Emotions magazine rivista viaggi e turismo ottobre novembre 2018 anno8 n31

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SOMMARIO

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LA MIA AFRICA

VIAGGIO IN ETIOPIA DEL NORD

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BALI: OLTRE I CONFINI DELLA MATERIA

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MAROCCO: UN ITINERARIO MAGICO NEL GRANDE SUD

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PHILADELPHIA: UNA CITTÀ DAI TANTI PRIMATI TUTTA DA VIVERE

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SOMMARIO

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PHILADELPHIA

la città a metà strada tra New York e Washington

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Photo by Teresa Carrubba

Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Creazione logo Ilenia Cairo Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com

YANGON: CUSTODE DEL PASSATO

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LITUANIA: IL CASTELLO TRAKAI

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ITALIA: TOSCANA WINE ARCHITECTURE QUANDO L’ARTE ENTRA IN CANTINA

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ITALIA: MONTAGNANA DOVE LA BELLEZZA SPOSA IL GUSTO

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Lituania: la magia di un castello da fiaba vicino alla capitale Vilnius

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Fotografi Anna Alberghina Francesco Castagna Teresa Carrubba Federica Pagliarone Paolo Ponga Lorenzo Zelaschi

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Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com

KALEIDOSCOPE Vietnam: The Anam

Cura rivista online Idea Art&More web@emotionsmagazine.com

Yangon Excelsior Hotel

Myanmar: Sanctum Inle Resort

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LIBRIEMOTIONS

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DICEMBRE

Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Vittorina Fellin Pamela McCourt Francescone Mariella Morosi Federica Pagliarone Paolo Ponga Lorenzo Zelaschi redazione@emotionsmagazine.com

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Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00185 Roma Tel e Fax 068417855 Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.



Boccioli di rosa damascena, Marocco photo by Anna Alberghina


S C R I V I A M O

A R T I C O L I

P E R

S U S C I T A R E

E M O Z I O N I

TERESA CARRUBBA EDITORE DIRETTORE RESPONSABILE

La fine dell’estate non porta via il desiderio di viaggiare. Anzi, è proprio questo il momento di chi guarda a destinazioni fuori dalle rotte turistiche tout court, alla lusinga dell’avventura e della sfida. E anche laddove la meta fosse nota ai più, trovare l’angolatura insolita, la chicca culturale, naturale od emotiva, ne fa un’occasione unica e diversa. Attraversare l’Acrocoro dell’Etiopia e imbattersi in una processione di umili mercanti che, silenti nella loro mestizia, affrontano un percorso impervio per vendere bestiame e granaglie, è un’esperienza irripetibile. Così come visitare il suo centro spirituale, Lalibela, considerato il più grande complesso di chiese rupestri e sotterranee. Visitare Bali, ben nota isola indonesiana, con l’occhio più alla spiritualità e all’astrazione poetica che alle attrazioni turistiche, è un privilegio di chi si porge al mondo con altre affinità rendendo il viaggio un’intima comunicazione. Raggiungere Yangon in Myanmar e andare a scovare realtà singolari che nessuna guida turistica potrebbe annoverare, è una prerogativa del vero viaggiatore. Una vecchia fabbrica di vetro devastata nel 2008 dal ciclone Nargis, mostra ancora “vetri colorati incrinati, spaccati e ridotti in frantumi, testimoni silenziosi e struggenti di anni di duro lavoro e sacrificio” In questo numero di Emotions, U Thein Zaw, titolare della vecchia fabbrica, ci parla degli anni d’oro e del sogno infranto come quei fragili vetri.

tcarrubba@emotionsmagazine.com


LA MIA

TERESA C


Viaggio in Etiopia del Nord

AFRICA

CARRUBBA

Photos by Teresa Carrubba


LA MIA AFRICA

DALLA PITTORESCA PROCESSIONE DEI VENDITORI AMBULANTI P E R I L M E R C AT O S E T T I M A N A L E A L M I S T I C I S M O D I L A L I B E L A E LE SUE UNDICI CHIESE SOTTERRANEE Mal d’Africa. Nostalgia di un mondo dimenticato, dove la scala delle priorità ha ben pochi gradini. Dove ci s’incanta, con gli occhi pieni di stupore, ammirazione e tristezza, di fronte alla commovente processione di persone che si spostano da un mercato all’altro scendendo dalla montagna in un percorso accidentato, con pecore, asini, povere mercanzie e granaglie spesso trasportate da donne, in ceste sulla testa. Se non fosse uno scenario che stringe il cuore, ci sarebbe da ammirare la fierezza di uomini anziani che affrontano una fatica sedimentata negli anni, tenendo a bada la loro capretta che con ogni probabilità cercheranno di vendere per sopravvivere. E la notoria bellezza delle donne etiopi dai coloratissimi abiti che portano con sé scialli di cotone lavorati al telaio o tonde ceste di paglia intrecciata in cui trasportano giganti sfoglie sovrapposte di ingera, pane etiopico ottenuto dalla fermentazione di un cereale locale, il teff.

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Una sorta di piadina dal gusto acidulo. Abbiamo incrociato una di queste processioni nei pressi di Bahar Dar, lungo la salita impervia necessaria per raggiungere Tississat, la spettacolare Cascata del Nilo Azzurro. Durante la salita, per noi più aspra che per gli avvezzi etiopi, il sole è impietoso, le leggere folate di vento alzano la sottile polvere e mescolano gli odori pungenti della frutta e delle erbe trasportate. E di ben altra merce, che qui in Etiopia si è diffusa rapidamente, il qat, una speciale erba venduta in mazzetti più o meno grandi. Masticate a lungo, le foglioline fanno sparire la fame e la fatica e regalano un senso d'euforia, una via di fuga dai tanti problemi. In cima alla salita, annunciata dal fragore dell’acqua nel totale silenzio, la magnifica Cascata del Nilo che precipita per 50 metri in una gola suggestiva alla fine di una parete di basalto, tufo e ossidiana. Il sole violento rifrange luce sull’acqua nebulizzata creando spettacolari arcobaleni nell'aria tersa d'alta quota.


Viaggio in Etiopia del Nord


LA MIA AFRICA

L’effetto sorpresa è garantito in quest’oasi idilliaca che, ci hanno assicurato, a settembre si ricopre di coloratissimi fiori. Tutt’altro contesto a Gondar, considerata una delle città più interessanti dell’Etiopia, dal passato glorioso, che mantiene la maestosità del periodo degli imperatori (‘600 e ‘700) attraverso i castelli, come quello spettacolare di Fasiladàs con le sue imponenti torri, e quello di Iasù I, a pianta rettangolare. E alcune superstiti delle sue 44 chiese antiche, tra cui, davvero singolare, quella di Debre Berhàn Selassiè con un superbo soffitto interamente dipinto a teste di “serafini”.Ma la chicca dell’acrocoro dell’Etiopia, e forse di tutto il Paese, è Lalibela, a un'altitudine tra i 2500 e i 3000 metri dichiarata dall’Unesco Patrimonio dell’Umanità. Ci si arriva attraverso una lunga strada costruita dai cinesi che costeggia villaggi e vallate e poi per strade sterrate di montagna che seguono il percorso del fiume Takazzè. I mille villaggi con le case costruite con tralicci di legno, fango e paglia, talvolta in pietra

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nelle zone montane, sono la vera immagine di quest’area la cui vita quotidiana gravita intorno al mercato, alla chiesa e al bunna-bet, il caffè, punto d’incontro locale. Un continuo viavai di persone, di carretti, di animali. Bambini e ragazzi che vanno a scuola con le loro divise colorate, uomini che trascinano fagotti o camminano appoggiando i polsi su un leggero bastone posto sulle spalle, giovani donne vestite all’europea e ben curate. Lungo la strada capita di incrociare un nutrito gruppo di persone meste con vesti bianche, che seguono un funerale o, in aperta campagna, all’ombra di un’immensa acacia, un assembramento di uomini tutti in piedi attorno all’albero intenti a discutere di qualcosa d’interesse comune per il villaggio. Da lontano non si vede, Lalibela. Il luogo santo della città si apre quasi all'improvviso nella roccia su cui si cammina. Per primi si scorgono i tetti separati da profondi cunicoli che girano tutt'intorno ai templi, trasformandosi in cortili, passaggi, portici.

In alto: Secondo il rito copto si rende omaggio alla croce che il monaco mostra ai fedeli. A destra: Il complesso sacro con le chiese rupestri di Lalibela, edifici monumentali scavati nella roccia.


Viaggio in Etiopia del Nord

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Viaggio in Etiopia del Nord

IN CIMA ALLA SALITA, ANNUNCIATA DAL FRAGORE DELL’ACQUA NEL TOTALE SILENZIO, LA MAGNIFICA CASCATA DEL NILO CHE PRECIPITA PER 50 METRI IN UNA GOLA SUGGESTIVA ALLA FINE DI UNA PARETE DI BASALTO, TUFO E OSSIDIANA Dopo la presa di Gerusalemme da parte del Saladino, per favorire i pellegrinaggi ormai impraticabili in Terra Santa, il re Lalibela decise di fondare qui una seconda Gerusalemme, a Roha, che divenne centro di attrazione per tutta l’Etiopia. Chiamò centinaia di architetti, scalpellini e manovali. Svuotarono giganteschi monoliti creando all’interno la struttura di una chiesa. Undici copie di altrettanti luoghi santi, che costituiscono il più interessante complesso di chiese rupestri del mondo. Chilometri di cunicoli collegano le sue diverse unità attraverso cripte e spelonche nella cui apertura c’è sempre un monaco rannicchiato sul suo libro di preghiera. Sorgenti sotterranee alimentano grandi vasche limacciose per le immersioni rituali. Attraverso lunghe scale di gradini stretti, gremite di fedeli, inizia una discesa nella Lalibela sotterranea dove la fede è fatta di gesti elementari, che uniscono i misteri del Cristianesimo con l'anima africana. C'è

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chi all’ingresso di ogni chiesa si prostra a terra e bacia la pietra che per questo diventa scivolosa. Poi rende omaggio alla croce che il monaco ogni volta tiene in mano per mostrarla ai fedeli. Una diversa dall’altra, le croci copte sono un prezioso amalgama di misticismo e arte orafa per via della perfetta realizzazione che le rende anche appetibili come acquisto per la memoria del viaggio. Le chiese sono ancora suddivise in tre settori, quello centrale è il sancta sanctorum, dove possono entrare solo i sacerdoti e che è chiusa alla vista del pubblico. Il secondo è riservato alla celebrazione della messa cui prendono parte i diaconi, mentre il terzo è aperto ai fedeli che intendono comunicarsi, cioè che sono puri. La maggior parte della gente resta fuori, nel cortile o nel giardino della chiesa, che è sempre la parte più affollata in quanto la tradizione copta è molto esigente sullo stato di purezza necessario per entrare in chiesa.


LA MIA AFRICA

Sopra: Tississat, la spettacolare Cascata del Nilo Azzurro a circa 30km dalla cittadina Bahar Dar.

Etiopia a tavola

I cibi hanno come base del condimento una polvere chiamata berberè ottenuta da un miscuglio di peperoncini rossi, spezie e aromi triturati ed essiccati. C’è tutta un’arte e una cultura del mangiare: ci si siede tutti insieme attorno ad un grande vassoio di paglia tondo su cui è stata adagiata una sfoglia di ingera, il pane etiopico ottenuto dalla fermentazione del teff, tipico cereale locale. Sull’ingera vengono posti mucchietti di pietanze diverse che si portano alla bocca con le mani avvolgendole in un lembo della sottile sfoglia. Rituale tipico durante il pasto è quello di preparare un boccone e portarlo con le proprie mani alla bocca dell’ospite di riguardo o di una persona cara. Le pietanze sono di vario tipo e con cottura assai elaborata. La carne di bovino, pecora o capretto è quasi sempre presente, ma c’è anche tutta una serie di piatti vegetariani perché la religione copta prescrive numerosi giorni nei quali si possono mangiare solo verdure. Scirò, un purè di farina di ceci, alliccià, una sorta di ratatouille di verdure non piccante, con zenzero, tanto per fare un esempio di piatti sfiziosi. Insieme a questi cibi si può bere il tej, bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del miele e che, sebbene dolce, ben si accompagna al cibo piccante e speziato. Esiste anche una birra di produzione artigianale chiamata tella e basata sulla fermentazione dell’orzo e l’arakè, distillato di cereali ad alta gradazione alcolica. In Etiopia, il rito del caffè ha quasi un aspetto simbolico dell’ospitalità. Si accende il fornelletto a carbone, si lavano i chicchi verdi, li si tosta sul fuoco, li si macina in un pestello, si fa odorare la polvere agli ospiti, la si versa nel bricco di terracotta in cui l’acqua nel frattempo è giunta ad ebollizione, si attende, si serve il caffè aromatizzato con alcune erbe…e nel frattempo si brucia l’incenso che impregna l’ambiente di un aroma quasi mistico.

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IL RITO DEL CAFFÈ HA Q

SI LAVANO I CHICCHI VERDI, LA SI VERSA NEL

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QUASI UN ASPETTO SIMBOLICO DELL’OSPITALITÀ. SI ACCENDE IL FORNELLETTO A CARBONE,

, LI SI TOSTA SUL FUOCO, LI SI MACINA IN UN PESTELLO, SI FA ODORARE LA POLVERE AGLI OSPITI,

BRICCO DI TERRACOTTA IN CUI L’ACQUA NEL FRATTEMPO È GIUNTA AD EBOLLIZIONE,

SI ATTENDE, SI SERVE IL CAFFÈ AROMATIZZATO CON ALCUNE ERBE ....

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Photos by Lorenzo Zelaschi

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Donna nepalese, seduta sull’uscio di casa, nella zona periferica della città di Sauraha

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Ci sono luoghi sulla Terra in cui la linea di confine tra materiale e immateriale è impermanente

come la traccia di un natante che imprime il suo passaggio sul corpo fluido dell’acqua; per qualche istante, quella linea fatta di spruzzi e ribollire perdura, il momento successivo è già tutto rimescolato e tornato alla Sacra-Infinita-Unità-Oceanica. Uno di questi luoghi è l’isola di Bali, in Indonesia.

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Qui la dimensione dello Spirito si fa strada nella vita di tutti i giorni - lentamente e silenziosamente - come la marea che al calar della sera cresce, condotta dai delicati impulsi gravitazionali della Luna, invadendo le coscienze dei viventi sulle terre emerse; è così che in questi luoghi la spiritualità cavalca le onde dei mari metafisici con la naturalezza di un surfista esperto. Ma discendiamo un po’ più nella concretezza di alcune informazioni: Bali è una delle tante isole dell’Indonesia nonché la più importante delle mete turistiche di questo stato incantatore - e fa parte dell’arcipelago delle Piccole Isole della Sonda, separata perciò da Giava dall’omonimo stretto, lo Stretto di Bali. Lo stato dell’Indonesia abbraccia molti culti differenti: OTTOBRE - NOVEMBRE

l’Islam moderno e quello più tradizionale, il protestantesimo, il cattolicesimo, l’induismo e il buddismo; tuttavia, le sacche induiste rappresentano solo il tre per cento della popolazione, e a Bali è praticato ciò che viene chiamato l’induismo balinese. L'indonesiano e il balinese sono gli idiomi utilizzati dappertutto, oltre all'inglese che è la prima lingua straniera praticata. E’ interessante notare come alcune parole della lingua indonesiana somiglino straordinariamente all’italiano, come per esempio la parola kertas, che significa, carta. Fino agli anni Settanta l'economia dell'isola era soprattutto basata sull'agricoltura; solo in seguito Bali è entrata in contatto con il turismo. Ad oggi, e malgrado ciò, la maggioranza della popolazione lavora


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nel settore agricolo, producendo principalmente riso, ma anche verdura, frutta, caffè, cacao, tè, tabacco, caucciù, e spezie; anche la pesca è un'attività importante, praticata in molti luoghi. In alcuni scorci di panorama, vicino alle risaie, il verde spinge il suo colore come una fiamma, che irrora, nutre e sostiene ogni essere vivente; divampa nei nostri cuori come un incendio amichevole, e reca nei nuclei danzanti delle sue vampe promesse per la rinascita. E’ altresì possibile trovare, soprattutto nella costa nord e sulle spiagge non adibite al turismo i raccoglitori di sale; la loro metodica è molto semplice da ciò che ho avuto modo di osservare: su rettangoli di terreno di dimensioni variabili, gettano - ora dopo ora e giorno dopo giorno - acqua marina. Così, durante i lunghi giorni, scanditi dai raggi elettromagnetici del sole - tamburellanti sulla superficie della sabbia bagnata - a poco a poco l’acqua evapora, lasciando dopo il suo passaggio il sale, che verrà raccolto e stipato in piccoli contenitori, realizzati con foglie essiccate e intrecciate. EMOTIONS

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Vicino alle risaie, il verde spinge il suo colore

come una fiamma, che irrora, nutre e sostiene ogni essere vivente; divampa nei nostri cuori

come un incendio amichevole, e reca nei nuclei

danzanti delle sue vampe promesse per la rinascita

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Parlando dell’isola dal punto di vista del turismo, bisogna dire che le zone più battute sono sicuramente le città di Kuta, Denpasar, Seminyak, Sanur, Jimbaran e Nusa Dua. La città di Kuta - denominata da alcuni la Ibiza orientale - è una delle mete più ambite dai surfisti; mentre la piccola Ubud, situata al centro dell'isola, circondata - se si esce dal nucleo cittadino - da un panorama bucolico, costituito da foreste, risaie, e meravigliose stradine che si srotolano come lingue di camaleonte in mezzo a tutto ciò, ideali per essere percorse in bicicletta oppure in scooter. L’estremo sud dell’isola, chiamato Bukit, è la zona caratterizzata dal clima più arido, ma proprio in quei luoghi si trovano le spiagge più belle di tutta Bali: paradisi dalle acque pure come cristalli di Murano e sulla cui sabbia un artigiano supremo ha incastonato frammenti di corallo e conchiglie. Ma non tutte le spiagge di questa zona sono adatte alla quiete e alla contemplazione delle straordinarie creazioni naturali; esistono luoghi, dove le onde planano sulla superficie dell’oceano con tremenda forza e incomparabile grazia, e la spuma dell’acqua percuote gli scogli, inneggiando i surfisti più audaci. Il nord dell’isola è invece indicato per chi desidera trovare oasi di pace e semplicità e praticare snorkeling, oppure scuba dive, perché offre fondali marini e varietà di pesci e animali tra i più belli e ricchi al mondo; come le tartarughe marine, presenze centenarie dall’autorevole dolcezza, fluttuanti negli abissi. Quando accenno alla spiritualità di questa terra e alla sua forte presenza nella vita quotidiana, parlo della fusione tra il mondo della materia - che gli occhi di tutti

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noi vedono e contemplano ogni giorno - e la realtà ultrasensibile che, diversamente, risulta essere velata dai nostri sensi, e plasmata invece dalle misteriose forze che generano i benevoli decreti del mondo; come il karma e il dharma nelle religioni e filosofie induiste (o generatesi dall’induismo), per esempio. Nelle tradizioni di questi luoghi esiste l'usanza di compiere riti per la purificazione dell'energia negativa, generatasi in seguito ad un incidente stradale. Oppure, durante la prima domenica di ogni mese, si praticano cerimonie che coinvolgono interi villaggi, con l’obiettivo di elevare lo stato vitale della popolazione del luogo dove viene svolta la pratica. Per fare un altro esempio descrivente questi concetti, parliamo dei loro funerali: ad uno di questi sono stato, e l’atmosfera intrisa di sacralità si mescolava con la comicità più divertente. Immaginate di assistere a sketch comici, degni di Zelig o Cabaret, il cui fine è proprio la catarsi dell’energia negativa che il defunto ha accumulato durante la vita, permettendo così al suo spirito di iniziare a solcare i mari spirituali senza la stiva stracarica di cimeli obsoleti, che si rivelerebbero certamente zavorre in vista dell’importante viaggio in cui si è appena imbarcata la sua anima. Mano a mano che gli anni della storia trascorrono, cadendo come granelli di sabbia nella clessidra del tempo, le carte del mondo occidentale e di quello orientale si stanno rimescolando sempre più; eppure, nell’anno corrente - il 2018 - la grande differenza tra queste due parti del globo è data proprio dalla diversa familiarità col mondo che non possiamo vedere con gli occhi fisici.

Sopra: Due momenti del Rito di Purificazione dall’energia negativa .


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MAROCCO I T I N E RA R I O M A G I C O NEL GRANDE

SUD ANNA ALBERGHINA

Cammelli nell'Erg Chegaga


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Photos by Anna Alberghina


MAROCCO

In basso: cammelliere nell'Erg Chebbi.

Non scartate questa destinazione pensando che si tratti di una meta del turismo di massa, troppo facilmente raggiungibile, troppo scontata. In realtà questo Paese ha moltissimo da offrire e vi stupirà per la sua varietà di paesaggi, architetture e stili di vita. Se poi deciderete di visitare il Sud, sarà l'inizio di una vera avventura, UN AUTENTICO VIAGGIO NEL VIAGGIO Il Sud segna un confine all'interno del Paese. E' l'inizio di un territorio secco, arido, puro, fatto di canyon rocciosi, oasi che sembrano miraggi, dune sabbiose dove ritroverete le condizioni di vita estreme di popoli ancora lontani dalla civiltà occidentale. Lasciata alle spalle l'intramontabile Marrakech, vi inerpicherete sui contrafforti dell'Atlante, per ritrovarvi ben presto circondati da montagne di roccia rossa in mezzo a cui si mimetizzano le sagome degli antichi ksar, dall'arabo “qsar”, che significa villaggio fortificato. La Valle del Draa, conosciuta come la “valle delle mille kasbah”, è un alternarsi di castelli di terra, case fortezza, villaggi cinti di mura merlate e oasi rigogliose che spezzano la monocromia del paesaggio. Queste antiche cittadelle in terra cruda, cinte da mura, custodiscono al loro interno case, botteghe, granai e, soprattutto, il castello del signorotto locale, la kasbah. Costruite in cima a una collina,

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permettevano di dominare la valle e avvistare eventuali nemici. La “kasbah” o fortezza era, dunque, la dimora patriarcale dei “caid” berberi, gli amministratori locali che vi risiedevano tra una guerra e l'altra. Taourit, la kasbah di Ouarzazate, si mostra come era un tempo, con il suo tetto in bambù, cedro e foglie di palma, le piccole moschee, la sala di rappresentanza affacciata sulla via principale, l'hammam, la stanza delle concubine, quella della moglie preferita e gli alloggi degli schiavi.

In alto a destra: la kasbah di Ait Ben Haddou. A fianco da sinistra: Ait Ben Haddou e kasbah Amridil.


ITINERARIO MAGICO NEL GRANDE SUD

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MAROCCO In questa pagina sopra: venditori di acqua in piazza Djema El Fna, Marrakech. Sotto: suonatore di liuto a Marrakech. Nell’altra pagina sopra: uomo berbero Sotto: musicisti Gnaoua in piazza Djema El Fna, Marrakech.

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ITINERARIO MAGICO NEL GRANDE SUD

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MAROCCO NON POTRETE DI CERTO RESISTERE AL RICHIAMO DEL DESERTO, QUELLO VERO. A UNA CINQUANTINA DI KM DA M'HAMID NELL'ERG CHEGAGA, LE DUNE SI ESTENDONO SU DI UN FRONTE DI PIÙ DI 40 KM Ouarzazate, famosa per gli studi cinematografici, una specie di Hollywood del deserto, è il punto di partenza ideale per spingersi nelle gole del Todra, un profondo canyon scavato dal fiume nella roccia calcarea. Lungo il tragitto vale la pena di visitare lo ksar di Ait Ben Haddou, lungo il corso del fiume Ounila, che, fra tutti, è il più spettacolare. Tappa obbligata per le carovane dirette verso il Sahara, è riuscito a preservare la sua struttura architettonica originale, risalente all'XI secolo, ed è nell'elenco dei Siti Patrimonio dell'Umanità dal

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1987. Sulle sue torri, traforate da archi e scavate da nicchie a motivi romboidali, nidificano ancora oggi le cicogne. In questa ambientazione così suggestiva sono stati girati numerosissimi film: Lawrence d'Arabia, Gesù di Nazareth, il gioiello del Nilo, il tè nel deserto, il gladiatore, Alexander, Kundun e molti altri ancora. Procedendo verso sud, le montagne lasciano ben presto il posto a vasti palmeti. Tra i più affascinanti sono quelli di Skoura e quello di Zagorà. A Zagorà un famoso cartello annuncia: 52 giorni di cammello per Timbouctou.

In questa pagina in alto: le dune del deserto dell'Erg Chegaga


ITINERARIO MAGICO NEL GRANDE SUD

In alto: madre con bambina di Marrakech.

A fianco: le caratteristiche babbucce in pelle di Marrakech.

In realtà, la città moderna non offre alcuna suggestione esotica ma, a pochi chilometri, l'antica cittadella Almoravide del XIII secolo pullula di vita ed inoltrandosi nel labirinto di vicoli bui si respira l'aria del passato. Un piccolo museo permette di ammirare gli antichi arredi, gli abiti e le suppellettili ma soprattutto di affacciarsi sull'inquietante stanza del parto. Infine, non potrete di certo resistere al richiamo del deserto, quello vero. Vi spingerete nel cuore dell'Erg Chebbi, lungo 13 km e largo 5, dove, su di un suolo lunare, si disegnano le dune giganti di Merzouga, a perdita d'occhio, in fondo alle quali di intravede il confine con l'Algeria. All'alba e al tramonto, i giochi di luci e ombre tingono la sabbia di sfumature

rosse dalle infinite gradazioni di colore. A una cinquantina di km da M'Hamid, invece, nell'Erg Chegaga, le dune si estendono su di un fronte di più di 40 km. Raggiungerete il vostro accampamento al tramonto, in jeep o magari a dorso di cammello, e verrete accolti da un dolcissimo tè alla menta. La tavola imbandita vi attenderà per deliziarvi con i sapori genuini di un autentico menù berbero: zuppa insaporita con erbe aromatiche e tajine di montone, prugne e frutta secca. Nel silenzio della notte, alla luce delle stelle, apprezzerete appieno il fascino magnetico di questa terra magica.

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MAROCCO


ITINERARIO MAGICO NEL GRANDE SUD

LA VALLE DEL DRAA, CONOSCIUTA COME LA “VALLE DELLE MILLE KASBAH”, È UN ALTERNARSI DI CASTELLI DI TERRA, CASE FORTEZZA, VILLAGGI CINTI DI MURA MERLATE E OASI RIGOGLIOSE CHE SPEZZANO LA MONOCROMIA DEL PAESAGGIO

Kasbah Tamdaght

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A METÀ STRADA TRA NEW YORK E WASHINGTON, “CITTÀ DELL'AMORE FRATERNO”, COME LA DEFINÌ IL SUO FONDATORE QUACCHERO WILLIAM PENN, È STATA LA PRIMA CITTÀ DEGLI USA AD ENTRARE NELL’ELENCO DELL’UNESCO COME PATRIMONIO DELL’UMANITÀ

Photos by Federica Pagliarone e Archivio

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Philadelphia

Sono due i volti di quest'accogliente metropoli: una parte moderna, dove i grattacieli di vetro con insegne al neon svettano sul fiume Schuylkill, e una zona più antica costituita da casette di mattoni rossi, strade poco trafficate e giardini curati Vi basterà passeggiare per le strade del centro, entrare nei suoi musei o visitare la parte più antica per cogliere il suo ricco valore storico, culturale ed artistico. Universalmente nota come la culla della democrazia americana, Philadelphia è una città ricca di storia, ma anche di idee moderne e tecnologie all'avanguardia. Seconda città per grandezza della East Coast e sesta degli USA, nonostante i suoi 5,8 milioni di abitanti offre la modernità di una grande metropoli pur rimanendo a misura d’uomo, perfettamente visitabile a piedi e con il fascino di un piccolo centro urbano. Sono due i volti di quest'accogliente metropoli denominata Philly dai suoi abitanti: una parte moderna, dove i grattacieli di vetro con insegne al neon svettano sul fiume Schuylkill, che attraversa la città, e una zona più antica costituita da casette di mattoni rossi a due piani, strade poco trafficate e giardini curati tra il fiume Delaware e l’Indipendence National Historical Park, il luogo dove si è fatta l’America, che ospita anche l'Indipendence Hall. Il centro cittadino, che si estende su 25 isolati, è facile da visitare, grazie alla planimetria ad angolo retto.

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Se siete amanti della storia, ricordatevi che è proprio nell'area della Old City che vennero discussi e approvati la dichiarazione d’indipendenza e la costituzione. Qui trovate il Liberty Bell Center (simbolo della libertà nazionale), la President’s House, la prima casa bianca degli Stati Uniti che ospitò il presidente americano George Washington, il National Constitution Center (l'unico museo dedicato alla costituzione degli Stati Uniti d’America), e il Franklin Court, il museo su Benjamin Franklin. Una curiosità: Philadelphia dal punto di vista tecnologico è un esempio virtuoso da imitare, infatti, oltre ad essere uno dei 10 maggiori porti della costa del Nord Atlantico, è sede di quasi 500 aziende straniere e si trova al sesto posto per le attività nel settore dell’alta tecnologia. Philly inoltre è una città interamente wireless con connessione accessibile e gratuita anche nei parchi! Numerosi i ristoranti, i locali, i parchi, i musei e le gallerie d’arte, come l’Accademia di scienze naturali e il Philadelphia Museum of Art, uno dei più grandi d’America con una collezione che ripercorre quasi 2mila anni di storia dell’arte. Sullo stesso viale alberato, la Franklin Parkway, si trova anche la Fondazione Barnes, che ospita la più grande collezione privata dei primi dipinti moderni e post impressionisti francesi del mondo. Poco distante, al Museo Rodin trovate la più grande raccolta di opere di Auguste Rodin dopo quella di Parigi.

In questa pagina da sinistra: La scultura Amor davanti alla Cattedrale di San Pietro e Paolo e uno dei locali storici della città Geno's Steaks. Pagina a destra in basso: vista sulla città all'esclusivo Assembly Rooftop Lounge.


La modernitĂ di una grande metropoli ma con il fascino di un piccolo centro urbano


Culla della democrazia americana è ricca di storia, arte, cultura e tecnologie all'avanguardia


Philadelphia A sinistra in alto: Independence Hall dove fu ratificata la dichiarazione di indipendenza.

In basso: Un Murales nel pittoresco quartiere sulla nona strada.

Il viale termina nel parco dove è esposta la famosa scultura “LOVE” di Robert Indiana, simbolo del messaggio della città di Philadelphia. Se siete da quelle parti, consigliamo un aperitivo panoramico con vista sulla città all'esclusivo Assembly Rooftop Lounge. Ricordatevi inoltre che l’area di Philadelphia ospita più di 100 compagnie teatrali, il che la rende molto viva anche dal punto di vista culturale e artistico. Se avete del tempo a disposizione, visitate l’Eastern State Penitentiary, il carcere risalente al 1829 che ospitò tanti malavitosi e il Reading Terminal Market, lo storico e affollatissimo mercato ricavato dalla vecchia stazione ferroviaria, in pieno centro. Pittoresco il quartiere sulla nona strada. Qui sorge l'Italian Market, il mercato all’aperto più vecchio degli Stati Uniti, che accoglie bancarelle di pescatori, fruttivendoli, casari e macellai del posto, oltre a tanti murales che raffigurano personaggi italoamericani (ad es. Di Bruno Bros). Sempre in questa parte della città, South street è la strada più vivace con i suoi pub, i ristoranti e i locali che offrono buona musica e spettacoli. Ugualmente caratteristica la zona di Chinatown che, oltre ad essere la sede della prima autentica porta cinese costruita in America, vanta strade brulicanti di ristoranti e negozi. Non solo, ma per chi non lo sapesse, la regione di Philadelphia è il secondo maggior centro di ricerca ed educazione nel settore medico scientifico degli USA. E’ inoltre sede di 6 tra le maggiori 10 aziende farmaceutiche e del più famoso ospedale per bambini degli USA (CHOP Children Hospital of Philadelphia). Degno di nota The Franklin Institute, un istituto di scienza con tre piani di mostre interattive, compresa la caratteristica Giant Heart (cuore gigante). Parlando di istruzione invece, ricordatevi che Philadelphia è un'importante città universitaria che ospita fino a 6 college e università, che attraggono circa 250mila studenti. Con i suoi numerosi ristoranti e oltre 250 caffè all'aperto Philadelphia è una destinazione piacevole ed interessante anche dal punto di vista enogastronomico. Degni di nota: le birre artigianali (Philadelphia Brewing Company), la cioccolata di Max Brenner e il panino Philly “cheesesteak”, a base di formaggio fuso e pezzetti di manzo (da assaggiare nelle versioni dei due locali storici: Pat's Steaks e Geno's Steaks). E se vi

viene un languorino mentre passeggiate, potete acquistare nei chioschi di strada i morbidi pretzel, fantastici con la senape piccante. Per una cena all'insegna della raffinatezza e del buon cibo l'indirizzo è Talula's Garden, mentre per un soggiorno confortevole in una posizione strategica consigliamo il fascinoso Cambria Hotel Downtown Center City. Se invece siete amanti della musica potete ascoltare l'Orchestra di Philadelphia al Centro Kimmel. Per gli sportivi c'è il Fairmount Park - il più grande parco cittadino del mondo - dove è possibile praticare ogni genere di sport all’aria aperta. Se infine siete shopping addicted, non avrete che l'imbarazzo della scelta: con oltre 2mila punti vendita nel solo Center City, Philadelphia è il paradiso di ogni amante dello shopping. Qui infatti abbondano centri commerciali, outlet e boutique (primo su tutti Macy's); senza contare che su abbigliamento e calzature qui non si pagano le tasse! Per maggiori informazioni potete contattare l'Ente per la Promozione Turistica di Philadelphia (PHLCVB): www.discoverPHL.com

In questa pagina in alto: La statua del Pensatore davanti al Museo Rodin. In basso: Il Philadelphia Museum of Art, uno dei più grandi d’America.

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Gli Incontri di Emotions

Custode del passato PAMELA MCCOURT FRANCESCONE

Photos by Pamela McCourt Francescone

L’ Ex casa del Balilla, poi G.I.L. , è l’ultimo edificio forlivese dell’arte razionalista recuperato dall’abbandono (2015)

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Sopra: Tra i pezzi più apprezzati gli scacchi in vetro Vetri colorati blu, turchese, verde, viola, marrone e trasparenti, incrinati, crepati, spaccati e ridotti in frantumi, sono i testimoni silenziosi e struggenti di anni di duro lavoro e sacrificio A sinistra: La macchina arrugginita del padre di U Thein Zaw, una Vauxhall Luton del 1937

U Thein Zaw, titolare della vecchia fabbrica di vetro

racconta gli anni d’oro dell’attività della famiglia e d

il cyclone Nargis ha distrutto la fabbrica e il sog

OTTOBRE - NOVEMBRE

«Chi può dimenticare quella notte? Era il 2 maggio del 2008 e, a differenza della quasi totalità della popolazione del Myanmar abbiamo saputo, da un nostro cliente, che il ciclone Nargis stava per abbattersi sul Paese e abbiamo abbandonato la fabbrica. Meno male, perché il furore di Nargis ha spazzato via tutto qui a Yangon. Gli alberi e le capanne dove lavoravamo il vetro e dove avevamo le fornaci, e i magazzini con in giacenza centinaia di migliaia di vetri pronti sono andati tutti distrutti. E ci siamo trovati senza la nostra attività, che già l’anno prima avevamo dovuto ridimenzionare, per il forte aumento del costo del gas che serviva per le nostre fornaci».


o Nagar a Yangon,

di come, nel 2008,

gno del padre

Custode del passato Ciò che resta oggi dell’ex fabbrica Nagar – «Mio padre nacque di sabato sotto il segno zodiacale del drago, e quando aprì la fabbrica la chiamò Nagar che nella lingua birmana significa drago» – è celato dietro un alto muro su una strada poco trafficata non lontana dal Lago Inya alla periferia di Yangon, la città principale e l’ex capitale del Myanmar. Lungo un sentiero, nascosto nella fitta vegetazione che si estende per oltre un ettaro, in una vecchia casa di legno vive, con le sue sorelle e nipoti, U Thein Zaw, un signore sorridente e garbato che veste la tradizionale longyi, parla un ottimo inglese e racconta con passione la storia della sua famiglia. «I nostri vetri – piatti, vasi, bicchieri, vassoi, ciottoli, piatti, statue ma anche figure da presepe e pezzi degli scacchi – erano molto apprezzati, producevamo per le ambasciate ed esportavamo anche verso paesi come il Giappone e la Thailandia». Molti i pezzi unici prodotti dalla

fabbrica, e U Thein Zaw ci ha mostrato due curiosità. Dei bicchieri da vino ordinati da una cliente che li voleva senza la base dello stelo perché stanca di raccogliere i bicchieri che il marito lasciava in giro per casa. «Abbiamo anche ideato un bicchiere con due calici su un unico stelo. Festeggiando a Capodanno si beveva prima da un calice per salutare l’anno che se ne andava poi, girando il bicchiere, si versava lo spumante nell’altro calice e si brindava all’anno nuovo». Tra i personaggi famosi che hanno visitato la fabbrica l’astronauta John Glenn e anche un gruppo di vetrai di Murano. «Quando questi signori hanno visto la nostra produzione ci hanno fatto tanti complimenti, dicendo che i nostri vetri – tutti soffiati a mano e anche ispirati ad artisti occidentali – erano più belli di quelli prodotti sulla loro isola». Oggi nel sottobosco dei giardini ci sono i resti delle capanne, macchinari corrosi, le vecchie EMOTIONS

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« La passione pe

da mio padre

che è la terra a c

dalla sabbia

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fornaci distrutte e la macchina arrugginita del padre, una Vauxhall Luton del 1937. E senza soluzione di continuità vetri colorati blu, turchese, verde, viola, marrone e trasparenti, incrinati, crepati, spaccati e ridotti in frantumi, testimoni silenziosi e struggenti di anni di duro lavoro e sacrificio. «La passione per il vetro l’abbiamo ereditata da mio padre che ci ricordava sempre che è la terra a creare il vetro perché nasce dalla sabbia con l’aiuto del fuoco», indicando un polveroso cartello sopra la porta che raffigura una mano con un pugno di sabbia e pezzi scintillanti di vetro. «Noi vetrai, diceva Papà, eravamo solo degli strumenti. Strumenti ingegnosi aggiungo io, come mio zio che fece gli occhi per il famoso Buddha Sdraiato, una delle attrazioni più visitate di Yangon. Ogni occhio è lungo un metro e settanta e lo zio, che era un perfezionista, buttò via le prime due prove perché secondo lui avevano dei piccoli OTTOBRE - NOVEMBRE

difetti, e non erano degni di una statua del Buddha». Nella vecchia casa la famiglia vive sospesa nel tempo, custode di un’altra epoca e di un numero incalcolabile di vetri incrinati che coprono ogni superficie, dai tavoli alle mensole, dentro vecchi mobili e negli angoli. Fuori, nella giungla verde e incolta il tappeto coloratissimo di vetri frantumati e fracassati si presta a un’appassionante caccia al tesoro, perché è ancora possibile trovare dei pezzi che non abbiano subito danni disastrosi. Con l’unico macchinario ancora in uso, una levigatrice, le nipoti di U Thein Zawamorevolmente levigano le parti taglienti, e così per pochi dollari chi ha avuto la fortuna di imbattersi in questo luogo incantato se ne va con un ricordo prezioso e, nel cuore, la storia della Fabbrica Nagar e di U Thein Zaw, testimone fiero e tenace di un mondo antico svanito.


Gli Incontri di Emotions

r il vetro l’abbiamo ereditata

e che ci ricordava sempre

creare il vetro perché nasce

a con l’aiuto del fuoco»

Custode del passato

In alto e a sinistra: Alcuni fasi della tradizionale lavorazione del vetro. In basso: Tra le tante curiosità prodotte dalla fabbrica il bicchiere con due calici su un unico stelo per festeggiare il Capodanno.


il Castello Traka

VIVACE D’ESTATE, D’INVERNO EVOCA L’ATMOSFERA INCANTATA DEI SOGNI E DELLE F PAOLO PONGA

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LITUANIA

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il Castello Trakai

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VIVACE D’ESTATE NEL MONDO CI SONO ALCUNI POSTI MAGICI, ENTRANDO NEI QUALI HAI LA SENSAZIONE DI IMMERGERTI IN UN ALTRO TEMPO, IN UN’ALTRA VITA. QUALCHE VOLTA SI TRATTA DI LUOGHI CREATI SEMPLICEMENTE DALLA NATURA, IN ALTRI CASI LA MAGIA VIENE DA OPERE COSTRUITE DALL’UOMO IN LUOGHI INACCESSIBILI, SULLE CIME DI ASPRE MONTAGNE O NEL NULLA DI FORESTE O DESERTI. MOLTO PIÙ DIFFICILE CHE QUESTA SENSAZIONE GIUNGA IN UN LUOGO INCANTATO A MEZZ’ORA DI STRADA DA UNA GRANDE CITTÀ. QUESTO È IL CASO DEL CASTELLO TRAKAI, IN LITUANIA.

A fianco: particolare del tetto medievale della Torre del Castello. A sinistra: interno del corridoio principale del Castello.

Vicino e facilmente raggiungibile in auto da Vilnius, la capitale, il luogo assume due aspetti contrapposti a seconda delle stagioni, mantenendo però in entrambe un fascino difficilmente rintracciabile in altri posti: d’estate è un animato centro di attività sportive all’aria aperta che d’inverno si trasforma nel castello fatato di Biancaneve. Per farsi un’idea della bellezza del posto occorre immaginare un’immensa ed antica foresta oggi parco nazionale; al suo interno una penisola circondata da 3 laghi, il maggiore dei quali, il lago Galvé, circonda 21 isole diverse; di fronte alla sua estremità una piccola isoletta, ora collegata da un ponte di legno e su di essa il castello dell’isola. La sensazione che si prova guardandolo è di un viaggio nel tempo, nell’era dei cavalieri e delle gentili dame. Il Granduca di Lituania Kestutis a metà del XIV secolo costruì un castello sulla penisola e dopo di questo iniziò l’edificazione di quello sull’isola, con lo scopo di portare la corte in un luogo inespugnabile dal quale partire per contrastare le armate dell’Ordine Teutonico, i Prussiani dell’est. Morto durante una battaglia contro di essi, lasciò il trono al figlio Vytautas detto il Grande che, alleandosi con la Polonia, li sconfiggerà nella grande battaglia di Grunwald.

La vittoria, e le sanzioni economiche imposte ai Teutoni, porteranno grandi ricchezze allo stato lituano che le impiegherà per terminare la costruzione del castello di Trakai, rendendolo famoso e magnifico, non più fortezza militare difensiva, ma sede della corte ducale. Durante la guerra Russo-Polacca (1654-1667), la zona venne però conquistata dai russi, che distrussero il castello della penisola (di cui rimangono solo alcune rovine) e causarono enormi danni a quello sull’isola. Alla fine dell’800, contemporaneamente con i primi timidi concetti relativi all’indipendenza del popolo lituano, si cominciò a pensare ad una ricostruzione del castello sull’isola, che venne intrapresa agli inizi del 1900 e terminata nel 1992… due anni dopo l’indipendenza dall’URSS. Trakai diventò immediatamente uno dei simboli della rinata nazione lituana, e venne effigiato nella cartamoneta da 2 litai. Grazie alla bellezza del luogo, ed alla sua storia così importante per i lituani, divenne ben presto uno dei principali centri turistici della regione. Sono numerose infatti le attrazioni che d’estate richiamano qui folle di visitatori: è possibile noleggiare barche a remi, pedalò, barche a vela, sorvolare il castello in mongolfiera, od assistere a tornei ed a combattimenti medievali che si svolgono all’interno delle mura. O semplicemente prendere il sole e poi rinfrescarsi facendo una nuotata nelle limpide acque del lago Galvé. Se invece si decide di visitare il castello in pieno inverno, si incontrerà una temperatura decisamente sottozero, con uno spettacolo molto diverso che offrirà comunque una graditissima sorpresa: il lago completamente ghiacciato. EMOTIONS

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DA FIABA D’IVERNO ILCASTELLO IN PIENO INVERNO OFFRIRÀ UNA GRADITISSIMA SORPRESA: IL LAGO COMPLETAMENTE GHIACCIATO Sarà così possibile assistere allo spettacolo dei pescatori che mediante una trivella a mano bucano il ghiaccio e pescano con una canna cortissima. In più il ponte di legno che porta sull’isola è perfettamente inutile, poiché è possibile accedervi camminando sul lago, esperienza che dona un’emozione suggestiva. Al termine della visita al castello, è d’obbligo recarsi nel vicino villaggio sulla penisola, dove le sue case di legno ospitano una comunità vecchia di secoli: il Granduca Vytautas assunse infatti come guardia personale una popolazione tartara di origine turca, i Caraimi. La loro particolarità? Fanno parte di un ceppo piccolissimo di ebrei proveniente dalla Crimea

(ed anticamente dalla Mesopotamia), attualmente sopravvissuti in circa 60 individui a Trakai, ed in poche altre centinaia nel resto del mondo, scampati all’invasione nazista ed ai progrom russi in quanto considerati innanzitutto turchi. Il loro centro di preghiera, la Kenessa, è uno dei tre ancora esistenti al mondo. I Caraimi sono riusciti nei secoli a mantenere le loro tradizioni, comprese quelle culinarie, delle quali sarebbe uno spreco non approfittare: è infatti all’interno del ristorante tipico Kybynlar che si può avere il privilegio di assaggiare i Kibinai, grossi ravioli fatti a mano e ripieni di carne che vanno innaffiati con un boccale di Svyturus, l’ottima birra lituana.

I KIBINAI SONO GRO

CHE VANNO INNAFF

A fianco: i Kibinai, piatto tipico, della tradizione Caraimi. A destra: il villaggio della popolazione tartara di origine turca, i Caraimi.

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il Castello Trakai

SSI RAVIOLI FATTI A MANO E RIPIENI DI CARNE

FIATI CON UN BOCCALE DI OTTIMA BIRRA LITUANA

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TOSCANA

WINE

ARCHITECTURE MARIELLA MOROSI

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TOSCANAWINE ARCHITECTURE

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Q U A N D O

L’A R T E

E N T R A

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C A N T I N A

LA TOSCANA È STATA PIONIERA NEL REALIZZARE UN LEGAME TRA DUE ARTI: QUELLA DEGLI ARTISTI CONTEMPORANEI E QUELLA DEGLI UOMINI CHE TRASFORMANO IL FRUTTO DELLE VIGNE IN VINO Fin dagli Anni Novanta grandi architetti internazionali - da Mario Botta a Renzo Piano fino a Tobia Scarpa - hanno costruito o ristrutturato cantine nel rispetto dell’armonia di un paesaggio tanto celebrato. Talvolta sono intere strutture a portare la firma di archistar, più spesso installazioni e opere d’arte sono collocate nei luoghi del vino. Ma questo legame non è mai concepito per l’immobilità di spazi museali. Sono state invece create realtà operative con al centro l'uomo e il suo lavoro, in tutte le fasi del processo di vinificazione. In più sono integrate al paesaggio con rispetto dell’ambiente, spesso secondo i principi della bioarchitettura, con autonomia energetica e riciclo d'acqua. Ed ecco che le cantine diventano arte funzionale, tra le colline rigate dai vigneti e l’argento degli olivi, senza compiacimenti verso il committente. Questo rapporto tra arte e impresa, tra creatività e innovazione aziendale, entrambe espressioni di contemporaneità, ha fatto scuola sviluppando idee e progetti. Così quattordici di queste cantine

R O C C A

D I

F R A S S I N E L L O ,

“speciali” si sono unite lo scorso anno nella Toscana Wine Architecture, una rete d'imprese, primo esempio in Italia, per valorizzare vino, architettura, arte e turismo. Grandi i numeri: 1500 ettari vitati, 6 milioni di bottiglie prodotte, 550 occupati e 50 milioni di fatturato annuo. E’ un valore d'impresa che va ben aldilà di quelli singoli economici perché l’obiettivo è più alto: non concorrere, ma correre insieme investendo nella promozione del territorio. Viene così promossa un’inedita visione di tutela di quanto dovrà essere rispettato e trasmesso a chi verrà dopo, da parte di aziende che si sono assunte il ruolo di custodi di un paesaggio, patrimonio dell'umanità. Toscana Wine Architecture riunisce, sulla base di una strategia comune, cantine storiche, giovani e dinamiche: Cantina Antinori nel Chianti Classico, Caiarossa, Cantina di Montalcino, Castello di Fonterutoli, Colle Massari, Fattoria delle Ripalte, Il Borro, Le Mortelle, Petra, Podere di Pomaio, Rocca di Frassinello, Salcheto, Tenuta Ammiraglia - Frescobaldi, Tenuta Argentiera.

B A R R I C C A I A

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TOSCANAWINE ARCHITECTURE

Allo studio l’offerta di pacchetti su misura per le visite al circuito, tra le varie espressioni di un rinnovato rapporto estetico fra spazio produttivo e prodotto, espressione di funzionalità ma anche capaci di dare un’emozione. Spesso vengono allestite mostre ed eventi legati alla storia del luogo. Come la cantina di Rocca di Frassinello a Gavorrano, firmata da Renzo Piano dove su progetto di Italo Rota è allestita la mostra esperienziale “Gli Etruschi e il vino”. E’ un percorso narrativo nei secoli che riscopre un popolo che 3.000 anni fa coltivava la vite negli stessi terreni. Anche un’opera di David LaChapelle fa bella mostra nel pavillon. La cantina di Piano è essenziale nelle forme e non rispetta l’ordine produttivo: ricezione e lavorazione delle uve, tinaia, magazzino. Qui a dominare è la barriccaia sotterranea, un quadrato di 40 metri per 40 con un immenso solaio che si regge senza alcun sostegno. A rievocare la storia etrusca, nella cantina Caiarossa di Riparbella, nella Val di Cecina, è Dioniso, simbolo dell’azienda. Se la biodinamica regna tra i filari, in cantina l’ispirazione viene dall’architettura geobiologica e dalla disciplina orientale del Feng Shui, elaborate dall’architetto Michaël Bolle. Quella maremmana de Le Mortelle degli Antinori, l’ex La Badiola, rappresentata sulle carte geografiche da Leopoldo già a metà dell’800, ha il tetto coperto d’erba e una bella scala elicoidale. La forma è di un pool di professionisti di Firenze, lo studio Hydea. In gran parte interrata, fatta di materiali naturali, sfrutta la termoregolazione delle rocce presenti in profondità nel suolo. L’avveniristica Petra di Suvereto, realizzata da Mario Botta si presenta invece come un grande fiore sbocciato sulla collina con un cilindro di pietra sezionato con un piano inclinato parallelo alla collina e le "barchesse" delle grandi ville di ispirazione palladiana. Scavata nella collina, entra a farne parte come fosse lì da sempre. Anche la cantina Colle Massari di Cinigiano, progettata da Edoardo Milesi, punta su risparmio energetico, bioedilizia, qualità del posto di lavoro con soluzioni bioclimatiche che regolano temperature e ventilazione. Le ondulate colline senesi hanno invece ispirato la copertura della Cantina di Montalcino tra i vigneti della Val di Cava, lungo lo straordinario percorso dell’Eroica. Da 40 anni è l'unica realtà cooperativa vitivinicola della zona e conta come socie circa 100 piccole aziende con 160 ettari di vigneti a prevalente produzione di sangiovese. Un ponte di legno attraversa per intero il piano di vinificazione, mentre al piano interrato il vino riposa e si affina. Cantina del tutto green è Salcheto, a Montepulciano con percorsi di visita che

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C A I A R O S S A

C A N T I N A

C O L L E

introducono nel lavoro quotidiano, progettati da Michele Manelli e Mario Turrini. Sulla Costa degli Etruschi, tra sorgenti naturali, miniere d'argento e torri di avvistamento volute dai Medici è l’Argentiera, realizzata dallo Studio Bernardo Tori di Firenze, un tempo parte dell’antica Tenuta di Donoratico dei Serristori. Costruita interamente con materiali di recupero si inserisce perfettamente nel contesto paesaggistico. Tra le altre cantine da non perdere, quella secolare de Il Borro, nel Valdarno, integrata col contesto medievale, e la Fattoria delle Ripalte, all’Elba, progettata da Tobia Scarpa. E’ un grande parallelepipedo inserito nel Colle di Gianni. Toscana Wine Architecture è stata promossa da Regione Toscana in collaborazione con Vetrina Toscana, Federazione Strade del Vino, dell'Olio e dei sapori di Toscana e con la Fondazione Sistema Toscana.

M A S S A R I

www.toscanawinearchitecture.it


Photo by Paolo Da Re

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Photos by Francesco Castagna - Archivio

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V E N E T A

Dove la bellezza sposa il gusto VITTORINA FELLIN

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Dove la bellezza sposa il gusto I piccoli borghi, da visitare con la bici o i treni locali, riportano il viaggio

nella dimensione della scoperta.

Il viaggio torna ad essere un modo

per conoscere, incontrare e ritrovare

il tempo necessario per fermarsi e godere di una bellezza più intima e riservata

Se il 2018 è stato indicato, dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali come l’Anno del Cibo italiano, il 2019 sarà quello del turismo lento inteso come modo per valorizzare i territori italiani meno conosciuti dal turismo internazionale e rilanciarli in chiave sostenibile favorendo esperienze di viaggio innovative. Un modo per scoprire i tesori di un’Italia che conserva con fatica e orgoglio un patrimonio di cultura e di storia attraverso treni storici, itinerari culturali, cammini, ciclovie. Montagnana, autentica perla medioevale della campagna veneta, rientra a pieno titolo in questa tipologia di esperienze. A metà strada tra Padova e Verona la quieta cittadina è, tra le città murate del Veneto, quella che meglio conserva la sua cinta medievale, al di là della quale conserva un tessuto urbano variegato ricco di sorprese lasciate in dono dal Medioevo, dal Rinascimento e dal periodo di ripresa economica dell’800. Un viaggio nel tempo tra antiche torri, suggestive viuzze, locali e gastronomie dove assaggiare il famoso Prosciutto Veneto - Berico Euganeo D.O.P o una delle specialità agroalimentari valorizzate dalla DE.CO. (denominazione comunale). La sua privilegiata posizione geografica, inoltre, offre la possibilità di raggiungere agevolmente la pianura, la fascia pedemontana e le rive del Lago di Garda attraversando territori poco battuti che conservano ancora un fascino rurale e una dimensione più autentica.

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OTTOBRE - NOVEMBRE

UNA CITTÀ DAL FASCINO MEDIOEVALE La bellezza maestosa della famosa cinta muraria (del XIII e XIV secolo) che abbraccia il suo centro storico con 24 torri alte 17 metri, a sua volta circondata da un largo fossato oggi area verde, non è la sola a colpire il visitatore. Il glorioso passato della città (fu Scaligera, Carrarese e della Serenissima), è sottolineato dai fastosi palazzi e dalle pregiate opere d’arte che dominano le vie del centro. Tra queste la celebre Villa Pisani Sacco, progettata nel 1552 dall’architetto Andrea Palladio (dal 1996 patrimonio dell’Unesco assieme alle altre ville palladiane venete) e il maestoso Duomo di S. Maria Assunta affacciato su Piazza Vittorio Emanuele II, custode silenzioso di pregevoli opere d’arte tra cui alcuni affreschi del Giorgione, una pala del Veronese raffigurante la trasfigurazione di Cristo e l’altare maggiore del Sansovino. Il nucleo più antico di Montagnana è rappresentato da Castel San Zeno, composto da due torri di vedetta angolari e dal grandioso Mastio Ezzelino che, con i suoi 38 metri di altezza, testimonia la forza distruttiva del terribile Ezzelino III da Romano, che nel 1242 conquistò la città impossessandosene. Oggi il maestoso edificio è visitabile e percorribile nella sua interezza fino a raggiungere la cima, da cui si può godere del panorama della città e delle bellezze della pianura circostante con le dolci alture dei colli Euganei e Berici. Anche l’interno del castello, dove è possibile osservare il ballatoio ligneo coperto, è visitabile in quanto adattato ad uso pubblico (sale per conferenze e mostre) mentre gli ambienti ospitano il Centro Studi sui Castelli, il Museo Civico, la Biblioteca Comunale e l’Archivio Storico municipale.

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TAG N A N A AU T E N T I C A P E R L A M E D I O E VA L E D E L L A C A M PAG N A V E N E TA

Un viaggio nel tempo tra antiche torri e suggestive viuzze, con un tessuto urbano variegato, ricco di sorprese

lasciate in dono dal Medioevo, dal Rinascimento e dall’800

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Dove la bellezza sposa il gusto

IL VERO VALORE AGGIUNTO È IL TERRITORIO Negli anni, la città è stata insignita di numerose onorificenze e certificazioni, tra cui la Bandiera Arancione del Touring Club Italiano, che certifica i borghi dell’entroterra che si distinguono per lo sviluppo di un turismo sostenibile e per la tutela del territorio e il riconoscimento di Borghi più belli d’Italia. Oltre alle bellezze artistiche e architettoniche di prima grandezza, il territorio di Montagnana offre una natura rigogliosa, fatta di passeggiate, piacevoli escursioni in bicicletta o a cavallo nelle campagne e lungo i corsi d’acqua, per ammirare antichi casolari e piccole chiese campestri, paesaggi punteggiati di coltivazioni agricole di pregio. Chi desidera percorrere itinerari più lunghi, potrà seguire i percorsi che porteranno alla scoperta delle magnifiche Ville Venete disseminate lungo i corsi d’acqua o nelle campagne o di altre straordinarie Città Murate come Marostica, Este, Cittadella, per citarne alcune. Ma è nelle sue produzioni agroalimentari

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che Montagnana conferma il suo valore. Oltre al prosciutto Veneto Berico-Euganeo D.O.P, che qui viene lavorato secondo antiche usanze e tradizioni, sono almeno otto i sapori eccellenti che hanno intrapreso un percorso di riconoscimento della loro specialità. La pancetta, il prosciutto cotto alta qualità, il salame, il melone, il peperoncino verde sotto aceto, lo schissoto (tipico pane casereccio dei contadini veneti di una volta), gli gnocchi dolci alla veneta con uvetta, zucchero e cannella (una ricetta antica molto popolare nel territorio della bassa padovana), tutti prodotti riconosciuti dal Comune di Montagnana attraverso uno speciale iter di “certificazione” che prevede la stesura di un disciplinare produttivo. I prodotti sono, infatti, delle DE.CO (denominazione comunale), un riconoscimento ideato dall’indimenticato Luigi Veronelli che nel 1999 lanciò l’idea che i Comuni potessero valorizzare il proprio territorio attraverso le produzioni artigianali ed agricole. Con la Legge Costituzionale n. 3 del 2001 e con l’entrata in vigore della Legge 142 nel 1990, con la quale si consentiva ai comuni di legiferare in materia di valorizzazione delle attività produttive presenti nel proprio territorio, è stata data dignità giuridica all’idea di Veronelli. I comuni più virtuosi, come appunto Montagnana, hanno saputo cogliere nello strumento legislativo un’opportunità di marketing e di valorizzazione per il proprio territorio. www.comune.montagnana.pd.it



The Anam

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KALEIDOSCOPE

The Anam The Anam, sulla splendida Baia di Cam Ranh lungo la costa settentrionale del Vietnam a un’ora di volo da Saigon, richiama l’architettura dell’era

coloniale dell’Indocina con accenti tradizionali vietnamiti. Dodici gli ettari di

giardini verdeggianti, con tremila palme da cocco, prati curatissimi e sentieri

frondosi e, nei padiglioni eleganti e ariosi dell’atrio, una laguna cinta da palme e massicci vasi di terracotta, che diffonde i riflessi blu dei cieli e dell’oceano.

In questa oasi di tranquillità su una lunga spiaggia con sabbia bianca e acque serene, sono 117 le ville celate nella vegetazione tropicale e, nel palazzo Aman Deluxe Collection le 96 camere e suite sono dotate di balconi e

terrazze. Bianche e blu le splendide maioliche sui pavimenti, e i legni tropicali

del mobilio provengono da coltivazioni sostenibili. Sono 27 le ville con piscine private, molte con vista dell’oceano mentre al top ci sono le dodici ville con piscine e tre camere da letto.

Dei tre ristoranti – l’Indochine, The Colonial e il Lang Viet – il primo propone ricche prime colazioni con un’ampia scelta di specialità locali e internazionali, pranzi relax e, di sera, grandiosi buffet a tema con una varietà di cucine: vietnamita, italiana e BBQ.

Di giorno The Colonial diventa la Club Lounge per gli ospiti delle ville e delle

suite, mentre di sera è un tempio dell’alta cucina francese con una lista di vini raffinati. Tre volte ogni settimana il ristorante Lang Viet ospita Mama’s Kitchen, con cinque donne locali, mamme di membri del personale, che

indossano grembiuli da chef per preparare specialità vietnamite tradizionali, deliziando gli ospiti con le loro ricette di famiglia.

Nell’elegante e raffinata spa Sri Mara il menu di trattamenti è d’ispirazione orientale. Per chi soggiorna a The Anam le giornate sembrano non bastare

mai tra le due piscine, la spiaggia, le piscine private nelle ville e sport non-

motorizzati come il kayak, il pallavolo kick, il surf e le immersioni. C’è anche

la possibilità di fare escursioni in Vespa alla scoperta di villaggi di pescatori

e cascate. Per gli amanti dell’arte ci sono le Nha Trang Art Tours con visite alle case di artisti e scultori locali e, a mezz’ora dal resort, Nha Trang la più grande

città balneare del Vietnam con ristoranti, bar e divertimenti. Pamela McCourt Francescone

www.theanam.com

EMOTIONS

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Yangon Excelsior Hotel Un ritorno al passato con il nuovo sciccoso boutique hotel nel cuore storico della città Tratti decisi e distinti, impronte Art Déco, tonalità contrastanti e rimandi ricorrenti e riguardosi alla storia. Il Yangon Excelsior è l’ultimo gioiello nel firmamento degli alberghi heritage a Yangon. Ubicato su una tranquilla strada laterale nel cuore della città, l’edificio risale agli anni 1920 quando è stato costruito come sede dei commercianti britannici Steele Brothers. Già nell’atrio si respira il profumo d’altri tempi con una pittura murale di svolazzanti fogli bianchi che piovano dal soffitto, rievocando le note di vettura, le ricevute e le bolle che volavano da scrivania a scrivania nei vecchi uffici. Su ogni piano, e in alcune

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OTTOBRE - NOVEMBRE

delle camere, massicce travi maestra e, su mensole e nicchie, libri polverosi e macchine da scrivere fin-de-siècle. Luminose e con sofà e docce a vista le camere, più spaziose le Deluxe e le Junior Suite e, per una clientela anticonformista e spiritosa la numero 401, The Loft, su due livelli e con una vasca da bagno accanto al letto kingsize. Nella spa si può scegliere tra massaggi tradizionali birmani come The Shan Ritual, trattamenti orientali e internazionali. Il Newsroom ha l’aria cosmopolita di une brasserie e una scelta sfiziosa di specialità che spaziano dal classico Croque Monsieur francese al Prosciutto Serrano spagnolo, e dallo Stufato di Coda di Manzo


KALEIDOSCOPE

www.yangon-excelsior.com agli Spaghettini di Riso alla Thailandese. Internazionale e di altissima qualità la lista dei vini sia qui che nello Steele Brothers Wine & Grill dove l’enfasi è sul fine dining con carni e pesce alla griglia e, frutto dell’estro dello chef, contaminazioni culinarie come il Risotto di Farro con Latte di Cocco e gli Gnocchi con il Chorizo. Per lo shopping c’è il vicino mercato Bogyoke, un bazar smisurato e variegato dove si trova di tutto da gemme tradizionali quali i rubini e gli zaffiri, a quadri dipinti da giovani artisti birmani, a oggetti d’artigianato, mentre per il designer shopping il centro commerciale Junction City sorge antistante lo storico Bogyoke. Pamela McCourt Francescone EMOTIONS

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Il Lago Inle è uno specchio d’acqua dolce circondato dalle verdeggianti montagne Shan, da villaggi su palafitte, monasteri, pagode dorate, orti galleggianti e mercati itineranti


KALEIDOSCOPE https://innviaggithailandia.com/myanmar-ex-birmania/lago-inle/

Sanctum Inle Resort Un santuario per i sensi sul lago più incantevole del Myanmar E’ il sogno di tutti. Il Lago Inle, uno specchio d’acqua dolce circondato dalle verdeggianti montagne Shan, da villaggi su palafitte, monasteri, pagode dorate, orti galleggianti e mercati itineranti.

Su una bassa collina a 900 metri d’altitudine affacciato sul

Nella Sanctuary Spa ci sono sei padiglioni per massaggi,

uno dedicato ai massaggi thailandesi e birmani. Sul menu anche trattamenti per il viso e scrub per i quali vengono

adoperati erbe come il lemongrass coltivate nei giardini

organici del resort.

lago, ai piedi delle montagne sorge il Sanctum Inle Resort,

The Cloister Bar invita all’ozio soprattutto all’ora

rinascimentale. Arcate, mattoni a vista, edifici candidi e un

allettante di specialità internazionali e locali. Molte le

un elegante complesso che richiama lo stile di un monastero

chiostro con una fontana all’ombra di un albero secolare

dell’aperitivo e The Refectory propone una gamma

prelibatezze che adoperano i pomodori e le melanzane

fanno da cornice ai giardini, con alberi d’alto fusto e una

coltivati sulle isole flottanti nel lago. Ottimi i curry e

bordo lago. Da qui partono in perlustrazione le barche

pollo, pomodori, cipolle e spezie, universalmente

piscina a sfioro, che digradano verso la banchina privata a longtail tradizionali usate dai pescatori del lago che per remare usano una sola gamba, lasciando libere le due

braccia per sollevare i grossi coni retati con i quali catturano il pesce. Le 79 camere e 15 suite hanno pavimentazione e mobilio in tek e grandi spazi. Molte sono ubicate

nell’edificio alto tre piani intorno al chiostro, altre in bassi

edifici con le 12 Provost Junior Suite nelle graziose villette

i Shan Noodles: fettuccine di farina di riso con maiale o riconosciuti come uno dei piatti d’eccellenza della

tradizione birmana. Ogni anno ai primi di ottobre il festival della Pagoda Phaung Daw U richiama migliaia di fedeli che per venti giorni accompagnano quattro statue d’oro di

Buddha, risalenti al Xll secolo, da pagoda in pagoda intorno al grande lago. Spettacolare la processione di imbarcazioni riccamente addobbate che seguono la maestosa barca

nei giardini. Nell’edificio principale si trovano l’Abbey Suite,

dorata a forma di hintha, l’uccello mitologico del Myanmar,

da letto al piano superiore, e la suite più grande la Sanctuary

indossano coloratissimi costumi tradizionali.

con vista che spazia sul lago sia dal salone che dalla camera Suite, con due camere king e due bagni.

che trasporta le preziose statue, e sono molti i fedeli che

Pamela McCourt Francescone EMOTIONS

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L I B R I

E M O T I O N S

Silvio Sposito

Ansa – Anas

Sandro Bari

Storia della dinastia etrusca che governò Roma

Storia d'Italia on the road

La fondazione

Gli ultimi re di Roma Gangemi Editore

La strada racconta

recensione a cura di Luisa Chiumenti

recensione a cura di Luisa Chiumenti

Siamo di fronte all’opera prima di un medicoscrittore che si è sempre occupato con passione ad un approfondimento della più antica storia di Roma e del Lazio, anche ricordando le proprie radici tarquiniesi (la madre) e civitavecchiesi (il padre), scegliendo così, nei suoi scritti, di calarsi nella storia della dinastia etrusca che governò Roma. L’autore affida la narrazione ad un alter ego, un bibliotecario dell’imperatore Claudio (etruscologo ante litteram) che, trovando a sua disposizione tutti i preziosi testi scritti dall’imperatore, decide di dedicarsi alla redazione di una storia appunto, degli antichi re etruschi. Scegliendo uno stile aulico e arcaicizzante, egli riporta i nomi etruschi, latini e greci in lingua originale, mentre la storia scorre, sottolineata da un’ottima iconografia scelta da riproduzioni di notissime opere d’arte, che hanno illustrato nel tempo gli episodi proposti. Si ricrea così l’atmosfera che certo permeava il mondo arcaico, descrivendo l’arte, l’architettura e l’ambiente dell’epoca, ma anche la filosofia, la religione e perfino la cucina così particolare. Ma al contempo risaltano tutti quelli che erano gli stimoli e i sogni di grandezza che animavano la vita del popolo arcaico come il desiderio di ricchezza e di potere, per raggiungere il mitico “tesoro dei Tarquini”, filo che percorre l’intera storia, come pure un altro sottile filo conduttore dato dalla suggestione forte derivante dai sogni. E’ infatti interessante seguire l’alter ego dell’autore, Marco Quinzio Spurinna, di origine tarquiniese, recarsi all’Isola Tiberina per trarre ispirazione, per il suo operato, dai sogni a cui si poteva abbandonare. Qui infatti egli riceveva istruzioni dai colloqui con il colto medico Ermocrate che lo coinvolgeva nella incubatio, con sogni terapeutici, premonitori, rivelatori, religiosi e a volte anche terrorizzanti. Ma il lettore resterà anche affascinato dalle splendide descrizioni dei paesaggi attraversati dai vari personaggi, sensibili come moderni viaggiatori e sollecitati nelle loro emozioni da un autore, che effonde tutta l’umanità che gli deriva dalla professione di medico.

Il volume dell'ANSA pubblicato per i 90 anni di Anas rappresenta quello che è stato lo sviluppo graduale della rete stradale che ha unito le varie regioni d’Italia in un continuum che tuttora permette di conoscere, attraverso le reti delle statali e delle provinciali, ogni città e borgo del nostro Paese. Come è stato ben sottolineato nel corso della presentazione del libro a Milano, alla Triennale, si tratta di un ritratto dell'Italia per immagini, dove la strada e le strade sono protagoniste, insieme alle persone, degli eventi che hanno segnato il Paese. Novant'anni di storia italiana ripercorsi attraverso alcune tra le immagini più belle tratte dal vasto archivio fotografico dell'ANSA (con un patrimonio fotografico di 19 milioni di foto) e dell’Anas, fa parte della storia d'Italia. Il libro, articolato in vari capitoli, uno per decennio, ripercorre gli anni del regime, della guerra, la voglia di Repubblica, il boom, la motorizzazione di massa, la Dolce Vita, gli anni di piombo, quelli della Milano da bere e di Italia '90, fino ad arrivare alle smart road, con un corredo di immagini che immortalano divi come Anna Magnani e i Beatles o personaggi politici come JFK. I giornalisti dell'ANSA raccontano ciò che avviene in strada. «Dove ci sono gli italiani, nei momenti significativi, gioiosi e drammatici», ha detto Elisabetta Stefanelli, curatrice del volume e responsabile Cultura e Spettacoli ANSA. È un libro di cronaca e di testimonianza, con un taglio che sulla strada, come mostrano le immagini del libro, le persone vivono gli eventi più gioiosi, tragici, importanti. Dalla fuga dei tedeschi alla fine della seconda guerra mondiale, alla strage di Piazza Fontana o a quella di Via Capaci, passando ai tanti eventi luttuosi come la morte di Enrico Berlinguer, e alle manifestazioni sociali che videro i dibattiti intorno ai mutamenti relativi alla affermazione di nuovi diritti e richieste di innovazioni sociali e civili, sottolineando così anche il forte il valore sociale e culturale di Anas. Si susseguono così le varie immagini, per capitoli, legate agli eventi che si susseguirono dal 1928, anno in cui nasceva l’A.A.S.S. poi Anas, fino ai giorni nostri in cui possiamo vedere ad esempio le “strade del cinema” o percorrere le strade panoramiche.

FOLKSTUDIO 1961-67 EdiLet-Edilazio Letteraria

recensione a cura di Luisa Chiumenti Sandro Bari, in questo volumetto, con presentazione di Pippo Franco, racconta le vivide emozioni di quel mitico locale romano che fu il Folkstudio. L’atmosfera che vi regnava, ricordata ancor oggi dai moltissimi frequentatori del locale in quei fervidi anni ’60, si deve proprio all’intuizione che ebbe il suo fondatore, Harold Bradley che credette nella grande importanza che avrebbe avuto nel tempo. La tutela e conservazione di quello che si stava sviluppando in quegli anni: il folklore internazionale, il canto tradizionale, i blues, gli spiritual, il jazz. Harold Bradley era nato a Chicago in una famiglia che egli stesso definiva “arcobaleno” in quanto multietnica, con ascendenti Afroamericani, Choctaw e Germanici. Si stabilisce in Italia e comincia a cantare e con i “Folkstudio Singers” da lui fondati partecipa al Primo Festival Internazionale di Spoleto. Apre il suo studio di pittura a Roma che, nei primi anni ’60, trasforma in associazione culturale: nasce così il Folkstudio. Nel percorso della sua vita molto ricca e interessante fu attratto da varie attività, da sempre però fu affascinato dalle arti figurative, tanto che avrebbe lasciato il mitico locale da lui fondato, proprio alle soglie del movimento del ‘68 per dedicarsi, in America, all’insegnamento della pittura (operatore culturale per lo Stato dell’Illinois e nel carcere di massima sicurezza di Joliet). Ma eccolo di nuovo a Roma nel 1987 per esibirsi come cantante ed anche come attore. Basandosi sulle testimonianze di chi aveva partecipato personalmente a quelle atmosfere irripetibili. In particolare, nell’ambito della manifestazione Letture d’estate nei Giardini di Castel Sant’Angelo, una serata evento, lungo la scia romantica tracciata dall’autore del libro, è stata dedicata al Folkstudio. Organizzata dalla Casa Editrice Edilazio che ha appunto dato alle stampe l’interessante lavoro di Sandro Bari, alla presenza non solo del fondatore del Folkstudio, Harold Bradley, ma anche di artisti storici del mitico locale, i cui interventi, sono stati appunto coordinati da Mariarita Pocino, giornalista e direttore editoriale di Edilazio, e da Sandro Bari, autore del volume.




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