STAR CLIPPERS Unique Sailing Adventures
Dedicato a chi ama vivere il mare e la navigazione nella più antica tradizione velica. La flotta Star Clippers regala un’esperienza unica a bordo dei suoi velieri che rievocano i leggendari Clipper di un secolo e mezzo fa. Il perfetto connubio tra la tradizione della navigazione a vela, il comfort e la modernità di una nave da crociera e l’intimità di un grande yacht. Salpate con noi a bordo di Royal Clipper, Star Clipper o Star Flyer: Autentici velieri a 5 e 4 alberi.
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SOMMARIO FEBBRAIO | MARZO 2021 www.emotionsmagazine.com
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CAMBOGIA
LA STORIA DEL KRAMA
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SOMMARIO
SPAGNA
I MERCATI COPERTI DI VALENCIA
ISLANDA
L'ISOLA DAL CUORE BOLLENTE
ATLANTIC PUFFINS, ISLANDA
Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Ideazione logo Ilenia Cairo
ROVERETO
I RICORDI DI GOETHE NEL SUO VIAGGIO IN ITALIA
SIRACUSA
L’ISOLA DI ORTIGIA CANTATA DA VIRGILIO
Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Pamela McCourt Francescone Mirko Mondiali redazione@emotionsmagazine.com Fotografi Anna Alberghina Teresa Carrubba Mirko Mondiali Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com
KALEIDOSCOPE •
INYA LAKE HOTEL, YANGON
Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00185 Roma Tel e Fax 068417855
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IL KRAMA. SIMBOLO E ORGOGLIO DEL POPOLO KHMER
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Pubblicazione Rivista Online Paolo Milanese grafico@idra.it
LIBRIEMOTIONS
Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.
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Sarà l’anno della rinascita? E’ la nostra vivissima speranza. Soprattutto da parte dei viaggiatori che fremono come leoni in gabbia. Nel frattempo continuiamo ad alimentare i sogni e la fantasia. Quale miglior sogno dell’ “isola di fuoco e di ghiaccio”, l’Islanda, tra i vapori bollenti del campo geotermico di Geysir, gli imponenti ghiacciai, le spettacolari cascate di Skogafoss e Dettifoss e le montagne colorate di Landmannalaugar? O della Cambogia, alla ricerca della simbologia del tipico copricapo, il Krama, emblema del popolo Khmer, retaggio storico che affonda le sue radici addirittura nell’antichità come dimostrano frammenti di tessuto rinvenuti nel sito archeologico di Angor Borey, a sud della Cambogia. Ma le mete di Emotions, sempre attento alle curiosità e agli spunti insoliti, portano anche a visitare i tradizionali mercati coperti di Valencia, sulla costa sudorientale della Spagna, veri luoghi di aggregazione popolare, ricchi di storia e di offerte gastronomiche. Restando in Italia e seguendo le orme di Goethe durante il suo viaggio leggendario nel nostro Paese, possiamo pensare ad un lungo fine settimana in Vallagarina e nel suo capoluogo, la colta Rovereto, sede storica della prestigiosa Accademia degli Agiati, visitata da appassionati e studiosi per seguire i Festival dei film a tema archeologico o i grandi incontri Mozartiani o le mostre del Mart, Museo di arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto. A proposito di archeologia, che dire della Fonte Aretusa primo insediamento di abitanti a partire dall’VIII secolo avanti Cristo, dei coloni greci che venivano da Corinto, intorno al quale nacque la magnifica Siracusa?
Il Castello Maniace con il faro, Siracusa
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TERESA CARRUBBA
EDITORE, DIRETTORE RESPONSABILE
tcarrubba@emotionsmagazine.com EMOTIONS
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CASCATA DI GULLFOSS
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ANTICA CASA A DJUPIVOGUR
TERRA DI SAGHE DI ELFI E DI PRODIGI È UN FRAMMENTO DI LUNA APPARSO COME PER MAGIA...
Situata all'estremo nordovest del continente europeo, appena sotto il circolo polare Artico, l'Islanda è l'isola di fuoco e di ghiaccio dove Jules Verne ambientò il suo Viaggio al centro della terra. Terra di saghe, di elfi e di prodigi è un frammento di luna apparso come per magia sul nostro pianeta. Ovunque si posi lo sguardo si scoprono scenari fatati. Vulcani, ghiacciai, cascate, geysers e solfatare, lave e muschi dai colori improbabili sono l'espressione di una natura straordinaria, perennemente in lotta tra creazione e distruzione. L'isola, geologicamente molto giovane (appena 20 milioni di anni) con una forte attività vulcanica e geotermica, cela territori ancora vergini, appena intaccati dall'erosione del vento e dei ghiacci. Gli Islandesi, 360.000 abitanti in tutto, hanno saputo fondere sapientemente natura e scienza, favorendo
la qualità di vita dell'intera comunità. La popolazione, che discende da coloni norvegesi e celti delle isole britanniche, è orgogliosa della propria identità culturale. Ne è testimone la lingua che non viene considerata un semplice sistema di comunicazione ma l'essenza stessa della cultura e delle tradizioni. L'uso dell'antico idioma dei Vichinghi, il norreno, rimasto quasi invariato dal XIII secolo, testimonia il forte legame con il passato ma, per i turisti stranieri, è una vera impresa riuscire a districarsi in quel labirinto di lettere strane che derivano dall'alfabeto runico. La capitale, Reykjavik, in islandese “baia fumosa”, è una città dalle diverse anime dove graziose casette colorate, rivestite di lamiera ondulata, coesistono con futuristiche costruzioni in vetro e acciaio come l'Harpa, la famosa sala concerti e centro congressi, accanto al porto. La città vanta, inoltre, numerosi teatri, gallerie d'arte e musei tra cui l'insolito “Museo Fallologico”, unico nel suo genere. Impossibile non notare l'imponente cattedrale luterana Hallgrimskirkja la cui facciata di blocchi di cemento riproduce la morfologia delle rocce basaltiche.
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ISLANDA LANDMANNALAUGAR
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PECORE ISLANDESI A JOKULSARLON
LAGUNA GLACIALE DI JOKULSARLON 14
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STROKKUR GEYSER NEL CAMPO GEOTERMICO DI GEYSIR Nel vecchio centro abbondano ottimi ristoranti e locali che ospitano la vibrante vita notturna. Per quanto riguarda la cucina, non bisogna, però, farsi troppe illusioni. I nostri palati delicati hanno qualche difficoltà di fronte a piatti tipici come l'Hakarl, lo squalo fermentato dall'odore nauseabondo, o la testa di pecora bollita o, ancora, i testicoli di montone. Ma, si sa, in viaggio bisogna essere disposti a sperimentare. A poca distanza dalla capitale è possibile passeggiare fra le due placche tettoniche, quella nordamericana e quella eurasiatica, separate da una profonda spaccatura. Siamo a Thingvellir, “il luogo dell'assemblea”, il sito storico più importante del paese ove, nell'anno 930 venne fondato l'Althing, il più antico Parlamento del mondo. Poco più in là, nel campo geotermico di Geysir, lo Strokkur erutta vapori bollenti con la precisione di un orologio svizzero.
PER QUANTO RIGUARDA LA CUCINA, NON BISOGNA, PERÒ, FARSI TROPPE ILLUSIONI... Anche la fauna islandese merita di essere citata. Pecore e cavalli, infatti, presentano caratteristiche alquanto diverse da quelle dei loro parenti europei. Le prime, originarie della Norvegia, hanno una pelliccia molto lunga, zampe e orecchie corte e una testa tonda e lanosa. I cavalli, dal carattere mansueto, piuttosto piccoli, con una criniera lunghissima e folta, hanno mantenuto, nei secoli, la loro purezza. Non sognatevi mai di chiamarli pony. Gli Islandesi ne sono orgogliosissimi e considererebbero questa definizione al pari di un'offesa.
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LANDMANNALAUGAR
UNO SCENARIO SURREALE DI MONTAGNE CON FORME BIZZARRE DAI COLORI EXTRATERRESTRI Gli animali più simpatici sono, senza dubbio, gli atlantic puffins, altrimenti detti “pulcinelle di mare”. Passano otto mesi l'anno in mare ma in primavera tornano nello stesso nido, sulle scogliere erbose dell'Islanda, per riprodursi. Sono uccelli gregari che restano fedeli al loro compagno per tutta la vita. Durante la stagione degli amori il colore del becco vira dal grigio all'arancione. Quando volano sono buffissimi poiché, per riuscirci, devono sbattere le piccolissime ali ad un rimo vertiginoso. A questo punto sarà difficile scegliere il luogo del cuore: il cratere di Askja con le sue lave colorate ed i laghi cristallini oppure Landmannalaugar, le “Highlands” islandesi, uno scenario surreale di montagne spoglie, plasmate in forme bizzarre dai colori extraterrestri che risaltano sul nero pìceo dell'ossidiana o ancora il canyon di Asbyrgi, il “rifugio degli Dei”, creato dal passaggio del mitico cavallo di Odino? Dopo un po' si comincia a credere davvero all'esistenza degli antichi Dei e delle piccole creature magiche delle leggende. Chissà, forse un giorno i troll usciranno dal loro torpore di pietra e fate e folletti ci mostreranno, infine, il loro volto! 16
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ISLANDA: LOCATION CINEMATOGRAFICA
Come è facile intuire, l'Islanda è un vero tesoro di gioielli naturali. Molti sono i luoghi d'eccezione capaci di lasciare i visitatori a bocca aperta. Non per niente, nel corso della storia del cinema, il paesaggio islandese è stato scelto come “location” di film di ogni genere. Il ghiacciaio Vatnajokull, ad esempio, ha fatto da sfondo a Tomb Raider e 007 Bersaglio mobile. La laguna di Jokulsarlon è stata il teatro di 007 La morte può attendere e Batman begins. Le nere spiagge vulcaniche del sud sono state la cornice perfetta di Noah, la rivisitazione cinematografica del diluvio universale. I panorami lunari dell'Islanda centrale sono diventati gli scenari post-apocalittici di Oblivion. Le spettacolari cascate di Skogafoss e Dettifoss e le montagne colorate di Landmannalaugar compaiono in Thor: the dark world. A Stokksnes, in un ambiente selvaggio alle pendici del Vestrahorn, un monte dal fascino cupo e misterioso che regala superbe inquadrature, si trova il villaggio vichingo, costruito nel 2009 per essere utilizzato come set cinematografico di Vikings, ma, fra tutti i film ambientati in Islanda, primeggia, senza dubbio, la serie evento Game of thrones targata HBO.
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ISLANDA CASCATA DI SELJALANDSFOSS
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L’isola di
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cantata da irgilio
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DISEGNATA DA DUE PORTI NATURALI CHE NE VIVACIZZANO LE COSTE ...
Siracusa. Magnifica città siciliana che s’insinua nel mare con l’inconfondibile profilo di Ortigia, l’isola di virgiliana memoria in cui si mostrano numerose le tracce delle civiltà antiche, greca, bizantina, normanna, sveva e aragonese, in un intrigante rincorrersi di stili e atmosfere tanto diversi nella matrice storica e architettonica quanto armonizzati da quella famosa pietra bianca siracusana che si offre ai mutevoli giochi della luce cambiando aspetto e suggestione.
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L’isola di Ortigia, cui si accede dalla terraferma attraverso il Ponte Nuovo, è disegnata da due porti naturali che ne vivacizzano le coste per via delle molte barche da diporto ormeggiate i cui alberi tintinnano alla brezza marina che stempera la calura meridionale facendo di Siracusa una gradevolissima località turistica. E dalla darsena si ergono imponenti i resti delle antiche mura spagnole che testimoniano come un tempo, e fino all’Ottocento, tutta la città vecchia fosse fortificata. Le mura si aprono nella Porta Marina, sormontata da un’edicola preziosamente lavorata in stile catalano, che immette nel Passeggio Adorno, un filare di bei palazzi d’epoca affacciati sul mare, fino a raggiungere, alla punta estrema di Ortigia, il sontuoso Castello Maniace, notevole esempio di archi-
LA CITTÀ VECCHIA
tettura militare, realizzato da Federico II nella prima metà del XIII secolo, con un portale di raffinate forme gotiche e quattro torrioni scalari agli angoli a limitare la massiccia struttura quadrata, tipica dello stile svevo. E se la storia ha immortalato forme così imponenti, la leggenda impregna di sé luoghi più leggiadri e romantici come la Fonte Aretusa. Qui l’acqua sgorga dal mito di Aretusa, ninfa di Artemide, che per sfuggire agli amori di Alfeo, fu trasformata in fonte dalla dea. Oggi è una sorgente di acqua dolce in cui vive rigogliosa la pianta del papiro dalla quale nell'antichità si ricavava la carta. La fonte ebbe in passato un ruolo determinante per l'insediamento del primo nucleo di abitanti e, a partire dall’VIII secolo avanti Cristo, dei coloni greci
E DALLA DARSENA SI ERGONO IMPONENTI I RESTI DELLE ANTICHE MURA SPAGNOLE ... che venivano da Corinto. E da quel piccolo agglomerato, in pochi secoli Siracusa diventò una delle città più potenti dell’antichità, i suoi tiranni dominavano tutta la Sicilia. Il più celebre fu Dionisio il Vecchio (405-367 a.C.), uomo dal grande carisma; a lui è dedicata la famosa spaccatura nella roccia nelle latomie di Siracusa, nota appunto come l’Orecchio di Dionisio non solo per la forma, ma anche per l’ottima acustica.
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FONTANA DI DIANA IN PIAZZA ARCHIMEDE
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VISTA AEREA DEL TEATRO GRECO
Via via Ortigia, privilegiata da una posizione strategica e protetta, fu abitata da romani, barbari e bizantini, arabi e normanni, svevi e spagnoli. Un’alternanza costruttiva che ha favorito uno sviluppo urbano ancora oggi riccamente presente in un unicum di straordinario interesse. Tuttavia è il barocco che ha disegnato il profilo più significativo di Ortigia. Un barocco duttile così com’è duttile la magnifica pietra bianca in cui si è forgiato attraverso colonne, cornicioni, nicchie, cariatidi, mascheroni. E il trionfo del barocco siracusano è senza dubbio Piazza Duomo, il salotto di Ortigia. Lo sguardo, abituato ai vicoli e alle salitelle brulicanti di artigiani e negozi dalle cui vetrine oggetti coloratissimi ammiccano al turista e all’amatore, all’improvviso si allarga con stupore e ammirazione lungo la morbida arcata di prestigiosi palazzi chiusa dalla linea opposta che si concentra sul Duomo, formando una perfetta semiel-
UN BAROCCO DUTTILE COSÌ COM’È DUTTILE LA MAGNIFICA PIETRA BIANCA ... lisse. Il respiro si arresta e lo stupore rimane a lungo, ribadito da ogni palazzo, da ogni fregio, dalla bellezza ieratica del Duomo, dal passaggio del tempo che ha depositato fascino e preziosità sulla facciata di edifici come il Palazzo Beneventano del Bosco. Qui la sosta, favorita dai caffè all’aperto che, oltre a delicatezze come le sensuali granite di limone e di mandorle, offrono la possibilità di godere uno scenario davvero indimenticabile, è ben ripagata. Il salotto di Ortigia, si diceva. Il punto di ritrovo per eccellenza dei siracusani, il luogo eletto per i turisti, lo spunto irrinunciabile per gli amanti dell’arte.
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LA CATTEDRALE DI ORTIGIA IN PIAZZA DUOMO EMOTIONS
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LA FONTANA DI ARTEMIDE
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LA PIETRA BIANCA, ABBACINANTE IN PIENO GIORNO, VIRA IN UN LANGUIDO OCRA AL TRAMONTO PER POI SCALDARSI ANCORA ... Un luogo, Piazza Duomo, che cambia atmosfera ad ogni fase del giorno per via della pietra bianca che accomuna tutto l’impianto architettonico e che, abbacinante in pieno giorno, vira in un languido ocra al tramonto per poi scaldarsi ancora grazie alla sapiente illuminazione notturna. Siracusa possiede il complesso catacombale più vasto d'Italia, secondo solo a quello romano. Le Catacombe di S. Giovanni sorgono nella zona di Acradina, luogo deputato al culto dei morti fin dal periodo romano. Le Catacombe furono costruite intorno alla cripta di S. Marciano, primo vescovo di Siracusa, considerata il primo luogo di culto cristiano in occi-
dente. Qui si fermò l'apostolo Paolo. Nel periodo bizantino la cripta fu trasformata in chiesa, gli svevi poi ne ornarono l'ingresso con una volta a crociera federiciana. Le Catacombe di S. Giovanni hanno una struttura complessa e risalgono al IV-V sec. Scavate seguendo il tracciato rettilineo di un acquedotto greco in disuso, da esso si diramano cunicoli minori. Le Catacombe di S. Lucia si trovano sotto la Basilica di S. Lucia extra Moenia. Edificata nello stesso luogo del martirio della Santa avvenuto nel 303 e testimoniato dalla magnifica tela del Caravaggio, oggi pala d’altare della Basilica. Di stile bizantino, la Basilica è stata rimaneggiata in seguito, fino al suo aspetto attuale, che risale al XV-XVI sec. Sulla stessa piazza, un piccolo edificio ottagonale, opera di Vermexio, è il sepolcro destinato alla Santa, i cui resti, portati a Costantinopoli nell'XI secolo dal generale bizantino Maniace, poi a Venezia in seguito alla presa della città durante la quarta crociata, sono oggi conservati nel Duomo.
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KRAMA SIMBOLO E ORGOGLIO DEL POPOLO KHMER testo DI PAMELA McCOURT FRANCESCONE
COPRICAPO TRADIZIONALE E ACCESSORIO
INDISPENSABILE, IL SEMPLICE RETTANGOLO DI TESSUTO A QUADRETTI SI PRESTA
A MILLE USI, DA DICHIARAZIONE DI STILE A MARCHINGEGNO PER SGARBUGLIARE LE SITUAZIONI PIÙ DISPARATE
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UN RITAGLIO DI STOFFA TESSUTO A MANO, A QUADRETTI, È IL SIMBOLO INCONFONDIBILE DEL POPOLO KHMER
Nei secoli i popoli del sud-est asiatico hanno sviluppato società culturalmente poliedriche. Col passare del tempo, e grazie alle migrazioni verso territori lontani dal luogo d’origine, portarono in lande remote i loro costumi, usi e tradizioni, integrandoli con quelli locali, e generando un lento ma inesorabile depauperamento della loro unicità. Però non sempre, perché molti di questi popoli sono riusciti a mantenere inalterate usanze antiche radicate, passate da generazione in generazione, e che ancora oggi li rendono unici. Come nel Myanmar dove si applica la pasta di thanaka sul viso come noi usiamo un fondotinta o nel Vietnam dove le donne ancora indossano l'elegante abito ao dai, o la Cambogia dove il krama, un semplice ritaglio di stoffa
tessuto a mano, a quadretti di vari colori, è il simbolo inconfondibile del popolo Khmer, ieri come oggi. Originario del territorio dell'odierna Thailandia, nei primi secoli d.C. il popolo Khmer ha subito fortemente l’influenza della cultura indiana, appropriandosi di tratti culturali, artistici e religiosi del grande subcontinente e conservandoli nel tempo. Tra questi l’unicità per eccellenze che distingue i cambogiani dai loro vicini laotiani, vietnamiti e thailandesi, il krama, da sempre presente in ogni manifestazione della vita quotidiana. Materiali tradizionali di tessitura rinvenuti in vari siti archeologici attestano che il krama esisteva già nel primo secolo, come testimoniano i ritrovamenti, nel sito storico di Angor Borey, di statue che indossavano il tipico kben, il precursore del krama. Più grande del krama, il kben arrivò nel regno Khmer dal meridione dell'India, dove il turbante era la tradizionale copertura della testa. Applicando le loro tradizioni di tintura e di tessitura i Khmer modificarono il kben nel krama anche se ancora oggi, in occasione di cerimonie come il matrimonio e per le loro danze tradizionali, si usa ancora indossare il kben.
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IL KRAMA SIMBOLO E ORGOGLIO DEL POPOLO KHMER
Quindi solo un semplice copricapo? Sì un copricapo, ma non semplice e non solo. Questo accessorio d’abbigliamento tradizionalmente di cotone con i tipici motivi a quadretti, o più estrosamente in seta con fantasie elaborate, si trasforma in mille modi, come infiniti sono i modi di portarlo in testa. Molto dipende dal contesto, dalle condizioni atmosferiche e stagionali, ma anche dalle tradizioni delle diverse minoranze etniche, dalla classe sociale e dai gusti personali. Il modo più semplice è
SOLO UN SEMPLICE COPRICAPO? SÌ UN COPRICAPO, MA NON SEMPLICE E NON SOLO ... quello di piegare il krama a metà sopra la testa, torcendo le estremità per avvolgere la testa, o anche il collo. Le estremità possono essere legate insieme o più semplicemente rimboccate. Invece, per proteggere la faccia dagli elementi si usa avvolgerlo intorno alla parte anteriore del collo fin sopra le narici, coprendo il naso e la bocca e lasciando scoperti solo gli occhi. Ma l’uso del krama non finisce con la testa perché questo ingegnoso rettangolo si adatta a un’infinità di scopi, soprattutto nelle società rurali dove non si esce mai di casa senza un krama in testa, o sulla spalla, abilmente piegato per diventare una comoda borsa. Con poche mosse si tramuta in una pratica fascia porta bebè, avvolto sui fianchi si trasforma in sarong, è un utile asciugamano di scorta, e annodato tra due alberi diventa una confortevole amaca dove schiacciare un pisolino nei campi o lungo la strada. Buttato sulla spalla, e annodando insieme le punte, può portare pesi anche notevoli grazie alla compattezza della tessitura, ed è un insostituibile aiuto per chi deve arrampicarsi sugli alberi, fungendo da poggiapiedi o da liana. Per le mamme, con un po’ di fantasia il krama diventa una bambola di pezza, e in caso d’emergenza, attorcigliato e infilato nel tubo bucato della ruota della bicicletta, permette di arrivare in sella fino a casa. Negli anni dei Khmer Rossi, quando la Cambogia conobbe il periodo più buio della sua storia, si faceva un uso particolare del krama come parte della divisa dei soldati che indossavano i krama di colore rosso, mentre ai prigionieri in attesa di essere giustiziati venne imposto il copricapo Khmer a quadretti blu. Per dare il benvenuto nel loro Paese i cambogiani, dolci, sorridenti e cortesi, usano drappeggiare un krama sulla spalla del visitatore, e chi ha la fortuna di girare questo splendido Paese e scoprire la sua magnifica storia millenaria, fa ritorno a casa con una valigia piena di ricordi indelebili e l’immancabile krama Khmer. www.asianaturaltours.com/
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I MER COPER DI VAL
testo e foto DI MIRKO MOND
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GARANTIVA AL POPOLO UN POSTO RIPARATO DAL SOLE E DALLA PIOGGIA ...
I MERCATI COPERTI DI VALENCIA
Sono arrivato a Valencia, capitale della Comunità Valenciana terza città della Spagna per importanza dopo Madrid e Barcellona, si affaccia sul Mar Mediterraneo ed ospita poco meno di 800mila persone delle quali circa l’8% sono italiani. La storia di questa città conquistata dai Romani prima, dai Visigoti poi e alla fine dagli Arabi, è affascinante ma qui tratteremo un argomento curioso e interessante: i mercati coperti di Valencia. I mercati coperti offrivano la possibilità ai commercianti di avere un posto stabile dove accogliere i propri clienti in alternativa al mercato tradizionale in strada. Questo garantiva al popolo un posto riparato dal sole e dalla pioggia e offriva ai commercianti la sicurezza di un luogo privato dove conservare i propri prodotti. Valencia ha strutture coperte adibite al mercato quasi in ogni quartiere oggi prenderemo in considerazione quelli che sono ritenute più importanti e più particolari: Lo storico Mercado Central, il Mercado de Colon, il Mercado di Ruzafa ed il Mercado del Cabañal. Il Mercado Central si trova esattamente nel centro della città, a due passi dalla Piazza dell’Ayuntamento e plaza de la Reina. Di fronte ad esso si trova la Lonja della Seda. I lavori iniziarono nel 1914 e furono realizzati seguendo il progetto di due importanti esponenti della scuola di architettura di Barcellona (Frances Gùardia i Vial e Alexandre Soler) che, nonostante di chiara influenza modernista, mantennero molti dei tipici tratti delle origini arabe del mercato. La struttura, che copre oltre 8.000 mq, è costruita con materiali caratteristici come il ferro, il vetro e la ceramica e fu ultimata nel 1928. La sua inaugurazione fu eseguita il 23 gennaio. Il Mercado Central di Valencia è attualmente il mercato coperto in attivo più grande d’Europa. La cupola della zona centrale, la più fotografata di Valencia, arriva all’altezza di 30 metri e condivide questo protagonismo con la “cupola del pesce e del pappagallo”. Il pappagallo a suo tempo era protagonista insieme al passero della curiosa leggenda che li vuole spettegolare su ogni attività che avviene al mercato dall’altezza del segnavento posto sul tetto dell’edificio e visibile dalla strada. All’interno del Mercado Central ci sono circa 300 banchi, o paradas come si chiamano in città, i quali offrono una vasta gamma di prodotti tipici dei mercati: frutta, verdura, salumi, carni, spezie, pesce, caffè, infusi, birre artigianali, cioccolato, pane e anto altro. Una curiosità che vi invitiamo a visitare è il Central Bar, unico luogo all’interno del mercato dove si può mangiare qualcosa di tipico ma anche originale, di proprietà del noto chef stellato Riccardo Camarena. Il Mercado Central è aperto dal lunedì al sabato dalle 7:00 alle 15:00 ed uno degli slogan dei commercianti è il seguente: «se non si trova qui è possibile che non esista». EMOTIONS
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Il Mercado de Colon si trova in Calle Jorge Juan ed è il secondo monumento più visitato della città. Fu disegnato e costruito tra il 1914 e il 1926 per opera dell’architetto Francisco Mora Berenguer. Nel 2003 vi fu investita la somma di 30 milioni di euro per la ristrutturazione. A differenza del Mercado Central, questo spazio, inizialmente concepito per ospitare i classici banchi di frutta e verdura, è ora attrezzato di bar e ristorantini che offrono delle eccellenze gustative decisamente da provare: si può degustare un’ottima horchata (una tipica bevanda valenciana che sembra
CI SONO BAR E RISTORANTINI CHE OFFRONO ECCELLENZE GUSTATIVE DA PROVARE... un latte di mandorla ma dal sapore più simile al cocco) oppure ci si può togliere qualche sfizio ordinando ostriche all’Oyster bar. Una curiosità è che anche all’interno di questo mercato, e precisamente nella parte sotterranea, si può incontrare la cucina dello chef Riccardo Camarena, questa volta in un ristorante giapponese molto di moda. Il Mercado de Colon è aperto tutti i giorni dalle 7:30 alle 2:00.
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È POSSIBILE TROVARE PRODOTTI MOLTO PARTICOLARI E DESTINATI A PALATI RICERCATI ... Il Mercado di Ruzafa si trova in Plaza Barón de Cortes, di fronte alla chiesa barocca di San Valero y San Vicente martire ed è uno degli edifici adibiti a mercato relativamente più nuovi essendo stato costruito nel 1957 dall’architetto Julio Bellot Senet. La particolarità della struttura tutta in cemento è data dalla sua forma quadrata dove ad ogni lato è destinato un colore con le sue sfumature (questo dal 2000). All’interno si trovano 160 punti vendita ed è il secondo mercato più grande della Comunità Valenciana. Eretto nel quartiere più hipster di Valencia, questa sua peculiarità non poteva essere assente sui banchi: è possibile infatti trovare prodotti molto particolari e destinati a palati ricercati come per esempio alghe di tutte le provenienze o prodotti tipici dell’Oriente.
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Il Mercado del Cabañal si trova nel quartiere omonimo all’inizio dell’Avinguda Mediterraneo, strada che percorsa fino alla fine ci conduce diritti verso la spiaggia della Malvarrosa e il mare. Questa struttura probabilmente è da ritenere il mercato più antico e duraturo di Valencia: la sua storia inizia ancora nel 1840, anno in cui viene concessa la licenza definitiva. Si dovrà però aspettare fino al 1869 per vedere concretamente realizzato il mercato, ci saranno di mezzo vari eventi straordinari come l’epidemia di colera nel 1855, una rinuncia del Comune per mancanza di fondi nel 1856, una seconda ricaduta l’anno successivo e, nell’indecisione generale e le incertezze finanziarie, si arriva al 1957, anno della terribile esondazione del fiume Turia che porta tanti morti oltre a numerosi danni. Sarà quindi solo il 2 luglio 1958 che verrà l’inaugurazione del tanto sospirato mercato coperto del Ca-
LA POPOLAZIONE CHE RISIEDE NEI DINTORNI È FIGLIA DA GENERAZIONI DI GITANI E MARINAI... bañal. Questo centro e il punto d’incontro di uno dei quartieri più caratteristici della città. La popolazione che risiede nei suoi dintorni è figlia da generazioni di gitani e marinai, pescatori che per decenni hanno vissuto ai margini della città e più vicini al mare. Le case sono ancora quelle tipiche dei pescatori e l’aria che si respira per le vie è quella tipica del Mediterraneo con l’abitudine di incontrarsi per strada per chiacchierare, per fare affari, per mangiare. Abitudine che si è trasferita a tutti gli effetti dentro il mercato dove si può vedere come ogni punto vendita collabora con gli altri. I posti all’interno sono 52 e la merce che si vende proviene dalla vicina Huerta Valenciana, l’orto della Comunità per eccellenza. All’esterno delle mura, oggi come 150 anni fa, i piccoli coltivatori propongono le loro primizie con i banchi improvvisati.
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ricordi d’auto le memorie di Goethe nel suo Viaggio in Italia testo DI LUISA CHIUMENTI
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ricordi d’autore SI RAGGIUNGE ROVERETO IN TRENO O IN AUTO ED È SORPRENDENTE NOTARE COME LE VIE CHE RAGGIUNGONO LA CITTADINA, SI SVOLGANO TUTTE PARALLELE, AI PIEDI DELLE MONTAGNE CHE NE CONTRASSEGNANO IL PAESAGGIO. CI SONO BEN QUATTRO VIE: IL FIUME ADIGE, LA FERROVIA, L’AUTOSTRADA E LA STATALE.... Si lascia il Lago di Garda in uno dei suoi angoli più deliziosi, la cittadina di Torbole, ricordata così da Goethe in uno degli schizzi a matita che accompagnavano il suo Viaggio in Italia: «Quanto desidererei che i miei amici fossero per un attimo accanto a me per poter gioire della vista che mi sta innanzi!» E infatti il lago di Garda rappresenta la vacanza estiva più amata dai Roveretani e non solo. Ma ecco come, superate Lizzana e Lizzanella, frazioni di Rovereto, si rimane colpiti, sulla destra, in località Lavini di Marco, dalla forte presenza di un gran numero di massi di pietra più o meno grandi che appaiono come rotolati dalla montagna soprastante e sopra alcuni dei quali appare una grande scritta che ricorda “la grande ruina”, di cui parla Dante nell’Inferno (XII, 4-6): «qual è quella ruina che nel fianco di qua da Trento l’Adige percosse,/ o per tremoto o per sostegno manco…». Dante infatti non trascurò di passare anche da questo luogo, durante il suo soggiorno nella vicina Verona, in cui ebbe modo di conoscere e di godere del-
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l’amicizia di Cangrande della Scala. Adagiata lungo la valle dell’Adige e bagnata dal suo affluente Leno, Rovereto è una ridente cittadina, capoluogo della Vallagarina, ed è stata sempre in grado di accogliere l’innovazione, senza perdere il contatto con la tradizione. Tenendo sempre in gran conto infatti, nei principali suoi aspetti, il grande valore della sua particolare posizione da sempre considerata “crocevia di commerci e luogo di conquista e transito tra nord e sud Europa”, è pur sempre rimasta una “raffinata promotrice di alta cultura”. Sede storica della prestigiosa Accademia degli Agiati e del Centro Studi Rosminiani, vede da sempre un grande afflusso di appassionati e studiosi che intendono seguire i Festival dei filmati archeologici o i grandi incontri Mozartiani e le mostre accolte ora dal Mart, oltre agli Eventi e ai Premi prestigiosi attivati da Accademia degli Agiati appunto. Nata nel 1750 per iniziativa di alcuni giovani intellettuali roveretani, cresciuti alla scuola di Girolamo Tartarotti, nel giro di pochi anni, sotto la guida di Giuseppe Valeriano Vannetti, essa aggregò intorno a sé il meglio della cultura locale.
ROVERETO PARTICOLARE DEL CAMPANILE DELLA CHIESA DI S. MARCO
ricordi d’autore MART, MUSEO DI ARTE MODERNA E CONTEMPORANEA
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IL CASTELLO DI ROVERETO
Con il 1883 ebbe inizio poi la pubblicazione regolare degli Atti accademici, con i testi di personalità illustri, distinti in diverse discipline a livello nazionale ed europeo, fra cui gli archeologi Federico Halbherr e Paolo Orsi, il musicista Riccardo Zandonai, il pittore Fortunato Depero.
LA CAMPANA DEI CADUTI, LA PIÙ GRANDE CAMPANA DEL MONDO ANCORA FUNZIONANTE... Proprio di fronte alla Casa Depero, prima che la Via della Terra sbocchi sulla piazza del Municipio, ecco iniziare la rampa che porta al castello che accoglie il Museo storico della guerra, nato non solo per documentare la prima guerra mondiale, ma anche come custode dell’identità nazionale italiana. L’idea di fondare un Museo Storico della Guerra fu di alcuni roveretani, Giuseppe Chini, Giovanni Malfer, Antonio Piscel e appunto
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don Rossaro, che concepì l’idea di far nascere la Campana dei Caduti. Situato in posizione strategica, su un dosso roccioso sulla riva destra del Leno, il Castello di Rovereto ha la struttura imponente di una roccaforte militare. Il primo nucleo fu costruito dai Castelbarco tra il XIII e il XIV secolo come presidio del loro potere feudale in Val Lagarina. Nel Quattrocento il complesso passò ai Veneziani, che ne mutarono l’aspetto: la pianta poligonale ed i quattro possenti bastioni angolari trasformarono il castello in uno dei migliori esempi di fortificazione alpina tardo-medievale. Sino al 1961 ha custodito la famosa Maria Dolens, la Campana dei Caduti, la più grande campana del mondo ancora funzionante e che ha trovato la sua sede sul colle di Miravalle, ma rimane qui visibile il modello originale in gesso. La piazza del Municipio su cui incombe la mole del castello, mostra al visitatore, nella struttura architettonica del Palazzo comunale, quale sia stato il profondo legame della città con la Serenissima.
ricordi d’autore E se, dal Medio Evo alla Serenissima Repubblica di Venezia e al secolo dei lumi, il centro abitato si è arricchito di palazzi di grande interesse architettonico ecco che in epoca moderna l’impegno culturale e progettuale concretizzato nell’apertura del Mart, il Museo di Arte Moderna e Contemporanea, ideato dalla genialità dell’architetto Mario Botta che ha saputo, con il suo segno contemporaneo, inserirsi nel profilo dei palazzi settecenteschi del corso Bettini, a cominciare dal palazzo che ricorda il passaggio di Goethe da Rovereto. Si tratta del settecentesco Palazzo Testori (già Candelpergher) che fa da chiusura prospettica al Corso Bettini, costruito verso la fine del 1700, ospitava l'antico albergo Rosa d'Oro dove nel settembre 1798 pernottò Johann Wolfgang Goethe in viaggio verso l'Italia. E ricordiamo l’interesse che il poeta ebbe per la città, se lasciò scritto fra l’altro, nelle sue memorie di viaggio, di «aver avuto a Rovereto l'impressione di trovarsi già in Italia ed aver avuto qui il primo e gradito saluto nella lingua italiana». Ma anche Wolfgang Amadeus Mozart fu ospite di tale albergo, per non parlare di altri ospiti come l'imperatrice Carlotta, lo zar Alessandro di Russia (1882) e Maria Luigia d'Austria (1839). ll proprietario dell’albergo era peraltro molto noto nel territorio perché faceva servizio di posta con una diligenza a cavalli sulla tratta Rovereto-Trento-Verona. L'ingresso alla posta a cavalli avveniva dal bel cancello in ferro all'inizio della piazza, esistente anche oggi, e all'interno vi erano le stalle.
DEPERO: LA SUA CASA NATA COME UN MUSEO
Ed è in corrispondenza del nucleo più antico della città, ai piedi del castello, che il visitatore verrà affascinato proprio dalla Casa d’Arte Futurista di Fortunato Depero: una casa che lo stesso artista roveretano aveva pensato come Museo. Riaperto al pubblico nel 2009 dopo dieci anni di accurato restauro, il museo si propone come un vero e proprio atelier: un laboratorio d’artigianato da cui nascono arazzi, mobili, piatti, scialli, giocattoli con il segno e le fantasie cromatiche tipici dell’autore. Si vedono così opere d’arte e oggetti “d’uso comune”, secondo il concetto di Depero per cui «l’arte futurista» deve «invadere la vita quotidiana».
SCORCI MOZZAFIATO E UNA BELLA GIORNATA SULLA NEVE CON SOSTA NEI RIFUGI IN QUOTA... ANCHE VACANZA IN MONTAGNA... Ma che dire di Rovereto quale punto di partenza per le più belle vacanze in montagna? Polsa, San Valentino e San Giacomo accolgono nella più vicina “ski area” del Trentino, facilmente accessibile dall’uscita Rovereto Sud dell’A22. Non lontano, il Monte Baldo accoglie in un ambiente unico, con scorci mozzafiato e una bella giornata sulla neve si può così completare con una sosta nel tepore di una baita o nei rifugi in quota per assaporare i piatti tipici locali. Sull’Altopiano di Brentonico, così come in Lessinia, Val di Gresta; Valli del Leno e Lago di Cei, l’inverno è anche sci nordico, escursioni guidate con le ciaspole, slittino e pattinaggio. E terminerei riportando una frase che ebbe a scrivere un grande artista roveretano, Fausto Melotti, al suo amico, artista e letterato, Carlo Belli: «Ritengo che sia stato per me un privilegio passare la mia giovinezza a Rovereto, una piccola città, ma con un fermento culturale straordinario».
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KALEIDOSCOPE
www.inyalakehotel.com
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INYA LAKE HOTEL Pamela McCourt Francescone
Inya Lake Hotel si trova sull'omonimo lago artificiale, creato dagli inglesi nel 1883 per fornire l'approvvigionamento idrico della capitale che allora si chiamava Rangoon. La leggenda vuole che l'hotel sia stato un regalo dell'ex segretario sovietico Nikita Kruschev all’allora governo birmano, e nel 1990 è stato ristrutturato dal prestigioso albergatore indonesiano Adrian Zecha. Isolato dal traffico della Pyay Road che collega il centro di Yangon, l’ex capitale e la città più grande del Myanmar, all'aeroporto, la sua
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posizione incantevole sulle rive del lago Inya lo rende un oasi di tranquillità su 15 ettari di rigogliosi giardini verdeggianti con alberi e piante tropicali. Dotato di una grande piscina, l’hotel sorge nelle vicinanze di alcune delle più belle proprietà residenziali di Yangon, tra cui la casa sul lago della Consigliera di Stato Aung San Suu Kyi. L'imitazione di un fumaiolo per navi a vapore sulla sommità conferisce all'hotel l’aria di una nave da crociera, aggiungendo un fascino d’antan alle candide linee architettoniche. Le 85 camere e suite sono spaziose, arredate in stile coloniale e dotate di balconi
privati con viste sui giardini e sul lago. L’hotel dispone inoltre di una palestra attrezzata, due campi da tennis, quattro ristoranti e bar, e un moderno centro congressi. Nel ristorante Inya Lake lo chef propone specialità birmane, asiatiche e occidentali e nei bar Poolside e Lake View vengono serviti pasti leggeri, bevande fresche e cocktail. Accanto all’hotel due dei ristoranti più eleganti e celebri della città, L’Opera, un’oasi della più sofisticata cucina italiana, e Seeds dello chef Michelin svizzero Felix Eppisser.
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Annalisa Venditti
Elisa B. Pasino
DELITTO ALL'HOME RESTAURANT
MONFERRATO, ALESSANDRIA E ASTI
DEI MERANGOLI EDITRICE
EDITORE MORELLINI
UNA NUOVA INDAGINE DEL CAPITANO BORGIA
Una cena curata in ogni minimo dettaglio, preparata nell’home restaurant di una bella casa a due passi da San Pietro, per un gruppo di ex compagni di classe. Ma la serata dal sapore amarcord si tramuta in un banchetto fatale con l’arrivo del piatto forte condito di vendetta. Un prezzo da pagare per un ferale conto in sospeso che darà del filo a torcere al capitano dei Carabinieri Giovanni Borgia che si trova a dover fare luce su un rompicapo degno del più abile enigmista. Annalisa Venditti, laurea in lettere, giornalista, scrittrice di testi per il teatro e la televisione, e attualmente nel team nel programma di Rai 3 Chi l’ha visto? dissemina questa seconda indagine del Capitano Borgia (la prima, “Il Giorno dell’Assoluzione” fu pubblicata da Dei Merangoli nel 2016) di spunti ludici che ricalcano l’antico Gioco dell’Oca, giochi linguistici, indizi e colpi di scena ingegnosi. Borgia, alle prese con una mente perversa e criminale, è un detective con una specchiata professionalità e una ferma durezza che maschera una fragilità che lo rende molto umano. Messo a dura prova, rivela doti deduttive degne di Sherlock Holmes, sullo sfondo di una Roma fascinosa e trasandata, guidando il lettore attraverso svolte improvvise a forti tinte alla ricerca di risposte a un puzzle pieno di tessere mancanti, in un crescendo di suspense psicologico fino all’ultima pagina. di Pamela McCourt Francescone
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GUIDA ALLA CITTÀ E AL TERRITORIO
Non solo terra vitivinicola, il Monferrato, entrato a far parte della lista del Patrimonio dell’Umanità Unesco nel 2014, è amato in tutta Italia e attrae il turismo internazionale. Qui le dolci colline regalano paesaggi romantici in ogni stagione dell’anno, grazie ai luoghi naturali, ma anche alla cultura e all’arte, all’enogastronomia e agli itinerari apprezzati da chi pratica gli sport outdoor e alle ciclovie ben attrezzate che permettono di vivere un’esperienza unica. Qui si intrecciano la Strada del Vino e il Circuito degli infernòt, i locali posti sotto le case e le strade e privi di aerazione e di luce in cui si conservavano il vino e gli alimenti deperibili. Non solo natura e campagna, ma grazie a questa guida Elisa B. Pasino porterà il lettore anche sulle tracce della leggenda di Aleramo e quella di Gagliaudo, ma anche di quella del pastore Gelindo, alla scoperta delle città di Asti e di Alessandria - quest’ultima conosciuta nel mondo per i cappelli Borsalino - due piccole gemme ricche di arte e cultura da esplorare fino in fondo. Elisa B. Pasino è nata ad Alessandria e cresciuta tra le colline del Monferrato. Nel 2013 ha dato vita al travel blog Valigia a due piazze, ospitato da IlGiornale.it. È giornalista professionista, sommelier e direttore responsabile del bimestrale I like it magazine. Racconta di viaggi ogni sabato mattina su Radio LatteMiele. Con Morellini Editore ha pubblicato New York al femminile,Prête-à-Partir. Tutti i consigli per la viaggiatrice perfetta, e Londra al femminile.
Lavinia Oddi Baglioni
INSEGNARE L’ITALIANO AGLI IMMIGRATI GBE/ GINEVRA BENTIVOGLIO EDITORIA-ROMA 2020
“Imparare insegnando. Storia di un’esperienza”. Si coglie, fin delle prime pagine dell’agile volumetto, la profondità di un concetto che porta l’A. a realizzare un insegnamento consapevole che sia in grado di stabilire una reale “comunicazione fra due persone”: una didattica come incontro e come relazione per poter condurre ad una “crescita”. In particolare: se è vero che la lingua “ci fa uguali e porta alla conoscenza dei diritti, base per l’accesso alla “patente” di “cittadino”, l’Autrice ci spiega come ella abbia sentito l’urgenza di portare una sorta di innovazione nel suo modo di insegnare: l’importanza di “uscire dall’Aula” per interfacciarsi con il mondo circostante e far scoprire la città. Se infatti il nostro concetto di “bellezza” è molto diverso da quello di coloro che frequentano i corsi, un concetto di bellezza che potremmo definire “occidentale”, è importante condurli di fronte alla città ed osservare il loro modo di prenderne visione e di appropriarsi della atmosfera che li circonda. Ed ecco che subito, con una visita guidata ai Fori, si accende anche il desiderio del “ricordo”, attraverso la fotografia e l’Autrice fa più fatica a descrivere i luoghi, perché i suoi alunni si sparpagliano qua e là “fotografare e fotografarsi”. Affacciati poi alla terrazza del Campidoglio, mentre la professoressa narra le vicende storiche che accolsero quei luoghi, essi osservano le rovine del Palatino dall’alto e forse collegano quei racconti, alla grandiosità dei luoghi. di Luisa Chiumenti