Emotions magazine rivista viaggi e turismo aprile maggio 2018 anno8 n28

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SOMMARIO

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Antica Via della Seta la Karakorum Highway, la più alta via asfaltata del mondo, è lunga 1200 km

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LA DANZA DEGLI UCCELLI ACQUATICI NELLE CAMPAGNE DEL NEPAL

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NEPAL: LUMBINI L’INCANTEVOLE

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AUSTRALIA: DA CABLE BEACH ALL’OUTBACK AUSTRALIANO

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CINA - XINJIANG: IL LEGGENDARIO MERCATO DI KASHGAR

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KENYA: LA CITTA’ PERDUTA DEI MERCANTI GEDI

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TEXAS: FORT WORTH EMOTIONS

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SOMMARIO

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Viaggio nella Puglia imperiale: città, borghi, cattedrali e siti archeologici Photo by Lorenzo Zelaschi

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THAILANDIA: CHIANG MAI. LA ROSA DEL NORD

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PUGLIA: STORIA E BELLEZZA NELLE TERRE DI FEDERICO II

Nel cuore della Westralia come viene chiamata dai suoi abitanti il Western Australia

GOLF NEL MONDO: MAURITIUS E JAMAICA NUN ASSISI RELAIS & SPA MUSEUM

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Creazione logo Ilenia Cairo

Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com

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Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com

redazione@emotionsmagazine.com

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Fotografi Anna Alberghina Mauro Parmesani Paolo Ponga Lorenzo Zelaschi

Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com

KALEIDOSCOPE

Shangri-La Hotel Chiang Mai Shinta Mani Angkor Bensley Collection

Cura rivista online Idea Art&More web@emotionsmagazine.com

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DICEMBRE

Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Pamela McCourt Francescone Mariella Morosi Mauro Parmesani Paolo Ponga Lorenzo Zelaschi

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Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00185 Roma Tel e Fax 068417855 Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.



Cable Beach, Australia photo by Mauro Parmesani


S C R I V I A M O

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TERESA CARRUBBA EDITORE DIRETTORE RESPONSABILE

Sempre più avvincenti le proposte di Emotions, con destinazioni curiose e curiosità nelle destinazioni, illustrati da esperienze raccontate ed immagini ad effetto. Un’Australia insolita che vede processioni di dromedari sulla spiaggia nella poco battuta regione Kimberley, con rilievi impervi, gole mozzafiato che si alternano a magnifiche spiagge solitarie e aride savane. Una Thailandia diversa, quella di Chiang Mai, l’antica capitale del Regno di Lanna tra storia e modernità, tra templi, stupe dai pinnacoli dorati e i magnifici costumi tradizionali delle minoranze etniche come Hmuong e Akha. E lungo la celeberrima Karakorum Highway, che collega il Pakistan e la regione cinese dello Xinjiang dove, nella città di Kashgar, ogni domenica si svolge il pittoresco mercato del bestiame, un evento molto atteso che si anima di Uiguri, Tagiki, Kirghisi e di una moltitudine di cavalli, cammelli e pecore. La ricerca del passato può portare tra i ruderi della città perduta dei mercanti Gedi in Kenya, immersa nella foresta di Arabuko Soloke e in un alone fitto di leggende. Atmosfera misteriosa anche nelle zone umide del Nepal della pianura del Terai, a circa venti chilometri dal confine indiano, dove uccelli come il Marabù maggiore asiatico e il Grus Antigone si esibiscono in riti di corteggiamento con salti e movenze simili a danze. Di tutt’altro genere un tour a Forth Worth, in Texas con i los Vaqueros, le migliori steakhouse e i moderni musei d’arte. Ma, come sempre, non tralasciamo la nostra Bella Italia, un viaggio alla ricerca della Puglia Imperiale con monumenti e reperti che ricompongono il mosaico della storia.

tcarrubba@emotionsmagazine.com


L’incantevole

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Sono i primi giorni di febbraio e mi trovo nella piccola ma accogliente città di Lumbini, che in nepalese significa l’incantevole. Siamo nella pianura del Terai, a circa venti chilometri dal confine indiano che ho attraversato da poco, e a 250 km dalla capitale Kathmandu. LORENZO ZELASCHI

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Sarus Crane - Grus Antigone

Il clima è decisamente più fresco rispetto alla patria di Gandhi, ma a parte i primi due o tre giorni in cui c’è stata parecchia nebbia e una temperatura tale da permettere al calore del fiato di vaporizzarsi anche dentro ad una stanza, ora il sole scalda la terra e lo spirito raggiungendo – nonostante sia l’inizio dell’anno – quasi lo zenit a mezzodì, poiché anche il Nepal, come l’India, si trova ad una latitudine avanzata verso la linea dell’equatore. E non appena la nostra stella diurna fa capolino, dandoci il buongiorno, i suoi influssi elettromagnetici si dimostrano decisamente più vigorosi rispetto a quelli dell’Europa in questo periodo dell’anno. Lumbini è patrimonio dell’Unesco dal 1997 principalmente perché luogo di nascita del principe Siddharta, divenuto poi, nel corso della vita, colui che si liberò dai condizionamenti terreni. La parola Buddha è il participio passato del sanscrito budh - prendere conoscenza, svegliarsi significa, quindi, risvegliato. Siddharta fu noto anche come Tathagata, colui che ha trovato la Verità. Questa città è uno dei luoghi più sacri del Nepal ed è una delle quattro mete di pellegrinaggio più importanti per i buddhisti: questo sito rappresenta, appunto, la sua nascita,

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Anziana donna nepalese semina nelle ore che precedono all'imbrunire

Bodhgaya è dove si è verificata la sua illuminazione, il luogo del suo primo discorso è Sarnath, e quello della sua morte è Kushinagar; si trovano tutti in India, eccetto Lumbini, e tutti questi eventi sono avvenuti a contatto con la natura e al di sotto degli alberi. Nell’area sacra adiacente alla città, oltre al luogo di nascita dell’Illuminato, sorgono numerosi templi e monasteri costruiti da tutti gli stati buddhisti del pianeta. Tale area è stata messa a disposizione dallo stesso stato del Nepal. Una cosa interessante è che ogni tempio è stato realizzato mantenendo i diversi stili architettonici delle diverse nazioni in cui viene praticato il buddismo. E’ possibile visitare l’area a piedi, in bicicletta, oppure in risciò. Nell’unica main road della città si trovano una manciata di ristoranti, appena fuori da altrettante guest house; questa zona è battuta prevalentemente da turisti provenienti da tutto il mondo, che si danno il cambio passandosi il testimone per una breve esperienza, della durata di due o tre giorni al massimo, per poi subito ripartire alla volta di Kathmandu o Pokhara. Poiché Lumbini, è vero, a livello di attrattive tipicamente e superficialmente turistiche risulta un po’ povera, ma EMOTIONS

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se si viene da un’esperienza indiana durata qualche mese, ci farà probabilmente piacere ritrovarsi immersi nella quiete rurale e nel silenzio sacro di cui questo luogo trabocca. Appena fuori dal minuscolo nucleo cittadino, comincia un’area costituita principalmente da prati in fiore, zone campestri e piccoli agglomerati di case e baracche, più o meno accoglienti, costruite in legno o con materiali di recupero. Quella è la vera Lumbini, la parte che non è stata ancora troppo intaccata dall'influenza del turismo, attività che è cresciuta molto nel corso degli ultimi anni. Lì la vita è calma, quieta, di una semplicità e di una povertà disarmanti rispetto agli standard europei. I prati fioriti che circondano i campi coltivati, le fattorie e le case private dei contadini, sono di un bel verde acceso, con fiori gialli dallo stelo lungo,


Prati meravigliosi sono intervallati

da pozze d'acqua di dimensioni variabili,

che in questa stagione riescono raramente a diventare qualcosa di più; appariranno molto differenti durante la stagione accompagnata dai monsoni

Cicogna bianca - Ciconia ciconia

Anastomo asiatico

che spuntano a testa alta ed orgogliosi dalla massa di erba sottostante; sono utilizzati per ricavarne la senape. La pianta è chiamata Brassica juncea o senape bruna, detta anche senape cinese: è alta tra 1 e 2 metri, cresce nei campi e nei ruderati generalmente nei luoghi umidi da 0 a 500 metri s.l.m, ed è originaria del Nordafrica, dell'India e dell'Asia centrale. I semi, che se ne ricavano, sono poi mescolati con acqua, aceto, succo di limone, vino - oppure altri liquidi - sale, e spesso diversi aromi e spezie, con l’intento di creare una pasta, o salsa, di colore variabile dal giallo brillante al marrone scuro, e con un sapore che spazia dal dolce al piccante;

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Marabù maggiore asiatico - Leptoptilos dubius

caratteristica peculiare di questi alimenti, come anche il rafano e il wasabi. Per ora, quando il calore del sole aumenta e lo stato liquido dell'acqua viene mutato in gas, questi timidi, piccoli specchi d’acqua, lasciano il posto a zone acquitrinose, che in alcuni casi diventano piccole paludi; e, come a volerne cingere il perimetro, sul confine di queste zone acquose troviamo la pianta chiamata Typha Latifolia o coda di gatto comune. La Tipha, arriva ad essere alta anche 250 cm e le infiorescenze femminili sono formate da migliaia di piccolissimi fiori di colore bruno, circondati da peli, e le spighe cilindriche marroni - a forma di salsiccia - sono lunghe fino a 30 cm. Oltre che sul perimetro, questa simpatica pianta, dallo stelo lungo e sottile e dalla cima spumosa, forma delle false-isole, agglomerati di piante che sorgono dall'acqua e non dal terreno. Su queste distese d'acqua in trasformazione, su cui il disco dorato del sole, giorno dopo giorno, traccia pazientemente la sua orbita, possiamo osservare facilmente kingfisher (la versione asiatica del nostro Martin Pescatore), La Cicogna bianca, l’ Airone bianco maggiore,

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Typha Latifolia o coda di gatto comune

pappagalli verde brillante che sgranocchiano bocciuoli di frutta secca dai rami degli alberi, il Marabù maggiore asiatico - Leptoptilos dubius, della famiglia delle Ciconiidae, l’Anastomo asiatico, i più rari Sarus Crane - Grus Antigone in italiano – ed altri volatili di piccole dimensioni. La Grus Antigone è una grande gru stanziale che vive in alcune zone del subcontinente indiano, nel sud-est asiatico e in Australia. Quando si erge sulle zampe e distende il collo, raggiunge un'altezza di quasi due metri, rendendosi ben visibile e iconica tra le specie tipiche delle zone umide aperte. È facilmente distinguibile, dalle altre gru, per via del colore grigio del piumaggio e per il contrasto con il bel rosso della parte superiore del collo e del capo. Questo magnifico animale si nutre di radici, tuberi, insetti, crostacei e piccole prede vertebrate. Come altre gru, il Sarus Crane forma legami di coppia duraturi e mantiene gli stessi territori con lo scorrere del tempo, all'interno dei quali svolge esibizioni di corteggiamento costituiti da forti schiamazzi, salti e movenze simili a danze. EMOTIONS

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Photos by Mauro Parmesani

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Cable Beach, passeggiata sui dromedari al tramonto, la spiaggia è lunga 23 km e ampia centinaia di metri


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Kimberley. Da Cable Beach all’Outback australiano lontano da ogni segno di modernità MAURO PARMESANI

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La lunga fila di dromedari sciamano sulla spiaggia illuminata da un velo d’acqua, che rende il vasto arenile un unico immenso specchio che ne riflette il passaggio. Una scenografia che si ripete tutte le sere, al tramonto, sulla spiaggia di Cable Beach a Broome. In verità la spiaggia, lunga 23 km e ampia centinaia di metri, gode di una notorietà elevata dal momento che è il ritrovo mondano degli abitanti che la sera organizzano grigliate, pic nic e musica dal vivo direttamente sull’arenile. Uno stile di vita che riflette il carattere australiano e, ancora di più, di chi vive in questo angolo del Western Australia. Siamo nella regione del Kimberley, ancora oggi terra di frontiera affascinante e selvaggia. Fluttuiamo su una pista di terra rossa polverosa verso la Dampier

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Peninsula, raggiungibile solo durante la stagione secca da maggio ad ottobre. Attorno a noi solo alti alberi di eucalipto e bassa vegetazione, preludio alle immacolate spiagge di Cape Leveque, la punta estrema della penisola la cui bellezza fuori dal comune lascia sbalorditi, specialmente se si cammina a piedi nudi lungo la spiaggia di Western Beach al tramonto, con le alte falesie rosse che si specchiano nell’acqua trasparente. Durante la bassa marea, seguendo la spiaggia di Eastern Beach si può raggiungere Hunters Creek per calarsi completamente nella dimensione dell’Outback australiano. Solo sabbia e dune, in cui è facile infossarsi e, un mare meno conciliante con squali sino al bagnasciuga. Più a nord, nella penisola, si trova il villaggio di One Arm Point in


GO AUSTRALIA

Gli abitanti la sera organizzano grigliate, pic nic e musica dal vivo sull’arenile. Uno stile di vita che riflette il carattere australiano e, ancora di più, di chi vive in questo angolo del Western Australia

In alto a sinistra: le immacolate spiagge di Cape Leveque, solo sabbia e dune fino a Hunters Creek In basso a sinistra: a Cape Leveque, la famosa spiaggia di Western Beach Sopra: Anastasia’s pool

cui vivono circa 400 aborigeni Bardi e Jawi, il luogo ha spiagge immacolate e una piccola fattoria in cui si coltivano conchiglie “pinctada”. Mille chilometri più a nord si trova Kununurra una graziosa cittadina che raggiungiamo seguendo la massacrante Graet Northern Highway, dove la polvere sollevata dai tir che sfrecciano a tutta velocità è come la nebbia milanese spessa e persistente, al punto che è meglio fermarsi ed aspettare che si diradi. Siamo nel cuore della Westralia come viene chiamata dai suoi abitanti il Western Australia; immensi spazi aperti e catene montuose che si diramano come grani di un rosario creando uno scenario primitivo dimenticato dal tempo. EMOTIONS

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Il Lago Argyle, famoso sia per la sua bellezza che per la miniera da cui si estraggono diamanti color champagne

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Siamo nel cuore della Westralia come viene

chiamata dai suoi abitanti il Western Australia;

immensi spazi aperti e catene montuose che si diramano come grani di un rosario creando

uno scenario primitivo dimenticato dal tempo.

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Lo spirito aussie è talmente coinvolgente che, seduti accanto a dei cowboy impolverati, beviamo birra servita in secchi colmi di ghiaccio. Un tempo i loro predecessori la bevevano calda la birra, tutta d’un fiato per togliersi la polvere di bocca e il calore che arriva ad oltre 50°C. Oggi nell’immensa proprietà privata di El Questro Wilderness Park c’è l’aria condizionata nelle tende bungalow ad uso dei turisti ma, lo stile di vita è sempre quello: immense mandrie di mucche e loro, i cowboys australiani, in un paesaggio infinito solcato dai fiumi Chamberlain e Pentecost, oasi maestose in cui scoprire pitture rupestri vecchie di miglia d’anni specialmente nella zona di Explosion Hole. Emma Gorge è un’altra meta imperdibile, per

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ammirare l’immenso anfiteatro naturale di roccia e la cascata d’acqua proveniente da un piccolo torrente dell’altipiano. In elicottero, lo scenario che si presenta è davvero primordiale, si sorvola il grande lago Argyle famoso sia per la sua bellezza che per la miniera da cui si estraggono diamanti color champagne e l’infinito bush, sino ad arrivare ai Bungle Bungle, un range montuoso formatosi 360 milioni di anni fa splendidamente modellato dagli agenti atmosferici negli ultimi 20 milioni d’anni. Le montagne fanno parte del Purnululu National Park, siamo nell’autentico Outback australiano lontano da ogni segno di modernità e comodità turistiche. Il solo arrivarvi crea sensazioni penetranti che inducono a sentirsi dei


A sinistra: la fresca caverna alla fine del sentiero di Cathedral Gorge

In questa pagina in alto: una delle falesie di Cathedral Gorge

In questa pagina in basso: formazioni rocciose calcaree dalle forme più svariate nel Deserto dei Pinnacoli

veri e propri pionieri. Si dorme in tenda, ci si lava con l’acqua del pozzo e si cena in una baraccaristorante all’aperto le cui pareti sono delle semplici reti da pollaio utili per tenere lontano animaletti e grandi insetti attirati dalla luce delle lampade. Leggere scomodità che permettono, però, di ammirare scenari naturali maestosi e spettacolari come l’Echidna Chasm, che si perlustra seguendo il letto di un fiume asciutto lungo una gola strettissima di alte pareti granitiche. Il top delle escursioni è, però, rappresentato dal sentiero di Cathedral Gorge che si snoda tra guglie tondeggianti, falesie vertiginose, spiazzi erbosi e acquitrini ricchi di vita avicola. Dopo circa un’ora di cammino, sotto un

sole feroce, si arriva alla fine del sentiero; una vastissima e fresca caverna, dal fondo sabbioso, con una pozza d’acqua situata proprio al centro dell’antro parallelamente alla vasta apertura circolare da cui si vede il cielo. Dalla volta, nella stagione delle piogge, scaturisce un’immensa cascata d’acqua che crea uno scenario unico e affascinante. Go Australia!

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IL LEGGENDARIO MERCATO DI KASHGAR ANNA ALBERGHINA


Photos by Anna Alberghina

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Al ritmo traballante dei carretti trainati dai muli, nomadi e contadini arrivano puntuali al loro appuntamento settimanale ai conďŹ ni del mondo

Ogni domenica il vecchio mercato di Kashgar si anima di Uiguri, Tagiki, Kirghisi e di una moltitudine di cavalli, cammelli e pecore A sinistra: pane tradizionale di Kashgar con i semi di sesamo

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La Via della Seta, quell’insieme di rotte commerciali che congiungeva l’Asia Orientale e, in particolare, la Cina al bacino del Mediterraneo, attraversa alcune fra le regioni più inospitali dell’Asia. Basta il nome per evocare emozioni straordinarie e far viaggiare l’immaginazione.

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Lungo uno dei molti tracciati dell’antica Via della Seta oggi serpeggia la Karakorum Highway, la più alta via asfaltata del mondo che attraversi un confine internazionale. Lunga 1200 km., collega Kashgar, nella regione cinese dello Xinjiang con Havelian, nel distretto di Abbottabad in Pakistan. La Via della Seta, quell’insieme di rotte commerciali che congiungeva l’Asia Orientale e, in particolare, la Cina al bacino del Mediterraneo, attraversa alcune fra le regioni più inospitali dell’Asia. Basta il nome per evocare emozioni straordinarie e far viaggiare l’immaginazione. Se chiudo gli occhi mi pare di udire l’incedere dondolante dei cammelli battriani carichi di merci. Iniziata nel 2° secolo a.C. ai tempi della dinastia Han, sopravvisse fino al 15° secolo, 150 anni dopo Marco Polo, quando si aprirono le vie marittime. Disseminata di antiche città carovaniere, essa condensa, in un’unica espressione, secoli di storia e di avvenimenti che hanno segnato il destino di popoli e culture. A Kashgar il tempo sembra proprio essersi fermato all’epoca della Via della Seta ma non sarà così ancora per molto. La città sorge a 1260 m. di quota, al centro del nulla più assoluto, ai margini di un terribile deserto, il Taklamakan, il cui nome significa “se ci entri non uscirai mai”, proprio come nell’Inferno dantesco. Circondata dai massicci del Tien Shan a nord, dal Pamir a est e dal Karakorum a sud è l’ultima frontiera dell’impero, il “far west” cinese, nel vero senso della parola. Siamo a 4000 km. da Pechino e l’orologio è indietro di due ore rispetto a quello della capitale che dovrebbe valere per tutta la nazione ma qui tutti sono guidati dal ritmo solare. Nonostante la massiccia immigrazione di Cinesi Han, la maggioranza della APRILE - MAGGIO

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A destra: le mura di Kashgar In basso: la tomba di Abakh Khoja a Kashgar

popolazione è ancora Uigura, di religione islamica. Come già in Tibet, la Cina ha interesse a controllare la regione onde evitare il benché minimo segnale di opposizione o dissenso. Il sottosuolo dello Xinjiang, infatti, nasconde grandi ricchezze alle quali il governo centrale ha iniziato ad attingere. Inoltre, pur essendo un’area remota e impervia, rappresenta una valvola di sfogo all’emigrazione per la Cina interna sovrappopolata. Il centro storico è in via di totale trasformazione, le vecchie case vengono abbattute per lasciare il posto a nuove costruzioni. Malgrado ciò, nel bazar si respira ancora l’atmosfera dei viaggi di Marco Polo. Ogni domenica, quando la città è immersa nel sonno, il vecchio mercato di Kashgar si anima di Uiguri, Tagiki, Kirghisi e di una moltitudine di cavalli, cammelli e pecore. Al ritmo traballante dei carretti trainati dai muli, nomadi e contadini convergono in questo delirio antropologico, puntuali al loro appuntamento settimanale ai confini del mondo. Non a caso Kashgar significa punto di incontro tra le genti. La confusione è totale. Personaggi con lunghe barbe aguzze, cappelli ricamati e stivali neri, contrattano animatamente. Sono gli Uiguri, la minoranza etnica di origine turca che popola questa provincia. Non mancano le bancarelle che vendono cibo, dal pane spruzzato con i semi di sesamo, agli spaghetti con carne di montone, al girde nan, la tipica focaccia uigura. Così rivivono le tradizioni, il folklore e la cultura dello Xinjiang in un disperato tentativo di resistere alla modernizzazione voluta dal governo cinese. Il divario culturale, religioso, architettonico e perfino gastronomico non potrebbe essere maggiore. EMOTIONS

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Kashgar significa punto di incontro tra le genti. La confusione è totale. Personaggi con lunghe barbe aguzze, cappelli ricamati e stivali neri, contrattano animatamente. Sono gli Uiguri, la minoranza etnica di origine turca 28

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Uiguri, nel vecchio mercato di Kashgar In alto al centro: donna tagika in abito tradizionale, a Tashkurgan


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In alto: yurte lungo le sponde del Lago Karakul a 3700 m. di altitudine

Superata Kashgar, ci si lascia ben presto alle spalle ogni clamore per entrare nel cuore della geografia centroasiatica fatto di montagne innevate e deserti di alta quota. Tappa obbligata è il lago Karakul, uno specchio di acqua verde e cristallina a 3700 m. di altitudine in cui si riflette la piramide del Muztagh Ata (7546 m.). Intorno solo dune di sabbia bianca spettinate dal vento gelido del nord e greggi di pecore di razza karakul, quelle dal cui vello si ottiene la lana nera dei cappotti di Astrakan. Ultima città prima del confine con il Pakistan, Tashkurgan è un posto di frontiera con un grande mercato che chiama a raccolta le popolazioni della zona. Qui, racconta Tolomeo, confluivano tre rami della Via della Seta. Il suo nome, città di pietra è legato all’immensa fortificazione di epoca Yuan che sorge al suo limitare. E’ qui che hanno girato alcune scene del film ‘Il cacciatore di aquiloni’ ma a me ricorda piuttosto ‘Il deserto dei Tartari’. Tutto intorno una distesa di verdi cangianti punteggiati di papaveri rossi. Con la costruzione della Karakorum Highway, insieme al progresso, sono giunti anche burocrati, turisti e trafficanti. Possiamo solo augurarci che questi popoli sappiano resistere all’urto della modernità senza mandare in pezzi la loro cultura e che le antiche città carovaniere riescano a conservare intatto il loro fascino.

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A destra: cammello battriano vicino al Lago Karakul, in cui si riflettono le vette del Muztagh Ata


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Pochi chilometri all’interno della costa keniota affacciata sull’Oceano Indiano, a nord della cittadina di Kilifi, si trova la foresta di Arabuko Soloke, Foresta fitta, un vero gioiello naturale considerato il secondo habitat africano per la conservazione degli uccelli ed attualmente in esame per divenire Patrimonio dell’Umanità.

La Città perduta dei mercanti Gedi PAOLO PONGA

Photos by Paolo Ponga; Archivio Emotions

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Questa meravigliosa foresta di 338 km quadri, di cui solo una minima parte è considerata Parco Nazionale, è anche la casa di 3 specie di mammiferi a rischio di estinzione e di un mistero irrisolto, che ha scaturito numerose leggende. L’enigma è quello della città perduta di Gede (o Gedi), le cui rovine si trovano nascoste all’interno della fitta giungla. Il luogo era completamente sconosciuto al mondo, finché nel 1884 l’esploratore britannico e Commissario a Zanzibar sir John Kirk non la scoprì nel fitto della foresta. Durante la dominazione inglese Gede fu poi dichiarata monumento storico nel 1927 e Parco Nazionale nel 1948. In tale data fu

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affidato all’archeologo John Kirkman l’incarico di effettuare degli scavi e studiare il sito, opera che portò avanti fino al 1958. Ora la città perduta fa parte dei Musei Nazionali del Kenya, ed è facilmente visitabile dai turisti che soggiornano sulla costa, nelle famose località di Watamu e Malindi. In realtà non si conosce neppure con certezza il nome che doveva avere la città durante il suo periodo di fulgore: l’attuale definizione di Gede viene dalla tribù somala dei Galla, che fece scorrerie nella regione nel 17esimo secolo e trovò questa meraviglia che definì “bella” o “preziosa” (Gede), da cui poi la definizione dei suoi abitanti. Forse il suo


La CittĂ perduta dei mercanti Gedi

Numerose le abitazioni dei personaggi importanti, costruite in pietra su un unico piano e dotate di pareti dipinte e bagni soďŹ sticati, un vero lusso In alto: le rovine di Gedi, la cittĂ perduta, nascosta nella fitta giungla

A destra: i cercopitechi una caratteristica specie di scimmie che abitano la foresta di Arabuko Soloke


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nome originario, trovato durante gli scavi, poteva essere Kilimani, “collina”. Ma i suoi misteri sono ben altri: la città nacque come importante agglomerato arabo-swahili nel 12esimo secolo, frutto forse di un’enclave di mercanti potentissimi, governati da un sultano. La sua popolazione, nata da un misto fra indigeni swahili e commercianti arabi, diede vita ad una fiorente comunità che aveva relazioni con tutto il mondo conosciuto. Sono stati infatti ritrovati manufatti provenienti dalla Cina della dinastia Ming, dall’India e addirittura da Venezia, che testimoniano i suoi commerci; la sua età dell’oro è

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quella del 15esimo secolo, quando la città vantava oltre 2.500 abitanti che vivevano in un territorio vasto 45 acri. Come è possibile allora che nessuna cronaca dell’epoca riporti notizie di Gede? Non solo nessun cronista musulmano porta notizie della città, ma neppure i Portoghesi, che nel ‘500 avviarono la conquista della regione ne fanno menzione. Una città fantasma per la storia. Ma in realtà ben strutturata. A sud la parte più povera, costituita da capanne di fango con tetti di foglie, ormai completamente assorbita dalla foresta pluviale; a nord la parte ricca della città, circondata da una doppia cinta di mura. All’interno di esse, il palazzo del sultano - o comunque della figura dominante sulla città - e sede del governo, con una grande sala per le udienze, stanze private, bagni e servizi igienici (qualcosa di estremamente raffinato per l’epoca). Almeno sette luoghi di culto, fra cui la Grande Moschea o Moschea del Venerdì, nella quale è ancora visibile il mihrab, la nicchia che punta alla Mecca ed i tre gradini che fungevano da minbar, il punto dal quale il muezzin invitava alla preghiera. In vari punti vi sono simboli tipici della cultura swahili e all’esterno la vasca per le abluzioni, collegata ad un pozzo per l’acqua. Numerose le abitazioni dei personaggi importanti, costruite in pietra su un unico piano e dotate di pareti dipinte e bagni sofisticati, un vero lusso. Le tombe dei governanti e degli alti dignitari sono spesso adornate da un alto pilastro, elemento estraneo alla cultura araba; una di esse è datata all’802 dell’era musulmana (1399 dell’era Cristiana). Il materiale da costruzione spesso utilizzato è il corallo e l’approvvigionamento idrico viene da pozzi profondi; la pietra fungeva da filtrante per l’acqua salata e per quella di scarto che veniva rigenerata attraverso di essa rendendola nuovamente utilizzabile. Altro mistero: la città si trova a circa 5 km dalla costa: il mare era quindi molto più vicino qualche secolo fa? Gli archeologi hanno scoperto inoltre che alla fine del 15esimo secolo Gede ebbe una forte battuta d’arresto e venne abbandonata per una cinquantina d’anni; di nuovo ripopolata, nel 17esimo secolo fu definitivamente abbandonata alla foresta. Quali i motivi? Una delle spiegazioni consiste nelle scorrerie di diverse tribù, che hanno messo a ferro e fuoco i villaggi e le città della costa:


A sinistra: le rovine del palazzo del sultano della città di Gedi A destra in alto: donne del villaggio ...... A destra in basso: l'interno della Grande Moschea, con mihrab e minbar

prima gli Zimba, feroci cannibali della regione dello Zambesi, poi i Galla, popolo nomade che veniva dalla Somalia. Tuttavia è una ragione poco convincente, perché durante la storia gli uomini hanno sempre avuto la forza di ricostruire dopo le distruzioni. Quella che gli studiosi ritengono la motivazione più probabile è l’allontanamento della linea costiera, che ha aumentato le difficoltà dei commerci, e soprattutto ha inaridito i pozzi da cui la città ricavava l’acqua. Un’ulteriore possibilità è quella di una devastante epidemia, che uccise gli abitanti che non poterono o non vollero fuggire e scatenò l’inizio di altre leggende. Perché in effetti la popolazione locale teme le rovine di Gede, che hanno dato luogo a diverse dicerie. Innanzitutto che la terra sia maledetta, e che chiunque porti via qualcosa dalla città perduta, venga poi perseguitato da uno spirito maligno. La sensazione di essere osservati da qualcosa che si nasconde nel fitto della foresta, riportata anche dagli archeologi britannici, ha dato origine alla presenza di un animale mitologico chiamato Duba: un enorme montone in agguato nell’ombra pronto a ghermire l’incauto visitatore. Si parla anche della presenza di cobra

velenosi e di una specie di formiche in grado di scarnificare un animale. Superando questi timori, la visita alle rovine, a parte il caldo, è estremamente piacevole: la foresta è magnifica ed i resti che sorgono in mezzo ad essa appaiono surreali e stupefacenti per l’Africa nera. Le guide, preparatissime, si sono consorziate e lavorano grazie al guadagno derivante dalle visite dei turisti portati qui dalla costa dai tour operators e dai beach boys, visto lo scarso aiuto dato dallo stato centrale. In cambio, oltre ad accompagnare i visitatori, tengono pulito il sito, allontanano l’invasione della giungla ed impediscono ai locali di cacciare di frodo e tagliare gli alberi. In più tengono i turisti al riparo da Duba e dai serpenti che girano fra le pietre. Impresa invece impossibile da attuare con le famiglie di cercopitechi che vivono da queste parti e che, timidi ma gentili e morbidissimi, assalgono i turisti a caccia di banane o di qualcos’altro commestibile. A differenza di altre specie di scimmie, i cercopitechi non cercano di rubare oggetti luccicanti e non sono assolutamente aggressivi, ma vi adoreranno e vi accarezzeranno con la lunga coda se darete loro qualcosa di gustoso. EMOTIONS

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TEXAS

Fort Worth

Città dei Rodeos, ma anche di alcuni fra i più interessanti Musei degli Stati Uniti LUISA CHIUMENTI

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Siamo in Texas e ci proponiamo la visita ad una città che forse è meno presente nei grandi itinerari turistici, ma è tuttavia colma di fascino da vari punti di vista: parliamo di Fort Worth. Dallo Sheraton di Dallas partiamo quindi con un taxi (meglio sarebbe stato scegliere uno “yellow cub”, dai driver più esperti), ma il nostro giovane autista non conosce bene la strada che dovrebbe condurci alla nostra meta prioritaria, il Kimbell Art Museum. Egli conosce però assai bene la strada che ci porterà al luogo più rinomato: quello che accoglie le postazioni in cui si raccolgono gli appassionati dei più famosi rodeos d’America. Ed è davvero entusiasmante osservare con quale prestanza fisica ed orgoglio si muovono, tra i box che si distribuiscono con accanto i grossi animali, pronti anch’essi ai prossimi incontri, i partecipanti ai rodeos, con il tipico ampio cappello e i grossi stivali tirati a lucido. La storia di questo luogo è documentata nel Museo Militare di Fort Worth, una delle

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varie attrazioni di Fort Worth Stockyards, dedicato alla condivisione di storie e sacrifici di uomini e donne del Texas, del 20esimo secolo. Era il gennaio 1849, allorché il generale William Jenkins Worth, veterano della guerra messicanostatunitense, proponeva la costruzione di dieci forti lungo il confine occidentale del Texas e dopo la sua morte ecco nascere un accampamento sul fiume Trinity, che prese, in suo onore, il nome di Camp Worth: questo il primo nucleo della futura, omonima città, destinata a diventare un importante centro dell’industria del bestiame. Questa era infatti l’ultima fermata per il riposo e le provviste per coloro che conducevano il bestiame lungo il Chisholm Trail fino alla testa della ferrovia. Perché oltre Fort Worth, attraversato il Fiume Rosso, si entrava nel territorio indiano. Tra il 1866 e il 1890, i mandriani trascinavano oltre quattro milioni di capi di bestiame attraverso Fort Worth tanto che la città divenne presto conosciuta come "Cowtown".


Fort Worth Nel 1849, il generale William Jenkins Worth, veterano della guerra messicano-statunitense, fa costruire dieci forti lungo il confine occidentale del Texas. Dopo la sua morte nasce un accampamento che prende il nome di Camp Worth: questo è il primo nucleo della città che diventerà un importante centro dell’industria del bestiame

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Fort Worth Quando la ferrovia arrivò, nel 1876, Fort Worth divenne un importante punto di spedizione per il bestiame, così la città costruì l’Union Stockyards, due miglia e mezzo a nord del Tribunale della contea di Tarrant, con un forte “boom” nel settore industriale e nel commercio all'ingrosso e quindi un’importante crescita della città, anche se poi, il grande sviluppo del settore iniziò nel 1920, grazie alla scoperta del petrolio nelle vicinanze. Ben presto gli investitori si resero conto che invece di spedire il bestiame in altri mercati per essere trasformati, sarebbero stati molto più bravi a costruire gli impianti di confezionamento delle carni nelle vicinanze in modo da poter mantenere gli affari in città e iniziarono a lavorare per attrarre importanti imballatori a Fort Worth, e verso il 1900, avevano convinto sia Armor & Co. che Swift & Co. a costruire impianti vicino ai recinti. Ed ecco che anche noi,

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a fine serata, coinvolti dall’affascinante atmosfera, ci avviciniamo a Los Vaqueros Crown Valley West, per fermarci per una deliziosa happy hour nel bel patio di uno dei tanti locali o presso l’H3 Ranch di Hunter Brothers, nel cuore del quartiere storico Stockyard, a degustare le carni bovine con birre forti e dal gusto speciale. Il Live Hickory Wood Grill offre un'ampia varietà di bistecche, trote arcobaleno, costolette, pollo, maiale allo spiedo e molto altro: una delle migliori steakhouse nell'area di Fort Worth (www.h3ranch.com). Ma il giorno successivo siamo attesi al Museo della Kimbell Art Foundation; il complesso, iniziato dal grande architetto americano Louis Kahn nel 1972, ed ampliato recentemente (2013) dall’architetto italiano Renzo Piano. Si tratta di due immobili, immersi nella luce naturale e nel verde, staccati l’uno dall’altro e profondamente diversi, ma armoniosamente fusi in un paesaggio davvero colmo di fascino. Una


Due immobili, immersi nella luce naturale e nel verde, profondamente diversi, ma entrambi armoniosamente fusi in un paesaggio davvero colmo di fascino

solida struttura in cemento armato su pilastri e voltine allungate in calcestruzzo per l’edificio originario e un edificio aereo nella lieve struttura in acciaio e cristallo, nel successivo intervento di Renzo Piano, collegato comunque, con un forte asse visivo ed una scala appropriata, con l’edificio originario di Kahn. Il tema della luce viene comunque egregiamente risolto nell’intero complesso con una perfetta integrazione fra struttura ed illuminazione naturale e artificiale, in cui la forte intensità del sole texano risulta ben calibrata da adeguati interventi tecnologici. Il Kimbell Art Museum, di proprietà della Kimbell Art Foundation accoglie collezioni che spaziano dall'antichità al 20esimo secolo e comprendono capolavori europei di artisti come Fra Angelico, Michelangelo, Caravaggio, Poussin, Velázquez, Monet, Picasso e Matisse; importanti collezioni di antichità egizie e classiche; e l'arte dell'Asia, dell'Africa e dell'America antica.

Il Kimbell Art Museum, di proprietà della Kimbell Art Foundation accoglie collezioni che spaziano dall'antichità al 20esimo secolo Nella pagina a sinistra: la parte del complesso iniziata dal grande architetto americano Louis Kahn nel 1972 In questa pagina: l’edificio ampliato recentemente, nel 2013, dall’architetto italiano Renzo Piano EMOTIONS

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Photos by TAT Ente del Turismo Thailandese e Archivio Emotions

Una città a misura d’uomo, che sfoggia un mix seducente di antico e moderno, sacro e profano, sapori e fragranze, popolazioni e tradizioni.

Chiang Mai. La Rosa del Nord PAMELA MCCOURT FRANCESCONE

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Chiang Mai. La Rosa del Nord

Antica capitale del regno Lanna, conosciuto come il Regno di un Milione di Campi di Riso, Chiang Mai è la quintessenza della cultura millenaria thailandese. Risalgono al 13esimo secolo il grande fossato e le imponenti mura in laterizi che sono in parte ancora visibili e, come le antiche porte cittadine, tuttora elementi integrati nel tessuto urbano. Da secoli il più importante centro religioso del Paese, conosciuto come la Città Sacra, ancora oggi vanta centinaia di templi e monasteri di grande valore storico, architettonico e culturale, con stupe e pinnacoli dorati che spuntano dietro palme svettanti e giardini cinti da mura. Tra tutti, appena fuori città, il venerato Wat Phra That Doi Suthep, arroccato in cima a una scalinata a forma di serpente di 306 gradini, in vetta a una montagna sacra. Nonostante abbia un milione e mezzo di abitanti Chiang Mai, il secondo centro abitato della Thailandia, è una graziosa città a misura d’uomo. Le strade perennemente trafficate e l’intrusione di qualche patinato centro commerciale non sembrano aver cambiato più di tanto i ritmi secolari degli abitanti, che a tutte le ore affollano negozi, ristoranti e caffè tradizionali e colorati mercati stradali che all’alba saltano fuori dal nulla e svaniscono solo a notte inoltrata.

In queste pagine: il venerato tempio Wat Phra That Doi Suthep, in cima ad una montagna sacra


THAILANDIA

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Chiang Mai. La Rosa del Nord

Chiang Mai è il trionfo della cucina Lanna,

tramandata da generazioni e con forti influenze da paesi confinanti come il Myanmar, il Laos e la Cina. Tra le specialità il Khan Toke, il nome del piedistallo di legno intorno al quale

i commensali siedono su tradizionali cuscini

a forma di triangolo, e sopra al quale vengono sistemati tante piccole scodelle fumanti. Dalle verdure alle carni e al tofu, e dagli

spaghettini al Kao Nieow, il riso appiccicoso che non manca mai in tavola. Tra le altre delizie c’è il Laab di maiale o manzo macinato, il Nam Prik Ong, uno stufato di maiale e pomodoro,

il Sai Ua, una salsiccia aromatizzata con citronella e altre spezie raccolte nella giungla, e il Khao Soi, un gustosissimo brodo di noodle, latte di cocco e curry, con sopra una manciata di spaghettini fritti dorati.

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THAILANDIA

Khao Soi, un gustosissimo brodo di noodle, latte di cocco e curry, con pollo e sopra una manciata di spaghettini fritti dorati

Khan Toke, il nome del piedistallo di legno sopra al quale vengono sistemate tante piccole scodelle fumanti


Una città da scoprire a piedi. Vagabondando lungo i viali alberati che costeggiano il fossato, perdendosi nei vicoli tortuosi tra boutique e botteghe, locali e bar nel nucleo antico della “Città delle Mura”, e passeggiando lungo le riva del fiume Ping con i suoi grandi alberghi e ristoranti modaioli. Per rapidi spostamenti ci sono i tradizionali songthaew o taxi rossi, minibus aperti con due panche per 8-10 persone, che non hanno fermate prestabilite o itinerari precisi. Basta fare cenno all’autista di fermarsi, concordare il prezzo – una manciata di baht – e indicare dove volete scendere. Molteplici le attività artigianali in città, perché a Chiang Mai e nei dintorni vengono fabbricati, e poi esportati in tutto il paese, la stragrande maggioranza dei prodotti artigianali thailandesi: le sete preziose e gli oggetti di legno intagliato, le lacche e gli smalti, il celandon la porcellana verde pallido che ebbe origine in Cina oltre 2.000 anni

Chiang Mai. La Rosa del Nord

A Chiang Mai vengono fabbricati la maggioranza dei prodotti artigianali thailandesi: sete preziose, oggetti di legno intagliato, lacche, smalti e gioielli che orafi e argentieri lavorano seguendo i precetti d’altri tempi


THAILANDIA

fa, gli ombrelli fatti di seta, cotone e carta di gelso, e i gioielli creati da orafi e argentieri che ancora lavorano in piccole botteghe seguendo i precetti d’altri tempi. Per quanto ricca, vivace e variegata la scena gastronomica, culturale e mondana in città, altrettanto affascinante è la regione che la circonda che si spinge verso il Myanmar a nordovest, il Laos a nordest e il cosiddetto Triangolo d’Oro. Una grande pianura incontaminata, circondata da verdeggianti catene montagnose, con parchi nazionali come il Si Lanna e il Doi Luang, fiumi e cascate, campi e frutteti coltivati e villaggi remoti dove le minoranze etniche tengono gelosamente vivi il loro stile di vita e le loro tradizioni.

Da scoprire in gita fuori porta i villaggi di queste Hill Tribe, come le minoranze Lisu e Hmuong originariamente dalla Cina, e gli Akha e Karen in origine dal Myanmar, l’Elephant Nature Park un campo per la riabilitazioni degli elefanti, le cascate Mae Sa, i giardini botanici Queen Sirikit e le grotte Chiang Dao immerse nella giungla. www.turismothailandese.it

A sinistra: monaci in preghiera camminano in processione vicino al Wat Doi Suthep Al centro: una bambina appartenente alla minoranza Akha in abito tradizionale

A destra: il lavoro di un artigiano argentiere secondo le antiche tradizioni

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S TO R IA E B E L LE Z Z A NE L L E T ERRE D I FE D E RI C O II

Viaggio nella PUGLIA IMPERIALE MARIELLA MOROSI C’è una vasta area in Puglia, con città, borghi, cattedrali, siti archeologici e paesaggi incontaminati che viene denominata “Imperiale” perché è sotto l'egida di Castel del Monte, il maniero edificato da Federico II per la caccia ed altri piaceri.

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Veduta aerea di Castel del Monte, famoso maniero duecentesco dalle otto torri, patrimonio Unesco APRILE - MAGGIO


Photos by Archivio Emotions

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C’è una vasta area in Puglia, con città, borghi, cattedrali, siti archeologici e paesaggi incontaminati che viene denominata “Imperiale” perché è sotto l'egida di Castel del Monte, il maniero edificato da Federico II per la caccia ed altri piaceri. Questo castello duecentesco dalle otto torri, patrimonio Unesco, sorge su un’altura che domina la Murgia fino al mare ed è visibile dovunque, dalle spiagge fino al Golfo di Manfredonia, dai trulli e dai santuari fino alle città. E’ come un perno ideale da cui si dipanano storie diverse e tutte le identità storiche e culturali dell’imperatore svevo. Questa Puglia speciale comprende i comuni di Corato, Andria, Ruvo, Barletta, Bisceglie, Canosa,

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Margherita di Savoia, Minervino Murge, San Ferdinando di Puglia, Spinazzola, Trani e Trinitapoli. Tanti i monumenti e i reperti che ricompongono il mosaico della storia evocando vicende, spesso drammatiche di popoli a volte conquistatori e a volte vinti. E’ ancora viva tra Barletta e Canosa, sulle sponde dell'Ofanto, la battaglia di Canne del 216 a.C., quando i cartaginesi guidati da Annibale massacrarono le legioni romane. Preziosi i reperti custoditi nell’Antiquarium, così come quelli degli scavi di San Mercurio con la domus romana e il menhir che rinvia al culto di Diomede. A questo eroe omerico è attribuita anche la fondazione di


Viaggio nella PUGLIA IMPERIALE

www.pattonordbareseofantino.it www.pugliaimperiale.com

In alto: il Castello di Barletta A sinistra: l’imponente Cattedrale di Trani con il campanile, costruito in onore di San Nicola Pellegrino

Canosa, sulla Via Traiana. Da ammirare l’Arco Onorario, il ponte sulla Lama e quello sull’Ofanto. Un altro luogo reso celebre dalla storia è Barletta, per la famosa disfida del 1503 tra i 13 cavalieri italiani e altrettanti francesi. Massimo D'Azeglio ce ne ha fatto accurata e appassionante cronaca. La città era legata ai territori dì oltremare, da dove proviene il suo Colosso, gigantesca statua in bronzo di fattura bizantina, mentre i capitelli della cattedrale portano la mano degli artisti di Gerusalemme. La strutturazione del sistema militare e difensivo federiciano vede nei castelli - posti in genere sulle alture che dominano il territorio o il mare - i

capisaldi della sua organizzazione. Splendidi esempi i manieri di Trani, Minervino e Canosa e la rocca del Garagnone. Ma questa è anche terra di fede, dalle imponenti cattedrali come quella di Trani, affacciata sul mare col suo campanile, in onore di San Nicola Pellegrino, fino alle tante chiese matrici in stile romanico-pugliese. Costruite fra l'XI e il XIII secolo in pietra bianca locale, hanno decorazioni finissime, soprattutto sui portali stipiti e sui rosoni che contrastano con la sobrietà dei paramenti murari. Spesso al livello sottostante sono da ammirare cripte più antiche. Un suggestivo spettacolo sono i riti religiosi dalla partecipazione corale nelle grandi chiese come la Basilica del Santo Sepolcro di EMOTIONS

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Viaggio nella PUGLIA IMPERIALE

Pescherecci nel Porto di Trani

Barletta o Santa Maria Assunta di Andria e di Minervino o Santa Maria Maggiore di Corato. Storia e paesaggio si propongono uniti in tanti itinerari specialmente nelle Murge, detto il “mare di pietra”. Da Minervino a Spinazzola, si può ammirare, al Museo Archeologico, l’esposizione permanente “Quando l’Ofanto era color dell’Ambra” con il corredo funebre di un guerriero dauno (IV sec a.C.,). Città natale di Innocenzo XII, Spinazzola fu fondata nel III sec nei pressi della Statio Romana “Ad Pinum” sull’Appia. La leggenda narra che vi si recò anche Manfredi, figlio di Federico II, per regalare l'abito da sposa alla bella Elena d'Epiromerita. Dove la pianura del Tavoliere incontra l’Adriatico, su una laguna costiera, c’è Margherita di Savoia. Preziosi reperti archeologici sono conservati nei musei di Trinitapoli e San Ferdinando. La natura invece esplode nella vicina oasi naturalistica dove vivono aironi, fenicotteri rosa, rapaci di palude e cigni reali. Lungo la costa a sud, presso Torre Pietra, nelle acque dell’antica Salapia, “La Venezia dei Dauni”, è ancora visibile la chiglia di una nave romana naufragata col suo carico di anfore. Paesaggi sconfinati, alture aspre solcate da lame e piccoli canyon sono invece nel Parco Nazionale dell'Alta Murgia. Tra le città più visitate, la medievale Corato, dalla tipica pianta a raggiera e dai palazzi signorili, e Ruvo di Puglia che, pur avendo origini antichissime fu scoperta nella sua identità storica solo nell’Ottocento grazie al suo immenso patrimonio archeologico. I contadini dell'epoca, infatti, quando trovavano dei vasi li frantumavano con le zappe alla ricerca di monete. Solo grazie ad alcuni intellettuali come la famiglia Jatta, si capì l’importanza di questi reperti che ora sono al Museo Archeologico. Il vaso più prezioso quello del Talos, protettore di Creta. Da vedere anche il Museo del Libro con il Catalogo degli Jatta e i volumi dalle biblioteche dei conventi dei tre ordini monastici: Scolopi, Cappuccini e Frati Minori Osservanti. Meritano una visita la grotta di San Cleto, la cisterna romana nell'ipogeo della Chiesa del Purgatorio e il dolmen megalitico della Chianca, dell'era del bronzo. Ma la Puglia Imperiale è anche una vera e propria isola di sapori autentici e genuini e di tradizioni gastronomiche. Le strade del vino e dell’olio sono una guida preziosa per scoprire prodotti e piatti legati all'antica civiltà contadina, pastorale e marinara. EMOTIONS

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Constance Belle Mare Plage Golf Hotel

Nel mezzo di una bellissima foresta, esiste dal 1994 uno dei campi più importanti dell'Oceano Indiano, con due green da 18 buche, The Links and The Legend

TERESA CARRUBBA

Gli appassionati di Golf lo sanno bene, Mauritius presenta alcuni tra i più bei percorsi di tutto l'emisfero meridionale. E al Constance Belle Mare Plage Golf Hotel, nel mezzo di una bellissima foresta, esiste dal 1994 uno dei campi più importanti dell'Oceano Indiano, con due green da 18 buche, The Links and The Legend. Tra i più prestigiosi, è vero, ma non l’unico di quel livello. Nell’isola ce ne sono infatti ben tredici, di cui sette a 18 buche e gli altri a 9 buche. Campi dalle caratteristiche più diverse, che sfruttano la variegata conformazione geografica e la prorompente natura dell'isola. Alcuni, cosiddetti “facili” si adattano ai principianti, come Le Coco Beach (Belle Mare) e lo Shandrani Resort (Blue Bay) di Beachcomber, altri sono sede durante l'anno di competizioni a livello internazionale. Ottimo il campo a 18

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buche presso Case Royale, nel sud-ovest, annesso all'Hotel Paradis, mentre nella struttura dell'Hotel Le Saint Géran si possono seguire stage e clinics presso la filiale dell'Accademia Leadbetter, da cui escono campioni di alto livello. Il campo, all'altezza della creatività del designer Player e delle bellezze naturali di Mauritius, presenta un percorso piuttosto difficile, per esperti, ombreggiato da palme e affacciato su squarci di oceano. Quindi, il verde di Mauritius non è solo quello dei rigogliosi palmeti, ma anche quello di fairway e green d'eccezione. Il tutto supportato da strutture ricettive di lusso per un turismo selezionato e da un clima favorevole dovuto ad una media di 300 giorni di sole all'anno. Tutto ciò fa di Mauritius una meta ambita dagli appassionati golfisti di tutto il mondo.


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Half Moon

TERESA CARRUBBA Il Caribbean World Magazine lo ha definito il miglior Golf Resort dei Caraibi, è uno dei favoriti dal grande golfista statunitense Jack Nicklaus e di premi ne ha ricevuti molti. Il campo di Half Moon, a Rose Hall si trova ai piedi delle colline giamaicane della costa occidentale. Progettato nel 1961 dall’architetto Robert Trent Jones, Half Moon è stato recentemente ridisegnato da Roger Rulewich che lo ha trasformato da 9 a 18 buche costruendo nuovi campi pratica, fairway, bunker, ostacoli d’acqua e di sabbia e nuovi tees di partenza. Un intervento di tutto rilievo che però ha assecondato la conformazione geologica del territorio e mantenuto nel suo complesso la linea del progetto originario pur utilizzando le più recenti tecnologie studiate negli anni per questo sport. Sebbene sia un campo impegnativo, l’Half Moon è ambìto da

giocatori di ogni livello, sia per lo scenario naturale sia per l’interessante sviluppo del tracciato. La buca 4 offre una spettacolare vista del mar dei Caraibi ma la buca più famosa e stimolante è la 3, un bellissimo par 5 dogleg di 510m. Tuttavia, considerando il vento abbastanza frequente da queste parti, i greens ondulati e i numerosi bunkers non solo intorno ai greens ma anche lungo il percorso, è consigliabile un gioco prudente. L’Half Moon è stata scelta come location ideale per ospitare importanti gare internazionali come il Jamaica open, la Dunhill Cup Finals of The Americas, e il torneo delle finali del National Match Play.

Spa Fern Tree del Resort Half Moon Il massaggio

per i golfisti viene effettuato usando palline da golf riscaldate

Per rilassarsi, la Spa Fern Tree del Resort Half Moon offre oltre 6.000 mq di spazi interni ed esterni, piscine, relaxation rooms, uno spa-café e un’ampia scelta di trattamenti e massaggi. Alcuni specifici come l’Up to par, il massaggio per golfisti che consente di rilassarsi dopo una partita distendendo la muscolatura o al contrario di rafforzare i muscoli per prepararsi all’esercizio prima del gioco. Il "massaggio per il golf" unisce una varietà di tecniche, che includono stretching passivo, massaggio ai tessuti e massaggio svedese. Il massaggio viene effettuato usando palline da golf riscaldate, che procurano una sensazione di benessere. I non golfisti, invece, oltre a godere delle spiagge bianche e del mare di Half Moon, possono praticare ogni tipo di attività: dal tennis agli sport d’acqua, dal fitness all’equitazione o allo yoga. EMOTIONS

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Nun Assisi Rela

nella zona

sulla Rocca Mag Esclusivo rela

dellĘźantic

per una c


UN RIFUGIO PER ANIMA E CORPO. TRANQUILLITÀ SENZA TEMPO. UNO SPAZIO IN CUI RITROVARE LA PROPRIA ARMONIA.

ais & Spa Museum si trova nel cuore spirituale di Assisi,

a più alta del centro storico, con una magnifica vista

ggiore e Minore e sulle morbide curve del Monte Subasio.

is a 5 stelle, è il risultato di una attenta ristrutturazione

co monastero di Santa Caterina, costruito nel 1275

comunità di donne seguenti la regola benedettina.

Le sue 18 suite si affacciano sulla vallata umbra in posizione dominante, a pochi passi dal centro della città di San Francesco, ma conservando un piacevole isolamento dalle vie più animate. Il rispetto per la storia di questo luogo antico ha fatto sì che durante i lavori di restauro venisse mantenuta nei dettagli la struttura medievale del monastero, concepito, secondo la regola benedettina, come “città umana” di individui. Nelle ampie stanze, tutte uniche, tra nicchie, affreschi, volte a botte, il comfort più tecnologico avvolge piacevolmente corpo e mente in una sensazione di elegante sobrietà formale, in totale sintonia con quella spirituale della pietra antica. I colori candidi e le consistenze diafane dellʼarredamento giocano in un dialogo fluido e ininterrotto tra la complicità del passato e la leggerezza di un design contemporaneo. EMOTIONS

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NUN SPA MUSEUM

EAT OUT – osteria gourmet L’Umbria è un luogo di antiche culture contadine, una terra rinomata per i suoi profumi forti, per la semplicità dei suoi piatti e per la genuina decisione dei suoi sapori. Il trovarsi nel cuore delle montagne dell’Appennino ha garantito ad Assisi, come a molte altre città umbre, quel parziale isolamento dalle grandi vie di comunicazione necessario a preservare le tradizioni e i ritmi di altri tempi. I prelibati piatti del nostro chêf Nicolas Bonifacio raccontano questa parte della storia umbra, rappresentando con i colori e gli aromi i contrasti che questo territorio conserva dentro di sé. Eat Out – osteria gourmet ha un ampia terrazza con una splendida vista su Assisi, sulla Rocca Maggiore e Minore in un ambiente semplice e leggero. Si tratta di un luogo con un’atmosfera unica, capace di riflettere tutto il fascino di una delle città più belle del mondo, attraverso un percorso fatto di gusto, colori, aromi.

Immerso in una cornice storica intima e suggestiva, il centro benessere di Nun si presenta come un vero e proprio museo privato che si offre agli ospiti in tutta la sua arcana bellezza. Durante i lavori di ristrutturazione del convento di Santa Caterina, che oggi ospita il relais, sono state rinvenute nel sottosuolo numerose testimonianze archeologiche che sono state sapientemente inglobate nel progetto architettonico del centro benessere. Questo ha dato vita ad un luogo unico al mondo: sei pilastri in calcare si specchiano nelle acque della piscina termale di Nun, in uno spazio magico e di grande potere evocativo. I pilastri, formati ognuno da dodici blocchi lavorati a bugnato e tenuti insieme da una sinergia di forza e equilibrio, svelano la presenza di un anfiteatro romano che sorgeva alle pendici del monte Subasio. Sempre dalla piscina si può ammirare un’antica scala in calcare rosa perfettamente lisciato e di notevole fattura, sulla quale sorge un podio rettangolare, opera di antiche maestranze romane del I secolo d.C., porta d’accesso ad un tempio dedicato alle acque. Connesse a questa struttura, due vasche in pietra calcarea modanata, il cui spessore, talmente esiguo da contenere appena un velo d’acqua, suggerisce l’antica sacralità di questi spazi. All’interno del percorso termale Nun, due magnifiche cisterne romane con volta a botte perfettamente conservate ospitano una sala massaggi e l’hammam del centro benessere. Sicuramente si può immaginare un collegamento tra questi luoghi e l’adiacente fonte Perlasio, la mitica sorgente di acqua curativa e miracolosa, famosa meta di pellegrinaggi in tempi remoti. Nun ha voluto restituire questi ambienti all’elemento acqua e al suo culto, al suo intimo dialogare con tutto ciò che ad esso si collega.

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Nun Assisi Relais & Spa Museum Via Eremo delle Carceri 1/A 06081 Assisi (Pg) – Italy Tel. +39 075 8155150 Fax +39 075 816580 reception@nunassisi.com www.nunassisi.com EMOTIONS

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Shangri-La Hotel Chiang Mai Candido e imponente, con quella patina inconfondibile di lusso che distingue tutte le proprietĂ del gruppo

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KALEIDOSCOPE

Camere e suite hanno la vista sulla città verdeggiante, sulle montagne e sui magnifici giardini con alberi di frangipane, aiuole di bambù e zenzero, laghetti avviluppati da fiori di loto e la più grande piscina della città

www.shangri-la.com/chiangmai/shangrila

Shangri-La Chiang Mai è strategicamente ubicato vicino al centro storico, distanziato quanto basta – ma facilmente raggiungibile a piedi - dalla zona

affollata dei mercati stradali, locali modaioli e flussi turistici. Le 277 camere

e suite hanno una vista sulla città verdeggiante, sulle montagne e sui magnifici giardini con alberi di frangipane, aiuole di bambù e zenzero, laghetti

avviluppati da fiori di loto e la più grande piscina della città. L’architettura degli esterni richiama la geometria dell’antico regno Lanna, con pinnacoli

dorati e tetti a più livelli, mentre negli interni spaziosi e luminosi,

predominano il legno, la seta e artefatti tradizionali che sono il frutto

di tecniche artigianali secolari. Le camere hanno bagni spaziosi con docce

e vasche e i tre piani superiori dell’edificio sono dedicati alle camere Horizon

Room Deluxe e Premier e alle Executive Suite. Di grande raffinatezza le suite Ananda, Lotus e Presidenziale con saloni, cucine e arredi di pregio. In stile

tradizionale, con un altissimo soffitto in tek e tavoli fuori nel giardino,

il ristorante Kad Kafé (kad in thailandese significa mercato) con un menu che

spazia tra specialità locali e internazionali. Superlative le specialità Szechuan, curate dallo chef cinese, nella China Kitchen dove il rosso fuoco predomina negli arredi e in tavola. A Chi The Spa at Shangri-La Hotel Chiang Mai,

discretamente celata nel verde, si entra in un mondo ovattato e dolcemente profumato, dove farsi coccolare in una delle nove splendide ville in stile

thailandese. Con trattamenti basati sui rituali antichi dei cinque elementi,

questo è un rifugio privilegiato e raccolto dove ristabilire l’equilibrio fisico

ed emozionale. pmf

EMOTIONS

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Shinta Mani Angkor Bensley Collection

Forme e colori Art Deco armoniosamente modellati che si fondono con forti richiami visivi ed emozionali alla storia epica del regno Khmer e ai dettami del benessere e del lusso. Shinta Mani Bensley Collection, l’ultima creazione a Siem Reap del fantasioso designer americano Bill Bensley, esprime nuovi livelli di raffinatezza e ricercatezza con spazi generosi e raccolti nel cuore della città, poco lontano dai magnifici templi di Angkor Wat. Sono dieci le ville a due piani, tutte architettonicamente simili e una

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APRILE - MAGGIO

Nuovi livelli di raffinatezza e ricercatezza con spazi generosi e raccolti nel cuore della città

con una zona piscina molto più ampia. Entrando dalla porta, che si apre con un grande lucchetto come quelli di una volta, si entra nel patio bianco e nero con la piscina lunga nove metri e la scala che sale al livello superiore. Colpisce la sontuosità del letto e, sulla parete che prosegue dalla piscina, il bassorilievo bianco latte smisurato che rappresenta le pieghe fluttuanti della tunica del grande Re Jayavarman, colui che ha costruito Angkor Wat. Il bagno grande si propaga nel giardino tropicale con una poderosa


KALEIDOSCOPE

www.shintamani.com/angkor-bensley-collection/ vasca di pietra e una doccia esterna, mentre accanto si entra nella spaziosa cabina armadio. Al livello superiore, incorniciato da fiori di bougainvillea, un daybed dove oziare e, per i più romantici, sognare sotto le stelle. A presidiare su tutto, i maggiordomi Shinta Mani. Discreti e sorridenti, questi angeli guardiani terrestri hanno una conoscenza enciclopedica della città e, dall’accoglienza in aeroporto agli spostamenti in città su tuk-tuk dedicati, anticipano ogni desiderio e necessità.

Petali di rosa in piscina? Un Martini molto dry? Un barbecue in terrazza? Rifare la valigia? Ci pensa il maggiordomo. Ci si ritrova a tavola nel Kroya Restaurant allo Shinta Mani Angkor, al Baitong Restaurant nello Shinta Mani Shack, e al nuovo Elephant Polo Club – con un menu di eccellenze di carni e vini pregiati - che si trovano tutti sulla stessa strada. E per il benessere della mente e del corpo c’è la fragrante Shinta Mani Spa con trattamenti ristorativi e rasserenanti. pmf EMOTIONS

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L I B R I

Lavinia Oddi Baglioni

Ricordi nella nebbia Editore Il Formichiere

recensione a cura di Luisa Chiumenti

Nella Collana dal titolo Testimonianze & memorie, l’editore Il Formichiere ha pubblicato (2017), un libro molto accattivante, che stimola nel lettore i ricordi propri, sulla traccia di quelli dell’autrice, Lavinia Oddi Baglioni, che spesso sembrano stranamente coincidere o comunque avere un comune afflato di sentimenti familiari preziosi. «Ricordare per non dimenticare [...] quelli che mi seguiranno devono sapere che solo delle radici profonde fanno crescere un albero sicuro e robusto [...]»: queste le parole dell’autrice, che già in opere precedenti si è sempre occupata del delicato pulsare dell’animo, soprattutto femminile, in balìa degli eventi e dello sviluppo imprevedibile della vita. Come è stato sottolineato, il libro può essere incluso nel genere di “Libri di famiglia” o “Libri di ricordanze” già presenti nella letteratura medievale, ma qui c’è qualcosa di più di una semplice indagine antropologica o sociologica, piuttosto uno stimolo verso un’attenta e appassionata valorizzazione delle proprie radici, sia pure al di là della cerchia parentale, ma proprio nello scambio quotidiano con i semplici gesti e i piccoli eventi che coinvolgono il singolo, con la collettività di cui ha fatto e continua a far parte nel tempo.

E M O T I O N S

Ezio Flammia

Storia dell’arte della cartapesta

Cosa e come è stato costruito con la cartapesta nel corso dei secoli.

Dino Audino editore

recensione a cura di Luisa Chiumenti

Il libro, dal linguaggio discorsivo e piacevole, fa entrare, sempre con un riferimento immediato alla realtà, nello spirito vero di questo materiale che può avere caratteristiche di durezza, ma purtroppo è fragile e non è quindi destinato a durare nei secoli. Dalla doppia esperienza dell’ autore quale studioso sì, ma anche esperto “maestro della cartapesta” (sue opere fanno parte delle collezioni di grandi musei), restauratore di importanti lavori di cartapesta e scenografo (per ben 22 opere teatrali e allestimenti di varietà per Rai Rete 2), scaturisce l’originalità del lavoro di Ezio Flammia che lo portò a ricevere, nel 1996, il premio internazionale della Camera dei Deputati. Il libro ha anche un alto valore documentario, in quanto narra ampiamente l’arte della cartapesta dalle prime esperienze nelle botteghe toscane del ‘400, fino all’arte moderna, esaminando, con grande passione e competenza, sia opere di grandi artisti (basti pensare a Jacopo della Quercia o Bernini o l’Algardi), ma anche la grande produzione che va dalle arti applicate, alle suppellettili, ai giocattoli, all’effimero e al teatro.




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