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moda
26 Viva espaÑa! Bella, caliente, creativa, coraggiosa. Tra corride, flamenco e nacchere, la moda iberica: le grandi e piccole imprese tessili spagnole, con i loro diseñadores, giovani e promettenti stilisti, stupiscono grazie all’estro e per le brillanti innovazioni, tutto il panorama della moda e del costume internazionale.
35 IERI USATO, OGGI VINTAGE LA SECONDA VITA DELLA MODA 41 LO STILE GIOVANE ANTONIO MARTINO COUTURE 45 L’ORIENTE AI TUOI PIEDI HETTY ROSE LIMITED 46 IL RETRÒ CHE FA TENDENZA 46 LA COCA COLA LIGHT DI MANOLO BLAHNIK
from all over the world moda
Da giocattolo per bambine che sognano il mondo dei grandi, a brand per adulti che vorrebbero tornare bambini. L’icona di plastica continua la sua evoluzione.
48 BARBIE PENSA IN GRANDE 55 PERSONE INTELLIGENTI CERCASI 59 COHIBA BEHIKE IL LUSSO DI FUMARE 46 CINEMA, CAVIALE E CHAMPAGNE I NUOVI INGREDIENTI DELLA MOVIE EXPERIENCE
copertina
62 Mario moretti polegato
Un imprenditore veneto che, a metà degli anni Novanta, pensò di sfidare il proprio passato e di affrontare il futuro, mettendo da parte un family business attivo da tre generazioni nel settore vitivinicolo, per dedicarsi ad una delle più avvincenti avventure al mondo: la scarpa che respira.
economia e management
70 Business education addressing the ‘what’ question 72 Inside the turris eburnea entrepreneurial scientists stemming from academic hierarchies 74 Scientific formulas and cognitive economics beyond in vitro entrepreneurship 76 LABORATORY EXPERIMENTS AS A TOOL IN EMPIRICAL ECONOMIC ANALYSIS OF HIGH-EXPECTATION ENTREPRENEURSHIP
economia e management
85 VITIGNO ITALIA IL SALONE DEL VINO 89
LA VITA È UN SOGNO
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LA TEORIA DELLA CODA LUNGA
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un mercato che non aFfonda Luxury Yacht
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L’esplosione delle banche online come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba
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Nel merito della crisi, la crisi del merito
design 98
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CALIFORNIA ACADEMY OF SCIENCES RENZO PIANO PROGETTA IL MUSEO PIÙ VERDE ED ECOSOSTENIBILE DEL MONDO SHIGERU BAN ARCHITETTURA DELLA CRISI O LA CRISI DELL’ARCHITETTURA?
high-tech
arte 106 111
MANGA POP: LA POP ART 2.0 TAKASHI MURAKAMI ZOO PHANTASY: LA MOSTRA DI MARIA PIA DAIDONE
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meraviglie dal mondo 114 116
SESSANTA CHILOMETRI IL PERCORSO DI UN SOGNO UNA NOTTE IN UN IGLOO
musica 133 136
residenze di charme 119
Palace Hotel e Grand Hotel Rimini I due gioielli di Select Hotels Collection
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ILLUM E MAGASIN DU NORD NON SOLO SHOPPING Culti Maxi Ho Spa UNA CENA DA TOCCARE CON MANO INAMO, IL RISTORANTE INTERATTIVO
Intervista a Ilaria Iaquinta e Giacomo Serra SPOTIFY LA PIATTAFORMA DI ACCESSO GRATUITO ALLA MUSICA ONLINE
ricerca 138
fashion food 122
PENSARE IN PICCOLO con le NANO tECNOLOGIE COSA ABBIAMO DA NASCONDERE? DAGLI USA IL MANTELLO DELL’INVISIBILITÀ
A NAPOLI SI RICOMINCIA A VEDERE intervista al professore Alberto Auricchio
charity 145 146
PROGETTO TERRA MADRE DAL LUSSO PREGIATO DI ZEGNA, AL PIATTO PRELIBATO DI SLOW FOOD TREE NATION ADOTTA UN ALBERO IN NIGER
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EM/ME Economia Moda Marketing Entertainment rivista mensile numero zero giugno 2009 Direttore responsabile Chiara Nespoli Capo sezione - Meraviglie dal mondo Assia Gilardi Capo sezione - From all over the world Chiara Latini Redazione Francesca Romana Bergamo Paola Del Prete Myriam Pisani Gilda Ruzzi Valeria Vittozzi Agnese Amoruso Piera Bellelli Maria Vittoria Russo Giovanna Iannone Valeria Peccerillo Assunta Lo Conte Salvatore Canfora Michele Soria Teresa Petrellese Maria Rita Tucci Mariapina Mangiri Segreteria di redazione telefono 0825871658 / 08125845 emme@emmemag.it Francesca Romana Bergamo Assunta Lo Conte Contributi speciali Maurizio Vitiello Fabio Fiano Filippo Laezza Manlio Del Giudice
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Prof. Michel Polski Graduate School of Business Grenoble, Group ESC, France Dr Nicola Farronato YEAM Group Berlin, Young European Avantgarde Minds, Germany Dr Michelangelo Iossa Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa” Dr Mohamed Al-Sawan Ali Sons Co., Emirati Arabi Uniti Dr Lizl Steynberg Tshwane University of Technology, South Africa Crediti fotografici. L’editore dichiara di aver ricercato con ogni mezzo, ma invano, i titolari dei diritti fotografici delle immagini sprovviste di crediti e figuranti nella presente edizione, senza riuscire a reperirli. Si dichiara naturalmente disponibile all’assolvimento, nei termini previsti dalla legge, dei suddetti diritti qualora i destinatari e legittimi proprietari dovessero farne esplicita richiesta alla redazione.
con il patrocinio di Camera di Commercio di Avellino
In attesa di registrazione presso il tribunale di Ariano Irpino
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Ho sempre avuto un sogno, ma mi avevano detto che non l’avrei realizzato mai! Per anni mi è stato ripetuto che il mercato della carta stampata è fermo, anzi in discesa, che non c’è spazio per le giovani firme e per le giovani menti, chi va avanti viene da un’unica scuola di pensiero e di apprendimento. Il giornalismo, poi, va inteso solo in veste seriosa, mi dicevano, ci sono canoni da rispettare, regole infrangibili e lo stile? Conta solo se sei una grande firma! In questo discorso non mi ci sono mai ritrovata, ho sempre pensato che anche gli argomenti più asettici mostrassero le tracce espressive della mente che li ha concepiti. EM/ME nasce in tale direzione, è un prodotto assolutamente innovativo per l’editoria nostrana, rappresenta un fertile connubio di esperienza e professionalità da un lato e di estro e creatività dall’altro. Il core magazine di stampo economico e manageriale si integra con la ricerca dell’inusuale e del peculiare avanzata dalle varie sezioni. Vi è uno studio attento e composito delle più gettonate ed attuali notizie in ambito im-
prenditoriale italiano ed estero per offrire ai lettori le chicche di mercato, le news introvabili, gli spunti di sicuro interesse; in ogni rubrica è evidente tale impostazione: un solido screening alla ricerca del particolare. EM/ME è una controtendenza, è dare informazioni di valore con stile accattivante, non conformandosi alla massa di magazine di mercato, ma mostrando senza indugi il suo carattere, in quanto rispecchia l’indole di coloro che l’hanno generata: caparbia ed intraprendente, precursore dei tempi e fautrice della novità. Nell’era della conclamata crisi nasce, da un gruppo di giovani accademici, da un nucleo di intraprendenti imprenditori e da un team di giovani professionisti della comunicazione del Sud, un ambizioso progetto editoriale, sui generis e fuori dalle righe. Un’idea definita da molti difficile, da tanti aleatoria, ma da alcuni rivoluzionaria e straordinariamente fattibile; e dunque: «Se un uomo sogna da solo, il sogno resta un sogno, ma quando più uomini sognano insieme la stessa cosa, il sogno diventa realtà» (Mons. Helder Camara).
Chiara Nespoli
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L’imprevedibile stranezza del business di Manlio Del Giudice* C’è un libro di Jonas Ridderstråle e Kjell Nordström che potrebbe piacere a chi considera gran parte dei discorsi sul management, sul marketing, sulla comunicazione banali e scontati. Piacerebbe, certo, anche a chi ha imparato ad amare Dilbert ed ha creduto che nelle sue storie ci siano approfondimenti sulla net economy, sulle strutture organizzative anfibie e sul social networking aziendale ben più arguti e profondi di quelli di buona parte dei classici sugli stessi argomenti. Per gli autori, che lo hanno scritto viaggiando tra anni di esperienze proprie ed altrui, il collegamento tra i due mondi reale e virtuale delle imprese è oggi assicurato dal funky business, un modo di fare affari inusuale, sottile, imprevedibilmente ed indefinibilmente strano. Strano perché probabilmente in tal guisa è diretto il cambiamento delle società che, di riflesso, accolgono i nuovi modelli di business; pensiamo al fatto che sempre più bimbi crescono in assenza di relazioni di lunga durata, dividendosi tra più padri e madri, più fratelli con padre diverso e sorelle con altri genitori: è, allora, ancora lecito pretendere che, da grandi, lavorino per la stessa azienda e con lo stesso capo per tutta la vita? Negli anni ’60 i padri trascorrevano in media quarantacinque minuti al giorno con i loro figli; oggi, quei minuti, sono diventati sei e l’andata al luna park ha fatto posto al sabato pomeriggio nei centri commerciali. Lo confermano i dati del Mall of America di Minneapolis, icona di quella piacevole, colorata, luminosa omologazione sociale veicolota negli shopping centers, visitato da 40 milioni di persone all’anno, per l’80% famiglie: più della somma delle visite di Disney World e di Dysneyland. Gli individui, e tra loro gli imprenditori ed i manager, iniziano ad avere un comportamento virale, da lemming, che li porta ad imitare sino all’estremo comportamenti cristallizzatisi nel tempo, divenuti di massa. Pensiamo, solo per un attimo, al cambiamento del mercato automotive dopo l’introduzione della galleria del vento e del CAD/CAM: quando si era piccoli si giocava ad indovinare le marche delle automobili; oggi non ci sarebbe più gusto: sembrano tutte uscite dalla catena di montaggio di un unico stabilimento. Fino a qualche anno fa tutti pagavano per usufruire, a vario titolo, dei media: giornali, chiamate telefoniche, connessioni ad internet. Oggi, invece, si può avere tutto gratis. Domani, forse, saremo pagati per concedere attenzione ad un’azienda più che ad un’altra. Ma allora, chi sarà il vero cliente? Ikea affida il montaggio dei propri mobili ai clienti che desiderano risparmiare: ma se, così,
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i clienti sono anche fornitori, se abbondanza e ridondanza sono oramai sinonimi, dove comincia e dove finisce esattamente l’organizzazione contemporanea? Forse tutto finisce, ancora una volta, in una grande Rete, strumento perfetto per un business imprevedibile che vede i consumatori protagonisti della creazione del valore dell’offerta: più individui visitano Google, Yahoo, Amazon, migliori saranno i servizi offerti da queste aziende e maggiori saranno i contatti futuri veicolati. Mary Meeker, net analyst per Morgan Stanley, ha recentemente affermato: «In internet, i numeri 1 sono grandiosi, i numeri 2 vanno bene, i numeri 3 hanno problemi, i numeri 4 hanno seri problemi, i numeri 5… ma chi sono i numeri 5?». L’economia contemporanea, economia dell’eccesso, è un’economia spietata. Chi riuscirebbe a distinguere, oggi, tra una banca e una compagnia di assicurazioni? Forniscono in pratica gli stessi servizi. Ed invece, verso la metà degli anni Ottanta, il top management della Volvo ebbe un’intuizione geniale: esistevano sinergie tra birra, abbigliamento sportivo, aspirina, hot dog, macchine, camion e autobus. Dopo Volvo, che non è rimasta un caso isolato, altri hanno provato ad inseguire il fascinoso motivo dell’irrazionalità. In uno scenario economico imprevedibilmente strano, dove il fattore di produzione principale pesa 1.3 kg ed è di colore grigio, intelligenza, creatività, emozione, immaginazione invocano a gran voce un monito: abbandonare gli schemi classici di gestione d’impresa per inseguire la chimera dell’irrazionale, dell’improvvisazione. I contributi che seguono e che impreziosiscono, inaugurandola, la sezione di Economia e Management da me coordinata, testimoniano il desiderio di tanti miei giovani allievi e collaboratori di comprendere l’economia e l’impresa contemporanea puntando sulla rivoluzione degli schemi, sulla ricerca dell’inaspettato, sull’indagine dell’imprevedibile e dell’inusuale, filosofia di fondo della nostra rivista. Instillando il legittimo dubbio, ma forse la convinzione, che in un ipotetico, non lontano futuro, in un reverse business world, probabilmente i più giovani saranno i manager e gli imprenditori con maggiore esperienza. Buona lettura!
*Professore di Organizzazione delle Aziende e delle Amministrazioni Pubbliche presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”
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VIAGGIO ATTRAVERSO L’INUSUALE, I FENOMENI DELLA MODA SPAGNOLA CUSTO BARCELONA DESIGUAL ZARA Di Agnese Amoruso
Bella, caliente, creativa, coraggiosa. Tra corride, flamenco e nacchere, la moda iberica: le grandi e piccole imprese tessili spagnole, con i loro diseñadores, giovani e promettenti stilisti, stupiscono grazie all’estro e per le brillanti innovazioni, tutto il panorama della moda e del costume internazionale.
Custo, Desigual e Zara sono grandi marchi che, con progetti artistici ambiziosi, hanno invaso l’universo dell’haute couture europeo ed internazionale. Sono brand di carattere, mostrano creatività e una grande voglia di imporsi, difatti sanno come sedurre con abiti ed indumenti così stravaganti e sexy, che la loro moda, profondamente mediterranea, sta diventando oggetto di culto. Schierati verso il desiderio di creare novità, le maison iberiche hanno raggiunto il picco delle classifiche mondiali del fashion. Così la Spagna si è conquistata un posto di rilievo nel mondo della moda, facendo leva su uno stile inconfondibile reso universale dai film del regista castigliano Pedro Almodovar, caratterizzati dalla stessa passionalità dello stile controcorrente e sempre legato ai movimenti artistici d’avanguardia di Custo. Per non parlare di Desigual, brand famoso per i suoi abiti con stampe originali, che si rifanno all’Espressionismo e all’arte concettuale, ma anche alle nuove influenze che arrivano dalla strada, stimolato da eccentrici designer e stilisti della movida. And last but not least Zara, che ha fatto del pret-à-porter un fenomeno democratico e di massa. Custo Barcelona: colori, leggerezza, esotismo e semplicità. Il tutto in versione rivisitata etno-glam o nell’abbinamento sport-chic. Questo il must della griffe spagnola, nata nel 1996 dalle stravaganti e
allo stesso tempo raffinate idee dei fratelli David e Custodio Dalmau. Lo stile di vita californiano e i capi, indossati dai surfisti, osservati durante un loro viaggio in moto per il mondo, sono stati fonte di ispirazione per le prime creazioni e rimasti l’humus di tutte le collezioni successive. Silhouette corte, materiali vaporosi, stampe esotiche, colori vivaci e allegri hanno conquistato nel tempo tutta la Spagna fino ad arrivare a calcare le passerelle della moda internazionale. Custo Barcelona è un omaggio alla vita, all’allegria, alle meraviglie della natura: fiori, onde, cieli appaiono sui vestiti discretamente, quasi come olio su di una tela. Il business Custo nasce quando i fratelli Dalmau si resero conto dell’esistenza di un possibile mercato di nicchia per le magliette colorate, ben disegnate e alla moda, e con un’enfasi sulla creatività e sull’originalità, diedero il via a questo lancio nel buio: un rischio, dato il successo del minimalismo durante gli anni Novanta. La scelta del marchio ricadde su Custo per il semplice fatto che sembrava decisamente più esotico di David Barcelona. La ditta passò di successo in successo, immediatamente riconoscibile per l’originalità del suo design. >
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Custo Barcelona conta ben 40 flagship store e 84 negozi monomarca, ma il suo prét-à-porter viene distribuito nel mondo attraverso 3000 punti vendita. Il fatturato dell’anno 2007 ha quasi raggiunto quota 75 milioni di euro, in crescita del 5% rispetto all’anno precedente. Il 20% del giro d’affari del brand spagnolo proviene dagli Stati Uniti, dove esistono 8 store monomarca ai quali si affiancheranno tra breve un nuovo shop a New York, ed uno a San Diego. Inoltre sono state inaugurate nuove boutique sia a Los Angeles che nelle isole Hawaii, ad Ala Moana, ma anche nel Kuwait. Dopo gli USA, il Paese prediletto per Custo è proprio l’Italia, secondo
Una vera e propria escalation di popolarità invase le eccentriche collezioni dei due fratelli, supportati anche dalla pubblicità di stelle del calibro delle attrici Julia Roberts, Penelope Cruz e della boy band Backstreet Boys. Gli abiti comparvero anche in svariati programmi televisivi, con elevati dati di ascolto come le serie Friends e Sex and the City. Attualmente Custo dispone di circa tremila punti vendita in tutto il mondo, molti dei quali inclusi in famosi centri commerciali. Uno stile, un universo di immagini e colori in una sola parola, anzi in un nome: Custo, o meglio, Custo-Barcelona, come indica l’etichetta della griffe, non potendo prescindere dall’origine made in Spain di questi capi che hanno racchiuso in sé e nelle loro stampe l’idea di divertimento e di allegria, a base di ramblas, musica e movida. La linea riscuote un successo incredibile, con vendite internazionali che pesano fino all’85% del fatturato. Viene riconosciuto come un marchio di designer ad alto livello, vincitore
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e a pari merito con la stessa Spagna, con il 19% del giro d’affari globale. Esistono quattro boutique monomarca: 2 a Milano, 1 a Roma e l’altra a Perugia, ma il progetto prevede 280 punti vendita multimarca per l’abbigliamento femminile posizionati nelle principali città italiane e un centinaio di negozi dedicati alle collezioni maschili. Per il 2010 è prevista un’ulteriore crescita, anche la Russia vedrà i primi flagship store a Mosca e a San Pietroburgo. Desigual ha raggiunto nel 2007 un fatturato di 86 milioni di euro con un incremento dei ricavi pari al 70% nell’ ultimo esercizio. Il marchio si avvale di quasi 60 negozi sparsi
per la Spagna e altri 5 tra Olanda, Inghilterra, Portogallo e Singapore. La catena iberica si sta adoperando nell’affrontare il mercato italiano, il più impegnativo nel comparto moda europeo, difatti nella Penisola vi è un unico monostore co sede a Parma, nel Fidenza Village. Anche se non si tratta di un direct competitor, data la differenza stilistica, il gruppo Inditex, cui fa capo il marchio Zara, è denotato da radici iberiche. Zara abbigliamento vanta 1292 store in tutto il mondo, Zara Kids ben 228 e Zara Home 239, in totale in Italia ci sono 85 punti vendita, ma i numeri sono in costante espansione.
di premi e di fama internazionale, accreditato dagli incredibili mix di colori, stampe e materiali, che si rinnovano in ogni stagione con forme semplici e chic. La maison spagnola non dimentica però l’universo maschile ed ha pensato anche di rendere più colorato e vivace il guardarobauomo con camicie colorate e jeans o felpe con zip e applicazioni, che sembrano appoggiate sul capo per caso. E soprattutto negli ultimi anni, grazie ai nuovi processi di stampa digitale ad alta definizione, lo stile di Custo è riuscito a sfiorare effetti quasi iperrealisti. E se si riflette, non è un caso, che vi siano fashion follower, che addirittura collezionano capi Custo. C’È CHI NE COMPRA UNO OGNI STAGIONE, COME FOSSERO QUADRI O OPERE D’ARTE C’è chi ne compra uno ogni stagione, come fossero quadri o opere d’arte. Anche
Desigual, impresa tessile spagnola attiva nello streetwear in costante ascesa in Italia, gode di un successo indiscusso soprattutto tra le giovanissime del Regno Unito, le più accanite fan al mondo del marchio in questione. Si presenta come un brand vivace ed attento nello sponsorizzare eventi e manifestazioni, presente addirittura anche sul mondo virtuale di Second Life, che indica periodicamente concorsi per giovani creativi. In Spagna, famosissima è rimasta la fiesta a cui gli invitati arrivavano tutti nudi e se ne andavano rivestiti Desigual da capo a piedi. Ma Desigual riesce a stupire anche a porte chiuse e così, quando nelle ore di chiusura non si può entrare in uno dei negozi, ci si può rifare gli occhi osservando i coloratissimi graffiti dipinti sulle saracinesche, una vera e propria mostra open air. Stracolmi di colore e fantasia per lui e per lei ed a tinte vivaci: abiti che danno lo spirito giusto soprattutto alla linea dei giovani. >
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Alcuni capi della collezione Desigual primavera-estate 2009
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sgressivo a tutti coloro che osano sfoggiarli. Argentina, Australia, Brasile, Canada, Colombia, Cuba, Danimarca, Ecuador, Francia, Italia, Marocco, Perù, Polonia, Portogallo, Singapore, Spagna, Svezia: il nuovo megagruppo spagnolo della moda si sta espandendo nel mondo intero confrontandosi con differenti culture, forte di un team ben integrato, di diciassette diverse nazionalità e di un progetto vincente che si propone, con allegria, di vestire le persone e non i corpi. Ma dove va la moda? Le ultime tendenze, e non quelle proposte degli stilisti ma dagli acquirenti, sembra proprio vadano in direzione del low cost; e in cima alla classifica dei negozi presi letteralmente d’assalto, e non solo nei periodi di saldi, c’è Zara, definita dagli “addetti ai lavori” del mondo della moda: il “prontomoda-Zara”. In una situazione economica di crisi infatti, tanto è cambiato dall’opulenza e dall’ostentazione degli anni scorsi,
QUALSIASI CAPO DESIGUAL È UNICO, I MODELLI SI ISPIRANO AL PASSATO TINGENDOLO DI GRINTA. Qualsiasi capo Desigual è unico, i modelli si ispirano al passato tingendolo di grinta. Sullo sfondo il sapore del neo-hippie; in passerella le modelle sfilano con capelli lunghissimi e indossano abiti realizzati come patchwork, fatti con ritagli e pezzi geometricamente differenti tra loro che donano un fascino traEM/
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obbligando il mondo della moda ad adattarsi al momento. Zara propone uno stile senza stagioni che, ad eccezione di abiti specifici per determinate condizioni climatiche o dell’abbigliamento da spiaggia, è composto da prodotti trans-stagionali. Lusso umile è il concept del marchio, derivante dall’idea che la donna non abbia più bisogno di essere appariscente, ma sia alla ricerca della semplicità e della praticità. >
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cheap prêt-à-porter di Zara
«I nostri abiti saranno un investimento, non uno sfizio. Lo sfizio ormai lo si toglie con il low cost, si può andare da Zara». Così hanno reagito tanti dei guru dell’alta moda di fronte al successo di Zara. Questa catena, difatti, propone un tipo di abbigliamento giovane e alla moda e con prezzi davvero alla portata di tutti; nei suoi negozi vi è una grande varietà di abiti e accessori, sempre aggiornata e attenta alla moda attuale. Il vantaggio sta nel fatto che si possono trovare abiti per qualsiasi occasione e di qualsiasi genere: dall’abito classico o da sera al denim e t-shirt sportive. Il celebre marchio spagnolo a basso costo fu fondato a La Coruña, nel 1975, da Amancio Ortega Gaona e attualmente conta 899 negozi in 62 paesi del mondo. Nell’agosto del 2005 è entrata per la prima volta nella lista delle cento maggiori marche del mondo, situandosi al 77º posto, secondo la classifica annuale della rivista Business Week e nel marzo 2006 ha superato le vendite di uno dei suoi maggiori competitor, la catena svedese Hennes & Mauritz, il più grande rivenditore di abbigliamento a basso costo in Europa. È famosa la filosofia del marchio, sempre al passo con le ultime tendenze, che ha EM/
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nei suoi arrivi settimanali di abbigliamento e accessori, il segreto del suo successo. Raggiunge traguardi sempre più ambiti grazie ad una strategia d’espansione globale basata più che sui costi di produzione, ovviamente contenuti, sul fattor tempo: offrire nel più breve tempo possibile al cliente ciò che già vuole o ancora non sa di volere, anticipando desideri e tendenze di stagione. Questa è la vera chiave del successo planetario di Zara. Minigonne, lunghi e freschi abiti dal tema floreale durante la stagione estiva, tailleur da lavoro, trench, cappotti, giubbini stretti e avvitati, jeans a vita bassa e abiti bon ton per tutte le età. Zara spazia su tutti i generi di abbigliamento possibile. Per non parlare delle calzature: tacchi vertiginosi, a spillo o larghi, di legno o a specchio, decollete in vernice o in tessuto, stivali in pelle o scamosciati, alti o bassi, mocassini e sneakers. Di tutto di più e sopra la media, se si guarda alla qualità. I negozi di solito sono specifici nella vendita delle linee di abbigliamento maschile, femminile, bambino e infine nella linea cosmetici. La progressiva espansione del marchio nel settore dell’arredamento e degli
articoli per la casa ha portato all’apertura in Italia anche di undici negozi Zara-Home: tante combinazioni che rendono gli ambienti di casa confortevoli, chic, alla moda e unici nel loro genere. Il modello di business di Zara ha diverse peculiarità ritenute da alcuni analisti economici, innovative e ragione del successo riscosso dall’azienda negli ultimi anni. Tra queste i tempi molto contenuti per il disegno di nuovi prodotti (circa tre settimane), un continuo aggiornamento delle linee proposte legato ai dati di vendita, una produzione esente da outsourcing e affidata solamente alla sede spagnola e l’assenza di campagne pubblicitarie. Con più di 200 disegnatori, Zara è in grado di disegnare, produrre e distribuire una collezione, ad ogni negozio, in qualsiasi parte del mondo, due volte alla settimana. Una vera e propria catena di fast- fashion. //
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foto (cc) di: TammyManet / flickr
IERI USATO, OGGI VINTAGE LA SECONDA VITA DELLA MODA Sarà la moda, sarà un nuovo stile, ma sta di fatto che vestire abiti usati accomuna sempre più persone. Il termine vintage è utilizzato per definire la moda d’epoca, intesa come patrimonio storico e culturale, rappresentata da immortali capi d’abbigliamento, accessori, bijoux, e altri oggetti di vanità. L’abito o l’accessorio vintage si differenzia e contraddistingue dall’usato, second hand, perché la caratteristica principale non è quella di essere stato utilizzato in passato, quanto piuttosto di possedere un valore, acquisito nel tempo per le sue doti di irreperibilità e irriproducibilità. L’itinerario di questo fatto economico e di costume viene descritto in un’intervista ad Angelo Caroli (www.angelo.it), uno dei maggiori imprenditori del settore, fondatore e proprietario di A.N.G.E.L.O. che, con il suo Vintage Palace, ospita un archivio storico di oltre 80.000 capi vintage. >
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Perché si è indirizzato verso il vecchio e non verso il nuovo? «Perché mi affascinava il concetto di recupero, l’importanza di riciclare, recuperare e non perdere. Sono un collezionista, per me è importante guardare al passato, conservare oggetti, quindi recuperare abiti usati. Di fatti ho da sempre avuto la propulsione non solo nel vendere, ma anche ad immagazzinare, infatti possiedo un archivio che conta più di 80.000 capi, conservati in modo da essere disponibili (per uso stilistico, per mostre, per cantanti, per il cinema) a professionisti che utilizzano abiti come immagine». >
foto (cc) di: TammyManet / flickr
oggetti di qualità, che il tempo trascorso ha trasformato in pezzi ricercati, che possiedono un loro stile ed una loro storia.
Come è nata la sua passione per il vintage? Ci racconta la sua storia? «È nata quando avevo diciassette anni, allora questo trend non si chiamava ancora vintage; eravamo alla fine degli anni ’70 ed io, da sempre appassionato di moda, ho scoperto questo universo creativo nelle città di Firenze e Milano. Tramite un viaggio a Prato ho acquistato i primi capi da rivendere, cercando di selezionare gli articoli del passato, che potevano acquisire interesse commerciale odierno. I primi acquirenti sono stati i miei compagni di classe, comprando delle camicie hawaiane a millecinquecento lire l’una. Poi, però, quando anche i miei stessi professori sono divenuti clienti fedeli, ho capito di aver compiuto un salto di qualità. Con i primi soldi guadagnati ho dato vita ad un negozio, che curavo però, solo di pomeriggio, dopo la scuola».
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Ha iniziato la sua attività più di trent’anni fa. Come è cambiato il suo settore? «È mutato tanto, all’inizio si cercavano solo jeans, in quanto era un capo molto in voga, rappresentativo dello style made in USA. Negli anni ’70 erano soprattutto i ragazzi che mettevano abiti usati, era un trend alternativo ed un po’ rivoluzionario. Oggi, invece, si lavora con molte firme italiane, con prezzi interessanti». Il suo primo successo? «Il primissimo traguardo è stato vendere indumenti ai professori, ma un’altra soddisfazione è stato il crescente interesse delle mamme dei miei amici, che in principio, odiavano la roba usata, volevano liberarsene, ma poi le stesse a distanza di dieci anni, hanno iniziato a comprare i miei capi, a testimonianza del cambio di mentalità. La chiusura iniziale si è poi trasformata in amore nell’antiquariato e posso ritenermi un modesto precursore di tale tendenza. Un altro enorme successo professionale è stato quando gli stylist di moda hanno cominciato a chiedermi abiti per i loro servizi; poi una mostra al museo del tessuto è stata il coronamento di un soddisfacente percorso lavorativo».
A.N.G.E.L.O. Un’attività iniziata più di vent’anni fa quando il mercato del second hand vantava ben pochi estimatori. La volontà di riutilizzare abiti già appartenuti a chissà chi altro in altre differenti esperienze di vita. Il valore ed il fascino di pezzi
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Crede che la crisi economica attuale inciderà sul suo comparto, oppure il suo settore riceverà nuove spinte e conquisterà nuovi mercati? «Ritengo che il mercato sia trasversale, dunque anche la clientela è variegata: vi è il consumatore attento al prezzo, in cerca di articoli a basso costo, chi invece mira ad ottenere una buona qualità ad un prezzo discreto. Noto un allargamento di mercato, in quanto il settore conquista sempre più favori». Qual è il suo target di cliente? «Molta clientela legata alla moda, un pubblico giovane che cerca pezzi unici, per non sentirsi omologato e può costruire il suo stile con costi accettabili». Infine, che cos’è per Lei il vintage? «È un capo, sono abiti, oggetti di qualità, che il tempo trascorso ha trasformato in pezzi ricercati, che possiedono un loro stile ed una loro storia». //
unici, assolutamente singoli, da rielaborare attraverso il nuovo utilizzo secondo il proprio stile. Lo stile più che una moda, perché è fatto anche di emozioni, ricordi, della propria cultura e della propria storia. Ecco perché il Vintage Palace
é un luogo in cui i capi assumono anche un valore affettivo oltre che reale e in cui l’inespresso è più importante del visivo. www.angelo.it foto (cc) di: TammyManet / flickr
Negli anni ’70 erano soprattutto i ragazzi che mettevano abiti usati, era un trend alternativo ed un po’ rivoluzionario.
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LO STILE GIOVANE ANTONIO MARTINO COUTURE di Assunta Lo Conte
foto (cc) di: toniverd / flickr
A 33 anni è lo stilista di molti persoNaggi famosi dello spettacolo e del jet set. Dice di avere ancora tanta strada da percorrere, ma sa come muoversi nel mondo della moda. Non veste teenAger, ma donne vere, dalla 40 alla 54. Le sue creazioni puntano sulla comodità, ma grazie ad un semplice accessorio divengono uniche. Stiamo parlando di Antonio Martino, giovane stilista che espone le sue creazioni a Roma, in uno show room ALLE SPALLE del Colosseo. Quali sono stati i primi step nella tua carriera di stilista? «È una storia un po’ strana: avevo sei anni quando, una mattina, di punto in bianco, decisi di voler fare lo stilista. In famiglia non riuscivano a capire come fosse nata questa mia passione, ma ricordo che spesso osservavo le mie sorelle vestirsi; ero attratto dai loro abiti, dagli accessori, dalla moda in genere. Ho iniziato a chiedermi come si diventasse stilista, quale fosse l’iter da seguire ed ho iniziato a realizzare i primi bozzetti. Appena potevo disegnavo, in realtà sulle prime, ero incapace a disegnare, però volevo ardentemente fare questo mestiere ed ho lavorato e lottato duramente per riuscirci». >
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Ricordo le parole di una mia insegnante che, durante una sfilata di Gattinoni, mi disse: “Ogni lustrino che luccica è una lacrima versata. Stai attento, è un mondo pieno di insidie, di falsità”. Però poi quando vedi i tuoi abiti sfilare tutto passa!» Cosa si prova ad avere successo a soli trentatrè anni? «Cerco di avere un atteggiamento placido, senza cullarmi troppo sui risultati ottenuti, ritengo che il vero successo sia ricevere l’Oscar per la moda, quello è un vero riconoscimento del proprio lavoro. Certo avere il privilegio di vestire donne bellissime è gratificante: Janet De Nardis, Maria Monsè, Demetra Hampton, Cecilia Gayle, Chiara Ricci, indossano le mie creazioni ed in passato anche Manuela Arcuri, Martina Colombari e Natasha Stefanenko hanno apprezzato il mio stile, scegliendo alcuni capi». Qual è stata la prima prova da affrontare? «Il dover vivere in una città lontana che non è la tua, distante dalla famiglia, dagli amici, in un ambiente nuovo. Il sogno di una vita contro la difficoltà di abbandonare la mia famiglia. Sono originario di un paesino in provincia di Salerno; lì ho frequentato il liceo classico, sotto suggerimento di mio padre, che non era d’accordo alla mia primaria scelta di liceo artistico. In seguito mi sono trasferito a Roma per frequentare una scuola di moda, ospite di mio fratello, che viveva nella capitale da cinque anni». E gli ostacoli più grandi che hai incontrato? «Quelli che si incontrano nel quotidiano. Posso ammettere, però, di incontrarne più adesso che in passato. Quando ero piccolo sognavo di diventare un grande stilista, affermato in tutto il mondo. Raggiunto l’obiettivo, tuttavia, apri gli occhi su tante avversità, ti rendi conto che il successo non è come lo avevi immaginato.
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Il primo amore non si scorda mai: ricordi il primo capo disegnato? «Il primo capo, che poi apparteneva alla mia prima sfilata, era ispirato al Colosseo. Un abito con tutto il Colosseo intarsiato, con una luna di notte ed il cupolone che si intravedeva in lontananza». Genio e sregolatezza: dove nasce la scintilla ispiratrice delle tue creazioni? «Dipende da quello che devo fare. In molti casi si tratta di creazioni estemporanee; la creatività non viene quando vuoi. Diciamo che ci sono due versioni: ci sono abiti che costruisco sui manichini, mentre ci sono vestiti che disegno per la produzione». Chi è la donna Antonio Martino? «Non ho un target preciso. Noi vestiamo con la stessa creatività sia una donna giovane che una meno giovane, confezionando abiti dalla 40 alla 54. Ogni corpo di donna ha le sue proporzioni, ma escluderei le ragazzine. Ecco: una donna che vuol essere femminile indossa un nostro capo».
Perché il primo show room ha sede a Roma, considerando che è Milano la capitale della moda per antonomasia? «È stato un gioco inizialmente, un’avventura. Abbiamo scelto la capitale perché ci viviamo, Milano è un mercato che ancora non conosco bene. Siamo addentrati nel circuito romano, tutti i personaggi che vestiamo vivono qua. Roma, però, non è un mercato che conceda molto spazio ai giovani». La crisi economica attuale investe tutti i settori, trasversalmente, dell’industria, del commercio e dei servizi. Credi che anche la moda accuserà il colpo? «Ne risente già adesso, come ne risentono tutte le attività. Sono anni che si parla di crisi della moda, ma è anche vero che questo mercato è, come portata, tra i primi introiti statali. In parole povere il Made in Italy porta un cospicuo profitto nelle casse dello Stato, siamo sempre i primi al mondo ad esportare moda, tessuti e nuove idee, quindi si tratta di un sistema molto solido». Cosa vedi nel tuo futuro di stilista? «Sfilare a Milano, a Parigi, ovunque. Per il momento cerchiamo di avviare questa attività, facendo di tale punto vendita una base di partenza, poi vorremmo cominciare a vendere le nostre collezioni in diversi negozi». Insegni all’Accademia del lusso. Quale consiglio daresti a chi, giovanissimo, sogna di diventare come te? «Insegno da quando avevo ventitrè anni in questa accademia di moda. Il problema dei giovani è che appena si iscrivono credono di essere già degli stilisti affermati. Peccano un po’ di presunzione, un grande difetto, nonché un loro svantaggio. Il consiglio che posso dare è fare tanta esperienza, tanta pratica e prendere consapevolezza dei propri limiti. Se si ha questo mestiere nel sangue prima o poi si diventa stilista. Le chiavi sono: tanto studio, tanta pratica e tanta pazienza». //
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L’ORIENTE AI TUOI PIEDI LE CREAZIONI HETTY ROSE LIMITED di Gilda Ruzzi
Alcune delle scarpe della collezione Hatty Rose
Hanno i colori caldi del Giappone, ma vengono dritti dal Regno Unito: sono le scarpe e gli accessori delle collezioni Hetty Rose Limited, il marchio inglese che ha dato vita al perfetto connubio tra luxury e vintage. Le insolite creazioni di Henrietta Rose Samuels, designer laureata al London College of Fashion, nascono soprattutto dalla scelta, certamente etically sensitive, di riutilizzare brillanti stoffe di kimono giapponesi e una serie di altri materiali quali legno, cuoio e pelle riciclati. Il risultato è un prodotto originale, unico ed esclusivo, con una propria storia e una propria personalità, esattamente l’oggetto del desiderio della primavera 2009. L’accostamento dei colori e dei materiali è audace, ricercato ma mai azzardato o casuale: i fiocchi, i lacci,
le accese fantasie floreali o geometriche oriental oriented, si sposano perfettamente con i divertenti modelli Hetty Rose e con la voglia di una moda totalmente su misura. Sì, perché proprio la Kimono Collection e tutte le altre produzioni della Samuels sono rigorosamente realizzate a mano e su misura secondo i gusti di ogni singolo acquirente, nel segno dell’originalità e di un lusso colto, ma divertente al tempo stesso. I tempi richiesti per la realizzazione di queste vere e proprie opere d’arte su misura vanno dalle 4 alle 8 settimane e, attraverso il curatissimo sito internet (www.hettyrose.co.uk), è possibile specificare materiali, modello e colore delle proprie calzature.
La formazione e l’esperienza di Henrietta Rose Samuels passano anche per l’Italia: dopo quattro anni di studio al London College of Fashion e la specializzazione in Footwear Design & Developement, la stilista vanta
un periodo di collaborazione con importanti aziende italiane produttrici di calzature hand made, che hanno arricchito ed affinato il suo estro creativo, rendendola una tra le fashion designer più all’avanguardia del momento.
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foto (cc) di: Maxtodorov / flickr
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MODA PIN-UP IL RETRÒ CHE FA TENDENZA Donne con passo deciso e sensuale, labbra marcate, viso pallido e curve spettacolari, che rivendicano una svolta per l’estetica femminile: stiamo parlando della tendenza pin-up. Questo stile nasce negli anni cinquanta, ma è ora rispolverato dai più grandi creatori di moda del momento: in una delle sue ultime sfilate a Parigi, lo stilista Lacroix riscopre questo tipo di estetica. Le caratteristiche di questa tendenza sono da ricercare in una cura maniacale del trucco, della pettinatura e dell’abito. La filosofia pin-up si esprime così attraverso le linee marcate del mascara, il rosso vivo dato dal rossetto, i capelli mossi spesso raccolti, la pelle bianchissima e una particolare attitudine dettata dalla memoria storica: le donne pin-up furono tra i miti degli anni ’50! Il prototipo dello stile fu il personaggio animato Betty Boop, ma passando dal fumetto alla realtà, come dimenticare Marylin Monroe, la più grande icona femminile dell’epoca. Ma cosa porta oggi, a riscoprire questa tendenza anni ‘50? Luis Tamayo, analista di moda afferma in un’intervista, per un’emittente spagnola: «Da una parte si tende a recuperare la sensualità, un’esigenza fondamentale della donna di oggi, dall’altra la provocazione!». Il look delle donne pin-up si completa con vestiti sofisticati, che valorizzano le curve, i cui colori dominanti sono il rosso e il nero. Per molte signore il look si è trasformato in una filosofia, in uno stile di vita: la giovane cantante madrilegna Silvina Magari è una degna rappresentate di questa tendenza. È proprio a Madrid infatti, nel quartiere Malasaña, che le caffetterie retrò diventano luoghi d’incontro per le pin-up moderne. Nella capitale spagnola è possibile infatti assaporare l’essenza di questa tendenza in luoghi come il negozio d’abbigliamento Veronica Patino o il parrucchiere Juan Por Dios (www.juanpordios.com) specializzato in acconciature retrò. Resta solo da chiedersi, chi sarà la prossima Marylin?
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LA COCA COLA LIGHT INDOSSA I TACCHI CON MANOLO BLAHNIK Sandali con tacchi a spillo rosso cangiante, calzature modaiole e ricercate, questi sono le forme glam date alla bottiglia di Coca cola light da 25cl limited edition 2009. Lo stilista di scarpe dal multiforme ingegno, Manolo Blahnik è stato scelto come nuovo designer per Coca Cola, la bibita analcolica più amata al mondo. Non è la prima volta che grandi stilisti si prestano al restyling di bibite e alcolici: da Jean Paul Gautier per l’acqua Evian, alle Most Serie Storica della grappa Tosolini. Dopo la versione animal print di Roberto Cavalli e la serie dai colori oro, rosa, rosso e azzurro connessi ai significati di Carriera, Amore, Passione e Moda, realizzata dalla stilista Patricia Field, Coca Cola ha deciso di omaggiare le donne energiche e dinamiche, cui è indirizzato il prodotto, con l’eleganza e la passionalità del maestro Manolo Blahnik. Il noto coutier veste per l’occasione la tipica bottiglietta con due varianti intrise di elementi caratteristici come il sandalo dal tacco vertiginoso e gli autografi stilizzati. I pezzi saranno in totale diecimila e verranno distribuiti solo in alcuni Paesi campione e in punti vendita selezionati, che non sono stati ancora resi noti; tra di essi è possibile ipotizzare la Spagna, che ha dato i natali allo stilista, mentre per l’Italia il luogo prescelto per la distribuzione sarà la capitale della moda: Milano. Per le fashion victim e per i collezionisti è un’occasione imperdibile, poter possedere un oggetto progettato da uno dei maghi dell’haute couture, ad un prezzo quasi simbolico. La Coca Cola, inoltre, ha indetto per le fan dello stilista, in abbinamento all’acquisto delle bottigliette limited edition, un concorso denominato Mostrateci a che punto amate le vostre scarpe! attraverso il quale sarà possibile inviare un progetto per la realizzazione di un nuovo modello di calzature, la fortunata vincitrice avrà l’opportunità di recarsi presso l’atelier di Manolo, con il quale condividerà la creazione del progetto. Non resta che da chiedersi: impazziranno tutte per Coca Cola in fashion, come il famosissimo personaggio di Sex and the City, Carrie Bradshaw per le fashion shoes di Manolo?
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DA GIOCATTOLO PER BAMBINE CHE SOGNANO IL MONDO DEI GRANDI, A BRAND PER ADULTI CHE VORREBBERO TORNARE BAMBINI. L’ICONA DI PLASTICA CONTINUA LA SUA EVOLUZIONE. di Chiara Latini foto di Francesco Calò
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inquant’anni, ma non li dimostra per nulla! Era, infatti, il 1959 quando Barbie faceva il suo ingresso nel mercato dei giocattoli. Ruth Handler, donna d’affari americana e moglie di uno dei co-fondatori della Mattel, al ritorno da una vacanza in Svizzera, aveva portato con sé Bild Lilli, una bambola dalle gambe lunghe e affusolate, persino truccata, di certo non in linea con gli standard dei giocattoli dell’epoca. Era ispirata, infatti, ad una prostituta di un cartoon tedesco post guerra, ma proprio questa bambola le fornì un’idea rivoluzionaria: un personaggio femminile, che avesse sembianze da adulta, rispecchiando il desi-
solo bambine ma anche ragazze e donne, e soprattutto si punta ai mercati esteri, iniziando con le grandi potenzialità del mercato cinese. A Shangai è stato di recente inaugurato il primo concept store dedicato al brand Barbie: 3.500 mq di abbigliamento, accessori, ma anche relax e divertimento in un ambiente immancabilmente rosa! L’esperienza sensoriale di visitare la Casa di Barbie è creata dal passaggio attraverso un tubo interamente illuminato con neon di luce rosa, che prepara l’ingresso per ciascuno degli otto spazi di vendita a tema. >
A SHANGAI È STATO INAUGURATO IL PRIMO CONCEPT STORE DEDICATO AL BRAND BARBIE. POCHI GIOCATTOLI MA TANTI ACCESSORI E GADGET PENSATI PER GLI ADULTI.
derio delle bambine di immergersi nel mondo dei grandi. Tuttavia, ad oggi, la geniale invenzione soffre di una piccola crisi di mezza età, in quanto le bambine si appassionano molto ai videogames, o si lasciano affascinare da nuovi idoli come le Bratz o, soprattutto in Italia, le fatine Winx. Le prime, lanciate nel 2001, hanno immediatamente sottratto mercato alla Mattel, che, però, è riuscita a vincere la causa, per violazione di copyright, intentata contro la MGA Entertainment, proprietaria delle Bratz. Una piccola rivincita che comunque non ha favorito le vendite, dato che in madre patria, si è rilevato un calo annuo del 12% negli ultimi cinque anni, in accordo con le stime dell’impresa di investimenti bancari Needham & Co. In Italia, invece, si parla di una diminuzione del 5% solo, però, durante il periodo natalizio. A tal punto che fare? La Mattel ha pensato ad una bella iniezione di botulino per rinnovare l’immagine di un brand che ha raggiunto ormai la sua maturità. Innanzitutto si cambia il target, non più
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Le foto del servizio ritraggono alcuni esemplari di barbie prodotti dagli anni settanta ad oggi.
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Oltre all’esperienza sensoriale, cosa è possibile acquistare come souvenir? Nessun componente giocattolo, al massimo pezzi da collezione, ma soprattutto make up e accessori di ogni genere. Per chi ha sempre sognato di indossare un vestito fiabesco al proprio matrimonio; spendendo 15.000 dollari potrà indossare il super fashion abito da sposa di Barbie in versione umana, appositamente disegnato per lo store di Shangai. Se tutto ciò non dovesse bastare, si può fare un giro nel centro spa per un nuovo taglio di capelli o per rifare la manicure. Spostandosi, poi, nell’area design, è possibile, attraverso un computer, realizzare schizzi di modelli Barbie, o
giocare a fare le modelle sfilando su una passerella con gli abiti della famosa beniamina, sempre alla moda. Un piacere per i sensi e per lo spirito che continua anche quando si fa sera: è allora che uno dei due ristoranti dello store si trasforma in un bar alla moda, completo di Karaoke, Dj e ovviamente martini rosa.
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SHANGAI NON SARÀ LA SOLA AD OSPITARE IL MERAVIGLIOSO MONDO DI BARBIE, LA MATTEL STA PENSANDO DI APRIRE CONCEPT STORE DEDICATI ALLA BAMBOLINA ANCHE IN BRASILE ED IN MESSICO La strategia di rivolgersi ad un pubblico più adulto non risulta un azzardo in un paese in cui il brand Barbie non è così strettamente legato al mondo dei bambini, senza contare che gli asiatici considerano il merchandising dei propri personaggi preferiti come parte integrante della moda. Si pensi al grande successo di Hello Kitty: un’icona per generazioni, giovani e non, del Sol levante, al punto da assegnarle il ruolo di ambasciatrice del Giappone nel mondo. Shangai, però, non sarà la sola ad ospitare il meraviglioso mondo di Barbie, perché la Mattel pensa di regalare questa esperienza anche agli appassionati in Brasile ed in Messico. //
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AAA PERSONE INTELLIGENTI CERCASI
Prima venne Myspace, usato e apprezzato ancora adesso, scelto da molti per raccontare se stessi, ma non da tutti, forse perché articolato nella sua gestione o soltanto perché più adatto a chi era già esperto di blog e Web 2.0. Poi è esploso Facebook, nato in un contesto universitario, per far incontrare studenti e per estendere la condivisione di servizi ed applicazioni. La sua ascesa è stata talmente rapida che, grazie ad un passaparola intergenerazionale, sono approdate sulle piattaforme di social networking centinaia di migliaia di persone, mai iscritte prima a simili servizi. Il sentito comune è che se non ne fai parte, sembra quasi che tu non esista: così cresce l’entusiasmo di partecipare. >
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Le tipologie di internet consumer con cui si può stringere amicizia sono così variegate che i passatempi, nati per favorire la socializzazione, risultano piuttosto semplici, se non addirittura elementari. Si ha la possibilità di vivere internet da protagonista, creando e partecipando a gruppi di interesse, ma sono rari i casi in cui si aprano discussioni davvero accattivanti: un amico ti ha invitato ad iscriverti al gruppo Quelli che per non farsi interrogare fingevano di cercare il nulla nello zaino oppure un amico ti ha invitato a partecipare a Pet Society ed ancora Sei stato rapito da un amico attraverso Rapitore seriale. Persone di tutto il mondo desiderose di stringere amicizie via internet, ma anche stanche dei soliti discorsi futili, non disperate l’etere regala uno spazio anche a voi! Cercate, nella rete, stimoli nuovi per la mente, discussioni che solletichino la vostra curiosità intellettiva? Digitate www.intelligentpeople.it e troverete sul primo social network pensato per le persone intelligenti. Nato come community internazionale di dating e networking, approda ora in Italia grazie alla new media agency Medita, offrendo a tutte le persone intelligenti l’opportunità di incontrarsi e intraprendere relazioni. «È dimostrato che chi possiede un’intelligenza superiore comunica meglio con chi è altrettanto intelligente», recita il comunicato stampa inviato dalla Medita. Sulla base di questa analisi IntelligentPeople dà la possibilità a persone intellettualmente simili di confrontarsi e di condividere interessi. Discriminazioni nell’accesso? Assolutamente no, è qui però la particolarità. Per registrarsi basterà superare un test sul Quoziente d’Intelligenza, composto da una serie di problemi di logica e pensato per essere culturalmente imparziale. Questo significa che verrà testata
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la reale intelligenza dei futuri membri della community, senza tener conto del background culturale o del livello di istruzione di chi desidera accedere al network. La vera sfida è dimostrare di essere tra quel 15% della popolazione che possiede un livello di QI, tale da essere classificata come molto intelligente: in pratica quel gruppo di persone a cui si rivolge IntelligentPeople. Niente paura però, ci si può anche allenare con i test del MENSA: basterà cliccare sul link ben in vista nella homepage del sito. C’è chi sui forum lamenta, però, una predilezione di IntelligentPeople verso persone dotate principalmente di intelligenza logico/razionale, a discriminazione di chi privilegia una o più delle altre sei forme di intelligenza di cui ci parla Howard Gardner (psicologo che ha elaborato la teoria delle intelligenze multiple). Che sia vero o meno, il social network ha riscosso un discreto successo tanto che si pensa di seguire tale esempio per crearne altri, che facciano giustizia a chi possiede un’intelligenza musicale, visivo-spaziale. Nel frattempo c’è già chi ha pensato ad una valida alternativa: farsi un giro nel social network dei belli! //
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GOOGLE PER AMICO Il motore di ricerca Google riserva sempre qualche sorpresa. I suoi servizi, oltre a trovare l’informazione giusta al momento giusto, potranno anche salvare, all’evenienza, la vita sociale. Mail Goggles è il nome di un nuova feature della versione inglese di Gmail, progettata per impedire di inviare e-mail imbarazzanti, quando si è troppo ubriachi per potersene rendere conto. L’idea alla base: se non si ha la capacità di risolvere cinque problemi aritmetici in sessanta secondi, non si sarà sufficientemente lucidi per poter inviare un’e-mail, che potrebbe essere compromettente. Si tratta di un componente di Gmail che per default è attivo nel weekend tra le 22 e le 4 del mattino, ma ovviamente si può anche cambiarne data e ora, se la bevuta settimanale inizia il giovedì! Il livello di difficoltà delle operazioni aritmetiche può essere scelto dall’utente al momento dell’attivazione del servizio, ma se il risultato non risulta quello corretto allora “un po’ d’acqua e un bel letto è quello che fa per voi”, come consiglia Mail Googles. In compenso si è salvi, perché l’invio della mail sarà “miracolosamente” fallito!
illustrazione di: Camillo Lo Sasso (iknstudio)
SI PREGA DI SVEGLIARE ALLA FERMATA Chi teme di addormentarsi in metro a ritorno da lavoro? Oppure dopo una serata in centro? Quando il viaggio in metropolitana concilia il sonno, ma si ha paura di non svegliarsi in tempo per la fermata giusta? In Inghilterra gli appisolati viaggiatori possono smettere di lottare contro un pisolino ristoratore, poichè è arrivata l’idea che può salvare dal dilemma amletico “dormire o non dormire…”. Piccadilly Circus, Baker Street, Embankment, e tutte le altre fermate della subway londinese sono contenute sugli adesivi di wake me up at (www.wakemeupat. com), in modo che, indossandoli, gli altri viaggiatori possano svegliare i vicini al momento giusto. Se la fermata non è tra queste, basterà completare gli stickers vuoti con l’indicazione esatta. Un gesto di collaborazione, che crea maggiore solidarietà sociale, ma che per ora ha soltanto una versione inglese. In attesa che arrivi nella Penisola, gli italiani potrebbero farne uso quando, da accaniti turisti della capitale britannica, torneranno in albergo piacevolmente affaticati dai divertimenti londinesi!
COHIBA BEHIKE IL LUSSO DI FUMARE I veri estimatori di tabacco sanno bene di cosa si tratta: Cohiba, il sigaro cubano più popolare ed esportato al mondo. Il Líder máximo Fidel Castro è tra i suoi più fedeli estimatori e a festeggiarlo nel trentesimo anniversario dalla sua nascita c’era anche lui. Una festa “proibita” in cui furono invitate star di Hollywood, nonostante l’embargo commerciale, che ne vietava l’ingresso a Cuba: una vera notte degli Oscar per gli amanti del sigaro! Ora che si è arrivati a festeggiare il traguardo dei quaranta anni, l’azienda ha deciso per una strategia più legale, ma altrettanto proibitiva, almeno per i portafogli. Soddisfare i fumatori più raffinati lanciando un’edizione limitata del suo top di gamma, i Cohiba Behike, presentata al Festival cubano, che celebra questo prodotto da esportazione mondiale. Ben 15.000 euro a scatola, per “il sigaro più esclusivo e più costoso al mondo”, come ha annunciato Juan Giron, responsabile marketing per Habanos S.A., la società che distribuisce in tutto il mondo i sigari cubani originali. Perché sono così costosi? Perché non sono un semplice sigaro, ma un mix di tabacco invecchiato cinque anni, proveniente dalle fattorie dei migliori coltivatori di Pinar del Rio, la Regione, com’è noto, più pregiata dell’isola di Cuba. «È una fusione dei due modelli più popolari di Cohiba, i Lanceros e i Siglo VI», ha spiegato Giron durante la conferenza stampa di lancio. A giustificare un prezzo così alto c’è anche la scelta di un packaging impreziosito da legni rari, madreperla e pelli di razza, come quello di tartaruga. In tutto il mondo verranno messe in vendita solo 100 di queste scatole, con 40 pezzi al proprio interno, accompagnati da certificati di garanzia personalizzati, per gli appassionati che, si presume, le avranno prenotate da tempo. A questo punto, controllate il vostro conto in banca e, se potete, entrate nella schiera dei fortunati che, contro i ritmi fast della vita moderna, avranno il lusso di dedicare tempo a mandare in fumo i soldi.
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CINEMA, CAVIALE E CHAMPAGNE I NUOVI INGREDIENTI DELLA MOVIE EXPERIENCE di Chiara Latini Cinema e cena è il classico binomio, ma che dire se i due intrattenimenti potessero essere combinati nello stesso luogo e soprattutto con un trattamento di lusso? Il cinema, da sempre inteso come divertimento di massa, è un piacere accessibile a tutte le tasche, e l’emblema della sua popolarità è dato dal perfetto abbinamento pop corn e coca cola, che ne completa l’esperienza. Se, però, si è alla ricerca di un’atmosfera sensoriale completa, bisogna abbandonare i soliti clichè con un aperitivo-cena al lounge bar, accompagnati da una flute di champagne, o da un bicchiere di vino eccellente. In alternativa, è possibile, sempre scegliere una cena in un ristorante lussuoso: in entrambi i casi, si verrà coccolati prima di poter godere un film dai suoni perfetti e dalle immagini spettacolari, su confortevoli poltrone reclinabili, in sale stile teatro d’opera o in privè intimi. Si tratta delle sale cinematografiche lounge style:
COCOONING IL PIACERE DI STARSENE NEL PROPRIO BOZZOLO di Bianca Truppa Che le mura domestiche comportino noia? Non tutti sono concordi. Avendo a disposizione una ordinaria connessione internet è possibile incontrare nuovi e vecchi amici, darsi allo shopping virtuale, fare beneficenza e persino contribuire alla difesa dell’ambiente, standosene comodamente seduti sul divano di casa. A questa nuova tendenza gli Americani hanno dato il nome di cocooning, cioè stare nel bozzolo. Il termine è nato nell’ambito dell’arredamento e del design, indicando il desiderio sempre più forte di vivere in casa, di riscoprire l’amore per il
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extra-lusso e tecnologia combinate per incantare i cinofili di tutto il mondo, sperando di sostituire presto i cinema più tradizionali. Esempi in grande stile, lo Shinjuku Piccadilly in Giappone, il più lussuoso cinema al mondo, il Kabuki Theater firmato dall’attore Robert Redford a San Francisco e i Big Pictures, sempre più diffusi negli Stati Uniti, dalla capienza di sole cento persone. A Tokyo lo Shinjuku Piccadilly regala la giusta atmosfera per trasformare un film in un’esperienza multisensoriale e personalizzata: a partire da un ingresso privato, da una sala d’attesa riservata e dall’utilizzo di un ascensore personale. Per circa 300 dollari a coppia, si può vivere il comfort e la riservatezza delle platinum rooms, in cui sdraiati su comodi divani si è serviti da hostess, che propongono degustazioni e a scelta flute di champagne, un’acqua delle Fiji o un bicchiere di Brunello di Montalcino, per marcare l’idea di un contesto che accompagna una tecnologia audio e video di altissimo livello. L’idea del cinema di lusso ha convinto anche Robert Redford che, per sfidare i giapponesi, ha inaugurato il Kabuki Theater a San Francisco (www.sundancecinemas.com): l’ultima creatura della Sundance Cinemas, la divisione cinema dell’impero cinematografico dell’attore hollywoodiano. Una piacevole combinazione tra ristorante di lusso, elegante salotto e ovviamente buon cinema, che coccola lo spettatore con menu raffinati, posti prenotati e un ambiente ricercato. Un cinema che strizza l’occhio al teatro, perché lo scopo è creare uno spazio che spinga gli spettatori a voler restare e poi tornare. Sulla scia del lusso e del teatro, l’altra tendenza proveniente dagli Stati Uniti si chiama Big Pictures. Piccoli cinema che ospitano solo cento spettatori, in cui schermi digitali di ultima generazione si accompagnano a candelieri di cristallo, magnifici drappeggi e il tappeto rosso da gran galà. Una grande somiglianza ai teatri dell’opera che costringe, però, ad abbandonare il piacevole rito coca cola e pop corn in sala.
protettivo ambiente domestico. Cocooning è anche fare in modo che intrattenimenti e vita sociale, di solito fruiti all’esterno, entrino in casa grazie ad internet. Così, ad esempio, dedicato ai maniaci dello shopping è lo spazio virtuale proposto da Virtuy Mall (www.vituy.com), portale italiano dedicato alla compravendita di oggetti di diverso tipo, dall’abbigliamento ai prodotti hi-tech, organizzati in veri e propri store tridimensionali. Se si considera, invece, lo shopping uno spreco di denaro, è possibile provare ad investire e allo stesso tempo fare beneficenza attraverso i numerosi siti che si occupano di microcredito (ad esempio, www.kiva.org). Il denaro sarà così prestato ad un imprenditore in Africa, che lo utilizzerà per dar vita ad un’attività commerciale, ma ai primi guadagni verrà restituito. Se, invece, si preferisce adoperarsi
per la salvaguardia dell’ambiente, non mancano le occasioni offerte dal web, come i pratici portali che aiutano a monitorare i consumi energetici anche grazie a semplici software, che spengono il computer lasciato acceso, dopo aver salvato i dati (Greenpulse). Per coloro che invece sono attenti alla cura del corpo, va segnalato Fitday (www.fitday. com) un calendario on line che, come un perfetto personal trainer virtuale, registra giorno per giorno non solo la dieta e l’attività fisica svolta, ma anche i cambiamenti di umore. A fine mese Fitday mette a disposizione la pagella del proprio stile di vita e una serie di consigli per migliorare in base agli obiettivi di ciascun utente. Ovviamente, affinché funzioni bisogna essere attenti e soprattutto sinceri!
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Mario Moretti Polegato
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intervista
Geox Un business mondiale che nasce per insight Intervista al presidente Mario Moretti Polegato di Manlio Del Giudice
Imprenditore dell’anno 2002 conferito da Ernst&Young, Borsa Italiana ed Il Sole 24 Ore Miglior Imprenditore Italiano nel Mondo conferito da Ernst&Young Global nel 2003 Cavaliere del Lavoro della Repubblica Italiana conferito dal Presidente Carlo Azeglio Ciampi nel 2005 e Grand’Ufficiale della Repubblica conferito da Giorgio Napolitano nel 2006. Laurea Honoris Causa dall’Università Cà Foscari di Venezia e una dall’Università di Banatului, Timisoara in Romania. Master Honoris Causa dall’Università degli Studi di Verona e uno dalla Fondazione CUOA
Quando inventiva e tecnologia si fondono con una naturale vocazione ad essere imprenditori di successo, emergono i tratti di uno tra i più brillanti self-made man italiani: simbolo di caparbietà e tenacia, emblema di fiducia nella propria idea di business, eco moderna della creatività di un popolo di poeti e navigatori, Mario Moretti Polegato, sesto uomo più ricco d’Italia per la rivista statunitense Forbes, è il demiurgo di un rivoluzionario sistema di fabbricazione di scarpe-comfort. Le Geox, che già nel naming simbolicamente collegano la terra (dal greco geo), con il simbolo della tecnologia, la x, hanno rivoluzionato il modo di intendere la scarpa: non unicamente in termini della propria funzione d’uso o di luxury o fashion good; ma anche e soprattutto come effigie di progresso e stile al servizio del proprio cliente. Timoniere di un’azienda con significativi e costanti investimenti annui in ricerca e sviluppo, una forte vocazione alla diversificazione laterale ed allo sviluppo internazionale del proprio business ed una marcata sensibilità alla responsabilità sociale: questo il ritratto di un imprenditore veneto che, a metà degli anni Novanta, pensò di sfidare il proprio passato e di affrontare il futuro, mettendo da parte un family business attivo da tre generazioni nel settore vitivinicolo, per dedicarsi ad una delle più avvincenti avventure al mondo: la scarpa che respira. Mario Moretti Polegato ci racconta, con stile e appeal da vero economista, le sue idee per affrontare la crisi economica attuale puntando su un giusto mix di valorizzazione delle risorse umane, equilibri di mercato e governo, costante ricerca dell’innovazione. >
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Viviamo in un mondo ormai troppo complesso per lasciare che sia il mercato, da solo, ad auto-regolamentarsi. C’è un grande bisogno che lo Stato e le istituzioni promuovano una legislazione chiara ed efficiente.
Nel 1944 ci fu la famosa conferenza di Bretton Woods. Le decisioni prese riguardavano l’obbligo per ogni Paese di adottare una politica monetaria tesa a stabilizzare il tasso di cambio ad un valore fisso rispetto al dollaro, eletto a valuta principale, consentendo solo delle lievi oscillazioni delle altre valute ed il compito, assegnato al Fondo Monetario Internazionale, di ristabilire gli squilibri causati dai pagamenti internazionali. Sulla scia dei grandi summit internazionali sarebbe possibile, ora come allora, risolvere la crisi monetaria con una nuova Bretton Woods? «Sarebbero diverse le possibili soluzioni di carattere tecnico/finanziario ed una potrebbe proprio essere riproporre la politica monetaria di Bretton Woods. Purtroppo, però, non sempre le istituzioni sono pronte o comunque abbastanza snelle e dinamiche, da poter sostenere la crescita di un’azienda, soprattutto nel bel mezzo di una crisi. Lasciamo quindi che i politici facciano il loro lavoro ma, siccome nessuno di noi può sapere quanto tempo servirà per trovare ed adottare il giusto rimedio, il compito di rilanciare il proprio
business spetta nel frattempo ad ogni singolo imprenditore. Un’azienda deve sapersi rendere unica attraverso un prodotto innovativo e destabilizzante rispetto al mercato. Noi ci siamo riusciti quindici anni fa, proteggendo i nostri prodotti attraverso il brevetto. Questo ci ha sicuramente messo nelle condizioni di affrontare la crisi meglio di molti altri. Nel 2008, ad esempio, il fatturato è cresciuto del 16%».
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Mario Moretti Polegato nasce nel 1952 a Crocetta del Montello (Treviso), nel cuore della piccola e media impresa del Nord Est d’Italia. Appena terminati gli studi da enologo e in giurisprudenza, si dedica alle attività imprenditoriali di famiglia, impegnata nel settore agricolo e vitivinicolo da tre generazioni. Negli anni Novanta crea la scarpa che respira ed oggi è Presidente di Geox S.p.A., nonché maggiore azionista del Gruppo. Mario Moretti Polegato ricopre la carica diplomatica di Console Generale Onorario di Romania per il Nord Est d’Italia dal 1997. Alle già citate, Moretti Polegato affianca altre attività legate al mondo imprenditoriale in qualità
Resta da capire, in effetti, dopo un 2008 così tempestoso, se ci si aspetta una stagione di grande regolamentazione. E allora, quanto Keynes e quanto poco Adam Smith nel 2009? «Viviamo in un mondo ormai troppo complesso per lasciare che sia il mercato, da solo, ad auto-regolamentarsi. C’è un grande bisogno che lo Stato e le istituzioni promuovano una legislazione chiara ed efficiente, partendo magari dalle lacune normative che sono emerse con l’esplosione della crisi finanziaria. In questo caso il mercato, da solo, non può fare nulla, e anzi, ne subisce quelle catastrofiche conseguenze che hanno portato alla perdita di milioni di posti di lavoro in tutto il mondo, con tutte le drammatiche implicazioni del caso». Daniel Franklin, Executive Editor della rivista The Economist, ha recentemente affermato che il 2008 è stato l’anno della sostenibilità, ma il 2009 si prospetta all’insegna dell’insostenibilità. A tali affermazioni hanno fatto eco le parole dell’amministratore delegato della Borsa di New York, Duncan Niederauer: «Given the financial crisis, I can’t think of a better time for us all to be together». In queste circostanze economiche più aspre molte compagnie stanno tagliando i costi di spesa per le attività di corporate social responsibility. Lei come si comporterà a riguardo?
di consigliere in diverse società in Italia e all’estero. È membro del Consiglio Direttivo Confederale di Confindustria (Confederazione Generale dell’Industria Italiana). Moretti Polegato dedica parte del suo tempo all’insegnamento della Proprietà Intellettuale facendo lezione agli studenti e a giovani imprenditori nei principali atenei italiani ed europei. La business school internazionale ESCP-EAP gli ha assegnato il titolo di Affiliate Professor of Entrepreneurship per l’impegno profuso nell’insegnamento. Tra gli istituti più importanti che lo hanno recentemente ospitato, si segnalano l’Università di Firenze, l’Università di Pisa,
L’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università Federico II di Napoli, l’Università Cattolica di Lisbona, il MIT di Boston e l’Università di Cambridge. È membro dell’associazione internazionale no-profit Aspen Institute Italia e dal 2004 è fondatore e consigliere della ONLUS Il Ponte del Sorriso, associazione italiana costituita dal Sindacato UIL e dalla Confindustria, che opera in Romania a favore degli orfani minorenni disagiati e a rischio.
«Ho conosciuto Duncan tre anni fa a Davos e da allora siamo sempre rimasti in contatto. Oltre che un caro amico, è sicuramente una persona molto capace e preparata. Non molto tempo fa ho avuto il piacere di ospitarlo qui a Montebelluna dove avevo organizzato una cena di lavoro con alcuni importanti esponenti dell’imprenditoria italiana, per discutere sulla crisi ma anche per parlare di sviluppo sostenibile. Recentemente ho accolto con grande onore anche l’invito del Principe Carlo. Io ed altri imprenditori siamo stati ricevuti presso la Clarence House per discutere sui progetti intrapresi dalla Fondazione Principe, molto attiva sul fronte dei cambiamenti climatici e dello sviluppo sostenibile. Per quando riguarda Geox, già da diversi anni abbiamo istituito un codice etico che contiene l’indicazione di alcuni principi ai quali devono conformarsi i comportamenti di dipendenti, amministratori, collaboratori, clienti, fornitori e, in generale, di tutti coloro che entrano in contatto con la nostra realtà aziendale. Si tratta di un documento vincolante per il rispetto dell’ambiente e della dignità umana». >
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alla Geox School si tengono regolarmente corsi formativi per tecnici, manager e top manager, nonché dei veri e propri master di quattro-sei mesi per i neolaureati Rispetto che dovrebbe essere evocato da ogni azienda se il problema di un Paese danneggia anche altre Nazioni; in tal guisa è considerato il costo della globalizzazione che, tuttavia, garantisce una divisione del lavoro internazionale più complessa e specializzata e dà modo a tutti i Paesi di sfruttare i propri vantaggi competitivi, di impiegare al meglio le proprie risorse, di accrescere lo scambio tecnologico, di ridurre i costi della crescita qualitativa dell’industria e della tecnologia. Cosa ne pensa, dunque, della relazione fra apertura economica e sicurezza? «L’apertura economica è necessaria e la mondializzazione è un processo inarrestabile. Questo ovviamente può generare dei problemi nei mercati interni, ma saranno superiori i benefici e le grandi opportunità, che si verranno a creare per le aziende più innovative e a vocazione internazionale. In un contesto competitivo come quello attuale non occorre essere grandi, basta essere bravi, e sarà proprio grazie alla forte competizione verso la quale ci stiamo avviando che le aziende piccole, ma innovative potranno divenire grandi». La realtà Geox, come d’altro canto tutto l’export made in Italy, in questo periodo di crisi è stato definito il grande miracolo: quali relazioni tra questo miracolo e massimizzazione del profitto? «La bolla è esplosa in America ed è lì che le aziende stanno avendo le ripercussioni più critiche. Ad ogni modo, per noi il mercato americano rappresenta attualmente solo il 5% del volume d’affari. La maggior parte del fatturato lo realizziamo in Europa, dove la crisi, almeno per ora, ha avuto risvolti meno critici. Ovvio che un rallentamento lo subiremo anche noi, ma la flessibilità del modello di business che abbiamo adottato ci ha permesso di continuare a crescere in una situazione che per molte aziende è divenuta insostenibile». Nel processo di sviluppo economico in che modo è possibile bilanciare le relazioni tra governi e mercati? «I governi hanno l’obbligo di promuovere regole comuni ed approvate internazionalmente, in modo da rendere omogeneo il contesto di un mercato sempre più globale e senza frontiere. Se ogni singolo governo emanasse leggi pensando solo al proprio
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territorio ed al proprio mercato interno, ci si scontrerebbe inevitabilmente con il processo di globalizzazione e con le esigenze delle aziende interessate ad una crescita internazionale. Ne deriva l’assoluta necessità, da parte dei governi, di porre regole comuni nell’interesse, non della singola Nazione, ma dell’intero mercato globale. Ovviamente, però, nemmeno bisogna trascurare l’economia nazionale, dove al governo spetta, ad esempio, lo sviluppo delle infrastrutture quale condizione necessaria e indispensabile per appoggiare sia la crescita di un’azienda, che della città e della Nazione in cui questa opera».
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Nato negli anni Novanta grazie all’inventiva ed alla determinazione del suo fondatore, il gruppo Geox opera nel settore della calzatura e in quello dell’abbigliamento, portando avanti la propria missione di innovazione, in particolare orientata ad individuare soluzioni tecnologiche in grado di garantire traspirabilità e impermeabilità. Geox crea, produce, promuove e distribuisce prodotti innovativi protetti da brevetti in tutto il mondo ed opera nel settore della moda classic, casual, sport e fashion per uomo, donna e bambino. La costante focalizzazione sul prodotto, lo stile e la tecnologia italiana, il trasferimento del know-how acquisito a settori merceologici complementari alla scarpa, uniti ad uno sviluppo qualiquantitativo della rete commerciale a livello internazionale, rappresentano i punti di forza dello strepitoso successo di Geox.
“Necessity being the mother of invention comes to mind” Jim Quigley, Global CEO, Deloitte. Oggi è vitale investire sull’innovazione per essere competitivi nei mercati. Ci sono quattro strade che un’impresa può intraprendere per innovare: disegnare nuovi processi, collaborare efficientemente con gli stakeholder, disegnare nuovi prodotti e sviluppare nuovi servizi. Lei a cosa dà più importanza? E perché? «Geox è nata per dare una risposta ad un problema comune risentito
da tutti e relativo all’igiene dei piedi. Realizzando la scarpa che respira ci siamo resi unici rispetto all’intero mercato. Questa è stata sicuramente una grande rivoluzione, ma il prodotto non è l’unico elemento che può essere innovato. Prendendo in considerazione gli altri fattori elencati, è difficile dare un ordine di priorità visto che sono egualmente importanti. Se noi ad esempio ne isolassimo uno, tutti gli altri varrebbero meno. Il successo di Geox è dovuto innanzi tutto ad un mix di quei fattori, cui se ne aggiungono altri come la collaborazione con i centri di ricerca universitari e la formazione. Abbiamo una struttura interna, la Geox School, dove si tengono regolarmente corsi formativi per tecnici, manager e top manager, nonché dei veri e propri master di quattro-sei mesi per i neolaureati. Le risorse umane vengono quindi create e valorizzate internamente, con una grande attenzione anche verso tutte quelle che sono le esigenze extralavorative dei dipendenti. Per fare un esempio, visto
che l’età media dei nostri dipendenti va dai venticinque ai trentotto anni e che molte famiglie stanno nascendo proprio all’interno di Geox, abbiamo realizzato un asilo nido aziendale ed una scuola materna all’interno della nostra struttura. Mondo Piccino, si chiama
così, può ospitare fino a settanta bambini ed è un servizio gratuito per tutti i dipendenti». Dunque valorizzazione e sostegno alle risorse umane possono agevolmente essere considerati principi guida dell’impresa virtuosa; ma quali sono le qualità che ogni leader dovrebbe avere ed i valori personali che possano tracciare la strada verso lo sviluppo globale della propria azienda? «Creatività, passione, visione strategica e, perché no, una buona dose di testardaggine. C’è poi però un’altra cosa, importantissima, che serve a tutelare i frutti di tutte queste qualità: il brevetto. Io sono stato innanzi tutto un inventore. Ho creato un prodotto destabilizzante per l’intero mercato, adottando fin dall’inizio un modello di business centrato sul manage by manager ed investendo molto in ricerca e sviluppo in un settore, quello delle calzature da città, dove l’innovazione tecnologica è poco considerata. Ogni anno investiamo circa il 2% del fatturato in attività di ricerca volte a trovare nuove e più avanzate soluzioni, che garantiscano impermeabilità e traspirazione. Siamo partiti con le calzature da bimbo, alle quali abbiamo aggiunto quelle da adulto, ma da tre anni produciamo anche capi d’abbigliamento. La scorsa stagione, infine, abbiamo lanciato la prima linea di calzature sportive per il running arrivando, oggi, a quelle da golf. Queste ultime nascono da un brevetto unico: la maggior parte della superficie della suola è composta da una rete che, unita alla speciale membrana Geox traspirante e impermeabile, ne esalta le caratteristiche garantendo una supertraspirazione ed impedendo all’umidità, al fango e a tutti gli elementi esterni di penetrare all’interno della scarpa. In questo modo il piede resta asciutto anche nelle condizioni di gioco più critiche. Questo progetto è davvero l’ideale per uno sport come il golf, dove un giocatore cammina per oltre cinque ore e percorre fino a dieci chilometri nelle condizioni atmosferiche più disparate. In quindici anni Geox ha depositato oltre trenta brevetti, ma molti altri sono ancora nel cassetto in attesa che arrivi il momento giusto per poter essere lanciati sul mercato». //
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Economia e management
foto (cc) di: Remo / flickr
Darwish Almoharby Martin Curley Manlio Del Giudice Maria Rosaria Della Peruta Piero Formica Vincenzo Maggioni
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Scientific formulas and cognitive economics beyond in vitro entrepreneurship Vincenzo Maggioni and Manlio Del Giudice
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n a recent study Peter Earl, talking about the cognitive approaches to economics and management, has pointed out how complicated it is for researchers in every sector to deal with disciplinary fields or radically new theoretical approaches compared to one’s own: you walk into real “mine fields”, where nominalistic conflicts arise and it appears arduous to move among new definitions, concepts, objects of study, theories, “heuristics”, literatures or empirical methodologies. Cognitive economics, a very recent current of study, synthesis of economics and knowledge management, is probably the most fitting example of such evidence: despite the announced difficulties, the sector seems to represent nowadays really more than a vague promise for the future developments of the studies of business economics. According to the French economist Bernard Walliser, it can be defined as the “study of the functioning of reasoning modalities and its adjustments accomplished by the economic agents in their interactions”. Its main target is to “push the economic and managerial theory to take into account the cognitive processes of the individuals, both at the level of the agent and their dynamic interactions and the collective phenomena resulting from them”. Although it is a very young discipline, nonetheless, in the last years, it seems it has entered a condition of relative maturity, as testified by its evident forms of institutionalization: the relevance of its themes can be found in the interpretation which can be given of it as point of synthesis and more promising interpreter of the connections between the cognitive relations of the individuals, at the base of the processes of learning and knowledge transfer, and the world of entrepreneurship. Cognitive economics, as everything that is new and tends to break consolidated schemes, offers numerous elements, that, if seen with the glasses of orthodoxy, may appear contradictory. In fact, the heterogeneity of the basic themes and the background of the group of theorists
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who have mainly contributed to the development of such discipline (Simon, Hayek, North, Walliser, Egidi) return a quite variegated mosaic of the discussed themes: from experimental economics to the economics of the organizations; from methodologies of simulations to evolutional and institutional economics; from the studies about rationality, learning and intelligence to those about collective behaviour, such as herding behaviour. Many of the axioms of cognitive economics are, moreover, also used by researchers in the field of marketing and management. The above mentioned elements point out how much cognitive economics is the fruit of an intense “transepistemic” communication involving considerably heterogeneous disciplinary areas: for this reason, its most tangible application can be nowadays found in the dialogues between science and management and between cognition and entrepreneurship. This partially explains the highly innovative features of such approach, because this precise type of communication is not rarely at the base of the “breach” of consolidated theoretical paradigms and the identification of new and often unexpected associations among phenomena, behaviour features of the academic inventors or the mechanisms of knowledge transfer at the base of laboratory life. In front of the evidence of the phenomena of enterprise creation which can originate, spontaneously or in an inductive way, in the research contexts, it becomes primarily necessary to face systematically the paradoxes of orthodox economics properly highlighting the relevance of the cognitive dimension of human action at the base of the processes of numerous academic inventors. As observed by North, the neoclassical approaches based on rationality represent, also in a more general way, “imperfect tools to solve economic problems”: in fact, in the reality of the enterprises and imperfectly competitive markets characterized by “frictions” deriving from an unequal distribution of the information, by the imperfect modalities of application of
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the agreements and by the presence of political forces which weigh on their functioning, are, at last, the beliefs of the actors and their cognitive interactions with the surrounding environment that determine their choices. In some contexts, it is not sufficient to adopt strategies à la Milton Friedman, according to whom it is not necessary that the models of substantial rationality have a power which describes the behaviour of the single actors. Nevertheless, cognitive economics offers a quite peculiar point of observation to the matter, proposing an interdisciplinary approach based on the influence of higher education and knowledge not only on the processes of new research based entrepreneurship, but also on the subsequent processes of governance, problem solving, choice, decision making, as well as the similarity between the modus agendi of the entrepreneurs and the one of the scientists in the laboratories. For Simon a fundamental aspect, in this context, is represented, besides one’s own set of basic knowledge, also by dynamic learning, as necessary tool to build the representations of the situation which are essential to proceed in the action. The outlined description if, on the one hand, contributes to the apperception of the limited awareness of rationality in the choices and entrepreneurial inclinations of the academic inventors, on the other, points out, in return, the strong influence of factors which aren’t predictable ex ante, as the relational and emotional ones, in knowledge transfer and in the mechanisms of enterprise creation from science based contexts. In the light of the developed considerations we can well understand how vital it is to monitor the modalities by which individual and group processes, of learning, sharing and transfer of knowledge and decision making which influence the behaviour of the subjects in the described contexts occur, as well as the influence that the interrelations among the individuals can exercise on such processes. The institutional dynamics of the laboratories and the Research Centres,
as well as “micro-fundaments” of psychological nature, mostly belonging to the sphere of the individual, show, also, other relevant noteworthy aspects: especially from the literature a phenomena seems to emerge, connected with science based enterprises, their start up, affirmation and action, as well as the establishment of the organized social actors, that deeply affect the economic dynamics and the entrepreneurial intentions of researchers and scientists.
Vincenzo Maggioni is Full Professor of Business Management and Dean of the Faculty of Economics, Second University of Naples Corso Gran Priorato di Malta, I-81043 Capua (Ce), Italy Tel. +39.0823.274350 Fax +39.823.622984. vincenzo.maggioni@unina2.it. Manlio Del Giudice is Professor of Corporate Organization, Faculty of Management Education, University of Naples “Suor Orsola Benincasa”, Via Suor Orsola, 10, I-80135 Tel. +39.0823.27405 Fax +39.0823.274051 manlio.delgiudice@unina2.it The present article is an abstract reprint of the main article published on the journal Industry and Higher Education, 6, December, 2008.
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LABORATORY Box 1 EXPERIMENTS AS A TOOL IN EMPIRICAL ECONOMIC ANALYSIS OF HIGH-EXPECTATION ENTREPRENEURSHIP
Technology meets ambition: Ryanair
Martin Curley and Piero Formica There is no such thing as a failed experiment, only experiments with unexpected outcomes. Richard Buckminster | US engineer and architect, 1895-1983 It doesn’t matter how beautiful your theory is, it doesn’t matter how smart you are. If doesn’t agree with experiment, it’s wrong. Richard Feynman | American theoretical physicist, 1918-1988
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nce technology advancements met entrepreneurship then market novelties are created over time and turned into high-expectation start-ups, which are firms launched by ’high-expectation’ entrepreneurs with the aim of significantly growing their companies (Box 1). These firms pursue the commercialization of innovative new processes, products or services. That encounter is a force that tends to push the economy away from a state of equilibrium. In fact, highexpectation entrepreneurship provokes disequilibrium, which is a state of change-induced imbalance with no tendency to stasis. We can say that high-expectation entrepreneurship is high-impact entrepreneurship – the kind that drives the growth of technology industries and one of the factors that contribute to shape the economy as an open, complex adaptive system. High expectation entrepreneurship deserves special focus because of its oversized impact on economic growth. According to the Global Entrepreneurship Monitor, less than 7% of nascent entrepreneurs expect to employ fifty or more employees within five years, however the economic impact is disproportionally positive as highexpectation entrepreneurs are responsible for up to eighty percent of total expected jobs by all entrepreneurs. Also as an example for a
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An outstanding example of the growth that can occur when technology advancement meets entrepreneurship is that of Ryanair. At one point a small struggling Irish regional airline, it’s oversized ambition began to be realized when a business innovation it copied from Southwest airlines intersected with the emergence of the internet and internet reservations systems which dramatically reduced the transaction and distribution costs associated with passenger reservations. In this case Ryanair were able to adopt Southwest airline’s tried and trusted model of point-to-point flying, coupled with a single aircraft type fleet to minimize fleet total cost of ownership whilst flying into smaller regional airports with lower landing charges. While this model was successful Ryanair was limited by the ability to scale its own call centre to handle expansion of its business. The arrival of internet and internet reservation systems enabled Ryanair to scale new routes and quickly improve yields through a ubiquitous internet interface and computer based yield management systems. As Ryanair introduced new routes, passengers had immediate and easy access to low fares and a network type effect was created. Almost
overnight Ryanair was seen as a transformative force in European airspace, creating a medium for not just low cost holidays but more importantly also a platform for enabling entrepreneurship in Europe as travel costs associated with business meetings became much more affordable enabling new physical connections and meetings to take place, creating new options and enabling new business. These kinds of physical interactions could not have taken place in the prior prohibitively high airfare environment that existed. The fact that at one point Ryanair’s market capitalization surpassed the total value of Lufthansa and British Airways combined shows the power of high expectation entrepreneurship. It is important to note that prior to the success of Ryanair, multiple different business model experiments were tried which burned real capital. The presence of an experimental lab environment which could simulate different business models taking into account consumer behaviour, regulatory changes and other environmental factors perhaps could help similar high expectation entrepreneurial activity avoid some expenditure and accelerate the path to profitability.
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group of highly developed countries a 1% increase in the general rate of entrepreneurial activity raises economic growth by 0.11% whilst a 1% increase in high growth entrepreneurship yielded a 2x multiplier effect with a 0.29% increase in GDP growth. (Stam et al, 2007). High-expectation entrepreneurs (Box 2) exhibit oversized ambitions that mould unpredictable growth patterns: from exponential and oscillating to declining and collapsing trends. As long as those entrepreneurs inject in the economy free energy, which corresponds to the flow of information and human interactions in view of new venture creation charged with high expectations, the system remains open to all possible states: sometimes being near to equilibrium or in an equilibrium-like state, some other time exhibiting a position too far-from-equilibrium. Additionally a variety of management responses to disequilibrium states can lead to under damped, over damped or critically damped management responses due to the associated uncertainty and likely high velocity of the venture. Moreover, complexity and adaptation emerge as significant characteristics of the economic system insofar as all agents involved in the creative process of high-expectation new ventures interact and adapt to each other and the context in which they are embedded. Purposeful, high-expectation entrepreneurs explore with new eyes the uncharted territories of unforeseen circumstances and undiscovered opportunities. This differs from the expansion of existing business where much is known already about a business and many assumptions are fact based, derived from prior data. From scratch entrepreneurs grow new markets, which are evolutionary organisms effective at innovation (Box 3). Complex problems they tract get empirical validation in laboratory experiments where the function and performance of high-expectation start-ups are evaluated. The results of experiments give entrepreneurs, financiers and policy makers a deeper understanding of the actual workings of real-world new markets. Experiments point out how highexpectation entrepreneurs should cultivate market outcomes, which behaviour should guide trust building between the formers and their potential financiers, and how policy makers should design and test “rules of the game”. Persistent beta states for the business model and underpinning venture offerings become the norm. Rapid experiment iteration and rapid solution prototyping go hand-in-hand for the high expectation entrepreneur, with plateau’s of stability introduced to the iteration cycles, to enable commercialization and value capture from the evolving offerings. The educational context under which high-expectation entrepreneurship could be cultivated would draw
Box 2 High-expectation entrepreneurs High-expectation entrepreneurs account for just 7% of global start-up activity. However, they make a disproportionately large contribution to economic prosperity and job creation. The high-expectation entrepreneur is typically a young male, has a higher education, comes from an upper-income household and has little fear of failure. According to a report from an international audit and advisory organization: 1- Education and household income, as well as entrepreneurial activities and attitudes, were significantly associated with highexpectation and high-growth entrepreneurship. High-expectation and high-growth entrepreneurs had a higher level of education than other entrepreneurs and the general population. 2. Only 30% of all categories of entrepreneurs were women, whereas less than 25% of the high-expectation and high entrepreneurs were female. 3. An individual’s decision to launch a new venture is affected by both the environment, and his or her personal characteristics and skills. “It’s a combination of these two elements that determines whether a particular opportunity has potential for growth in the eyes of any potential
entrepreneur,” said Hilton Saven, senior partner of Mazars Moores Rowland, the South African arm of the Mazars group. 4. There is a sharp division between early-stage, high-expectation entrepreneurs and their already established high-growth counterparts. Almost 20% of the early-stage group were between 18 and 24 years old, while only 3% of the established group fell into this age bracket, with more than 50% over 45 years old. Source: Report released by accounting and advisory group Mazars, in collaboration with the Global Entrepreneurship Monitor. The report was based on interviews with 678714 adults spanning 53 countries over a period of six years, making it the largest study of high-growth entrepreneurship yet conducted. It provides important clues as to the make-up of the high-expectation entrepreneur. Quoted from Sanchia Temkin, “Entrepreneurs ‘not solution to unemployment’, Business Day – News Worth Networking, Saturday, 16 August 2008
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benefits from experiences made in the medical schools where different performance learning modes are created whose real impact is part of the educational and research activity. In particular, a business school should go beyond doing detached diagnoses, to really developing experiments, even of a therapeutic kind, and testing them clinically in interaction with private and public organisations. In Ireland, the Irish Management Institute have established a biz labs program to support this kind of experimentation focussed on broader organizational challenges. IMI BizLabs operate as a business think tank offering active communities of interest focused on specific organisational challenges working through • Solution driven research addressing current business challenges • Industry led collaboration with organisations to co-design solutions • And ongoing research team investigation
experiments, simulations and clinical treatments Experiments Defined as a “managerial behaviour which consistently exploits opportunities to deliver results beyond one’s own capabilities” (Thompson, 1999, p.209), entrepreneurship requires enterprising individuals who can identify new opportunities and implement accordingly. Thus, entrepreneurship is a skill, learned through experience and improved with practice. With experience as the centrepiece for entrepreneurial development, the probability that entrepreneurs will learn from their experiences greatly increases. Entrepreneurs continuously accumulate experience by conducting and evaluating experiments in the marketplace. Prior to their injection into the market process, inventing and innovating would-be entrepreneurs can find in economic experimenting labs a new locus for experimental activity. Experiences made inside the lab give rise to a range of views, which helps the decision maker limit his exposure to risk and uncertainty in the course of actions once field experiments must be carry out in the marketplace. Laboratory experiments test propositions derived from new business ideas, which, on the basis of experience, need to be processed by
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Box 3 Innovation Innovation is the tool of the entrepreneur (Drucker, 1993). Innovation is the introduction of something new which creates value for the organization that adopts it (Curley and Baldwin, 2007). Experimentation for the entrepreneur will often focus on adoption of the innovation and the value that is created for both the end consumer of the
innovation and the entrepreneur and the potential ecosystem that is required to deliver the innovation. For an innovation to be sustainable the innovation has to deliver value to the end consumer, the entrepreneur and the innovation and delivery ecosystem, otherwise the innovation and entrepreneurial activity half life will be short.
monitoring and revising assumptions underlying and performance/ reward predictions ingrained into those propositions. In labs, participants learn the language of the market through: • Conducting a test or investigation • Direct observation of events (Box 4) • Participation in social interactions with their peers • Placing the learner under realistic conditions in order to imitate or estimate how events might occur in a real company, in the related industry, in the marketplace, et cetera. Learning from experience and implementing the experimental results are two essential steps high-expectation entrepreneurs have to consider for the purpose of reducing the level of risk intrinsic to new ventures focused on innovation. Experimental results indicate policies to be developed which can significantly reduce the start-up time. Less time needed for completing a start-up launch means that start-up costs are lower, much less the upfront capital that is required, and higher the probability that new start-ups are getting started. Moreover, experimental results trace the road conducive to interactions between established firms and experimental ventures. Through interactions, the latter could derive benefits from the accumulated experience of the incumbents in terms of accelerated innovation and growth.
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Equally relevant is the re-evaluation effect. On the basis of experience, the conclusion can be reached that experimental businesses have to change direction. Such an experiment-induced behaviour, pursued by high-expectation entrepreneurs who see lab experiments as a potential stimulating way of evolving their business, is a source of advantage over the established firms, which interpret bad results as a consequence of underperforming managers rather than the outcome of wrong predictions. Last but not least, since pattern recognition is an inherent feature of our nature as human being, laboratory experiments must carefully consider the possibility to give ambitious entrepreneurial individuals seeking fast growing business opportunities a chance to experiment and learn how to become pattern-completers. Those who underperform having difficulties along the process from pattern recognition to pattern completion can get help from lab clinics.
Simulations Business simulators situate players in a virtual situation where they have to make decisions. Simulations pushes them not only to think, but also to understand how the real business world is, what they should keep in mind, and how their decisions affect the performance of a whole company (Box 5). The simulation process is an interactive learning method where the goal is to learn business by doing business in a risk-free environment. The learning player will have to make decisions to start-up and run his/her company according to different simulation stages: from the actual marketplace related to the business idea so that the simulation can run according to “reliable” data (like competitors, market share, sale of similar products, average pricing, alternative products, etc) to the generation of random data by which to discover unknown happenings or scenarios in a way that is close to reality. It is important to note that simulators, as learning tools, increase performance, enhance the development of business and entrepreneurial skills and reduce costs of making errors in real life. A correct interpretation of results can help to provide meaningful feedback to players so that they can adjust their efforts to master the subject matter. More than wining, the objective is to learn how to behave in certain circumstances; that is the real value of playing a “smart game”. >
Box 4 Events in process New product/service ideas are events in process, which call for a set of abilities in order to reduce the high level of risk intrinsic in the process from creativity to implementation of the business idea.
the team members.
Laboratories performing experiments on business ideas put in motion a chain of events. Examples of events in process are:
Consumers’ preferences, which are unpredictable and subject to continuous transformations (von Hayek, 1944), are submitted to a process of discovery – albeit imperfect it is for perfect rational decisions are often not feasible in practice (Simon, 1957).
The business idea is absorbed as a nutrient into the body of the founding entrepreneurial team. Then, it is disseminated among
Knowledge prior to action is closely and dialectically interwoven with actions deemed pertinent to discover which facts are relevant to the business idea under investigation.
Box 5 Objectives of simulations •
To interpret correctly realworld (simulated) situations and train players’ abilities to make and quantify decisions.
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To be familiar with the creation of new ventures, and all aspects involved.
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To carry out critical analysis of complex business interrelationships.
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To manage growth and organizational change.
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To gain clarity on the consequences of decisions to be taken.
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To draw up and systematically make use of objectives to run a company.
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To improve strategic thinking, link strategies to objectives, and then link these objectives to decisions.
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To improve teamwork and organization.
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Clinical treatments If experimental and simulative approaches try to prevent too dangerous and too expensive real errors to happen once start-ups are immersed in the actual workings of real-world markets, the clinical approach intends to heal the disorder encountered during experiments in labs or in living, taking on the role of therapeutic counsel who fights against its clients’ diseases. Clinical treatments turn patients from passive and low expectation to active and high expectation players, who challenges what business expert say, seek second opinion, and actively collect information.
Entrepreneurial experimentation By entrepreneurial experimentation we mean a method that relates a business concept to an experiment, which stimulates the concept creator to build upon that concept as it has been experimented in lab. Since the opportunity cost of experimentation decreases with the increase in the value of a new business formation, we can expect that high-expectation entrepreneurs whose high-value-added business propositions bear low opportunity costs reveal a propensity for conducting experiments higher than that of entrepreneurs pursuing low-value-added activities. Would-be entrepreneurs start with beliefs and ideas they want to turn into a business. By running experiments, business ideas move from an embryonic stance to their full manifestation in the form of new ventures. In particular, conducting experiments gives potential entrepreneurs with high-expectation ambitions the opportunity to get the ability to mobilise their new ideas so as to anticipate changes, take a chance on the future, and organise the context that does let those ideas win access to the marketplace as reasonably successful business propositions. Quantitative and qualitative data collected during experimental (and clinical) exercises make easier to ask for support from financiers, evaluate pros and cons of pure financial backers versus strategic partners, seek industrial allies, and hire employees. Anyone familiar with high-expectation start-ups knows the key to success is having access to the participation of experienced people who bring both talent and funding to the new venture.
Exposure modes Would-be entrepreneurs are agents exposed to modes of experimentation, which are either analogical or conjectural. The
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former accomplishes the task of shrinking the entrepreneurial agent’s area of known ignorance about her/his business idea. Analogy-based reasoning can be applied to the known unknowns of a new concept whose business domain holds attributes that match with those of another domain. The analogical situation is represented by a typical case-based approach. Past cases from a different domain are used to choose possible solutions for problems incurred with the new idea. The conjectural mode proceeds by trial (i.e., spontaneous, serendipitous discovery of building blocks of the business idea under experimental scrutiny) and error (i.e., elimination of arrangements that subsequently result inappropriate). High-expectation business concepts sail into uncharted waters as they exhibit unfamiliar traits of novelty and complexity. The entrepreneurial agent, who is unaware of her/his ignorance, is exposed to a voyage into the unknown unknowns. Thus, high-expectations propositions cannot be treated by analogical reasoning and, specifically, by case-based reasoning. When no apparent rules or commonalties can be applied, trial and error is the approach that can back the tasks required by an imagination- and conjecture-based process of discovery. The major cost of this approach is the time invested for yielding a solution from the iterative process triggered by selecting what ex ante looks like the most suitable choice set. If something does not work, the process has to be iterated until the appropriate answer is founded.
Experiments in collaboration Agent-based experiments on the nature and perspective of international start-ups Experiments in collaboration involve people keen to communicate across their knowledge boundaries. Main objects for collaboration are macroeconomic and social changes such as those brought about by the creation of international start-ups. Until recently, global business was considered reserved for large multinational corporations and business conglomerates. Increasingly, however, there is a realisation that entrepreneurial firms have a crucial role in international business (Mtigwe, 2006). Indeed, the steady proliferation of internationalisation has led to the inevitable development of entrepreneurship without borders (Formica, 2005). Experiments in collaboration concerning this particular atmosphere in which the entrepreneurial conditions for new venture creations are exposed to international tensions and pressure are a prologue to micro experiments focused on a given potential venture opportunity.
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A kind of collaborative experiment on the nature and perspective of international start-ups has been carried out at the University of Tartu (Estonia) 2006-07 master’s class in entrepreneurship whose participants are would-be founders of new firms. Teams of 3 to 5 students, all engaged in content and context business processes aiming to new venture creations, have been at the heart of a collaborative experiment to test cultural values, psychological behaviour and business approaches to international start-ups. By running an experiment session, master’s students earned introspection leading to search for conscious open mindsets along their processes of new venture creation. The experiment made it clear that the ability to effectively manage and capitalise on international start-ups poses numerous challenges. Few start-ups whose founders are embedded in different countries and cultures may be successful, and even more may fail, but the knowledge required to flourish may not be found in textbooks, but rather in one’s fellow classmates halfway across the globe. Participants have pinpointed internal and external environmental conditions (Tables 1 and 2) conducive to cross-border start-ups. Encompassing the facets of decision-making, customer service, distribution and communication, the internal environment of internationally founded firms proves promising for students. Citing greater creativity and innovation, along with a better understanding of local values and customer demands leaves the benefits largely outweighing the shortcomings. Concern has emerged vis-à-vis delays in decision-making and deliveries, along with miscommunication between employees.
Internal environmental condition conducive to international start-ups Decision Making
Communication
internal environment
As for the external environment, participants have easily identified the political and legal benefits of internationally founded firms. Other economic factors such as currency volatility have been less distinguishable. Concerns have been expressed regarding difficulties in integrating legal and political facets of each individual country along with cultural clashes between employees. These uneasy factors, however, have been largely outweighed by reassurance factors such as increased access to technology and access to foreign currency hedging.
External environmental condition conducive to international start-ups
political & Legal Forces
sociocultural Forces
external environment
Technological Forces
economic Forces
Table 3 highlights a mind map showing the overall results of the collaborative experiment conducted at the University of Tartu, in the pursuit of actions conducive to new venture creation by means of international start-ups founded by master’s students in entrepreneurship. >
Customer service
suppliers & Distribution
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Mind map by would-be founders on the nature and the perspective of international start-ups
Market
+ Better understanding of customers demands + enhanced customer trough trust and communication + Greater access to financing options and foreign currency hedging + Find new markets + Change target market(s) + New solutions + Broader view angle
international team
+ Global talent pool + Remove country barriers + enrich competences + New channels to broader the business + strong sales argument + increasing revenues attract investors + Trust building
- Clients in the market cannot define origin of the start-up
Culture
- Language barriers - Communication takes more time because of very different time zones
Decision making
- Different beliefs, views and opinions affect the decision making process because finding the common agreement may take more time then usual - Less solutions suitable to all parties
- Longer reaction time
international start-up
+ Meetings of the founders need additional financial resources for people must come togheter from different countries + Better understanding of local values that may impact decisions + Good negotiating and mutual communicating system + Tolerant atmosphere to ignore every kind of misunderstanding
+ thriving of cultural diversity + others viewpoinrt + More questions of “why” and “how” can come up; which will lead to new ideas + Follow each other’s best management practices + With each founder bringing different languages to the firm is able to communicate effectively with a broader range of countries + enhancing the level of customer service
- Difficulty in integrating legal and political facets of each individual country
politics, policies and laws
+ Take benefits from different laws and policies + Option to move HQ and offices based on incentives
- Red tape barriers
Source: Lab Experiment on the nature and perspective of international start-ups carried out at the University of Tartu (Estonia) 206-07 master’s class in entrepreneurship
‘Periodic table’ of experimental elements An experimental lab, wherein business concepts are processed, can be looked through the kaleidoscope of its experimental elements. Each experiment consists of n experimental elements, which are organized in groups. We have identified five element groups: i.e., Inputs, Process, Actions, Outputs, and Impact. The five groups and their elements (we have identified 18 of them) are displayed in a ‘periodic table’ of experimental elements. In Table 4, elements belonging to the same group are arranged in vertical lines. The proximity of a given element to another one depends on the intensity of their reciprocal interaction and influence. Higher the interaction and influence, closer they are. Since economic experiments compete with one another and each experiment is unique and unreplicable, for a given starting condition – i.e., a given
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business concept – no deterministic law can be drawn as to the placement of the elements in the periodic table. Notwithstanding, experiment after experiment an adequate cumulative experience can be accrued, which results in probabilistic predictions of a given element’s relative intensity in terms of interaction and influence. The layout of Table 4 is one of n examples of how experimental elements interact and affect one another. Horizontal lines, called “periods”, show two different experiments triggered by two different business concepts. Table 4 can be refined and extended over time as new elements are identified, new groups are created and new predictive models are developed to explain the entrepreneurial behaviour over a given business concept process.
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input
process
actions
Outputs
impact
bC 1
AN
TE
EIb
SF
bC 2
CO
IN
LTS
FP
DE
LSC
IA
PSN
CR
HE
PLR
HPS AEF
BC business concept aN analogical CO conjectural Te test iN investigation De direct observation of events psN participations in social networks pLR placing the learner under realistic conditions eiB experiment-induced behaviour LTs less time to complete a start-up lunch LsC low start-up cost
CR much less upfront capital required Hps higher probability new start-upsŁ are getting started aeF source of advantage over estabilished firms, which interpret bad results as a consequence of underperforming managers rather than the outcome of wrong prediction sF support from financies Fp evaluate financial backers vs strategic partners ia seek industrial partners He hire employees
Summary This paper has introduced and emphasized the relevance and importance of high expectation entrepreneurship as a driver of economic growth. Entrepreneurial ventures differ dramatically from extensions to existing businesses in that little is know and much has to be assumed. Using a translational innovation approach paradigms borrowed from both experimental research and the practice of medicine have been overlayed as vectors for accelerating the experimentation and validation of business models associated with high expectation entrepreneurship. The ability to transpose, test and iterate new business ideas and models in a laboratory environment has significant potential. Emerging software platforms which can simulate markets and consumer reactions or help predict demand for new products, when coupled with approaches such as Discovery Driven Planning (McMillan and McGrath, 1995), can lead to rapid learning, iteration and preliminary validation of a new business idea, mitigating risk, avoiding potential costs and maximising revenue potential.
References Baldwin E. and Curley M. (2007), Managing IT Innovation for Business Value, Intel Press Drucker P. (1993), Innovation and Entrepreneurship, Collins Formica, P. (2005), The Argument for International Entrepreneurship in the Knowledge Economy, in: Structural Change in Europe 4, Entrepreneurial Spirit in Cities and Regions, Hagbarth Publications Hayek F.A. (1944) (ARK edition 1986), The Road to Serfdom, London: Routledge and Kegan Paul McGrath R. G. and MCMillan, I. (1995), Discovery Driven Planning, Harvard Business Review, Volume 73, No. 4, July-August Mtigwe B. (2006), Theoretical milestones in international business: The journey to international entrepreneurship theory, Journal of International Entrepreneurship, 4(1), 5–26. Simon H. (1957), A Behavioral Model of Rational Choice, in Models of Man, Social and Rational: Mathematical Essays on Rational Human Behavior in a Social Setting,Wiley Stam, Erik, Suddle, Kashifa, Hessels, S. Jolanda A. and van Stel, Andre J. (2007) High Growth Entrepreneurs, Public Policies and Economic Growth, Jena Economic Research Paper, June, No. 2007-019 Available at SSRN: http://ssrn.com/abstract=1019429 Thompson J. (1999), The world of the entrepreneur – a new perspective, Journal of Workplace Learning: Employee Counselling Today, 11(6), 209-224 With the contribution of Intentac’s Gaetan Cantale and Silvina Tejada.
Martin Curley is Professor of Technology and Business Innovation at the National University of Ireland, Maynooth and Senior Principal Engineer and Global Director of IT Innovation and Research at Intel Corporation Piero Formica is Dean, International Entrepreneurship Academy (Intentac) at the Jonkoping University and Professor of Economics, International Business School, Jonkoping University
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Business education addressing the ‘what’ question Darwish Almoharby
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any young graduates around the world increasingly aspire to establish new business start-ups or become self-employed. In many cases this aspiration meets success, but for others this may become a financially disastrous endeavor. Many of these perhaps lack necessary training, experience, and more importantly enough financial support to cater for their businesses. In many cases, some of these assume the risk of establishing business ventures, driven most of the time, by such factors as guaranteed employment and other financial rewards. Nevertheless, in so doing, many of them end up suffering failure and incurring huge debts because they resort to money lending agencies or to family and friends’ support. Governments on the other side aspire to maintain political stability, economic growth, and sustain social and human development through the creation of appropriate job opportunities. The two strands, the individual and the government, confront different but interrelated sets of challenges. Governments and individuals often find themselves forced to conform to international standards and benchmarking. ‘Conformity’ to international standards is extremely important in order to achieve meaningful and beneficial international interactions. This is no longer a choice but a prerequisite to business sustainability. This has brought a new order to the business landscape worldwide. In order for governments and individuals to build their business capacity they need to respond appropriately to environmental changes nationally and internationally, and they have to do this in a timely manner. For many decades, business schools have occupied a central place in the preparation of business persons and experts in the wider spectrum of business, economics and others. Nevertheless, business education has also been the recipient of skepticism and debate. A central argument has been evolving around the area of adaptability of business education to current days and foreseeable future. Less innovative and less creative economies are doomed to fail. Countries that are unable to respond appropriately to the changes in business landscape may find themselves lagging behind, or worse may lose any competitive advantage they may have. More importantly they may end up with weak locally-driven economies that in longer terms become a burden rather than a driving force for social
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development. Entrepreneurship is more than a business area; it is a ‘life skill’ and increasingly seen to play effective roles in industrial renewal and economic growth in the face of a declined traditional industrial sectors, a transformation seen to introduce and firmly assert a knowledge based activity in place of industry and manufacturing streams, a change ‘as great as the industrial revolution’ itself. Students also seem to be well aware of this important development and its eminent consequences. In New Zealand for example, as industries require more creative personnel to sustain their operations, they increasingly consult and seek formal partnerships with business schools to keep up with technological developments and to ensure that their graduates are as work-ready as possible. This represents a new way of thinking about the economy, where innovation, creativity and entrepreneurship take center stage, paving the way for social, cultural, and environmental priorities. Sometimes entrepreneurship is seen as the panacea for social and economic mishaps, a prescription for ‘regenerating economies’, and in some instances the motive for engaging in entrepreneurship programs is for the simple survival of individuals. In other cases the need for entrepreneurship is far more pressing as we learn about South Africa. Jesselyn & Mitchell recommended that young adults undertake training in the field of entrepreneurship in order to confront problems of crime, corruption, mismanagement and unemployment. It is also recommended that in order to achieve this aim, South Africa must revitalize its economy through the rediscovery of the entrepreneur who takes risks and breaks new ground and innovation. In the view of Kimenyi & Mbaku the likelihood of African countries accelerating their efforts to nurture durable democratic systems, as these will eventually pay off in better and more effective resource allocation systems and sound economic systems, depends on enhancement of entrepreneurship and wealth creation. It is this entrepreneurship enhancement some argue that placed the USA in the driver’s seat of the international economy. In China, and with the increasing scope of internationalization, particularly through WTO agreements and the like, family run SMEs are now widely recognized as integral contributors to the marketization and internationalization of Chinese economy. Concomitantly, and as entrepre-
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neurship sustains its vibrancy, and as more governments realize its adequacy to economic and social development, its role becomes more nationally and internationally rewarding. Moreover, as small businesses nullify larger organization, at least in the creativity aspect, entrepreneurship and SMEs look set to gain more momentum and wider recognition. But first, how do economies reach a stage where entrepreneurship is both effective and beneficial for governments and individuals? In the narrow sense, the elements of education and systems vis-à-vis policies and governance need to be illuminated. With the simplest definition of management being working with and through people, the human element abounds. The whole issue of entrepreneurship needs to be modularized in order to understand its wide range of consequences. In addition to this, there is also a need to differentiate between entrepreneurship as a form of business operation and entrepreneurial conduct. It is perhaps fitting to argue here that entrepreneurial conduct is the grease that keeps the wheels of nations moving smoothly. This conduct requires nurturing and good care which comes through a spectrum of elements not least through proper education. At any rate, it does not serve justice to entrepreneurship viewing it in the narrow tunnel of self-employment, since it provides wider contributions in the process of acquiring knowledge and skills necessary for varied careers. It may also be appropriate to argue that when economic and social affairs in countries huff and puff, policy makers usually resort to education as their savior. Education and economy have an interdependent relation, success or failure in one makes it either easier or more difficult to address the other. In addition to increasing competition in academic market, education systems confront ever-increasing difficulties in maintaining requisite funding levels from governments and fee-paying students and parents, and more importantly in legitimatizing their existence. So what questions may confront governments and business education, particularly in the area of entrepreneurship and SMEs? Four important questions that lend themselves here are asked by Levenburg et al (2006): (1) To what extent do students across the university population possess the characteristics that are commonly viewed as indicators of entrepreneurial intent, (2) To what extent do students have
an interest in innovating new products or services? (3) What is the level and extent of interest in taking new venture courses (i.e., entrepreneurship)? (4) Are there differences between business entrepreneurship and non-business entrepreneurship in regard to their entrepreneurial intent and interest in entrepreneurship curricula? In their study, Levenburg et al (2006) found that ‘entrepreneurial spirit is alive and well across the university population’ since a recognizable percentage of students showed aspiration toward engagement in the field of entrepreneurship regardless of their academic specialization. Levenburg et al (2006) suggest that business schools look beyond their own traditional constituent and majors. This they believe will position them well to widen their role by asserting a more interdisciplinary approach by serving a wider university students’ population. This in turn means that series of actions should take place. First business schools should redefine their visions and missions. Second they need to reshape their market scope to evaluate the roles that they may play in supporting this new initiative. Thereafter more micro level actions are required. These range from developing the curriculum and courses, to modifying their marketing and admission criteria and beyond. The call for more research in this area of business is justifiable and extremely necessary. Many countries around the world have been aspiring to create conducive environments for the growing interest in business ventures. This aspiration in not geographical or region-specific since both countries in the developed West and less developed countries require remedies to their ever-increasing problems and challenges.
The present article is an abstract reprint of the main article published on the journal Industry and Higher Education, 6, December, 2008.
Prof. Darwish Almoharby College of Commerce and Economics, Sultan Qaboos University PO Box 20, Al Khod, PC 123, Sultanate of Oman almoharby@hotmail.com Tel: 00968 244141865 Mobile: 00968 99417554
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Inside the turris eburnea entrepreneurial scientists stemming from academic hierarchies Maria Rosaria Della Peruta
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hy inventors and top scientists from leading universities identify and exploit their research insights differently from other ones? Why apparently similar laboratory lives make “academic entrepreneurs” achieve different entrepreneurial goals? Does academic experience have a kind of influence on willingness to spin off? May willingness to spin off be only a matter of scientific formulas’ possession? A scientific discovery can be valuable just since it can be explained as the result of mixed human qualities. The scientist must strive for achievements assessed in terms of these combined values, and this assessment must be shared by his competent colleagues on whose opinion he depends for the opportunity of publishing his results and, indeed, for being recognized as a professional scientist. By its high appreciation of scientific discovery the consensus of scientists encourages the independent scientist in following relentlessly his own distinctive ideas, for it awards the highest prizes to discoveries that upset currently accepted views. Moreover, owing to its passionate appreciation of scientific discovery, scientific opinion recognizes the fact that the hidden possibilities of discovery can be revealed only to the original mind of the individual scientist. It establishes thereby the principle by which the pursuit of science is organized within the authoritative framework of scientific opinion. Complete independence must be granted to all mature scientists so that they will distribute themselves over the whole field of possible discoveries, each applying his own special ability to the task that appears most profitable to him. One of the important lessons of the sociology of science is that the discovering of a new scientific formula is an activity that is institutionally constructed and organized. The institutionalization of science encouraged the validation
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and diffusion of ideas as open to public scrutiny. To support these institutions, norms that standardized the language and the presentation of results, developed under the auspices of academic journals, create incentives that are efficient insofar as professional ranking is related to effort, excess duplication of effort is contained, and scientists desire to broadly disseminate results to earn respected reputations. A priority-based publication system is an important principle that promotes rapid dissemination of knowledge within scientific communities and organizes individual contributions in the form of a series of races. The emphasis put on individual accomplishments in gaining recognition within the scientific community and making career advancements within the academic hierarchy is one important barrier to a demographic change in inventorship. The trajectories of the science, however, also triggered a reconsideration of the models. Novel forms of science (such as monoclonal antibodies) generated standardized policies that had previously been handled on a case-by-case basis. These innovations, in turn, created opportunities for students and postdocs to be co-inventors, expanding the definition of inventorship and diffusing the practice to more junior-level scientists. The importance of these new research tools also prompted debates over ownership of the science. To continue at a competitive level with their peers, they must maintain an “organizational momentum”. Once having attained this goal, it is extremely difficult to function again as an individual researcher, so every effort is made to sustain the leadership of a group .The hierarchical structure of scientific education provides any scientist with a social context that spans not only their own laboratory but also those laboratories in which they trained (moving from a doctoral position through a series of post-doctoral roles and finally into a
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faculty position). In this way each scientist is likely to build its own “laboratory network” which includes his former Ph.D. advisor, his post-doctoral mentor, his graduate student colleagues and his own graduate student, resident, and fellow advisees: such communities, which may be small working groups, comprise knowledge– creating agents who are engaged on a mutually recognized subset of questions, and who (at the very least) accept some commonly understood procedural authority as essential to the success of their collective activities. The scientist-entrepreneur (or a team acting in the entrepreneurial role) has to seize the opportunity to establish a business provided by the research findings and knowledge created at universities. Whereas in university labs the resolution of a single research problem, even not necessarily related to issues other scientists are dealing with, is generally seen by the workgroup as a valuable contribution, differently in an industrial research environment the same event will be not usually a valuable outcome unless it fits in a larger scheme of troubles, of which the solution will enable a firm to develop a product of commercial value. As a result, unlike for academic research organizations, the success of an industrial organization’s research activities is determined by the attainment of collective research goals. Scientist-entrepreneurs must have the “integrative” ability to link together advances from the various academic fields of relevance to the product agenda of the firm and assemble a research community inside the academic lab, in which coordination of cognitive frames and social models of the organization members on the entrepreneurial intention have a decisive influence not only on a spin-off’s performance but also on its development. Therefore our proposal is to reconsider, under a critical point of view, the entrepreneurial pathways of evolution for
academic laboratories: the chances of the scientist-entrepreneur succeeding in cognitive leadership require from founding laboratories strong support for basic research as well as strong support for entrepreneurial efforts aimed at redefining the organizational and disciplinary structures within which research is pursued.
Maria Rosaria Della Peruta is Professor of Business Management, Faculty of Medicine and Surgery, Second University of Naples, Via Costantinopoli, 104, 80100 Naples (Italy) mariarosaria.dellaperuta@unina2.it
The present article is an abstract reprint of the main article published on the journal Industry and Higher Education, 6, December, 2008.
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VITIGNO ITALIA NUOVA SUGGESTIVA CORNICE PER IL SALONE DEL VINO. INTERVISTA AL PRESIDENTE, CHICCO DE PASQUALE di Chiara Nespoli
foto (cc) di: Jaume_Meneses / flickr
Castel Dell’Ovo è la nuova location di Vitigno Italia.
Nell’incantato panorama del Castel Dell’Ovo, nel cuore del golfo di Napoli, si è svolta quest’anno, dal 17 al 19 maggio, la quinta edizione di Vitigno Italia. Il terzo salone del vino, il primo al Sud Italia, ha cambiato location, preferendo alla funzionale mostra d’Oltremare, la cornice suggestiva del Castel Dell’Ovo, ci descrive le motivazioni del cambiamento ed esplica nel dettaglio le caratteristiche fondanti del salone, il presidente Chicco De Pasquale.
«Il nostro obiettivo è quello di far divenire negli anni la zona del borgo marinaro una sorta di villaggio del vino, un’attrattiva per il turista enogastronomico, con la partnership dei più rinomati alberghi e circoli della zona, difatti quest’anno al circolo Savoia, il giorno 17 maggio, abbiamo proposto una kermesse di enogastronomia con i più noti chef italiani, che hanno presentato i loro finger food. È risaputo che il turismo enogastronomico frutta all’anno, in Italia, circa quattro milioni di euro, pensiamo che il
nostro evento, in cui si offre l’opportunità di partecipare a varie esperienze gastronomiche e che raccoglie l’adesione di ben quattrocento produttori vinicoli, potrebbe attrarre un turista, che coniughi la visita al patrimonio artistico e culturale del capoluogo campano con la degustazione di prodotti tipici». Ci spiega nel dettaglio cos’è Vitigno Italia e come è nato questo progetto? «Nasce nel 2005, per valorizzare il vino tipico italiano, in realtà noi di Vitigno soffriamo la concorrenza di un competitor molto forte, che è Vinitaly di Verona, il primo salone internazionale del vino in Italia, che si tiene nel mese di aprile a Verona ed ha una portata internazionale, difatti ospita produttori italiani e stranieri e possiede, inoltre, una maggiore storicità in quanto è alla sua 43˚ edizione. Noi, invece, cerchiamo di focalizzare l’attenzione sul vino autoctono e tradizionale italiano, difatti nella Penisola esistono la bellezza di trecentocinquanta vitigni autoctoni, che rappresentano un’enorme risorsa per il nostro Paese, in luce anche della concorrenza estera. Per anni questi vitigni hanno realizzato delle produzioni discrete, ma negli ultimi tempi la situazione è molto mutata, la qualità dei vini si è elevata, dunque le produzioni nostrane tradizionali possono soddisfare i palati degli eno-appassionati, i quali possono decidere di servire diverse tipologie di vino, senza sforzi economici eccessivi». Quest’anno Vitigno Italia ha raggiunto la sua quinta edizione, ci descrive quali sono state le peculiarità dell’ultimo appuntamento e le novità rispetto alle edizioni precedenti? «Vi sono due novità molto interessanti, la prima si chiama Sommelier dal mondo, che è partita quest’anno e prevede >
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Vitigno Italia, Quinto salone del vino, da Vitigno autoctono e tradizionale italiano. Si è svolto il 17-18-19 maggio a Castel Dell’Ovo, Vitigno Italia. Presenti al salone circa quattrocento cantine provenienti da tutta la penisola, per un totale di oltre due mila vini. Gli organizzatori sono già al lavoro per bissare il successo di quest’anno.
di ospitare ad ogni edizione dieci dei più noti sommelier italiani che lavorano all’estero, quest’anno si è guardato all’Inghilterra. Inoltre vi è stato un cospicuo arrivo di importatori cinesi, tale mercato, che negli anni passati, era considerato solo un mercato di nicchia, nell’ultimo periodo ha visto un allargamento del consumo, in proporzione al contemporaneo espandersi della classe media cinese, che si avvicina al vino. Si contano, difatti, circa cento milioni di nuovi consumatori maschi, perché si ricorda che in Oriente il pubblico è solamente di tale sesso, dati gli usi ed i costumi, noi stiamo rivolgendo molta attenzione a tale capitolo perché in referenza ad altri Paesi, dove si registrano consumi scarni questo mercato è in forte ascesa. Abbiamo inoltre pensato di invertire
vitigno italia 2009 //// 400 cantine //// 3 giorni //// 2000 vini //// 1 nuova location //// 5 edizioni.
In merito alla conclamata crisi, il settore del vino soffre di un calo degli export? «Più che di sofferenza, a mio parere, si può parlare di cambiamento: difatti si vende ad esempio meno vino di fascia alta, ma tanto vino di fascia media; le bottiglie dai cinque ai quindici euro sono di largo consumo. Sono mutate anche le zone di provenienza dei consumatori, in passato ad esempio i Paesi dell’Europa dell’Est importavano molti litri, ora tale mercato è saturo, però quello cinese, come detto è in forte ascesa. Ritengo che il settore non solo vinicolo, ma in genere dell’italian food sia forse quello che meno soffre della recessione economica attuale». Il settore vinicolo non soffre la crisi, ma vi sono molti competitor, rispetto alla concorrenza estera quali sono le strategie adottate? Giunto alla sua quinta edizione il salone del vino «La varietà, il legame con il rappresenta un evento di eccellenza per produttori territorio, la qualità. Servirebbe ed eno-appassionati. Il bilancio dell’edizione 2008 però un impegno istituzionale si è chiuso con un risultato molto incoraggiante: più marcato, soprattutto nella diecimila ospiti, di cui per l’80% operatori qualificati. promozione. Ancora oggi il vino La nuova edizione ha conquistato sin da subito i francese è il più venduto ed visitatori grazie alla cornice incantata del maniero apprezzato al mondo, ma tale trecentesco ed al percorso espositivo arricchito dalle primato è frutto di una conquista sale di due grandi hotel sul lungomare: Grand Hotel Vesuvio e Hotel Excelsior. operata anche grazie al marketing ed alla comunicazione, creando eventi dal grande fascino e suggestione».
la classica vecchia formula di importazione del nostro vino, invitando loro a gustarne nel Paese d’origine, certi di conquistare gli ospiti asiatici con la bontà dei prodotti e coadiuvati dalla bellezza dei luoghi».
foto (cc) di: Jaume_Meneses / flickr
perché abbiamo ritenuto in tal modo di rimarcare la territorialità dei prodotti ed evidenziare la connessione tra l’attrattiva dei luoghi e la bontà dei prodotti».
Un’ulteriore differenza è stata rappresentata dalla location, l’appuntamento è stato spostato al Castel Dell’Ovo anziché alla mostra d’Oltremare. «Il fascino del castello, del borgo, del mare è straordinario, difatti la scelta è stata immediata appena se ne è presentata l’occasione, anche
Il Wine business risulta saldamente collegato al turismo enogastronomico, come si sviluppa tale binomio e quali sono i canali preferenziali per la commercializzazione? «Luoghi speciali per la promozione del vino e dell’enogastronomia sono le manifestazioni fieristiche, gli eventi e le cantine laddove esaltare le buone produzioni. //
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LA VITA È UN SOGNO. E I SOGNI AIUTANO A LAVORARE MEGLIO! di Francesca Romana Bergamo Quando si parla di intangibile la prima parola, per associazione, che viene in mente è esperienza. Questa coppia di fattori è a fortunata combinazione alla base della nascita del settore Gift & Incentive Experiences, (esperienze regalo ed incentivi aziendali), che sta rapidamente crescendo a livello globale in seguito all’interesse dei clienti (business come consumer) verso quei prodotti che sappiano stimolare maggiormente la sfera sensoriale e che consentano di evadere dalla monotonia quotidiana. Attualmente le imprese che riescono ad allocare globalmente prodotti differenti, per clienti dislocati in Paesi diversi, sono veramente poche. Tra queste spuntano su tutte la pioniera, Red Letter Days (operante da oltre venti anni nel Regno Unito) e la Golden Moments.net Ltd, ormai leader di settore grazie al vantaggio acquisito derivante dalla capacità di servire, con la propria offerta, ben undici Paesi a livello europeo (Regno Unito, Francia, Irlanda, Germania, Belgio e Olanda, Italia, Austria, Spagna, Svezia e Svizzera).
L’obiettivo? Fare sì che i vostri desideri possano divenire realtà: che desideriate essere proprietari di un cavallo da corsa nel Sud dell’Inghilterra, o partecipare ad una gara di dune buggy in Sudafrica. Quello del G&E è un settore che ha trovato un ottimo canale di partnership con marchi importanti (come la Nestlè), che si appoggiano ai servizi offerti dalle aziende come la Golden Moments.net per sviluppare le proprie politiche aziendali di promozione e regali. Ma il contributo più significativo che offrono tali imprese riguarda il delicatissimo campo dell’incentivo al cliente ed al dipendente. Non è raro, infatti, che i prodotti del settore G&E vengano utilizzati come strumenti per stimolare la motivazione, la fidelizzazione e il team building. Vivere insieme emozioni intense e raggiungere obiettivi importanti permette non solo di osservare le dinamiche di gruppo all’interno dell’azienda, ma anche di creare e rinsaldare un team che potrà, in questo modo, dare il meglio di sé.
Red Letter Days The complete and exciting solution for all your reward and recognition needs. Nata nel 1989, continua ad essere leader nel Regno Unito. Annovera tra i suoi clienti le maggiori aziende tra le Top 100 FTSE companies www.redletterdays.co.uk
Golden Moments: Making dreams come true. Nata nel 1998, è l’unica impresa che offre ed organizza in tutta Europa attività e incentivi per clienti individuali e società. Nel suo portafoglio clienti troviamo, a livello europeo American Express, IBM e Budweiser, in Italia la vediamo affiancare gruppi quali La Rinascente, Fanac, Angelini, e GS www.goldenmoments.it
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LE INFINITE POTENZIALITÀ DEL WEB LA TEORIA DELLA CODA LUNGA di Valeria Vittozzi The long tail questo è il centro focale della tesi proposta da Chris Anderson (Chief Editor di Wired), nel suo libro La coda lunga. Da un mercato di massa a una massa di mercati. Il world wide web si conferma come protagonista indiscusso di un universo illimitato, ad alta potenzialità, per progetti di new business, apertura di nuovi mercati e ribaltamento delle consuete regole dell’economia. La long tail, che rispecchia a pieno la società
Netflix, Amazon e Rhapsody sono i nomi dei tre colossi che, sfruttando i vantaggi derivanti dalla vendita on-line e, attraverso l’applicazione pratica della teoria della coda lunga, hanno raggiunto e continuano ad ottenere ingenti profitti. Sono tre le principali regole da seguire per realizzare la teoria della long tail: Rendere tutto disponibile, tagliare a metà il prezzo, rispetto a quello della concorrenza, aiutare i clienti a trovare ciò di cui hanno bisogno. La Netflix, maggior portale degli Stati Uniti, attiva nel settore del noleggio
on-line di DVD e live streaming di film, serie tv e altri contenuti multimediali, ha chiuso il 2008 con circa 8,9 milioni di iscritti , per un ricavo totale pari a 1,35 miliardi di dollari. Amazon offre ai propri clienti una scelta di circa 2,3 milioni di libri ed il 57% dei profitti annui dipendono dalla vendita di tutti quei titoli che, non sarebbero disponibili presso una qualsiasi libreria; i ricavi dell’azienda nel 2008 ammontano a 19,166 miliardi di dollari. Infine Rhapsody , che offre musica in rete, mette a disposizione degli utenti
e l’economia moderna, ha permesso la nascita e lo sviluppo di differenti generi e stili di consumo, con una conseguente proliferazione di nicchie di pubblico. L’inversione di rotta consiste nell’apparizione di un ampio numero di mercati e prodotti di nicchia, nella coda della curva di domanda, al posto della concentrazione di mercati di massa che hanno dominato come modello di riferimento dell’ultimo secolo. Le tradizionali regole di vendita imponevano che i negozi, a causa degli alti costi di esposizione, stoccaggio e distribuzione, possedes-
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sero solo prodotti ad alta possibilità di commercializzazione. Al contrario, il vantaggio competitivo che contraddistingue la vendita on-line, permette l’immagazzinamento virtuale di una copiosa quantità di prodotti, inclusi una grande fetta di tutti quelli di nicchia, che per volume di ordini, superano quelli di massa. L’andamento attuale, caratterizzato da forti spinte verso la totale
in maniera sostanziale su profitti annui), alla vendita di un numero elevato di prodotti e servizi di pochi marchi (le cosiddette hit, ovvero i prodotti di massa). Come dargli torto?
circa 735.000 differenti canzoni (rispetto ai 40.000 pezzi di un negozio di musica) ed un numero consistente di link utili di artisti simili a quelli selezionati, per permettere ai clienti di esplorare un vastissimo orizzonte della musica a livello mondiale, creando in tal modo un forte senso di appartenenza e di fidelizzazione.
customerizzazione, evidenzia con maggior vigore quanto sia vantaggioso investire su una molteplicità di beni e servizi, che tendono a soddisfare le specifiche e variegate esigenze del consumatore-utente. In definitiva, in un periodo di forti interrogativi sul futuro dell’economia, Anderson invita le imprese on-line ad applicare la teoria della long tail per essere più profittevoli e per ampliare la quantità di potenziali clienti, quindi preferire la vendita di un quantitativo moderato di beni e servizi di un vasto catalogo di brand (che influiscono
Chris Anderson La coda lunga. Da un mercato di massa ad una massa di mercati Codice Internet Torino, 2006 pag. 235 - euro 19
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un mercato che non aFfonda Luxury Yacht
foto (cc) di: gad / flickr
di Francesca Romana Bergamo
Parlare del lusso di questi tempi potrebbe sembrare strano, ma ad un’attenta analisi non lo è affatto. Tale settore è uno dei pochi che mai affonda. In cima alla piramide dei beni di extra lusso si trovano i luxury yacht: gli yacht di lusso. Ma qual è il cliente idealtipico per un acquisto del genere? Si tratta di individui dotati di redditi e patrimoni molto alti, che vivono la propria vita all’insegna del benessere e dello sfarzo. In poche parole gli High Net Worth Individuals
(HNWI): soggetti che possiedono un elevato patrimonio netto (net worth). Non esiste una definizione univoca di tali individui, ma in generale vengono racchiusi in questa tassonomia coloro il cui patrimonio liquido supera il milione di dollari o, per quanto riguarda l’Italia, i 500.000 euro. A tali livelli si riduce l’impatto di un eventuale andamento macro economico negativo; è per questo che si può intendere il settore degli yacht di lusso come scarsamente soggetto alle variazioni
economiche generali, caratterizzandosi per una domanda che si sottrae in tal senso alla potenza dei cicli economici. Nonostante sia l’America settentrionale a presentare la maggiore concentrazione di questa tipologia di clienti, le aree geografiche che mostrano i maggiori tassi di variazione positiva sono la zona europea e quella pacifico -asiatica. È ragionevole pensare quindi che tale settore non solo non abbia subito un’importante battuta d’arresto, ma che presenti ancora notevoli margini di crescita in tutti quei paesi che si stanno affacciando a questo tipo di mercato. E sono proprio le imbarcazioni a motore made in Italy a troneggiare sui mercati internazionali. A dirlo è la testata francese di economia e finanza Les Echos che sottolinea come tra i primi dieci costruttori nella top ten mondiale ben cinque siano italiani. Tra queste realtà di eccellenza tutte nostrane spiccano la Fashion Yacht, la Inrizzardi e la Pirelli. >
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La Fashion Yacht nasce nel 2001 dall’intraprendenza del suo fondatore e attuale Amministratore, Fabrizio Politi, che assieme all’imprenditore Carlo Maria Maiocchi Clerici sono riusciti a portare questo cantiere fra i primi cinque in Italia, sulla stima di fatturato e superficie produttiva. Fashion Yachts costruisce barche sensazionali, che combinano armoniosamente eleganza, comodità, estetica e velocità. Puntando ad una contro mass-production, vengono realizzati ogni anno un numero limitato di imbarcazioni di altissima qualità, grazie soprattutto a metodi di lavorazione artigianale, totalmente consumer oriented. Anche la produzione Inrizzardi nasce dalla passione e dalla tenacia del suo patron, Gianfranco Rizzardi che ha dato vita, ormai trentacinque anni orsono, ad una delle realtà italiane del settore più riconosciu-
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te a livello internazionale. Grazie ad una serie di acquisizioni strategiche, attualmente il Gruppo Inrizzardi riesce a soddisfare i propri clienti a tutto tondo affiancando, al core business della costruzione, servizi di assistenza e rimessaggio, coprendo una superficie complessiva di circa 160.000 mq, di cui 38.000 al coperto. Diversa, invece, è la nuova linea lanciata da Pirelli, la P.zero: gommoni di altissima classe. Per il fiore all’occhiello di questa linea (il 1400) 14 metri di distillato di puro design, unito a prestazioni superbe ed ampi spazi aperti. Questo indiscusso oggetto del desiderio nasce dalla collaborazione tra la Tecnorib, licenziataria Pirelli per i gommoni Pirelli PZero e la svedese OMD, Ocke Mannerfelt Design, leader nel design di imbarcazioni sportive e da corsa e vincitrice di numerosi titoli mondiali.
Non c’è dubbio che tutte queste meraviglie arricceranno, tra breve, il mare estivo delle località più cool sotto gli occhi stupefatti di molti, perché se è vero che gli HNWI crescono di numero, per molti altri questi gioielli restano un miraggio! //
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Nel merito della crisi, la crisi del Merito di Fabio Fiano*
L’esplosione delle banche online come imparai a non preoccuparmi e ad amare la bomba di Giovanna Iannone e Valeria Peccerillo
Qualsiasi ambiente si frequenti, oggigiorno, l’argomento che spesso ci si trova ad affrontare è la crisi economica. Ci si interroga costantemente sulle cause e sulle evoluzioni della crisi; nei tentativi esplicativi di cosa sia successo si crea un mix di cause, in alcuni casi totalmente lontano dalle vere determinanti di un meccanismo venutosi a creare, di carattere autopoietico, purtroppo distruttivo. Volendo ricondurre ad un denominatore comune la fenomenologia determinatasi si può individuare nell’assenza di meritocrazia la causa scatenante della crisi economica creatasi in Italia. La nostra Nazione ha perso nel corso degli anni la sua connotazione meritocratica creando un sistema, che paradossalmente è perfettamente democratico, dove il principio di selezione perde naturalezza e risente di condizionamenti lobbistici; in sintesi, in Italia, chiunque ha la possibilità di fare qualsiasi cosa: la democrazia auspicata dai padri costituenti è stata realizzata alla perfezione! I meccanismi di controllo risentono del continuo conflitto d’interessi tra controllore e controllato. La politica sfugge da anni alle scelte coraggiose e che rischierebbero di deteriorare, nel breve periodo, il consenso elettorale portando alla determinazione di decisioni e principi che alleviano i mali di breve ma che ormai da troppo tempo acuiscono, nel lungo periodo, la condizione negativa che investe tutti gli aspetti della vita socioeconomica dello Stivale. Gli impatti socio-psicologici della crisi sono ad ampio spettro e se, fino ad oggi, non ci fosse ancora stata una crisi reale i comportamenti basati sulla percezione e/o consapevolezza della crisi rischierebbero di fungere da propulsore per crearla. L’assenza del merito determina una riduzione della fiducia andando a discapito delle aspettative. L’abbassamento delle aspettative crea insoddisfazione; inoltre, esso aumenta lo stimolo verso atteggiamenti di carattere opportunistico. Ritrovare la meritocrazia significherebbe, pertanto, ricostituire il giusto meccanismo di partecipazione alle vicende socio-economiche valorizzando le potenzialità italiane. *Fabio Fiano è Dottore di ricerca in Imprenditorialità ed Innovazione alla Facoltà di Economia della Seconda Università degli Studi di Napoli
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La banca virtuale si configura come un modello alternativo di banca in termini di offerta e di assetto produttivo: non richiede di vivere in simbiosi con la banca tradizionale, ma è una realtà autonoma e competitiva. Nasce come un nuovo modello organizzativo, nel quale l’insieme dei canali distributivi di natura telematica, dei prodotti/servizi e delle competenze di marketing consentono, senza contatto diretto con il personale
mente all’interno, ma si serve di elementi appaltati all’esterno, secondo criteri di economia di scala e di scopo. Le motivazioni che spingono ad interagire con la propria banca via internet sono principalmente la maggiore efficienza, in termini di risparmio di tempi e di costi, ed in termini di qualità del servizio offerto. Il perno del rapporto tra utente e banca si sta, quindi, progressivamente spostando dalle modalità
bancario, di erogare servizi alla clientela in modo potenzialmente personalizzato. Tale modello permette di fornire soluzioni ad hoc per ogni specifica esigenza, in tempo reale ed in modo completo e soddisfacente, intessendo relazioni di lungo periodo con la clientela. L’obiettivo primario della banca on line ideale è fornire un servizio superiore utilizzando una pluralità di canali remoti, volti a offrire a ciascuno il miglior rapporto di costo/qualità in relazione alle specifiche esigenze espresse dal cliente. Anche la catena produttiva è significativamente diversa: non è più integrata vertical-
trust (fiducia nel servizio) alla modalità fast (velocità), integrando nella stessa anche la facilità d’uso. I tratti distintivi del concetto di banca a distanza sono, in definitiva, da ricercare non tanto in ciò che con essa può essere realizzato (erogazione di servizi per mezzo di canali complementari telematici), ma piuttosto nel modo in cui essa procede alla fornitura dei servizi: maggiori opportunità offerte alla clientela per mezzo dei nuovi canali.
CALIFORNIA ACADEMY OF SCIENCES RENZO PIANO PROGETTA IL MUSEO PIÙ VERDE ED ECOSOSTENIBILE DEL MONDO di Filippo Laezza
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Il termine ecosostenibile, oggi molto in voga, trova anche nell’architettura un’applicazione fondante, dove un’opera viene definita tale, in quanto rispecchia dei principi fondamentali, quali risparmio di risorse e minima produzione di inquinamento in tutte le fasi del suo ciclo di vita. In tal modo si assicura un miglioramento della salute psicofisica dei cittadini, attraverso l’impiego di materiali biocompatibili ed il raggiungimento di idonei livelli di comfort termoigrometrico, acustico e visivo andando oltre l’idea dell’edificio come oggetto a sé stante, totalmente slegato dal contesto, per passare all’idea di un sistema interattivo dinamico, che coniughi edificio ed ambiente, considerando le risorse (acqua, vento, sole, vegetazione, ecc.) come materiali fondamentali dell’architettura. >
La copertura della California Academy of Sciences ed un particolare dei lucernai che regolano automaticamente il flusso di calore all’interno della struttura.
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Una delle opere, in cui questa interazione diventa un connubio perfetto, è la California Academy of Sciences, istituto di ricerca e tra i maggiori musei di storia naturale al mondo, progettato dall’architetto italiano Renzo Piano. Inaugurata il 29 settembre del 2008, rappresenta un’iniziativa affascinante, che si mimetizza con l’ambiente circostante creando una sinergia perfetta. Si nota come l’architetto abbia pensato di inserire il museo al di sotto di una parte del parco, come se quest’ultima fosse stata sollevata per inserirvi lo stesso: vi si trovano un planetario, un acquario, un museo di storia naturale e dei laboratori scientifici. Il planetario ha delle dimensioni tali da essere definito come il più grande del mondo, caratterizzato da tecnologie digitali all’avanguardia.
Una veduta della facciata e dell’ingresso della struttura, la volta delle cupole ed un particolare della copertura.
L’OTTIMIZZARE L’USO DELLE RISORSE, RIDURRE AL MINIMO GLI IMPATTI AMBIENTALI, ED INOLTRE FUNGERE DA MODELLO EDUCATIVO, SONO ASPETTI FONDAMENTALI DELL’OPERA DI RENZO PIANO, CHE DIMOSTRANO COME SIA POSSIBILE VIVERE E LAVORARE IN MODO ECOLOGICAMENTE RESPONSABILE. La copertura della California Academy of Sciences è formata da cupole con una duplice valenza: una estetica, nel ricreare l’habitat naturale con colline fittizie e l’altra funzionale, in quanto le cupole sono caratterizzate da lucernai che si aprono e si chiudono in automatico, regolando il flusso di calore all’interno dell’opera. Il tetto inoltre è circondato da elementi di vetro che contengono circa 60.000 cellule foto-voltaiche, che concorrono alla produzione di oltre il 5% del fabbisogno annuo di energia dell’Accademia. L’ ottimizzare l’uso delle risorse, ridurre al minimo gli impatti ambientali, ed inoltre fungere da modello educativo, sono aspetti fondamentali dell’opera di Renzo Piano, che dimostrano come sia possibile vivere e lavorare in modo ecologicamente responsabile. // EM/
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Renzo Piano nasce a Genova, nel settembre del 1937, è considerato uno degli architetti italiani più noti e popolari. Laureatosi al Politecnico di Milano, svolge esperienze formative presso Franco Albini, Marco Zanuso, Louis Kahn e Makowskj. Trae la sua primaria ispirazione dal cosiddetto Razionalismo italiano, ma il suo stile rappresenta il superamento dei canoni dello Stile internazionale degli anni Settanta. Il suo lavoro è proteso alla sperimentazione, si dedica allo sviluppo di strutture spaziali a guscio, realizzate con innovativi sistemi di costruzione, ed alla realizzazione di nuove forme tecnologiche e metaforiche di architettura. Nel 1998 Piano vince il Premio Pritzker, considerato il più prestigioso in campo architettonico su scala mondiale e nel 2007 diventa ambasciatore dell’UNESCO.
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SHIGERU BAN ARCHITETTURA DELLA CRISI O LA CRISI DELL’ARCHITETTURA?
Padiglione principale della biennale di Singapore del 2006.
Il credo dell’architettura moderna pare essere sempre più indirizzato verso l’HighTech. Nell’era della casa intelligente e tecnologica, quasi simile allo Shuttle profetizzato da Kubrik, Hal 9000, un architetto giapponese ha saputo rompere i canoni e le previsioni più futuristiche, tracciando le linee di un progresso all’insegna del passato, una sorta di Ritorno al futuro per dirla alla Zemeckis, regista americano della nota saga comico-fantascientifica. Shigeru Ban, architetto di fama internazionale (il suo progetto di ricostruzione del World Trade Center di Manatthan è arrivato in finale), passerà alla storia per essere stato il progettista dei tubi di cartone, del bambù e delle fondamenta composte da bottiglie di birra riempite di sabbia. Ha, inoltre, fama di essere un benefattore attento, difatti, in linea con la sua filosofia di design, ha disposto che parte dei suoi mezzi fosse donata ai più
deboli, in supporto delle situazioni di crisi e di emergenza, nelle aree più bisognose o colpite da disastri naturali. Spesso, difatti, per reperire fondi per le sue costruzioni, ha chiesto sponsorizzazioni. >
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Ad esempio in Turchia, ha invitato le grandi imprese ad inviargli rotoli di tela con il proprio marchio impresso: «Quando la CNN filmerà la catastrofe, apparirà nei suoi stessi reportage!» ha affermato. L’ opera più famosa il Museo Nomade, struttura capace di girare il mondo, è stato creato per ospitare l’esposizione fotografica Ashes and Snow di Gregory Colbert, noto fotografo artista canadese. L’idea, definita geniale, è di utilizzare i container usati per il trasporto, come locali di esposizione. L’ossatura e gli accessori di tale museo itinerante, sono costituiti da materiale economico e riciclabile: cartone,
bustine di tè pressate, bambù, sabbia, alluminio riciclato. Un netto taglio ai costi di costruzione e trasporto. Per tali ragioni il museo ha già fatto tappa a New York, Tokyo, Città del Messico. Prossima tappa? Brasile. In primavera è prevista l’inaugurazione del Museo Pompidou di Metz, in Francia, sua ultima creazione. L’obiettivo è di rompere l’idea tradizionale di museo-mausoleo con tecniche e con stile futuristico-ancestrale. Gli addetti ai lavori hanno già scommesso su di lui. Ci riuscirà? //
The Nomadic Museum. Un dettaglio del muro di container ed un esterno.
Shigeru ban Architetto di origini nipponiche, famoso per la realizzazione delle sue opere attraverso materiali economici come il cartone o il bamboo. Consegue la laurea in architettura nel 1984 alla Cooper Union School of Architecture e l’anno seguente apre uno studio di architettura privato a Tokyo. Nel 1995 un terremoto colpì la città di Kobe, creando notevoli danni alla popolazione, che dovette abbandonare gran parte delle proprie case, alloggiando in delle tende.
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Tale precaria situazione determinò nell’architetto la bizzarra idea di realizzare abitazioni con pareti fatte da tubi di cartone e fondazioni costruite con casse di bottiglie di birra, riempite di sabbia. Tale tecnica fu in seguito adoperata per progettare edifici come la chiesa di Takatori e il padiglione per l’esposizione di Hannover del 2000, ma anche per dare vita a particolari edifici residenziali, costruiti con materiali tradizionali, pur presentando dettagli originali in linea con la sua arte di cartone.
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MANGA POP: LA POP ART 2.0 TAKASHI MURAKAMI di Michele Soria
Margherite dai bianchi petali che sorridono dolcemente, funghi incantati e zucche fantastiche che somigliano alla fiabesca carrozza di Cenerentola. Non si tratta di fumetti, ma delle opere di Takashi Murakami, definito il nuovo Andy Warhol, e che, secondo la rivista Artnews, è tra i trenta migliori artisti mondiali. >
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«Mi piace che lo spettatore abbia l’impressione di essere osservato, tanto da sentirsi un po’ soffocare», spiega l’artista. Ironico, a tratti infantile, psichedelico e soprattutto molto colorato, Murakami è da tutti definito come il guru della new wave dell’arte contemporanea giapponese e non solo. //
foto (cc) di: Karen_horton / flickr
Il nipponico unisce la pittura degli antichi maestri giapponesi del Nihon-ga, con i colori sgargianti di fumetti e dell’animazione. Oriente e Occidente, manga e topolino, sushi e hamburger, fantasia e materialismo, sono gli opposti che si scontrano e si fondono in una nuova filosofia: questa è l’arte di Murakami. I colori del pop, l’influenza giapponese ed alcuni elementi surreali fanno delle sue opere una miscela unica, tanto che lo stesso dichiara: «È un’arte che accompagna la storia giapponese, contestualizzandola nella storia dell’arte occidentale». Non spaventa Murakami il paragone con il grande artista Andy Warhol, difatti così come l’americano smontò le icone delle società occidentale e le ricompose secondo i suoi canoni, avviando quel filone di commistione di arte, comunicazione e pubblicità, denominato pop art, così il nipponico attinge dall’otacu (cultura giapponese) per dar alla luce una nuova forma di arte. La sua tecnica, come quella di Warhol, si è insidiata nei meandri della comunicazione; ha rielaborato, per esempio, il logo Louis Vuitton in tre diverse versioni secondo il suo gusto personale: un monogramma multicolore, dei fiori di pesco antropomorfi ed il suo preferito, ottenuto inerendo gli occhi galleggianti che ricorrono in ogni sua opera:
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LA MOSTRA DI MARIA PIA DAIDONE di Maurizio Vitiello Le tracce di abbreviazioni magiche squillano nell’intuito della memoria ed anche nell’acutezza del ricordo accorpata all’ansia germinativa del fare, ma intendono anche rivelare voglia di libertà, respiro della scoperta e volontà immaginativa, allargata e convinta. Le valigie del ricordo di Maria Pia Daidone, anche appuntate per formare essenze totemiche fabulistiche, tra sorprendenti macrostampelle, del tutto impreviste, ospitano indizi e sottili amenità plastiche, che, insieme, riescono a combinare passato e presente ed a collegarlo ad un orizzonte futuro, alimentato da una produzione inconscia di viaggi, ricordi, migrazioni letterarie. Inconscio ed immaginazione siglano sostanziali sineddoche visive. >
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Se i totem incorporano l’dea di casa-albero, le valigie premiano il senso della volontà, la voglia del viaggio, la scoperta del mondo, mentre le macro-stampelle risultano modelli di sintesi di immaginazioni gigantesche, di ingrandimenti a dismisura del gioco e dell’ironia. In un’autonoma visione stilistica, parabola di stimoli mitici e sensi misterici, Maria Pia Daidone determina la sua cifra artistica. Intende estroflettere brani dell’inconscio per incontrare il governo misurato e partecipe del concept, che, filtrando il tutto, indica un rilevante interesse per un itinerario d’aggancio naturalistico con presenze, mai sgradevoli, di inventate figure animali, rese simpatiche da un prorompente e sostanziale ingegno inventivo. Ma che dire delle inconsuete sedie, che accolgono sagome, ormai stanche di ergersi bi-faccialmente nel contesto spaziale eletto dell’artista, che accettano, sul piano della seduta, terracotte, condensate di nero o riassunte di rosso, segnate da inverosimili voli di tempi e di leggeri uccelli, o lustrate nelle trasparenze di un giallo paglierino, che ospitano, in una dolce e pallida filigrana, motivi sereni e antichi, figurine animali amabili e sottili, con qualche noticina conturbante. Anche le sfoglie semi-rigide che compongono una zolla di cartone, con uno strato trattato a cartapesta, accettano impronte graffite ed orme e segnali di esotiche, strane e diverse iconografie
rilievi epocali e caratteri attuali. Sono, inoltre, proposte interessanti composizioni di proporzioni medie, che possono inserirsi negli ambienti della casa, che viviamo tutti i giorni; varie opere troverebbero degna collocazione funzionale e s’integrerebbero, magnificamente, nelle dimensioni domestiche. Alcune ultime elaborazioni, in particolare, vivono sull’onda di alcuni colori, quali l’ocra, il nero, il blu, il rosso, eletti dall’artista a momentanei vettori cromatici della sua lunga ricerca, che già appassiona, da tempo, collezionisti ed attenti critici di rilievo nazionale. In conclusione, si indica che l’ attività dell’artista si svolge tra Campania e Molise, tra Napoli e Cantalupo nel Sannio, in provincia di Isernia, anche se qui solo dal 2006, e si segnala, infine, che la speciale ed unica Sagoma-Totò, dedicata al grandissimo artista, consegnata, a giugno 2005, alla figlia Liliana de Curtis e depositata alla Neoartgallery di Roma, notata nelle varie tappe espositive delle mostre-ricordo di Totò, entrerà a far parte del costituendo museo dedicato al principe del sorriso, in prossimo allestimento al Palazzo dello Spagnuolo, nella zona dei Vergini, esattamente a Via Vergini n. 19, a Napoli. //
In che modo il pittore Paul klee ha influenzato la sua arte? «Sono sempre stata affascinata dal rapporto tra il mondo animale e quello fantastico che il pittore Paul Klee riportava nelle sue opere. Infatti, nella mia recente mostra Zoophantasy ho riportato il rapporto dell’uomo e dell’animale estrapolandoli dalla realtà, per farli diventare altro da quello che sarebbero all’interno del loro contesto reale, quindi poter ricreare, usando la fantasia».
animali. Insomma, su qualsiasi supporto operi, l’artista vien fuori con il suo interesse e la sua passione per il mondo animale e per le frontiere futuribili su cui “gioca” dimensionando ambiti accettabili di naturalità possibili. Le ultimissime redazioni pittoriche dell’artista ed, in particolare, sagome dal sapore magico, di freschissima datazione, su cui insistono anche segni, segnacoli, segnature e fremono graffi, incisioni, strofinature, accostamenti di sacro e profano, raccolgono le vertigini del nostro tempo e ci rimandano a tempi antichi, in cui un graffito si interpolava come primo significativo elemento segnico-simbolico di interpretazione e di comunicazione sociale. Le elaborazioni di Maria Pia Daidone provengono dall’icasticità del mondo remoto e si offrono nella prerogativa di un sistema di dettagli antropologici contemporanei di rilievo. La gamma molteplice di determinazioni dell’artista consacra un plafond visivo di caratura storica, che accoglie nella sua estensione EM/
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INTERVISTA A MARIA PIA DAIDONE di Veronica Scuotto Maria Pia Daidone ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte Filippo Palizzi e si diploma nel 1996 con la tesi L’idea del volo nella poetica visiva di Paul Klee per la cattedra di Storia dell’Arte, tenuta da Aurora Spinosa. Conclusa la maturità artistica, incomincia subito il percorso dell’insegnamento. È da sempre interessata alla pittura, oltre che alla composizione di plastici, sezioni minime di architettura e scenografie presepiali.
Cosa differenzia l’artista Maria Pia Daidone dagli altri artisti contemporanei? «La mia filosofia è “se vuoi sapere cosa pensa il cane diventa cane”, quello che mi differenzia è il mio voler andare dentro l’oggetto, diventare un tutt’uno con esso». Cosa c’è di nuovo e cosa di passato nel suo dipingere? «Nelle mie opere proietto la mia passione per il mondo antico, ma al tempo stesso l’uso di tecniche odierne mi permette di mostrare al pubblico creazioni artistiche che sono fusione equilibrata tra passato e presente».
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SESSANTA CHILOMETRI IL PERCORSO DI UN SOGNO di Assia Gilardi
Sono ideali i mesi di gennaio e febbraio, grazie ai suggestivi manti nevosi e i perenni ghiacciai, che offrono uno spettacolo unico nel suo genere.
Alzi la mano chi da bambino non ha mai sognato di intraprendere una magica avventura che arrivi a far toccare il cielo con un dito. Un sogno ad occhi aperti? Forse, ma che può finalmente tramutarsi in realtà grazie ad uno dei trenini più belli al mondo: il Trenino Rosso del Bernina. Un percorso ferroviario tra i più suggestivi e sorprendenti, entrato a far parte di recente nei patrimoni riconosciuti dall’Unesco. Un autentico viaggio da favola, reso tale non solo dagli incantevoli paesaggi, ma anche dalla caratteristica e fiabesca ferrovia: locomotive e vagoni che sembrano giocattoli, calde e confortevoli carrozze panoramiche, stazioni in
miniatura che sembrano fatte a traforo, curve strettissime, viadotti, gallerie e pendenze strabilianti. Non è una giostra, ma una vera e propria linea ferroviaria che arriva a sfiorare altezze da brivido, regalando panorami mozzafiato, con i binari che percorrono dolcemente le valli all’ombra delle imponenti catene montuose. Un percorso lento, che dura circa due ore e mezzo, 60 chilometri in tutto, ma che permette di scrutare il paesaggio che cambia ad ogni curva. A rendere magico questo piccolo grande viaggio è proprio il meraviglioso percorso che ha inizio a Tirano, stazione terminale della linea FS e che dista 160 chilometri da Milano
Vi sono sogni nella vita che a volte possono tramutarsi in realtà! È il caso del singolare e fiabesco Trenino Rosso del Bernina, che inerpicandosi sulle montagne, arriva a sfiorare altitudini da brivido! Il singolare percorso comincia da Tirano, a meno di un
chilometro dal confine svizzero per arrivare ai boschi della Val Poschiano, sino alle vette del Bernina, sostando a Pontresina, per poi ammirare la Valle Engadina e St. Moriz, avendo la possibilità di proseguire arrivando sino a Filisur o Thusis.
e poco meno di 1 chilometro dal confine svizzero. Una volta lasciata la graziosa cittadina ha inizio un viaggio che lascia senza respiro, fino ad arrivare ad un’altitudine di 2.253 metri dal fondo della Valle Valtellinese, si prosegue ai boschi della Val Poschiavo, fino salire tra le vette del Bernina, per poi scendere nell’incantevole Valle Engadina, fino alla celebre Saint Moritz, da decenni elegante e cosmopolita. Questa ineguagliabile avventura ha un costo di circa 35 euro e consente anche fermate intermedie, oltre a quelle di partenza e arrivo; il fiabesco trenino compie il suo delizioso tragitto sia d’estate che d’inverno, regalando sempre stupefacenti paesaggi. Per gli amanti dell’atmosfera invernale sono ideali i mesi di gennaio e febbraio, grazie ai suggestivi manti nevosi e i perenni ghiacciai, che offrono uno spettacolo unico nel suo genere. Per chi invece non ha un buon rapporto con il freddo, perfetto è il periodo primaverile, in cui è la quiete a regnare sovrana, con la natura che rinasce e le montagne ricche di vegetazione. Da segnalare anche le suggestioni che regalano i mesi di luglio e agosto, con il sole che scalda i luoghi fitti di colori e profumi, che nella stagione estiva possono essere ammirati a bordo di carrozze scoperte. Infine, per gli inguaribili sognatori è perfetto l’autunno, con il suo connubio equilibrato tra romanticismo e stupore, grazie ad una tavolozza di colori che si stende tra le vette e che dà vita ad un irripetibile gioco di luci. Insomma, un viaggio da vivere dodici mesi all’anno: per chi sogna ad occhi aperti, per chi vuole ammirare le meraviglie della natura incontaminata, e per chi desidera entrare per un po’ in una dimensione da favola.
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meraviglie dal mondo
Stanchi delle solite vacanze? Se siete in cerca di un luogo davvero singolare dove trascorrere il weekend, se desiderate nuove emozioni ed avete un vigoroso spirito avventuroso, una notte in un igloo potrebbe essere la novità che fa al caso vostro! Manti innevati e cieli stellati, sono lo scenario di una vacanza unica e particolare. Un’esperienza esclusiva per chi vuole interrompere la solita routine, ma non bisogna farsi intimidire dalle basse temperature, basti pensare che gli igloo sono le tipiche abitazioni eschimesi! Sulle Alpi Friulane o in Austria sorgono dei veri e propri temporary hotel, dei villaggi igloo, a disposizione di turisti audaci, aperti da dicembre a marzo. A Kitzbühel, rinomata stazione austriaca di sport invernali, sorge il villaggio Alpeniglu (www.alpeniglu. com), nel quale oltre all’albergo, sono siti: una chiesa, un bar, un negozio, un ristorante, ed un’area dedicata ai bambini, ovviamente tutto rigorosamente di ghiaccio. Illuminato dal lume delle candele, l’hotel offre varie soluzioni ed innumerevoli servizi. Le camere da letto sono dotate di stuoie isolanti, pelli di
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tra avventura e romanticismo, capace di trasformare un viaggio in una indimenticabile esperienza! Unica nota al riguardo? Non lasciarsi intimidire dalle basse temperature!
renna che separano i letti di neve, sacchi-letto la suite Romantic costa 310 euro. Se non si imbottiti con morbida fleece, per garantire desidera andare all’estero anche in Italia, di certo, non mancano le opportuniuna gradevole temperatura tà! Sulle Dolomiti friulane, a Pianal loro interno. Nel villaggio cavallo, il 19 gennaio scorso è stato ci si può piacevolmente in- Enormi sculture inaugurato, un villaggio di ghiaccio trattenere, grazie a svariate di ghiaccio, giochi tutto italiano. Anche qui vi sono attrazioni: enormi sculture di luce mistici e igloo pronti ad ospitare chiunque di ghiaccio, giochi di luce la possibilità di abbia voglia di vivere questa unica mistici, la possibilità di prendere un drink avventura. L’offerta, dal prezzo base prendere un drink al bar al bar igloo di 99 euro per persona, prevede: igloo, avvolti da una magica discese con le racchette da neve, atmosfera nordica, ed i buon gustai possono sedere ad un grande tavolo, visita del villaggio, cena nel vicino rifugio, perassaporando la tradizionale fonduta svizzera. nottamento all’interno della casa di ghiaccio, L’igloo standard ospita fino ad 8 persone, con fornitura di sacco a pelo termico, matementre decisamente più intimo è l’igloo Vip, rassino isolante e torcia, l’indomani colazione che può accogliere solo 2 persone con costi e discesa a valle. Un’esperienza adatta a tutti, anche ai più timorosi, infatti vi è la possibilità che partono da circa 185 euro. Per chi vuole provare i brividi di un’espe- per gli ospiti di essere affiancati da istruttori rienza sotto zero, scaldandosi, però, il cuore qualificati, nel corso della loro permanenza in in compagnia del proprio amato vi è l’igloo montagna. Insomma se avete voglia di vivere di Zermatt in Svizzera, l’ideale per un week questa stravagante vacanza, senza percorrere end romantico con cuscini rossi e vasca idro- troppa strada alla volta del Polo Nord, siete massaggio. I prezzi variano da 166 a 193 euro, ancora in tempo.
illustrazione di: Nico Vece (iknstudio)
UNA NOTTE IN UN IGLOO
Voglia di sperimentare viaggi alternativi? Che ne direste di trascorrere una notte da eschimesi, magari all’interno di veri e propri igloo? Villaggi interamente di ghiaccio fanno da scenario ad una vacanza decisamente stravagante, un connubio perfetto
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residenze di charme
Palace Hotel e Grand Hotel Rimini I due gioielli di Select Hotels Collection Terra per tradizione votata all’ospitalità e alla buona tavola, l’Emilia Romagna trova il suo polo di accoglienza nella catena di alberghi, a 5 a 3 e a 4 stelle, creati da Antonio Batani cui si è recentemente aggiunto il Grand
lo ha risparmiato devastandolo al pari del resto della città, negli anni ‘50 fu oggetto di rilevanti restauri. Al fascino di questo hotel non restò indifferente un grande riminese, Federico Fellini, che ha amato il Grand
di capi di stato, personalità della cultura, dell’economia, del jet-set planetario. Una giusta fama che nel 1994 ha spinto la Sovrintendenza alle belle arti a dichiararlo monumento nazionale. Nel 1992 al fianco
Hotel Rimini. Realizzato su progetto dell’architetto sudamericano Paolo Somazzi, nasceva all’inizio del secolo scorso creando il mito di Rimini e della costiera romagnola. Il Grand Hotel non ha avuto però vita facile, nel luglio del 1920 un incendio distrusse le due cupole ornamentali che sovrastavano il tetto; il secondo conflitto mondiale non
Hotel fin da bambino tanto da volerlo immortalare in numerosi suoi film, facendolo assurgere a fama mondiale: in particolare con Amarcord in cui le atmosfere inimitabili del Grad Hotel fanno da sfondo ad alcune delle scene più significative. Il grand Hotel di rimini è divenuto, quindi, un’icona internazionale, meta prediletta
del Grand Hotel è stato inaugurato il centro congressi, una moderna struttura dove, durante tutto l’anno, hanno luogo incontri ed eventi di livello nazionale ed internazionale. >
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residenze di charme
L’elegante struttura si compone di 168 camere, 117 al Grand Hotel di cui 3 regal suite e 9 junior suite arredate con autentici pezzi veneziani e francesi del XVIII secolo e 51 in residenza, di cui 3 junior suite, arredate in stile neoclassico. Cinque le sale ristorante veranda affacciate sulla piscina, 4 Colonne antico salone delle feste, Ambra, Sole e Luna esclusivo ristorante in spiaggia e Sala verde elegante spazio finemente arredato. Ai ristoranti si affiancano due bar. Infine la grande terrazza del Grand Hotel che domina uno splendido parco privato di 4000 mq. La terrazza, così come il parco, sono teatro di concerti, cene estive, cocktail, matrimoni, feste ed eventi mondani. A tutto questo si aggiunge un’offerta gastronomica di assoluta eccellenza, una cucina nata dall’incontro della tradizione marinara con quella
contadina: il saporito pesce dell’Adriatico e i prodotti di una terra prodiga e soleggiata. Sapori semplici vivi da gustare con i vini Doc della terra di Romagna. Altro fiore all’occhiello della catena il Palace Hotel di Milano Marittima. Ambienti climatizzati arredati con classe e ricercatezza, dotati di ogni comfort e moderne tecnologie, tutto l’albergo è stato realizzato con materiali di assoluto pregio come i marmi intarsiati provenienti dalla Turchia e i grandi lampadari in cristallo di Murano disegnati da Carlo Scarpa. Il Palace Hotel sorge sul mare, in centro a Milano marittima a due passi dai luoghi e ritrovi più famosi della riviera, ma è in grado anche di garantire a chi ama la quiete e il relax in un ambiente elegante, tranquillo e riposante. L’edificio ricalca le linee architettoniche del primo ‘900. Nel giardino antistante capeggiano i Patriarchi sei ulivi
millenari. Accanto alla piscina e sul mare, un’elegante corte sulla quale consumare la colazione e rilassarsi guardando la spiaggia e l’azzurro dell’Adriatico, inoltre il Palace hotel dispone di posti auto sotterranei cosicché l’ospite arriva, sistema la vettura nel box riservato, sale in ascensore e va in camera, dove troverà pavimenti in mosaico ravennate realizzati a mano, mentre le stanze presentano pareti rivestite in legno di rovere sbiancato o laccate con intarsi in legno. Anche qui una prestigiosa collaborazione con le prestigiose scuole alberghiere di Riolo terme e Castel San Pietro i migliori chef e gli ex alunni diplomati con il massimo dei voti, sono al servizio dell’imprenditore romagnolo. Inoltre la struttura è dotata di una zona wellness. Non resta che rilassarsi e godere del panorama e della rinomata cucina. //
Un Menu felliniano Per gli ammiratori del grande Federico Fellini esiste un menu felliniano di cui tutti possono godere. Un invito a sognare il Grand Hotel con gli occhi del maestro. Comprende il cocktail Federico offerto al Lobby Bar del Grand Hotel, la sorpresa di benvenuto in camera, un omaggio al Maestro, piccola colazione, cena con menu Fellini visita al Museo Fellini, utilizzo fitness corner. A tutto questo il Grand Hotel Rimini unisce poi una chicca: la piadina alla Fellini. La riproposizione di quella che il Maestro gradiva. Una piadina servita su un piatto da
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portata, tagliata in quattro parti e farcita con prosciutto, squacquerone, pomodorini rossi e rucola. Una pietanza da mangiarsi con coltello e forchetta accompagnata da un Sangiovese doc. Un ultima curiosità: la stanza preferita da fellini era la 315 , mentre il posto dove amava consumare i suoi pasti nella sala ristorante è un tavolo sulla destra appena entrati , accanto al muro ma con una meravigliosa vista su gran parte del parco esterno. Apprezzava molto i primi. Non amava i dessert e solo in alcune occasioni sceglieva una mela artusiana o un sorbetto al limone. Sul tavolo una bottiglia di Sangiovese o del Trebbiano.
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ILLUM E MAGASIN DU NORD NON SOLO SHOPPING di Myriam Pisani
ILLUM Ă˜stergade 52 1100 Copenhagen, Denmark +45 3314 4002 www.illum.dk
MAGASIN DU NORD Kongens Nytorv 13 1095 Copenhagen, Denmark +45 3311 4433 www.magasin.dk
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L’Illum e il Magasin du Nord Strøget, grazie alle ampie sono i due spazi commerciali vetrate fronte strada e dando più importanti di Copenaghen sempre uno sguardo alle ultime situati nella centralissima strada collezioni degli stilisti più dello shopping: lo Strøget. famosi. In Illum si possono trovare oltre Il cafe-restaurant è situato stra56 negozi distributegicamente iti su cinque piani; Chi non sarebbe al piano terra, ma Illum non è tentato da un accanto all’area solo shopping. Molti giretto, anche solo borse e accessori danesi, ma anche per vedere cosa del magazzino. tantissimi turisti, vi offre uno dei più La tentazione è entrano anche per grandi e più antichi forte! Dopo la una semplice pausa magasin d’Europa? pausa dolce il giro caffè: al piano terra, per dare uno infatti, il biglietto da visita, è sguardo alle ultime novità della un fantastico coffee-restaurant, moda è d’obbligo. E così anche visibile dalla strada, in perfetto chi era entrato per un semplice design danese dalle linee tè o un rapido sandwich si trova semplici ed eleganti e proprio ad uscire, molto probabilmente, lì giovani ed anziani, coppiette con un nuovo acquisto. e amici, si ritrovano in ogni Di diverso stampo ma sempre momento della giornata. rispettando un simile concept è Con un’ampia offerta di l’area drink del Magasin du Nord, deliziosi muffin, dolci tipici da il più antico grande magazzino accompagnare a tè e cioccolate, d’Europa, che alla tradizione o toast e spuntini per il brunch, contrappone una zona coffee l’Illum cafe-restaurant rappre- drink molto moderna e allegra. senta una tappa obbligatoria È possibile sorseggiare frappé, per coloro che, girando per la cappuccini di ogni genere imfredda Copenaghen, desiderano mergendosi in un’atmosfera riposarsi e riscaldarsi dopo un allegra e giovanile. giro turistico o di shopping, Il personale è obbligatoriamenosservando il passeggio dello te giovane e di bella presenza e
la musica coinvolgente si contrappone a quella dai toni soft delle altre aree del negozio. Un modo rilassante ma allo stesso tempo divertente per prendersi una pausa dal freddo danese.
Anche qui il collegamento fashion food è immediato. Chi non sarebbe tentato da un giretto, anche solo per vedere cosa offre uno dei più grandi e più antichi magasin d’Europa?
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fashion food
Culti Maxi Ho Spa 360 gradi di piacere
Benessere, fashion and food e tanto relax: questi gli elementi che balzano alla mente entrando nel mondo di Culti Maxi ho Spa in Via Carlo Poerio a Napoli, nato da un’idea voluta dal suo fondatore Alessandro Agrati e da Massimiliano Coppola, patron della catena di negozi Maxi ho. Ma cos’è realmente il Culti Maxi ho Spa? È una location dove benessere, ristorazione tout court e fashion si sposano sapientemente. Si può sorseggiare un semplice espresso o assaporare un aperitivo e contemporaneamente scegliere un abito della nuova collezione Maxi ho o addirittura immergersi in qualche rilassante percorso fra fanghi e massaggi, bagni di vapore e cascate d’acqua. Non un semplice shopping point o una tradizionale pausa caffé: la filosofia del Culti Maxi ho Spa si basa su un’ampia concezione di benessere: un’offerta multisensoriale dedicata al cliente, un piacere fisico ma anche emotivo e spirituale. Lontani dalla frenesia di tutti i giorni ci si immerge in un’atmosfera slow, e tutti gli stress rimangono fuori. Ma dopo massaggi e percorsi benessere lo spuntino è d’obbligo; cosa offre il menu di questo piccolo angolo di paradiso partenopeo? Cominciando dalla caffetteria, è possibile contare su un’ampia scelta delle migliori miscele di caffé espresso, le cru, acquistabili anche per asporto, abbinate alle produzioni di pasticceria di biscotti o di speciali torte artigianali da accompagnare anche a tè o tisane. Per l’aperitivo una musica soft fa da sottofondo ad un happy hour in cui l’affollamento alla zona buffet è assolutamente vietato, lì trovano EM/
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solo piccoli e squisiti assaggini da accompagnare alla vasta scelta di vini di qualità della cantina. Per chi decide di fermarsi per pranzo o cena c’è l’imbarazzo della scelta, non si disdegnano piatti esotici, ma si resta legati alla straordinaria tradizione mediterranea.
SPA CAFE CULTI MAXI HO Via Carlo Poerio 47 b, Napoli Tel e/o Fax 081762501 Quest’oasi di piacere e relax è aperta tutti i giorni, compresa la domenica, dalle 10.00 alle 22.00
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fashion food
UNA CENA DA TOCCARE CON MANO INAMO, IL RISTORANTE INTERATTIVO di Piera Bellelli Inamo, risto-bar fusion situato nel cuore del Soho, a Londra, propone cucina di alta qualità, realizzata dalla creatività dello chef Alexander Ziverts ed un servizio molto efficiente. A prima vista tutto ciò non sembra distinguersi dall’offerta degli altri ristoranti
con immagini e informazioni per ciascuna pietanza: il touch-screen invia l’ordinazione e la web-cam ad esso collegata, mostra live le gesta dello chef impegnato in cucina. Le diverse possibilità di svago per ingannare l’attesa sono videogames per sfidare i
upper-class, ma la novità risiede nella trasformazione della cena in un’esperienza ad alto livello di interazione. L’Inamo stupisce per il suo design minimalista e per l’assenza del personale di sala, ma basta poco per accorgersi che i tavoli sono dei display che riproducono le immagini proiettate e che, accanto alle posate, vi è il controller per interagire con l’interfaccia web. Pochi click per selezionare il wallpaper-tovaglia e consultare il menu,
commensali e connessione ad Internet per accedere ai contenuti multimediali; si consente una full-immersion nella tecnologia e il cameriere che si avvicina per servire la cena diventa quasi un richiamo alla tradizione. Dopo aver gustato sushi e sashimi, specialità di carni e manicaretti vegan, dall’interfaccia è possibile organizzare il dopo cena sfogliando la lista dei locali e gli eventi in programma, ma basta scendere al
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piano inferiore per trovare sessantacinque comode sedute pronte ad accogliere i clienti tra musica cool, una ricercata selezione di vini ed un interessante scelta di cocktail. Il concept di Inamo, equilibrato mix tra cucina orientale, high-tech ed atmosfere lounge occidentali, nato dalla mente di Danny Potter e Noel Hunwick, sembra essere una formula particolarmente appetibile dalla concorrenza attratta non solo dall’esclusività dell’idea, ma anche dall’alto grado di innovazione che, basandosi su semplici device tecnologici, non richiede un investimento troppo oneroso. Inamo è il potenziale capostipite di altri locali che puntano a trasformare la cena in un’esperienza futuristica, ma sopratutto la dimostrazione che anche i connubi quasi impossibili in teoria, come quello tra civiltà diverse come Oriente ed Occidente, e tra innovazione ed economicità, diventano invece nella pratica realistici.
INAMO 134-136 Wardour Street, Soho London, W1F 8ZP www.inamo-restaurant.com
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high tech
di Paola Del Prete C’è un sacco di spazio laggiù: questo il titolo di una leggendaria conferenza tenuta nel 1959 da Richard Feynman. Il fisico statunitense introdusse, diversi anni addietro, così, l’ipotesi che dal mondo dell’ultra-piccolo sarebbero potuti arrivare grandi cambiamenti a livello macroscopico. E così è stato. La nanotecnologia, infatti, è la scienza con cui si può osservare, misurare e manipolare la materia a livello atomico e molecolare. La natura pervasiva delle sue applicazioni ha invaso campi tradizionalmente distinti quali l’elettronica, il biomedicale o la farmacologia, apportando ad ognuno di essi, sostanziali benefici. Nel 2006 la nanotecnologia è stata incorporata nei prodotti manifatturieri per un valore superiore a cinquanta miliardi di dollari. Nell’anno successivo, secondo le stime pubblicate dalla Lux Research (società indipendente di ricerca che fornisce consulenza strategica per le tecnologie emergenti), i prodotti realizzati hanno raggiunto i 147 miliardi di dollari. Il 60% di tale totale è relativo alle applicazioni in ambito di salute e fitness. Secondo l’autorevole fonte, l’Unione europea ha destinato 543 milioni di euro al settore nanotech per il periodo 2007-2013. Le ultime rilevazioni tratte dai dati Nanotech.it, mostrano che da quando il PEN (Project on Emerging Nanotechnologies) ha lanciato il suo inventario online, i nano prodotti sono passati dai 212 del marzo 2006 ai 475 del marzo 2007. Attualmente gli stessi sono 609, ed appaiono sul mercato ad un ritmo di tre, quattro al giorno. A stabilirlo è un recente aggiornamento dell’inventario curato dal PEN.
Le stime proposte dalla Lux Research mostrano per il 2009 una realtà in forte crescita, con un valore di mercato che entro il 2014, raggiungerà quota 2.6 trilioni di dollari. I Paesi che maggiormente investono nel settore sono Stati Uniti e Giappone, ma cresce l’interesse anche di altre Nazioni: ad oggi sono sessantacinque gli Stati che utilizzano questa tecnologia, tra questi Cina e Russia in particolare, stanno guadagnando rapidamente terreno. L’Italia, secondo gli esperti, è competitiva in quasi tutti i settori che potrebbero essere cruciali per lo sviluppo delle nanotecnologie. Vi sono grandi aziende, ma anche piccole e medie imprese che iniziano ad affacciarsi in questo settore, un esempio può essere dato da STMicroelectronics, Pirelli Cavi e IBM, che dal 2001 perseguono programmi attivi in tale settore. Testimonianza del forte interesse è l’aumento del 300% in tre anni del numero di imprese nano tecnologiche. Tuttavia, neppure i Paesi in via di sviluppo sono da meno: studi accreditati prevedono che questo trend di crescita raggiungerà la soglia del 40% l’anno, per i prossimi 12/15 anni. Per i più attenti e curiosi estimatori delle nanotecnologie, i prossimi convegni internazionali ne mostreranno al meglio i progressi e le tendenze, le esigenze e le prospettive.
Richard Feynman
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high tech
COSA ABBIAMO DA NASCONDERE? DAGLI USA IL MANTELLO DELL’INVISIBILITÀ di Paola Del Prete
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TUTTI HANNO QUALCOSA DA DIRE
microonde che devieranno i fotoni. La luce insomma, non colpisce l’oggetto direttamente ma lo aggira, impedendo all’occhio di percepirlo. La realizzazione pratica del dispositivo ha richiesto solo nove giorni dalla creazione dell’algoritmo, rispetto ai quattro mesi impiegati per il precedente prototipo. Per il futuro prossimo Smith e la sua équipe sperano di riuscire a far riflettere diversi tipi di onde e pensano già ai possibili utilizzi. Una volta perfezionato, il dispositivo potrebbe essere utilizzato nella comunicazione wireless o in altre forme di mascheratura dalle vibrazioni elettromagnetiche. La strada imboccata questa volta sembra davvero quella giusta.
La mania del social networking dilaga. E così nel popolare universo della rete finiscono anche i feti. L’idea è di Corey Menscher, un futuro papà che ha deciso di realizzare il prototipo di un sistema che consente ad un bambino di comunicare dal ventre materno. Il Kickbee, questo il nome dato all’invenzione, è una fascia elastica che, posta sul grembo materno, consente di monitorare costantemente i movimenti del feto. Ogni volta che il bambino scalcia, un messaggio viene inviato ad una pagina appositamente creata su uno dei social network più frequentati e popolari della rete: Twitter (twitter.com). In questo modo amici e parenti possono essere informati sulla crescita del nascituro e lo stesso comunica ancor prima di venire al mondo. Tecnicamente il Kickbee è una cintura dotata di sensori che registrano i movimenti del feto e, grazie ad un’applicazione Java appositamente creata, li trasformano in dati da trasmettere via bluetooth al PC. A questo punto sarà il computer a registrare i segnali trasmessi e ad inviare un feedback sul social network. L’idea di poter monitorare costantemente la crescita del bambino, potrebbe far pensare a diversi utilizzi in campo medico senza rischi per il feto. I sensori piezoelettrici, infatti, generano una piccola corrente elettrica, e le radiazioni elettromagnetiche non raggiungono il bambino.
foto (cc) di: cassetteject / flickr- mahalie / flickr
Scoperto il mantello dell’invisibilità! Non è un film di fantascienza, ma la storia di una modernissima ricerca condotta dagli ingegneri, Ruopeng Liu, Chunlin Li e David R. Smith, della Duke University di Durham (Carolina del Nord) i quali hanno realizzato un prototipo di tessuto per l’invisibilità. Lo studio e i suoi risultati, sono stati pubblicati sulle pagine della rivista Science. L’invenzione, che impegna da tempo diversi scienziati in tutto il mondo, ha già avuto nel 2006 un archetipo in grado di mascherare un oggetto dalla luce visibile. Ma il gruppo di ingegneri statunitensi guidati da Smith non si è accontentato del risultato e ha sviluppato un nuovo algoritmo, che permetterebbe all’oggetto di risultare invisibile alle microonde e alle onde elettromagnetiche più lunghe. I ricercatori, grazie alle nanotecnologie, hanno realizzato al computer una nuova serie di algoritmi matematici in grado di semplificare la costruzione di particolari materiali, noti come meta-materiali. Il prototipo del mantello invisibile è costituito da oltre diecimila frammenti di fibra di vetro disposti in file parallele, di cui almeno seimila hanno una configurazione unica. Per determinare esattamente la forma e l’orientamento di ogni parte, sono necessarie apposite formule matematiche. Ogni pezzo del prototipo infatti, è stato assemblato in base a specifici calcoli forniti dall’algoritmo, e il dispositivo finale ha una dimensione di circa 500 cm2. Ma cosa dona l’invisibilità? I meta materiali hanno la capacità di guidare le onde elettromagnetiche intorno a un oggetto e farle emergere dalla parte opposta come se fossero passate attraverso il volume di uno spazio vuoto. Gli scienziati affermano che il mantello diventerà invisibile, perché emetterà delle
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Giacomo Serra, veneziano, ha compiuto studi musicali nei Conservatori di Venezia, Castelfranco e Milano, ha studiato musica da camera e si è laureto con lode all’Università di Venezia Ca’ Foscari. Da tredici anni è pianista d’orchestra e maestro di sala al Teatro San Carlo di Napoli ed è docente al Conservatorio di musica di Potenza.
foto (cc) di: Mourner / flickr
Intervista a Ilaria Iaquinta e Giacomo Serra
Soprano e pianoforte, Napoli e Venezia, la musica crea notoriamente unione e nei casi di Ilaria Iaquinta e Giacomo Serra, dà vita ad un brillante duetto, specializzato in musica da camera, ma dal vasto repertorio che va dal Lied tedesco all’operetta, senza trascurare la tradizionale opera italiana. Ilaria Iaquinta, partenopea di origini, ha studiato canto lirico presso il conservatorio di Napoli San Pietro a Majella, perfezionato la sua preparazione in Italia ed all’estero, approfondendo lo studio non solo dei maestri classici più noti, ma anche di generi differenti come il Lied tedesco e la musica francese.
Come è nata la vostra vocazione artistica? Siete sempre stati affascinati dalla lirica? Iaquinta: «Ho sempre sentito un forte amore per la musica, da bambina cantavo quella leggera, ma apprezzavo già interpreti impegnative come Mina e devo ammettere che a differenza dei miei coetanei, non trovavo così noiosa la musica classica! Anzi con gli anni mi avvicinavo maggiormente ad essa, anche perché diversi professionisti mi suggerirono che la mia voce si prestava bene a tale genere, dunque feci l’audizione al Conservatorio di Napoli. Ho poi seguito diversi corsi di perfezionamento, il canto in effetti necessita di uno studio continuo, un allenamento quotidiano, e ovviamente tanta passione». Serra: «Ho avuto una formazione molto accademica, molto poco improntata sulla musica leggera, ho sempre amato molto la classica.
Nel ‘95 feci la mia prima audizione al San Carlo, ho collaborato con illustri direttori quali Daniel Orel, Jeffrey Tate, Gustav Kuhn e quattro anni addietro ho conosciuto Ilaria». È molto singolare che Lei, originario del Veneto, lavori a Napoli e Ilaria, campana, collabori con il teatro La Fenice di Venezia. Serra: «La nostra unione artistica è stata sin da subito molto stimolante, il Teatro è, per noi musicisti, un luogo di incontro fondamentale, laddove nascono le collaborazioni, si creano sinergie».
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musica
Com’è il dietro le quinte? Quanto tempo richiede la preparazione di una vostra esibizione? Iaquinta: «Tanto tempo, tante prove, tanto studio! Come in ogni settore, il nostro lavoro richiede sacrifici e dedizione, poi nel nostro caso bisogna incrementare la nostra sinergia, essendo un duo vi è la necessità di ottenere un’ottima intesa, di captare al volo le esigenze dell’uno e dell’altra». Serra: «La cosa fondamentale è darsi energia a vicenda, costituire un’unione, un’intesa immediata. Non è semplice abbinare voce e piano, in quanto il canto ha delle esigenze fisiologiche, quali il respiro, il tono, che il pianista deve comprendere e riconoscere nell’immediato. Occorre quindi tempo e lavoro per ottenere una simile sinergia». A quando risale il primo successo? Quale momento artistico è stato per voi più significativo? Iaquinta: «Un momento davvero denso d’emozione è stato il primo in cui ho cantato su di un palco senza microfono, mi sono sentita quasi scoperta, un po’ imbarazzata, nel cantare alla sala Scarlatti all’auditorium del Conservatorio di Napoli, ma quando ho terminato mi sono subito sentita molto soddisfatta e felice». Serra: «A Napoli abbiamo fatto dei bei concerti, nella villa vesuviana Villa Campolieto, al Museo di Capodimonte, in occasione della mostra dedicata a Salvator Rosa in cui, come spesso ci capita, siamo riusciti ad unire pittura e musica. Abbiamo infatti in programma un concerto per il prossimo autunno, in cui ci esibiremo con uno sfondo pittorico: il quadro di Bernardo Cavallino, pittore napoletano barocco, La cantautrice, abbinando in tal modo le due arti. Anche suonare nel teatro di Novara, piccolo ma di tradizione, è stata una bella esperienza. Lì, anche se non vi sono le dimensioni di un gran teatro, né gli stessi numeri di pubblico, abbiamo sempre sentito un profondo apprezzamento delle nostre performance, che, come detto, sono di vario genere, non sempre, infatti eseguiamo brani di compositori noti, dunque le nostre scelte sono per così dire un po’ coraggiose, ma pur sempre premianti. I concerti sono eventi emozionali ed è stupendo carpire l’entusiasmo del pubblico, ciò rende vero senso al nostro mestiere». In merito alle proverbiali polemiche, in cui si sostiene che la musica lirica è troppo aulica ed ha un target di pubblico molto limitato, come vi ponete? Iaquinta: «Indubbiamente il nostro pubblico non è composto prettamente da giovanissimi, ma a mio parere ciò accade in primis a causa dei costi troppo elevati dei biglietti e non per un totale disinteresse nei confronti di tale musica. Ricordo un episodio simpatico, arrivammo all’istituto nautico Bixio, sito a Piano di Sorrento, dove era prevista una nostra lezione su Toscanini, inizialmente ci sembrava un’impresa realmente impossibile convogliare l’attenzione di tanti ragazzi su un’opera così complessa, ma in seguito loro si
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sono molto appassionati e ci hanno seguito attivamente, facendoci tantissime domande. Ciò mostra che anche i giovanissimi possono appassionarsi ed interessarsi al campo». Ad oggi le presenze in teatro sono in netta diminuzione rispetto a quelle delle sale cinematografiche: come ribaltare una simile statistica? Iaquinta: «Vi è qualche pecca nel sistema, ci sono stati dei notevoli tagli alla cultura, in quanto per mancanza di fondi, in tutta Italia sono state eliminate moltissime produzioni. Si potrebbe pensare di organizzare spettacoli a prezzi ridotti, pubblicizzare maggiormente le iniziative». Serra: «Il teatro non dovrebbe essere visto come un mondo a parte, la scuola per esempio dovrebbe promuovere la cultura classica,
stimolando l’attenzione e l’interesse degli studenti, penso anche alle Università con cui, magari, sarebbe utile stipulare convenzioni. La cultura italiana è un po’ penalizzante per il nostro ambito artistico, in Europa, invece, se si pensa soprattutto a Paesi come Germania, Austria o Europa dell’Est, vi è una clamorosa differenza, perché la musica lirica ha lo stesso peso di quella leggera, difatti viene insegnata sin dalle scuole primarie e il supporto del pubblico è molto sentito, basti pensare alle fila di spettatori al botteghino, una controtendenza se si pensa che In Italia bisogna stimolare la gente affinché vada al teatro». //
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L’Ora D’Aria, è questo il titolo dell’ultima fatica discografica firmata Vincenzo De Cesari, in arte da via Anfossi, noto rapper calabrese trapiantato a Milano. Il cd è formato da dodici tracce, nelle quali si affrontano diverse tematiche sociali: dalla vita in carcere fino alle brutalità delle guerre discusse nell’ultimo pezzo, Somalia. Il lavoro contiene inoltre, una bonus track 9 mm, brano in pieno stile underground, in cui si evidenzia la collaborazione con Fabio Rizzo, in arte Marracash, rapper siciliano. Molti sono gli artisti che offrono la loro partecipazione: dalla scena hip hop italiana i Club Dogo nella traccia Cartier, presenti anche Entics in Come Se, il soul di Loretta Grace in Lady Vizio, Ricardo in My Love ed infine il rapper milanese Ted Bundy in Non Hanno Cuore. Critiche dure e sferzanti verso una società, che ancora divide i buoni dai cattivi e che spesso identifica questi ultimi negli abitanti dei quartieri popolari delle metropoli di tutta Italia. Suoni cupi e terminologia cruda, quasi a riecheggiare quel Gangsta Rap, che tanto ha imperversato nell’America della seconda metà degli anni ‘90. In molti dei suoi testi, Vincenzo da via Anfossi riporta alla luce esperienze personali, racconti di una vita non facile, anche se ciò ha prodotto critiche, da denigratori che lo accusano di gonfiare o inventare molte delle cose raccontate. L’Ora D’Aria risulta comunque un prodotto apprezzabile sia dagli addetti ai lavori, sia per i novizi che intendono avvicinarsi al rap italiano e, anche attraverso tale genere musicale, vogliono prendere coscienza di problemi che riguardano tutta la collettività e non solo una minoranza. Gian Marco Potenza
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Dispositivi anticopia, etichette con avvisi e campagne di sensibilizzazione sono gli strumenti che le case discografiche e le società a tutela del diritto d’autore mettono in atto, per cercare di arginare il fenomeno della pirateria. Allo stadio attuale, però, i provvedimenti indetti sono stati efficaci come dighe nel mare. A partire da Napster, da circa dieci anni si sviluppano programmi di scambio di file musicali e se a questo si aggiungono le decisioni sia di artisti di livello internazio-
inizia a diffondersi anche in Italia. Funziona come un archivio discografico online con motore di ricerca integrato. Il servizio, attualmente, contiene circa quattro milioni di titoli e ne aggiunge circa 10.000 al giorno, contando su un accesso totalmente gratuito. Spotify ha firmato accordi per diffondere il catalogo completo delle quattro multinazionali della musica ed è in trattativa anche con i principali distributori di musica in digitale. Le case discografiche escono così per un momento dalle
nale come la rock band inglese Radiohead, che di gruppi indipendenti meno noti, di diffondere liberamente la loro musica in rete, la lotta delle case discografiche si fa ancora più dura. Sarà per questo che l’industria discografica ha deciso di salire sul treno targato Spotify: un modo per accedere gratis a colpi di click ad un’ampia discografia... legalmente! Spotify nasce nell’agosto del 2006 in Svezia e si sta sviluppando con successo in Europa, in particolare in Spagna, ma la tendenza
battaglie legali in difesa del supporto fisico, tentando un’altra strategia: rendere libero l’accesso alla musica in modo da aggirare il problema del possesso. Spotify, così come MySpace, si basa infatti sullo streaming: la musica si ascolta in computer connessi ad internet, ma non si può per esempio registrare su un iPod o condividere. L’ambizione di Spotify è così quella di diventare l’equivalente musicale 2.0 della Biblioteca di Alessandria. Si spera senza scomparire!
foto (cc) di: Steve Cadman / flickr
SPOTIFY LA PIATTAFORMA DI ACCESSO GRATUITO ALLA MUSICA ONLINE
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136 foto (cc) di: Evil Erin / flickr
medicina e ricerca
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a linea dell’orizzonte da Napoli si estende fino a Philadelphia! Dal Children Hospital al Tigem (Istituto Telethon di Genetica e Medicina) sino al Dipartimento di Oftalmologia della Seconda Università degli Studi di Napoli: la creazione di un asse Italia-USA ha portato al successo del primo intervento al mondo, per curare una grave forma di cecità ereditaria: l’amaurosi congenita di Leber. Fino a tale momento non esistevano cure per questa malattia degenerativa della retina, che si manifesta già nella prima infanzia e che provoca, nel
prodotto la proteina mancante negli individui malati. I risultati dello studio, la cui parte italiana è stata finanziata da Telethon e coordinata dal Prof. Alberto Auricchio, sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine ed hanno aperto prospettive molto incoraggianti. Ad alcuni mesi di distanza dal trattamento, tutti i pazienti che hanno partecipato al trial clinico hanno mostrato miglioramenti significativi della funzionalità visiva: migliore è stata la risposta della retina alla luce, la percezione del campo visivo e la capacità di eseguire dei test di mobilità. Si tratta di risultati
A NAPOLI SI RICOMINCIA A VEDERE di Maria Vittoria Russo
corso degli anni, cecità o una grave riduzione della vista. Il risultato è stato raggiunto grazie all’intenso lavoro di un’equipe internazionale, che ha messo a punto una strutturata applicazione di terapia genica. Si tratta di una scienza giovane la cui prima applicazione risale solo agli anni ‘90. Le malattie genetiche (quindi ereditarie), sono causate da un gene difettoso o assente; la terapia genica consiste essenzialmente nel trasferire la versione funzionante del gene nell’organismo del paziente, in sostituzione del gene difettoso. Nel caso in questione, l’intervento è stato eseguito con l’iniezione nello spazio sottoretinico dell’occhio, di un vettore virale contenente la versione sana del gene alterato che, una volta stabilizzatasi nella retina, ha
di grande importanza, non solo per la possibilità di curare la malattia in questione, ma anche perché testimoniano la valenza strategica della terapia genica. Nonostante gli indubbi progressi raggiunti, però, sono ancora pochissimi gli interventi riusciti dal punto di vista clinico, per cui non è possibile stilare una casistica positiva. Ecco perché è necessario continuare ad investire su questo tipo di terapia: per migliorarne le metodiche e le conoscenze biologiche di base, così da renderla uno strumento efficace nelle mani dei medici del futuro per il numero più elevato possibile di patologie!
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intervista al professore Alberto Auricchio
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Quali sono state le difficoltà incontrate nel lavorare in collaborazione con un Paese così distante? «Le difficoltà maggiori sono per i pazienti, in
La tecnica Del Vettore virale un duplice verso: dal punto di vista logistico, perché di certo non è agevole recarsi a Philadelphia e soggiornare lì circa due settimane; e dal punto di vista economico, perché tutto il lavoro di selezione e follow up è a spese nostre, mentre le spese per il viaggio sono condivise. >
Il vettore virale è una tecnica biotecnologica per rilasciare materiale genetico in una cellula. Consiste nello sfruttare la naturale capacità che hanno i virus, opportunamente modificati, di aderire alla superficie cellulare e rilasciare il proprio materiale genetico. A differenza dei virus però, i vettori da essi derivati non sono in grado di portare a termine un’infezione produttiva: infatti in seguito alla introduzione del materiale genetico (trasduzione) non avviene la replicazione e propagazione del virus.
foto (cc) di: Evil Erin / flickr
Qual è stato l’effettivo contributo del gruppo di Napoli al progetto di ricerca? «Il nostro contributo è stato nella selezione ed identificazione dei pazienti, affetti da una malattia che colpisce la retina, chiamata Amaurosi congenita di Leber e sono casi molto rari, che richiedono anche una certa expertise clinica, perché possano essere identificati ed un lavoro di laboratorio minuzioso, perché si possa capire qual è il gene che è mutato. Tutto ciò costituisce il presupposto essenziale affinché tali pazienti possano essere inseriti nel protocollo terapeutico. Questo lavoro è stato svolto interamente a Napoli, dal dipartimento di Oftalmologia della II Università di Napoli, dove lavora la dott.sa Simonelli e dal Tigem, mentre l’analisi molecolare di questi pazienti è stata effettuata da Sandro Banfi. I pazienti hanno poi continuato l’iter procedurale recandosi negli Usa, dove i nostri collaboratori hanno messo a punto questo nuovo farmaco, consistente in una sorta di virus modificato, e brevettato la procedura per iniettarlo nella retina, per cui la fase chirurgica viene effettuata negli Usa. In seguito i pazienti tornano in Italia, dove viene eseguito il follow up del trial clinico, per capire se questo virus introdotto nella retina è tossico o se invece ha un effetto benefico sulla funzionalità della stessa».
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Quali sono gli sviluppi previsti? «In questo progetto sono stati trattati ad oggi quattro pazienti italiani e cinque americani, per un totale di nove casi. Prevediamo di trattarne altri, con ogni probabilità anche italiani, lo scopo è capire la sicurezza di questa procedura, la giusta dose di farmaco da somministrare e, come dimostrato da alcuni pazienti, la sua efficacia. Sarà una terapia che verrà commercializzata, quindi usata negli ospedali dai medici? «L’idea è questa, come per ogni sperimentazione clinica. Ora siamo in una fase sperimentale, quindi una fase di ricerca, che è possibile chiamare fase uno. Ovviamente non sarà sufficiente, ci vorrà di certo un altro studio e quindi una fase due. Poi sarà possibile, se i risultati lo supporteranno, che questa realtà possa trovare le necessarie autorizzazioni per realizzare la fase di marketing, che chiameremo fase tre, finalizzata alla vendita al pubblico di questo tipo di farmaco.
Quali le tempistiche previste? «Ciò non è facilmente deducibile, perché si tratta della prima sperimentazione in corso. Immagino occorrano più di dodici mesi affinché si arrivi al marketing, sempre che i risultati siano positivi». La fase due sarà sempre locata a Napoli? «È una questione da definire, in ogni caso resterebbe attiva la collaborazione con gli Usa. Si dovrà verificare che sussistono i fondi e i presupposti necessari per continuare la partnership, che sarebbe di nostro indiscutibile interesse». Tra i vostri finanziatori figura solo Telethon? «Finora si». //
Questo tipo di sperimentazione è una terapia specifica per l’amaurosi congenita di Leber e per la sottoforma di amaurosi congenita di Leber. Si tratta di una forma di cecità dovuta alla mutazione di un gene specifico, l’ RPE65, è quindi evidente che, se un paziente sviluppa un’altra forma di amaurosi (legata ad un altro gene), questa patologia non può essere trattata con tale farmaco perché esso è un virus che trasporta una copia corretta del gene RPE65; quindi solo un soggetto affetto da tale mutazione di gene potrà essere sottoposto a questo trattamento per ottenere dei risultati. Ovviamente se si soffre di un‘amaurosi perché è mutato un altro gene, questo tipo di vettore è inutile, perché in tal caso l’RPE65 è sano.
L’equipe La parte italiana dello studio è stata coordinata da Alberto Auricchio ricercatore del Tigem e professore associato dell’Università Federico II di Napoli. Per il Tigem hanno partecipato anche Enrico Maria Surace e Sandro Banfi, che ha eseguito lo screening genetico delle persone idonee all’intervento. Sul versante clinico, il reclutamento e il follow-up dei pazienti sono stati coordinati da Francesca Simonelli del Dipartimento di Oftalmologia della Seconda Università degli Studi di Napoli. La sintesi del vettore virale e l’intervento chirurgico sono avvenuti al Children’s Hospital di Philadelphia, sotto la supervisione di Jean Bennett. I risultati sono stati presentati il 29 aprile 2008 a Roma con la partecipazione di Susanna Agnelli, presidente di Telethon, e di Andrea Ballabio, direttore del Tigem.
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UN Rimedio valido solo per questa particolare forma di cecità
Alberto Auricchio ed il suo gruppo di ricerca
foto (cc) di: Evil Erin / flickr
Abbiamo presentato il progetto anche alla recente convention di Telethon».
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foto (cc) di: Kiwi Mikex / flickr
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PROGETTO TERRA MADRE DAL LUSSO PREGIATO DI ZEGNA, AL PIATTO PRELIBATO DI SLOW FOOD di Teresa Petrellese
Slow Food, organizzazione internazionale no-profit a sostegno della corretta alimentazione ed in difesa della biodiversità, dà nuova linfa al progetto Terra Madre, incontro mondiale tra le comunità del cibo, offrendo una partnership d’eccezione: Ermenegildo Zegna. Tale progetto è stato concepito e sviluppato da Slow Food, per dare voce agli agricoltori, ai pescatori, agli allevatori, di tutto il mondo, mirando ad accrescere la consapevolezza che il lavoro del settore primario è fondamentale per il bene del Pianeta e dei suoi abitanti. Giunta alla sua terza edizione, Terra Madre pensa in grande: invita al tavolo alcuni produttori di fibre naturali provenienti da tutto il mondo, per creare il primo network tessile. Nei primi posti delle classifiche mondiali, la firma italiana Ermenegildo Zegna, centenaria azienda di spicco per l’abbigliamento maschile di lusso ad alto prestigio dei tessuti, vanta un’esperienza ereditata e consolidata nel tempo. L’industria tessile piemontese continua a basare le proprie produzioni, esclusivamente sulla lavorazione delle fibre naturali, importate dall’Australia, dall’Argentina, Cina, Sud Africa e Nuova Zelanda, instaurando con tali Nazioni, un contatto diretto nel reciproco interesse: eccellenza
nei prodotti Zegna ed impegno sociale per migliorare la qualità della vita delle persone che fanno parte di quelle comunità. ERMENEGILDO ZEGNA È STATO IL PRIMO MARCHIO TESSILE AD INDICARE NELLE ETICHETTE DEI CAPI NON SOLO LA QUALITÀ DELLE FIBRE UTILIZZATE MA ANCHE LA PROVENIENZA Difatti è stato il primo marchio tessile ad indicare nelle etichette dei capi non solo la qualità delle fibre utilizzate, ma anche la provenienza citando ad esempio Inner Mongolian Cashmere, anziché semplicemente 100% cashmere. L’evento Terra Madre, insieme a sostenitori, partners e donatori – tra cui Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, Cooperazione Italiana allo Sviluppo-Ministero Affari Esteri, Regione Piemonte, Città di Torino diffonde la consapevolezza dell’indispensabilità di quest’approccio. Una rete costituita da coloro che vogliono agire per preservare metodi di produzione alimentare sostenibili, in armonia con la natura e nel rispetto dell’ambiente. Partnership dunque, non solo fra aziende, ma anche con madre natura.
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foto (cc) di: Daniel Montesinos / flickr
TREE NATION ADOTTA UN ALBERO IN NIGER Tree Nation, organizzazione noprofit con origini a Barcellona, ha realizzato un importantissimo progetto ecologico: piantare otto milioni di alberi nelle terre del Niger, in Africa. PIANTARE OTTO MILIONI DI ALBERI NELLE TERRE DEL NIGER, IN AFRICA, PER COMBATTERE LA STERILITÀ DEL SUOLO La desertificazione del terreno nigeriano rende aridi ed incoltivabili diversi campi, per cui l’impianto di nuovi alberi sembra essere l’unica arma per combattere la sterilità del suolo, creando le basi per una sana e viva rigenerazione delle terre. L’obiettivo non è solo evitare un disastro ambientale, in cui diverse specie di fauna e flora andrebbero ad estinguersi, ma anche iniziare un rilevante ciclo di produzione per le popolazioni locali: maggior rendimento del terreno, formazione per le pratiche agricole, auto-mantenimento. Con Tree Nation è possibile adottare un albero e seguirne la crescita, lo si EM/
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acquista on line con prezzi che variano da 8 a 75 euro in base al tipo di albero e la scelta è abbastanza ricca: si parte, difatti, da un’Acacia Senegal sino ad arrivare ad un Baobab. È possibile selezionare il sito in cui verrà piantato grazie ad una mappa virtuale, lo si personalizza con tag ed etichette, e tramite il sistema GPS, si potranno seguire le evoluzioni del tronco. Apparirà anche il nome di chi lo ha acquistato o del destinatario, qualora sia un regalo, per tale potenzialità l’iniziativa si presta ad essere anche una valida alternativa ai classici doni. I responsabili del progetto, insieme alle comunità locali e all’UNEP (United Nations Environment Programme) mirano ad assicurare la creazione di un ambiente proficuo per la crescita delle piante, ma è fondamentale il sostegno di tutti i potenziali benefattori e sostenitori, che materializzino il loro interesse con l’acquisto di un albero. Solo in tal modo il giardino del Niger, la zona subsahariana dell’Africa, il paese più
povero al mondo (secondo i dati HDI-Human Development Index); potrebbe così non essere più arido e deserto, non
più una minaccia per il cambiamento dell’ecosistema, ma un germogliare di semi, di alberi che danno la vita.
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