EMOTIONS MAGAZINE - DICEMBRE 2021 - GENNAIO 2022 - ANNO 12 N 49

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La magia

dell’inverno in…

Polonia.

Oltre ogni aspettativa

#poloniatravel

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SOMMARIO DICEMBRE | GENNAIO 2022 www.emotionsmagazine.com

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BELGIO

un viaggio Tra sToria, Tradizioni e arTe in vallonia

EMOTIONS

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CRACOVIA

IL FASCINO NOSTALGICO

BARCELLONA

IL MONDO ONIRICO DI GAUDÌ

CRACOVIA, costume tradizionale

Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Ideazione logo Ilenia Cairo

TAGIKISTAN

LUNGO LA PAMIR HIGHWAY

CAMPANIA

POLICROMIE AMALFITANE

Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Pamela McCourt Francescone Niccolò Garbarino Piergiorgio Pescali redazione@emotionsmagazine.com Fotografi Anna Alberghina Teresa Carrubba Pamela McCourt Francescone Piergiorgio Pescali

VALLONIA

IL CUORE VERDE DEL BELGIO

Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com

KALEIDOSCOPE •

HôTel Beau rivage Palace: prospiciente il piccolo porto di ouchy a losanna

greaT scoTland Yard: in un edificio edoardiano a due passi dalla centrale Trafalgar square

Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com Pubblicazione Rivista Online Paolo Milanese grafico@idra.it Editore Teresa Carrubba

COPENHAGEN

I GIARDINI DI TIVOLI

LIBRIEMOTIONS

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Casa Editrice che ne detiene i diritti.


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UNA DESTINAZIONE SU MISURA PER VOI.



S C R I V I A M O

A R T I C O L I

P E R

S U S C I T A R E

E M O Z I O N I

emotions continua a profondere sogni, instancabilmente, e lo farà fino a quando non potranno concretizzarsi nel progetto di un viaggio. spes ultima dea. immaginiamo di andare a cracovia, città dal misticismo soffuso dalle imponenti chiese che incombono sulle piazze del centro. e dalla collina di Wavel che domina il fiume vistola dall’alto del suo castello ammantato di storia e di leggenda e che racchiude, in una nicchia del museo, la preziosa “dama con l’ermellino” di leonardo da vinci. oppure in vallonia, “ il cuore verde del Belgio”, per visitare le architetture storiche di liegi imponenti quanto quelle moderne, come la stazione ferroviaria liège-guillemins, firmata da calatrava. e la città di Mons con ben due siti

TERESA CARRUBBA

unesco. a proposito di architetture d’autore, è intrigante l’itinerario tracciato a Barcellona da antoni

EDITORE, DIRETTORE RESPONSABILE

gaudí architetto spagnolo, massimo esponente del modernismo catalano. le sue opere sembrano uscite

tcarrubba@emotionsmagazine.com

da una favola, da un sogno. Morbide volute, ghirigori fantastici, stucchi e vetrate, fanno dei palazzi disegnati da gaudì delle opere d’arte irripetibili che culminano nella celeberrima sagrada Familia. un motivo in più per visitare la bellissima copenhagen è sicuramente rappresentato dal parco Tivoli, creato al tempo del re cristiano viii come luogo di svago cittadino con giochi, teatri, sale da concerti e punti di ristoro. oggi cuore pulsante della copenhagen ludica e mondana, luogo d’incontro di giovani e non, che trascorrono ore piacevoli fino al crepuscolo “ quando 120.000 lampadine iniziano ad accendersi illuminando lo skyline degli edifici più significativi”. un fine settimana tranquillo lo si può dedicare alla costiera amalfitana ripercorrendo la stessa via della ceramica lungo la quale artisti di fama come “richard dolker e irene Kowaliska, che con l'aiuto di guido gambone hanno rilanciato il nome e i temi della ceramica vietrese in tutto il mondo”. Ma emotions non poteva trascurare neanche in questo numero un viaggio naturalistico e antropologico in civiltà lontane. il Tagikistan, dalla natura aspra che si erge in possenti montagne e si placa nelle bellissime vallate del lago nurek e quelle del corridoio del Wakhan, si vivacizza nei villaggi, come quello di langar, dalle case decorate con i suzani, tipici ricami islamici. o nel villaggio Bulunkul dove “vivono diverse famiglie che allevano yak e sopravvivono faticosamente in questo habitat inospitale”.

Barbacane, Cracovia

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testo di Teresa carruBBa

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LA TORRE DEL MUNICIPIO, RYNEK GLOWNY

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P OLO N I A

IL FASCINO NOSTALGICO DI CRACOVIA LE BELLE FORME ARCHITETTONICHE, L’IMPONENZA DEI MONUMENTI CHE DI GIORNO SI CARICANO DELLA FORZA DELLE LORO LINEE, AL CALAR DELLA NOTTE SFUMANO IN UNA MISE EN SCÈNE ROMANTICA E DRAMMATICA INSIEME

LA PIAZZA DEL MERCATO, RYNEK GLOWNY

E’ nella Piazza del Mercato, Rynek Glòwny, che si tocca il cuore palpitante di Cracovia. All’improvviso lo sguardo si perde in questa immensità sontuosa e lineare, vivace e pacificante. Come tutto il centro storico, è Patrimonio UNESCO già nella prima lista del 1978 insieme alla miniera di sale di Wieliczka. Rynek Glòwny, luogo di arte e di storia, di incontri e di divertimento. La luce del sole e la sapiente illuminazione che accende tutto quando scende la sera, danno a questa piazza identità completamente diverse. Le belle forme architettoniche, l’imponenza dei monumenti che di giorno si caricano della forza delle loro linee, al calar della notte sfumano in una mise en scène romantica e drammatica insieme. Le chiese assumono il massimo della spiritualità e, di contro, le eleganti terrazze del Grande Mercato, esprimono un’atmosfera elegantemente mondana. A sera, i nume-

rosi caffè all’aperto si animano soprattutto di giovani, quelli stessi che di giorno studiano nella prestigiosa Università Jagellonica, che dal 1364 dà lustro a questa città e a tutta la Polonia anche grazie all’antica sede Collegium Maius, una delle massime espressioni dell’architettura tardogotica realizzata nel 1492 dal maestro Johann. Nel museo del Collegium Maius è custodita la più importante collezione di mappamondi antichi tra cui un esemplare in oro del 1510 in cui viene raffigurata per la prima volta il Nuovo Mondo con le Americhe, e migliaia di stampe antiche compreso il manoscritto originale di Copernico, che fu studente proprio in questa Università, “De revolutionibus orbium coelestium”, del 1543. Nella Piazza del Mercato si erge la Torre dell’antico Municipio dalla cui finestra più alta ogni ora proviene uno squillo di tromba. Oggi è Museo Nazionale.

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IL FASCINO NOSTALGICO DI CRACOVIA

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IL CASTELLO REALE DI WAWEL

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IL FASCINO NOSTALGICO DI CRACOVIA

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LA CHIESA DELLA SANTISSIMA VERGINE MARIA


POLONIA

IL CASTELLO REALE DI WAWEL E LA CATTEDRALE DI SAN VENCESLAO

LE NUMEROSE CARROZZE A CAVALLI, ELEGANTEMENTE LACCATE DI BIANCO E QUASI SEMPRE GUIDATE DA DONNE IN DIVISA DI RITO La Chiesa della Santissima Vergine Maria, nota soprattutto per l’originale e preziosa pala d’altare, il polittico realizzato nel 1489 dallo scultore Wit Stwosz, considerato l’opera d’arte medievale più grande e più importante del suo genere. Una fedele vecchina, con semplice ma commovente ritualità, apre il polittico tutti i giorni alle 11,50 in punto e lo richiude alle 18, fatta eccezione per il sabato quando viene lasciato aperto fino alla messa di domenica. Ma il fulcro spettacolare della Piazza è il cosiddetto Mercato dei Panni, un maestoso edificio gotico del XIV secolo, i cui portici, una volta adibiti alla vendita dei tessuti, sono oggi occupati da interessanti botteghe di artigianato. Le forme rinascimen-

tali che il Mercato presenta sono da attribuire a Giovanni Maria Padovano che nel XVI secolo rimaneggiò l’edificio. Le sculture che ornano l’attico sono invece di Santi Gucci. L’altro polo fortemente attrattivo di Cracovia è La collina di Wawel. Dalla Piazza del Mercato la si può raggiungere a piedi o, meglio ancora, mediante una delle numerose carrozze a cavalli, elegantemente laccate di bianco e quasi sempre guidate da donne in divisa di rito. La collina di Wawel, cittadella fortificata che domina una bella ansa della Vistola, costituisce il nucleo originario della città medievale nel quale i sovrani polacchi stabilirono la loro residenza. Testimonianza della storia artistica, militare e politica della Polonia. EMOTIONS

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IL FASCINO NOSTALGICO DI CRACOVIA

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IL COSIDDETTO MERCATO DEI PANNI

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POLONIA IL MERCATO DI RYNEK GLOWNY

CRACOVIA È CIRCONDATA DA UNA FASCIA DI GIARDINI CHE SEGUONO IL PERCORSO DELLE ANTICHE MURA, PER LO PIÙ DISTRUTTE Qui, la Cattedrale di San Venceslao, uno dei luoghi di culto più importanti della Polonia dove sono sepolti i più importanti regnanti polacchi, è un interessante amalgama di stili, dal gotico al barocco. E poi il Palazzo Reale o Castello di Wawel, oggi museo, che espone splendidi arazzi, il tesoro della corona, insegne reali e mobili antichi di grande valore artistico ed una chicca straordinaria quanto emozionante: La Dama con l’ermellino di Leonardo Da Vinci, esposta in una sala riservata con un allestimento di grande effetto. Cracovia è circondata da una fascia di giardini che seguono il percorso delle antiche mura, per lo più distrutte. Il miglior ingresso si ha dal punto più conservato e suggestivo della cinta muraria e cioè dal Barbacane, la torre difensiva costruita a fine XV secolo, anticamente unita alla porta S. Floriano con un ponte levatoio. Da qui parte la via più cool di Cracovia, Ulica Florianska, tratto della Via Reale attraverso la quale i regnanti entravano in città dal Wawel, oggi centro animatissimo per lo shopping e la mondanità. 18

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LA COLLINA DI WAWEL RIVA SUL FIUME VISTOLA


CRACOVIA SOTTERRANEA

E’ dagli scavi effettuati a Rynek Glòwny, la Piazza del Mercato, che è nata questa idea vincente. Costruire un museo sotterraneo seguendo le orme dei primi insediamenti urbani risalenti all’assetto medievale della Piazza. La fedele ricostruzione effettuata utilizzando i reperti archeologici ed architettonici: frammenti degli edifici, della colonia rurale, delle botteghe, e persino dell'acquedotto e del lastricato, permette ai visitatori di conoscere le varie funzioni che un tempo svolgeva la Piazza Centrale. L'esposizione fissa dal titolo “Il Commercio e la vita quotidiana della piazza di Cracovia (XIII - XVIII secolo)" mostra e dettaglia proprio questo aspetto. Vengono illustrate le vecchie abitudini culturali, grazie a reperti riemersi dagli scavi, come ad esempio oggetti di artigianato risalenti al secolo XI e XVIII. I reperti in pietra scoperti all'incrocio chiamato dei "Ricchi Commercianti di Cracovia" dove si trovavano i più prestigiosi negozi siti nei vecchi edifici commerciali di Cracovia, i muri di questi negozi e il selciato medievale ricompongono la storia economica di quella che allora era tra le più grandi piazze europee. Filmati, touchscreen, ologrammi, e persino una zona dedicata ai bambini, rendono questo museo molto fruibile ed istruttivo.

NOWA HUTA

E’ nato attorno all’enorme acciaieria creata per volere di Stalin, il quartiere industriale Nowa Huta, regalo dell'Unione Sovietica al popolo polacco. Doveva essere un forte insediamento operaio, una moderna città autonoma e indipendente da Cracovia, ritenuta troppo intellettuale e borghese, allo scopo di far nascere qui una nuova società socialista. Larghi viali e confortevoli palazzi costruiti per gli operai, con scuole, botteghe e quant’altro. Ma le cose non andarono secondo i piani e il progetto grandioso fu un enorme fallimento. I lavoratori dell'acciaieria furono tra i primi a ribellarsi al governo comunista e a combattere per i loro diritti.

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LA FABBRICA DI SCHINDLER Cracovia ha anche una storia dolorosa da raccontare. E lo fa attraverso Kazimierz, il quartiere ebraico, che vide deportare la sua comunità negli anni bui dell'invasione nazista. Uno scempio per l’Umanità ricordato soprattutto nella Piazza degli Eroi, proprio qui nel ghetto. Una piazza volutamente desolata con un agghiacciante monumento alla memoria: settanta sedie vuote, che a sera si illuminano, ciascuna con un faretto. Dura testimonianza di altrettante case rimaste vuote dopo la deportazione. Dopo un attimo di sgomento, il silenzio di quella Piazza può diventare un rumore insopportabile. E’ qui che Spielberg ambientò il suo noto film Schindler’s List. Qui dove sorgeva la fabbrica di stoviglie smaltate che l’imprenditore tedesco Oskar Schindler comprò impiegando circa 1200 lavoratori ebrei. Quando i nazisti iniziarono il rastrellamento degli ebrei che vivevano nel distretto di Podgorze, Schindler li salvò dichiarando che erano fondamentali per il lavoro della fabbrica e per la produzione delle pentole destinate all'esercito tedesco. Fu così che, almeno quei 1200 operai non furono deportati nel vicino campo di Auschwitz. Oggi la fabbrica di Schindler è diventata un museo dove si può visitare l'ufficio di Schindler e una toccante mostra audio-visiva intitolata “Cracovia durante l’occupazione nazista 1939-1945”, che ripercorre il periodo più tragico della storia della città e della Polonia tutta.


IL FASCINO NOSTALGICO DI CRACOVIA

MINIERA DI SALE DI WIELICZKA

E’ un grandioso monumento al lavoro, la miniera di sale di Wieliczka. Nel sottosuolo di questo piccolo centro alla periferia di Cracovia non ci sono infatti solo pozzi estrattivi e gallerie, c’è un intero mondo fatto di fatica, di gioia e di dolore, Insomma della storia di un popolo di minatori che hanno fatto di questa risorsa naturale un vanto per Cracovia e per la Polonia, riconosciuto tale anche dall’UNESCO che lo inserì già nella prima lista del 1978. La discesa estenuante, quasi ossessiva, ruotando continuamente intorno a se stessi per 800 gradini - 400 per ogni livello visitabile - permette di penetrare gradualmente in quell’universo sotterraneo e di percepirne l’alterità dal mondo esterno. Cunicoli infiniti con pareti di sale puntellate da travi di legno, infinite porte da aprire per entrare in altri cunicoli, e poi ancora in altri. Man mano che le gallerie più alte si esaurivano e venivano abbandonate, esse diventavano la ricostruzione ambientale delle antiche tecniche di estrazione e dei rudimentali strumenti di trasporto. Dentro di esse veniva scolpito tutto con il sale, che oltre alla materia grezza di base, detta pietra di sale, fornisce preziosi cristalli con i quali sono stati costruiti i ricchi lampadari della cosiddetta “Cattedrale”, una immensa quanto suggestiva sala, con notevoli bassorilievi - c’è persino l’ultima cena - scolpiti nella pietra di sale da minatori-artisti. La miniera, di cui attualmente è possibile visitare solo 3 chilometri dei 300 totali, necessita di una mastodontica e continua opera di manutenzione che, lodevolmente, occupa gli stessi minatori che un tempo qui estraevano il sale. Va da sé che la miniera, meta di circa un milione di visitatori l’anno, è stata adeguata alle nuove tecnologie audiovisive che la rendono più attraente e maggiormente fruibile. E, grazie alla costante opera di valorizzazione, da qualche anno è diventata un affascinante palcoscenico di concerti, incontri culturali e persino matrimoni.

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M41 Lungo la T A G I K I S

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T A N

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a Pamir Highway testo e foto di anna alBergHina

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TAG IK I STA N

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ROA D

Lungo la Pamir Highway COME TUTTI I VIAGGI “ON THE ROAD” CHE, DA SEMPRE, SOLLETICANO LA MIA ASPIRAZIONE ALLA VITA NOMADICA, AVEVO DECISO CHE, PRIMA O POI, AVREI DOVUTO PERCORRERE LA M41 CONOSCIUTA CON IL POMPOSO NOME DI “PAMIR HIGHWAY”. CON I SUOI 1200 KM DI STERRATO, COLLEGA DUSHANBE, LA CAPITALE DEL TAGIKISTAN, CON OSH IN KIRGHIZISTAN. Tra tutti gli stati che finiscono con “stan” il Tagikistan è forse il meno conosciuto (non che gli altri lo siano molto di più). Il suffiso -stan (o sthan) significa posto, terra, nazione e deriverebbe dal sanscrito sthana (luogo, casa). Dopo il primo impatto, questo Paese, incastonato tra Cina, Afghanistan, Kirghizistan e Uzbekistan, vi resterà nel cuore per la bellezza sconcertante delle sue montagne ma anche per la sua cultura millenaria e, soprattutto, per la cordialità dei suoi abitanti. Come tutti i viaggi “on the road” che, da sempre, solleticano la mia aspirazione alla vita nomadica, avevo deciso che, prima o poi, avrei dovuto percorrere la M41 conosciuta con il pomposo nome di “Pamir Highway”. Con i suoi 1200 km di sterrato, collega Dushanbe, la capitale del Tagikistan, con Osh in Kirghizistan. Con il senno di poi non avrei potuto fare scelta migliore. Il Pamir occupa tutto il Tagikistan orientale ed è veramente un paese a sé. Rappresenta il 45% del territorio tagico ma ospita solo il 3% del-

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l’intera popolazione. Vi si parlano lingue di derivazione iranica e vi si professa l’islamismo sciita ismailita che riconosce nell’Aga Khan il proprio capo spirituale mentre tutto il resto del Paese è, invece, sunnita. Marco Polo, nel XIII secolo, fu il primo europeo a raccontare la sua traversata del Pamir ma, dopo di lui, furono ben pochi quelli che seguirono le sue orme, almeno fino alla metà del XIX secolo. La maggior parte degli abitanti vive in piccoli villaggi annidati in mezzo a suggestive valli solcate da fiumi e circondate da altissime vette innevate. È una regione estremamente remota che rimane isolata per diversi mesi all’anno e i suoi abitanti hanno dovuto sviluppare un particolare stile di vita per poter sopravvivere. Arrivata a Dushanbe, il maggior centro economico e culturale del paese, mi accorgo che sta succedendo qualcosa. Accanto agli edifici storici di stampo sovietico stanno crescendo a vista d’occhio lussuosi grattacieli che saranno ben presto pronti ad accogliere moderni centri commerciali.


MONUMENTO A ISMOILI SOMONI, DUSHANBE

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TAGIKISTAN ON THE ROAD

FORTEZZA DI HISSAR, DUSHANBE

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TAGIKISTAN ON THE ROAD Si potrebbe pensare ad un boom economico ma il tenore di vita della popolazione non si eleva molto dalla semplice sussistenza. Il reddito pro capite è bassissimo e la corruzione imperversa ovunque. Dopo la caduta dell’URSS nel 1991, il Tagikistan ottenne l’indipendenza ma questo traguardo coincise, purtroppo, con lo scoppio di una sanguinosa guerra civile dovuta all’opposizione tra il partito islamico e quello democratico. La guerra degenerò, ben presto, in una pulizia etnica che causò decine di migliaia di morti e costrinse milioni di persone ad espatriare. Nel 1997 il Presidente democratico Rahmonov confinò i ribelli nel vicino Afghanistan ma, ancora oggi, essi alimentano i conflitti tanto da aver reso necessario l’appoggio dell’esercito russo. Le profonde ferite della guerra sono tutt’altro che rimarginate. Lasciata Dushanbe, i primi 150 km di strada (che non sono ancora sull’M41) ci regalano bellissimi panorami sul lago Nurek prima di raggiungere, nel primo pomeriggio, il fiume Panj, affluente del grande bacino dell’Amu Darya, che segna il confine naturale tra Tagikistan e Afghanistan e che ci farà compagnia per diversi giorni. Il primo tratto di strada è stato recentemente asfaltato dai Cinesi ed è in ottime condizioni. Sembra incredibile che, sull’altra sponda del tumultuoso fiume, soltanto un precario sentiero colleghi piccoli villaggi di case in pietra e fango dove la vita scorre immutata da secoli. L’Afghanistan è

a pochi metri da noi ma è praticamente impossibile raggiungerlo: gettarsi nelle rapide sarebbe un suicidio. Dopo Kalai-Khum possiamo dimenticarci ogni traccia di modernità. Da qui si inizia a ballare: la strada è super panoramica ma sterrata e alcuni tratti sono pericolosissimi. Due corsie scarse costeggiano il fiume senza alcun tipo di protezione. Siamo finalmente nel vivo del Pamir. Dopo una successione infinita di panorami mozzafiato raggiungiamo Khorog, il capoluogo della regione di Gorno-Badakhshan, a 2200 m di quota, dove le acque ghiacciate del fiume Gunt incontrano il Panj. Ben presto ci inoltriamo nel remoto e selvaggio Corridoio del Wakhan. Sospeso in un tempo idilliaco, ci coglie di sorpresa. Si tratta di due lunghe valli scavate dai ghiacciai, nascoste nei più profondi recessi delle grandi catene montuose dell’Asia centrale, che formano una propaggine allungata che spunta dall’estremo Nord-Est dell’Afghanistan. Il Corridoio del Wakhan è il risultato del cosiddetto “Great Game”, un conflitto sotterraneo tra l’impero britannico e quello russo per il controllo dell’Asia centrale che durò per quasi tutto l’Ottocento. Attraverso una serie di trattati stipulati tra il 1873 e il 1895, le due potenze crearono una “zona cuscinetto” per evitare il contatto diretto tra la Russia zarista e l’India britannica. La zona faceva parte dell’antica Via della Seta e fu percorsa da armate, esploratori e missionari. IL ‘SUZANI’, TIPICO RICAMO ISLAMICO A MOTIVI FLOREALI

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CASA MUSEO DI MUBARAK KADAM WAKHANI

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TAGIKISTAN ON THE ROAD

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TAGIKISTAN ON THE ROAD

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LAGO NUREK

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TAGIKISTAN ON THE ROAD

LAGO BULUNKUL

Partiamo di buon’ora per visitare le fortezze di Kah-Kaa e Yamchum. In posizione sopraelevata sul fiume, offrono una vista spettacolare su tutta la vallata. In questa zona ci sono molte fortezze che risalgono all’epoca della Via della Seta e, tuttora, vengono utilizzate come posto di guardia dall’esercito tagiko per controllare i confini. Sopra la fortezza di Yamchum si trovano le sorgenti termali di Bibi Fatima e la credenza locale vuole che, bagnandosi in queste acque a 40°C, le donne possano aumentare la loro fertilità. Da lì andiamo a visitare la casa-museo del mistico Mubarak Kadam, una casa in stile locale molto interessante per raggiungere, infine, il pittoresco villaggio di Langar. I bimbi ci accolgono in abiti tradizionali e, dopo una cena sontuosa, trascorreremo una piacevole serata fra musica e canti. Le pareti sono decorate da splendidi “suzani”, il tipico ricamo islamico a motivi floreali. Un tempo i suzani venivano realizzati dalle spose dell'Asia centrale come parte del loro corredo e presentati al marito il giorno del matrimonio. Creati per mostrare devozione al promesso sposo, in tempi di magra potevano essere barattati in cambio di denaro. La storia di ciascuno di questi suzani è ricca come i loro colori e intricata come i disegni che coprono le loro superfici. 34

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MI ACCORGO CHE QUESTO REMOTO ANGOLO DI MONDO AVEVA IN SERBO PER ME CONTINUE SORPRESE Il giorno seguente imbocchiamo un percorso di alta quota particolarmente impervio. L’autista ci avverte: non potremo fermarci spesso perché, sopra i 4000 metri, il diesel non brucia e, in caso di bisogno, nessuno potrebbe prestarci soccorso! Nella solitudine assoluta si scorgono, in lontananza, carovane di nomadi con i loro cammelli. Mille curve a strapiombo attraverso un paesaggio lunare dai colori incredibili ci conducono infine ai laghi Yashil Kul e Bulunkul. Nel piccolo insediamento di Bulunkul vivono diverse famiglie. Allevano yak e sopravvivono faticosamente in questo habitat inospitale. Si difendono dal freddo estremo (l’inverno scorso il termometro ha toccato i -60° C) bruciando lo sterco degli animali. Qui cresce a malapena l’erba, figuriamoci gli alberi. Coltivano ortaggi in piccole serre riscaldate con pannelli solari. Sono commossa dalla loro ospitalità. Mi accorgo che questo remoto angolo di mondo aveva in serbo per me continue sorprese. Come nella vita, dunque, il cammino era più importante della meta.


ESTERNO E INTERNO DI UNA YURTA , BULUNKUL

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TAGIKISTAN O

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ON THE ROAD

LE MONTAGNE DEL PAMIR AFGANO

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STO R IA ,

TR A DI ZIO N

Il cuore ver

testo di PaM

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VA LLO N IA

rde del Belgio

Mela MccourT Francescone

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IL CAMPANILE, MONS

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TRA STORIA , TRADIZIONI E ARTE IN VALLONIA

Il cuore verde del Belgio COSÌ È STATO IL LUNGO WEEKEND CHE HO PASSATO IN VALLONIA, IL CUORE VERDE DEL BELGIO, TRA NATURA E STORIA, ARCHITETTURA E ARTE, GASTRONOMIA E TRADIZIONI LUNGO PERCORSI FACILMENTE RAGGIUNGIBILI DALLA CAPITALE BRUXELLES

LA COLLÉGIALE SAINTE-WAUDRU, MONS Al viaggiatore curioso e zelante possono bastare pochi giorni per calarsi nella realtà di una regione, scoprendone gli angoli più intriganti, gli scorci più inaspettati e i luoghi più affascinanti della sua storia e la sua natura. E proprio perché il tempo non basta per smascherarli fino in fondo, il desiderio di ritornare diventa una ghiotta promessa di piaceri ancora da scoprire. Così è stato il lungo weekend che ho passato in Vallonia, il cuore verde del Belgio, tra natura e storia, architettura e arte, gastronomia e tradizioni lungo percorsi facilmente raggiungibili dalla capitale Bruxelles. Prima tappa Liegi, l’anima latina del Belgio, una città che sorprende per la sua diversità: dall’architettura del maestoso Palazzo dei Principi-Vescovi che oggi ospita la sede del Governo Provinciale e il Palazzo di Giustizia e dove, sulle colonne del chiostro, sono incisi i volti di indigeni americani e una citazione di Leonardo da Vinci, ai graziosi caffé che invadono i marciapiedi del centro storico. E da Le Carré, dove la movida notturna si articola su antiche strade acciot-

tolate, alla straordinaria stazione ferroviaria Liège-Guillemins, opera dell’architetto spagnolo Santiago Calatrava. Un importante snodo ferroviario concepito come uno smisurato volto in vetro e acciaio che svetta, monumentale e leggiadro, sopra i binari come un’onda impetuosa e possente, scintillante di trasparenze e di luce che sfida e trasforma il paesaggio urbano circostante. Nella graziosa città di Mons sorgono due siti UNESCO: la Collégiale Sainte-Waudru e il Campanile. All’interno dell’austera e magnifica chiesa viene custodito il Carro d’Oro che ogni anno, il giorno di Pentecoste, sfila trionfalmente per le vie cittadine insieme al reliquiario di Saint-Waudru, la patrona di Mons. La celebrazione giunge all’apice a mezzogiorno quando il Carro d’Oro, spinto dai cittadini in costumi medievali, rimonta la salita che affianca la chiesa alle note del “Doudou”, una canzone popolare che annuncia l’inizio della rievocazione del combattimento storico, detto Lumeçon, che rappresenta lo scontro tra San Giorgio e il Drago, i simboli del bene e del male. EMOTIONS

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Il cuore verde del Belgio

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GRAND PLACE, MONS

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Il cuore verde del Belgio

OGGI BOIS DU CAZIER È UN LUOGO DELLA MEMORIA ISCRITTO AL PATRIMONIO MONDIALE DELL’UNESCO, E IL MUSEO DELLA MINIERA, DEL VETRO E DELL’INDUSTRIA È UN’ESPOSIZIONE PERMANENTE CHE TESTIMONIA LA TRAGEDIA DI QUELL’8 AGOSTO 1956 Nei secoli in Vallonia sono passati tanti popoli, dai galli ai romani e dagli spagnoli ai tedeschi, lasciando le loro influenze sul territorio e anche sulla gastronomia tradizionale. Liegi è famoso per le sue Gauffres, gustose cialde dolci che spesso vengono servite con panna montata e le famose fragole di Wépion. Un'altra specialità di Liegi sono i Boulets, gustose polpette servite in un sugo di coniglio e Sirpo de Liège, una saporita confettura di mele e pere, mentre il fast-food più amato dai giovani è la Mitraillette (la mitra), un panino croccante con patate fritte, carne, maionese e ketchup. Ottimi i formaggi come l’Herve, mentre la Flamiche è una torta di formaggio che spesso accompagna i dolci prosciutti delle Ardennes. Come in tutto il Paese, non mancano le birre regionali, molte delle quali sono prodotte in piccoli birrifici spe-

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cializzati, e non si può lasciare la Vallonia senza provare il distillato locale il Pékèt “piccante o pizzichino,” al naturale o con l’aggiunta di succo di fragola, violetta, vaniglia o caramello. A pochi chilometri da Charleroi, a Bois du Cazier, si trova la miniera di Marcinelle dove 65 anni fa morirono 262 minatori, dei quali 136 italiani, in una delle più grandi sciagure minerarie della storia. Oggi Bois du Cazier è un luogo della memoria iscritto al Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, e Il Museo della Miniera, del Vetro e dell’Industria è un’esposizione permanente che testimonia non solo la tragedia di quell’8 agosto, ma tutta la dolorosa storia degli oltre 140mila italiani che, tra il 1946 il 1956, hanno lasciato il loro Paese per lavorare nelle miniere di carbone della Vallonia.


IL PONTE FRAGNEE. LIEGI

LA MINIERA DI MARCINELLE A BOIS DU CAZIER

Nell’esteso complesso architettonico si possono visitare gli edifici adibiti a uffici e i laboratori, mentre un percorso didattico segue le tracce dei minatori, dal guardaroba dove appendevano le tute di lavoro alle docce, e dalla lampisteria dove caricavano le loro lampade fino alle gabbie che scendevano nei tunnel sotterranei per estrarre il carbone. Sul piazzale accanto al cancello d’ingresso sorge un monumento candido con sopra scritto i nomi dei minatori che persero la vita a Marcinelle, mentre le due torri che azionavano le carrucole si stagliano contro il cielo, testimoni silenziosi di una terribile tragedia umana. www.belgioturismo.it www.twizz.it www.brusselsairlines.com

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IL PONTE SUL FIUME MOSA, LIEGI

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Il cuore verde del Belgio

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LIEGI, LA CITTÀ VECCHIA E UNA VEDUTA DALL’ALTO

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LA BATTAGLIA DI WATERLOO Nel 1815 la Vallonia ha vissuto uno degli scontri militari più

famosi di tutti i tempi la Battaglia di Waterloo, dove nella lo-

calità di Mont Saint-Jean, i 120mila soldati di Napoleone sfidarono le 200mila truppe nemiche - gli inglesi di Wellington

e i prussiani di Blücher - lasciando sul campo di battaglia die-

cimila morti e oltre trentamila feriti. Nel Museo una tela dipinta offre una vista panoramico a 360° della battaglia,

mentre sono 226 gli scalini che salgono la Collina del Leone,

il luogo dove fu ferito il Principe d’Orange. In cima al colle

un colossale leone, forgiato dal ferro recuperato dai cannoni

francesi dopo la battaglia, guarda fiero verso la Francia, una

testimonianza commovente alla sconfitta napoleonica. DIPINTO DI FELIX PHILIPPOTEAUX DEL 1874

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Il cuore verde del Belgio

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STAZIONE FERROVIARIA LIÈGE-GUILLEMINS, DELL’ARCHITETTO SPAGNOLO SANTIAGO CALATRAVA

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testo di Piergiorgio Pesc

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cali foto di Piergiorgio Pescali e arcHivio

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DANIMARCA COPENHAGEN

I GIARDINI DI TIVOLI UN MONDO DI MAGIA

LA STATUA DI FREDERIK III AL PALAZZO DI CHRISTIANSBORG

SE DA UNA PARTE IL REGNO DI CRISTIANO VIII FU CONTRADDISTINTO DA UNA RIGIDEZZA POLITICA, DALL’ALTRA FU CARATTERIZZATO DA UNA FIORITURA CULTURALE SENZA PRECEDENTI E DA TIMIDE RIFORME ECONOMICHE. A differenza del predecessore, il nuovo sovrano era estremamente colto e nutriva una grande passione per le scienze. Durante i suoi viaggi in Italia, Grecia e Medio Oriente trasferì numerose opere d’arte a Copenhagen sviluppando così la collezione classica del Museo nazionale danese. Durante il suo regno, in Danimarca fiorì un’Età dell’oro che portò la piccola nazione ad occupare i posti più privilegiati delle arti in Europa. In campo letterario trovarono spazio scrittori come Hans Christian Andersen e Søren Kierkegaard; nella scienza Hans Christian Ørsted scoprì il campo magnetico indotto da corrente elettrica mentre nella scultura trovarono ampio consenso le opere di Bertel Thorvaldsen. La distruzione di Copenhagen da parte degli inglesi avvenuta all’inizio del secolo permise agli architetti danesi di sbizzarrire la loro fantasia e la capitale danese rifiorì in una nuova linea neoclassica che ancora oggi trova il suo spazio tra edifici di stile moderno.

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Fu in questo contesto che un ufficiale militare, Johan Bernhard Georg Carstensen, ebbe l’idea di presentare al re una sua idea stravagante: quella di trasformare uno stagno, residuo del fossato che circondava la città nel XVIII secolo, in luogo di divertimento pubblico. Il parco sarebbe sorto all’esterno delle mura cittadine. Era il 1842 e Cristiano VIII, asceso al trono da soli tre anni, si trovava a dover fronteggiare proteste popolari e politiche patrocinate dai liberali. Si narra che per indurre il sovrano a patrocinare il suo progetto, Carstensen affermò che «Quando il popolo si diverte, non pensa alla politica». Che la frase fosse stata realmente pronunciata o no, ciò che scaturì dall’incontro tra l’ufficiale danese e il suo re, fu la cessione annuale di 15 acri di terreno su cui poter costruire giochi, teatri, ristori, sale da concerti. Avendo preso spunto dai Giardini di Tivoli di Parigi e dai Giardini Vauxhall di Londra, il parco, che aprì le porte il 15 agosto 1843, venne inizalmente chiamato Tivoli & Vauxhall perdendo, col tempo, il secondo nome.


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I GIARDINI DI TIVOLI UN MONDO DI MAGIA

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I GIARDINI DI TIVOLI UN MONDO DI MAGIA TIVOLI È RIUSCITA A SOPRAVVIVERE ANCHE ALL’ESPANSIONE DI COPENHAGEN INIZIATA DOPO GLI ANNI CINQUANTA DEL XIX SECOLO

Per omaggiare il proprio sovrano e la sua passione per le arti, Carstensen volle anche dotare Tivoli di una vera e propria orchestra e non badò a spese: ingaggiò Hans Christian Lumbye che divenne il primo direttore di quella che oggi è la Copenhagen Philarmonic Orchestra (anche conosciuta come Tivoli Symphony Orchestra). Lumbye, ammiratore di Strauss, compose decine di opere che rispecchiano l’influenza del musicista austriaco, tanto da essere soprannominato lo “Strauss del Nord” (i danesi, per rivalutare la peculiarità della musica del loro connazionale, soprannominarono il figlio di Strauss, Johan Strauss II, il “Lumbye del Sud”). Cristiano VIII morì nel 1848 lasciando incompiuto un progetto costituzionale che, secondo alcuni storici avrebbe pur preso in considerazione negli ultimi anni della sua vita. «Jeg nåede det ikke», «non sono riuscito a farlo» sembra che furono le sue ultime parole riferendosi all’idea di riforme politiche che avrebbe avuto in mente. Johan Bernhard Georg Carstensen gli sopravvisse altri nove anni, ma, dopo essere stato allontanato dalla gestione dei Giardini di Tivoli per dissapori con i finanziatori, perseguì la carriera militare nelle Indie Occidentali danesi (le isole caraibiche di Saint Thomas, Saint John e Saint Croix) per poi approdare a New York dove progettò il New York Crystal Palace. Nel 1855, tornato a Copenhagen, si dedicò alla fondazione dell’Alhambra nel tentativo di rivaleggiare con i Giardini di Tivoli. L’Alhambra, che avrebbe dovuto sorgere a Frederiksberg, fallì ancora prima

HANS CHRISTIAN ANDERSEN VISITAVA SPESSO TIVOLI, UN’OASI DI PACE E BELLEZZA RISPETTO AI BASSIFONDI DI NYHAVN, DOVE LO SCRITTORE ABITAVA di poter nascere e Carstensen morì, con il rimpianto di non essere stato in grado di creare un degno contendente a Tivoli, il 4 gennaio 1857. Nonostante il suo fondatore e ideatore fu costretto a lasciare ad altri la sua creazione, Tivoli ha potuto continuare a sopravvivere anche grazie alla filosofia iniziale di Carstensen: «Tivoli, per così dire, non sarà mai terminata» ebbe a dire l’ufficiale danese. E così fu dalla sua nascita fino ad oggi riuscendo anche a sopravvivere all’espansione di Copenhagen iniziata dopo gli anni Cinquanta del XIX secolo. Agli iniziali giochi di divertimento se ne sono continuati ad aggiungere sempre altri. Un prospetto di sviluppo che venne in seguito adottato anche da un ammiratore di Carstensen: Walt Disney, che proprio da Tivoli prese spunto per la costruzione di Disneyland. I giardini ebbero immediatamente immenso successo: le famiglie della città potevano pranzare e cenare nei giardini che, durante l’estate, si coloravano di migliaia di fiori e aiuole riparandosi all’ombra di alberi secolari, mentre diversi furono gli artisti che presero spunto da questo parco per scrivere le loro opere. Hans Christian Andersen visitava spesso Tivoli, un’oasi di pace e bellezza rispetto ai bassifondi di Nyhavn, dove lo scrittore abitava in tuguri tra marinai in cerca di risse, ubriachi e criminali. Da queste incursioni nacquero idee che si concretizzarono in quelle che diverranno le sue famose fiabe.

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DANIMARCA COPENHAGEN

Il fascino orientale che, complice la colonizzazione, aveva ammaliato le corti europee riversò sui giardini danesi la sua ricchezza architettonica mentre la Commedia dell’Arte introdotta a Copenhagen dall’italiano Giuseppe Casorti fece la sua comparsa nel teatro di fattura cinese sin dal 1874 il cui sipario è una curiosa coda di pavone meccanica. Nei primi anni del XX secolo fecero la loro apparizione alcuni degli edifici che continuano a identificare i Giardini di Tivoli: nel 1900 sul lago venne costruito un grande galeone pirata, il St. George, che ancora oggi ospita uno dei tanti ristoranti del parco, mentre dalla parte opposta il padiglione cinese riproduce un piccolo angolo di Oriente. Nel 1909 sorse un altro edificio storico: il Nimb, un hotel che ricorda l’architettura Mughal indiana. Nel 1914 il Ruchtebanen, uno dei primi ottovolanti al mondo ed uno dei sette ancora funzionanti interamente in legno incominciò a sferragliare lungo le rotaie. Per evitare che il convoglio raggiunga una velocità troppo elevata, è possibile vedere ancora oggi un addetto in piedi sul vagone posteriore controllare e frenare la corsa. Chi volesse aumentare la propria adrenalina può optare per il più moderno Demon, che ripropone il tema orientale cinese tanto caro ai primi dirigenti del parco o il più datato Vertigo, un ottovolante che raggiunge i 100 km/h di velocità con diverse inversioni. 62

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IL TEATRO DI FATTURA CINESE IL CUI SIPARIO È UNA CURIOSA CODA DI PAVONE MECCANICA Influenzato pesantemente dalla colonizzazione, Tivoli, come molte altri parchi e circhi in Europa e nelle Americhe, ingaggiò numerose “mostre umane” con l’intento di far vedere ai danesi culture lontane ed esotiche. Mentre in Gran Bretagna spopolavano i Kayan (le “donne giraffe”) della Birmania, migliaia di cittadini di Copenhagen e città limitrofe affluirono per osservare le esibizioni di incantatori di serpenti, danzatori ed equilibristi indiani, o principesse cinesi. Non mancano le statue, di cui Copenhagen è famosa, e di cui anche i Giardini non han voluto privarsi. La più nota ed amata è quella che ricorda Niels Henrik Volkersen, l’attore che vestì i panni di Pierrot nel Teatro di pantomima tra il 1843 al 1893. È questo il posto che si è trasformato in luogo d’incontro tradizionale per amici e conoscenti che si danno appuntamento ai Giardini. E Tivoli diventa magico al crepuscolo, quando 120mila lampadine iniziano ad accendersi illuminando lo skyline degli edifici più significativi. È a questo punto che i turisti si affollano per farsi fotografare davanti al padiglione cinese o al Nimb aspettando i fuochi d’artificio che, ogni sabato da maggio a settembre, illuminano il cielo di Copenhagen.


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il mondo onirico di

GAUDì testo di luisa cHiuMenTi

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CASA BATLLÒ

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GAUDì

GAUDÌ PROVENIVA DAL MONDO RURALE E SENTÌ PROFONDAMENTE LA STIMOLANTE FORZA DI ISPIRAZI E CRESCIUTO IN UN AMBIENTE ARTIGIANO, QUELLO DEL PADRE CHE GLI INSEGNÒ A PORRE GRANDE Un viaggio nella capitale catalana non può non essere fondamentalmente dedicato a Gaudì, che vi ha lasciato un segno forte con la sua fantasiosa progettualità, fatta di forme fantastiche, surreali e cariche di magia, nei palazzi e nelle abitazioni più semplici, come nei parchi e nei giardini e fino alla famosissima, incompiuta, Sagrada Familia. Gaudì proveniva dal mondo rurale e sentì profondamente la stimolante forza di ispirazione che il paesaggio catalano era in grado di offrirgli. A ciò si aggiunse poi il fatto di essere nato e cresciuto in un ambiente artigiano, quello del padre, che gli insegnò a porre grande attenzione alle peculiarità insite nei materiali naturali come il ferro, il rame, il legno. Fin dalle case più semplici, come la Casa Vicens nel quartiere di Gracìa, al numero 24 di Carolines, una delle prime sue opere importanti, 68 DICEMBREGENNAIO

ma forse non tanto conosciute, si nota subito la sua tendenza all’eclettismo, con il tipico arco parabolico, accompagnato ad elementi decorativi arabi che scandiscono in modo inusuale la struttura cubica in pietra, con l’inserimento di molti pezzi in ceramica. Ma già nel Parco Guell, realizzato fra il 1900 e il 1914, esplode la fantasia di Gaudì nella progettazione di ogni elemento architettonico in assoluta armonia con la natura. E la vegetazione si pone a lato dei percorsi tracciati con una serie di strade e stradine in salita e in discesa e di terrazze sostenute da pilastri in forma di tronchi d'albero. E sempre, inserito nel conglomerato dei parapetti o nelle alzate dei gradini, ecco apparire un elemento che poi non abbandonerà più le sue architetture: le coloratissime schegge di maiolica o di vetro che rendono la pietra palpitante e viva.


PARCO GUELL

ONE CHE IL PAESAGGIO CATALANO ERA IN GRADO DI OFFRIRGLI E SI AGGIUNSE IL FATTO DI ESSERE NATO ATTENZIONE ALLE PECULIARITÀ INSITE NEI MATERIALI NATURALI COME IL FERRO, IL RAME, IL LEGNO. Su richiesta del suo committente e mecenate, l’impresario Eusebi Guell, egli realizzò così, su una collina posta a nord di Barcellona, una sorta di città giardino, che accolse, tra il verde di un rigoglioso parco, le architetture di alcuni studi d’artista, di una cappella e di numerose ville, una delle quali divenne per un certo periodo l’abitazione dello stesso Gaudì ed oggi è trasformata in museo. E ancora spicca, al numero 7 dell’Avenida di Pedralbes, il disegno originalissimo della recinzione dei padiglioni della Finca Guell (1884-1887), spazio di divertimento sempre di proprietà della famiglia Guell, il cui lavoro rappresenta una prima sintesi tra innovazione tecnologica ed artigianato decorativo, specie nella porta d'ingresso, che è una grande scultura di ferro in cui viene raffigurato un drago che richiama le gesta di Ercole nel Giardino delle Hespérides.

E poi ancora, in via Casp numero 48 ecco la Casa Calvet (18981899), in cui Gaudì sviluppa un nuovo concetto di uso dei materiali di ornamentazioni e rifiniture. E in via Bellesguard, 16-20, Casa Bellesguard (1900-1909), ma le più note e visitate sono senz’altro le originalissime Casa Batllò e Casa Milà. Nel 1904 Josep Batlló, altolocato industriale del settore tessile, affidò a Gaudí l'incarico di restaurare un palazzetto acquistato l'anno precedente sul Passeig de Gràcia, l'arteria principale del quartiere modernista dell’Eixample. Gaudì modificò notevolmente l'aspetto dell'edificio, rivoluzionando la facciata principale, in modo molto innovativo per quanto riguarda la costruzione e la struttura, ampliando il cortile centrale ed elevando due piani inesistenti nella costruzione originale.

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CASA BATLLÒ

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SAGRADA FAMILIA

ADOTTANDO COME ELEMENTO FONDANTE LA LINEA CURVA, CHIARAMENTE ZOOMORFA, RICHIAMA CON EVIDENZA L’IMMAGINE DELLE ONDE DEL MARE La Casa Milà, detta La Pedrera (cava di pietra), fu costruita tra il 1905 e il 1912 da Antoni Gaudí a Barcellona, al numero 92 del celebre Passeig de Grácia, nella zona d’espansione dell’Eixample su incarico di Roser Segimon e Pere Milà per il loro imminente matrimonio. Attualmente è di proprietà della Caixa Catalunya, che ne ha fatto un centro culturale. Dal 1984 è stata dichiarata dall’Unesco Patrimonio Mondiale dell’Umanità, insieme ad altre opere di Gaudì. E’ qui che egli, adottando come elemento fondante la linea curva, chiaramente zoomorfa, richiama con evidenza l’immagine delle onde del mare, che trionfa in svariati motivi presenti nella struttura (facciata, interni, mobili). Ma il fascino degli interni, arredati da mobili d’epoca, non supera quello che viene creato dai percorsi che Gaudì ha realizzato sulla copertura, con viste diverse sulla città, tra i comignoli dalle fantasiose strutture. Ma certamente l’opera più nota, eppure ancora non ultimata (si parla del 2025!) che di recente ha visto la Consacrazione con la presenza del Santo Padre, è la Sagrada Familia. Poi, l’equipe di pro-

gettazione, sotto la direzione dell’architetto spagnolo Jordi Bonet, come descrisse l’ingegnere italiano Angelo Ziranu, che ne è entrato a far parte alcuni anni or sono, «ha ricominciato a studiare, quasi con metodologie proprie degli archeologi, ogni più piccola indicazione e frammento rimasto del materiale originario, ricreando le forme e la loro composizione per portare definitivamente alla luce l’idea progettuale di Gaudì nella sua interezza». Era il 7 novembre 2010 e finalmente si apriva al pubblico e alla devozione lo spettacolare spazio interno delle grandi navate proiettate verso l’alto in un afflato di estrema suggestione sia mistica, che architettonica e scultorea. Siamo di fronte ad un’opera “in evoluzione” da circa 125 anni, ad un tempio che Gaudì creava a mano a mano non solo grazie ai suoi famosi “modelli”, ma anche attraverso i suoi accuratissimi disegni che tuttavia vennero rovinati e quasi totalmente distrutti durante un incendio nell’anno 1936.

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GAUDì

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CASA BATLLÒ

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CASA VICENS

UN COMPLESSO SCULTOREO E ARCHITETTONICO CHE NASCE DALLA TERRA, COME SE SI TRATTASSE DI VERI E PROPRI ALBERI, RAMI E FOGLIE CHE SI AVVILUPPANO VERSO L’ALTO, NELL’ANSIOSA RICERCA DELLA LUCE E’ interessante comprendere il valore della ricerca di Gaudì, incentrata sulla Natura e sulla liturgia al contempo, che lo portarono a creare i particolarissimi capitelli, le colonne, le volte, che oggi costituiscono quel complesso scultoreo e architettonico che incredibilmente sembra nascere ed evolversi dalla terra, come se si trattasse di veri e propri alberi, rami e foglie che si avviluppano verso l’alto, nell’ansiosa ricerca della luce. Il tempio, definitivamente aperto alla devozione, appare oggi nella pienezza di uno spettacolare inno alla Luce, mentre lo spazio interno delle navate che si proiettano libere verso l’alto, in un afflato di estrema suggestione sia mistica che architettonica, dà al visitatore, nel fascino delle tre altissime navate della “passeggiata coperta”, una sensazione di vertigine spirituale e quasi fisica. Si può quindi cogliere l’espressione più autentica del suo rapporto con la Natura, in cui si serviva di un prezioso codice per dar vita al 76

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suo linguaggio compositivo, tanto innovativo per il suo tempo, quanto singolare e affascinante anche oggi. E in questo senso è davvero encomiabile lo sforzo interpretativo del gruppo di progettazione più attuale, guidato dall’architetto Bonet, in un cantiere che è stato una vera e propria «officina tecnica di architettura e ingegneria», in un continuo aggiornamento delle metodologie tecnicamente più avanzate. L’utilizzo di materiali diversi ha continuato così a creare una plasticità particolarissima, capace di dar vita a vibrazioni emotive molto vicine a quelle suscitate da una buona musica. E del resto anche oggi l’immagine del cantiere rimane quella che pensava Gaudì ossia di un certo numero di squadre di lavoratori che, impegnati nell’esecuzione meticolosa dei particolari architettonici e scultorei, nella loro “architettura gestuale”, realizzano, con il suono dei loro strumenti, una vera e propria “musica”. https://www.spain.info/


CASA MILÀ

CASA CALVET

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I C O L O R I D E L L A T E R R A CA M PA N A N E I CA P O L AV O R I D E I M A E S T R I C E R A M I S T I

POLICROMIE AMALFITANE testo di niccolò garBarino

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I C O LO R I D E L L A T E R R A C A M PA N A N E I C A P O L AV O R I D E I M A E S T R I C E R A M I S T I

POLICROMIE AMALFITANE

LA COSTIERA AMALFITANA È UNA CARTOLINA CHE PRENDE VITA, LA SUA BELLEZZA NATURALE SI RIFLETTE IN QUELLE STRAORDINARIE CERAMICHE ARTISTICHE PRODOTTE DAI SUOI ARTIGIANI Positano, Cetara, Maiori. Sono i nomi dei luoghi meta di viaggi cosmopoliti, turisti di tutto il mondo organizzano le loro vacanze per ammirare questi ex villaggi di pescatori, diventati dal secolo scorso delle vere e proprie “stazioni turistiche” dove l'ostentata eleganza si mescola con la rudezza della natura. Le casette colorate arrampicate sulla montagna, i vicoli caratteristici, colorati negozi di moda che fanno tendenza, ristoranti di pesce, quelle infinite e piccole baie dove il mare cristallino è normalità. La Costiera Amalfitana è una cartolina che prende vita, la sua bellezza naturale si riflette in quelle straordinarie ceramiche artistiche prodotte dai suoi artigiani, così perfette ed uniche che sono complementi d'arredo ricercatissimi per arricchire l'arredamento di una casa aggiungendo quel pizzico di calore mediterraneo che tutti apprezzano. L'arte della manifattura della ceramica è forse una delle attività più antiche dell'uomo; fuoco, terra e ruvide mani guidate da sapiente e secolare maestria hanno prodotto, tra Sorrento e Minori dei manufatti artistici unici e capaci di impreziosire salotti e mise en place in ogni angolo del mondo. La particolarità? Ogni piccolo capolavoro d'arte è pensato e ricreato

da un artigiano locale che attraverso l'estrosità delle mani riesce a trasmettere la bellezza di una tradizione centenaria legata a quella visione arcadica e sognante della società contadina e marinara che da sempre viene rappresentata su vasi, piatti e tazze sulle quali risaltano soprattutto le sfumature di quel blu intenso del mare di Positano, il giallo dei limoni di Sorrento e le pennellate del verde ramina vietrese.

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POLICROMIE AMALFITANE

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POLICROMIE AMALFITANE OGNI LAVORO È PENSATO E RICREATO DA UN ARTIGIANO LOCALE CHE ATTRAVERSO L'ESTROSITÀ DELLE MANI RIESCE A TRASMETTERE LA BELLEZZA DI UNA TRADIZIONE CENTENARIA CONTADINA E MARINARA sviluppo di tale produzione che ha assunto i contorni di una vera e propria industria moderna locale. Da questi litorali ricchi di argilla e di materiale vulcanico, le ceramiche venivano una volta esportate attraverso il Golfo di Salerno verso la Sicilia, la Calabria e le coste arabe, ma con il tempo anche in Toscana e nelle aree più settentrionali del Mediterraneo. Riassumiamo a questo punto i tre momenti che precedono il passaggio del pennello sulla nuova opera d'arte. Il primo è quello della forgiatura, il momento magico in cui dall'argilla si modella il pezzo; il secondo è quello dell'essiccazione, quando il prodotto appena plasmato deve asciugare; nella terza fase infine, l'oggetto in questione passa alla prima cottura in un forno a quasi mille gradi. Solo adesso è pronto per il passaggio dei pennelli: ma affinché l'arte resti ben impressa sulla superficie è necessaria una seconda cottura. Colori e smalti, grazie al lavoro di persone immerse completamente nel proprio lavoro, diventano un tutt'uno con la terracotta. Ed è così che anche le ceramiche amalfitane diventano, nel mondo, uno dei prodotti di eccellenza ed ambasciatore del Made in Italy.

Scogliere a picco e coste frastagliate, acque limpide e villaggi mozzafiato, ma anche paesaggi agresti, chiesette di campagna, animali da cortile e cattedrali affacciate sul mare. Il fascino della Costiera è unico nel suo genere e ogni anno arrivano in questo piccolo angolo di paradiso migliaia di turisti da tutto il mondo. E' nel corso del ventesimo secolo, sull'onda dei resoconti di intellettuali e scrittori anglosassoni, che Positano prende forma nella mente di viaggiatori internazionali come idilliaco luogo d'evasione. Vietri e la “costiera” hanno ospitato nel corso degli anni artisti di fama mondiale che hanno lasciato una traccia importante nella produzione artistica contemporanea; basti ricordare per tutti Richard Dolker e Irene Kowaliska, i quali con l'aiuto di Guido Gambone hanno rilanciato il nome e i temi della ceramica vietrese in tutto il mondo. Un prodotto, questo, che bisogna toccare con le mani, vederlo da vicino, “viverlo”, in un rapporto di sensibilità fisica. Solo così se ne possono apprezzare i dettagli ed i giochi di colore che nessun fotografo, per quanto bravo, è in grado di riprodurre. Il maggiore sviluppo di questa arte si è avuto sopratutto nella cittadina di Vietri sul Mare che, già a partire dal XVIII secolo, diviene celebre per le sue ricercate ceramiche decorate. Le numerose fabbriche dalle alte fornaci, dette “faenzere”, hanno permesso uno 86 DICEMBREGENNAIO


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AMALFI

VIET

POS MINORI

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TRI SUL MARE

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HÔTEL BEAU RIVAGE PALACE Pamela McCourt Francescone

L’Hôtel Beau Rivage Palace sorge in un luogo incantevole, in quatt ettari di giardini curatissimi sulle rive del placido Lago Lem prospiciente il piccolo porto di Ouchy a Losanna. Inaugurato n 1861 il primo edificio Art Déco Beau Rivage, che per la posizio invidiabile e lo sfarzo dei saloni affrescati e del mobilio prezio presto diventa un rifugio di lusso, mentre nel 1908 con l’apertu della seconda ala Neo-barocco arriva il nome Palace. Oggi i d


tro an nel ne oso ura ue

https://www.brp.ch palazzi intercomunicanti trasudano magnificenza e storia e sono dotati di 168 camere e suite, quattro ristoranti, due bar, una piscina e una spa esclusiva. Tante le celebrità e le teste coronate che nei secoli hanno assaporato la sofisticata e calorosa ospitalità e gli impeccabili livelli di servizio, posizionando la leggendaria proprietà sull’olimpo dei grandi hotel frequentati dal beau monde internazionale. Finemente arredati con mobili d’epoca e ogni comodità le 168 camere e suite, molte delle quali hanno vista sul lago

mentre altre godono vista della piscina, dei giardini e del tranquillo quartiere cittadino di Ouchy. Osannato come uno dei migliori nel Paese il ristorante 2 stelle Michelin di Anne-Sophie Pic dove i menu raffinati sono abbinati ai vini della cantina; con 75.000 bottiglie una delle più grandi d'Europa. Per la prima colazione ci sono i ricchi buffet in La Terrasse (che, come tutti i ristoranti, guarda sul lago) mentre nel Café Beau Rivage ci sono tavoli anche fuori nella bella stagione, e nel Miyako il sushi è il più quotato nella città lacunare.

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HÔTEL BEAU RIVAGE PALACE Le Cinque Mondes spa

La spa Cinque Mondes su 1.400 mq è stata recentemente rinnovata con un mix eclettico di elementi stilistici provenienti dal Giappone, dall’India, dall’Africa, da Cina e da Bali - rispecchiando la filosofia basata sui cinque mondi. Con una piscina riscaldata che nei mesi estivi si estende nei giardini, sono nove le sale per massaggi e trattamenti e c’è anche un hammam e una sauna. Per vivere al massimo lo spirito della Svizzera la concierge Sylvie Gonin (unica Chief Concierge Clefs d’Or donna in Svizzera) consiglia il tour Swiss Experience. Iniziando dai vigneti UNESCO Lavaux, la giornata prosegue con visite a un villaggio che produce formaggio, a una fabbrica di cioccolato e alla stazione sciistica di Gstaad. Per concludere, salendo con la funivia Passo Pillon ci sono panorami mozzafiato del ghiacciaio Les Diableretes e delle cime del Monte Bianco e del Cervino.

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GREAT SCOTLAND YARD Pamela McCourt Francescone

Il nuovo indirizzo più chic di Londra è un 5-stelle lusso con 152 came e suite in un edificio edoardiano a due passi dalla centrale Trafalg Square, dal West End con i suoi teatri e ristoranti e dal celeb quartiere di Covent Garden. Sede della polizia metropolitana n 1829, in tempi ancora più remoti ospitava i re di Scozia in visita a regina Elisabetta nel vicino Whitehall Palace - da qui il nome Gre Scotland Yard. E’ il primo hotel nel Regno Unito della collezione Unbound Collecti by Hyatt, un nuovo portafoglio di proprietà alberghiere premiu Negli spazi pubblici e nelle camere e suite - che sono molto lumino


ere gar bre nel lla eat

ion m. ose

www.hyatt.com/en-US/hotel/england-united-kingdom/great-scotland-yard/lhrub

e ariose grazie ai soffitti alti e all'arredamento dalle tinte candide - il tema della polizia prevale con richiami alla storia, alle divise e ai distintivi della Metropolitan Police su tappeti e pareti, nelle camere e persino nei bagni dove i ganci per l’accappatoio sono a forma di chiave. Sono cinque le Sherlock Suite con letti a baldacchino, caminetti e piccoli tavoli da pranzo. L'esclusiva Townhouse ha il proprio ingresso sulla strada, ed è collegata all’hotel tramite un corridoio interno. Su 200mq e cinque piani, con una sala da pranzo per dieci persone, un salotto, una family room e due camere da letto, è ideale per famiglie e piccoli gruppi. Il Bar 40 Elephants, che prende il nome di una banda di taccheggiatori donna del 18° secolo, e aperto tutto il giorno per

cocktail, birre artigianali e specialità culinarie britanniche. Fiore all’occhiello l'attesissimo Ekstedt at The Yard dove, nella sua open kitchen, lo chef stellato Michelin Niklas Ekstedt utilizza tecniche di cucina scandinave di cottura al legno e prodotti rigorosamente a kilometro zero. Nel Sibin tra cocktail e snack ci sono oltre 100 bottiglie di whiskey provenienti da tutto il mondo, tra cui molte edizioni limitate, e in The Parlour at Great Scotland Yard il tè del pomeriggio con la pasticceria di Veronica Garrido Martinez, che ha lavorato con Gordon Ramsey, si aggiunge alla rosa delle Afternoon Tea più esclusive della capitale britannica.

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Claudi

Collana editoriale della Fondazione

La ragione dell’arte Gli scritti di Claudio Claudi A cura di Gabriele Codoni e Stefania Severi

FrancoAngeli

Biagio Minnucci Graziarosa Villani

LA NOTTE DELLE CINQUE LUNE

Il processo al Conte Everso dell’Anguillara Estinzione dell’antica stirpe GANGEMI EDITORE

Il volume si presenta non soltanto come un romanzo storico relativo alla interessante eredità, poi affossata in una incredibile “damnatio memoriae”), di una famiglia, quella degli Anguillara, che affonda le sue radici nelle interessanti vicende di un territorio del Lazio quattrocentesco, ma si introduce con garbato equilibrio nelle pieghe di una vivace umanità. Si tratta forse di “storia minore”, quella di Everso degli Anguillara, come gli stessi autori asseriscono nell’ introduzione, ma è “una storia che interseca grandi avvenimenti” che hanno coinvolto imperatori come Enrico IV e Federico II e papi come Pio II Piccolomini o Paolo II Barbo. L’agile lettura di questo volume conduce inoltre non soltanto ad un approfondimento storico di un periodo affascinante delle vicende che hanno coinvolto un così particolare personaggio della grande Casata degli Anguillara, ma permette altresì di percorrere con lui un viaggio, tuttora possibile e visibile, attraverso il territorio. Ed eccoci infatti, ad esempio, in cammino, con gli autori, lungo il percorso compiuto da Everso sulle “strade verso Trevignano”, con l’obiettivo di raggiungere il proprio castello a Monterano e così, “attraverso Trevignano sul Lungolago, un poco in disparte rispetto al borgo, il conte prese la vecchia strada etrusca verso le terme apollinari di “Vicus Aurelius” (l’odierna Vicarello). che fu un punto di passaggio e di ristoro”… Possiamo quindi ancora noi oggi renderci conto, viaggiando in quello stesso territorio, come le vie degli Etruschi, spesso rintracciabili ancora oggi, avessero un interessante e utilissimo sviluppo trasversale, ben diverso da quello longitudinale che poi avvieranno i romani, con le consolari che pur attraverseranno i medesimi comprensori. Forse Everso, galoppando in direzione del suo castello in cui doveva rifugiarsi, aveva scelto la via migliore, di cui oggi noi sappiamo apprezzare appieno le splende doti paesaggistiche ed anche monumentali. E così leggiamo come, “ dopo la lunga e penosa peripezia durata più giorni e più notti in groppa al suo Corvino, arrivò al castello di Monterano”. Molto ricco e interessante anche il corredo iconografico del volume tra cui colpisce lo stemma di Everso (riportato anche nella copertina), che si può vedere affisso sulle mura dell’Ospedale in piazza San Giovanni in Laterano. di Luisa Chiumenti

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DICEMBREGENNAIO

CHRISTMAS EMOTIONS

a cura di Gabriele Codoni e Stefania Severi

LA RAGIONE DELL’ARTE Gli scritti di Claudio Claudi FRANCO ANGELI EDITORE

Il testo si sviluppa come un vero e proprio viaggio vissuto da un letterato, amante di tutte le arti, che, muovendosi dalla sua terra d’origine (Le Marche), ebbe la possibilità di conoscere quei gruppi di artisti che amavano frequentare, per incontrarsi, luoghi ferventi di idee, di speranze, di dibattiti eccellenti, come ad esempio il Circolo delle “Giubbe rosse” di Firenze. Si parla appunto di un letterato come Claudio Claudi che, da poeta, letterato, filosofo e critico d’arte, ha lasciato le sue vive ed interessanti esperienze, vissute dopo un periodo dedicato all’insegnamento delle Lettere, immortalate in un numerosi scritti fra cui in particolare una plaquette di riflessioni filosofiche, dal titolo “ Lettere Tibetane”. Entrato più tardi in contatto con l’ambiente letterario artistico della capitale frequentando la Casa Rossa di Giuseppe Mazzullo, eccolo avvicinarsi ai circoli del caffè Rosati e del caffè Greco e le gallerie d’arte. Claudi ha quindi svolto un’intensa attività di critico d’arte e di letteratura collaborando a varie riviste come il “Costume Politico Letterario”, “Alfabeto” e “Ausonia.” Sono stati pubblicati postumi: una silloge poetica a cura di Edoardo Sanguineti (Editore Rebellato, 1973) e la raccolta di meditazioni filosofiche dal titolo “L’anatra mandarina e altri scritti” (Franco Angeli, 2008). Il libro accompagna quindi il lettore in una sorta di “tour” tra le gallerie romane, dal Tridente verso via Veneto (molte delle quali oggi non più esistenti), quelle tra Piazza del Popolo e via Margutta, e anche quelle presenti negli stessi quartieri del centro, accanto ai numerosi studi degli artisti. Sempre aderente all’opera d’arte che ha di fronte, Claudi ne parla con molta partecipazione ed estrema obiettività di critica. I testi di Claudio Claudi di cui si tratta nel libro e relativi alle arti figurative, sono conservati nell’Archivio della Fondazione Claudi istituita nel 1999. La prima sezione (a cura di Gabriele Codoni), raccoglie gli scritti teoretici e la seconda, a cura di Stefania Severi, quelli dedicati agli artisti. Molte poi le testimonianze dei numerosi artisti che hanno condiviso il percorso critico di Claudi, da Sandro Trotti, a Donatella Monachesi, Letizia Stradone, Giuseppe Mannino. di Luisa Chiumenti


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