La Guida a Sudafrica 2010 - Storie Mondiali

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STORIE MONDIALI

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maggio 1928 a Barcellona la FIFA poté finalmente annunciare che nell’estate del 1930 in Uruguay sarebbe stata asse­ gnata la prima Coppa del Mondo.

sul tema del “mancato guadagno”. A partire dal 1921, quando Jules Rimet succedette al defunto Woodfall, l’incom­ patibilità fra queste due visioni crebbe in modo esponenziale fino al 1927, anno in cui le federazioni britanniche uscirono dalla FIFA.

Mentre la FIFA cercava di darsi una struttura solida, il calcio internazionale prendeva autonomamente una sua forma. Gli incontri internazionali si face­ vano sempre più frequenti e, a partire dal 1908, un torneo internazionale di calcio si disputò all’interno delle Olim­ piadi. A Londra le squadre furono solo cinque; quattro anni più tardi, a Stoc­ colma, ci fu netto incremento della par­ tecipazione con ben undici squadre, ma a vincere furono ancora i britannici che

si confermarono i “maestri” di questo gioco. La prima guerra mondiale inter­ ruppe però tanto il calcio olimpico quan­ to i progetti per un Campionato Mondiale di Calcio. L’Olimpiade di Anversa 1920 rilanciò il dibattito, portato avanti so­ prattutto da Rimet e Delauny sulla Cop­ pa de Mondo, ma sarà soprattutto il grande successo di pubblico del torneo olimpico di calcio di Parigi 1924, che vide trionfare l’Uruguay di Mazali, Nasazzi, Andrade e Cea, a far cadere qualsiasi dubbio sulla necessità di organizzare un Campionato del Mondo aperto anche ai professionisti. Tra il 1926 e il 1927 una commissione della FIFA lavorò per creare un campionato del mondo. Malgrado le pressioni del CIO sui dilettanti e l’uscita di scena dei britannici, questo secondo tentativo fu più felice del primo. Il 18

Il piccolo paese sudamericano fu prefe­ rito non certo casualmente alle numero­ se candidature dei paesi europei. Dopo due vittorie olimpiche l’Uruguay era indi­ scutibilmente la prima potenza calcistica mondiale. Nel 1930 il paese festeggiava il centenario della sua indipendenza. Per celebrarlo fu eretto e ultimato nei primi giorni del mondiale l’imponente stadio Centenario. I paesi europei non ap­ prezzarono la scelta della FIFA, poiché il viaggio si presentava caro, lungo e sfi­ brante. I club professionistici non ave­ vano alcuna intenzione di pagare gli atleti, mentre i dilettanti non potevano certo permettersi di perdere il proprio lavoro. Fu così che il 5 luglio, insieme alla coppa e alla delegazione FIFA, dal transatlantico Conte Verde sbarcarono solamente le delegazioni di Francia, Bel­ gio, Jugoslavia e Romania. Rimet aveva utilizzato tutto il proprio prestigio per costituire la selezione francese, come del resto il grande appassionato di sport, re Carol II, in Romania. Il giorno della sfilata inaugurale, con sole 13 squadre a marciare per le strade di Montevideo, gli organizzatori si sentirono un po’ traditi dal silenzioso boicottaggio del Vecchio Continente.

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L’idea di disputare una Coppa del Mondo di calcio riservato alle selezioni nazionali nacque con la fondazione stessa della FIFA (Fédération Internationale de Foot­ ball Association). Prima della FIFA il de­ positario delle regole era l’International Board, formato esclusivamente da mem­ bri dei paesi britannici i quali non si dimostrarono per nulla interessati a creare istituzioni internazionali per favo­ rire lo sviluppo del calcio. D’altro canto squadre inglesi già sfidavano rappre­ sentative locali in giro per il mondo. Il 21 maggio 1904 a Parigi, proprio per rispondere alle richieste di calcio inter­ nazionale provenienti dal continente europeo, su iniziativa francese, fu fon­ data la FIFA. Le cinque federazioni fon­ datrici, Francia, Svizzera, Danimarca, O­ landa e Belgio elessero come presidente il francese Robert Guérin. Dopo l’appro­ vazione dello statuto, in cui la FIFA si affermò come unico ente avente il diritto di organizzare una Coppa del Mondo, vi entrarono anche le federazioni austriaca, tedesca, ungherese e italiana. I britan­ nici aderirono alla FIFA nel 1905 otte­ nendo persino la presidenza con l’inglese Woolfall; fallì invece il primo tentativo di istituire un torneo internazionale. L’in­ gresso delle federazioni britanniche, che potevano contare su quattro voti (cosa assai poco gradita dalle federazioni continentali), portò ad un aumento della conflittualità in seno alla FIFA soprat­ tutto sulla questione della distinzione fra professionismo e amateurisme (dilettan­ tismo). I britannici sostenevano una di­ visione netta fra dilettanti e profes­ sionisti, al contrario dei continentali che erano molto più inclini al compromesso

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Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net Il torneo fu inaugurato da Lucien Laurent che, nell’incontro in cui la Francia scon­ fisse il Messico 4­1, realizzò il primo gol della storia del Mondiale. La quasi tota­ lità delle squadre adottò il cosiddetto metodo danubiano, che prevedeva i gio­ catori disposti in una sorta di albero di Natale rovesciato, tuttavia il gioco indi­ viduale prevalse sui tatticismi. Dai quat­ tro gironi uscirono come semifinaliste l’Argentina, l’Uruguay, gli Stati Uniti e la Jugoslavia che riuscì a battere un Brasile penalizzato dal boicottaggio dei giocatori del campionato paulista. Entrambe le semifinali finirono con lo stesso risultato di 6­1; Jugoslavia e Stati Uniti non pote­ rono far nulla per impedire il ripetersi della finale olimpica di Amsterdam 1928. Fra Argentina e Uruguay esisteva una rivalità storica e il timore di scontri portò alla riduzione della capienza dello stadio. Malgrado molti tifosi argentini, fra i quali non mancarono esponenti della crimina­ lità organizzata, avessero attraversato il nebbioso Rio de la Plata con coltelli, pistole e mortaretti, la finale si giocò di fronte a un pubblico tutto sommato di­ sciplinato e tranquillo. I padroni di casa, pur senza il formidabile portiere Mazali, due volte oro olimpico cacciato dal ritiro e escluso dai mondiali perché si era in­ contrato con la moglie, si imposero sugli acerrimi rivali per 4­2. Con l’intero sta­ dio che intonava l’inno nazionale Rimet consegnò la prima coppa del mondo (scolpita dall’orafo La Fleur) a capitan Nasazzi. Se in Uruguay fu dichiarata fe­ sta nazionale, in Argentina l’ambasciata uruguagia fu presa a sassate. L’eco del primo Mondiale giunse debole in Europa e fu snobbato dalla stampa. Mitteleu­ ropei e italiani si consolarono organiz­ zando la Coppa Internazionale, quadran­ golare vinto dalla nostra nazionale con­ tro Ungheria, Austria e Cecoslovacchia.

I delegati FIFA, riunitisi a Stoccolma nell’ottobre del 1932 decisero di asse­ gnare all’Italia l’organizzazione della se­ conda edizione dei Mondiali di calcio. Ottenuto grazie al prestigio inter­ nazionale del delegato italiano Giovanni Mauro, il Mondiale italiano rappresentò per il partito fascista una straordinaria occasione per guadagnare consenso tan­ to internamente quanto sul piano inter­ nazionale. La propaganda fu meticolosa e non tralasciò nessun aspetto. Con il Mondiale del 1934 il calcio divenne la principale passione sportiva degli italiani superando definitivamente ciclismo e automobilismo. In quattro anni la FIFA era cresciuta in modo esponenziale; al Mondiale si iscrissero ben 32 squadre e per dimezzarle fu necessario un turno preliminare al quale prese parte anche l’Italia che eliminò la Grecia. Oltre alle nazionali britanniche, la grande assente fu l’Uruguay campione in carica, che re­ plicò in questo modo allo sgarbo euro­ peo di quattro anni prima. Dal conti­ nente americano giunsero solo Brasile, Stati Uniti e Argentina. I finalisti del

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1930 però, dopo esser stati depredati degli atleti migliori, si presentarono con una squadra giovane e rinnovata. L’Italia fra le sue fila schierava ben 5 oriundi: Orsi, Guaita, De Maria, Guarisi e Monti. D’altronde il fascismo favoriva la politica dei rimpatri, poiché contribuivano alla rappresentazione retorica di un’Italia non più ingrata ma capace di riaccogliere i propri figli. Oltre alle 12 nazionali euro­ pee e alle 3 americane completava il quadro l’Egitto che, battendo la Palestina agli spareggi, divenne la prima nazione africana a prendere parte al Campionato del Mondo. Il cammino della squadra italiana, co­ struita attorno al blocco juventino e gui­

data dallo stratega Pozzo, che era solito caricare i suoi giocatori con canzoni patriottiche, fu particolarmente acciden­ tato. Dopo la vittoria per 7­1 con gli Stati Uniti toccò in sorte la solida Spa­ gna. Due tempi supplementari non ba­ starono per decidere la semifinalista e il giorno dopo le squadre dovettero scen­ dere nuovamente in campo. L’incontro fu deciso da Meazza, ma la Spagna, priva del formidabile portiere Zamora, recri­ minò per due reti annullate. La suc­ cessiva partita contro i rivali storici dell’Austria, considerata da tutti gli addetti ai lavori come la vera finale, fu decisa da una controversa realizzazione di Guaita. L’Italia era dunque attesa alla finale con la Cecoslovacchia vittoriosa per 3­1 contro la Germania. Il 10 giugno a Roma davanti a 45.000 spettatori fra cui Rimet e Mussolini, gli italiani riuscirono a rimontare l’iniziale goal di Puc con Orsi e Schiavio e si laurearono campioni del mondo. Gli azzurri sollevarono tanto la Coppa Rimet quanto la ben più vistosa Coppa del Duce, un trofeo messo in palio dal partito fascista per l’occasione. Per tutto il ventennio i fascisti cercarono di trarre sempre il massimo vantaggio simbolico dai suc­ cessi della nazionale che negli anni trenta ebbe ben pochi rivali.


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Tuttavia, mentre Nicolò Carosio urlava “È azzurro il colore della vittoria”, le nubi della seconda guerra mondiale incom­ bevano ormai minacciose. I venti di guerra infatti, influenzarono non poco lo svolgimento della terza edizione del Campionato del Mondo. Accanto all’as­ senza delle squadre britanniche, dell’U­ ruguay e dell’Argentina, che boicottò l’evento francese perché non era stata scelta come sede ospitante, mancarono soprattutto Spagna ed Austria. La

Spagna non inviò la propria squadra perché dilaniata dalla guerra civile. Il forte Wunderteam di Hugo Meisl, invece, aveva cessato di esistere nel 1938 con l’annessione dell’Austria alla Germania, consentendo così alla Svezia di arrivare fino alle semifinali. Comunque ben nove austriaci presero parte al Mondiale francese difendendo i colori di una deludente Germania, che fu eliminata subito dalla Svizzera. Fra i nove non c’era la stella Matthias Sindelar, che rifiutò sempre sia di vestire la maglia tedesca che di aderire al partito nazista. Anche il Mondiale dell’Italia fu assai politicizzato e risentì molto del pesante clima nazionalistico di quegli anni. Mussolini e il partito fascista, dopo aver strumentalizzato abilmente il Mondiale di casa, fecero altrettanto con quello francese. Alla nazionale, che eseguiva il

saluto romano alla vigilia di ogni incontro, il Duce inviò un telegramma in cui avvertiva: “Vincere o morire”. Allo stesso tempo il cammino degli azzurri, soprattutto nelle partite a Marsiglia, risentì del clima ostile e incandescente che proveniva dagli spalti. Nella partita di esordio con la Norvegia gli esuli italiani antifascisti fischiarono e

insultarono pesantemente il saluto romano dei propri beniamini. In un clima da anteguerra le tensioni internazionali erano entrate pesantemente nei campi da calcio e sugli spalti; il Mondiale francese fu l’ultimo grande evento sportivo internazionale prima della seconda guerra mondiale.

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In Francia l’Italia di Pozzo centrò una fantastica doppietta nonostante una rosa ampiamente rinnovata che annoverava solo quattro campioni del mondo (Giovanni Ferrari, Meazza, Monzeglio e il portiere di riserva Masetti) e un solo oriundo (Andreolo). Il momento decisivo del Mondiale per Piola e compagni fu certamente la semifinale vinta per 2 a 1 contro un supponente Brasile. I carioca, pur fiaccati dalla durissima partita con la Cecoslovacchia, erano talmente convinti di vincere che avevano già prenotato il volo per Parigi e avevano rinunciato alla loro stella Leonidas. Sembra che, essendo infortunato, il Diamante Nero avesse chiesto di essere pagato per scendere in campo. Vuoi per precau­ zione, vuoi per l’influenza delle lire italiane, Leonidas non giocò la semifinale e gli azzurri, trascinati da Colaussi e Meazza, conquistarono meritatamente la finale con l’Ungheria. Allo Stade de Colombes le doppiette di Piola e Colaussi misero al tappeto i temibili magiari: l’Italia vinse autorevolmente per 4­2 e si laureò nuovamente Campione del Mondo.

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Le conseguenze della guerra, che aveva fatto saltare le due edizioni degli anni Quaranta, investirono per forza di cose anche l’organizzazione del Mondiale. Con l’Europa ancora sommersa dalle mace­ rie, il Brasile fu l’unico paese ad avan­ zare una candidatura. Pur riammesse dalla FIFA, Germania e Giappone, paesi aggressori durante il secondo conflitto mondiale, non vennero invitate dagli organizzatori. La FIFA guadagnò ulte­ riore credito con l’ingresso delle fede­ razioni britanniche e dell’Unione Sovie­ tica. L’affiliazione dei sovietici però non portò alla partecipazione; il blocco o­ rientale, rinunciando di partecipare al Mondiale in un paese considerato fasci­ sta, fece entrare ufficialmente nei campi da calcio la Guerra Fredda, che con lo scoppio in quei giorni della Guerra di Corea stava diventando “calda”. Delle 16 squadre qualificate solo 13 presero parte alla fase finale; Scozia e Turchia rinun­ ciarono per motivi economici, l’India perché il regolamento FIFA non per­ metteva ai suoi giocatori di giocare scalzi. Per l’Italia fu un torneo da dimenticare. La tragedia di Superga del 4 maggio del 1949 aveva spezzato la vita all’intera squadra del Grande Torino che costituiva l’ossatura della nazionale. Poiché nel paese l’aereo era diventato un tabù, per arrivare in Brasile la già dimezzata nazionale italiana dovette sorbirsi un

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guay, dove i bicampioni del mondo furo­ no accolti con tutti gli onori, si contarono 8 morti per i festeggiamenti. In Brasile, dove il paese era sotto shock, molte persone, vuoi per la tristezza o per i debiti contratti, si tolsero la vita. Da quel funesto giorno, che viene tutt’oggi ricordato con l’espressione O’Mara­ canaço (disastro del Maracanã), il Brasile abbandonò i colori bianco e blu per adottare l’attuale accostamento croma­ tico verde­oro.

lungo e debilitante viaggio in nave. Nonostante il sostegno degli immigrati italiani in Brasile, la Svezia ci eliminò dal girone. I brasiliani abolirono la tradi­ zionale formula a eliminazione diretta per creare un torneo a due fasi. La vincente dei primi gironi si qualificò per il girone finale al quale accedettero Brasile, Spagna, Svezia e Uruguay; quattro squadre che non avevano avuto la guerra in casa propria. I padroni di casa, che erano senza dubbio i favoriti giocarono il 16 luglio allo stadio di Maracanã, il match decisivo contro l’Uruguay. Al Brasile di Ademir, Zizinho e Jair, era sufficiente anche il pareggio per laurearsi campione del mondo; tutto era pronto per le celebrazioni e il paese si sentiva la vittoria in tasca. Al 47° dopo l’1 a 0 di Firaça l’intero Brasile già festeggiava, ma Schiaffino prima e Ghiggia poi ribaltarono il risultato, tra­

sformando quello che doveva essere un tripudio in un lutto collettivo. Al fischio finale dell’arbitro Reader, il Maracanã, così come tutto il popolo brasiliano, piombò in un incredulo silenzio; i ce­ rimonieri, la banda e la bandiera uru­ guagia sparirono inspiegabilmente. Jules Rimet, con un certo imbarazzo, si trovò da solo a premiare i vincitori. In Uru­

Nel 1954 i Mondiali tornarono in Europa e, per celebrare i suoi 50 anni, la FIFA non poteva che assegnarli alla Svizzera; la Confederazione Elvetica inoltre era stata neutrale durante la seconda Guerra Mondiale ed era uno dei pochi paesi non schierato nella Guerra Fredda. L’orga­ nizzazione fu “svizzera” in tutto e per tutto. Furono i primi Mondiali televisivi e l’intero torneo venne organizzato in mo­ do da favorire le squadre più forti e


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massimizzare gli incassi. In un Mondiale che decretò la fine del calcio delle indi­ vidualità e portò all’emergere del gioco di squadra, l’Italia, di Boniperti e del blocco dell’Inter, non riuscì a superare il girone di qualificazione.

I prodromi del cosiddetto Miracolo di Berna vanno ricercati già nei gironi di qualificazione. Le due finaliste erano sta­ te inserite nello stesso gruppo assieme a Turchia e Corea del Sud; nello scontro diretto Herberger mascherò i suoi facen­ do giocare riserve. La Germania fu scon­ fitta malamente per 8 a 3 ma i magiari persero la loro stella Puskás, azzoppato di proposito da un intervento del rude Liebrich. Mentre la Germania accedeva in finale sbarazzandosi facilmente di

Jugoslavia e Austria, l’Ungheria dovette affrontare il meglio del calcio sudame­ ricano. L’Aranycsapat sconfisse con l’i­ dentico risultato di 4­2 tanto il Brasile (con rissa finale) quanto i bicampioni dell’Uruguay, giocando sotto la pioggia una delle più belle partite della storia dei Mondiali. La finale ribaltò tutti i pro­ nostici. Il rientrante Puskás e Czibor portarono il match sul 2­0, ma i tede­ schi, molto più in forma dei rivali, grazie alla rete di Morlock e alla doppietta di Rahn, si laurearono campioni del mondo fermando la serie di 32 risultati utili consecutivi dell’Ungheria. L’ottima orga­ nizzazione di gioco e la difesa arcigna dei vincitori ebbe successo anche perché sostenuta dalla chimica farmaceutica tedesca. L’ombra del doping, supportata dai misteriosi malori dei giocatori dopo il torneo, ha sempre aleggiato pesante­ mente su questo successo tedesco.

Per la seconda volta non venne rispettata la tradizionale alternanza tra Europa e Sudamerica. Il Mondiale restò in Europa e, dopo la Svizzera, toccò nuovamente a un paese neutrale ospi­

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La squadra più forte fu senza alcun dubbio l’Ungheria, l’Aranycsapat (squa­ dra d’oro), formata da campioni come Puskás, Czibor, Hidegkuti, Grosics, Kocsis e costruita attorno al blocco dell’Honvéd, la squadra dell’esercito. La bellezza e l’organizzazione del gioco un­ gherese, molto offensivo e godibile, divennero un simbolo della forza e dell’efficienza dei nuovi regimi socialisti. Questo almeno fino al 1956, quando l’invasione sovietica dell’Ungheria mise la parola fine all’esperienza dell’Arany­ csapat e insinuò dubbi sulla natura del comunismo sovietico a molti suoi soste­ nitori. Malgrado le qualità dei magiari la quinta Coppa Rimet fu sollevata dalla Germania Ovest, unica delle tre Ger­ manie a qualificarsi al Mondiale (il Saar­ land non si era qualificato e la Germania Est non partecipò). Contro tutti i prono­ stici, grazie all’abile guida di Sepp Herberger e a una serie di circostanze favorevoli, per la prima volta dopo il 1945, a Berna poterono risuonare le note dell’inno tedesco.

tare la competizione. È possibile che il Partito Socialdemocratico svedese sia stato favorito elettoralmente dalle ele­ zioni che si svolsero in pieno Mondiale, ma nonostante la tornata elettorale gli svedesi furono abili a non confondere e strumentalizzare i due eventi. Il Mon­ diale fu privo di gigantismi anche se fu ben organizzato dagli scandinavi. Ai Mondiali del 1958, per la prima e unica volta della sua storia, non si qualificò l’Italia. Sotto l’incerta guida di Foni una

squadra azzurra piena di oriundi toccò il fondo subendo una beffarda sconfitta a Belfast contro l’Irlanda del Nord. Parte­ ciparono, per la prima volta contempo­ raneamente, tutte le quattro federazioni britanniche (Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord). L’Inghilterra però, in­ debolita dalla tragedia aerea che aveva colpito il Manchester United, non riuscì ad essere competitiva. Ragioni esterne penalizzarono non poco anche l’Ungheria vicecampione in carica e l’Unione Sovie­


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Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net tica che nel 1956 aveva vinto il torneo olimpico.

La rivolta ungherese del 1956 aveva creato una diaspora; sfruttando gli in­ contri all’estero Puskás e compagni seguirono l’esempio di Kubala ed emi­ grarono, strapagati, nelle squadre pro­ fessionistiche occidentali. Curiosamente i magiari furono eliminati dal torneo dal Galles di Charles il giorno seguente all’impiccagione di Nagy, il leader della rivolta del ‘56. All’Unione Sovietica inve­ ce mancò Ėduard Strel'cov: il Pelé rus­ so, attaccante della Torpedo Mosca e trascinatore della squadra olimpica, fu accusato ingiustamente di stupro e gli venne impedito di partecipare al Mondia­ le. Gli fu fatto pagare il fatto di aver sempre rifiutato le proposte del CSKA Mosca e della Dinamo Mosca, le squadre dell’esercito e dei servizi segreti, nonché il rifiuto di sposare la figlia di un pezzo grosso della nomenclatura sovietica. In questo contesto il Brasile, che schie­ rerà una delle migliori squadre di tutti i tempi facendo emergere il fulgido talen­ to del diciassettenne Pelé, avrà gioco facile a laurearsi campione del mondo. I successi del Brasile non dipesero comun­ que solo da O Rei, Vicente Feola impostò la squadra con un offensivo 4­2­4 che poteva trasformarsi in un 4­3­3 grazie all’adattabilità di Zagallo. I terzini di spinta, Djalma e Nilton Santos, contri­ buivano attivamente alla costruzione dell’azione che passava sempre per i piedi di Didì, il vero regista della squa­ dra. Contando che in attacco giostravano Vavá, Garrincha e Pelé, è comprensibile capire perché il Brasile vinse il suo primo mondiale senza incontrare veri rivali. In finale con gli inarrivabili Carioca, i padroni di casa dei vari Gren, Liedholm, Hamrin, Skoglund si inchinarono per il

Numero 0 • Giugno 2010 risultato di 5­2. A completare i gradini del podio ci fu la Francia che, trascinata da un immenso Fontaine (13 reti in tutto il mondiale), sconfisse per 6 a 3 la Ger­ mania Ovest.

Dopo dodici anni il Mondiale tornò in Sudamerica. A dispetto delle attese e grazie al contributo determinante del Brasile la scelta non cadde sulla favorita Argentina bensì sul lungo e esile Cile. Il 22 maggio 1960, due anni prima del Mondiale, il Cile venne colpito da un terribile terremoto, uno dei più grandi e violenti della storia, che distrusse tutte le infrastrutture del paese. Il Cile, con una grande mobilitazione, riuscì a rialzarsi utilizzando il Mondiale come occasione di rinascita. Fondamentali furono l’entusiasmo e le capacità di Carlos Dittborn, presidente del comitato organizzatore che coniò lo slogan Poiché non abbiamo nulla faremo tutto quello che è in nostro potere per ricostruire. La sua morte, un mese prima dell’inizio delle competizioni, lasciò un vuoto e una situazione economica difficile da sanare. In Europa, in assenza della mondovi­ sione, dopo due mondiali davanti alla TV, le partite furono ascoltate nuovamente alla radio. L’Italia deluse nuovamente: una vittoria, un pareggio e una sconfitta non furono sufficienti per passare il primo turno. Pesò soprattutto la sconfitta 2­0 con i padroni di casa nell’incontro passato alla storia come la battaglia di Santiago. La partita col Cile fu una grande zuffa; dopo pochi minuti il centrocampista Ferrini fu espulso per un fallo di reazione e, nella rissa che seguì, Leonel Sánchez ruppe


Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net con un pugno il setto nasale di Maschio senza essere però sanzionato. L’ala cilena fu nuovamente graziata per un fallo di reazione su David che invece sarà successivamente espulso. Stoica­ mente l’Italia resse fino al 74’, ma poi capitolò due volte. Con la vittoria contro gli azzurri, i cileni si vendicarono anche per alcune infelici descrizioni del paese fatte dai giornalisti italiani e riportate dai giornali cileni.

Dopo trentasei anni i Mondiali fecero visita alla patria del calcio. L’Inghilterra ebbe gioco facile ad ottenere l’orga­ nizzazione dell’evento anche perché alla guida FIFA era salito sir Stanley Rous. Le qualificazioni furono segnate dalla pro­ testa delle squadre africane contro l’as­ senza di un posto riservato a loro. Poiché secondo regolamento la squadra vincente del girone africano avrebbe dovuto affrontare la vincente del girone asiatico, tutte le 15 nazionali della CAF boicottarono le qualificazioni spianando la strada alla Corea del Nord che, vincendo facilmente con l’Australia, si qualificò per la prima volta alla fase finale dei Mondiali. Proprio la Corea del Nord farà emergere in maniera dramma­

tica la crisi calcistica che stava attraver­ sando la nazionale italiana. Guidati da Edmondo Fabbri, gli azzurri erano giunti in Inghilterra con ambizioni importanti ma, dopo essersi vendicati del Cile ed esser stata sconfitti dall’URSS, quella che doveva essere una formalità si trasformò ben presto in un incubo. Contro i coreani Bulgarelli si infortunò dopo pochi minuti, costringendo l’Italia a giocare tutto l’incontro in inferiorità numerica contro una squadra non troppo dotata tecnicamente, ma molto ordinata tatticamente. Quando alla fine del primo tempo con un tiro abbastanza casuale Pak Doo­Ik decise l’incontro, il termine Corea divenne, nel linguaggio italiano, un sinonimo di disfatta. Leggende hanno poi dipinto il giustiziere dell’Italia come un dentista, in realtà Pak, come il resto della squadra, era semplicemente un calciatore, un “dilettante di stato” pagato dall’esercito nordcoreano che serviva con il ruolo di caporal maggiore. Dopo la vittoria Pak ottenne una pro­ mozione e fu nominato eroe nazionale dal presidente Kim Il­Sung. In Italia invece cominciarono i processi, interro­ gazioni parlamentari comprese, e fu presa la scelta di chiudere le frontiere

agli stranieri; una decisione felice poiché la nazionale due anni più tardi si laureerà campione d’Europa.

Il mondiale inglese fu segnato dal dominio delle squadre europee e dalle polemiche arbitrali Nei quarti di finale l’arbitro inglese con due espulsioni spianò la strada ai tedeschi contro l’Uruguay, mentre, nel match contro i padroni di casa, l’arbitro tedesco Kreitlein espulse per proteste l’argentino Rattín, che si agitò per chiedere un interprete. In seno alla FIFA, con le federazioni sudamericane inviperite per il trattamento riservato loro, si rischiò la scissione. Nelle semifinali l’Inghilterra di Charlton ebbe la meglio sul sorpren­ dente Portogallo di Eusébio mentre la Germania Ovest di Beckenbauer sconfis­ se l’Urss di Jašin. In una finale che non poteva non riportare alla mente la Guer­ ra Mondiale l’Inghilterra sconfisse per 4­ 2 la Germania dopo i tempi supple­ mentari grazie alla tripletta di Geoff Hurst e a un gol fantasma dello stesso che l’arbitro svizzero Dienst convalidò su segnalazione del guardalinee azero Bachramov.

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Nel Mondiale di Schnellinger, Bobby Charlton e Masopust il Brasile, allenato da Moreira, ebbe nuovamente la meglio. Pelé, oramai maggiorenne e annunciato come la stella dei Mondiali, giocò solo le prime partite a causa di un infortunio. Senza Pelé fu Garrincha a caricarsi la squadra sulle spalle. In semifinale però l’ala brasiliana, dopo aver matado il Cile con una doppietta, fu squalificata per un fallo di reazione al difensore Rojas. Il Brasile avrebbe quindi dovuto giocare la finale senza il suo campione più in forma. Dopo le pressioni del governo e della federazione brasiliani che, mobilita­ rono il primo ministro Tancredo Neves e il presidente federale João Havelange, una controversa decisone della FIFA permise però all’ala del Botafogo di disputare la finale. In finale il gran goal

del Masopust diede solo l’illusione di un incontro equilibrato poi la classe dei di Vavá, Zito e Amarildo (il sostituto di Pelé) annientò una Cecoslovacchia che in precedenza aveva avuto la meglio sulla Germania Ovest e sulla Jugoslavia. I padroni di casa, talvolta favoriti dagli arbitri, si piazzarono al terzo posto vincendo la finalina con la Jugoslavia.

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In terra messicana il Brasile si riprese dalla pessima prestazione del 1966 e, vincendo il Mondiale per la terza volta, si assicurò a titolo definitivo la Coppa Rimet. Le qualificazioni si rivelarono particolarmente turbolente. Israele volò per la prima e unica volta ai Mondiali in un girone (AFC e OFC) che, compren­ dendo anche la “bianca” Rhodesia, cacciata dalla CAF ma non dalla FIFA, pareva costruito apposta per evitare le controversie geopolitiche del mondo. Anche per El Salvador fu la prima apparizione: durante le qualificazioni le gare giocate contro l’Honduras avevano contribuito enormemente ad acuire pre­ gresse tensioni che sfociarono nella cosiddetta Guerra del Football. Il Mes­ sico, già dotato delle infrastrutture olim­ piche e con il movimento studentesco costretto alla clandestinità, organizzò l’evento senza l’enfasi che aveva accom­ pagnato la vigilia delle Olimpiadi, sfo­ ciata nel sanguinoso massacro di Piazza Tre Culture.

L’Italia, guidata da Ferruccio Valcareggi, si presentò in Messico col titolo europeo in tasca e una squadra assai solida. Albertosi, Burgnich e Facchetti garanti­ vano sicurezza al reparto difensivo, Do­ menghini e De Sisti davano fosforo al centrocampo, Gigi Riva fu l’autentico trascinatore dell’attacco mentre i fanta­ sisti Mazzola e Rivera divisero l’Italia come ai tempi di Coppi e Bartali. Gli

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giare, la stanchissima squadra azzurra approdò in finale senza aver ancora risolto l’annoso dualismo mediatico fra Mazzola e Rivera.

azzurri, dopo aver superato i gironi per la prima volta dal 1938, sconfissero perentoriamente i padroni di casa nei quarti e vinsero il Partido del Siglo (la partita del secolo) in semifinale contro la Germania Ovest. Italia – Germania 4­3, con i suoi 5 goal segnati nei tempi supplementari, entrò nell’immaginario collettivo come una partita epica. Gli stessi calciatori contribuirono ad aumen­ tarne il mito; Beckenbauer giocò con un braccio fasciato, Schnellinger pareggiò l’incontro nei minuti di recupero e Rivera, dopo aver favorito il 3­3, andò personalmente a decidere la sfida spiaz­ zando Sepp Maier con un preciso piatto destro. Con l’Italia in piazza a festeg­

In finale, dopo aver eliminato Perù e Uruguay, ci attendeva il Brasile guidato dal già campione del mondo Zagallo. Nonostante il momentaneo pareggio di Boninsegna i verde­oro, in rete con Pelé, Gérson, Jairzinho e Carlos Alberto, si aggiudicarono il terzo Mondiale in quat­ tro edizioni. La vittoria del Brasile si rivelò funzionale a rafforzare il governo della destra militare, che cercò sempre di identificarsi con la squadra adottando anche la canzone Pra Frente, Brazil (Avanti, Brasile). Poiché le celebrazioni oceaniche della vittoria e la conseguente costruzione ideologica di una comunità immaginata apparvero vincenti, negli anni successivi l’influenza dei militari nel calcio e nello sport in generale aumentò costantemente senza portare però a particolari successi.


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La novità del Mondiale fu lo Zaire, squadra materasso del gruppo 2 e prima nazionale dell’Africa sub­sahariana a qualificarsi ai Mondiali. Poiché rispettava in pieno gli stereotipi che circondavano il calcio africano divenne subito una fonte

inesauribile di storie per i giornalisti. Un’Italia invecchiata di quattro anni non riuscì invece a superare un difficile girone in cui ebbero la meglio la Polonia di Lato e dell’Argentina di Kempes. Nella seconda fase a gruppi Germania e Olanda, le due squadre più forti e inno­ vative tatticamente, finirono in testa nei rispettivi gironi accedendo alla finale, mentre la sorprendente Polonia sconfisse il Brasile nella finalina di consolazione. Il 7 luglio a Monaco di Baviera scesero in campo due squadre diversissime fra loro. L’Olanda di Michels giocava un calcio che sarà poi definito totale, fatto di una fitta rete di passaggi ma anche da improvvise e letali verticalizzazioni. La squadra, costruita attorno al genio di Cruijff, disponeva di giocatori capaci a seconda delle esigenze di interpretare qualsiasi ruolo. La Germania di Schön aveva invece una determinazione feroce: ben protetta dal portiere Sepp Maier e guidata dalla saggia regia di Becken­ bauer, poteva contare sul contributo determinante degli instancabili terzini, Breitner e Vogts, e sulla vena realiz­ zativa di Müller. Fu la saldezza di nervi a fare la differenza. I Tulipani erano pas­ sati in vantaggio al 2’ con un rigore di Neeskens senza far mai toccare il pal­

lone ai tedeschi che, tuttavia, non si scomposero e ribaltarono il risultato col rigore di Breitner e la rete di Müller. L’Olanda, vittima del suo nervosismo, sbatté sul muro difensivo tedesco conce­ dendo il bis mondiale ai padroni di casa.

Risulta molto difficile parlare di sport raccontando di un’edizione in cui con­ temporaneamente alla disputa delle partite venivano torturati e ammazzati gli oppositori del regime militare presie­ duto da Videla, salito al potere nel 1976 con un colpo di stato. Nel silenzio della FIFA la sanguinaria dittatura militare argentina sfruttò l’evento come occa­ sione per darsi una facciata di legalità e mobilitare le masse, sulla scia di quanto già fatto da Brasile e Messico. Tutte le risorse disponibili furono investite nel Mondiale che, data la passione per il calcio che contraddistingue gli argentini, contribuì a rafforzare la propaganda populista del regime. Tuttavia, come ricorda lo storico Sergio Giuntini, il Mondiale evidenziò anche le spaccature all’interno della stessa junta,

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Le Olimpiadi del 1972, il primo grande evento sportivo organizzato nel dopo­ guerra dalla Germania, erano state insanguinate dal terribile sequestro degli atleti israeliani da parte del commando terrorista palestinese di Settembre Nero. A due anni di distanza i tedeschi ebbero la loro rivincita sia sul piano orga­ nizzativo sia su quello sportivo, solle­ vando la nuova Coppa del Mondo scol­ pita dall’italiano Silvio Gazzaniga. Per i tedeschi dell’Ovest l’unica pecca del Mondiale altrimenti impeccabile fu la sconfitta di Amburgo contro i cugini della Germania dell’Est. Per quanto ininfluente al fine del passaggio del turno, la rete di Sparwasser causò notevole imbarazzo politico a Bonn, rappresentando un’im­ portantissima vittoria simbolica per la Repubblica Democratica Tedesca. Le tensioni fra est e ovest caratterizzarono anche lo spareggio UEFA/CONMEBOL fra Unione Sovietica e Cile. Dopo il colpo di stato militare che aveva rovesciato il governo di Allende e instaurato una sanguinosa dittatura militare guidata dal generale Pinochet i sovietici, pur avendo giocato e pareggiato l’andata a Mosca, decisero di boicottare il match di ritorno. Pinochet preparò comunque una sceneg­ giata farsesca; davanti a una folla fe­ stante i cileni scesero in campo e al fischio dell’arbitro segnarono un gol a porta vuota.

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Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net divisa tra i pinochetisti della marina ai videlisti dell’esercito. Alla vigilia dei Mondiali le tensioni sfociarono nell’as­ sassinio del generale Omar Actis, pre­ sidente del comitato organizzatore. Le madri di Plaza de Mayo inviarono un messaggio che esortava i giocatori a non farsi strumentalizzare da un governo interessato solamente a “offrire un’im­ magine distorta dell’Argentina”. Alcuni giocatori, fra cui lo svedese Björn Andersson e il tedesco Paul Breitner, si allinearono con questa visione e boicot­ tarono l’evento. Più controversa fu la posizione di Cruijff che non prese parte al Mondiale non solo per un’alta sen­ sibilità politica, ma anche per dissidi interni allo spogliatoio e in reazione allo shock per una rapina a mano armata subita. L’Italia di Bearzot, costruita attorno al blocco juventino, giocò un bel calcio che portò gli azzurri, sconfitti solo dall’O­ landa, quasi alle soglie della finale e diede ai giocatori quella consapevolezza che quattro anni dopo permetterà loro di laurearsi Campioni del Mondo. In un Mondiale in cui il Brasile di Zico e Dirceu finì imbattuto, trionfarono non senza polemiche gli argentini padroni di casa, guidati da Luis César Menotti. L’allena­ tore dell’Albiceleste il giorno della finale caricò i suoi con la celebre frase: “Non vinciamo per quei figli di puttana, vin­ ciamo per il nostro popolo”. Ironica­ mente, dopo la vittoria fu fotografato con tutta la squadra accanto ai militari. Difficilmente poi si può credere che Menotti fosse completamente all’oscuro della clamorosa combine col Perù (sconfitto 6­0) che garantì l’accesso alla finale in virtù della differenza reti. Sembra che alla marmelada peruana contribuirono, oltre alle origini argentine del portiere Quiroga, anche trentacin­

Numero 0 • Giugno 2010 Ahmad Al­Sabah che minacciò di ritirare la squadra. A quel punto l’arbitro sovie­ tico Stupar, incapace di ristabilire l’or­ dine, finì per piegarsi alle proteste.

quemila tonnellate di grano e 50 milioni di dollari di credito finanziario. Il suc­ cesso argentino venne anche macchiato dal fantasma del doping, quando si seppe che le urine di un giocatore argentino corrispondevano a quella di una donna incinta. In finale l’Argentina, trascinata da Bertoni e Kempes, e difesa da Fillol, Passarella e Tarantini giocò la sua miglior partita e sconfisse per 3­1 l’Olanda di Krol e Neeskens.

Il processo di commercializzazione dello sport proseguì anche nella Spagna del dopo­Franco. Il potere degli sponsor era diventato talmente forte che si sussurrò che le due principali marche di abbigliamento si fossero organizzate per essere presenti entrambe in finale. La coincidenza del Mundial con guerra delle Falkland/Malvinas fra Inghilterra e Ar­ gentina portò a qualche rissa fra i tifosi e a un’impennata di nazionalismo. Inin­ fluente per gli organizzatori fu invece lo sconclusionato tentativo di colpo di stato del colonnello Tejero del 1981. Inter­ namente i maggiori problemi arrivarono

piuttosto dall’ETA che, alla vigilia del Mondiale, uccise un agente della guardia civil nei pressi di San Sebastián. Folkloristico e grottesco fu il primo mondiale del Kuwait. Contro la Francia, sul 3­1 per i transalpini, la rete di Giresse scatenò un putiferio. Gli arabi, distratti da un fischio proveniente dagli spalti, protestarono veementemente chiedendo l’annullamento del gol. Scese in campo persino lo sceicco Fahid Al­

L’Italia, ancora frastornata dallo scan­ dalo delle scommesse nonostante l’otti­ ma prestazione nel Mondiale del 1978, era giunta al Mondiale fra le polemiche. A Bearzot, che aveva puntato nuova­ mente sul blocco juventino, compreso quel Paolo Rossi che veniva da due anni di inattività per squalifica, non veniva perdonata la mancata convocazione di Beccalossi e Pruzzo. Gli azzurri, dopo non essere riusciti a superare Polonia e Perù, passarono il turno pareggiando nuovamente con il sorprendente Came­ run di N’Kono e Milla. Secondo un’in­ chiesta di Chiodi e Beha, gli sponsor e la FIGC, per tramite della Camorra, ma all’insaputa dei giocatori, comprarono il pareggio e il passaggio del turno con 30 milioni di lire ad alcuni giocatori e all’allenatore. Il simile patto di non belligeranza di Gijón, una combine fra


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Nel 1974 la Colombia fu selezionata dal­ la FIFA per ospitare i Mondiali del 1986, ma quattro anni prima di quella data, per gravi problemi finanziari, il paese sudamericano dovette abbandonare l’im­ presa. A quel punto si fecero avanti Canada, Usa e Messico; quest’ultimo fu scelto all’unanimità perché era già dota­ to delle infrastrutture necessarie. Otto mesi prima del mondiale però il paese centroamericano fu colpito da un ter­ ribile terremoto che, pur lasciando mira­ colosamente intatte la gran parte delle infrastrutture del Mondiale, provocò diecimila morti e decine di migliaia di

soprattutto di un triste canto del cigno. Il tecnico friulano convocò per ricono­ scenza persino l’ormai spento Paolo Rossi. Sarà “Spillo” Altobelli a trascinare i suoi almeno fino agli ottavi poi, di fron­ te alla Francia di Platini, gli azzurri non potranno far altro se non issare la bandiera bianca. Saranno altri i prota­ gonisti dei secondi Mondiali in altura, a partire proprio da Platini che, assieme a Giresse e Tigana, trascinò i “galletti” al terzo posto. La Germania Ovest, allenata dal Kaiser Beckenbauer, si confermò corazzata da grandi appuntamenti e giunse nuovamente in finale grazie al contributo di giocatori come Brehme, Matthaüs, Völler e Rummenigge. sfollati. Gli studenti, da sempre la com­ ponente più attiva della società civile messicana, protestarono nelle città più colpite dal sisma al grido di: “Meno goal, più fagioli”, ma vennero completamente ignorati da Televisa, la rete privata in­ torno alla quale fu organizzato, in modo verticistico, tutto il Mondiale messicano.

Nonostante la guerra fra Iran e Iraq, la nazionale irachena ottenne la sua prima e unica qualificazione ai Mondiali, gio­ cando tutte le partite casalinghe in campo neutro tra il Kuwait, l’Arabia Saudita e l’India. Gli azzurri ritornarono in Messico da campioni del mondo, ma per Bearzot, Scirea e compagni si trattò

Il vero simbolo del Mondiale però fu indiscutibilmente Diego Armando Mara­ dona. El Pibe de Oro aveva raggiunto ormai la maturità per trascinare la sua Argentina al secondo trionfo mondiale e così fece. Nei quarti l’Argentina, dopo aver eliminato l’Uruguay, giocò contro l’Inghilterra di Lineker una partita che Maradona farà passare alla storia. Dopo la guerra delle Falkland/Malvinas fra i due paesi esisteva un’accesa rivalità che Maradona decise di infiammare a modo suo. Il primo gol lo realizzò con la mano beffando Shilton e la terna arbitrale poi, quasi per farsi perdonare, realizzò il gol più bello della storia dei Mondiali. Prese palla nella propria metà campo, percorse 60 metri con la palla al piede e, dopo aver superato avversari e portiere, infilò il pallone in rete scatenando l’ovazione dei centoquindicimila spettatori dell’Az­ teca. Infine, superato in semifinale il Belgio di Scifo, sempre grazie a una doppietta di Maradona, l’Argentina giun­ se alla finale contro la Germania Ovest dove el Pibe de Oro si accontentò di lanciare Burruchaga per il 3 a 2 che laureò l’Argentina campione del mondo.

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Austria e Germania, spezzerà i sogni di gloria dell’Algeria. Comunque sia andata l’Italia, inserita nel “girone della morte” con le favoritissime Argentina e Brasile, da brutto anatroccolo qual era si trasformò in un cigno. Difesi da Zoff, Gentile, Scirea, Collovati, Cabrini e Oriali, Tardelli, Conti e Antonioni erano liberi di inventare per le punte Graziani e Rossi. Se contro l’Argentina bastarono Tardelli e Cabrini, contro il Brasile di Zico e Falcao servì una grandissima prova di squadra. Zoff parò tutto il parabile, Conti fece il brasiliano e Paolo Rossi trovò finalmente la via del goal. Dopo aver “fatto piangere il Brasile”, l’Italia e Rossi non si fermarono più e sconfissero 2 a 0 la Polonia di Boniek. In finale, con Antognoni sostituito da Bergomi e nonostante un rigore fallito da Cabrini, l’Italia dominò ed ebbe la meglio per 3 a 1 sulla Germania Ovest. Per tutte le piazze di un’Italia in festa risuonava dolce la voce di Nando Martellini “Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo”.

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determinate indomabili. L’Italia preparò le Notti Magiche del Mondiale con grande anticipo e professionalità, tuttavia l’obiettivo del Comitato organizzatore (presieduto da Montezemolo) di “realizzare un sogno” dovette fare i conti con le vittime nei cantieri, le opere incompiute e gli scan­ dali sugli appalti che andarono a con­ fluire nelle inchieste di Tangentopoli. Le qualificazioni mondiali erano cominciate nell’agosto del 1988 con la Germania Est da un lato e la Germania Ovest dall’al­ tro. Quando però l’8 luglio 1990 Lothar Matthäus sollevò la Coppa del Mondo, esisteva di fatto una sola Germania riu­ nificata politicamente. Il muro di Berlino era caduto il 9 novembre 1989, quando mancava ancora una partita da giocare per concludere le qualificazioni. Il 15 novembre 1989 la Germania Ovest scon­ fisse il Galles per 3­1, mentre la Ger­ mania Est perse con l’Austria per 3­0. Oltre ai problemi geopolitici, particolari preoccupazione destavano gli hooligans già protagonisti in negativo del Mondiale messicano. Per fronteggiare questo pro­ blema l’Inghilterra fu confinata, almeno nella fase a gironi, in Sardegna. Il Camerun, che divenne la prima squadra africana a raggiungere i quarti di finale, fu la più grande sorpresa del Mondiale italiani. A 38 anni Roger Milla, che si era ritirato dal calcio internazionale, dopo essere stato riconvocato personalmente presidente del Camerun Paul Biya, giocò il suo miglior Mondiale, segnò 4 reti e fu

nei

successi

dei

Leoni

Al San Paolo di Napoli, in uno stadio sentimentalmente diviso, l’Argentina di Diego Armando Maradona spezzò in semifinale i sogni dei padroni di casa. Gli azzurri di Azeglio Vicini avevano entu­ siasmato grazie all’exploit del meno at­ teso tra gli attaccanti, Salvatore Schil­ laci. Totò, che dopo le reti contro l’Au­ stria e gli Stati Uniti era stato decisivo contro l’Uruguay agli ottavi e l’Irlanda ai quarti, timbrò nuovamente il cartellino al San Paolo contro i campioni in carica. Il pareggio di Caniggia però rese inevi­ tabile i calci di rigore. Alla lotteria degli undici metri la fortuna non ci arrise; fatali furono gli errori di Donadoni e Se­ rena. Gli argentini conquistarono la finale di Roma e gli azzurri si accon­ tentarono del terzo posto ottenuto con una vittoria nella finalina di Bari con goal, inutile dirlo, di Totò Schillaci. Con lo stesso identico risultato si con­ cluse anche l’altra semifinale che si giocò a Torino. Dopo l’1 a 1 firmato Brehme e Lineker i tedeschi si dimostrarono più freddi degli inglesi e centrarono la loro terza finale consecutiva. All’Olimpico il tifo degli amareggiati tifosi italiani si riversò a favore dei tedeschi, ma forse sarebbe più corretto dire che andò con­ tro Maradona. La finale, tutt’altro che spettacolare, fu decisa in favore dei tedeschi da un rigore, l’ennesimo, che Brehme insaccò alle spalle di Goycoe­ chea. Con il terzo Mondiale nel palmares la Germania di Hassler, Matthaus e


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Numero 0 • Giugno 2010 giocata all’ora di pranzo nella canicola di Pasadena, fu un brutto spettacolo. En­ trambe le squadre si temevano e la par­ tita fu decisa ai calci di rigore. Dopo gli errori iniziali dei difensori (Baresi e Marcio Santos), i rigori non realizzati da Massaro e Roberto Baggio spensero il “sogno americano” degli italiani e lau­ rearono il Brasile Campione del Mondo.

Klismann aveva un motivo in più per guardare con ottimismo al processo di riunificazione.

Ancor più che nel 1990 i Mondiali statu­ nitensi furono influenzati dai rivolgimenti geopolitici derivati dal disgregamento

Baresi

Albertini Evani

Massaro

R. Baggio dell’Unione Sovietica. Poiché le qualifi­ cazioni del Mondiale erano già comin­ ciate, la FIFA accettò una sola squadra fra le ex­repubbliche sovietiche. Malgra­ do le proteste georgiane e soprattutto ucraine venne scelta la Russia. Dalla fase a gironi non emersero particolari sorprese. L’Italia di Arrigo Sacchi, sem­ pre fedele al suo 4­4­2 e costruita attor­ no al blocco del Milan, aveva in Roberto Baggio la sua punta di diamante. L’inizio non fu certo dei migliori: sconfitta con l’Irlanda, sofferta e polemica vittoria con la Norvegia e pareggio con il Messico. Si dovette attendere l’esplosione del genio di Baggio per iniziare ad esultare: dop­ pietta alla rivelazione Nigeria e gol alla Spagna, contro cui però fu decisiva la realizzazione dell’altro Baggio, Dino. In semifinale una nuova doppietta alla sor­ prendente Bulgaria di Stoičkov e Balăkov spalancò agli azzurri le porte della finale sfuggita quattro anni prima. Dall’altra parte del tabellone un Brasile “europeo”, guidato in panchina da Pa­

RIGORI 0 1 2 2 2

Marcio Santos Romário Branco Dunga

0 1 2 3

rreira e in campo da Dunga, giunse in finale trascinato dalle reti di Bebeto e Romario. I verde­oro superarono prima i padroni di casa, poi, in un avvincente in­ contro, l’Olanda e infine la Svezia di Brolin e Kennet Andersson. La finale,

Può l’organizzazione di un Mondiale rafforzare l’identità di una nazione? Probabilmente sì, soprattutto se poi il Mondiale lo si vince pure. Seguendo questa logica lo stadio della finale fu battezzato Stade de France, per essere la “casa” di tutti i francesi e non il simbolo di un solo club. Il Sudafrica, riammesso dalla FIFA con la fine dell’apartheid, esordì al Mondiale, ma Francia e Danimarca si riveleranno un ostacolo insuperabile per gli inesperti

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Quello americano è stato definito il Mondiale degli yankee e il Mondiale degli sponsor, ma dal 1987 in poi il Mondiale divenne sempre più delle televisioni. Sommata alla passione globale per il calcio, la potente influenza svolta dal video durante i Mondiali americani fu in grado di interrompere la guerra civile in Ruanda (bisognava tifare per la Nigeria) e in Bangladesh diede il via a mani­ festazioni di protesta contro la squalifica per doping di Maradona. Questi ed altri furono gli effetti del calcio televisivo e globalizzato, in cui le partite per aumen­ tare gli incassi televisivi vennero giocate a orari improponibili. Il Mondiale, giocato negli Stato Uniti, ebbe come veri prota­ gonisti i tifosi: telespettatori sparsi in tutto il mondo. Fra le degenerazioni del calcio va inserita anche la morte del difensore colombiano Andréas el Cabal­ lero Escobar che nella notte del 2 luglio venne freddato da dodici colpi di mitra­ glietta all’uscita da un ristorante di Medellín. La sua condanna a morte era stata decretata per la sfortunata auto­ rete messa a segno durante la gara persa per 2­1 contro gli Stati Uniti. Tutt’oggi non è chiaro se il movente sia stato la follia calcistica, come affer­ marono le indagini, oppure un rego­ lamento di conti legato all’ambiente delle scommesse clandestine e dello spaccio di droga.


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Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net Bafana Bafana. Nei gironi di qualifi­ cazione l’Iran sconfisse per 2­1 gli acerrimi rivali statunitensi in un incontro storico. Le piazze di Teheran si riem­ pirono di una folla festante che scandiva slogan anti­americani. Quello che però non fu fatto vedere né dalla regia inter­ nazionale né tantomeno dalla censura iraniana furono le immagini dei dis­ sidenti che protestavano contro Katami o il grande palloncino arancione con il volto di Rajavi (leader dell’opposizione) che cadde in mezzo al campo pochi minuti prima dell’inizio dell’incontro. Alla guida dell’Italia non c’era più Sacchi, ma Cesare Maldini che, pur strutturando la squadra attorno al cannoniere Chri­ stian Vieri, non riuscì a gestire al meglio il dualismo fra Baggio e Del Piero. A quattro anni di distanza saranno nuova­ mente i rigori ad arrestare la corsa degli azzurri. Nei quarti di finale l’errore di Luigi Di Biagio spianerà la strada ai futuri campioni del mondo. La grande sorpresa del Mondiale fu senza dubbio la Croazia di Šuker che concluse il torneo al terzo posto. Quest’importante succes­ so sportivo, oltre a causare una nuova ventata di nazionalismo interno, permise di rafforzare l’immagine e la conoscenza della neonata nazione balcanica all’e­ stero. Dopo aver dominato il Mondiale, Francia e Brasile giunsero meritatamente in finale. Alla guida di un favoritissimo Brasile era tornato Zagallo, già campione del mondo nel 1958 e nel 1962 come giocatore e nel 1970 come allenatore. I verde­oro potevano contare, oltre che sulla formidabile coppia di terzini Cafu–Roberto Carlos, anche sull’attesis­ simo fenomeno Ronaldo, già autore di 4 reti e campione del mondo a USA 1994 senza mai però scendere in campo. Il

Numero 0 • Giugno 2010 gioco dei Bleus di Jacquet, protetto da una solida linea difensiva formata da Thuram, Blanc, Desailly e Lizarazu, ruotava invece sul talento e sull’estro del fantasista franco­algerino Zinedine Zidane. Fu proprio Zidane a vincere, firmando una doppietta, la sfida a di­ stanza con un Ronaldo costretto a giocare dagli sponsor, nonostante una crisi epilettica da stress ne sconsigliasse l’utilizzo. La vittoria della Francia che sconfisse il Brasile per 3­0 si trasformò anche in un fenomeno sociale. Fu la vittoria dei Blanc, Black, Beur (bianchi, neri, arabi). La vincente nazionale fu accostata al modello multietnico e integrazionista della società francese. Questo parallelismo sarà riproposto


Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net almeno fino al 2005, quando la rivolta delle banlieue metterà in crisi il concetto stesso di multiculturalismo francese.

La partita d’apertura fu caratterizzata dall’inattesa vittoria per 1­0 (Diop) del Senegal sulla Francia campione uscente. In tutto il continente africano l’avve­ nimento fu esaltato in senso post coloniale: per la prima volta infatti ai Mondiali un’ex­colonia africana sconfig­ geva la nazione colonizzatrice. L’Italia, dopo l’esaltante europeo del 2000, ripartì da Trapattoni. La rinuncia a Baggio portò i media a focalizzarsi su un nuovo dualismo, quello fra Totti e Del Piero. Passati a fatica i gironi grazie a un gol di Del Piero contro il Messico, la

La corsa dei coreani sarà interrotta in semifinale da una Germania che, tra­ scinata da Kahn e Ballack, raggiunse nuovamente la finale dopo un breve

periodo di appannamento internazionale. Sorprese ed entusiasmò anche il terzo posto della Turchia. L’allenatore Güneş riuscì a tirare fuori il massimo dai suoi campioni. Il portiere Rüştü, i fantasisti Baştürk e Hasan Şaş e il bomber Ilhan Mansiz giocarono in quest’occasione il loro miglior calcio. Nulla però poté fermare i brasiliani che, trascinati dal

tridente Ronaldinho–Rivaldo–Rondaldo in grado di realizzare complessivamente 15 reti, si laurearono pentacampeões. In finale, la terza consecutiva per Cafu, Ronaldo si prese una personale rivincita segnando una doppietta. In un Mondiale che vide la disfatta delle cosiddette “grandi” si confermarono solo Germania e Brasile.

Tornato in Europa il Mondiale segnò la riscossa delle nazionali europee che monopolizzarono le semifinali. Il primo vero importante evento organizzato dalla Germania riunificata si rivelò un successo tanto organizzativo quanto economico e dimostrò che un grande evento sportivo, se ben gestito, può portare crescita economica nel paese. Ai nastri di partenza ci fu anche la nazionale di uno stato che non esisteva più, la Serbia­Montenegro. Dal 3 giugno 2006 infatti, con la vittoria nel refe­ rendum, il Montenegro era diventato un paese indipendente. Il mondiale della Serbia­Montenegro, forse per una crisi di identità, fu una delusione: tre sconfitte, due gol segnati e dieci subiti. Mancarono

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All’alba del nuovo millennio il Mondiale usciva finalmente dai tradizionali confini (l’Europa e l’America) in cui si era rin­ chiuso, sbarcando per la prima volta in Asia. Anche la co­organizzazione rappre­ sentò una novità. I rapporti tra Giappone e Repubblica di Corea erano tuttavia, per ragioni storiche, pessimi. Il Giappone nel 1910 annetté la Corea e la governò con metodi autoritari e violenti fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il Mon­ diale rappresentò quindi anche un’occasione per sistematizzare le loro relazioni diplomatiche. In questo senso furono fatti piccoli ma importanti passi: Tōkyō eliminò la richiesta di visto per i visitatori coreani di breve periodo, men­ tre Seul tolse il divieto di trasmettere musica giapponese. Tuttavia ciascun paese organizzò l’evento come se si trattasse di due tornei separati e nel nominare il Mondiale poneva il proprio nome davanti all’altro.

deludente Italia subì agli ottavi un’incredibile sconfitta contro la Corea del Sud che nemmeno l’acqua santa del Trap poté evitare. I coreani, organizzati tatticamente in modo impeccabile da una “vecchia volpe” come Guus Hiddink, oltre al contributo realizzativo di Hang Jung­Hwan e Park Ji­Sung, approfit­ tarono di un arbitraggio favorevole. In particolare l’ecuadoregno Byron Moreno e l’egiziano Al­Ghandour, con le loro decisioni, favorirono i coreani negli incontri contro Italia e Spagna. Chung Mong­Yoon, azionista di maggioranza della Hyundai, presidente federale e vicepresidente della FIFA fu individuato dalle teorie complottistiche come l’eminenza grigia dei successi coreani.

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Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net a sorpresa le vecchie potenze del calcio africano. Né la Nigeria, né il Camerun e neppure il Marocco riuscirono a qualificarsi a tutto vantaggio delle novità Angola, Togo, Costa d’Avorio e Ghana. Solamente le Stelle Nere di Essien e Appiah riusciranno però a raggiungere gli ottavi, dove saranno eliminati dal Brasile. Nei quarti di finale i campioni in carica, nonostante un potenziale offen­ sivo stellare (Kaká, Ronaldinho, Ronaldo, Adriano), caddero per mano della Francia di Henry e Zidane. Anche l’Argentina, l’altra non europea ad accedere ai quarti, fu eliminata per mano dei padroni di casa. L’intera Germania che trascinata da Frings, Schweinsteiger, Ballack e Klose e sospinta dai suoi tifosi aveva eliminato Svezia e Argentina si illuse di poter emulare i mondiali del 1974. In semifinale però, dopo un incontro di un’intensità unica, Grosso e Del Piero spensero i sogni di gloria dei tedeschi. L’Italia, affidata, dopo una serie di cocenti delusioni, a Marcello Lippi e formata da un gruppo di giocatori che all’epoca dell’under 21 non aveva avuto rivali, si laureò per la quarta volta campione del mondo risultando più forte di qualsiasi polemica. Lo scandalo di

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Calciopoli infatti, accompagnò gli azzurri per tutta la loro marcia trionfale ma Lippi, chiamato anch’egli in causa dai media in quanto il figlio era fra gli indagati, fu abilissimo a individuare nei media quel nemico esterno in grado di compattare lo spogliatoio.

In una squadra senza primedonne risultarono decisivi la difesa, che guidata da Buffon e Cannavaro subì appena 2 reti in 7 gare, e quei gregari come Grosso e Materazzi che si trasformarono in autentici trascinatori. In finale, contro una Francia che, dopo aver eliminato Spagna, Brasile e Portogallo, era indiscutibilmente favorita, gli azzurri interpretarono l’incontro all’italiana: pressing, difesa e contropiede. Nei tempi regolamentari Materazzi rispose con un imperioso colpo di testa al rigore di Zidane. Ai supplementari Zizou non resse alla pressione e, frustrato dalla muraglia eretta dagli azzurri, fu espulso nell’ultima partita della sua carriera per una testata allo sterno di Materazzi. Dopo tante sfortune la lotteria dei rigori sorrise all’Italia. A fronte dell’errore di Trezeguet, gli italiani Pirlo, Materazzi, De Rossi, Del Piero e Grosso furono impeccabili.

Pirlo

Materazzi De Rossi

Del Piero Grosso

RIGORI 1

Wiltord

1

Abidal

2

2

Trezeguet

4

Sagnol

3 5

2 3


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Ma che le donne abbiano avuto grande importanza nella storia dei mondiali di calcio è ormai cosa certa. In origine ci furono le donnine delle case chiuse degli anni Trenta. Nel 1934 Pozzo, CT italiano, porta i suoi azzurri in clausura prima a Stresa, poi a Roveta sulle colline fio­ rentine. Oltre che allenarsi, i giocatori devono cantare inni patriottici, lodi alla Madonna, raccogliere fiori e andare a portarli a qualche santuario. Giuseppe Meazza, che ha 24 anni, ma anche le idee chiare ed è uno dei pochissimi che può rivolgersi al CT, un giorno gli dice che la squadra sta soffrendo molto quel clima di caserma e chiede una piccola “scappatella”. Il CT annuisce e permette lo svago, a patto che tutto si limiti al puro e semplice “atto naturale” senza troppi voli fantasiosi. Morale: un mese dopo l’Italia è campione del mondo. Il copione si ripete quattro anni dopo, in Francia. Dopo la solita preparazione al limite del monastico, i campioni in carica superano l’ottavo di finale contro i mo­ desti norvegesi per il rotto della cuffia e segnando il gol del 2­1 solo nei sup­ plementari. Alla fine dei tempi regola­ mentari gli scandinavi hanno sfiorato la clamorosa vittoria colpendo un palo. Gli italiani sono parsi tutt’altro che brillanti, tanto che i brasiliani, che assistono alla gara e che sanno che potrebbero incon­ trarci in semifinale, capiscono che a Marsiglia, eventualmente, non gli oppor­ remmo grossa resistenza. Meazza ha 28 anni, ma è uno che la sa sempre più lunga: va da Pozzo e gli dice che tutta la squadra si sente il “sangue grosso”.

Pozzo è uomo di mondo, capirà non un granché di calcio, visto che è ancorato a schemi tattici ormai superati, però è un fine psicologo, molto capisce di uomini e dà il suo assenso. Nei paraggi c’è una maison tellier che sembra fatta apposta per l’occasione. Morale: l’Italia sorpren­ de i francesi padroni di casa, supera gli increduli brasiliani e dopo l’Ungheria si conferma campione del mondo. Non sempre le donne portano bene alla nostra squadra: nel ’50, dopo la famosa e grottesca crociera che porta i nostri in Brasile, la sede del ritiro prescelta è un grande albergo nel centro di San Paolo. In uno dei piani tutte le notti si esibisce un’orchestra argentina con relativo corpo di ballo: diversi azzurri vedranno più tempo le gambe delle ballerine piuttosto che il pallone in campo. Nel 1958 in Svezia noi non ci siamo, e qualche azzurro dell’epoca se la sarà presa vista la fama di mangiatrici di uomini delle ragazze scandinave. Queste allora prefe­ riscono dedicarsi alle nazionali latine. Si sparge la voce che ben 17 giocatori su 22 dello squadrone brasiliano non siano sposati, e i carioca sono fatti oggetto di ripetute “cariche” nel loro ritiro, tanto che il loro CT Feola ne chiede la scorta armata. Garrincha, che ha una gamba più corta dell’altra, ma che a quanto pare è stato ricompensato dal buon Dio sotto forma di centimetri aggiunti in altre parti del corpo, è uno che oltre a fuggire alla marcatura dei terzini avversari si sa arrangiare anche con i bodyguard, tanto che una giovane

svedese rimane incinta di lui. Agli argentini vengono fatte arrivare d’ur­ genza le mogli in Svezia, due giocatori del Paraguay conoscono due vichin­ ghette a una festa: colpo di fulmine, progetti di matrimonio e lacrime a profu­ sione quando, eliminata la loro nazio­ nale, i due sono rimessi a forza in aereo. Non saranno da meno le ragazze inglesi nel ‘66, tanto deleterie per i giocatori nord­coreani che hanno appena battuto l’Italia e vogliono concedersi una festicciola innocente. Qualcuno eccede, e sembrerebbe che al ritorno a casa quasi tutti siano stati deportati per punizione nei terribili gulag del paese asiatico. Si sarebbe salvato il presunto dentista Pak Doo­Ik che ci ha castigati: quella sera è rimasto in albergo per una banale forma di dissenteria. Donne calienti sono anche le messicane, che nel 1970 affascinano tutte le squadre del mondiale: il comitato organizzatore ha fornito infatti ogni comitiva di un congruo numero di hostess e accompagnatrici, naturalmente bellissime. L’unica brutta, racconta il giornalista Mario Gismondi, fine umorista e in seguito anche direttore del Corriere dello Sport, se l’è beccata Valcareggi. Gismondi è un riveriano convinto, quindi ostile al CT, e commenta con un ovvio “ben gli sta”. Bene invece va a Lido Vieri, il nostro terzo portiere, cui il CT dà un gravoso e per nulla gradito compito: il ritiro azzurro è assediato da urlanti fanciulle locali in cerca d’avventura, lui deve sacrificarsi per i compagni e intrattenerne il maggior numero possi­

STORIE MONDIALI - Donne mondiali

La storia la sanno tutti, ormai. Una ragazza francese di origine algerina, madre di due figli, è il deus ex­machina della vittoria italiana al Mondiale tedesco di quattro anni fa. La ragazza si chiama Lila Zidane e suo fratello è lo Zinedine che a Berlino giocava la sua ultima partita da calciatore professionista. Cosa c’entra con la Nazionale italiana? C’entra eccome: primo tempo supplementare della finale Italia­Francia, azzurri in completa balìa degli avversari guidati da uno straordinario Zidane che sta imper­ versando in lungo e in largo in campo. E dire che quella è la sua ultima partita. Qualche minuto prima Zidane, che già ha segnato il rigore del temporaneo vantaggio dei suoi, ha colpito di testa e c’è voluto un autentico miracolo di Buffon per evitare il gol. I francesi sono in avanti, Zidane si stuzzica con Mate­ razzi, che lo sta strattonando per la maglia. Con buon italiano, Zizou si gira verso il difensore e gli sussurra che dopo, se questi vuole, gli regalerà quella stessa maglia che lui sta tirando. Materazzi, che mai ha avuto senso dell’umorismo nella sua carriera (chie­ dete a Cirillo o a tutti i centravanti mar­ cati dall’interista), gli risponde che prefe­risce la puttana di sua sorella, ossia Lila Zidane, unica femmina dei quattro fratelli del fuoriclasse transal­ pino. Come sia andata a finire da quel punto in avanti è inutile ripeterlo. Vale la pena precisare che forse, anche se manca la riprova certa, l’Italia ha vinto il Mondiale tedesco per merito di una donna.

Numero 0 • Giugno 2010


STORIE MONDIALI - Donne mondiali

Pianeta Sport • www.pianeta-sport.net bile. Anche grazie al sacrificio di Vieri, che si arrabatta addirittura anche con la figlia del vicepresidente messicano, i compagni possono arrivare tranquilli a battere la Germania e a contendere la finale al Brasile.

Nel 1974 i Mondiali di calcio assistono alla prima vera rivoluzione sessuale. Sono gli olandesi che scandalizzano il mondo facendo accedere le loro mogli e fidanzate in ritiro con loro, con tanto di striminziti costumini a bordo piscina. La più bella di tutte (una bionda davvero mozzafiato) è la moglie del più forte di tutti, Johann Cruyff. I tedeschi guardano quel ben di Dio e vogliono lo stesso trattamento, ma la loro federazione rifiuta. Beckenbauer si ribella e fiancheg­ giato dalla moglie Brigitte minaccia fuo­ co e fiamme: anche le ragazze tedesche possono accedere al ritiro dei teutonici. Morale: la finale del mondiale è Germa­ nia­Olanda. Si erano dati da fare anche gli argentini: il calciatore Ayala fa una proposta di matrimonio, prontamente respinta, a una giornalista teutonica che

lo sta intervistando, il compagno Telch si chiude in bagno con una cameriera, tale Ingrid, e le usa violenza. La ragazza, che la stampa definisce “bruttina”, prima denuncia la cosa poi ritratta, sembra dietro grosso risarcimento danni. Agli argentini sono quindi fatte arrivare le mogli, e forse è anche proprio per questo che loro vanno avanti dopo il girone eliminatorio e l’Italia, che fa parte dello stesso gruppo, se ne torna immediatamente a casa. Per veder arrivare una moglie nel ritiro italiano bisogna attendere il 1982: sarà quella di Cabrini, chiamata apposta perché si è sparsa la stupida voce che il maritino, in camera con Paolo Rossi, abbia raggiunto uno strano tipo di affiatamento con il compagno che molto trascende il lato tecnico. Morale: gli azzurri l’11 luglio 1982 sono campioni del mondo. Male è andata al fuoriclasse tedesco Rumme­ nigge, cui in caso di vittoria sarebbero andate in premio le grazie della ventiquattrenne connazionale Bettina Mey, starlette dell’edizione germanica di Playboy.

Numero 0 • Giugno 2010 Nel 1990 in Italia ne succedono di tutti i colori. La protagonista maggiore è una famosa pornostar, Teresa Orlowski, protagonista di un video hard che forse gira nelle camere degli azzurri in ritiro, e forse no. Stefano Tacconi, secondo por­ tiere, dopo aver fatto bere due volte aceto al posto di vino bianco al com­ pagno Marocchi e aver polemizzato al solito con Zenga, convince Brighenti, vice del CT Vicini, che sono parecchi gli azzurri che passano le loro notti godendo televisivamente delle grazie di questa signorina Teresa, e lo fa piom­ bare a notte fonda nelle camere degli ignari giocatori, che invece stanno beatamente riposando. Molto più al sodo vanno i giocatori dell’Inghilterra: nel loro ritiro in Sardegna si sparge la voce che una hostess ventenne, la bellissima Isabella, un bel giorno abbia preso troppo sul serio le sue consegne e abbia “tenuto compagnia” a tre atleti contem­ poraneamente. Si scatenano i tabloid inglesi, la ragazza, in lacrime, prima si nasconde in un bagno, poi è messa in salvo dalla Polizia. Morale: forse qualco­

sa è mancato perché italiani e inglesi disputano tra di loro solo la finale per il terzo posto. In particolare il nostro portiere Zenga in semifinale si fa incan­ tare da una chioma bionda: peccato che fosse stata la fitta criniera dell’argentino Caniggia… Molto meglio va quattro anni dopo a Romario, centravanti velenoso e impla­ cabile marcatore del Brasile che vince il mondiale in finale con l’Italia. Subito dopo la lotteria dei rigori che regala il successo ai suoi, Romario annuncia di aver fatto sesso la sera prima della partita decisiva, ma che lo stesso ha marcato il suo rigore, e immagina che Roberto Baggio, sconfitto anche per colpa del suo penalty sbagliato, abbia passato una vigilia diversa dalla sua. Morale: di lì a poco la signora Monica, moglie di Romario, chiederà il divorzio dal marito. Divorzio concesso l’anno dopo, perché evidentemente non c’era lei quella notte nella stanza del fenomenale attaccante.


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