e dopo l’assorbimento. Infatti, perché un composto bioattivo in vitro si dimostri attivo in vivo è necessario che sia stabile nelle condizioni di digestione gastro-intestinale, che sia assorbito a livello intestinale, che subisca un limitato metabolismo e che sia lentamente eliminato. Queste sono le condizioni farmacocinetiche che permettono di ottenere significative concentrazioni ematiche. Inoltre, poiché l’emivita dei polifenoli nel sangue non supera le 8 ore, per mantenere significative concentrazioni plasmatiche di questi metaboliti, è necessario ingerire frequentemente cibi che li contengono. Le concentrazioni che si possono ottenere nel sangue, dopo consumo di cibi ricchi di polifenoli, dipendono dal tipo di polifenolo considerato e dalla matrice alimentare in cui è contenuto. La quercetina, uno dei polifenoli più ampiamente distribuiti negli alimenti, raggiunge concentrazioni ematiche comprese fra 0.1 e 0.7 μM dopo ingestione di circa 100-150 mg di quercetina contenuta in varie fonti alimentari. Il consumo di cipolle permette di ottenere le più alte concentrazioni plasmatiche di questo flavonolo, come conseguenza della sua elevata concentrazione in questo bulbo commestibile, ma anche dei particolari quadri di glicosilazione di questo flavonolo che ne incrementano l’assorbimento

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

7


90

Gli Appunti di Formare l’Eccellenza/5

Figura 6. Stilbene e resveratrolo (suo derivato).

Figura 5. Procianidine: oligomeriche n=0-5, polimeriche n>5.

intestinale. Molto basse sono invece le concentrazioni plasmatiche che si possono ottenere dopo ingestione di alimenti che contengono antociani, come i frutti rossi, le melanzane, il vino. L’ingestione di alcune centinaia di mg di questi potenti polifenoli antiossidanti permette di ottenere nel plasma solo concentrazioni nel range subnanomolare. Gli isoflavoni, presenti quasi esclusivamente nelle leguminose, in particolare nella soia, sono invece i polifenoli meglio assorbiti. Dopo ingestione di soli 50 mg di isoflavoni si possono raggiungere concentrazioni nel sangue comprese fra 1 e 4 μM. Ciò pone d’altra parte un problema di sicurezza, considerando l’effetto similestrogenico di questi flavonoidi, nell’utilizzo di latte di soia nella nutrizione dei bambini che non possono assumere latte bovino. Sebbene la capacità di attraversare l’epitelio intestinale sia determinante ai fini della bioattività di una molecola derivante dalla dieta, questo non è più vero se si considerano effetti locali a livello intestinale. A tale proposito, è interessante notare che l’assorbimento intestinale delle proantocianidine, polifenoli ad alto PM concentrati nel tè, nei frutti rossi e nell’episperma di molte nuts, è funzione inversa del loro grado di polimerizzazione. Infatti, mentre piccoli oligomeri come dimeri e trimeri, sono resistenti all’idrolisi acida a livello gastrico, e vengono facilmente assorbiti nell’intestino, molecole più grandi non attraversano la barriera intestinale. D’altra parte, poiché proantocianidine ad elevato peso molecolare sono stabili alle condizioni digestive possono

8

Theriaké

raggiungere nel lume intestinale concentrazioni tali da giustificare effetti locali che potrebbero rivelarsi utili, per esempio, nelle malattie croniche intestinali. I fitocomponenti bioattivi derivanti dalla dieta, metaboliti secondari delle piante e che in alcune specie possono raggiugere considerevoli concentrazioni, sono quindi i principali responsabili degli effetti protettivi di diete ricche di frutta e verdura. Per questo ruolo sono divenuti, negli anni, di grande interesse nella ricerca nel campo della nutrizione umana. Diversamente dalle vitamine, queste piccole molecole non sono essenziali per il nostro benessere a breve termine, ma evidenze crescenti suggeriscono che un consumo limitato, continuo e a lungo termine di queste molecole ha effetti positivi nella prevenzione del cancro e di malattie croniche e degenerative, come quelle cardiovascolari, la cui incidenza diventa sempre più preoccupante.

Bibliografia: 1.

2.

3.

4.

5.

6.

Chikara S. et al., Oxidative stress and dietary phytochemicals: Role in cancer chemoprevention and treatment. Cancer Lett. 2018 Alissa E.M. and Ferns G.A., Dietary fruits and vegetables and cardiovascular diseases risk. Crit Rev Food Sci Nutr. 2017 Jun 13;57(9):1950-1962. Rodriguez-Casado A., The Health Potential of Fruits and Vegetables Phytochemicals: Notable Examples. Crit Rev Food Sci Nutr. 2016. Howes M.J. and Simmonds M.S., The role of phytochemicals as micronutrients in health and disease. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 2014. Gentile C. et al., Food quality and nutraceutical value of nine cultivars of mango (Mangifera indica L.) fruits grown in Mediterranean subtropical environment. Food Chem. 2019. Gentile C. et al., Sicilian pistachio (Pistacia vera L.) nut inhibits expression and release of inflammatory mediators and reverts the increase of paracellular permeability in IL-1β-exposed human intestinal epithelial cells. Eur J Nutr. 2015.

Anno II Numero 15 – Marzo 2019



1 2

Cultura

LE GIORNATE FAI DI PRIMAVERA

Gero De Marco*

Le Giornate FAI di Primavera sono ormai un appuntamento imperdibile, un’occasione straordinaria alla scoperta dei tanti piccoli e grandi tesori che ci circondano. Ogni anno, dal 1993, il primo weekend di primavera i volontari del FAI organizzano questa manifestazione nazionale dedicata alla riscoperta del patrimonio storico, artistico e culturale del nostro Paese. Una grande festa dei Beni Culturali aperta a tutti e alla quale in 26 anni di storia hanno partecipato più di 10 milioni di Italiani, che hanno avuto l'opportunità di visitare oltre 12.000 luoghi in più di 5.000 città di tutta Italia. Nelle giornate di sabato 23 e domenica 24 marzo, la Delegazione FAI di Agrigento aprirà le porte di diversi Beni in tutta la provincia, alcuni di questi solitamente non accessibili al pubblico. Tra gli altri, sarà possibile visitare la Fattoria Mosè e la Casa ANAS ad Agrigento, il Palazzo Adamo Bartoccelli a Canicattì, il Palazzo La Lumia a Licata, le Catacombe Paleocristiane a Naro, la Villa Romana a Realmonte, Villa Maria – La Quiete a Casteltermini (il Bene più votato in provincia di Agrigento nell’ultimo censimento nazionale de I Luoghi del

10

Theriaké

Cuore promosso dal FAI), e naturalmente l’ormai celebre Giardino della Kolymbethra nella Valle dei Templi (Bene FAI dal 1999). Questi sono solo alcuni tra i gioielli storici della provincia che sarà possibile riscoprire per la 27esima edizione della manifestazione. In tutta Italia le Giornate FAI di Primavera coinvolgono ogni anno oltre 40mila apprendisti ciceroni, studenti delle scuole secondarie di I e II grado, che accompagnano nelle visite dei luoghi aperti. I luoghi saranno aperti dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 15:00 alle 17:00, a fronte di ogni visita effettuata sarà richiesto un contributo facoltativo a sostegno di quella missione in cui il FAI si impegna da oltre 40 anni: la cura, la tutela e la valorizzazione dei luoghi e delle storie che rendono unico il nostro Paese. Per conoscere i dettagli e il programma completo della manifestazione: https://www.fondoambiente.it/il-fai/grandicampagne/giornate-fai-di-primavera/i- luoghiaperti/?provincia=AGRIGENTO

*FAI Giardino della Kolymbethra — Agrigento Anno II Numero 15 – Marzo 2019



1 2

Delle Arti

IL SAN GEROLAMO DI LEONARDO NELLA PINACOTECA VATICANA

Rodolfo Papa Il San Girolamo di Leonardo da Vinci è un dipinto di piccole dimensioni, olio su tavola. Rappresenta San Gerolamo, dottore della Chiesa, uno dei santi prediletti dalla tradizione pittorica, soprattutto rinascimentale, che lo raffigura penitente nel deserto, oppure assorto nel suo studio. Spesso gli sono al fianco un leone e un cappello cardinalizio, che ricordano alcune vicende tradizionalmente attribuitegli: la fedeltà riconoscente di una fiera, il ruolo eminente nella Chiesa. Leonardo ne dà un ritratto insolito, ancora attualissimo nei suoi significati. Egli sceglie la situazione della penitenza nel deserto e la rappresenta con tutti gli attributi della tradizione, ma in una maniera sorprendentemente coinvolgente. Infatti, il santo è posto in ginocchio, in procinto di alzarsi o di abbassarsi, con un braccio si percuote il petto, con l’altro compie un movimento ampio, quasi circolare, che sembra circoscrivere una porzione di spazio. Lo spazio circolare che ne deriva è senz’altro lo spazio della meditazione, ed anche lo spazio letteralmente “separato” della santità, ma Leonardo non è un pittore meramente simbolico o astratto, e dunque lo spazio della meditazione è anche e prima di tutto un luogo fisico, realmente esistente. Questo luogo è una grotta. Il santo è infatti raffigurato in un interno, cosa facilmente percepibile perché due aperture laterali forano il fondo di roccia, come fossero due finestrelle naturali, che si affacciano su un esterno: fuori si percepisce una chiesa, forse ispirata a Santa Maria Novella. Se interroghiamo la figura storica di Gerolamo, nella sua vita incontriamo proprio una grotta. Il santo, infatti, visse a lungo a Bethlehem, proprio nei pressi della grotta della natività. Ce lo ricorda per esempio Jacopo da Varazze: «Gerolamo, prete già famoso in tutto il mondo, abitava in Betlemme» (Legenda aurea, cap, CXLVI). Dalla narrazione dei vangeli, soprattutto del capitolo 2 di Luca, desumiamo che la Sacra Famiglia al momento della nascita di Gesù, trovo alloggiò in una stalla, ovvero secondo le costumanze di allora in una piccola caverna scavata sul fianco di una collinetta nei pressi del villaggio. Molte delle notizie

12

Theriaké

Figura 1. Leonardo Da Vinci, San Gerolamo. Olio su tavola. 1480 circa. Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano.

sulla storia della grotta della Natività provengono proprio dalla testimonianza di Gerolamo. Egli ricorda anche come il luogo della natività sia stato coinvolto dal progetto di paganizzazione dei luoghi cristiani messo in atto a partire dall’imperatore Adriano; infatti proprio nei pressi di Bethlehem era stato piantato un bosco dedicato al culto pagano di Adone; con dolore Gerolamo scrive che «nella grotta dove un tempo Cristo vagì bambino era pianto l’amante di Venere». Successivamente, nel IV secolo, Costantino eliminerà il bosco ed edificherà sulla grotta una grande basilica, risparmiata dall’invasione persiana del 614 e ancora oggi esistente. La caverna, il bosco, il tempio, la chiesa sono dunque elementi che descrivono il luogo della Natività e che ricorrono nelle rappresentazioni pittoriche di San Gerolamo eremita. Anche Leonardo rappresenta Gerolamo nei luoghi della natività, ma compie un passo ulteriore. Il

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


4 3

Delle Arti

L’AUTORE Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e filosofo dell’arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Docente di Storia delle teorie estetiche presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant’Apollinare, Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; la Pontificia Università Urbaniana, Roma. È Accademico Ordinario della Pontificia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della Accademia Urbana delle Arti. Tra i suoi scritti si contano circa venti monografie e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San Panfilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …).

luogo fisico in cui colloca Gerolamo è la grotta: lo riconverte nella penitenza. Seneca è immagine Gerolamo non è nei pressi della grotta ma proprio dello sforzo umano di una ragione da battezzare nel dentro. La grotta non è solo lo sfondo, ma è un Logos incarnato. attributo dell’identità del santo, il luogo di origine L’origine di ogni conversione è nella grotta della della sua contemplazione. Natività. Lì idealmente dovrebbe collocarsi ogni Potremmo aggiungere tante altre osservazioni. Una studio, lì di fronte alla mangiatoia in cui fu deposto è particolarmente importante: il volto del santo. Il il Bambino dovrebbe inginocchiarsi ogni uomo. volto di Gerolamo in questa tela ha i tratti di un Leonardo con questa piccola tela offre dunque tanti volto classico, si ispira alla tipologia del volto di spunti per la meditazione. La caverna come luogo Seneca, filosofo stoico vissuto nel I secolo, a cui si dell’origine (come anche nella Vergine delle rocce), il attribuisce uno scambio epistolare (non autentico valore redentore della penitenza, il necessario in realtà) con san Paolo. San Gerolamo colloca passaggio dal mondo classico a quello cristiano che Seneca nel suo elenco degli uomini illustri, De viris non significa rifiuto né facile concordanza, ma illustribus. conversione profonda e «L’origine di ogni conversione è nella Il volto di Gerolamo viene radicale. In quella grotta, grotta della Natività. Lì idealmente sovrapposto a quello dove San Girolamo si batte il dell’intellettuale pagano, dovrebbe collocarsi ogni studio, lì di petto, viene al mondo la Luce perché Gerolamo è anche la fronte alla mangiatoia in cui fu deposto che può illuminare ogni figura che descrive il il Bambino dovrebbe inginocchiarsi uomo e ogni intelletto. passaggio tra il paganesimo L’opera d’arte sacra aiuta la ogni uomo» e il cristianesimo. Spesso meditazione, è supporto per egli è rappresentato in uno spazio di sintesi: tra il la preghiera. Anche le piccole opere, vecchio e il nuovo (così nella xilografia di Dürer, San apparentemente poco risonanti, possono aprire Gerolamo nello studio) o tra lo studio e l’eremitaggio immensi spazi per la meditazione. Leonardo con (così nella tela di Tiziano, San Gerolamo nel deserto, una tavola di piccole dimensioni, ci aiuta a stare oggi all’Escorial). dentro la caverna, portando il nostro spirito e il Gerolamo racconta un suo drammatico sogno in cui nostro intelletto, la nostra cultura e le nostre il giudizio divino lo qualifica “ciceronianus” (ovvero conoscenze, a inginocchiarsi di fronte ai vagiti del ciceroniano, amante delle lettere classiche) e non Verbo incarnato. “Christianus”. Il volto che Leonardo dà a San Gerolamo, risente di questa eco che affonda negli studi classici. Leonardo raccoglie tutti questi spunti, e offre un volto che porta con sé il mondo antico ma

Theriaké

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

13


1 2

Diabete

PARODONTITE NEL DIABETE

un approccio integrato tra diabetologo, odontoiatra e farmacista per la prevenzione primaria, la diagnosi precoce e la cura Luigi Sciangula*

La parodontite è una patologia caratterizzata dall’alterazione o perdita dei tessuti parodontali: gengiva, osso alveolare, cemento radicolare e legamento parodontale. La parodontite ha carattere progressivo. Se non trattata, può determinare la perdita del dente e della dentatura. Etiologicamente è una malattia infettiva che riconosce in molteplici batteri saprofiti del cavo orale, definiti parodontopatogeni, i suoi agenti causativi. I batteri parodontopatogeni costituiscono una parte integrante del biofilm che ricopre tutti i tessuti dentali e orali: la placca dentaria. La placca dentaria, se non rimossa efficacemente durante le manovre d’igiene orale domiciliare, tende a maturare e, durante tale processo, si seleziona una popolazione gram negativa, anaerobia, ricca di batteri parodontopatogeni. L’accumulo di placca determina sempre gengivite, una patologia infiammatoria dei tessuti gengivali, caratterizzata da sanguinamento gengivale anche spontaneo. Il sanguinamento gengivale è sempre espressione di patologia. Gengivite e parodontite si possono considerare come un continuum di una patologia infiammatoria cronica in cui la parodontite rappresenta il secondo stadio della patologia ed è caratterizzata dalla distruzione irreversibile del legamento alveolo dentale. In alcuni soggetti, la gengivite può divenire parodontite, patologia caratterizzata da una disbiosi del biofilm batterico, dall’insorgere di un’infiammazione cronica e dalla distruzione dei tessuti di supporto dentale, fra cui l’osso alveolare.

14

Theriaké

È pertanto necessario un certo grado di suscettibilità alla parodontite, che si caratterizza in una tendenza iperinfiammatoria dei tessuti gengivali. Tale suscettibilità può essere innata o acquisita. La suscettibilità innata si esprime di solito con un fenotipo iper-infiammatorio caratterizzato da elevata risposta citochinica (IL-1β, PGE2, TNF-α,

ecc.) e da alterazioni della risposta immunitaria. La suscettibilità acquisita è solitamente espressione sia di alterazioni patologiche (diabete, obesità, ipercolesterolemia, sindrome metabolica) sia di abitudini comportamentali errate quali il

*Past president Associazione Medici Diabetologi (AMD) della Regione Lombardia e Coordinatore della Consulta dei Presidenti Regionali Anno II Numero 15 – Marzo 2019


4 3

Diabete

tabagismo e un alto livello di stress. Se l’infiammazione parodontale, stimolata dai batteri parodontopatogeni, non si risolve, progredisce fino a determinare la distruzione del legamento alveolodentale e quindi la perdita del dente e della dentatura. La parodontite è una delle patologie più diffuse del globo. Nelle popolazioni occidentali la prevalenza sopra i 35 anni è del 47%, e supera il 60% negli over 65. I casi gravi, a rischio di perdita dentaria nel breve medio-periodo, sono il 10-15% della popolazione. La parodontite grave e avanzata è considerata la sesta patologia più diffusa al mondo, colpendo in media l’11% della popolazione, pari a 750 milioni di persone al mondo, 7-8 milioni in Italia. Il picco d’incidenza della malattia è fra la terza e la quarta decade di età. Clinicamente può essere silente o presentarsi con sanguinamento gengivale, spontaneo o allo spazzolamento, alitosi, gonfiore gengivale, spostamento e mobilità dentale. La diagnosi è posta tramite un esame che consiste in un sondaggio dei solchi gengivali volto a stabilire la presenza di

Theriaké

distruzione del legamento alveolo-dentale; per completare la valutazione clinica può essere inoltre necessario un esame radiografico accurato. La patologia assume varie forme. Le più diffuse sono la parodontite aggressiva, solitamente prevalente nella popolazione giovanile, quella cronica, più diffusa, e quella necrotizzante caratterizzata da necrosi dei tessuti parodontali superficiali. La parodontite, in particolare se la diagnosi è posta precocemente e comunque prima della distruzione di gran parte del legamento alveolo-dentale, è trattabile in modo efficace ed efficiente nella maggior parte dei pazienti. La terapia consta di varie fasi. In primis è necessario rimuovere placca e tartaro, insegnare al paziente una corretta detersione orale, con particolare attenzione agli spazi interdentali, e promuovere l’adozione di stili di vita sani. È necessaria poi un’accurata rimozione della placca presente sotto il margine gengivale grazie alla procedura di levigatura radicolare o root planing. Solitamente in questa fase, definita terapia causale, non si eseguono approcci chirurgici. Nei casi più gravi si utilizza un antibiotico sistemico somministrato a copertura e in seguito alla dispersione meccanica del biofilm sottogengivale. Il paziente sarà successivamente rivalutato e, se vi sono ancora segni di malattia, si procederà a una fase chirurgica, in cui è possibile in certi casi anche ricostruire e rigenerare i tessuti perduti. Una volta che la patologia è sotto controllo, è necessario avviare il paziente in una fase di monitoraggio e terapia di supporto che, insieme all’igiene orale domiciliare, è il caposaldo della necessaria prevenzione secondaria; infatti la mancanza di follow-up si associa a un elevato il rischio di recidiva. Correlazione tra diabete e parodontopatia Gli studi sull’associazione tra diabete e malattia

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

15


6 5

Diabete

parodontale hanno evidenziato come il diabete si associ a un aumento, sia di prevalenza che di gravità, della gengivite e della parodontite cronica. Il rischio per un soggetto diabetico di ammalarsi di parodontite cronica è stimato da 2 a 3 volte maggiore rispetto a quello di un soggetto non diabetico. L’associazione tra malattia parodontale e diabete è stata oggetto di studio ormai da quasi 100 anni e attualmente si ritiene che la malattia diabetica agisca da cofattore, favorendo la distruzione parodontale provocata dai batteri: le lesioni parodontali si osservano solo in presenza di placca e tartaro e hanno una maggiore gravità nei soggetti diabetici. Parodontopatia e controllo metabolico La parodontite può contribuire a rendere più difficile il controllo metabolico del diabete tipo 2 ed è associata all’insorgenza di complicanze del diabete. Due review del 2013 (Engebretson S 2013; Borgnakke WS 2013) hanno valutato in modo sistematico la relazione esistente tra malattia parodontale e diabete (Engebretson S 2013) e l’efficacia del trattamento parodontale sugli outcome del diabete (Borgnakke WS 2013). La parodontopatia può determinare un’aumentata instabilità glicemica e un maggiore fabbisogno insulinico, venendosi così a creare un circolo vizioso di aggravamento della malattia diabetica. Nel diabete tipo 1 prevale una sintomatologia parodontale di tipo infiammatorio a decorso più acuto rispetto al quadro riscontrabile nell’adulto affetto da diabete di tipo 2, nel quale la patologia gengivale ha un’evoluzione lenta, per lo più senza

16

Theriaké

sintomatologia dolorosa e con tardiva compromissione della stabilità dentale. Un lavoro di revisione della letteratura svolto da Taylor nel 2013 ha valutato e confermato il legame tra malattia parodontale e diabete in particolare per il diabete tipo 2 mentre per il tipo 1 sta emergendo ora l’associazione, e per il diabete gestazionale i dati sono ancora insufficienti. Una revisione sistematica di 56 pubblicazioni, di cui 9 metanalisi, indica che il trattamento della parodontite porta ad una riduzione media dell’HbA1c di 0,36% a 3 mesi (IC 95% 0,19, 0,54) (Borgnakke WS 2013). La terapia parodontale diminuisce il livello sierico di mediatori e markers dell’infiammazione (IL-1, IL6, TNF, PCR, fibrinogeno); la riduzione dell’infiammazione migliora la sensibilità all’insulina con un migliore controllo glicemico. Il diabete e la parodontite sono correlate al punto che è stata teorizzata una relazione a due vie: il soggetto con diabete ha una tendenza a sviluppare parodontite e il soggetto con parodontite ha una tendenza a sviluppare diabete. Screening La parodontite può rimanere a lungo asintomatica. Il sanguinamento gengivale è il primo segno di malattia; questo però è condiviso con la gengivite e, in presenza di gengivite è necessario porre diagnosi differenziale. La diagnosi richiede dunque un atteggiamento proattivo (ricerca della malattia attraverso procedure di screening). La percentuale di casi di parodontite non diagnosticati è molto elevata e la fase preclinica non è benigna: infatti, è frequente che i pazienti presentino già complicanze croniche della malattia al momento in cui viene posta la diagnosi, quali ipermobilità dentale, perdita della funzione masticatoria, recessione del margine gengivale, ipersensibilità al freddo. Queste hanno un grave impatto sulla qualità di vita dell’individuo e sono responsabili di un notevole aggravio dei costi per le cure odontoiatriche. Poiché la storia naturale della parodontite porta alla perdita dei denti ed all’insorgere di disfunzione masticatoria, è facile comprendere le enormi difficoltà che il paziente avrà nell’alimentazione e come queste lo porteranno ad alimentarsi con cibi generalmente ad alto contenuto glucidico come pasta e riso a scapito di verdure o carne più difficilmente masticabili. Pazienti con diabete che hanno visite regolari dall’odontoiatra hanno meno emergenze mediche e meno ricoveri ospedalieri

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


7 8

Diabete (Mosen D. et al JADA, 2012). Collaborazione e ruoli dei professionisti A fronte di quanto sopra risulta evidente che sia necessaria un’azione integrata tra specialisti che ruotano attorno al paziente diabetico per ottenere una prevenzione primaria della parodontite, per effettuare una diagnosi precoce e una cura adeguata. Il diabetologo e la patologia orale Informare il paziente diabetico del maggior rischio, oltre che di altre patologie sistemiche (complicanze cardiovascolari, renali, oculari, ecc.), anche di malattia parodontale. Accertare, nel corso della visita diabetologica, la presenza di sintomi quali sanguinamento delle gengive, alterazione del gusto, gonfiore/tensione gengivale, denti che si muovono e, nel caso di un positivo riscontro, indirizzare il paziente all’odontoiatra per un’approfondita valutazione della situazione orale. Informare il paziente che una buona salute orale può incidere positivamente sul controllo glicemico. Invitare il paziente ad effettuare controlli odontoiatrici annuali, anche in assenza di dolore o altri sintomi. L’odontoiatra e il paziente diabetico Informare il paziente sull’associazione tra malattia parodontale e patologie sistemiche, (cardiovascolari, dismetaboliche, reumatologiche). In occasione della prima visita raccogliere una dettagliata anamnesi medica — personale e familiare — e rilevare il BMI del paziente; in assenza di esami ematochimici recenti (eseguiti durante l’ultimo anno) chiedere al paziente di sottoporsi a tali accertamenti. Nei pazienti che presentano parodontite grave e

Theriaké

familiarità di primo grado per il diabete di tipo 2, è opportuno consigliare una visita/valutazione diabetologica. Per i pazienti diabetici che devono essere sottoposti a cure odontoiatriche, programmare adeguatamente l’orario dell’appuntamento, il tipo di anestesia, instaurare se necessario una profilassi antibiotica sistemica ed evitare, per quanto possibile, lo stress e i traumi.

Ruolo del Farmacista* *a cura della dottoressa Laura Gerli,

titolare della Farmacia di Lurate (Lurate Caccivio, Como). Parodontopatia. Cosa si può fare in farmacia? È opportuno sensibilizzare i pazienti e individuare precocemente la malattia. Per far questo è necessario porre alcune domande al paziente che entra in farmacia: • Ci sono zone della bocca in cui sente dolore? • Le sue gengive tendono a sanguinare quando usa lo spazzolino o mangia cibi duri? • Ha notato lo sviluppo di spazi, prima assenti, tra i denti? • Le sue gengive sembrano gonfie? • Le sembra che le sue gengive si siano ritirate e che ora uno o alcuni denti appaiano più lunghi? • Le sembra che il suo alito sia sempre cattivo? • Ha mai notato la presenza di pus tra i denti e le gengive? • Ha notato modificazioni nel suo modo di

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

17


90

Diabete

chiudere i denti e nei rapporti tra i denti? Ha mai avuto irritazioni in bocca? Presenta un bruciore o un’irritazione in bocca che nelle ultime due settimane non ha dato segni di miglioramento? • Ha notato una certa mobilità dentale? È necessario che il farmacista educhi il paziente a una corretta igiene orale, lo inviti a cessare il fumo qualora presente, promuova la gestione ottimale del diabete (aderenza alla terapia, dieta, esercizio fisico, autocontrollo …), inviti il paziente a una igiene professionale periodica dall’igienista dentale e a controlli frequenti dall’odontoiatra. È necessario anche informare il paziente degli effetti che il diabete non controllato può avere sulla parodontite e degli effetti che la parodontite può avere sul diabete. Bisogna anche aiutare il paziente a gestire l’eventuale presenza di iposcialia/xerostomia e formarlo sui possibili effetti benefici del fluoro. È molto importante raccomandare di evitare cibi acidi che possono erodere lo smalto ed eventualmente assumerli con una cannuccia, di fare attenzione alle mode del tipo bere il succo di limone al mattino e fare attenzione all’eventuale presenza di reflusso acido. Può anche essere utile raccomandare una supplementazione di vitamina C e vitamina D, carenti nei soggetti con parodontite. Relativamente alla prevenzione il Farmacista, oltre alla corretta igiene orale, può consigliare l’utilizzo di dentifrici e collutori delicati senza alcool e SLS (sodium lauryl sulphate), con antimicrobici naturali come gli oli essenziali e con fluoro sapendo che • •

18

Theriaké

l’utilizzo di paste dentifricie fluorate in età adulta riduce significativamente l’incidenza della carie (forza della raccomandazione B grado dell’evidenza I). L’utilizzo di paste dentifricie fluorate comporta una riduzione della formazione di nuove carie del 33,3% rispetto al placebo di controllo (Lu KH, Hanna JD, Peterson JK, 1980; Zacherl WA, 1981; Beiswanger BB, Lehnhoff RW, Mallatt ME, Mau MS, Stookey GK,1989; Griffin SO, Regnier E, Griffin PM, Huntley V, 2007) e che le paste contenenti casein phosphopeptideamorphous e calcium phosphate contribuiscono ai processi di remineralizzazione delle superfici dentali (forza della raccomandazione A grado dell’evidenza IV). L’elevata presenza di calcio e fosfato nel biofilm e nelle lesioni cariose negli stati iniziali impedisce la demineralizzazione dello smalto (Cochrane NJ, Saranathan S, Cai F, Cross KJ, Reynolds EC., 2008) e potenzia gli effetti del fluoro (Llena C, Forner L, Baca P, 2009). Per la cura della parodontopatia è importante consigliare l’utilizzo della clorexidina eventualmente associata a colostro (maggiore difesa e protezione, soprattutto per i fumatori), all’acido ialuronico (dopo interventi per velocizzare la guarigione), ad astringenti tipo Hamamelis virginiana in caso di sanguinamento, o a clorbutanolo per lenire il dolore dopo interventi complessi. Il trattamento deve essere effettuato con collutorio, dentifricio senza SLS e spazzolino molto morbido. È molto importante dare dei consigli anche per la cura dello smalto. Si può suggerire di usare

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


1 2 3 4

Diabete

idrossiapatite e fluoro per rinforzare lo smalto e prevenire le carie eventualmente associata a stronzio in caso di sensibilità dentinale, utilizzando spazzolini morbidi, consigliando il giusto momento per l’igiene orale e i giusti alimenti che possono migliorare/peggiorare la salute dello smalto. In ultimo bisogna ricordarsi che il paziente diabetico spesso può soffrire di iposcialia/xerostomia. Quali consigli dare?

Bere frequentemente piccoli sorsi d’acqua. Assumere sostituti salivari. Masticare chewing gum senza zucchero. Tenere ben umettate le labbra con soluzioni oleose (vitamina E). Sciogliere un cubetto di ghiaccio in bocca. Fare sciacqui ogni 2-3 ore con soluzioni a pH neutro.

• • • • • •

TAKE HOME MESSAGES • Raggiungere la salute parodontale è fondamentale non solo per la salute della bocca, ma di tutto l’organismo. • Nei pazienti diabetici trattare la parodontite migliora il controllo glicemico (riduzione HbA1c di 0,36 in 3 mesi). • La parodontite agisce sia sul controllo che sull’incidenza del diabete nei pazienti non diabetici. • I pazienti diabetici devono sapere che anche la parodontite è una complicanza del diabete. • I pazienti diabetici devono consultare molti

professionisti sanitari che possono portare benefici alla gestione del diabete. Nel cavo orale il diabete può portare ad una maggiore incidenza di carie, lesioni della mucosa, candidosi anche a causa della diminuzione del flusso salivare. La collaborazione tra diabetologo, odontoiatra e farmacista è importantissima nella sensibilizzazione alla complicanza parodontale del paziente diabetico e nella prevenzione.

Bibliografia 1.

Theriaké

Standard italiani per la cura del diabete mellito 2018.

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

19


1 2

Spazio mamma

L’INTEGRAZIONE IN GRAVIDANZA

cosa è davvero necessario alla donna e al suo bambino Giuseppina Amato* La fase di sviluppo prenatale è, nell'ambito della medicina preventiva, il periodo migliore per occuparsi di epigenetica. Con tale termine viene descritto infatti, la capacità di interazione dell'ambiente esterno con la componente genetica del singolo individuo e la successiva modifica dell'espressione genica conseguente a tale interferenza. Ampiamente dimostrata, infatti, è la capacità dell'ambiente esterno di modificare l'espressione fenotipica di geni e DNA. Durante la gestazione alla madre è affidato il compito di creare le condizioni migliori, da ogni punto di vista, chimico, biologico e psichico, affinché lo sviluppo dell'embrione prima e del feto dopo avvenga in maniera regolare e nella migliore delle sue espressioni possibili. Uno degli aspetti su cui la donna in gravidanza può con relativa semplicità intervenire è il suo stato nutrizionale, intendendo con quest'espressione sia le condizioni proprie della madre, come BMI e tutte le condizioni metaboliche, sia la completezza e adeguatezza della sua dieta. È di dominio pubblico l'importanza della cura dell'alimentazione della madre e del suo stile di vita in toto, finanche prima del concepimento stesso. Le modificazioni apportate alle abitudini alimentari devono convergere allo scopo di migliorare le condizioni di salute generali della madre nonché a creare delle riserve di alcuni nutrienti adeguate a sostenere il bambino in formazione. Tendenzialmente, ogni futura madre sente su di sé l'onere di curare se stessa a questo nobile scopo e, pertanto, apporta delle modificazioni al proprio stile di vita con notevole impegno, poiché alto è il senso di responsabilità che percepisce. Ciò nonostante, sovente, le modificazioni dietetiche risultano insufficienti ed è necessario ricorrere all'utilizzo di mezzi esterni per garantire un adeguato apporto di alcuni nutrienti, in realtà veramente pochi, la cui quantità assunta con la

20

Theriaké

Figura 1. Pablo Picasso. Madre e figlio. 1901. Harvard Art Museum, Cambridge.

dieta, seppur varia ed equilibrata, risulta inferiore ai LARN. Il mondo scientifico è concorde, ad oggi, nel ritenere che l'unico nutriente da cui non si può prescindere di effettuare un’integrazione esterna è l'acido folico. Una carenza di questa vitamina può determinare forme di anemia, è risultata responsabile di difetti della corretta chiusura del tubo neurale (tra cui spina bifida, anencefalia e encefalocele) e di altre malformazioni, in particolare alcuni difetti congeniti cardiovascolari, malformazioni delle labbra e del palato (labiopalatoschisi), difetti del tratto urinario e di riduzione degli arti [1]. Inoltre la funzione protettiva sembra estendersi anche ad altre patologie neurologiche, con correlazione negativa tra l'assunzione di acido folico da parte della madre durante la gravidanza e lo sviluppo di disordini mentali nel bambino [2]. Nello specifico esistono studi recenti che ne associano la carenza allo sviluppo di alcune forme

*Farmacista Anno II Numero 15 – Marzo 2019


4 3

Spazio mamma

l'insorgenza di depressione post partum, e lo sviluppo cognitivo a 18 mesi è paragonabile sia che si assuma o meno tale nutriente [5]. L'assunzione di multivitaminici, anche contenenti DHA, comunque, non comporta effetti collaterali, ad eccezione di possibile peggioramento transitorio dell'iperemesi gravidica, quindi, in ogni caso, può essere effettuata con relativa serenità. Nei preparati formulati a tale scopo vengono inseriti, in quantità commisurate ai fabbisogni medi specifici di questa condizione parafisiologica, anche tutte le Tabella 1. Livelli di assunzione raccomandati per le principali vitamine. Per i folati, i livelli di assunzione non includono supplementazioni indicate per vitamine e i minerali classicamente la prevenzione dei difetti del tubo neurale. La vit. A è espressa in μg di retinolo presenti negli integratori di uso comune. equivalenti (1 RE = 1 μg di retinolo = 6 μg di beta-carotene = 12 μg di altri carotenoidi provitaminici). La vit. D è espressa come colecalciferolo (1 μg di Notevole importanza rivestono calcio e colecalciferolo = 40 IU vit. D). La PRI considera sia gli apporti alimentari sia la vitamina D, che, com'è noto, intervengono sintesi endogena nella cute. La vit. E è espressa in alfa-tocoferolo equivalenti (1 α-TE = 1 mg RRR-tocoferolo = 1,5 UI = 2 mg β-tocoferolo = 3 mg γ-tocotrienolo nei processi di formazione e funzionamento = 10 mg γ-tocoferolo). Fonte: SINU (Società Nutrizione Umana). dell'apparato muscolo-scheletrico. Le vitamine del gruppo B, fatto salvo l'acido di autismo [3]. folico, di cui si è discusso in precedenza, trovano L'ontogenesi delle formazioni nervose centrali si impiego come catalizzatori di reazioni biochimiche concentra nel primo trimestre di gestazione, ragion fondamentali per il metabolismo della gestante e per cui, l'integrazione di acido folico dovrebbe della nutrice. I fabbisogni di tali nutrienti durante essere prescritta allorquando la donna è alla ricerca queste fasi sono aumentati rispetto alle condizioni di una gravidanza, soprattutto nei casi in cui basali. provenga da un periodo di assunzione di farmaci Altro minerale la cui integrazione è frequentemente anticoncezionali che potrebbero interferire con consigliata in gravidanza è il magnesio, la cui l'assorbimento dello stesso acido folico causandone funzione nella contrazione muscolare lo rende utile deplezione [4]. nella riduzione del fenomeno dei crampi muscolari, La quantità di acido folico da somministrare per anche quando questi coinvolgono la parete queste indicazioni è di 400 μg/die. Quantitativi muscolare uterina, con comparsa prematura di superiori trovano indicazione di utilizzo in alcune contrazioni con i rischi ad esse connessi durante la forme di anemia, anche in gravidanza, ma non gestazione. Lo stesso minerale è coinvolto migliorano ulteriormente i risultati ottenuti con la nell'osteogenesi, nella formazione dei denti e, dose raccomandata. biochimicamente, agisce come modulatore delle Proprio nei casi di tendenza alle anemie, frequenti attività neuronali, risultando utile per ridurre nelle giovani donne in età fertile, è opportuno stanchezza psicofisica, sbalzi d'umore, irritabilità e proporre prima e dopo il concepimento un insonnia. frequente monitoraggio dei valori ematici e predisporre un'integrazione di ferro nei casi di Bibliografia 1. http://www.salute.gov.it/portale/donna sideropenia. 2. Roza S.J., Van Batendurg-Eddes T., Steegers E.A., Questo potrà essere somministrato come Jaddoe V.W., Mackenbach J.P., Hofman A., Verhulst F.C., Tiemeier H., Maternal folic acid supplement use in early integratore o, in alcuni casi, sotto forma di specialità pregnancy and child behavioural problems: The medicinale vera e propria. Generation R Study. British Journal of Nutrition 2010 Feb; 103(3):445-52. Altro nutriente che negli ultimi anni è stato oggetto 3. Padideh Karimi, Seyyd Mohammad Mousavi, Mojang di svariati studi in questo ambito è il DHA. Karahmadi, Environmental factors influencing the risk Dall'implementazione di questo nutriente ci si of autism Journal of Research in Medical Sciences 2017; 22:27 attendono risultati positivi sia in termini di salute 4. Lipartiti M., Lezioni di nutrizione Tecniche nuove 1998, materna che di sviluppo cognitivo del bambino. pag.67 5. Makrides M., et al, DOMInO Investigative Team. Effect Nello specifico, però, i risultati degli studi non of DHA supplementation during pregnancy on maternal evidenziano risultati netti a favore di tale depression and neurodevelopment of young children: a randomized controlled trial. JAMA 2010;304:1675-83 integrazione. Non sembra infatti ridurre Vitamina (unità di misura) Vit. C (mg) Tiamina (mg) Riboflavina (mg) Niacina (mg) Acido pantotenico (mg) Vit. B6 (mg) Biotina (μg) Folati (μg) Vit.B12 (μg) Vit. A (μg) Vit. D (μg) Vit. E (mg) Vit. K (μg)

Theriaké

Quantità raccomandata in gravidanza 100 1,4 1,7 22 6 1,9 35 600 2,6 700 15 12 140

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

21


1 2

Fitoterapia&Nutrizione

IL MICROBIOTA INTESTINALE probiotici e salute Elisa Drago*

Il microbiota, con la sua complessa interazione con il nostro organismo e le sue risposte, nell’ambito sia della fisiologia e sia della patologia, rappresenta forse una delle più significative new entries degli ultimi decenni nello scenario della nostra salute. Relegato per molti anni con il nome, ormai abbandonato, di “flora batterica intestinale”, il microbiota ha iniziato invece ad assumere un ruolo crescente nel momento in cui la conoscenza delle sue funzioni e delle sue interrelazioni con il nostro organismo ha iniziato a crescere in modo rapido. Oggi sappiamo che un microbiota ricco ed eterogeneo abita in maniera diffusa il nostro organismo, e che la componente intestinale, per quanto prioritaria, non è certamente l’unica. Accanto al microbiota esiste una comunità di

22

Theriaké

cellule fungine (micobiota) e di virus (virobiota) che solo ora si sta iniziando a studiare e di cui si inizia a comprendere il ruolo fisiologico. Il microbiota è l’insieme dei batteri non patogeni, con particolari proprietà fisico-metaboliche, che compongono una specifica comunità microbica. Nell’organismo umano comunità microbiche con queste caratteristiche colonizzano la pelle, la bocca, la vagina, le vie respiratorie e soprattutto il tratto gastrointestinale [1]. Nell’accezione più attuale, il microbiota, unitamente all’ambiente nel quale si trova, costituisce il microbioma: termine che quindi non si riferisce soltanto ai microrganismi, ma comprende anche il loro ambito d’azione. In alcuni casi il termine microbioma è usato in riferimento al genoma collettivo di una comunità o di un consorzio di batteri, per il quale è più indicata la definizione di metagenoma [2]. Il microbiota dell’adulto si è dimostrato più complesso in termini di numerosità *Farmacista

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


4 3

Fitoterapia&Nutrizione

dei batteri, nonché in termini di diversità dei taxa microbici, rispetto a quello dei bambini. La composizione del microbiota torna invece a essere meno variabile passando dall’età adulta all’età geriatrica. Si considera generalmente che alla nascita l’intestino umano sia sterile: durante la vita intrauterina il feto cresce infatti in un ambiente privo di contaminazioni, nel quale l’eventuale presenza di patogeni è stata associata all’insorgenza di infezioni e al rischio di parto pretermine. Dati recenti, tuttavia, suggeriscono che la colonizzazione batterica dell’intestino abbia inizio già prima della nascita, attraverso l’ingestione da parte del feto di batteri contenuti nel liquido amniotico. Infatti, l’analisi di campioni di meconio da bambini nati con parto naturale, ha permesso di osservare come il microbiota intestinale del neonato già rifletta il microbiota vaginale materno. Si ipotizza quindi che inizialmente il microbiota venga trasmesso verticalmente dalla madre al figlio e solo in un secondo tempo si differenzi nei diversi distretti anatomici [3]. Microbiota, salute e malattia L’equilibrio del microbiota intestinale umano è di grande importanza per il mantenimento dello stato di buona salute: l’associazione tra microbiota e ospite è infatti il frutto di numerosi processi avvenuti nel corso dell’evoluzione, che hanno

Theriaké

favorito il generarsi di una condizione di reciproco vantaggio sia per i batteri sia per l’ospite. Quando viene a mancare l’equilibrio tra i diversi elementi che compongono il microbioma intestinale, microbiota, micobiota, virobiota, epitelio si parla di disbiosi, una condizione associata all’insorgenza di alcune patologie (o al peggioramento del relativo quadro clinico), come malattie autoimmuni, allergiche, metaboliche, tumori del colon e infezioni batteriche [4]. Ciò dipende dalla molteplicità delle funzioni nelle quali è coinvolto il microbiota con tutto l’ecosistema con il quale interagisce: dal catabolismo alla conversione di molecole complesse, fino alla sintesi di una vasta gamma di composti che possono influenzare sia il microbiota sia l’ospite fino all’interazione (ed è forse il tema più noto) con le funzioni immunitarie dell’organismo ospite. Alcune funzioni metaboliche del microbiota favoriscono contemporaneamente il metabolismo sia dell’ospite sia del microbiota stesso. Ne è un esempio la fermentazione della fibra alimentare e degli amidi resistenti — cioè dei polisaccaridi che non vengono digeriti dall’ospite — da parte del microbiota intestinale, che porta alla produzione di acidi grassi a corta catena, compreso il butirrato, che è la fonte energetica primaria per gli enterociti del colon e esercita vari effetti sulla fisiologia dell’ospite, antinfiammatori e antitumorali, ad esempio [5]. Per quanto riguarda il sistema immunitario, il microbiota intestinale può

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

23


6 5

Fitoterapia&Nutrizione

influenzarne sia lo sviluppo e sia l’attività modulando le risposte del tessuto epiteliale e le risposte sistemiche. Informazioni al proposito vengono dagli studi condotti in modelli animali prelevati sterilmente dall’utero materno a termine, e mantenuti poi in ambiente totalmente sterile, nei quali si osserva un ridotto sviluppo della risposta immunitaria. Allo stesso modo, l’epitelio della mucosa modifica l’espressione di recettori per il muco e per i nutrienti e si differenzia in risposta alla presenza del microbiota. L’epitelio dell’ospite e il sistema immunitario possono poi alterare la struttura e la funzione del microbiota il quale, a sua volta, può influenzare le risposte antitumorali alle terapie immunitarie. Queste risposte alterate sono state associate con variazioni riguardanti membri specifici del microbiota, anche se il meccanismo d’azione non è ancora stato definito. È stato ipotizzato che un’anomalia della risposta immunitaria alla flora intestinale sia coinvolta anche nella patogenesi delle malattie infiammatorie croniche intestinali (IBD: inflammatory bowel disease), soprattutto nei soggetti geneticamente predisposti [6]. Tra le osservazioni principali alla base di questa ipotesi, ci sono la riduzione della varietà microbica in soggetti con IBD e l’associazione tra la presenza di ceppi specifici (Mycobacterium paratubercolosis e

24

Theriaké

Escherichia coli aderente-invasivo) e la malattia di Crohn. Un aumento della presenza di Escherichia coli (oltre che di streptococchi) è stato identificato in soggetti con sindrome dell’intestino irritabile, nei quali la sintomatologia si accompagna alla riduzione di lattobacilli e bifidobatteri e a uno stato infiammatorio di grado moderato della mucosa del colon [7]. La risposta infiammatoria nel tratto intestinale, infatti, è modulata dai processi immunologici attivi che hanno luogo nel tessuto linfoide associato all’intestino, grazie all’interazione con i batteri commensali [8]. Probiotici e prebiotici I probiotici vengono definiti «microrganismi vivi che, somministrati in quantità adeguate, conferiscono benefici all’ospite». Sono potenzialmente probiotici sia i batteri e sia i lieviti. I principali probiotici comprendono lattobacilli, bifidobatteri, streptococchi, Escherichia coli, Lactococcus lactis e alcuni enterococchi, mentre il lievito più utilizzato è Saccharomyces boulardii [9]. Se sopravvivono all’ambiente acido gastrico e alla bile, i probiotici possono esercitare i loro effetti nell’intestino tenue e nell’intestino crasso. Essi colonizzano temporaneamente l’intestino e agiscono modificando l’ambiente del colon in base alla persistenza dei ceppi ingeriti. I meccanismi con

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


7 8

Fitoterapia&Nutrizione i quali i probiotici esercitano i propri effetti protettivi possono essere diretti, sugli organi e sui tessuti dell’ospite, o indiretti, mediante modulazione del microbiota intestinale, e comprendono: la promozione della funzione di barriera della parete gastrointestinale, la regolazione delle risposte immunitarie locali e sistemiche, tramite la produzione di IgA e citochine antinfiammatorie, l’antagonismo nei confronti di batteri patogeni e infine la sintesi di composti ad attività enzimatica o di metaboliti benefici per l’ospite. Un prebiotico è una sostanza non digeribile per l’organismo umano che influenza positivamente l’ospite stimolando selettivamente la crescita, l’attività o entrambe, di uno o di un numero limitato di specie batteriche già residenti nel colon. Un ingrediente alimentare per essere classificato come prebiotico non deve essere idrolizzato né assorbito nella parte superiore del tratto gastrointestinale, deve fungere da substrato selettivo per uno o per un numero limitato di batteri commensali potenzialmente benefici nel colon, stimolandone la crescita o attivandone il metabolismo, e infine deve essere in grado di alterare la microflora del colon verso una composizione presumibilmente più favorevole sul piano della salute dell’ospite. Di tutte queste caratteristiche, quelle specifiche dei prebiotici sono la selettività e la fermentazione nell’ambiente misto di cultura. I primi composti a essere studiati come prebiotici sono stati quelli in grado di promuovere la crescita di microrganismi producenti acido lattico, come il lattulosio, che veniva utilizzato nelle formule per lattanti allo scopo di aumentare il numero di lattobacilli nell’intestino. Anche i bifidobatteri sono target ideali per i prebiotici, che possono così inibire la crescita dei patogeni, modulare il sistema immunitario, restaurare la flora intestinale in seguito a terapia antibiotica, promuovere la produzione di enzimi digestivi, controllare la diarrea associata agli antibiotici e inibire la

Theriaké

replicazione dei Rotavirus [10]. Sono prebiotici le fibre alimentari come l’arabinossilano, un polisaccaride non amidaceo che si trova in molti cereali, alcuni polisaccaridi presenti in alghe e microalghe e gli oligosaccaridi, anche se solo i fruttani come l’inulina e i galattooligosaccaridi rientrano completamente nei criteri fissati per la classificazione come prebiotici. I benefici dei prebiotici sono mediati dalla capacità di modificare il microbiota intestinale e soprattutto di modulare ceppi specifici in modo selettivo, stimolando quindi, come si ricordava, la crescita di specie benefiche già residenti nel colon. Il termine sinbiotico è stato utilizzato per la prima volta circa vent’anni fa per descrivere una miscela di probiotici e prebiotici in grado di portare benefici all’ospite migliorando la sopravvivenza e la colonizzazione di microrganismi vivi nel tratto gastrointestinale, stimolando selettivamente la crescita e/o attivando il metabolismo di uno o di un numero limitato di batteri benefici, migliorando così il benessere dell’ospite. Combinazioni comuni comprendono bifidobatteri e fruttooligosaccaridi (FOS), Lactobacillus rhamnosus GG (LGG) e inulina e bifidobatteri e lattobacilli con FOS o inulina [11].

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

25


90

Fitoterapia&Nutrizione

Probiotici: integratori, farmaci o alimenti Nonostante la vasta e crescente attività di ricerca, sia di base che clinica, che vede protagonisti i probiotici, la normativa che ne dovrebbe regolare l’informazione e la comunicazione degli effetti di salute al consumatore non è ancora scevra da criticità. Innanzitutto sul piano internazionale europeo. A partire dal 14 dicembre 2012, data che coincide con la fine del periodo di transizione per i claim salutistici che non hanno ancora ottenuto l’approvazione (in base all’articolo 13.3 del regolamento 1924/2006), nella maggior parte degli Stati membri della Unione Europea è stato vietato alle industrie di dichiarare la presenza di probiotici nei diversi prodotti e quindi di informare il consumatore delle caratteristiche dei prodotti stessi. E questo nonostante il nome dei ceppi di probiotici contenuti negli alimenti possa essere comunque segnalato nella lista degli ingredienti. In questo modo, in assenza di un processo di informazione sulle diverse valenze salutistiche dei vari probiotici a livello della popolazione generale, è difficile pensare che il consumatore possa essere in grado di associare il nome del ceppo riportato in etichetta agli effetti funzionali [12]. Alla base di questa situazione è sostanzialmente l’approccio critico con il quale l’Autorità europea per la sicurezza degli alimenti (EFSA) ha valutato fino a oggi le richieste di claim salutistici relativi ai probiotici. Si parla di più di 300 domande di approvazione di claim per questa categoria di nutraceutici rigettate, soprattutto per il riscontro di criticità nella caratterizzazione dei probiotici o

26

Theriaké

nell’allestimento della documentazione a supporto. L’EFSA, nella valutazione dei claims, sostiene tuttavia che, benché “incrementare il numero di un qualsiasi gruppo di batteri” come “aumentare i livelli di microflora benefica” non siano in sé effetti benefici sulla salute, affermazioni come “sostenere una microflora intestinale equilibrata” o “influire beneficamente sulla microflora intestinale” potrebbero essere ritenute benefiche per la salute “in caso di una concomitante diminuzione dei microrganismi potenzialmente patogeni”. L’unico parere positivo di EFSA è stato espresso per colture batteriche impiegate per produrre yogurt, in relazione all’azione idrolitica sul lattosio [14]. Sono stati già approvati comunque circa 40 ceppi di probiotici per l’utilizzo nei mangimi destinati agli animali. Attualmente è in via di preparazione un dossier per il riconoscimento del termine “probiotico” come descrittore generico di una categoria di alimenti, in base all’articolo 1.4 del regolamento 1924/2006. A livello nazionale, invece, sono state definite delle linee guida da parte del Ministero della Salute, secondo le quali i microorganismi per essere impiegati negli alimenti «devono soddisfare i seguenti requisiti: a) essere usati tradizionalmente per integrare la microflora (microbiota) intestinale dell’uomo; b) essere considerati sicuri per l’impiego nell’essere umano». A questo scopo, un utile riferimento è rappresentato dai criteri definiti dall’EFSA sullo status di QPS (presunzione qualificata di sicurezza). In ogni caso, oltre agli eventuali ulteriori parametri che l’EFSA considererà opportuno introdurre, i

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


12 2 1

Fitoterapia&Nutrizione microrganismi usati per la produzione di alimenti non devono essere portatori di antibioticoresistenza acquisita e/o trasmissibile; c) essere attivi a livello intestinale in quantità tale da moltiplicarsi nell’intestino”. In particolare, specie e ceppo batterico devono essere identificati grazie rispettivamente a sequenziamento del DNA codificante per il 16S rRNA/ibridazione degli acidi nucleici e a PFGE (pulse field gel electrophoresis). La quantità minima per ottenere una colonizzazione temporanea dell’intestino da parte del probiotico è di 109 cellule vive per ceppo e per giorno. La quantità di cellule vive deve essere riportata per ogni ceppo e deve essere garantita alle modalità di conservazione evidenziate in etichetta. L’indicazione d’uso permessa è “favorisce l’equilibrio della flora intestinale”, la stessa indicazione d’uso che è consentita per i prebiotici [13]. Per quanto riguarda la sicurezza, va infine sottolineato che la maggior parte dei ceppi microbici utilizzati vivi negli alimenti nell’Unione Europea non richiede studi di sicurezza prima dell’immissione sul mercato, a causa dell’utilizzo tradizionale e ritenuto sicuro negli alimenti fermentati. In ogni caso, soprattutto per quanto riguarda gli integratori alimentari, i probiotici devono essere notificati prima dell’immissione sul mercato nella maggior parte degli Stati membri. Pertanto devono essere definiti l’identità del ceppo (variazioni nella tassonomia di ceppo possono

comportare problemi di carattere regolatorio), la presenza nella lista QPS (qualified presumption of safety) aggiornata annualmente dall’EFSA, e il genoma completo per i probiotici esotici che possono essere classificati come “nuovi”.

Bibliografia: 1. 2. 3.

4. 5. 6.

7. 8.

Marchesi J.R., Adams D.H., Fava F., et al., The gut microbiota and host health: a new clinical frontier. Gut 2016;65:330-9. Young V.B., The role of the microbiome in human health and disease: an introduction for clinicians. BMJ 2017;356:j831. Putignani L, Del Chierico F., Petrucca A., et al., The human gut microbiota: a dynamic interplay with the host from birth to senescence settled during childhood. Pediatr Res 2014;76:2-10. Petersen C., Round J.L., Defining dysbiosis and its influence on host immunity and disease. Cell Microbiol 2014;16:1024-33. Milani C., Ferrario C., Turroni F., et al., The human gut microbiota and its interactive connections to diet. J Hum Nutr Diet 2016;29:539-46. Gallo A., Passaro G., Gasbarrini A., et al., Modulation of microbiota as treatment for intestinal inflammatory disorders: an uptodate. World J Gastroenterol. 2016;22:7186-202. El-Salhy M., Recent developments in the pathophysiology of irritable bowel syndrome. World J. Gastroenterol. 2015;21(25):7621-36. Plaza-Diaz J., Gomez-Llorente C., Fontana L., et al., Modulation of immunity and inflammatory gene expression in the gut, in inflammatory diseases of the gut and in the liver by probiotics. World J Gastroenterol 2014;20:15632-49.

Theriaké

9.

10.

11.

12. 13. 14.

Gallo A., Passaro G., Gasbarrini A., et al., Modulation of microbiota as treatment for intestinal inflammatory disorders: An uptodate. World J. Gastroenterol. 2016;22:7186-202. Collins M.D., Gibson G.R., Probiotics, prebiotics, and synbiotics: approaches for modulating the microbial ecology of the gut. Am J Clin Nutr 1999;69:1052S1057S Gallo A., Passaro G., Gasbarrini A., et al., Modulation of microbiota as treatment for intestinal inflammatory disorders: An uptodate. World J Gastroenterol 2016;22:7186-202. YLFA (Yogurt and Life Fermented milks Association). Probiotics and the EU nutrition & health claims regulation: finding a workable solution 2012. Morelli L., Integratori con probiotici. In Review scientifica sull’integrazione alimentare: stato dell’arte alla luce delle evidenze scientifiche. AIIPA 2016. EFSA. Panel on dietetic products, nutrition and allergies (NDA). Scientific Opinion on the substantiation of health claims related to live yoghurt cultures and improved lactose digestion (ID 1143, 2976) pursuant to Article 13(1) of Regulation (EC) No 1924/2006. EFSA Journal 2010;8:1763. www.efsa.europa.eu/efsajournal.htm

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

27


Spazio MEDTRE

28

Theriaké

Anno II Numero 15 – Marzo 2019



1 2

Apotheca&Storia

LA MEDICINA NELL’OTTOCENTO Giusi Sanci* Il XIX secolo è un periodo caratterizzato da profondi cambiamenti che hanno coinvolto sia il mondo fisico che quello medico e che portarono a modificare in modo radicale l'atteggiamento dell'uomo verso la sofferenza, e fatto maturare convinzioni differenti, rispetto al passato, circa la sopravvivenza. Questo processo è stato descritto come medicalizzazione della vita o nascita dello Stato terapeutico. Tali sviluppi sono comunque spiegabili all'interno di un quadro socioculturale che vede come elementi essenziali la scienza e la tecnologia. La medicina dell'800 fece progressi perché divenne più scientifica. Questo movimento della medicina verso la scienza e la tecnologia ebbe luogo intorno alla metà del secolo e mutò radicalmente il modo di considerare la malattia e la cura medica; infatti, oltre alle capacità diagnostiche dirette sul paziente, i clinici cominciarono ad aggiungere esami al microscopio e l'analisi chimica dei liquidi e dei tessuti corporei, soprattutto sangue ed urina. A partire dal terzo decennio del secolo la ricerca cominciò sempre più ad essere associata alla scienza sperimentale che ebbe in Claude Bernard (1813-1878) un importante rappresentante. Egli fu in grado di contrapporre all'approccio storico- naturalistico dei medici, che continuavano a osservare la malattia in modo soggettivo, le opportunità sperimentali di cui potevano disporre gli scienziati di laboratorio.

Figura 2. Albert Edelfelt, Louis Pasteur nel suo laboratorio. Olio su tela. 1885.

Solamente nel laboratorio era possibile determinare i precisi meccanismi della malattia o il luogo d'azione dei farmaci. All'inizio del secolo Laennec inventa lo stetoscopio che obbliga il medico a pensare alle patologie oltre che con la vista e con il tatto anche con l'udito, precisando la natura e i caratteri dei vari rumori respiratori con conseguente descrizione delle varie patologie polmonari, come la tubercolosi, l'enfisema, l'edema polmonare e la dilatazione dei bronchi. Prima del XIX secolo le tecnologie e gli strumenti erano poco utilizzati nella diagnosi, che consisteva nel dialogo con il paziente ed il contatto fisico non si estendeva in genere al di là della misurazione del polso. Questo metodo antico di praticare la medicina perdurò fino agli inizi dell'800, quando, con l'avvento delle tecnologie diagnostiche, la medicina subì una profonda trasformazione. Lo

Figura 1. Sfigmomanometro di Scipione Riva Rocci.

*Farmacista 30

Theriaké

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


4 3

Apotheca&Storia

Figura 3. Robert Culter Hinckley. The first operation with ether. Olio su tela. 1846.

stetoscopio, l'oftalmoscopio e il termometro clinico, presto seguiti da altri strumenti diagnostici accrebbero la capacità di udire, osservare e misurare i segni della malattia. Un altro strumento importante per monitorare le condizioni del paziente durante l'intervento chirurgico fu lo sfigmomanometro. Infatti quando un chirurgo operava sotto anestesia, spesso non si accorgeva se il paziente stava per morire o meno. Colui che diede un contributo in questo senso fu Scipione Riva Rocci (1863-1937) che nel 1896 mise appunto uno strumento, lo sfigmomanometro, che per le sue piccole dimensioni poteva entrare in sala operatoria e consentire di fatto un monitoraggio delle condizioni del paziente. L'avvento in questo secolo quindi della tecnologia diagnostica conferì alla medicina e alla chirurgia una precisione maggiore con l'opportunità di avere informazioni oggettive rispetto al passato. Il XIX secolo vede anche la nascita della microbiologia e quella che sarebbe stata l’immunologia. Questi sviluppi

Theriaké

introdussero nella medicina tutta una serie di possibilità preventive e terapeutiche. I suoi più importanti rappresentanti sono Louis Pasteur (1822-1895) e Robert Koch (1843-1910). Pasteur dimostrò l'impossibilità della germinazione spontanea dei microbi e il loro ruolo nella

Figura 4. Maschera Junker per l’inalazione di cloroformio.

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

31


6 5

Apotheca&Storia

Figura 5. Robert Koch (1843-1910).

patogenesi delle malattie infettive. Fu capostipite delle principali scoperte microbiologiche e immunologiche, scoprì infatti lo streptococco della febbre puerperale e preparò vaccini contro il carbonchio e la rabbia. Koch studiò il ruolo eziologico dei batteri nelle malattie; scoprì gli agenti del carbonchio (1876), della tubercolosi (1882) e del colera (1884). I suoi postulati, detti appunto "postulati di Koch" vengono utilizzati per determinare il legame che esiste tra una malattia ed il microrganismo che si sospetta ne sia la causa. La chirurgia progredisce notevolmente durante le guerre napoleoniche e furono in particolare due fattori a determinarne il successo ovvero l'introduzione dell’anestesia e la pratica dell'antisepsi. Prima di allora infatti gli interventi rimanevano molto rischiosi sia per l'alta incidenza della mortalità dovuta all'insorgenza delle infezioni sia per il dolore che il paziente era costretto a sopportare e l'unico rimedio a cui il chirurgo ricorreva era la velocità di esecuzione che spesso andava a scapito della precisione. Verso la metà del XIX secolo cominciarono ad essere introdotte le prime forme di anestesia. William Morton (18051880) utilizzò l'etere solforico come anestetico generale nelle estrazioni dentarie. L'introduzione in chirurgia generale dell'etere solforico si deve a John Collins Warren (1778-1856), che praticò il primo intervento chirurgico in anestesia generale nel 1846. Il chirurgo dopo aver fatto inalare i vapori di una bottiglia nella quale era stata inserita

32

Theriaké

una spugna imbevuta di etere, asportò un tumore al collo senza il minimo dolore da parte del paziente. Nel 1847 James Simpson (1811-1870) utilizzò il cloroformio per inalazione (più gradevole dell'etere), negli interventi in campo ostetrico; la regina Vittoria infatti sperimentò il cloroformio in occasione del suo ottavo parto. Sempre nella seconda metà del XIX secolo furono inoltre introdotte le prime forme di anestesia locale, ad esempio frizionando l'etere sulla parte da operare. Le infezioni, che inevitabilmente seguivano il decorso post operatorio, erano dovute al fatto che i chirurghi si limitavano solo ad una sommaria pulizia delle ferite, operavano a mani nude e con strumenti e indumenti sporchi di materiale organico derivante da precedenti interventi. Un contributo fondamentale alla lotta contro le infezioni ospedaliere fu dato dall'ungherese Ignaz Philipp Semmelweis (1818-1865) che introdusse l'obbligo per i medici di lavarsi le mani con una soluzione di cloruro di calce prima di visitare i pazienti. Questa semplice norma igienica fu in grado di diminuire l'incidenza dei decessi, dimostrando la validità della sua teoria. Risale invece al 1866 l'introduzione della sterilizzazione, mediante vapore, del materiale di medicazione da parte del tedesco Ernst Von Bergmann (18371907). Mentre fino ad allora i chirurghi erano soliti operare con gli stessi abiti con cui erano usciti di casa, sul finire del secolo venne introdotto l'uso dei guanti di gomma durante le operazioni e i chirurghi cominciarono ad indossare i camici bianchi. Agli inizi del XIX secolo le ricerche scientifiche condotte dai farmacisti avevano aperto una nuova frontiera per lo sviluppo di metodi terapeutici efficaci; è questo il secolo della nascita della farmacologia come disciplina scientifica. Si comprende definitivamente che l'attività medicamentosa delle droghe vegetali è dovuta ad una o a più principi attivi, e vengono isolati allo stato di purezza molti costituenti presenti nelle piante come ad esempio i glucosidi e gli alcaloidi. Cominciarono ad essere isolati chimicamente i principi attivi dei farmaci in uso: dall'oppio Figura 6. Microscopio Zeiss la morfina, dalla china il adoperato da Robert Koch chinino, dalla noce vomica la

Anno II Numero 15 – Marzo 2019


7 8

Apotheca&Storia

stricnina. Un passo avanti nella farmacologia viene fatto nel 1817 da un farmacista di Hannover, Friedrich Sertuner, che nella sua farmacia isola e identifica la morfina, così chiamata in onore di Morfeo, il dio del sonno. Questa sostanza venne molto utilizzata durante la seconda metà dell'800, per sue proprietà Figura 7. Aspirina Bayer analgesiche, per dare sollievo ai militari vittime della guerra. È probabile che la diffusione della morfina sia dovuta anche all'invenzione dell'ago per iniezione (1853) che consentiva la sua somministrazione in vena e quindi una maggiore velocità dell'effetto analgesico. La scoperta della morfina apre la strada alla ricerca degli altri alcaloidi contenuti nell'oppio: vengono scoperte nel 1817 la narcotina, nel 1833 la codeina, e nel 1848 Georg Franz Merck scopre la papaverina. Una figura di spicco nell'ambito della ricerca sugli alcaloidi fu quella del farmacista Pelletier (1788-1842), il quale nel 1817 isolò l'emetina, un principio attivo contenuto nelle radici dell'ipecacuana e solo un anno dopo, insieme al collega Caventou, estrasse la stricnina dalla fava di Sant'Ignazio e dalla noce vomica. Nel 1820 Pelletier e Caventou isolarono

Figura 8. Sintesi dell’acido acetilsalicilico dall’acido salicilico.

terapeutici. La produzione degli alcaoidi fu determinante per la nascita dell'industria farmaceutica nel XIX secolo, poiché trasformò alcune farmacie in vere e proprie fabbriche. Nella seconda metà dell'Ottocento si verifica anche una rivoluzione farmacologica con lo sviluppo di farmaci di sintesi e dell'industria farmaceutica. La produzione di medicinali creati artificialmente in laboratorio, e quindi non più ricavati da sostanze vegetali o minerali, rappresenta una delle principali innovazioni del XIX secolo in campo farmacologico. La fenacetina, lanciata dalla Bayer nel 1888 è il primo farmaco sintetico clinicamente utilizzabile prodotto dall'industria. Nel 1828 viene isolato l'acido salicilico dalla corteccia di Salix alba, e nel 1875 venne prodotto come salicilato di sodio e utilizzato come antipiretico. Nel 1897 Felix Hoffmann, chimico della ditta Bayer, cercando di migliorare la tollerabilità del farmaco, che dava una forte irritabilità gastrica, combina l'acido salicilico con l'acido acetico ottenendo l'acido acetilsalicilico che diverrà uno dei farmaci più diffusi e utilizzati. In Italia invece l'industria farmaceutica si

sviluppa dalle botteghe degli due alcaloidi della china, la Figura 9. Salix alba var. vitellina L. speziali più intraprendenti come chinina e la cinconina. ad esempio Giovanni Schiapparelli di Torino, Carlo Magendie fu il principale promotore dell'impiego Erba, Ludovico Zambelletti e Roberto Lepetit di terapeutico degli alcaloidi e nel 1821 pubblicò il Milano. Formulaire pour la prèparation et l'emploi de plusieurs nouveaux mèdicamens un’opera costituita Bibliografia: da capitoli dedicati a 10 alcaloidi (stricnina, 1. Caprino L., Il farmaco, 7000 anni di storia, dal rimedio morfina, narcotina, emetina, chinina, cinconina, empirico alle biotecnologie. Armando Editore. 2. Grande Enciclopedia. Istituto Geografico De Agostini, veratrina, solanina, delfinina e genzianina) e ad Novara. altre due sostanze appena scoperte: l'acido 3. Mazza P., Dacarro C., Microbiologia farmaceutica. Società Editrice Farmaceutica, Milano. prussico (1780) e la iodina (1811). In quest'opera 4. Davis A.B., Medicine and its technology. An Magendie ne descrive dettagliatamente le modalità introduction to the history of medical instrumentation. di preparazione, gli effetti osservati e i possibili usi Westport (Conn.), London, Greenwood, 1981.

Theriaké

Anno II Numero 15 – Marzo 2019

33



Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.