Sommario
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Armenia terra antica
testo e foto di Teresa Carrubba
pag. 36
pag. 38
pag. 42
pag. 46
SUDAN concerto tra le piramidi di Meroe testo e foto di Romeo Bolognesi Città TORONTO simbolo della civiltà sociale testo e foto di Marco De Rossi
pag. 14
Sri Lanka
isola splendente nell’Oceano Indiano
Courchevel vacanza sulla neve a 5 stelle testo di Viviana Tessa L’eccellenza della Val d’Aosta, la montagna testo di Luisa Chiumenti
pag. 50
Martina Franca il trionfo del Barocco testo di Raffaella Ansuini
pag. 54
Tevere Farfa un itinerario nella riserva naturale testo di Luisa Chiumenti
pag. 60
Casa Cartagena dal fascino Inca al design italiano testo di Orso Maria Leale
pag. 66
Ego Amo il lusso amo l’ambiente testo di Pamela McCourt Francescone
pag. 70
Victoria Regeneration SPA
pag. 72
Le perle di vetro di Venezia testo di Augusto Panini
pag. 78
TOSCANA terra del vino testo di Giuseppe Garbarino
pag. 86
Calda d’inverno, la polenta testo di Francesca D’Antona
testo di Anna Maria Arnesano foto di Giulio Badini pag. 20
BONBINI!
benvenuti ad Aruba
testo e foto di Pamela McCourt Francescone pag. 28
DANCALIA
inferno geologico tra sale e vulcani
testo di Anna Maria Arnesano foto di Giulio Badini pag. 88
Una calda sensazione chiamata Cashmere testo di Daniele Nencini
pag. 93
Tradizioni testo di Mariella Morosi
pag. 95
Libri
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Editoriale Christmas time. Dicembre, rutilante di luccichii e buoni propositi, di presepi e abbracci familiari. Ma la mente non smette di vagare e di volare verso mete lontane dove il Natale si spoglia della sua veste religiosa e rituale per assumere i caratteri della vacanza e del relax. Ecco che i Tropici, il Sudamerica, l’Estremo Oriente possono diventare l’altra faccia del Natale. Lontano dalle frenesie dello shopping a tutti i costi, dai festeggiamenti affollati e cadenzati da sempre. La Provincia del Gansu, in Cina, sulla leggendaria Via della Seta, le coloratissime vie del Messico coloniale, per restare sul classicostorico. Oppure un’avventura fuori dal mondo, per i viaggiatori più temerari, la crociera in Antartide. I più romantici amanti della natura forse preferiranno piccoli Eden privati come Frégate, la preziosa isola a 20 minuti di volo da Mahé, con spiagge da sogno e ville per gli ospiti, oppure uno dei lussuosi resort della Malesia per una vacanza-sub nella barriera corallina. I più tradizionalisti, che vogliono comunque immergersi nell’atmosfera natalizia, accoglieranno invece le infinite proposte dell’Europa, unendo il viaggio mistico a quello culturale e, perché no?, anche al fitness.•
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Cina
Il Gansu sul Tetto del Mondo Testo e foto di - Words and photos by
Teresa Carrubba
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Il migliore passaggio sotto il Cielo”. Così era considerata la Porta Occidentale della Cina, cioè l’estremità della Grande Muraglia rappresentata dal Forte di Jiayuguan, della dinastia Ming, a buon motivo incluso nel Patrimonio Unesco, avamposto di scambi culturali e del commercio tra la Cina e il bacino del Mediterraneo. E’ nella Provincia del Gansu, all’incrocio degli altipiani Qinghai-Tibet, il Tetto del Mondo. Da qui passavano viaggiatori e mercanti a dorso di cammello nell’aspro percorso del Corridoio di Hexi per millenni unico collegamento tra Cina e Occidente. Da qui passava la leggendaria Via della Seta che evoca immagini di mercanti carovanieri carichi di
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Gansu. On the Roof of the World
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The best passage under the Sky”. This is how they considered the Western Gate of China, which is to say the last part of the Great Wall of China which was the Ming dynasty Fortress of Jiayuguan, appropriately is a UNESCO world heritage site, and a former outpost of cultural and commercial exchange between China and the Mediterranean. The Fortress is in the province of Gansu, at the crossroads of the Qinghai and Tibet plateaux - the Roof of the World. Travellers and merchants plied their way along the harsh Hexi Corridor for centuries as it was the only link between China and the West. It was also part of the legendary Silk Ro-
stoffe pregiate, ma anche di spezie, monili, vetri e porcellane. Per più di due millenni questa Via si è snodata lungo più di seimila chilometri diramando collegamenti capillari fino alla Russia meridionale e all’Asia centrale. E da qui transitavano non solo le mercanzie, ma anche la cultura e la filosofia religiosa. Qui si trovano molti templi, antiche grotte-tempio e centri di culto del Buddismo che si estendono dal margine orientale fino alla punta occidentale della Provincia. Nel sud, invece, Xiahé è sede di un importante complesso di monasteri tibetani, secondo soltanto a quello di Lhasa; in particolare, l’attività religiosa ruota intorno al Monastero di Labrang, uno dei sei più grandi centri tibetani dei Gelugpa, l’ordine dei Berretti Gialli del buddhismo tibetano. Altrettanto celebri le Grotte dei Mille Buddha a Mogao, anche questo sito Unesco, nel territorio della città di Dunhuang. Le grotte di Mogao costituiscono uno dei più pregevoli complessi di arte buddista del mondo. In un passato aureo era sede di 18 monasteri, di numerosi artisti, traduttori e calligrafi e meta di pellegrinaggio per
ute which evokes images of caravans and merchants laden down with precious silks, spices, jewellery, glass and porcelain. For more than two thousand years this road snaked its way for six thousand kilometres, branching off along the way to create an entire network of roads, to southern Russia and central Asia. And along it travelled not just merchandise, but also culture and religious philosophies. Along the way, from the east to the west of the province, there are many temples, antique cave-temples and centres of Buddhism. While in the south, in Xiahé, there is an important complex of Tibetan monasteries, which is second in importance only to that of Llhasa. The religious activities are concentrated around the Monastery of Labrang, one of the six great Tibetan centres of the Gelugpa, the order of the Yellow Berets of Tibetan Buddhism. Equally famous are the Mogao Caves of the Thousand Buddhas, another UNESCO site, near the city of Dunhuang. The Mogao Caves are one of the most splendid collections of Buddhist art in the world. In the golden age there were 18 monasteries around them, and many artists, translators and cal-
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i viaggiatori che si proteggevano con la preghiera dai pericoli dell’attraversamento del deserto del Gobi. L’entrata alle grotte è strettamente controllata e non è possibile accedervi senza guida; sono 492, ma se ne visitano solo una decina, comprese quelle che custodiscono 2 Buddha imponenti, di 34 e 26 metri. Sempre nell’area di Dunhuang, un altro sito da non perdere ma dalla spettacolarità completamente diversa: le dune di sabbia del Mingsha Shan, modellate dal vento in eleganti volute scultoree dai colori cangianti nelle varie fasi del sole. Sono dune molto alte, fino a 1700 mt. su cui si può salire con macchinette semiscoperte o con i cammelli. Dunhuang. In passato era una fertile oasi circondata da alte montagne e dal deserto dei Gobi, utilizzata come stazione di posta dai viaggiatori della Via della Seta per far riposare i cammelli e rifornirsi prima di ripartire. Alcuni di loro invece si stabilirono lì e costruirono fortezze, torri e templi. Tuttavia, la più grande oasi del Corridoio Hexi, fu senz’altro Zhangye, in passato fortemente influenzata dalla cultura tibetana. Oggi è una città vivace con tipica architettura a pagoda e un tempio con una delle particolarità più interessanti della Via della Seta: la più lunga statua di Buddha sdraiato lunga 35 metri protetta da imponenti figure di venerabili in terracotta, affreschi e oggetti dell’eopca Qing. Nella stessa zona, l’effetto impressionante del Danxia Landform, un sito irripetibile di formazioni rocciose disegnate dall’erosione del vento, ora in canne d’organo ora in bizzarre onde marine, la cui variegata
ligraphers lived there as the caves were a place of pilgrimage for travellers who on their journey across the Gobi Desert would stop here to pray for a safe passage. Entrance to the caves is strictly controlled and they can only be visited with a guide. There are 492 caves but only about 30 are open to visitors, including those which contain two enormous Buddha carvings, one 34 meters high and the other 26 meters high. Near Dunhuang there is another completely different yet equally spectacular site, the sand dunes of Mingsha Shan, honed by the wind into elegant sculpted whirls that are lit with different iridescent hues by the changing position of the sun. They are tall dunes, up to 1,700 metres high, and the lower part can be reached on open jeeps or on camel back. In the past Dunhuang was a fertile oasis surrounded by high mountains and the Gobi Desert, and it was a place where travellers stopped along the SIlk Route to rest their camels and stock up on supplies before continuing on their way. Some decided to stay there, and built fortresses, towers and temples in the area. However the largest oasis on the Hexi Corridor was Zhangye, which in the past came strongly under the influence of Tibetan culture. Today it is a lively town with pagodas and with a temple with one of the most interesting attractions on the Silk Route – China’s longest reclining Buddha statue, some 35 metres long and protected by important and venerable figures in terracotta, frescoes and Qing dynasty objects. In the same area the Danxia Landform is a unique geological formation of rocks eroded by the winds, some in the shape
composizione geologica fa sì che gli effetti della luce naturale trasformi il sito in una scenografia di colori coinvolgente e mutevole. Ma il vero centro strategico della Via della Seta è Lanzhou, capoluogo della provincia del Gansu nonché punto di partenza degli epici viaggi via terra alla volta del Xinjiang e del Tibet. Nell’antichità era chiamata la città dorata, per i floridi commerci grazie alla sua posizione lungo la Via della Seta, punto di attraversamento del Fiume Giallo. Retaggio di quell’epoca, ancora oggi è considerata Ia principale struttura industriale della zona nord-occidentale della Cina. Della storia archeologica, invece, ci sono tracce interessanti nel bellissimo Museo della Provincia del Gansu che, con un sapiente allestimento, conserva reperti della Dinastia Han dal 206 a.C. al 220 d.C., fra cui le tavolette di legno incise utilizzate per trasmettere messaggi lungo la Via della Seta e una bella statua bronzea raffigurante il Cavallo volante di Wuwei Un cavallo che galoppa sul dorso di una rondine rinvenuto trent’anni fa in una tomba della dinastia Han, sotto il tempio di Leitai. Una chicca del viaggio nella Provincia del Gansu è Liqian, un luogo la cui storia gira intorno alla possibilità che i suoi abitanti discendano da una truppa di legionari romani sconfitti i quali nel 53 a.C. si rifugiarono qui e qui si accasarono. Ancora oggi a Liqian si trovano persone dai caratteri somatici ibridi metà cinesi e metà caucasici e ricerche scientifiche, compresa l’analisi del DNA, sembra avvalorare l’ipotesi della discendenza romana.•
of organ pipes and others resembling strange ocean swells. What makes then unique is the way the light transforms them into a palette of intriguing colours that change intensity depending on the light. The strategic centre of the Silk Road in Gansu was Langzho, the province’s main city and the starting point for epic journeys overland to Xinjiang and Tibet. In ancient times it was called the golden city for its lively trading on the Silk Road, and as it was a crossing point on the Yellow River. And today it still holds this position as the main industrial centre in north-west China. There are many fascinating archaeological finds in the handsome Museum of Gansu Province which, also thanks to the creative layout, provides an interesting overview of the Han dynasty dating to 206 B.C. to 220 D.C. including wooden tablets with engravings which were used to send messages along the Silk Route, and the exquisite little bronze statue of the Galloping Horse of Wuwei. A prancing horse balanced on a swallow’s back which was found thirty years ago in a Han dynasty tomb under the temple of Leitai. One special and memorable experience when in Gansu Province is a visit to Liqian, a place where history would have it that some inhabitants are descended from a Roman legion which was defeated at a battle in 53 B.C. and fled to these parts where they stayed. Today in Liqian you can meet people with hybrid somatic features, half Chinese and half Caucasian, ans scientific research, including DNA tests, would seem to prove that they are indeed descendants of the ancient Romans. •
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China Eastern Airlines, fondata nel 1995, è oggi una delle tre principali compagnie aeree della Cina con base a Shanghai e con una flotta di 337 aerei, un network di 110 destinazioni in Cina, nel Sud-Est asiatico, in Europa, in Nord America, in Sud Africa e in Australia. Nel 2010 China Eastern ha firmato il memorandum of understanding per l’ingresso dello Compagnia nell’alleanza Sky Team avenuta a luglio 2011.Sempre nel 2010 Shanghai Airlines diventa una filiale della China Eastern Airlines. Nel 2011 Inaugura i voli Roma-Shanghai con 3 voli alla settimana che subito dopo diventano 4. Nel 2011 iniziano
i voli code-share con AZ per FCO-PEK v.v. operati da AZ e FCO-SHA v.v. operati da MU (China Eastern). China Eastern Airlines partecipa al Programma Mileage comune tra i vettori dell’Alleanza SkyTeam e all’opzione Tariffa giro del mondo con i vettori dell’Alleanza SkyTeam. La flotta si è rinnovata con il cambio dell’aeromobile da A340300 a A330-200 con 23 posti in classe Business e 238 posti in classe Economy. In previsione da gennaio 2012 l’inserimento della quinta frequenza da FCO. La compagnia copre le seguenti destinazioni: Cina - Shanghai, Canton, Chengdu, Guilin, Hong Kong, Kunming, Lhasa, Nanchino, Pechino, Qingdao, Urumqi, Wuhan, Xi’an, Isola Di Hainan (Sanya E Haiko) ecc. (circa 50 destinazioni). Asia: Vietnam, Cambogia, Thailandia, Malaysia, Singapore, Indonesia, India, Corea del Sud & Giappone. Oceania: Australia. www.chinaeastern.it
China Eastern Airlines, founded in 1995, is one of China’s three largest airlines and is based in Shanghai with a fleet of di 337 aircraft and a network of 110 destinations in China, South-east Asia, Europe, North America, South Africa and Australia. In 2010 China Eastern signed a memorandum of understanding to enter the Sky Team alliance of which it became a member in July 2011. In 2010 Shanghai Airlines became an affiliate of China Eastern Airlines. In 2011 China Eastern launched Rome-Shanghai flights three times
weekly and quickly added a fourth flight. In 2011 China Eastern will start code-share flights with Alitalia, with AZ operating Rome-Beijing flights and MU (China Eastern) operating Rome-Shanghai services. China Eastern Airlines is a member of the SkyTeam Mileage programme and of the round-the-world fare with SkyTeam members. The fleet changed when the A340-300s were replaced by the A330-200s which have 23 seats in Business and 238 in Economy. A fifth Fiumicino flight is planned from January 2012. China Eastern flies to Shanghai, Canton, Chengdu, Guilin, Hong Kong, Kunming, Lhasa, Nanking, Beijing, Qingdao, Urumqi, Wuhan, Xi’an, Hainan (Sanya and Haiko) for a total 50 destinations in China. It also flies to Vietnam, Cambodia, Thailand, Malaysia, Singapore, Indonesia, India, South Korea, Japan and Australia. www.chinaeastern.it
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Gli spaghetti dell’Imperatore Testo e foto di - Words and photos by
Pamela McCourt Francescone Alla scoperta delle tradizioni gastronomiche lungo l’antica Via della Seta nella provincia del Gansu
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paghetti, spaghettini e spaghettoni, linguine e trenette, fedelini e vermicelli, tagliatelle e tagliolini, fettuccine, pappardelle e tortellini sono solo alcune delle prelibatezze culinarie scoperte da Marco Polo nei suoi viaggi sull’antica Via della Seta lungo il Corridoio Hexi nella provincia del Gansu, che confina con il deserto del Gobi e la Mongolia. Leccornie che, secondo la leggenda, il grande esploratore veneziano avrebbe riportato in patria al ritorno dai suoi viaggi in Oriente. Langzhou, il capoluogo di provincia del Gansu, un lungo corridoio di grattacieli sul Fiume Giallo stretto tra due catene montuose, vanta due unicità. Il Cavallino Galoppante di bronzo del 2° secolo d.C., che “vola” sul dorso di una rondine -da qualche anno simbolo dell’Ente del Turismo Cinese -che si può ammirare nel museo cittadino-. e il tangmiàn, un delicato brodo di manzo con i famosi spaghettini di grano del Gansu, introdotti nel 1800 dall’Imperatore Guangxu. La maestria con la quale i cuochi del Gansu tirano gli spaghetti è ipnoti-
the emperor’s noodles A journey of discovery through the gastronomic delights of the ancient Silk Route in the Chinese province of Gansu Spaghetti, spaghettini and spaghettoni, linguine and trenette, fedelini and vermicelli, tagliatelle and tagliolini, fettuccine, pappardelle and tortellini… all made in China, as Marco Polo discovered on his travels through the Gobi Desert and the province of Gansu. And they were just some of the delicacies the great Venetian explorer brought back to Italy from his travels along the ancient Silk Route, part of which runs through this northern ChInese province on the borders with Mongolia. Langzhou, which is Gansu’s main city, is a tightly-packed corridor of skyscrapers on the Yellow River and has two things to brag about: the little 2nd-century bronze statue the Galloping Horse on a Swallow’s Back - which is the symbol of the Chinese National Tourism Administration – and can be admired in the municipal museum. And tangmiàn, a delicate beef broth with Gansu’s famous handpulled wheat noodles which were introduced to the province in 1800 by Emperor Guangxu. The mastery with which the Gansu
ca, e la loro velocità lascia senza fiato. La magia inizia con il miàn, un pezzo d’ impasto di farina di grano e acqua lavorato con le mani, l’avambraccio e il gomito fino a diventare elastico, che viene tirato a strattoni per allungarlo prima di piegarlo a metà e formare due fili, usando le dita in modo che i fili non si attacchino. Poi i due fili vengono nuovamente tirati con strattoni e movimenti dondolanti velocissimi per ottenere quattro fili. E così via, finché non si raggiunge lo spessore e il numero di fili desiderati - 8, 16, 32, 64 – e si dà ai fili sottili e lunghissimi una sbattuta finale sul tavolo per rimuovere la farina in eccesso. Ed ecco, in meno di due minuti, una porzione di spaghettini del Langzhou, perfettamente simmetrici e tutti della stessa lunghezza, che vengono buttati in acqua bollente per qualche minuto, e poi serviti nel brodo di carne al quale viene aggiunto del ravanello bianco a fettine e, a piacere, olio con aglio e peperoncino, scalogno tritato, salsa di soia e coriandolo. Da Langzhou l’antica Via della Seta proseguiva in direzione nord-ovest attraverso il Gansu, toccando le città di Wuwei, Zhangye,
chefs hand-pull the noodles is hypnotic and the speed with which they work is mind-boggling. The magic starts with the miàn, a piece of dough made from flour and water, which is kneaded with the hands, forearms and elbows until elastic and then pulled and jerked with the hands to stretch it as long as possible before doubling it over with a deft flick of the finger to form two strings. Using the fingers to keep the noodles apart, and with more pulling, stretching, and swinging the noodles up and down, the two strings quickly become four. And then eight, and sixteen, and thirty-two and sixty-four and, with a final slap on the table to remove any excess flour, the noodles are ready. Less than two minutes to make a perfect portion of Langzhou noodles, all identical and of the same length, which are then tossed into a pot of boiling water for a couple of minutes and served in a rich beef broth to which they add chopped white radishes, oil flavoured with chillies and garlic, chopped scallions, coriander and soy sauce. From Langzhou the ancient Silk Road ran in a north-westerly direction through the cities of Wuwei, Zhangye, Jiayuguan and Dunhuang, each of which has its own particular
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la vacanza è nell’aria
Jiayuguan e Dunhuang, ognuna delle quale vanta ancora oggi caratteristiche tradizioni culinarie. A Zhangye, una vivace città con il Buddha dormiente più lungo della Cina, la specialità locale sono le linguine che vengono spezzate, cotte e condite con peperoni, fagiolini, pomodori, cavoli e funghi tagliati a dadini e spesso servite tiepide o fredde e innaffiate con il baijiu, il locale vino da riso. Jiayuguan, che si trova tra il deserto del Gobi e le montagne Qilian, è famoso per il shaokezi, un sottile tortino di farina di riso che viene cotto nella cenere della brace. Molto apprezzata anche la carne di montone, lessata per togliere ogni residuo di grasso, e poi fritta in una pastella croccante, gli spiedini di montone, agnello e trippa alla brace e gli spiedini di patate: sottili dischi di patata conditi con polvere di cumino e cotti sulla fiamma viva. Rossi, succosi e saporiti i pomodori locali che, spellati e cotti, diventano un sugo fresco dentro il quale si rompono delle uova che vengono mescolate con il pomodoro e con l’aggiunta di cipollotti freschi per un piatto saporitissimo e dai colori vivaci. Curioso e molto saporito anche il piatto di pasta tipico di Jiayuguan: larghe pappardelle lessate e servite in un brodo di verdure che vanno poi trasferite in ciotole più piccole con un brodo al quale è stato aggiunto aglio, cumino, peperoncino, coriandolo e altre spezie. Rituale impegnativo il trasbordo dato che le pappardelle sono lunghissime e molto scivolose, e il passaggio da una ciotola all’altra avviene rigorosamente con i bastoncini! Dall’aspetto delicato i candidi tortellini di pasta di riso, ma nascondono un cuore perfido: un impasto di carne e verdure con quantità industriali di pungente aglio fresco, e quindi solo per i più pavidi! Ad accompagnare gli spiedini, le pappardelle e i tortellini l’ottima birra locale, Huang Beer, che si beve in bicchierini piccolissimi: un’usanza locale adottata nei secoli, si dice per aiutare a frenare chi ha la tendenza ad alzare troppo il gomito.•
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Link: http://www.turismocinese.it/guide/cina-via-della-seta Ente del Turismo Cinese - Via Nazionale 75, 00184, Roma,
and very different gastronomic traditions. Although noodles are a common denominator. In Zhangye, a bustling city with a statue of China’s longest Sleeping Buddha, the local speciality is a kind of flat noodle which is broken into pieces, quickly boiled and then tossed with chopped peppers, green beans, tomatoes, cabbage and mushrooms and served barely warm or cold with bai jiu, the local rice wine Jiayuguan, which is between the Gobi Desert and the Qilian mountains, is famous for its shaokezi, a thin rice cake which is cooked in the embers of open braziers. Mutton is also popular in this area, and is boiled to remove all the fat before being fried in a crispy batter. Then there are the mutton, lamb and tripe skewers which are cooked over hot coals together with delicious thin discs of potatoes which are also skewered, sprinkled with cumin and cooked over the open fire. The red, juicy local tomatoes are skinned, chopped and stewed to make a thick sauce to which they add fresh eggs and chopped scallions, stirring vigorously to get the effect of scrambled eggs. This is a very tasty and colourful dish, the yellow eggs and green scallions a perfect counterpoint to the bright red tomatoes. The typical noodles of Jiayuguan are also tasty and entail a traditional ritual at the table. The wide ribbons are cooked in boiling water and then served in a large bowl of vegetable broth, while smaller individual bowls, containing a rich broth to which garlic ,cumin, chillies, coriander and other spices have been added, are placed on the table. Eating these noodles calls for a lot of patience as they have to be transferred from the large bowl to the smaller ones. But as they are extremely long and slippery, and all you have are chopsticks, this can be quite tricky! Jiayugan’s white rice wontons look delicate but they pack a punch, as the meat and vegetable stuffing contains pungent fresh garlic, and so they are not for the feint-hearted! The excellent local Huang Beer served with the kebabs, ribbon noodles and wontons comes with thimble-sized glasses, a local tradition introduced down the centuries to rein in the more exuberant brand of drinker! •
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beyond traveling
MADAGASCAR
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isola segreta della natura
Testo di Anna
Maria Arnesano Foto di Archivio
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l Madagascar può essere sicuramente definito come uno dei paesi più straordinari della terra, per almeno due motivi: la natura, assolutamente unica, e i suoi abitanti, un mèlange etnico davvero incredibile. Cominciamo dalla natura. Quarta isola per superficie del mondo (grande quasi il doppio dell’Italia), il Madagascar si trova nell’oceano Indiano di fronte alle coste del Mozambico. Sebbene a separarlo dall’Africa sia un braccio di mare di appena 400 km, con il continente africano ha ben poco da spartire da tutti i punti di vista, presentandosi come un habitat decisamente a sé stante. Tutto nasce dal fatto che questo microcontinente in mezzo all’oceano si staccò dall’Africa e dal supercontinente del Gondwana ben 160 milioni di anni or sono, quando la geografia del pianeta era ben diversa dall’attuale e sulla terra dominavano ancora incontrastati i dinosauri, per cui flora e fauna hanno subìto nel tempo un’evoluzione autonoma e differente da quella di tutti gli altri continenti, con il risultato che un elevato numero di piante e
di animali malgasci costituiscono dei veri endemismi, cioè non si trovano in nessuna altra parte. Sono endemiche l’ 80 % delle piante, quasi tutti i mammiferi, la metà degli uccelli e il 97 % di rettili e anfibi. Mentre sono assenti tutti i grandi animali africani, sono endemici ad esempio i lemuri, le simpatiche e curiose proscimmie (che da soli meriterebbero un viaggio), i tenrec, insettivori simili al porcospino, il fosa, carnivoro assimilabile al puma, la gigantesca testuggine radiata, la gran parte di camaleonti, manguste, mammiferi, rettili (tutti innocui), anfibi, farfalle e uccelli, così come la maggioranza delle 12 mila specie diverse di piante, molte ancora da scoprire. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Per tutta, o quasi, la loro lunga storia piante ed animali hanno vissuto sovrani in un incontaminato laboratorio dell’evoluzione, o se preferite in un vero Paradiso Terrestre (come accadde alle Galapagos e nell’isola yemenita di Socotra), privo dell’unica specie davvero nefanda per tutti, l’uomo, che compare sulla scena soltanto 2 mila anni fa, producendo una notevole
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MADAGASCAR isola segreta della natura
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Jack.Q / Shutterstock.com
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biodiversità. Sull’isola la natura ha potuto fare le cose in grande: se in Africa il baobab è presente con una sola specie, qui ne potete incontrare ben sette, tra cui una capace di arrivare a 35 m di altezza, e oltre 60 specie di camaleonti, più della metà di quelle mondiali, mentre la barriera corallina malgascia è seconda per lunghezza solo a quella australiana; la palma ravenala, simbolo del paese, potrete invece ammirarla soltanto qua, come la farfalla cometa, lunga 20 cm. Anche l’uccello più grande del mondo, l’Aepyornis, viveva sull’isola, ma è stato annientato dall’uomo. Si possono incontrare 63 varietà di gechi, 57 di serpenti, compreso un innocuo boa lungo 4 m, 250 specie di uccelli, 300 di farfalle, 28 di pipistrelli e 6 tartarughe marine. L’altra grande valenza del Madagascar è costituita dai suoi abitanti, che non provengono – come ci si potrebbe aspettare – dalla vicina Africa, bensì dalle lontane Indonesia e Malesia a bordo delle loro fragili canoe a bilanciere tuttora in uso. I caratteri somatici dei malgasci, divisi in 18 tribù, risultano assai indefinibili, mescolando su un substrato sudasiatico elementi indiani, arabi, africani ed europei, giunti questi ultimi solo nel 1500. Diciotto etnie ma quattro denominatori comuni: la lingua, con parole lunghissime, l’abbigliamento, un
unico pareo per uomini e donne, il carattere, calmo e serafico, e la cultura che si basa sui tabù, il culto degli antenati, i sacrifici rituali, l’astrologia e la superstizione. Anche qui le curiosità non mancano: i Vezo, ad esempio, sono abili pescatori ma nomadi, che si spostano con le loro minuscole canoe a bilanciere lungo tutta la costa, vivendo sempre in villaggi provvisori. I primi immigrati, che introdussero i metalli, il baco da seta, maiali, polli e zebù, riso, cocco e agrumi, trovarono un’isola interamente ricoperta da vegetazione intonsa, un vero Giardino dell’Eden; oggi, con l’uso dissennato dell’agricoltura che brucia le foreste, almeno l’ 80 per cento delle piante è scomparso e con esse anche gli animali; uno dei paesi ecologicamente più ricchi del pianeta, con essenze uniche, si sta trasformando in uno dei più poveri ed improduttivi, complice anche un folle sviluppo demografico: ogni donna malgascia genera non meno di sei figli. Il Madagascar dovrebbe fornire un’eloquente lezione di gestione del territorio. IL VIAGGIO Il Madagascar va visitato in fuoristrada attraverso i diversi habitat climatici e botanici del centro-sud. Si par-
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MADAGASCAR isola segreta della natura te dalla capitale Antananarivo, sugli altopiani centrali, sede di un ricco mercato artigianale e di spezie, e in volo si raggiunge Morondava, sulla costa ovest, da dove si approda alla riserva di Bemaraha, Patrimonio Unesco, foresta abitata dai lemuri dove si trovano alti pinnacoli di roccia appuntiti e taglienti prodotti dall’erosione. Percorrendo verso sud piste di terra rossa tra savane verdeggianti punteggiate da enormi baobab, bush arbustivi, foreste tropicali, possenti termitai, villaggi di pescatori e deserte spiagge coralline
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mozzafiato si arriva a Tulear, maggiore città costiera. Puntando all’interno, dopo la regione degli zaffiri e la foresta di Zombitse si raggiunge il Parco dell’Isalo, spettacolare massiccio di friabile roccia calcarea modellato dall’erosione in forme bizzarre: tra canyon, guglie e pinnacoli si celano rarità botaniche, lemuri e uccelli. Dopo aver iniziato la risalita graduale dell’altopiano centrale, si incontrano in successione Ambalavao, centro di produzione di una carta papiro con fiori secchi incorporati, l’antica città reale di Fianarantsoa, famosa per la
produzione di tè, il Parco Ranomafana, colline coperte da foresta pluviale dove vivono 12 specie diverse di lemuri, felci, palme, orchidee, piante medicinali e carnivore e bambù giganti, Ambositra, centro artigianale del legno, e infine Antsirabè, cittadina termale famosa per la lavorazione di minerali e pietre preziose, prima di rientrare ad Antananarivo.• T.O. “I Viaggi di Maurizio Levi” tel. 0234 93 45 28, www.deserti.viaggilevi.it
L’animazione italiana dei Viaggi del Turchese
Madhya Pradesh
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l’India di Kipling e della tigre Testo e foto di
Romeo Bolognesi
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onostante occupi una porzione piuttosto rilevante dell’India centrale, estesa quanto l’Italia, il Madhya Pradesh spesso non figura negli itinerari turistici del Paese, non certo per mancanza di attrattive quanto piuttosto per la penuria di strade e le distanze considerevoli. La terra di mezzo, così chiamata per la sua posizione intermedia tra le pianure del Gange a nord e i rilievi montuosi del Deccan a sud, si presenta come un vasto altipiano privo di sbocchi al mare e ricco di boschi, di pianure e di rigogliose foreste che rappresentano un terzo del patrimonio boschivo della confederazione. Nelle foreste di teak, palissandro e sal vivono ancora ad uno stadio primordiale numerose tribù dravidiche preariane di adivasi. Stato povero, con prevalente popolazione rurale e scarsi agglomerati urbani, possiede un sottosuolo abbondante di minerali, presupposto per una nascente industria. Ogni capitolo della storia indiana vi ha lasciato un segno tangibile, in quanto tutti i popoli e gli eserciti che hanno invaso la penisola sono dovuti passare attraverso questo corridoio strategico, lasciando un gran numero di pregevoli monumenti: templi, fortezze, palazzi rajput e moghul, sotto le cui mura si sono svolte cruenti battaglie e sfarzose parate militari. Ma la sua storia parte da ben più lontano: presso Bhopal sono state scoperte caverne con pitture rupestri che ritraggono scene di caccia, cerimonie, danze e riti religiosi; le più antiche risalgono al Paleolitico superiore e datano a 12 mila anni or sono. Alcuni dei suoi bellissimi parchi nazionali, dove si riscon-
tra la maggior concentrazioni di tigri al mondo, tutelano anche gli ultimi lembi di quell’enorme foresta che fino a 150 anni fa si estendeva su tutta l’India centrale. Furono propri questi territori, nonché il caso reale della scoperta nel 1831 di un ragazzo allevato da un branco di lupi, ad ispirare allo scrittore britannico Kipling la stesura de Il libro della giungla. Il Madhya Pradesh possiede un rilevante patrimonio artistico e naturalistico, tra i meno conosciuti dell’India e riservati soltanto a visitatori colti e curiosi. Il complesso artistico più famoso, tra i più importanti del paese, è dato dai 22 templi di Khajuraho, eretti attorno al 1000 come capolavori architettonici dell’arte hindù e rimasti poi inghiottiti dalla giungla e sconosciuti al mondo fino al 1838. Più dei templi in sé, ad attirare l’attenzione sono le migliaia di pannelli decorativi scolpiti in altorilievi tridimensionali nella tenera roccia di arenaria rosa, che dovrebbero ritrarre scene mistiche e mitiche, mentre in realtà per il loro esplicito erotismo costituiscono un vero Kamasutra illustrato, un manuale pratico di sesso tantrico capace di scandalizzare i puritani ufficiali inglesi che lo scoprirono. Non lontano si trova Orchha, capitale per oltre due secoli dal XVI di un potente regno rajput, città murata piena di templi, palazzi, padiglioni, giardini e monumenti funerari tutti guglie e cupole, decorati da preziose pitture murali, splendido esempio dell’architettura araba medievale. Bandhavgarh rappresenta il parco nazionale con la maggior densità di tigri di tutta l’India, un cinquantina di esemplari la cui ricerca avviene a dor-
Santone assorto nella lettura
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selvatico. Originaria delle foreste fredde della Siberia, si è diffusa in quasi tutta l’Asia, divenendone la regina incontrastata, tale da incutere terrore anche all’uomo; oggi sopravvive quasi solo in India, e senza specifiche azioni di tutela sarebbe anche qui già estinta. Animale solitario e territoriale, risparmia al massimo le energie per impiegarle nella caccia notturna, utilizzando vista e udito straordinari. Caccia qualsiasi tipo di animale le si pari davanti, da bufali, cervi e cinghiali fino a rane, lucer-
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so d’elefante. Tra colline, pianure e le rovine di un forte risalente al I sec. a.C., offre ospitalità anche a leopardi, cervi, scimmie, gazzelle, antilopi, orsi labiati e a tanti altri animali. Il Kanha national park con i suoi 940 kmq di foresta, savana e praterie, costituisce la maggior riserva naturale indiana;
protegge 138 esemplari di tigri e un gran numero di leopardi, cervi pomellati, antilopi, bisonti, cervicapra nonché uccelli di vario tipo. L’animale di spicco e l’emblema della fauna indiana è sicuramente costituito dalla tigre, uno dei maggiori e più affascinanti predatori ter-
tole e pesci, perché necessita di almeno10 kg di carne al giorno (molto di più se è una femmina con cuccioli), e riesce ad uccidere animali anche di stazza doppia della sua, come giovani elefanti, grazie alla sua notevole forza. Unici nemici temibili sono rappresentati dall’uomo armato, dai cani selvatici in branco numeroso e, incredibilmente, dall’istrice. Per secoli è stata l’oggetto preferito di caccia della nobiltà indiana e quindi ogni maharaja si impegnò in tal senso. Quello di Sarguja arrivò nella vita
restri, una vera macchina da caccia nel sottobosco della giungla dove si muove in perfetta silenziosità forte del mimetismo offertole dal suo mantello striato. I parchi dell’India rappresentano infatti uno dei pochissimi luoghi al mondo dove la si può ancora osservare allo stato
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ad ucciderne ben 1.157. Ma furono soprattutto gli ufficiali inglesi, in competizione con la nobiltà locale, a compiere vere carneficine. Grazie a ciò, all’inizio del 1900 restavano in India 40 mila tigri, in continuo calo. Nel 1973, quando per iniziativa di ecologisti come Jim Corbett e dello stesso primo ministro Indira Gandhi, fu avviato il Project Tiger con la creazione di 28 aree protette dedicate, ne rimanevano meno di 2 mila, cifra oggi scesa a 1400. I più pessimisti prevedono però che entro dieci anni sarà del tutto scomparsa.• T.O. “I Viaggi di Maurizio Levi” tel.02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it
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BRUNEI
il Sultano e la sua Natura
Pamela McCourt Francescone Foto di - Photos by Pamela McCourt Francescone e Brunei Tourism Testo di - Words by
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oreste pluviali incontaminate, villaggi su palafitte e scintillanti moschee, fondali marini Incantati, golf e polo, e un sovrano munifico. Il Brunei è il segreto meglio custodito dell’Asia. Il Brunei è diverso. Il Negara Brunei Darussalem, nome ufficiale del sultanato, è il Paese più piccolo e ricco del sudest Asiatico, ed è anche quello meno conosciuto. Questo regno tropicale, grande come il Lussemburgo, è diviso in due parti collocate tra i due stati malesi del Sarawak e Sabah, sulla costa settentrionale del Borneo. La ricchezza del Brunei, infinitamente sproporzionata rispetto alle sue dimensioni, deriva da vasti giacimenti di gas naturale e petrolio, ed è proprio grazie a queste risorse che il Paese può vantare la foresta pluviale meglio preservata sul pianeta. Per Sua Maestà il Sultan Hasannal Bolkiah tagliare gli alberi non è un’opzione, a differenza di altri paesi sud-est asiatici dove l’industria del legname sta inesorabilmente distruggendo l’habitat. E quindi, è grazie al
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BRUNEI
the Sultan and his Nature
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ristine rain forests, lake-dwelling villages, glittering mosques, enchanting ocean depths, golf, polo, and a munificent monarch. Brunei is Asia’s best kept secret. Brunei is different. Negara Brunei Darussalem, to give it its official name, is the smallest and richest country in Southeast Asia, and also one of the least familiar. This tiny kingdom is roughly the size of Luxembourg and is wedged between the two Malaysian states of Sarawak and Sabah, on the northern shores of Borneo. Brunei’s wealth comes from oil and gas, both of which it has in abundance, and thanks to these resources it can boast the world’s best preserved rainforest. Cutting down trees is not something Brunei’s ruler, His Majesty Sultan Ha-
Sultano se oltre due terzi del Brunei è ancora coperto da foreste pluviali incontaminate. Non sorprende quindi che sia la natura l’attrazione principale per chi arriva in questo piccolo paradiso inviolato. Per il Brunei il turismo è uno specchio che riflette l’unicità del territorio e le antiche tradizioni islamiche del Paese. Il Sultano non aspira a fare del Paese una destinazione per il turismo di massa. Anzi. Il Brunei promuove un turismo soft, incentrato sul territorio e sull’ambiente, sulla storia, sullo sport e sul relax, posizionando il sultanato come destinazione esotica, verde e tranquilla. Fortemente radicate nel Paese le tradizioni islamiche che sono identificate al meglio nei due monumenti più importanti: le due grandi moschee a Bandar Seri Begawan, la capitale meno caotica, meno inquinata e più verde dell’Asia. Dominano la città le cupole ed i minareti dorati dell’Ali Saifuddien Mosque, mentre la Jame’Asr Hsasanil Bolkiah Mosque (che porta il nome del sultano) è un esempio grandioso dell’architettura religiosa con i suoi minareti torreggianti, piastrelle ricoperte d’oro, lampadari in cristallo austriaco, vetrate colorate inglesi e scale e pavimenti in pregiatissimo marmo italiano. Di fronte alla Moschea Ali Saifuddien, sull’altra sponda del fiume, sorge il Kampong Ayer. E’ il villaggio sull’acqua più grande al mondo, con una popolazione di oltre 20.000 persone, e case in legno su palafitte. Nel 1521, durante uno dei suoi viaggi in Oriente, il grande viaggiatore vicentino Antonio Pigafetta ha descritto l’agglomerato come “La Venezia
sannal Bolkiah flirts with, unlike many of his Southeast Asian neighbours for whom the logging industry is big business and is inexorably destroying their habitat. So it is thanks to the Sultan if more than two thirds of Brunei is still covered with untouched rainforests. And it comes as no surprise that nature is the main attraction for visitors to this tiny pristine paradise. Brunei regards tourism as a mirror that reflects its unique identity and its ago-old Islamic traditions. The Sultan has no desire to turn his nation into a destination for mass tourism. On the contrary, visitors to Brunei are mature travellers looking to relax and discover its splendid environment, its history and, in a nutshell, to want to enjoy a new, green, peaceful and exotic destination. The country’s strong and lively Islamic traditions are reflected in two of the landmark monuments in Bandar Seri Begawan, Asia’s most laid-back, least polluted and greenest capital. The golden domes and minarets of the Ali Saifuddien Mosque dominate Bandar and are popular with photographers. The Jame’Asr Hsasanil Bolkiah Mosque (named after the Sultan) is a magnificent example of religious architecture with soaring minarets, gold-plated tiles, Austrian crystal chandeliers, English stained glass and floors, and stairways in creamy Italian marble. Kampong Ayer, across the river from the Ali Saifuddien mosque, is the world’s largest water village and home to over 20,000 inhabitants who live in wooden houses on stilts. Italian scholar Antonio Pigafetta called it
La moschea Sultan Omar Ali Saifuddin
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BRUNEI il Sultano e la sua Natura d’Oriente”. Facendo un giro in barca lungo canali interni si può avere un’idea della cultura e delle tradizioni dei popoli Malay e del Borneo che ivi abitano, e anche dei metodi di costruzione delle loro semplici case su palafitta. Ben altra tipologia di casa, l’Istana Nurul Iman. La lussuosa residenza del Sultano, con le sue 1.788 stanze, detiene un primato da Guinness: è il palazzo reale più grande al mondo. Non è aperto al pubblico ma ogni anno, per celebrare la fine del Ramadan e la festa di Hari Raya, Sua Maestà, un sovrano lungimirante, munifico e stimatissimo dalla popolazione, stringe la mano a tutti quelli che, in fila Indiana, aspettano fuori la reggia per avere il raro onore di salutare personalmente il sovrano. Un altro modo per avvicinarsi al Sultano, meno cerimonioso ma che rivela tutta la magnificenza della sua corte e della famiglia reale, è quello di visitare il piccolo Royal Regalia Museum che si trova del cuore della capitale. Ma il vero tesoro del Brunei è la sua natura che offre il meglio di sé nel parco nazionale Ulu Temburong e sui 50.000 ettari di riserva della Foresta Batu Apoi che copre il 58% del Paese. Al parco si arriva su una longboat, un’imbarcazione tradizionale che naviga lungo il fiume, solitamente color cioccolato al latte. In 45
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the “Venice of the East” when he visited in 1521. Chugging along its narrow canals affords an intimate view of the thriving culture and traditions of the Malay and Boreo peoples, and also of how they build these simple stilt houses. The Istana Nurul Iman, the Sultan’s lavish home and the world’s largest residential palace with 1,788 rooms, is not open for public viewing, but the Sultan does personally shake hands with every one of the hundreds of thousands of locals and visitors who turn up on his doorstep every year at the end of the fasting month of Ramadan for the Hari Raya celebrations. Failing this, the best way to get an idea of the pomp and circumstance surrounding the Sultan and his family is to stop by the downtown Royal Regalia Museum. But the main attraction of Brunei is its nature, and the Ulu Temburong National Park which is on 50,000 hectares of the Batu Apoi Forest Reserve, covering some 58% of the country. The park is reached by longboat, a traditional river craft, along the chocolate-coloured river, taking only 45 minutes to reach one of the world’s longest canopy walks. Seven kilometres of suspended walkways, on a level with the treetops, with large observation platforms from which there are
Nel parco Ulu Temburong
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Il sorriso del Brunei
minuti si arriva al canopy walk, un sistema di passarelle sospese, lungo sette chilometri, in cima agli alberi, con grandi piattaforme di osservazione dalle quali si gode una vista mozzafiato sulla foresta pluviale e sugli animali che lo popolano. Nel parco si può fare trekking lungo il letto dei fiumi per ammirare cascate, nuotare in laghetti dalle acque cristalline, fare il picnic all’ombra di alberi secolari, e forse avvistare il cervo topo, l’orso malese, il maiale barbuto o la nasica, un primate panciuto in pericolo d’estinzione con un naso lungo e paffuto che assomiglia ad un cetriolo, chiamato anche la scimmia dalla proboscide. Le acque del South China Sea che lambiscono il piccolo sultanato sono un paradiso per gli appassionati di snorkeling e per i subacquei. Per i golfisti c’è il Royal Brunei Golf and Country Club, costruito dal Sultano per suo uso personale e ora aperto a tutti, mentre nell’Empire Hotel and Country Club il campo a 18 buche, progettato da Jack Nicklaus è, a ragione, considerato uno dei migliori in Asia. Un al-
scalinata in una moschea a Bandar Seri Begawan
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BRUNEI il Sultano e la sua Natura
Un bronzo nel museo Royal Regalia tro degli sport preferiti del Sultano è il polo che si gioca sui campi verdissimi del Jerudong Polo Club dove i giocatori possono scegliere tra oltre mille cavalli di razza. Spesso, durante le partite più importanti, si possono vedere membri della famiglia reale seduti nel palco reale, o nella lussuosa clubhouse. Maestoso e grandioso l’Empire Hotel and Country Club, costruito da uno dei parenti del Sultano come “seconda casa” e poi trasformato in un lussuoso albergo a 5 stelle. Mentre chi vuole passare una notte nella giungla, può soggiornare nelle confortevoli suite e ville del Ulu Ulu Resort nel cuore della foresta pluviale del parco nazionale Ulu Temburong. Si potrebbe obiettare che il Brunei abbia una carenza di sofisticazione e raffinatezza, ma questa carenza - se esiste – viene più che compensata dalla sua natura lussureggiante e incontaminata, e dal grande rispetto che i Bruneians nutrono per i visitatori. E, dal momento che nel paese non ci sono mendicanti, bagarini, venditori di tappeti o saloni per i massaggi, e che la gente è sorridente, cordiale, cortese e ospitale, è facile intuire perché sono in molti a considerarlo “il segreto meglio custodito dell’Asia”. Poi, se aggiungiamo che è un paese sicuro (la criminalità è pressoché zero), tranquillo, senza pericoli per la salute (non c’è la malaria), accogliente e lontano anni luce dai ritmi frenetici dei grandi paesi asiatici, per molti questi sono lussi che non hanno prezzo.•
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www.bruneitourism.com
breath-taking views of the rain forest and the animals to which it is home. The more adventurous will enjoy trekking along the river to admire waterfalls and swim in clear pools, picnic on the riverbank and try to spot the endangered proboscis monkey, a large pot-bellied primate with a long cucumber-shaped nose. The waters of the South China Sea are a paradise for divers and snorkelers. For golfers there is the Royal Brunei Golf and Country Club, built by the Sultan for his own personal use and now open to the public. While the Empire Hotel and Country Club, an 18-hole course designed by Jack Nicklaus, rates as one of the best in Asia. Another of the Sultan’s favourite sports is polo which is played on the green fields of the Jerudong Polo Club where players can choose from the one thousand polo ponies in the stables. And it is not unusual to spot Bruneian royalty on the field or in the lavish clubhouse. The Empire Hotel and Country Club was built by a relative of the Sultan’s as his holiday home and is now a luxurious 5-star hotel, while anyone who wants to spend a night in the jungle will enjoy the comfort of the suites and villas in the Ulu Ulu Resort in the heart of Ulu Temburong National Park. What Brunei could seem to lack in sophistication and sleekness it more than makes up for with its spectacular natural landscape and its respect for tourists – in Brunei there are no beggars, touts, carpet sellers, jewellery shops or massage parlous – and the Bruneians are friendly, courteous and hospitable. And it is not difficult to understand why many consider it “Asia’s best kept secret.” Because not only is it safe (the crime rate is close to zero) and poses no health problems (Brunei is malaria free), it is also wonderfully relaxing and removed from the frenetic pace typical of so many Asian countries. And for many these are luxuries money can’t buy.• www.bruneitourism.com
LO SPLENDORE DEL MESSICO COLONIALE Testo di Anna
T
Maria Arnesano Ricardo Espinosa Orozco
e foto di CPTM/fotografo
ra le possibili chiavi di lettura e di visita del Messico, un paese estremamente vario, una non secondaria è rappresentata dalle città coloniali, le quali consentono di scoprire un aspetto inedito e peculiare del paese attraverso la sua evoluzione artistica e architettonica,
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Querétaro - Misiòn de San Miguel Conca
ma anche storica, economica, sociale e culturale degli ultimi secoli. Più di ogni altro il Messico è infatti la nazione che vanta il maggior patrimonio di testimonianze relative all’epoca coloniale europea nei diversi continenti, e non a caso anche l’Unesco protegge qui ben sette località risalenti al periodo colonia-
le come Patrimonio dell’Umanità. Quando, nel 1521, i conquistadores di Cortez distrussero l’impero azteco di Montezuma, fondarono il regno-colonia della Nuova Spagna, destinato a durare per tre secoli, che andava dagli attuali stati del SudOvest statunitense fino al canale di Panama. Gli spagnoli non trovarono
Calles de Querétaro
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Lo splendore del Messico coloniale
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Calles de Tequisquiapan
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nell’El Dorado i tesori di cui favoleggiavano i racconti, bensì inesauribili miniere d’argento (nel 1800 il Messico produceva il 66 % dell’argento estratto in tutto il mondo) e una terra che, se sfruttata razionalmente, avrebbe potuto produrre immani ricchezze, soprattutto utilizzando una manodopera locale a costo quasi zero. L’introduzione di animali da soma, da lavoro e da allevamento, di strumenti tecnici elementari di metallo come la zappa, l’aratro e la ruota, di nuove colture come grano, lino, canapa, caffè e canna da zucchero e l’impiego di fertilizzanti – tutte cose prima sconosciute nel Nuovo Mondo – regalò ai nuovi venuti un benessere inimmaginabile. A questi ricchi immigrati rimaneva però la nostalgia per la madrepatria e per i suoi stili di vita, che cercarono di colmare nella nuova colonia costruendo città ad immagine e somiglianza di quelle lasciate nella terra d’origine. Dalle pianure costiere fino agli altopiani centrali già nel XVI sec. cominciarono a sorgere in tutto il paese, spesso sopra i resti delle antiche civiltà precedenti e il più delle
San Luis Potosì Danza de los Voladores volte utilizzando le medesime pietre, dei graziosi agglomerati urbani dalla tipica struttura iberica a pianta quadrata, gravitanti su un’ampia piazza centrale – lo Zòcalo – dove trovavano spazio gli edifici pubblici e religiosi, le sfarzose residenze della nobiltà e, piano piano, anche della nascente borghesia dei meticci arricchiti. A fianco delle imponenti basiliche furono costruiti più severi monasteri dei diversi ordini religiosi, epicentri di cultura dove si formavano le future classi dirigenti, gli edifici del governo e della pubblica amministrazione, parchi e giardini con fontane, sfarzosi teatri, negozi, viali alberati e quant’altro. Tanto risorse economiche e manodopera a due soldi non mancavano di certo. Lo stile predominante è, ovviamente, l’esuberante barocco spagnolo, tutto stucco, decori e oro, per poi evolversi col tempo in un barocco messicano autoctono, sintesi della cultura spagnola con le arti precolombiane ricche di elementi decorativi. Già alla fine del 1600 esistevano ben 35 vivaci cittadine, che costituiranno la spina dorsale politica, economica e
sociale del paese anche all’epoca dei moti rivoluzionari per l’indipendenza (1821) e per tutte le turbolenti guerre civili successive, fino ai giorni nostri. IL VIAGGIO Un possibile itinerario inizia da Città del Messico, capitale a 2.300 metri di quota e più popolosa città al mondo con 25 milioni di abitanti, dove merita una visita il centro cerimoniale con i famosi templi a piramide di Teotihuacan (sito Unesco), la più vasta area archeologica e la maggior città preispanica d’America. A seguire tutte le più importanti cittadine coloniali: Queretaro (città dalla bella architettura ispano-coloniale che ebbe grande importanza durante la guerra d’indipendenza), San Miguel Allende (con le sue bellissime dimore storiche), Guanajuauto (la più bella, ricca ed europea delle città coloniali, ubicata sul fondo e le pareti di un canyon della Serra Madre, deve la sua prosperità alle ingenti miniere d’argento - a fine 1700 produceva un terzo dell’argento mondiale - a cui si deve anche l’architettura ispano-moresca
della città che la fa sembrare un angolo di Andalusia), San Luis de Potosì, Zacatecas (dall’incontaminato centro storico barocco), Guadalajara (seconda città del paese, dove le grandi ricchezze dell’epoca coloniale si riflettono nei suoi superbi edifici e monumenti pubblici), Patzcuaro (antica capitale degli indios Tarascani affacciata su un lago, con edifici bassi dalle tegole rosse), Morelia (gemma dell’altopiano centrale fondata
Guanajuato - Teatro Juàrez e Iglesia de San Diego de Alcalà
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Mercado de Guanajuato
nel 1541 dal primo viceré della Nuova Spagna con i suoi edifici storici in trachite rossa, famosa per la produzione artigianale di ceramica, legno scolpito, lacche e le migliori chitarre), e infine Cuernavaca (con bei murales di Diego Rivera e importanti resti
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foto di Giulio Badini
aztechi) e Taxco, ognuna diversa dalle altre ma tutte dei veri gioielli. Da non perdere durante il percorso un assaggio di tequila, il forte liquore nazionale distillato dalle agavi, e una visita in barca lungo i canali di Xochimilco (ennesimo sito Unesco) per ammira-
re i singolari giardini galleggianti di questa allegra località.• T.O. Adenium–Soluzioni di Viaggio tel. 02 69 97 351, www.adeniumtravel.it
SPEDIZIONE IN ANTARTIDE
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spettacolare formazione di ghiaccio con schiera di pinguini
Testo di
Romeo Bolognesi
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foto di Archivio
S
e non siete scienziati polari, difficilmente potrete vantare di aver messo piede in Antartide, l’ultimo vasto luogo selvaggio e incontaminato rimasto sul pianeta e l’unico continente a non essere mai stato colonizzato dall’uomo. L’esplorazione delle terre emerse che si estendono a attorno al Polo Sud, quasi interamente coperte dal maggior sistema glaciale del mondo (il 90 % del ghiaccio terrestre e il 70 % delle risorse d’acqua dolce), è cominciata soltanto ai primi del 1900 e dalla metà del secolo hanno iniziato a sorgere una quarantina di costose basi scientifiche, dove operano geologi, glaciologi, meteorologi, biologi, fisici e tecnici, attive soprattutto durante la breve estate australe (da novembre a febbraio, quando
la temperatura si aggira attorno a 0° C). Dal 2003 hanno cominciato timidamente ad approdarvi anche un altro genere di persone, i turistiesploratori, attratti dal fascino e dal mistero di una terra incognita, l’ultima del pianeta, ma dall’indubbia suggestione. Poche decine di migliaia di persone finora, che hanno pensato di sfruttare la presenza in loco di confortevoli e sicure navi oceanografiche da ricerche per esplorare un tratto di costa di un continente per altro inaccessibile, le quali a loro volta possono in tal modo finanziare in parte le loro attività scientifiche. Come il rompighiaccio danese Ocean Nova, una nave da ricerca oceanografica costruita in Danimarca nel 1992 con scafo rinforzato per la navigazione tra i ghiacci. Dotata dei più moderni sistemi di sicurezza,
esemplari di pinguino imperatore
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Spedizione in Antartide
testa di pinguino dal portamento regale
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cucciolo di foca accanto alla mamma
ospita un massimo di 62 passeggeri alloggiati in cabine esterne con servizi privati e oblò su tre ponti e dispone di ristorante, bar, palestra e infermeria; lo staff, tra cui un medico, è coadiuvato da un equipaggio con grande esperienza di rotte polari e spedizioni antartiche. Le giornate di navigazione – quasi 24 ore di luce continua – vengono scandite da conferenze dei ricercatori (in inglese e spagnolo) e dalla preparazione agli sbarchi giornalieri per le escursioni in gommone e a terra su isole, banchise, baie e canali. In precedenza per raggiungere l’Antartide occorrevano lunghe e monotone giornate di navigazione nel tempestoso mare di Drake, partendo da Punta Arenas nell’estremità meridionale del Cile, il punto più vicino tra i due continenti. Oggi lo si può fare con due ore di un volo speciale su un aereo da 60 posti, usato per gli avvicendamenti e i rifornimenti alle basi scientifiche, con atterraggio nella base militare Frei sull’isola di King George, nell’arcipelago delle Shetland Australi. Ovviamente una proposta riservata unicamente a grandi viaggiatori, e non soltanto per i costi. Cosa c’è da vedere in Antartide? Infinite distese di ghiaccio, sempre diverse e mai monotone, dove spesso si fa fatica a distinguere tra terra e mare data la variabilità stagionale della banchisa, le coste alte con baie, insenature e canali che si insinuano all’interno, scogliere di ghiaccio a picco sul mare, le isole che vi fanno corona, uccelli e mammiferi marini ai quali non siamo propriamente abituati, enormi iceberg alla deriva -quelli maggiori possono superare in dimensioni la Corsica-, l’attività dei ricercatori nelle loro basi, quella delle navi pescherecce in mare e la vita su un rompighiaccio. Non poco per un continente di
ghiaccio. L’Antartide, grande due volte l’Australia -e anche molto più dell’Europa-, è il continente quasi rotondo più meridionale che occupa la calotta polare antartica -Polo Sud terrestre-, circondata dagli oceani Atlantico, Indiano e Pacifico. Il continente che più gli si avvicina è la punta meridionale dell’America del Sud, distante comunque 1.130 km dalla protesa penisola antartica. Conta 23 mila km di coste, nell’insieme uniformi ma in alcuni tratti interrotte da fiordi e insenature, in grado di ospitare anche due grandi mari interni, circondate da una serie di isole e ghiacci galleggianti. Morfologicamente risulta formata da vastissimi altopiani, ad una altezza media di 2.250 m -compreso lo spessore dei ghiacci di circa 2/3, con uno spessore medio di 1.600 m ma che può arrivare fino a 4.500-, solcati da catene montuose che arrivano fino a 5.140 m e coni vulcanici attivi alti anche 3.784 m. Vanta alcuni primati: la temperatura più bassa in assoluto (-89,6°C), la velocità massima del vento (300 km/h) e il ghiacciaio più esteso al mondo (il Lambert, lungo 64 km con una larghezza di 402). L’ampia zona delle cosiddette Valli Aride (3 mila kmq, quanto la Valle d’Aosta) è talmente secca che non vi piove da almeno 2 milioni di anni e anche i ghiacciai sono spariti da gran tempo. Un’ampia fascia circostante viene protetta come parco marino per tutelare la straordinaria ricchezza della
fauna, in primis balene e balenottere, ma anche minuscoli crostacei e il prezioso plancton. L’interno cela consistenti giacimenti minerari, in particolare carbone, ferro, nikel, manganese, uranio, e petrolio in mare. Durante la breve estate la media della temperatura oscilla attorno allo zero, ma durante il lungo inverno –quando è buio per 24 ore al giorno- può scendere fino a –78°C; piogge quasi nulle e scarse le precipitazioni nevose; si tratta del continente più freddo ma anche più arido in assoluto, tecnicamente definibile come un deserto. In presenza di simili condizioni non vi sono ovviamente insediamenti umani permanenti, se non le già citate basi scientifiche nazionali, compresa quella italiana di Baia Terra Nova. La flora annovera unicamente alghe, muschi e licheni, presenti solo nelle aree non coperte in permanenza da ghiacci -non oltre l’ 1-2 %La fauna registra invece uccelli marini -pinguini, albatros, papua, macaroni, procellaria, ossifraga, cormorani imperiali- e mammiferi marini -balene e balenottere, delfini, foche, elefanti e leoni di mare- e pesci. L’intero territorio è governato da un trattato internazionale che, per la fragilità ecologica dell’ambiente, ne impone la assoluta smilitarizzazione e l’utilizzazione a scopi esclusivamente pacifici, con divieto di sfruttamento delle risorse minerali.•
Iceberg che emerge dal profondo blu
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e SpeociFaeldeltà Premi
Spedizione in Antartide
do secon , o u t io il g ala o rag enoti Se priaggio lungone ti reeg. ir v n i dell’A iscrizio I Viaggquote di le
Pinguino Rockhopper
L
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’Antartide è l’unico continente del quale fu ipotizzata l’esistenza ben prima della sua scoperta, addirittura con Pitagora e Aristotele, diversi secoli prima di Cristo. Il navigatore inglese James Cook fu il primo nel 1773 ad attraversare il Circolo Polare Antartico ed a circumnavigare il continente, senza però mai avvistare terra. Primi a vederlo furono i partecipanti ad una spedizione russa nel 1820, ma la cosa non destò particolare interesse in giro per il mondo. Nel 1898 una nave belga che nutriva l’ambizione di esplorarlo visse una difficile avventura: rimase intrappolata tra i ghiacci per 377 giorni e l’equipaggio si salvò a stento nutrendosi di foche e pinguini per tutto il tempo. All’inizio del XX sec. iniziò la competizione internazionale per arrivare primi al Polo Sud: dopo parecchie tragiche imprese ci riuscì nel 1911 il norvegese Amundsen, seguito 23 giorni dopo dall’inglese Scott, il quale perì sulla via del ritorno con tutti i suoi compagni. Poi, prima dell’installazioni delle basi scientifiche nella seconda metà del secolo, le sue acque videro all’opera i balenieri: si calcola che dal 1904 al 1966 vi siano state pescate ben 170 mila balene; qualcuno tenta di farlo ancora oggi. La più singolare scoperta, e anche uno dei maggiori misteri dell’Antartide, è costituita dalla presenza di consistenti laghi sotterranei ubicati a migliaia di metri sotto la coltre ghiacciata. Se ne conoscono almeno una settantina, situati tra la base del deposito
glaciale e il substrato roccioso, e nessuno è stato finora fisicamente raggiunto per evitare contaminazioni. Sono immani depositi d’acqua dolce formatisi milioni di anni fa, scoperti mediante indagini geofisiche, con caratteristiche assai peculiari: pressione di 350 atmosfere, concentrazione di ossigeno 50 volte superiori a quelle delle acque di superficie, temperature di –1-2°C e totale assenza di luce. Gli studiosi si chiedono se acque tanto particolari possano ospitare una qualche forma di vita. Quello maggiore è il lago Vostok, ubicato presso l’omonima base russa: situato sotto uno strato di 3.700-4.100 metri di ghiaccio, è grande quanto la Corsica e profondo 5-600 m; si tratta del maggiore e del più antico lago sotterraneo del pianeta, forse collegato ad altri bacini da una rete di fiumi subglaciali e subisce addirittura delle maree di 1-2 centimetri.• L’operatore milanese “Adenium – Soluzioni di viaggio” specializzato in turismo culturale, propone una spedizione naturalistica in Antartide di 11 giorni, di cui cinque di navigazione su una nave polare. Il programma prevede voli di linea da Milano e Roma via Parigi e Santiago del Cile (visita) per Punta Arenas, quindi volo speciale per la base polare sull’isola di King George, da dove inizia la crociera. tel. 02 69 97 351, www.adeniumtravel.it
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GERMANIA
L’eleganza di Testo e foto di
Teresa Carrubba
G
ià nel fulgore della Belle Époque BadenBaden era frequentata dall’intellighenzia europea che ne apprezzava l’eleganza riservata e quieta, oltre che naturalmente i benefici delle acque termali e la fama del Casinò. Scrittori e intellettuali, come Mark Twain, qui erano di casa. La grande aristocrazia, ma anche esponenti della politica e dell’arte, dalla regina Vittoria a Bismarck, da Brahms a Berlioz. Nell’Ottocento a Baden Baden villeggiavano anche molti
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foto archivio di Baden-Baden Kur & Tourismus GmbH
Baden BadeN russi, tra cui nomi illustri come Tolstoj, Gogol e Dostoevskij. Quest’ultimo si attardava spesso sui tavoli da gioco del Casinò. E quell’atmosfera languida e raffinata della Belle Époque ancora oggi permea di sé questa città isolata nella sua discrezione, a world apart nel distretto regionale del Baden-Württemberg occidentale ai margini della Foresta Nera settentrionale e nella vallata del fiume Oosbach, familiarmente chiamato Oos. Baden Baden, che grazie al suo integro stile Liberty è candidata per il Patrimonio dell’Umanità Unesco, offre la sua dimensione unica fatta di splendide ville palatine, parchi, eleganti viali alberati, hotel di lusso, shopping esclusivo. E, naturalmente, le Terme. Gli antichi romani, che tenevano in grande considerazione i benefici delle terme sulla salute e sulla disciplina di vita, frequentarono molto questa città e vi lasciarono numerose tracce delle loro imponenti strutture. Le Römische Badruinen sono un esempio eloquente della magnificenza di duemila anni fa. E, da allora, geologicamente niente è cambiato in una città come Baden-Baden nel cui sottosuolo scorrono ancora le sorgenti termali dei bagni imperiali, proprio dove ora è attivo il prestigioso stabilimento Friedrichsbad, noto per il cosiddetto bagno romano-irlandese, una sequenza corroborante di acqua calda termale e acqua fredda, unico nel suo genere in Europa. Una città ricchissima di risorse benefiche: 12 sorgenti di acqua termale, saline e grotte di sale, per le malattie dell’apparato respiratorio. E in onore dell’imperatore romano Caracalla che spesso qui soggiornava per le cure termali, sorge l’omonimo,
modernissimo stabilimento. Le terme di Caracalla sono state recentemente ampliate con l’aggiunta di varie strutture e piscine a seconda della temperatura che si desidera. E, nelle varie apposite sale, trattamenti curativi con fanghi, massaggi e idromassaggi. L’acqua termale di Baden Baden,ricca di cloruro di sodioe oligominerali, proviene da pozzi artesiani a circa 2000 metri di profondità. Baden-Baden è definita a buon motivo il gioiello della Germania termale, ancor più in un momento in cui il Paese viene considerato al culmine per il Turismo Benessere. Cliniche di cura, spa o beauty farm, il ventaglio di offerte delle varie strutture è notevole, con trattamenti esclusivi e personalizzati. Ma la bella città tedesca è anche altro. Verde cittadino, per esempio. Qui c’è il più grande bosco della Germania e il Lichtentaler Allee, un’area naturale protetta che si estende per 3 chilometri. E la funicolare più moderna e più ripida d’Europa per il Monte Mercurio che consente, agli appassionati, un’emozionante discesa con parapendio. La vita culturale, invece, è assicurata dalla Sala per concerti d’Opera, la più grande della Germania e la seconda più grande d’Europa con 2500 posti a sedere. Inaugurata nel 1998 e disegnata da Wilhelm Holzbauer, l’architettura del nuovo edificio incorpora l’ex stazione ferroviaria della città, oggi sala per la vendita dei biglietti. In programma oltre 300 manifestazioni all’anno in cui si esibisce l’Orchestra Filarmonica di Baden-Baden, una delle più antiche della Germania. E il Teatro ottocentesco, considerato tra i più belli della Germania, sullo
stile dell’Opera di Parigi. La mondanità di Baden-Baden invece ha sede nel Casinò, considerato da Marlene Dietrich -il più bello del mondo-. Entrando nel Casinò si è subito coinvolti in un’atmosfera d’altri tempi con uno sfarzo che evoca i palazzi reali francesi. Oro a profusione, statue, nicchie e baldacchini, in passato era ad esclusivo appannaggio della nobiltà. Oggi è aperto a tutti gli ospiti, dal primo pomeriggio e fino a tarda notte. Poi, lo sport di prestigio. Oggi, nella regione del golf BadenAlsazia, si trovano 9 golf club. Tutti i maggiori hotel a BadenBaden dispongono dei cosiddetti golf-concierges, personale appositamente istruito ed unico in Germania. Discorso a parte merita l’Ippodromo internazionale di Iffezheim che tre volte all’anno, in occasione del concorso internazionale di galoppo, dal 1858 l’evento clou dell’anno per l’alta società, diventa un must per gli esperti e un’occasione mondana per la crema di Baden Baden. Soprattutto per le signore, che sfoggiano elegantissimi, eccentrici cappelli. Ancora, a Baden-Baden, mercatini artigianali e shopping raffinato. Nella zona pedonale, Sophienstrasse e Gernsbacher Strasse sono strade ricche di boutique di lusso, tra le più costose. La città vanta la cucina più rinomata della Germania e suggerisce una curiosa quanto allettante iniziativa, il Dinner Hopping, con vari assaggi da un ristorante all’altro. Baden-Baden, infine, può essere un ottimo punto di partenza per escursioni: la vicina regione del Rebland, nella splendida cornice dei immensi vigneti terrazzati lungo le colline, ma anche Alsazia, Strasburgo e Foresta Nera.
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GERMANIA
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BRENNERS PARK HOTEL & SPA
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’ospitalità di lusso, a Baden Baden, è una strategia comune. Tuttavia, la storia della città non può prescindere dal Brenners Park Hotel & Spa, la prestigiosa struttura a 5 stelle superior che viene considerata molto di più di un albergo. E’ qui che, nel febbraio del 1962, il presidente francese De Gaulle e il premier tedesco Adenauer, si riunirono per discutere sull’ambizioso e lungimirante progetto dell’Europa Unita. Ed è ancora qui, nelle raffinate sale del Brenners, che Barack Obama e Angela Merkel si sono incontrati in occasione del vertice Nato del 2009. Una notorietà che risale a più di 150 anni fa, quella del Brenners, quando si chiamava Stephanienbad, per via della principessa Stephanie di Baden. Vent’anni dopo fu acquistato all’asta da un ricco francese, tal Anton Brenner, e da quel momento il bellissimo hotel immerso
nel parco della Lichtentaler Allee fu meta privilegiata della nobiltà parigina, ma anche di ospiti illustri provenienti da ogni parte del mondo. Franz Lehar, Henry Ford, Walt Disney, il Principe di Monaco e il Maharaja di Kapurthala, tanto per fare qualche esempio significativo. Dopo la riapertura del Casinò di Baden Baden nel 1933, il numero di ospiti internazionali del Brenners aumentò in modo esponenziale. L’albergo fu presto elevato al rango di lusso e prestigio che meritava, diventando il fiore all’occhiello di Baden Baden. Arredi e oggetti di antiquariato dappertutto ben sostenevano questo
suo ruolo. Una ricchezza composta e riservata che gettò le basi per quello che è oggi il Brenners Park Hotel & Spa. Cento tra camere e suite, tutte di grande eleganza e ricercatezza, una Spa e una medical Spa di elevatissimo livello, e un servizio impeccabile. L’attenzione per l’ospite è continua e irreprensibile. Il Brenner’s vanta persino una sala riservata ai fumatori di sigaro con tutti gli accessori per il raffinato rituale, ivi compresa, naturalmente, una teca per l’esposizione e la conservazione di sigari pregiati, con tanto di igrometro regolamentare. Quanto alla tavola, il ristorante del Brenners che all’altezza dell’hotel
ha 2 stelle Michelin e 17 punti Gault & Millau, serve le prelibatezze ammannite dallo chef Andreas Krolik, intervistato dalle più accreditate riviste di gastronomia. A buon motivo il Brenners Park-Hotel & Spa viene considerato l’albergo più ricco di fascino della Germania.
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GERMANIA
Museo di Fabergé a Baden Baden L’unico museo al mondo di Karl Fabergé è a Baden Baden, fondato nel maggio 2009 dal ricchissimo Alexander Ivanov che ha qui esposto la sua collezione personale consistente in più di 700 oggetti. Tra questi l’uovo Rothschild, una rarissima caraffa in argento a forma di lepre e l’ultimo uovo Imperiale Pasquale, realizzato con legno di betulla careliana, oro e diamanti, in occasione della Pasqua dell’anno 1917
per lo Zar Nicola II. Un museo costato intorno ai 17 milioni di euro, tra acquisto e ristrutturazione, e 1 milione di euro per il sistema di sicurezza. Alexander Ivanov ha scelto Baden Baden come sede del museo perché è: “vicino alla Francia, luogo di vacanza dei ricchi, e storicamente una tra le località di vacanza più popolari tra i russi”.
Le Mirabilia di Fabergé
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l suo perfezionismo era leggendario. Così Fabergé voleva le sue creazioni, impeccabili e raffinate. Verificava con severità la lavorazione dell’oro, il taglio delle pietre, l’applicazione degli smalti e la precisione delle miniature. Si circondò sempre di artigiani validissimi sfruttando all’eccesso la loro abilità. Fabergé, in questo, era un tiranno. Li costringeva a lavorare anche per mesi su un dettaglio e se solo la più piccola decorazione non rispondeva alla sua idea, ordinava che l’oggetto fosse distrutto. Questa intransigenza, spesso estenuante, Fabergé l’aveva acquisita presso la bottega orafa del padre, a Pietroburgo, della cui gestione si occupò personalmente a partire dal 1870. E fu proprio la sua tecnica irreprensibile sostenuta da una fervida, fantasiosa creatività che gli valse il titolo di gioielliere di corte degli ultimi zar. Conteso, per i suoi oggetti di fattura mirabile, dalla nobiltà di tutta Europa. In poco tempo si trova a dirigere una ditta con più di cinquecento tra artisti e artigiani, mentre nascono nuove filiali a Mosca, Odessa, Kiev e Londra. Per l’elemento sorprendente e fantastico, Fabergé compiace il gusto del suo tempo, divenendone quasi l’emblema. I suoi oggetti fantasiosi e sofisticati, realizzati con materiali nobili e accostamenti d’azzardo, assecondano la tendenza, propria della fine dell’Ottocento e dei primi decenni del Novecento, verso il bello-inusitato. ben presto i suoi manufatti diventano i regali più ambiti nelle corti europee. L’aristocrazia fin-de-siècle comincia a decorare gli ambienti privati con le sue estrose creazioni, mentre numerosi collezionisti rendono generoso omaggio alla sua vivida creatività e alla sua capacità artistica.Tipico degli oggetti di Fabergé è la trasformazione in ”gioiello” di figure o di articoli di uso comune. Troviamo infatti molti contenitori-sorpresa come portapenne a forma di cavastivale; teste di ippopotami, pesci o cani diventate
scatole per dolci; lupi e orsi che prestano le loro sembianze ad accendini, portafiammiferi o posacenere. Il vertice di questi giochi di trasformazione è raggiunto dalle straordinarie ” Uova Imperiali”, cui foto di Archivio il nome di Fabergé è assolutamente inscindibile. Preziosi di geniale fantasia e di accurata applicazione tecnica, le Uova di Pasqua Imperiali, con tanto di sorpresa, rappresentano davvero il massimo dei suoi ingegnosi capolavori. L’idea nasce con l’incarico dello zar Alessandro III (nel 1884) di creare un dono per la moglie Maria Fedorovna. Un uovo, simbolo della vita e della resurrezione, sembra allo zar un’ottima scelta, ma non immagina di trovarsi davanti a
un oggetto di così squisita fattura e originalità. Un uovo dal guscio d’oro e smalto bianco, con tuorlo d’oro, asportabile, che aprendosi scopre una chioccia (anch’essa rigorosamente d’oro). E non è finita qui. La gallinella contiene -o almeno conteneva, perché non se ne ha più tracciauna riproduzione in diamante della corona imperiale con un minuscolo pendente in rubino. Se l’intenzione di Fabergé era quella di sorprendere l’imperatrice, deve esserci riuscito. Da allora continua con entusiasmo crescente e con fantasia sempre più sbrigliata a creare uova con sorpresa. Complessivamente le Uova Imperiali ammontano a cinquantasette, neanche a dirlo, tutti pezzi unici. Quarantadue di esse si trovano oggi in collezioni pubbliche e private. Il disegno e i particolari di queste meraviglie in miniatura testimoniano, oltre all’instancabile estro dell’artista, l’influenza degli eventi storici e del gusto personale del destinatario. Non solo per la festività pasquale, le uova di Fabergé vengono richieste anche per immortalare avvenimenti di particolare importanza. Ne è un esempio l’”Uovo dell’incoronazione” per l’ascesa al trono dello zar Nicola II, avvenuta nel 1896. Dal guscio d’oro, smalto giallo e nero punteggiato di diamanti, quest’uovo contiene una miniatura -opera di George Stein- della carrozza usata dallo zar e dalla zarina il giorno dell’ incoronazione. All’interno della carrozza pende un miniuovo d’oro coperto di bril-
lanti. E’ straordinario: la finezza di Fabergé gli suggerisce di usare per lo smalto gli stessi colori dell’abito che la zanna avrebbe indossato in quell’occasione. Ma l’uovo assurto a simbolo dell’arte del grande orafo è senz’altro “L’albero delle arance”, dono dello zar Nicola II alla madre per la Pasqua del 1911. Oro, smalto bianco e verde, nefrite, diamanti, citrini, ametista, rubini, perle, agata, piume. Un alberello con tanto di fogliame, fiori, frutti e un piedistallo talmente ricco da sembrare un trono.Lo zar vuole la sorpresa e Fabergé lo accontenta. Premendo uno dei frutti si apre una calotta ricavata
nell’albero ed esce un uccellino che batte le ali e canta. Le uova imperiali sono, in senso stretto eleganti contenitori per oggetti. Esse destano in noi ogni, come nei destinatari di allora, una sorta di curiosità per quel loro trasferire cose reali in una dimensione miniaturizzata, provocando stupore e divertimento.•
foto di Archivio
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Città
la Chiesa di San Michele
China Eastern Airlines Benvenuti a Bordo.
LUCCA
una passeggiata senza parole Testo di
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Luisa Chiumenti
Una città interprete di se stessa, tra passato e presente
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ucca, come tante altre città d’arte italiane, ma forse in modo più sottilmente efficace, appare al visitatore, sempre come “protagonista assoluta”, in grado di parlare di sé, senza alcun altro inter-
vento espressivo. Così ad esempio é avvenuto con il “Corto” dell’autore catanese Giuseppe Sanalitro, che ha composto anche le musiche, il quale, prendendo lo spunto dallo sfondo molto efficace di certi angoli della città, ha realizzato una singo-
lare “passeggiata”, senza parole, attraverso alcuni tra i suoi monumenti più significativi. Premiato a LuccAutori 2010 e presentato poi, con buon successo, anche al Festival di Bari nel gennaio 2011, -La Scatola di cartone-, ha
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LUCCA una passeggiata senza parole fatto “parlare” Lucca mostrando la città attraverso i passi del protagonista, che scandiscono il suo passaggio lungo le vie e le piazze di Lucca, fino alla medievale Torre delle Ore, raggiunta a piedi, scalino dopo scalino, e dall’alto, sotto le campane, da quella semplice scatola di cartone portata sulle spalle a mo’ di zaino, finalmente fa scendere i suoi “pezzetti d’ amore”, foglietti colorati con altrettante scritte “Ti amo”. E l’effetto é certo: essi cadono a terra, mentre la ragazza, entrando nello storico caffè sottostante, alza gli occhi verso la torre campanaria e ne recepisce appieno lo spirito! Ed é proprio così che appare la città: come un complesso che vive di luce propria in cui ogni angolo, ogni piazza, ogni monumento o palazzetto, colloquia con gli ospiti, protagonisti di quel “passaggio”. Il corto, prodotto da LuccAutori con la direzione artistica di Demetrio Brandi (e con i
due giovani attori: Daniele Di Stefano ed Eleonora Bicocchi, per la regia di Riccardo Gardin e la supervisione di Giuseppe Ferlito), ha realizzato un’idea grandiosa, quanto originale: far parlare la città che esprime se stessa attraverso le immagini. In tal senso é senza dubbio un’operazione molto delicata quella che si é assunta un’equipe di architetti (PediconiMagagnini di Roa e gli arch. Lucchesi e arch. G.Ricci), nell’accostarsi, con un intervento contemporaneo, ad una frangia del tessuto urbano poco fuori le mura: il complesso residenziale nell’area di recupero dell’ex Caserma Mazzini, trasformando in uno spazio concluso, il cui nome é stato definito significativamente -La Piazza-. L’architettura contemporanea é riuscita ad accostarsi alle mura storiche, con quell’equilibrio, tra passato e futuro, di cui la città stessa sa essere arbitra e protagonista. Infatti le due “stecche” abitative del comples-
so “I Cantici” evocano le quinte architettoniche storiche delle antiche filande tuttora visibili sullo sfondo, ricordando le antiche strutture nel ritmico susseguirsi delle aperture. E come avviene con il coinvolgimento della Natura che s’impone con il folto degli alberi che si affacciano al di là del muro di confine del vicino complesso i rampicanti sulla pietra moderna si armonizzano con il materiale lapideo delle antiche mura in lontananza, così anche il complesso si immerge nella vitalità urbana, attraverso il filtro della piazza, sempre vivace nell’essere popolata da mamme e bambini nelle mattinate assolate o da giovani in sosta per studiare o chiacchierare nelle altre ore del giorno. Ed é significativo, se leggiamo le impressioni di scrittori moderni come Mario Tobino o di viaggiatori del Grand Tour, trovare le medesime emozioni nei riguardi di Lucca: ...”tutta viva e raccolta dentro
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scorcio del complesso “I Cantici” le mura, che come un vetro d’acquario la tengono stretta, e al tempo stesso aperta al mondo” (M. Tobino). Una descrizione che sottolinea la sensazione di una città a misura umana, distesa nella sua geometria di stradine diritte o leggermente in
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Circolo
curva con i negozi e le botteghe che conservano le antiche insegne e la disposizione tradizionale dell’arredo interno, come la via Fillungo, sempre menzionata come “pullulante di negozi di ogni tipo” e “viva per il chiacchiericcio di chi compra e di
chi vende....” . E se ancora un altro giornalista quale Arrigo Benedetti, nel pieno degli anni ’60, vedeva le cortine, i baluardi, le porte delle mura offerti alla visione con un aspetto diverso, a seconda della luce del sole, aprendosi fan-
particolare del Duomo di San Martino
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LUCCA una passeggiata senza parole tasiosamente agli scherzi cromatici di eccezionali tramonti, altrettanto splendide sono le descrizioni nel “Viaggio in Italia” di Nicols Audebert, che già nel XVII secolo, così si esprimeva : ...” Lucca é ben costruita e piena di case. Ha una posizione invidiabile, lontana dalle montagne”..essa“ é circondata da grandi mura di mattoni che comprendono all’interno dei camminamenti, nonché da baluardi possenti, sempre di mattoni e da un fossato profondo che può riempirsi d’acqua in poco tempo”. E terminiamo riportando alcune belle impressioni che ci ha comunicato Giuseppe Sanalitro, accanto ad una serie di suoi –scatti su Lucca-: “...All’inizio dell’autunno, quando il sole a torto si ritrae più presto alle spalle delle torri superbe del centro, i pomeriggi si ammutoliscono nei respiri delle camminate e le catene prendono a cigolare più discrete sotto la pressione dei pedali, dei polpacci tesi a spingere sulla storia che le foglie già stanche di verde raccontano a Porta San Pietro. Alcuna città ricorda più di Lucca un gioiello, così abbracciata dalle sue mura come un diamante dal fedele anello”.•
particolare del Duomo di San Martino
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Castiglion del Lago - Fortezza del leone
Referenze fotografiche “Scatti di Lucca” Foto di Giuseppe Sanalitro Sull’intervento di architettura contemporanea: I CANTICI LUCCA VIA BACCHETTONI Foto di Umberto Rocchi per conto di D’ARCH studio
particolare del Duomo di San Martino
Tutto l’appeal del Trasimeno natura, arte, musica, vini dei colli e pesce di lago
L
Testo di
Mariella Morosi
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'Umbria è un luogo speciale. Tra le armoniose colline nei toni del verde si percepisce ancora la spiritualità francescana e tutte le città e i borghi, fermi nel tempo, sono segnati dalla storia dell'arte con torrioni, campanili, abbazie, piccole pievi di campagna. Forse è rimasta chiusa nella sua identità perché è l'unica regione non bagnata dal mare e ancora oggi la realizzazione di nuove strutture ricettive e l’aumento delle
presenze non hanno modificato le principali caratteristiche dei luoghi né ridotto la qualità ambientale. Eppure anche l'Umbria ha il suo piccolo "mare", il Lago Trasimeno, al confine con la Toscana. Questo vasto specchio d'acqua, esteso in larghezza ma poco profondo, è il quarto d'Italia dopo il Lago di Como. Tutta l'area degli 11 comuni del comprensorio, di altissimo valore naturalistico e storico-artistico, è compresa nel Parco del Lago Trasimeno, istituito con legge
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TUTTO L’APPEAL DEL TRASIMENO natura, arte, musica, vini dei colli e pesce di lago
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Oasi la Valle - San Savino (ArchivioServizio Turistico Territoriale del Trasimeno)
Legumi antichi
un caratteristico borgo di Città della Pieve
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regionale nel 1995. Due delle tre isole, la Maggiore e la Polvese, sono tuttora abitate da un piccolo nucleo di agricoltori e di artigiani. Fin dall'antichità è sempre stato un prezioso bacino di pesca per le popolazioni rivierasche e ancora oggi queste acque limpide sono una risorsa per le famiglie dei pochi pescatori rimasti. Affascinati da questo lago, che armonizza il paesaggio umbro con quello toscano, hanno scritto in tanti impressioni e poesie: da Byron a Goethe fino a Stendhal. Lo ha dipinto il Perugino nell'Adorazione dei Magi nell'Oratorio di Santa Maria dei Bianchi a Città della Pieve, la sua città natale, trasferendo nell'affresco la serenità e la grazia del paesaggio. Le sue sponde verdi di lecci, pini e canneti sono un perfetto habitat per varie spe-
cie di uccelli ed anfibi. Tutto il Parco del Trasimeno è ricco di biodiversità. E' un'area di particolare interesse faunistico e non è raro veder volare l'Airone cenerino o il Cavaliere d'Italia. Non a caso tre dei suoi comuni rivieraschi Castiglion del Lago, Paciano e Panigale- sono inseriti nell'elenco dei Borghi più belli d'Italia. Dopo il lago, in tutto il comprensorio è la terra la maggiore risorsa. Il legame con la gente è profondo, viene coltivata da generazioni. Lo dimostrano le vigne e gli olivi presenti anche negli appezzamenti più modesti e la tenacia con cui vengono coltivati prodotti difficili, di scarsa resa. Di grande qualità è lo zafferano, un tempo usato per dipingere le stoffe e ancora oggi ingrediente imprescindibile per alcuni piatti tradizionali.
Altri prodotti di nicchia sono i legumi antichi, come il cece nero e la monachina (fagiolo bianco e nero). Il più noto è però la fagiolina del Trasimeno, micro-legume saporitissimo presidio Slow Food, pianta poco produttiva e difficile sia nella coltivazione che nella raccolta. Proprio sulla terra e sui suoi prodotti enogastronomici punta oggi la promozione turistica del territorio, attuata dalle istituzioni in sinergia con i privati, rivolta a visitatori di alto profilo che amano il bello e il buono, la natura e l'arte. Cresce infatti la domanda delle strutture extralberghiere come agriturismi, case e appartamenti per vacanze country house, per vivere meglio il territorio. Tutta l'area lacustre è sempre più frequentata dagli appassionati di turismo esperienziale, che
punto di partenza
HOTEL CLUB MONT BLANC Courmayeur ★★★★ Il Perugino - Adorazione dei Magi nell’Oratorio di Santa Maria dei Bianchi a Città della Pieve
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amano il trekking e la mountain bike, e dagli amanti della musica. Ogni anno arrivano in tanti per seguire i concerti di "Bianco Rosso & Blues" che si svolgono nei luoghi più belli dei borghi medievale e di Città della Pieve. Anche il ruolo della Strada del vino Colli del Trasimeno, un percorso tra i vigneti che offre scorci sorprendenti, svolge un ruolo attrattivo perché il vino è convivialità, amicizia, ambasciatore di un territorio. E' un viaggio, una trama fisica e virtuale di collegamento tra vari punti d’interesse. Antichi vitigni come il Sangiovese, il Gamay, il Ciliegiolo e il Trebbiano danno vini che si sposano perfettamente alle tipicità gastronomiche. Alcuni sono conosciuti e altri meno ma tutti sono espressione di una eccellenza basata sul rispetto e sul giusto equilibrio tra terra e intervento dell'uomo. Carpa in porchetta, Riso con anguilla e prezzemolo, Maltagliati con la tinca, Zuppa di uova di pesce: sono i piatti nobili del lago, eccellenze che dimostrano l'infondatezza del pregiudizio che vuole il pesce di acqua dolce di qualità inferiore a quello di mare. E' scesa in campo anche la scienza per esaltarlo come sano, leggero e nutriente. Carpe, tinche, lucci, pescigatto, persico reale, persico trota, latterini e gamberi di lago forse richiedono più attenzione nella preparazione e nella cottura, ma il risultato compensa l'impegno. Anche il Brustico e il Tegamaccio, un tempo piatti poverissimi delle famiglie dei pescatori, vengono riproposti oggi con successo dai ristoranti della zona. Sono dense zuppe profumatissime, versate sul pane abbrustolito, fatte gettando in pentola i pesci piccoli o quelli rovinati dalle reti, cioè tutto ciò che era non vendibile. Se in passato il Trasimeno dava generosamente cibo e lavoro, oggi sono in pochi a vivere di pesca, anche per il mancato ricambio generazionale. Vengono effettuate periodicamente azioni di ripopolamento ma molte specie ittiche autoctone si sono ridotte nel tempo fino ad estinguersi. E' il caso della pregiatissima lasca, presente solo nella memoria degli anziani, tanto buona che le migliori erano riservate alle tavole papali. Nel Museo della Pesca di San
Feliciano sono conservati reperti storici, attrezzature, reti e modelli di antichi sistemi di pesca che con la cresciuta sensibilità ambientale definiremmo rispettosi dell'ecosistema. In realtà si pescava come si poteva, con mezzi rudimentali, ad esempio creando corridoi di canne per imprigionare le anguille. Oggi la Cooperativa dei pescatori, nata nel 1928, non conta più di una trentina di soci, in maggioranza con i capelli bianchi. Si continua a praticare la pesca di cattura, quindi non intensiva, integrandola però con attività collaterali come l'affumicatura e la lavorazione del pescato. In un moderno laboratorio si dilisca il pesce, lo si confeziona in filetti sottovuoto per rifornire i ristoranti di un pratico pre-lavorato fresco. Molto apprezzato è un saporito patè di uova di tinca da spalmare sul pane. Registra sempre il tutto esaurito un'altra iniziativa per preservare l'identità del lago e della sua gente:”Pescatori per un giorno”. I visitatori possono andare in piccole barche -massimo tre alla voltacon pescatori professionisti, aiutarli a mettere le reti e se va bene, raccogliere il pesce e successivamente degustarlo. L'offerta turistica qui è destagionalizzata: ci sono sempre iniziative e proposte, anche in inverno.Dopo la Festa dell'Olio extravergine, l'oro verde del Trasimeno, è attesissimo “Soul Christmas” (8 dicembre-6 gennaio), un festival che tra cultura, tradizione, spiritualità e musica Gospel si snoderà nelle chiese e nei teatri dei borghi dove si potranno anche ammirare presepi viventi, monumentali e meccanici.• Info Lago Trasimeno www.lagotrasimeno.net www.trasimeno.regioneumbria.eu Strada del vino www.stradadelvinotrasimeno.it Città della Pieve www.comune.cittadellapieve.pg.it
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Civita di Bagnoregio
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la citta’ che muore
“Quando al mattin leggera nebbia stagna lungo i tuoi fianchi, e d’essa ti rivesti, isola sembri ùche nel mar si bagna tal da un fiabesco sogno un si ridesti”. immagine del borgo isolato dal mondo
Dal poemetto A Civita di Mario Bartoloni
Testo di Raffaella Ansuini
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Foto di Marco Aschi
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ivita di Bagnoregio, in provincia di Viterbo, è un comune che vanta uno dei borghi più belli d’Italia, definito dal saggista e romanziere Bonaventura Tecchi, nativo di Bagnoregio, “la città che muore”. E in parte è vero, a causa della continua erosione di acqua da parte di due piccoli torrenti a valle, il Rio Chiaro e il Rio Torbido, che stanno minando il colle tufaceo su cui sorge il paese. Paese al quale si accedeva, in passato attraverso quattro porte, oggi, da un unico e stretto ponte in cemento armato, costruito nel 1965, di 300 metri a strapiombo sulla vallata e percorribile solamente a piedi. Il precedente ponte, naturale, crollò a causa del terremoto del 1794 e collegava Civita alla borgata esterna della Rhota. Fu allora che la maggior parte degli abitanti si trasferì alla
Rhota, la contrada che, sorta nel XII secolo, costituisce oggi il centro storico di Bagnoregio. Civita fu fondata dagli etruschi 2.500 anni fa circa; le più antiche tracce della presenza umana nell’area, appartengono però ad epoche molto più remote. Le testimonianze archeologiche ci riportano comunque all’epoca etrusca, grazie alla necropoli ritrovata nella rupe sottostante il belvedere di San Francesco Vecchio. Anche la cosiddetta grotta di San Bonaventura, dove si narra che San Francesco guarì con un miracolo il piccolo Giovanni Fidanza (San Bonaventura), sembra fosse una tomba a camera etrusca trasformata nel Medioevo in cappella per le orazioni. Dai pochi documenti reperiti risulta che Civita di Bagnoregio e Bagnoregio fossero due contrade di una stessa città che fino al XI secolo era
denominata Balneum Regis, letteralmente “bagno del re”, toponimo di origine goto-longobarda per definire una proprietà regia. Ma la leggenda vuole che a darle questo nome sia stato Desiderio, re dei Longobardi, guarito da una grave malattia grazie alle acque termali presenti nella città. Il più importante monumento di Civita è la Porta di S. Maria, sormontata da una coppia di leoni sotto i cui artigli vi sono due teste umane, simbolo dei tiranni sconfitti dai bagnoresi. Poco più avanti, nella piazza principale San Donato, la romanica Cattedrale di S. Donato, con il campanile del XII secolo, ma rimaneggiata nel VXI secolo, scrigno dello stupendo crocefisso ligneo quattrocentesco, della scuola di Donatello e di un affresco della scuola del Perugino. I palazzi rinascimentali dei Colesanti, dei Bocca e degli Alemanni, quest’ultimo adibito a Mu-
particolare della porta di accesso a Civita seo geologico e delle frane, si ergono nelle viuzze, caratterizzate invece da piccole case basse con balconcini e scalette esterne dette “profferli”; il “profferlo” è un elemento tipico dell’architettura civile del Medioevo e molto diffuso nel Lazio e in particolare nel viterbese. Ancora oggi il borgo riesce a conservare il fascino di un luogo incantato, dove il tempo sembra essersi fermato. Se non fosse per il ponte, che lo collega alla terraferma, sembrerebbe addirittura sospeso nell’aria. Sensazione accentuata in caso di nebbia o di neve. Le macchine non sono ammesse, anche se è recente una circolare del comune di Bagnoregio che permet-
te, in determinati orari, ai poco più dei 10 residenti e a chi vi lavora, di percorrere il lungo ponte in bicicletta o in ciclomotore. Merita naturalmente una visita anche il capoluogo, Bagnoregio che vanta la rinascimentale Porta Albana, la Cattedrale di S. Nicola e il Tempietto di San Bonaventura in cui sono conservati una bibbia del XII sec. in pergamena miniata, forse appartenuta allo stesso santo e la teca argentea con le reliquie di San Bonaventura. Da visitare, infine, la Chiesa dell’Annunziata, di epoca romanico-gotica. Per gli amanti della buona cucina da provare la pasta tipica di questa zona e della bassa Toscana, i “piciarelli” an-
che detti “strozzapreti”: spaghettoni a base di farina e un po’ di acqua, che conditi con lardo soffritto, allietavano le tavole dei commensali nel corso delle festività. Ed ancora, le fettuccine condite con sugo a base di interiora di pollo. Ottima, poiché ancora realizzata artigianalmente, la lavorazione di carne di maiale dalla quale i macellai ottengono prosciutti, salsicce, capocolli, porchetta e pancetta arrotolata con spezie e aromi. Info: www.comune.bagnoregio. vt.it; www.borghitalia.it; www. civitadibagnoregio.it
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DOVE OSANO LE PALLINE BIANCHE… Ponte Vecchio Golf Challenge il gentlemen’s agreement che unisce sport e cultura
Alejandro Canizares
Testo di
Giuseppe Garbarino
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na città come Firenze ha molti simboli che la rendono identificabile nel mondo, uno tra questi è il Ponte Vecchio, il più antico attraversamento tra le due sponde del fiume Arno. Il suo aspetto è unico, come unici sono i suoi negozi, quella sfilata di lucenti vetrine di orafi e gioiellieri che dal 1593 occupano le casette costruite sui due lati del ponte, spesso sporgenti, sospese tra l’acqua e il cielo, ricordandoci quella canzone che diceva semplicemente “sull’Arno d’ar-
gento si specchia il firmamento”. Forse l’autore pensava alle argenterie esposte nelle vetrine del ponte e dei lungarni? Mai lo sapremo. E’ quindi il Ponte Vecchio uno scenario unico, un pezzo di storia che ha visto le inondazioni, la guerra con le sue ferite mai rimarginate, ma anche eventi e spettacolarizzazioni che solo in situazioni architettoniche come questa è possibile inventare. Sono ormai passati 12 anni dal primo Ponte Vecchio Golf Challenge, un prestigioso
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Dove osano le palline bianche…
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trofeo che vede i più quotati campioni mondiali gareggiare per la vittoria di un trofeo veramente unico. Per chi non lo sapesse o non lo avesse mai visto da vicino, il Ponte Vecchio Golf Challenge consiste nel riuscire a colpire una pallina da golf, posta su una piattaforma allestita sotto le arcate centrali del Corridoio Vasariano e lanciarla su quadratini di erba che galleggiano in mezzo al fiume a distanze diverse. Ma l’aspetto più intrigante è sicuramente legato al fatto che il tutto si svolge appunto sotto quel sinuoso percorso universalmente conosciuto come Corridoio Vasariano, una strada sopraelevata che permetteva ai granduchi medicei di andare dal Palazzo Vecchio, simbolo del potere politico, alla residenza familiare di Palazzo Pitti senza essere visti. Sono dodici i campioni di
golf che anche quest’anno si contenderanno il prestigioso trofeo che si svolgerà a partire dal 16 dicembre. Per tre giorni sulla città di Firenze si polarizzerà l’attenzione degli appassionati del golf internazionale, richiamando appassionati e curiosi. Lo scorso anno il torneo è stato vinto dallo spagnolo Alejandro Canizares che ha sbaragliato la concorrenza impossessandosi meritatamente del trofeo di uno dei tornei più esclusivi e originali al mondo. Terza era invece arrivata l’italiana
Diana Luna, per la quale la gara era come una sfida personale d’altra parte le soddisfazioni che ha ottenuto nelle gare disputate quest’anno la incoronano senz’altro una dei nostri migliori giocatori. Negli ultimi due anni la manifestazione è stata caratterizzata da delle nevicate molto natalizie che al di là dei disagi hanno reso l’evento veramente unico, vedremo quest’anno cosa succederà per la parte meteorologica. Intanto i due grandi organizzatori dell’evento, l’azienda di abbi-
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Dove osano le palline bianche…
gliamento sportivo Conte of Florence e la Media Vip di Torino, hanno vissuto la parte organizzativa con il brivido di chi gioca con il cristallo, uno spettacolo troppo bello per essere vero, ma proprio grazie alle dinamiche che hanno portato ai successi di pubblico e di critica sempre più ampi, i due partner si guardano negli occhi e mentre Claudio Candia, Marketing Manager di Imc Group-Media Vip ripete una delle sue frasi preferite, ovvero ‘se la formula tira lo sponsor gira’, Federico Funaro, direttore marketing della Conte of Florence sembra già pensare al 2013. Le idee non mancano e, aggiungiamo noi, la città di Firenze non può che essere contenta di ospitare questo evento, dove il golf, considerato sport per soli Vip, scende in mezzo alla gente per la gente. Come per le altre edizioni i meriti organizzativi vanno alla Media Vip e a tutti gli sponsor che hanno partecipato con grande entusiasmo all’iniziativa, primi fra tutti la già citata Conte of Florence, l’azienda sportiva fondata nel 1958 da Romano Boretti e specializzata nel settore dell’abbigliamento per il green. Eccoci quindi in attesa per l’incoronazione del Re dell’Approccio, lo specialista del tiro di precisione, perché non si tratta solo di riuscire a colpire quel piccolo rettangolo di verde, ma soprattutto di fare in modo che la pallina non prosegua la sua corsa in acqua. Questa edizione del Ponte Vecchio Golf Challenge è caratterizzata da un aspetto culturale non trascurabile, i 500 anni dalla nascita di Giorgio Vasari, l’architetto che venne incaricato da Cosimo I de’ Medici di realizzare il Corridoio Vasariano e dare quell’impronta unica che ha oggi il ponte, palcoscenico della storia e del golf contemporaneo. Una serie di postazioni multimediali, dei totem autdoor ,permetteranno di accedere ad una mappa che ci accompagnerà nei luoghi dove il Vasari ha lavorato per realizzare il famoso
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scorcio di Ponte Vecchio e del Lungarno
“Corridoio”, tali informazioni saranno scaricabili tramite il sistema QR Code, quei codici a barre bidimensionali i quali, una volta scaricati, sono visionabili comodamente sull’apparato di comunicazione personale. La ricerca storica su fatti e curiosità del Corridoio Vasariano è realizzata dall’associazione culturale fiorentina PRIMA, in primo piano per le iniziative di ricerca storica delle tradizioni storiche del territorio. La clubhouse dell’evento avrà due postazioni, quella per chi non vuole perdere nemmeno un colpo, con veduta sul fiume e sul Ponte Vecchio e situata alla storica sede dei Canottieri Firenze e l’altra, più defilata ma di eccezionale impatto e prestigio, al Palagio di Parte Guelfa, nel centro pulsante di Firenze, un posto dove si incontrano la storia del Calcio Storico, che qui ha la sua sede, e la contemporaneità, luogo espositivo per gli sponsor e caldo ritrovo per gli ospiti e partecipanti. Per tre giorni sarà possibile vedere il centro storico di Firenze attraversato da carrelli e sacche da golf, la curiosità stimolata negli increduli passanti sarà la vittoria maggiore per gli organizzatori del Ponte Vecchio Golf Challenge, per il quale, in questi anni, si è sempre più mobilitata l’attenzione di media e cultori del golf. Parlare di quello che si vede dalle spallette dei Lungarni o dal Ponte Vecchio è riduttivo, provo ad immaginarmi quella che è la visuale dai green galleggianti, la visuale aerea dal punto di vista della pallina. Da queste inaccessibili posizioni il Corridoio Vasariano ha tutta un’altra prospettiva, i suoi archi sul lato centro storico sono come a picco sull’acqua, quasi si specchiano nell’Arno, mentre il passaggio che il Vasari realizzò sul Ponte Vecchio sembra creare una cornice, così armonizzata con le scomposte casette che formano le botteghe degli orafi da sembrare irreale come questa competizione giocata sull’acqua.•
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go
La Prince Spa al Parco dei Principi Testo di
Daniele Nencini
N
el cuore del prestigioso quartiere Parioli, ai margini di Villa Borghese e di Via Veneto, vive la sua eleganza discreta il Parco dei Principi Grand Hotel & SPA, progettato nel 1962 dal celebre architetto Giò Ponti e sapientemente ristrutturato circa dieci anni fa dagli architetti Massimo e Maurizio Papiri
i quali si proposero di far rivivere la suggestione delle ricche ville aristocratiche romane di fine Seicento. Il pregio della boiserie della hall, degli stucchi dorati, degli arredi e dei drappeggi, fanno del Parco dei Principi uno degli alberghi più rinomati di Roma. L’Hotel fa parte del Gruppo Roberto Naldi, che esordisce nel 1985 con tre alberghi : il Parco dei
Principi Grand Hotel & Spa e l’Hotel Splendide Royal a Roma, lo Splendide Royal e il Grand Hotel Eden di Lugano. Ad altissimo livello anche il ristorante “Pauline Borghese” del Parco dei Principi Grand Hotel & SPA, affacciato sul giardino, con sevizio a 5 stelle e le impeccabili proposte “wellness” dello chef Agostino Petrosino. Curatissimi il brunch della domenica e il barbecue a bordo piscina, d’estate. Il Parco dei Principi di Roma prende il suo nome dal grande giardino all’italiana in cui spazia la piscina su cui si affacciano molte delle camere. L’appartamento Reale, sontuoso ed unico, offre nei suoi 300 mq. persino una sala riunioni privata. Da poco più di un anno è stata inaugurata una Beauty Farm, la Prince Spa, che ha cambiato la filosofia dell’Hotel.
INTERVISTA: Gerardo Fruncillo, General Manager del Parco dei Principi
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Come è cambiata la gestione del Parco dei Principi da quando, poco
più di un anno fa, avete inaugurato la Spa? Moltissimo. Si può dire che la nostra Prince Spa è il punto di forza dell’Hotel, l’elemento trainante. Avere una Spa oggi è un “must” per gli alberghi di un certo tenore, perché va incontro alle nuove esigenze del cliente. Se poi, come nel nostro caso, la Beauty Farm tocca livelli elevati quanto a design, comfort e lusso, allora diventa un’eccellenza ed è determinante per la scelta di un hotel da parte dei clienti perché migliora la ricettività e la qualità dello standard. E’ cambiata anche la tipologia della clientela, ora più orientata al benessere? Con la moderna filosofia di vita oggi l’attenzione al benessere e al fitness è molto diffusa. E se questa può essere coniugata a un viaggio turistico o di lavoro si raggiunge l’optimum. Di conseguenza noi abbiamo studiato dei pacchetti che comprendono anche alcuni trattamenti nella Spa. Sono molto graditi.
Anche il soggiorno congressuale può avere questa particolare connotazione? Certamente. Noi stiamo incrementando molto il segmento dei congressi avendo 17 sale adibite allo scopo. In passato, quando il cliente veniva ad effettuare il sopralluogo, noi mostravamo innanzitutto le sale, poi le camere. Ora invece iniziamo la visita direttamente dalla Spa e questo influisce moltissimo sulla scelta della location per l’incontro di lavoro. Oltre al design architettonico, nel progettare la Prince Spa c’è stata anche attenzione per altri elementi? Sì. Prima di tutto nella scelta dei trattamenti da eseguire, molto orientati verso il rilassamento e il protocollo anti-stress, per soddisfare le esigenze più comuni. Il contatto umano unito agli aromi degli olii essenziali, alla luce soffusa, all’ambiente ovattato ed elegante, tutto rende più facile l’effetto. Poi i prodotti, scelti con cura e di grande qualità.
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La Prince Spa al Parco dei Principi
PRINCE SPA Dodici stanze sono dedicate a trattamenti individuali multisensoriali, in cui la professionalità delle operatrici si sposa alla perfezione con la tecnologia di ultimissima generazione. Sfiorando con un dito un touch screen gli effetti si moltiplicano: il soffitto cambia colore, dolci suoni o essenze profumate si attivano per coccolare e rilassare. Cromoterapia
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ed aromaterapia sono solo due delle innumerevoli variazioni sul tema benessere. L’ambiente massaggi è un melting pot di tecniche in cui si alternano massaggio thailandese, shiatsu, svedese, ayurvedico ed altri ancora. La zona umida, divisa tra uomini e donne, prevede bagno turco, biosauna, sauna finlandese e cold area con docce emozionali, cascata di ghiaccio, pioggia tropicale e
vasca gemella e testare ben 35 tipi di idromassaggio tra cui getti geyser, lettini effervescenti, cascate per il massaggio cervicale, nuoto controcorrente, percorso kneipp. Un suggestivo tunnel illuminato conduce alla zona palestra di 500 mq circa con attrezzature di ultima generazione, zona cardiovascolare e personal trainer, dove è inoltre possibile svolgere le tradizionali attività di classe come gag e step, oppure scegliere la via “dolce” dello yoga e del pilates. Altro ambiente, altra sorpresa: il Food bio-bar con light lunch o light dinner e menu speciali che spaziano dal vegetariano a quello privo di lattosio, senza glutine, vitaminico, etc. Eccezionali le due suite private per rilassarsi in coppia, articolate su più ambienti. Nella Suite Prince domina l’oro, al suo interno trovano posto un bagno turco privato, il lettino Aquaveda e la vasca idromassaggio Aquarelax. Il primo, per un massaggio ayurvedico
nebbia fredda. Per la realizzazione degli interni sono stati usati materiali del tutto naturali: bambù per il parquet, legno di palissandro per le pareti, pietra e marmo. Durante una pausa nella sala relax si può sorseggiare una tisana profumata per poi immergersi nella piscina di 25 metri purificata ad ozono per una nuotata, una lezione di aqua-gym o un trattamento watsu oppure optare per la
shirodara o per trattamenti di bellezza corpo al cioccolato, al latte, all’uva nera, il savonnage o la talassoterapia, la seconda per bagni aromatici. In un’altra stanza ci si può distendere sul futon per provare i massaggi a terra. Nella Golden Suite la madreperla si unisce all’oro ed offre un ambiente quanto mai suggestivo, che candele, champagne, musica, profumi e giochi di luce rendono indimenticabile. Prince Spa Parco dei Principi Grand Hotel & Spa Via Gerolamo Frescobaldi, 5 - 00198 Roma (Italia) Parcheggio coperto - Tel. +39 06 85442494 E-mail: reservations@parcodeiprincipi.com; info@princespa.com www.parcodeiprincipi.com; www.princespa.com
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L'HOTEL SASSONGHER di CORVARA riapre in dicembre per la stagione invernale a 5 stelle
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i proprietà della Famiglia Pescosta dal lontano 1933, l’Hotel Sassongher è sempre stato in continua evoluzione pur mantenendo intatto lo spirito della cultura ladina e sudtirolese. E dopo quasi 80 anni di attività si appresta a ricevere le 5 stelle, giusto riconoscimento di una qualità che è tradizione. I servizi, la qualità e la varietà dell’offerta saranno ancora migliori, mantenendo l’ambiente, la tradizione e la calorosa ospitalità, che da anni caratterizzano l’ Hotel. Tante le novità della riapertura: il rinnovamento della prima sala del Ristorante, del buffet, che sarà più ampio e generoso, della palestra e della zona piano bar. Situato in posizione dominante in un paesaggio incantevole, vicino ai Parchi Naturali Puez-Odle e Fanes-Senes-Braies, l’Hotel Sassongher è meta di chi cerca il fascino ed i panorami unici al mondo delle Dolomiti, con piste sciistiche incomparabili in inverno ed in estate con itinerari di trekking, o di bicicletta per tutti i gusti e livelli di difficoltà, dalle semplici passeggiate a fondovalle alle escursioni più impegnative in alta montagna.Il Centro Benessere di circa 680 metri quadrati, curato da Daniela Steiner, offre numerose possibilità di rigenerarsi, con massaggi ed una apposita area dove riposare la mente ed il corpo aiutati dalle fragranze diffuse nell’aria piacevolmente stabile a circa 2830°. L’hotel dispone di una piscina coperta con accesso alla terrazza solarium esterna; di un idromassaggio, ideale dopo intense giornate di sport; di una sauna finlandese, di un bagno turco e di un Vitarium che possono essere seguiti da una doccia a getto d’acqua o a vapore per completare
il rilassamento e la depurazione. Infine, la particolare sauna a raggi infrarossi, il Vital Dôme, che aiuta a ridurre i dolori lombari, a rinforzare il sistema immunitario e a diminuire le tensioni muscolari, ideale per trattamenti rigeneranti, snellenti e purificanti. Lo chef Valerio Colla è all’Hotel Sassongher dal 2003 e propone la sua cucina - dalla ricca prima colazione a buffet, alla cena gourmet- nella sala principale del ristorante e nei raffinati ambienti delle Stuben, stanze completamente rivestite di legno; tipiche delle zone alpine. Le tre Stuben dell’hotel hanno stili completamente diversi e ciascuna è stata arredata con rivestimenti di legno, alcuni acquistati in Tirolo e in Austria. La più rustica Stube ‘del cacciatore’ è realizzata con rivestimenti del XVI secolo, per la cosiddetta Stube ‘delle bambole’ è stato utilizzato il legno ottocentesco di un maso della Val Pusteria, mentre l’elegante Stube ‘Romantica’ vanta un soffitto originale austriaco di fine Settecento. Tutte le 52 camere dell’Hotel Sassongher sono arredate e curate in ogni singolo dettaglio. Telefono, cassaforte, TV satellitare ed accesso internet wireless. A disposizione della clientela: accappatoio, teli bagno, pantofole e borsa per il centro benessere. L’Hotel Sassongher è anche sede ideale per meeting, seminari, workshops, con una ormai consolidata esperienza nell’organizzazione congressuale. www.sassongher.it info@sassongher.it
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Frégate
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un Eden privato Testo di
Frégate vista dall’alto
Pamela McCourt Francescone
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na macchia smeraldo tondeggiante, bordata da merletti dorati “mille miglia lontana dal resto del mondo”, come rimarcò un secolo fa un governatore inglese delle Seychelles, Frégate Island Private è un eco-rifugio di lusso quattro gradi a sud dell’Equatore, in mezzo all’Oceano Indiano. Solo tre chilometri quadrati di paradiso terrestre, dentro l’anello protettivo della barriera corallina, incorniciato da spiagge bellissime e rivestito da un fitto manto di vegetazione tropicale, a due ore di barca, o 20 minuti di volo, dall’aeroporto internazionale di Mahé.
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E che spiagge! Sette spiagge strabilianti, una per ogni giorno della settimana. Delle sette la più bella è forse Anse Victorin, una mezza luna bordata da palme da cocco dove l’acqua blu scuro, smeraldo e turchese sfuma sulla sabbia impalpabile come il borotalco, facendo perdere la testa anche al meno romantico dei viaggiatori. Perfette per famiglie le due grandi spiagge bianche di Anse Bambous e Anse Macque-
rau, a strapiombo sotto la scogliera dove le 16 ville, la Spa Villa e la Villa Presidenziale, si nascondono nella fitta vegetazione. L’esclusività e la tranquillità di Frégate Private sono garantite essendo l’isola riservata esclusivamente agli ospiti delle ville. Le 16 grandi ville (300-500 m2) sono in mogano indigeno e teak africano e gli spazi interni sono disposti a 45 gradi per ottimizzare la vista sull’oceano. Ogni villa ha una piscina pri-
vata a sfioro con Jacuzzi e un’ampia terrazza mentre gli interni sono eleganti e spaziosi. Sono tutte dotate di doccia esterna, zona pranzo, Wifi, TV con lettore DVD, aria condizionata e il servizio di un maggiordomo privato. La Spa Villa dispone inoltre di una zona spa che può diventare una seconda camera, e la Villa Presidenziale consiste in tre villette separate ed è accessibile solo attraverso un sentiero privato.
La spiaggia di Anse Victorin
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scorcio dell’isola
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cena romantica sulla spiaggia
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Soggiornare su Frégate vuol anche dire scoprire specie rare che sono protette grazie all’attenzione verso la tutela ambientale e il piano di conservazione che ha riportato all’incremento del numero di uccelli e delle tartarughe sull’isola e al ripristino della flora endemica. Incamminandosi lungo sentieri tortuosi, bordati da alberi di takamaka, casaurine, maestosi banyan e ficus bengalesis si arriva su un altopiano in cima a Signal Hill, il punto più alto dell’isola, e al rock Spa che accoglie la sfida ecologica dei luoghi di cui si circonda, utilizzando esclusivamente prodotti naturali preparati con oltre 130 ingredienti coltivati sull’isola. Molti gli ospiti che partono dallo Yacht Club accanto alla vecchia Plantation House - di giorno un piccolo museo, di notte un romantico ristorante - per escursioni in ca-
tamarano o per provare il brivido della pesca d’altura, mentre per gli appassionati dei fondali marini le secche e gli scogli nei dintorni garantiscono immersioni indimenticabili. A tavola specialità che sono l’espressione di uno stile gastronomico che trova ispirazione nei freschissimi prodotti di stagione coltivati sull’isola. Sapori e sorprese culinarie da assaporare in totale privacy nella propria villa, nel ristorante della Plantation House, a Frégate House, o a lume di candela su una delle indimenticabili spiagge di Frégate Island. www.fregate.com In Italia: Ingrid Schwarzfischer, Multicom SRL www.fregate.com/it/the-island
una villa con piscina a sfioro
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AVVENTURE SUBACQUEE
il Tanjong Jara Resort Testo di
Josée Gontier
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anjong Jara Resort, sulla costa orientale della Malesia, è la base per uno dei siti meglio custoditi per le immersioni subacquee,l’isola di Tenggol. Rinomata come una delle isole malesi più belle e tranquille del Mar Cinese Meridionale, l’incontaminata Tenggol consente di accedere ad alcuni dei migliori siti al mondo per avventure subacquee e snorkeling. La fauna sottomarina, con alcune specie autoctone di queste acque, è visibile in abbondanza e comprende gli squali balena, testuggini, barracuda e nudibranchi. Le profonde acque del Parco Marino Terengganu prendono vita offrendo una finestra perfetta su giardini intatti di corallo e su rare specie di vita marina. Con oltre 20 siti per immersioni da mozzafiato che circondano l’isola principale di Tenggol, l’area protetta offre sia un’introduzione indimenticabile per i principianti che un infinità di avventure sottomarine per i subacquei esperti. Le ripide scogliere dell’Isola di Tenggol, piccola e compatta con meno di tre chilometri di lunghezza e due chilometri di larghezza, formano infatti un habitat spettacolare per le immersioni ed un rifugio ideale per il mondo tropicale sottomarino. Coralli luminosi e coloratissimi nudibranchi costituiscono uno sfondo perfetto per la ricca e variopinta vita marina, residenza di ogni specie immaginabile come il pappagallo gigante a due teste, i fucilieri, le ricciole e le aquile di mare, gli squali a punta nera, i barracuda e le maestose testuggini. Una serie impressionante di rocce giganti delineano un percorso per il subacqueo esperto, mentre coloro che cercano un’esperienza più rilassante possono semplicemente lasciare che la corrente li faccia scivolare sopra la barriera, accompagnati da pesci pipistrello curiosi od enormi banchi di carangidi. Sino a 30 metri di profondità è garantita la vista
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delle creature marine più spettacolari al mondo che vagano nel loro elemento come le carangidi giganti e gruppi di barracuda a caccia mentre perlustrano la barriera. Può anche capitare di avvistare il pesce più grande del mare, lo squalo balena, prevalentemente nei mesi di marzo, aprile, settembre e ottobre. Le tartarughe marine che vengono a riva per deporre le uova sulla spiaggia vicino al Tanjong Jara Resort, offrono un’esperienza indimenticabile agli ospiti. Gli esperti istruttori del Resort sono un’ottima guida per escursioni piene di scoperte, che si tratti delle impressionanti formazioni coralline di “Moonraker”, che si erigono sino a 10 metri di altezza dal fondale marino, oppure della spettacolare vista dei pesci a “Tokong Talang”, “Tanjong Api” o “Tokong Timur”. Una vacanza sub al Tanjong Jara Resort offre emozioni per tutti, da uno scorcio di vita rilassante nella splendida vita balneare della Malesia, sino ad un’eccitante immersione. Il tutto, alternato da proposte fitness, con massaggi malesi e quant’altro. L’isola di Tenggol è facilmente raggiungibile in soli 50 minuti di motoscafo dal Resort. Attrezzatura subacquea a noleggio è disponibile al Water Sport Center ed è possibile conseguire una serie di licenze PADI, tra cui l’Open Water Diver e l’Advanced Open Water Diver inoltre vengono effettuati corsi di Emergency First Response e di Rescue Diver. Gli ospiti interessati potranno ricevere il manuale teorico PADI prima della loro visita, inoltre è possibile frequentare un corso introduttivo per principianti. Con tanti diversi siti d’immersione intorno a Tenggol Island, gli ospiti del Resort hanno il privilegio di godere di un’esperienza personale davvero memorabile. www.ytlhotels.com
ALL’ISOLA DI TENGOLL
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Un presepe da collezione Testo di
Viviana Tessa LE VETRINE DEGLI AMATORI SI IMPREZIOSISCONO DI PEZZI SEMPRE PIÙ RARI E’ già nel Quattrocento degli Angioini e nel Cinquecento degli Aragonesi che la Natività è rappresentata a Na-
figura di popolana in costume. Questa è particolare per l’altezza e per la qualità euro 2600 altezza cm 30
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sovrano stesso dedicò sempre un’attenzione particolare all’allestimento del presepe di corte, con l’aiuto della consorte, Maria Amalia, la quale ricamava personalmente gli abiti dei pastori. Un interesse, quello per il presepe, che dalla corte si diffuse a macchia d’olio in città e altrove cre-
figura di polano altezza cm 26 euro 1900
poli su basi artistiche di altissimo livello. Tuttavia è nel Settecento che la sacra ricostruzione assume la massima pregevolezza. Sotto Carlo III di Borbone nascono vere opere d’arte. Il
Nicola Ingaldi, Francesco Celebrano, Giovanni Battista Polidoro, Lorenzo Vaccaro, Giuseppe Gori, Nicola Vassallo, Lorenzo Mosca. Molti pastori napoletani del Settecento firmati da questi artisti sono custoditi nelle vetrine dei musei, persino a New York e a Monaco di Baviera. Altri fanno
figura di popolano h cm 29 euro 1800
ando anche una sorta di competizione quanto a pregio e originalità. Chi poteva permetterselo, commissionava i pastori a illustri artisti dell’epoca come Giuseppe Sanmartino,
questa è la più interessante e rara: raffigura un cieco, è alta cm 31 e costa 3500 euro
bella mostra di sé nelle vetrine di infervorati collezionisti che si aggiudicano le ambite statuine pagando somme di tutto rispetto. E proprio da quella scuola di scultori derivano
per tradizione le superstiti botteghe di pastorari ancora attivissime in via San Gregorio Armeno, una suggestiva strada di Napoli chiusa tra due file di palazzi antichi. E’ lì che nascono ancora splendide statuine di creta, modellate all’uso antico, a metà tra artigianato e arte. Sempre più avulso dall’intrinseco significato celebrativo della Natività cristiana, il presepe, quello maiuscolo, di gran pregio, assume via via un valore più artistico che sacro, più estetico che simbolico, più esibizionistico che discreto. E’ così che il pastorello, dalle fattezze umili e dagli abiti rozzi, nato dalle mani dell’artigiano per assumere il ruolo di -una voce- nel dialogo corale del presepe, sempre più spesso assurge a statuina di grande valore, trasformata in pezzo unico dall’animo del collezionista e isolata nel preziosismo di una bacheca. E il
Popolana, altezza cm 25 euro 1800
collezionista attento sa dove cercare. Tra i pastori napoletani del Settecento, soprattutto, gli unici che valicano i confini del mercato antiquario internazionale.
IL“PASTORE”: FIORE ALL’OCCHIELLO DELLA COLLEZIONE
Il pastore (termine generico che si riferisce a tutti i personaggi del presepe), nel periodo settecentesco, quello cioè più ambito dai collezionisti, ha caratteristiche ben precise. Testina di terracotta finemente modellata nelle acconciature delle contadine o delle dame, nei solchi profondi sulla pelle dei pastori bruciata dal sole, nella curva della bocca che, a seconda del ruolo del personaggio, atteggia a stupore, a contentezza o a rassegnazione. Gli occhi sono di vetro colorato, il che li rende particolarmente lucidi ed espressivi. Mani e piedi rigorosamente in legno, nel rispetto assoluto della tradizione settecentesca. Il corpo è, nei più antichi, in legno snodabile per favorire l’adattamento a diverse posizioni, in seguito
figura di popolano h cm 22,5 euro 1700
viene costruito con un’ anima di filo di ferro ricoperto di stoppa. Tuttavia, non è insolito trovare pastori interamente in terracotta. Le vesti sono di stoffa, databili al periodo tardoba-
rocco e rococò, curatissime e fedeli ai costumi locali dell’epoca e a quelli dei vari ceti sociali. L’attenzione all’abito, che è elemento indispensabile alla coerenza espressiva di qualsiasi scultura o figura nell’arte, portava, nel Settecento, a un’attenzione particolare nella scelta delle stoffe, dei colori, dei modelli, delle guarnizioni. Così come assumevano notevole importanza veristica i gioielli, disegnati su modelli veri di collane e orecchini del folklore locale. I pastori, nel Settecento napoletano venivano quindi vestiti con velluti, broccati, sete, tele pesanti e adornati con gioielli a catenine d’argento o rame dorato e pietre come granatini, paste vitree e addirittura perle scarmazze. Ovviamente, il pregio di una statuina presepiale da collezione, oltre che alla firma del suo autore e al periodo storico a cui risale, deve
Terrecotte: statuine bolognesi alte cm 27 euro 2200 l’una
il suo valore all’originalità e al buono stato del vestito. Nel caso in cui sia rotto, sciupato o restaurato, l’abito può deprezzare sensibilmente il pastore d’antiquariato.
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UN PRESEPE DA COLLEZIONE
gruppo presepiale napoletano del sec XVIII di Francesco Celebrano, Michele Trillocco e Filippo Tagliolini
IL MERCATO ANTIQUARIO
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Sempre più spesso le statuine presepiali, soprattutto i pastori napoletani del Settecento di grandi firme, approdano sul mercato antiquario delle grandi aste e vengono battute anche a cifre da capogiro, nell’ordine di 5-10 mila euro. Le grosse case d’asta ce lo confermano. Un giovane contadino con borraccia, di Francesco Celebrano, con testa di terracotta e occhi in vetro, con un’interessante vestitura molto in ordine e calze di seta ricamate, battuto a 5 mila euro. Un borghese calvo con espressiva testa in terracotta di Nicola Ingaldi, bastone in ebano e avorio, vestito originale in ottimo stato, venduto a 8 mila euro. Una coppia di contadini: lui di Lorenzo Vaccaro, con testa in terracotta e lungo manto da pastore; lei, con bella testa di terracotta e acconciatura molto curata, firmata da Celebrano, con abito ricamato da festa campestre, battuti a più di 9 mila
euro. Frequenti, specie nell’impostazione del presepe napoletano, anche i gruppi o le scene di vita comune. Una scena di giocatori di carte dei primi del sec.XIX comprendente un Giocatore a capo scoperto, con abiti perfetti; il Baro, di bella fattura veristica, con abito di seta rossa, gilet laminato e cappello; e un Bambino, vestito in verde e calzato con cioce, venduta a 7 mila euro. Una Giovane donna, tipica figura della locandiera, da aggiungere al gruppo, dello stesso periodo, attribuibile ad Angelo Viva, ha un costume originale molto in ordine. E’ stata battuta all’asta a 3 mila euro. Tipiche e molto ricercate anche le scene di ambulanti caratterizzate dalla presenza minuziosa e particolareggiata dei cosiddetti “finimenti”, cioè degli strumenti, degli accessori, e soprattutto dei cibi. Vere e proprie “nature morte”. Per esempio, una scena del Venditore di pesce, di un discepolo di Celebrano, comprendente il Pescatore con testa di terracotta e una donna con gonna
ocra e giubbetto verde e una bella acconciatura trattenuta da un nastro, con banco del pesce e bacheca, venduta a 8 mila euro. Al gruppo si può accostare il venditore di taralli, con testa fortemente caratterizzata, modellata in terracotta da un artista della scuola di Celebrano, seduto, con in grembo una cesta di taralli, una bisaccia a tracolla e, ai piedi, un altro cesto. Venduto a 4 mila euro.
Foto pag. 82-83 Pastori del Settecento Napoletano e Bolognese dall’esposizione di Giusti Antichità Via Giardini Sud 34 41043 Formigine(MO) ITALY www.giustiantichita.it info@giustiantichita.it 059 556952
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Canazei (TN), una delle più famose località dell’arco alpino, incastonata tra ben 4 comprensori sciistici, si vive il più bianco dei Natali, con la proposta del Croce Bianca Leisure & Spa Hotel. Non c’è più bisogno più “sognare” un bianco Natale, tra candide distese di neve da solcare con gli sci e serate da trascorrere accoccolati intorno ad un camino scoppiettante. Al Croce Bianca Leisure & Spa Hotel di Canazei (TN) queste calde atmosfere
sono pura realtà, da vivere con i propri cari durante un soggiorno di grande charme. L’hotel sorge a Canazei (TN), la famosa località nel cuore delle Dolomiti, nel carosello sciistico Sella Ronda, il più grande dell’arco alpino, che collega le valli vicine e comuni dai nomi mitici per i patiti delle discese: Selva di Val Gardena, Corvara in Badia e Livinallongo del Col di Lana. Agli amanti delle vette innevate, ai gourmet, agli appassionati di wellness e del relax, questo
hotel ricco di tradizione e di suggestioni d’antan, dedica una proposta su misura per un Avvento indimenticabile. Il centro benessere “Acqua Relax Vivenes” è dotato di camminamenti, sauna, bio-sauna, Thermarium, Aromarium, cromoterapia e una vasca idromassaggio. Una proposta al femminile: per le ospiti è prevista la “Ladies First Card”, la carta che dà diritto a uno più trattamenti omaggio per il successivo soggiorno con altre donne.•
Las Terrazas su Ambergris Caye Belize
U
na terrazza su un mare da sogno -trasparente e turchino, luccicante e seducente- che si estende senza soluzione di continuità per fondersi con l’orizzonte. Las Terazzas su Ambergris Caye -quella Isla Bonita cantata da Madonna, sulla seconda barriera corallina del mondo, la magnifica recife di fronte alla costa del Belize- è un elegante resort tutto bianco. Facile arrivarci dalla capitale Belize City sui piccoli aerei da turismo che in 15 minuti sorvolano quel mare da sogno per atterrare sulla pista a San Pedro, capitale di Ambergris Caye, una cittadina allegra e spensierata dove sono di rigore sandali infradito e T-shirt. Nel resort, affacciate su una spiaggia privata, 38 residenze in eleganti edifici a due o tre piani, ognuna con una, due o tre camere, cucina e salone, grandi terrazze e mobili in legni pregiati provenienti dalle foreste beliziane.
Spa Hotel in Trentino
Nel -O Restaurant- o ai tavoli all’ombra delle palme nei giardini il meglio della cucina centroamericana, e nella Serenity Spa trattamenti e massaggi. Al centro del complesso una grande piscina, un extra di lusso visto che c’è la barriera corallina per fare snorkeling, kayaking, immersioni e per nuotare con squali e manta. Per chi vuole dedicarsi ad altre attività ci sono lezioni di cucina creola e di fotografia. “Un modo divertente per scoprire i dintorni e che piace molto ai nostri ospiti e quello di prendere una bici e girovagare di spiaggia in spiaggia, sfiorando le calde acque della laguna”, spiega il direttore del complesso David Hesse. pmf • www.lasterrazasbelize.com E-mail: gm@lasterrazasbelize
Croce Bianca Leisure & Spa Hotel Strèda Roma, 3 - 38032 Canazei, in Val di Fassa (TN) Tel. 0462.601111 E-mail: office@hotelcrocebianca.com Sito Web: www.hotelcrocebianca.com
Natale tra i castelli in Repubblica Ceca
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e note festose dei jingle, i canti dei cori, il crepitio dei calderoni accesi, lo scalpiccio dei cavalli, lo scricchiolio della neve sotto i piedi. Profumi di vaniglia, mandorle tostate, caldarroste fumanti, dolci speziati e vin brulè. Addobbi variopinti e luci sfavillanti. Sono questi i suoni, gli aromi e i colori dell’Avvento in Repubblica Ceca. Dolci atmosfere magiche che seducono nelle città così come nei
piccoli villaggi. Accanto al Natale del popolo, quello sulle piazze, in Repubblica Ceca, terra di nobili dimore e castelli, va in scena anche quello “aristocratico”. Le location sono sontuose ma lo spettacolo è per tutti. Antichi manieri e dimore storiche offrono la loro cornice d’eccezione a mercatini di Natale, spettacoli a tema, mostre mercato di artigianato, feste, rievocazioni, presepi viventi, tornei, laboratori artistici e ban-
chetti. Il castello di Kuks, Horovice, dimora pittoresca tra la Boemia centrale e la Regione di Pilsen che nel periodo dell’Avvento è oggetto di visite guidate animate, in costume d’epoca. Visite guidate speciali pure nelle architetture e nelle atmosfere barocche del castello di Horsovsky Tyn, città della Boemia orientale, adagiata sulle rive del fiume Radbuza. Il 18 e 19 dicembre, mercatino di Natale di tradizione boema e presepe vivente. Quest’anno visite guidate natalizie anche al castello di Hruby Rohozec, alle porte di Turnov, nella Boemia settentrionale. Fedelissima la ricostruzione delle feste nobili d’altri tempi, con tanto di regali d’epoca.•
Ente Nazionale Ceco per il Turismo Via G. B. Morgagni, 20 20129 Milano Tel. 02 20422467, fax 02 20421185 info-it@czechtourism.com www.turismoceco.it www.133premier.cz
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Kaleidoscope
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Croce Bianca Leisure &
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Niseko Village in Giappone
Una calda sensazione chiamata
acclamato al livello internazionale come miglior resort sciistico nel mondo
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iseko Village, situato sul Monte Niseko An’nupuri a Hokkaido, in Giappone, ha rafforzato la sua reputazione come meta sciistica più importante del mondo per aver ricevuto nel 2011 diversi premi internazionali, sia per il design che per il turismo, tra cui il prestigioso riconoscimento di miglior Ski Resort votato da CNNGo.com. Sin dalla sua apertura nel dicembre 2010 The Green Leaf Niseko Village, uno splendido hotel immerso nella neve è stato riconosciuto come uno dei migliori nuovi hotel da Travel + Leisure e uno tra primi 41 posti da visitare dal New York Times. Il centro termale dell’hotel è stato anche nominato tra le 40 migliori stazioni termali nel mondo da Condé Nast Traveler US. La crescente reputazione internazionale dell’hotel può essere accreditata al suo design. Progettato dal famoso interior design studio di Champalimaud, l’hotel ha recentemente vinto il premio Best Hotel Interior Japan nell’ambito dell’ Hotel Internatio-
nal Awards 2011 in collaborazione con Bloomberg. Il design riflette uno stile contemporaneo che abbraccia l’opera creativa del noto artista giapponese Emi Shiratori. Recentemente, l’Hilton Niseko Village Resort è stato votato da CNNGo. com come la miglior base per lo sci del mondo e ha anche ricevuto riconoscimenti per l’eccellenza del design di uno dei suoi ristoranti situati in cima al Mon-
te Niseko An’nupuri, Il Cafe Lookout. Progettato dal celebre interior designer Yukichi Kawai del Design Spirit, Il Cafe Lookout ha anche ottenuto l’ambito premio Best International Restaurant, il Ristorante & Bar Design Awards-UK e si è posizionato fra i migliori 100 al JCD Design Awards in Giappone. •
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Rastafari Village in Giamaica
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osso, giallo e verde i loro colori. In fibre naturali e spesso molto colorato il loro abbigliamento. Facilmente riconoscibile la loro acconciatura. Accoglienti e cordiali i Rastafari, un popolo indigeno giamaicano, conosciuto in tutto il mondo per la sua filosofia di vita che, dagli anni Ottanta si è diffusa nel resto del mondo, soprattutto grazie a Bob Marley e alla sua musica reggae. Per conoscerli c’è il Rastafari Indigenous Village nei pressi di Montego Bay -una delle località balneari meglio conosciute della Giamaica- che si trova sul fiume Montego tra alberi ad alto fusto e piante endemiche. Un luogo silvestre, silente, sereno. Prima di girare nel villaggio e scoprire il mondo Rastafari il capo villaggio offre ai visitatori una bevanda dissetante, usando un lungo machete per aprire con colpi sicuri le noci da cocco fresche. Una carrellata sulla sto-
ria e sulla cultura Rastafari, e poi tutti alla Cucina delle Spezie per imparare i segreti della nutrizione naturale - i Rastafari sono vegetariani – prima di passare al Giardino delle Erbe e scoprire l’importanza delle piante nella cura del proprio benessere fisico e spirituale. Dopo un giro nel piccolo Labirinto, che si trova nel Giardino della Serenità, l’incontro finisce al Big Hut, con i musicisti del villaggio per ascoltare i ritmici e coinvolgenti canti Rasta. Poche ore rubate alle bianche spiagge di Montego Bay per stare in compagnia di gente generosa, a stretto contatto con la natura, la musica, e l’allegria giamaicane. pmf
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PANETTONE tutto il dolce del Natale
Testo di Mariella Foto di Ilenia
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Morosi Cairo
arà stato quel tal Ughetto Atellani, sguattero perdutamente innamorato della fornaia Adalgisa a inventare per lei il panettone? O fu quel Toni cuoco di Ludovico Sforza detto il Moro che dopo aver bruciato il dolce previsto per il banchetto, per salvarsi la testa ne inventò in fretta un altro, con gli ingredienti che aveva sottomano? E le poverissime suorine del convento lombardo che videro il loro pane secco tramutarsi in panettone, furono davvero miracolate? Nessuno conosce la vera storia del dolce ambrosiano, ma quel che è certo è che senza di lui non è Natale e non importa se il pan-
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doro lo marca stretto. E’ dal XV secolo -è documentato- che questo dolce è protagonista della festa più bella dell’anno, adottato anche dalla tradizione cristiana. Veniva collocato davanti al camino su un ceppo di quercia, decorato da fronde di ginepro, e il capo famiglia lo tagliava distribuendolo a tutti. Era come lo spezzare il pane del sacramento dell’Eucarestia e comunque simbolo di pace e di prosperità. Da “pan de’ sciori” o “pan de ton”, ovvero pane di lusso, di puro frumento, impastato con uova, burro, zucchero, zibibbo, cedro e arancia canditi, è diventato il dolce di tutti e tutti i campanili, mentre i milanesi continuano a rivendicare l’invenzione del vero “panetun”. A Natale vince la tradizione, ma più che nuove proposte ad imporsi è la fantasia. Quindi è difficile trovare al supermarket quello “classico”, alto e dalla crosta bruna tagliata a croce, il più semplice, che non sia glassato, mandorlato o farcito. Ce ne sono alla crema, al gianduia e persino al limoncello. Per fortuna l’associazione delle industrie dolciarie si è imposta un disciplinare, e in seguito, dal 1995, una normativa ministeriale ha stabilito regole precise perché un panettone possa chiamarsi tale. Così, solo al di sopra della ricetta “base”, può scatenarsi la fantasia dei pasticcieri. Occhio all’etichetta, dunque, specialmente se si sceglie un panettone artigianale, una parola che in sé non garantisce la qualità. Alessandro Circiello, paladino della cucina salutista, è per la qualità assoluta. “Il panettone è simbolo del Natale -dice- ed è giusto mangiarlo per rispettare la tradizione e per assaporare al massimo l’atmosfera e il piacere della festività. L’importante però è prepararlo secondo i canoni, utilizzando le giuste materie prime e gli ingredienti di qualità. Ecco perché un panettone ben fatto non può costare solo qualche euro”. La guerra dei prezzi al ribasso infatti non risparmia questo dolce tradizionale, usato nella grande distribuzione come prodotto-civetta e spesso venduto sottocosto. Non c’è più bisogno di aspettare come una volta la festa di San Biagio, il 3 febbraio, per portarselo a casa a metà prezzo. Tra i migliori prodotti artigianali ce ne sono alcuni davvero speciali. C’è un panettone che unisce la bontà del gusto a quella del cuore, d’obbligo sulla tavola di Papa Benedetto XVI: è quello prodotto dai detenuti del Carcere di Padova. Sono una dozzina, riuniti nella Cooperativa Sociale Giotto, orgogliosi di fare un grande prodotto con la supervisione di Lorenzo Chillon. chef dell’Antico Caffè Pedrocchi. Anche i ragazzi di San Patrignano ne fanno un tipo buonissimo, un prodotto equilibrato e non troppo dolce, con uvetta e canditi, acquistabile nello spaccio della Comunità. E’ un dolce che a giudicare dai numeri dell’export va anche sui mercati esteri, simbolo di quel Made in Italy che conquista il mondo e che proprio per questo viene impietosamente imitato, magari storpiandogli il nome. In patria quest’anno è stato definito “dolce del Risorgimento” e festeggiato per il 150 anniversario dell’Unità d’ Italia. Del resto, pur partito da Milano, non ha forse unito l’Italia tut-
ta intorno alla tavola di Natale? E non è poco, in un Paese di golosi e buongustai come il nostro. Non c’è pasticceria che per l’occasione non abbia decorato i suoi dolci col tricolore, ma sul podio è andato “Camillo”, in onore del Conte di Cavour, creato dal giovane torinese Andrea Perino. Si tratta di una variazione del panettone classico, che si ispira alla tradizione sabauda e comprende nell’impasto mele, nocciole Piemonte Igp, cioccolato tipico di Torino e marron glacé della Val di Susa. Lievitato naturalmente, “Camillo” è soffice, ricco e complesso di sapori e profumi, con crosta sottile e un retrogusto acidulo dato da ben cinque cereali -segale, riso, orzo, avena e frumento- che annulla il rischio del troppo dolce. “Quando ho deciso di fare un dolce per l’Unità di Italia -spiega l’autore- ho pensato subito a Camillo Benso perché ha fatto tante cose importanti nella sua vita, senza urlare, con grande umiltà. E oggi l’umiltà non ce l’ha più nessuno”. Ma perché limitare il consumo di questo dolce buonissimo al Natale, perché mangiarlo di fatto solo una volta l’anno? Se lo sono chiesto in molti e una mini rivoluzione è già cominciata con interventi di comunicatori gourmet e ricette a base di panettone proposte da chef stellati per momenti gratificanti anche col solleone. Lo sostiene da tempo il Gastronauta Davide Paolini. “Il panettone -ci ha confermato- è un dolce straordinario ormai divenuto nazionale, ovverosia prodotto da nord a sud, da consumare tutto l’anno. In inverno perché simbolo del Natale e delle feste, in estate perché è gustoso e sotto l’ombrellone può essere consumato con il gelato”. E se avanza? Libri e giornali pullulano di ricette semplicissime: tiramisu con panettone al posto dei savoiardi, tostato con crema inglese, a strati con cioccolato e panna. Alessandro Circiello ha voluto regalarne una facilissima ai lettori di Emotions. Eccola: TARTUFI DI PANETTONE 300g di panettone 20cl di panna fresca 900g di cioccolato al latte o da copertura 5cl di Cointreau 50g di scorza di arancia candita 100g di cacao amaro in polvere Tempo di esecuzione: 50 minuti In una casseruola far bollire la panna, versarla su 600g di cioccolato sminuzzato, far sciogliere bene mescolando delicatamente. Togliere la crosta esterna del panettone, tagliarlo a cubetti, sbriciolarlo non troppo finemente e unirlo alla panna. Aggiungervi la scorza di arancia candita a cubetti e il Cointreau. Mescolare, far rapprendere e creare delle piccole sfere, con un porzionatore da gelato o a mano. Farle riposare in un luogo fresco. Poi sciogliere a bagnomaria 300g di cioccolato e glassarle. Per ottenere un effetto cristallizzato farle rotolare nel cacao in polvere.
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MUSICA per viaggiare
Testi di
Marco De Rossi
Joss Stone
Superheavy
Lp1 (Stone’d record)
Superheavy (Polydor)
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iss Aretha Joplin, questo l’impegnativo nickname che è stato affibbiato all’ancora imberbe Joss Stone, 24enne di Devon, Inghilterra.E che, per l’appunto, naviga a metà fra la scomparsa icona del rock Janis Joplin, e la regina del soul, Aretha Franklin. Bionda, giovane e carina, Joss Stone sembrava il nuovo virgulto del soul inglese, quando esordì, a soli 17 anni, con “The soul session”, che aveva fatto brillare la stella ancor prima che nascesse. Ma la sua etichetta discografica l’ha imprigionata in un suono da pop radiofonico, svilendone le enormi potenzialità. Tagliato il cordone ombelicale, Joss Stone è tornata se stessa (non a caso, “Lp1”), ripartendo, per l’appunto, da uno. Con uno astuto come Dave Stewart (Eurithmycs) alla console, la ragazza tira fuori tutta la grinta di cui è capace, e la sua splendida voce da marinaio ubriaco marca a fuoco i contorni della musica dell’anima. Attenzione, il paragone con Janis Joplin è impietoso, ma Joss Stone resta comunque un bel sentire. E anche un bel vedere.•
Ryan Adams Ashes & Fire (Columbia)
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onsiderato a ragione uno dei migliori songwriter della sua generazione, Ryan Adams, 37enne musicista di Jacksonville, North Carolina, era esondato dagli argini, affetto da una bulimia compositiva che lo aveva portato a mescolare perle e porci (“Orion”, tanto per fare un esempio). Viaggiatore senza meta, Adams si fermava spesso all’incrocio, senza una bussola che gli indicasse la stella Polare. In “Ashes & Fire” il giovanotto sembra aver trovato la quadratura del cerchio. Grazie anche a quel vecchio marpione della console che è Glyn Jones (Beatles, Rolling Stones, Who, Dylan), che ha lavorato per sottrazione, distillando i suoni e registrando il tutto in analogico. Il risultato è l’album migliore della produzione di Adams, giocato su atmosfere sospese, su una vocalità che evoca James Taylor, Neil Young e Jackson Browne, su atmosfere malinconiche, su pause e silenzi, su panorami d’America al tramonto, quando le ombre si allungano e il giorno cede il passo alla notte. Il piano di Norah Jones contrappunta con delicatezza.•
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The Waterboys
An appointment with Mr. Yeats (Proper)
ick Jagger, Dave Stewart, Joss Stone, Damian Marley e Allah Rakha Rahman, detto “il Mozart di Madras” (sua la colonna sonora di “The millionaire”). Sono loro i magnifici 5, che per il nome si sono ispirati a Mohammed Alì. Gente diversa, per musica diversa. Jagger fa il padrone di casa e gigioneggia, Stewart tira le fila, la soul woman Joss Stone si inerpica su alte cime vocali, il pargolo di Bob Marley gioca col tempo in levare, e il compositore indiano Rahman orchestra il tutto. Per questo “Superheavy” è un giocattolo divertente, dove si intrecciano i suoni del mondo, con Rahman che ci infila dentro anche un brano in urdu, che va ad incastrarsi fra il reggae, l’ambient, la dance, il rock, l’elettronica, l’etno e quant’altro. Di fatto, un caleidoscopio per le orecchie. Certo, date le forze in campo, si poteva fare di più, ma visti i tempi di magra, meglio accontentarsi.•
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usicare William Butler Yeats, il sommo poeta d’Irlanda, sarebbe come per noi scrivere sul pentagramma i versi di Dante. Per questo Mike Scott, frontman degli irlandesi Waterboys, ci ha messo un bel po’ prima di partorire un concept-album interamente musicato sui versi di poeta dublinese. Versi che Scott ha scomposto, rielaborato, assemblato, tagliato, per adattare la metrica yeatsiana a quella musicale, e dare così all’opera una forma organica, prendendosi anche una bella responsabilità. Avesse sbagliato, non l’avrebbero perdonato. Un tentativo peraltro l’aveva già fatto, musicando The Stolen Child (in “Fisherman Blues”, 1988). “L’appuntamento” con Mister Yeats è un album molto ben riuscito, frutto di anni di studio e duro lavoro. Il power folk della band, noto marchio di fabbrica, viene edulcorato a favore di un suono più morbido e sinuoso, dove le abilità strumentali dei vari componenti abbandonano le velleità solistiche a favore di armonie sonore più compatte. Il cielo d’Irlanda ringrazia.•
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Bruno Gambacorta
Isa Grassano
EAT PARADE
Pag. 272 €. 15,90
“101 COSE DIVERTENTI, INSOLITE E CURIOSE DA FARE GRATIS IN ITALIA ALMENO UNA VOLTA NELLA VITA”
RAI ERI e Vallardi
€. 9,90
alla scoperta di personaggi, storie, prodotti e ricette fuori dal comune
Newton Compton
Testo di
Mariella Morosi
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runo Gambacorta è stato tra i primi a parlarci dalla tv di cibo e di vino, a raccontarci le storie di chi vive ogni giorno la fatica di fare qualità. I tempi televisivi non consentono approfondimenti, non danno tempo di confessare emozioni, né di chi parla né di chi è dietro la telecamera. Così dopo anni di lavoro Gambacorta si è deciso ad aprire il cassetto dei ricordi e ha scritto il suo primo libro:”Eat Parade. Alla scoperta di personaggi, storie, prodotti e ricette fuori dal comune”. Ci racconta 36 storie, tra le tante conosciute per lavoro. Non è un libro di cucina, nonostante contenga
qualche ricetta regionale, ma una vetrina sulla vita di tanti uomini e donne, di sangue blu o contadini, uniti dall’amore per la terra e che continuano a dedicarvisi magari sperando che i figli un giorno facciano altro. C’è l’esperienza di Duccio Corsini, erede di quell’aristocrazia intelligente dei grandi marchi di vino, tanto ricca che in passato si diceva che si poteva andare a cavallo da Firenze a Roma senza mai uscire dalla loro proprietà. Duccio ha scelto di sporcarsi le scarpe nelle sue tenute, innovando e creando sviluppo. C’è Emilio Bei, ristoratore di Fermo che, col lavoro ai fornelli ha trasformato il suo locale in una
galleria d’arte moderna, e il coraggio dell’altoatesino Alois Lageder, che ha convertito i 50 ettari dei vigneti di famiglia al metodo biodinamico, sapendo di dover ricominciare da capo. Belle le pagine dedicate al terremoto de L’Aquila, che distrusse vite e azzerò attività. C’è l’impegno di tanti per ricominciare, dopo la fase del dolore e dell’emergenza. Tra i molti a rimboccarsi le maniche, Maurizio De Luca, titolare di un’enoteca, che andò tra le macerie a recuperare le bottiglie ancora intere e quelle un po’ danneggiate, marcandole con un apposito bollino “a prova di terremoto” che stappa ogni tanto per chi sa apprezzarle. Anche Marzia Buzzanca del ristorante Vinalia non si è arresa e ha continuato a lavorare. Il cibo e il vino possono dare anche una ragione di vita, reinventare l’esistenza dei detenuti di Bollate e degli ex tossicodipendenti di San Patrignano e di Mondo X, la coltivazione dei piccoli frutti può salvare una valle del Trentino dallo spopolamento, i terreni strappati alla mafia, grazie a Libera e a Don Ciotti, possono dare lavoro e benessere a tanti giovani. E ancora, il libro ci racconta di quanto fosse facile rubare gli olivi centenari in Puglia e trapiantarli nelle ville del Nord, di iniziative come Adotta una pecora, Cantine aperte, Musei del Cibo: passioni sconosciute che segnano la vita di tanti.•
Testo di
Mariella Morosi
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’ stato definito il libro dell’austerity, qualcuno l’ha paragonato ad una filosofia di vita, curiosa, positiva e sobria, altri ad una sfida per vincere la convinzione che fare il turista sia un lusso e altri ancora ad un modo per “by-passare” la crisi economica. E’ certo comunque che l’autrice, Ida Grassano, giornalista e attenta osservatrice delle cose del mondo, ci regala idee e suggerimenti per emozionarsi nel nostro Bel Paese a costo zero. Sono diverse le possibilità di godere di un posto, di toccare con mano un pezzo di storia, di entrare in un museo, di fotografare
una rarità, di ammirare un paesaggio, di gustare un prodotto tipico, di divertirsi ad una festa, una sagra o ad un concerto senza mettere mano al portafogli, sia in vacanza che nella propria città e in tutte le stagioni. Basta saper cercare, tutto questo a volte è sotto i nostri occhi e non ce ne accorgiamo. Ma dove sono queste 101 cose che si possono avere gratis? Per esempio il borgo medievale di Dozza, vicino Imola, è una vera galleria espositiva che non chiude mai. Si ritrovano affreschi in ogni angolo, raffiguranti temi religiosi, momenti di vita contadina, vecchi mestieri, antiche tradizioni. In inverno si
può andare a Livigno, il piccolo Tibet lombardo, per Art On Ice, ad ammirare le scintillanti opere di ghiaccio di artisti di tutto il mondo, e frequentare i grandi musei, dove c’è l’opportunità di entrare gratuitamente in determinati giorni. A Milano, per esempio, al nuovo Museo del Novecento si entra gratis il venerdì pomeriggio dalle 16.30 alle 19.30: tre ore non sono poche per ammirare al Palazzo dell’Arengario, proprio vicino al Duomo, oltre quattrocento grandi opere del Secolo Breve. Stessa possibilità ai Musei Vaticani di Roma (l’ultima domenica mattina del mese) per godere della Cappella Sistina e dell’immensa quantità di capolavori raccolti o commissionati dai papi nel corso dei secoli. Numerose le dritte anche per il periodo natalizio: curiosare tra centinaia di natività lungo le vie dei presepi ad Urbino, rivivere il rito ancestrale della ‘ndocciata (il rito del fuoco) ogni 24 dicembre ad Agnone (Isernia), veder sorgere il sole del nuovo anno a Punta Palascia (Otranto) il luogo più ad est di Italia. Si sprecano poi le occasioni per mangiare e degustare vini no-cost alle feste e alle sagre: il rischio è solo quello di fare la fila. E’ un testo davvero divertente, molto cool, arricchito da consigli, curiosità storiche, numeri di telefono e siti internet, anche se non si ha nessuna voglia di mettersi in viaggio.•
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Stefania Massari
“Roma 1911. Nella Rassegna illustrata della Esposizione” De Luca Editori d’Arte
Testo di
Luisa Chiumenti
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ra il 21 aprile del 1911, esattamente 100 anni or sono, allorché Roma vedeva l’inaugurazione di quella che venne definita “la più emozionante fra le esposizioni internazionali” . L’idea era partita sei anni prima, nell’autunno del 1905, per commemorare il cinquantenario dell’Unità d’Italia. Appare così di estremo interesse la pubblicazione, proprio in coincidenza delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia (1861-2011), da parte di De Luca Editori d’Arte, prestigiosa, storica Casa Editrice, del poderoso volume che presenta al lettore “Roma 1911. Nella Rassegna illustrata della Esposizione”, a cura di Stefania Massari. Le intenzioni
della Rassegna erano appunto quelle di presentare la nuova capitale del Regno d’Italia come “ideale città dell’Arte”, nel panorama delle conquiste internazionali sul piano economico, scientifico e tecnologico. E in effetti la mostra di Roma ebbe il compito di illustrare al mondo il patrimonio storico artistico del Paese. Il volume, presentando stampe e illustrazioni che ci danno una vera e propria cronaca dell’epoca, documenta l’esposizione nelle sue varie fasi e nelle sue identificazioni grafiche e comunicative in effetti pone a confronto due epoche che, se pur lontane far loro, erano animate dalla stessa carica celebrativa verso l’unità d’ Italia” e quindi anche, come ha sottolineato
nella sua presentazione la presidente del XVII Municipio di Roma, Antonella De Giusti, quella dei 150 anni, che si sta vivendo al presente (1861 – 2011). L’area romana maggiormente interessata all’Esposizione Internazionale fu quella dei quartieri oggi inclusi nel XVII Municipio, da vedere come origine di quegli interventi urbanistici che ancora oggi vediamo nel quartiere della Vittoria, che celebra quest’anno il suo centenario. E’ così che si possono scorrere le pagine della “Rassegna Illustrata”, per rivivere gli eventi, lungo l’arco di quell’anno, ma forse il fascino maggiore é rappresentato dalla presentazione nel testo dell’edificio-simbolo dell’Esposizione del 1911, quello che tutti noi continuiamo a visitare e che accoglie oggi la GNAM (Galleria Nazionale d’Arte Moderna). Del progetto, scaturito da un concorso vinto dall’architetto Cesare Bazzani, la Rassegna dà, a mano a mano, le linee principali, nell’avanzamento del cantiere, pubblicando i bellissimi schizzi disegnati dal Bazzani , che davano già una chiara idea “del grande fregio” destinato ad adornare i tre lati dell’intero porticato del palazzo.•
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