EMOTIONS MAGAZINE – GIUGNO-LUGLIO 2019 – ANNO 9 N 35

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www.mgrouproma.it



SOMMARIO

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ORISSA: LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA

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www.emotionsmagazine.com

AUSTRIA N AT URA E BE N ESS ER E D I LUS SO

KASHMIR: SULLE ACQUE DEL JHELUM

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SUMATRA: LA MILLENARIA TRIBU’ MENTAWAI EMOTIONS

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SOMMARIO

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ALBANIA

il Paese delle Aquile è una meta ambita dal turismo internazionale ma i viaggiatori italiani godono di un'accoglienza speciale

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ALBANIA: STORIA E BELLEZZA DA SCOPRIRE AL DI LA' DELL'ADRIATICO

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Photo by Anna Alberghina

Ardito Desio, esploratore, geologo e accademico italiano, la sua fama è legata alla conquista italiana del K2 del 1954

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NAGALAND: LA TRIBU’ DEI KONYAK, GLI ULTIMI TAGLIATORI DI TESTE

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ARDITO DESIO: INTERVISTA A LLA FIGLIA DEL GRANDE ESPLORATORE

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KALEIDOSCOPE

Ballyfin. La grande bellezza

Collaboratori Anna Alberghina Luisa Chiumenti Manuel D'Antonio Giuseppe Garbarino Pamela McCourt Francescone Mariella Morosi Anna Sida redazione@emotionsmagazine.com Fotografi Anna Alberghina Ettore Brezzo Matteo Maimone Sara Savina Responsabile Marketing e Pubblicità Enrico Micheli e.micheli@emotionsmagazine.com

Hyatt Regency Bangkok Sukhumvit

Pubblicazione Rivista Online DMXLAB Srl

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Editore Teresa Carrubba Via Tirso 49 -00185 Roma Tel e Fax 068417855

LIBRIEMOTIONS

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Direttore Responsabile Teresa Carrubba tcarrubba@emotionsmagazine.com Ideazione logo Ilenia Cairo Progetto grafico e impaginazione Elisabetta Alfieri e.alfieri@emotionsmagazine.com

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Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 – N° 310/2011 Copyright © – Tutto il materiale [testi e immagini] utilizzato è copyright dei rispettivi autori e della Case Editrice che ne detiene i diritti.


HIDE

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An adventure and retreat with a difference. St. Martins, central Europe’s first lodge, has an air-conditioned photo hide where you can discover the wildlife of the Seewinkel and capture it on camera without being seen.

www.stmartins.at Tel.: +43 2172 20500 7132 Frauenkirchen Im Seewinkel 1 AUSTRIA

The Lodge of


Donne Kutia Kondh, ORISSA Photo by Anna Alberghina


S C R I V I A M O

A R T I C O L I

P E R

S U S C I T A R E

E M O Z I O N I

TERESA CARRUBBA EDITORE DIRETTORE RESPONSABILE

Un numero un po’ speciale, quello di giugno, dedicato in gran parte ai viaggi antropologici, alla scoperta della cultura e della storia di terre lontane attraverso le espressioni vitali, i riti ancestrali, reconditi e a volte inspiegabili delle tribù indigene locali. Le minoranze etniche dell'Orissa, ad esempio, la cui religione è un miscuglio di animismo, feticismo, sciamanesimo e culto degli antenati, rivolta a garantire felicità e benessere alla comunità. Il Kashmir, dove i laghi Dal, Anchar e Nigeen sono costantemente tenuti vivi dalla brulicante attività delle “shikaras”, imbarcazioni per gli scambi culturali di questa gente, guidate da barcaioli indigeni vestiti tradizionalmente con il “phiron”. La tribù Mentawai, a Sumatra, fortemente legata alla natura, una connessione manifestata con il tatuaggio. L’arte dei “titi” (disegni) è stata ereditata dagli antenati ed è una vera e propria sorta di autobiografia. Senza contare la tribù dei Konyak, gli ultimi tagliatori di teste, nel Nagaland. In Emotions, la testimonianza di uno di loro. Tornando nei nostri paralleli, parliamo di Albania, piccolo paese balcanico che ha conservato la sua identità ed oggi può aprirsi al turismo con un grande patrimonio archeologico e ambientale e le tante bellezze incontaminate, soprattutto nelle zone montane e costiere. Poi, l’Austria, con un focus particolare sul benessere e su due strutture termali e Spa di alto livello, selezionate dalla VAMED Vitality World. Una chicca di questa edizione è l’intervista alla figlia di Ardito Desio, esploratore, geologo e accademico italiano del Novecento, che nel 1954 raggiunse la vetta del K2.

tcarrubba@emotionsmagazine.com


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ORISSA LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA TESTO E FOTO DI ANNA ALBERGHINA

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ORISSA LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA

Non si può dire di conoscere l'India prima di aver visitato l'Orissa ... Questo stato, che si affaccia sul Golfo del Bengala, è, a tutt'oggi, poco battuto dal turismo e offre la possibilità di vivere un'avventura culturale e antropologica in una realtà rurale che ha preservato intatti gli stili di vita e le tradizioni del lontano passato. Lo stato dell'Orissa si differenzia dagli altri della confederazione indiana per la presenza di antiche popolazioni autoctone di origine dravidica che vivono confinate in remote foreste dove si rifugiarono per sfuggire alle popolazioni ariane. Il modo migliore per incontrarle è visitare i mercati settimanali dove le varie etnie, in abito tradizionale, accorrono in massa. Ma molte altre ancora sono le attrattive di questo stato. Fiore all'occhiello della produzione artigianale è l'antichissima tradizione familiare di tessitura della seta e del cotone. Da generazioni, interi villaggi danno vita a meravigliosi sari secondo la tecnica dell'ikat e del bomkai. Tra le bellezze naturalistiche spicca il lago Chilika, una vasta area di paludi e risaie che ospita delfini, pesci e crostacei e dà rifugio a milioni di uccelli migratori. Non bisogna, infine, dimenticare che l’Orissa ospita alcuni fra i templi più belli e venerati della religione induista: i templi di Bhubaneswar, il tempio di

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Joranda con i Sadhu della setta Mahima, la città santa di Puri e il tempio del sole di Konark. Durante il suo burrascoso passato, l'Orissa fu testimone del massiccio spargimento di sangue avvenuto nella guerra di Kalinga combattuta nel 3° secolo a. C. dopo la quale l’imperatore Ashoka si convertì al Buddismo. Numerose dinastie si alternarono successivamente al potere: i Maurya, i Keshari, i Ganga, i Gajapati e i Chalukya che diedero vita tra il 7° e il 12° secolo a una superba fioritura architettonica. Dal 1568 la regione passò sotto il dominio Moghul. I primi Occidentali a prenderne possesso furono gli Olandesi che la cedettero, in seguito, alla Compagnia Britannica delle Indie Orientali che la governò fino all'ottenimento dell'indipendenza nel 1947. La capitale Bhubaneswar, nota come “la città dei templi” vantava, un tempo, più di 2000 templi. Oggi il più importante è il Lingaraj temple (11°secolo) dedicato a Tribhubaneshwar, il signore dei tre mondi. Il tempio di Jagannath (12° secolo) che si trova a Puri, è un’importante meta di pellegrinaggio. Esso non è accessibile ai non Indù ma può essere ammirato dal terrazzo dell'adiacente biblioteca.


IL CARRO DEL SOLE NEL TEMPIO DI KONARK

Il tempio di Jagannath, a Puri,

è un’importante meta di pellegrinaggio è dedicato al Signore Jagannath,

considerato il Dio e monarca supremo dello Stato di Orissa


La capitale Bhubaneswar, nota come “la città dei templi” ne vantava, un tempo, più di 2000

IL TEMPLIO DI MUKTESHWARA A BHUBANESWAR

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ORISSA LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA

E' dedicato al Signore Jagannath, considerato il Dio e monarca supremo dello Stato di Orissa nonché “avatar” del Dio Vishnu. Il termine “avatar” è usato per definire le diverse incarnazioni di Vishnu tra cui le più note sono Krishna e Rama. In questo tempio si realizza la massima integrazione fra correnti religiose differenti. Ciò che gli ha valso l’appellativo di “tempio dei misteri” sono i molti fatti inspiegabili che vi si verificano. Ogni giorno ha luogo la preparazione del “prasadam”, il sacro cibo servito prima agli Dei e poi ai fedeli. Mai ne avanza e mai risulta insufficiente! Da più di un millennio, ogni giorno, un sacerdote sale fino in cima alla cupola per cambiare la bandiera che tira sempre in direzione opposta a quella del vento. Sopra il tempio non volano né si posano uccelli e la cupola non fa mai ombra. Dove si ferma la ragione, ci si affida all’insondabilità della fede! Il tempio di Konarak o Konark risale al 1250 d. C.. Fu distrutto nel 16° secolo e disertato in seguito alla profanazione. La sua costruzione è legata al mito della guarigione dalla lebbra di Shamba, figlio di Krishna, grazie all’intervento di Surya, il Dio Sole. Il tempio, centro di ancestrali culti solari, è un vero capolavoro di cesello, riccamente scolpito con scene erotiche, di caccia e di guerra. Nei coloratissimi e affollati mercati dell'Orissa si possono incontrare e fotografare oggi, liberamente, tutte le popolazioni: oltre 60 diversi gruppi etnici. Si tratta di circa 7 milioni di individui pari al 22% della popolazione totale dello stato. Le minoranze etniche dell'Orissa, pur appartenendo a gruppi diversi per origine, caratteristiche somatiche e ceppi linguistici, sono tutte caratterizzate da una corporatura esile e da una pelle scura. Vivono di caccia, raccolta e allevamento. Questa economia di sussistenza, limitata a soddisfare i bisogni della famiglia, è caratterizzata da una tecnologia semplice. Praticano un tipo di agricoltura migrante basata sulla tecnica del “taglia e brucia”. La base della loro dieta è il riso, dal cui raccolto dipende il benessere della tribù. Gli scambi commerciali si fondano sul baratto. I loro villaggi, in maggioranza uni-etnici, sono situati in zone collinose o boscose e sono per lo più formati da due file di case di fango che si fronteggiano. Le case non hanno finestre, le porte sono talvolta scolpite con motivi elaborati. I muri che hanno una struttura in legno ricoperta di fango, vengono successivamente dipinti dalle donne con i colori e i simboli della tribù. La loro religione è un miscuglio di animismo, feticismo, sciamanesimo e culto degli antenati. Tutte queste credenze hanno lo scopo di garantire felicità e benessere alla comunità, di favorire l'abbondanza del raccolto, la protezione del bestiame, delle piante e della progenie. Il Pantheon delle divinità è di solito costituito dal Dio Sole e dalla Madre Terra accanto ad una gerarchia più bassa di spiriti benevoli o malevoli. Una caratteristica del culto tribale è il sacrificio rituale di animali a scopo propiziatorio. I loro idoli sono pietre, alberi o altri elementi naturali. EMOTIONS

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ORISSA LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA

FANCIULLE DONGRIA KONDH


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ORISSA LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA

DANZA DELLE FANCIULLE BORO GADABA


L'attribuzione dei ruoli sociali è basata sulla differenziazione in termini di parentela e sesso. Ruoli specifici sono quelli del capo villaggio, dello sciamano e dell'aruspice che pratica la divinazione. Le posizioni di sacerdote e capo villaggio sono ereditarie. L'amministrazione della giustizia è gestita all'interno del villaggio. Le pene e le misure correttive stabilite dalla comunità in caso di violazione di norme comportamentali, sono proporzionate alla gravità della violazione stessa. Gli anziani del villaggio si riuniscono ogni giorno per discutere di eventi importanti o per la celebrazione di feste paesane. La “grande capanna” diventa quindi il centro della vita sociale, economica e religiosa. Per quanto riguarda l'acquisizione di spose per il matrimonio, la prassi più diffusa è la “cattura” ma non mancano pratiche di acquisto e di negoziazione. Il pagamento del prezzo della sposa è un elemento imprescindibile. Le danze e la musica sono parte integrante del variegato patrimonio culturale. Le donne danzano in girotondo, con le braccia intrecciate l'una all'altra dietro la schiena, mentre gli uomini intonano canti al ritmo dei tamburi. Tra le popolazioni più interessanti ricordiamo: i Kutia Kondh, i Dongria Kondh, i Bonda, i Boro-Gadaba, i Mali e i Saora. I Kutia Kondh furono, fino a tempi recenti, soggetti agli attacchi delle tigri che, in realtà, venivano considerati opera degli spiriti maligni della foresta. Per esorcizzarli, le donne si tatuano, ancora oggi, il volto con linee che vogliono imitare i baffi del grande felino. Nelle piazze dei loro villaggi sorge un palo totemico, un tempo utilizzato per sacrifici umani. Oggi si sacrificano bufali per propiziarsi i favori degli spiriti. I Dongria Kondh sono una popolazione piuttosto aggressiva e scostante. Portano tre anelli al naso e grosse collane in bronzo o alluminio. Mani e braccia sono ornate da anelli e bracciali. Tra i Dongria vige l'istituzione pre-matrimoniale dei dormitori dove si riuniscono le ragazze fra i 10 e i 15 anni. I giovanotti di altri villaggi conquistano le fanciulle lanciando alla prescelta una sciarpa, tessuta a mano da una sorella. Se il dono viene accettato, passeranno la notte insieme. I Bonda, conosciuti anche come i “pigmei dell'Orissa”, sono tra le tribù più primitive e hanno mantenuto intatti costumi e tradizioni. Vivono sulle remote colline a sud di Jeypore, ancora oggi infestate dai Naxaliti, gruppi militanti comunisti, che furono responsabili, negli anni passati, di numerosi rapimenti ai danni di Occidentali. Utilizzano tecniche di semina e coltura alquanto primitive e fanno largo uso di bevande alcoliche distillate artigianalmente. Le donne Bonda indossano il “ringa”, un succinto gonnellino a righe tessuto a mano. Il petto nudo è coperto da numerosissimi fili di perline. La testa rasata è, a sua volta, ricoperta da altri fili di perline. L'abbigliamento è completato da larghi collari in bronzo o alluminio, da bracciali e cinture. Le donne Bonda fabbricano solide scope di saggina che tentano di vendere ai mercati settimanali con scarso successo a causa della loro fama di streghe. Esse hanno l'abitudine di sposare uomini molto più giovani per garantirsi il sostentamento con l'avanzare dell'età. I Boro-Gadaba

sono gli unici del loro gruppo ad essere rimasti ancorati a tradizioni e rituali. Oltre a pesanti collari di metallo, che non vengono mai rimossi, le donne portano, infilati nelle orecchie, grossi cerchi in bronzo. Al centro dei loro villaggi, sotto un albero frondoso, si ergono uno o più monoliti in memoria degli antenati. I morti vengono cremati, tranne alcune ossa che rimangono alla famiglia. Circa dieci giorni dopo la morte si organizza una grande cerimonia alla quale partecipa tutto il villaggio. Vengono sacrificati vari bufali e si bevono litri di birra di riso e liquore fermentato. Dopo la cerimonia, il defunto ritornerà nella propria famiglia, reincarnandosi in un nuovo nato. I Mali sono un popolo di eccellenti agricoltori. Le donne usano portare fiori freschi tra i capelli e si tatuano le caviglie. I Saora, invece, sono facilmente riconoscibili per i vistosi piattelli auricolari delle donne e per le stoffe colorate di seta e cotone in cui si avvolgono. L'incredibile patrimonio di tradizioni e credenze che danno vita ai rituali e alle feste di queste tribù si è miracolosamente conservato inalterato fino ai giorni nostri. E' bene affrettarsi a visitare questi luoghi prima che tutto venga cancellato. EMOTIONS

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ORISSA LE ULTIME TRIBU’ DELL’INDIA

IL TEMPIO DI JOGINI

L’Orissa ospita alcuni

fra i templi più belli e venerati della religione induista

IL TEMPIO DI JORANDA


SADHU DELLA SETTA MAHIMA

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TUTTO SCORRE: LA TERRA DOVE IL TEMPO

TESTO DI GIUSEPPE GARBARINO FOTO DI ETTORE BREZZO

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O SI SPECCHIA NELLE ACQUE DEL JHELUM

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Un mondo in equilibrio, dove l’acqua è parte essenziale del modo di vivere giornaliero, sia per gli aspetti religiosi che della quotidianità così intrecciata con gli scambi economici, i gesti del dare e dell’avere che da millenni proiettano le ombre degli uomini sulla terra della valle del Kashmir dove Srinagar, la capitale estiva di questa terra, si riflette nel fiume Jhelum, un affluente dell’imponente Indo. Qui i laghi Dal, Anchar e Nigeen sono costantemente tenuti vivi dalla brulicante vivacità delle shikaras, imbarcazioni in legno che permettono gli spostamenti e i vivaci scambi culturali di questa gente. Sono generalmente due i barcaioli che guidano queste tipiche barche, vestiti tradizionalmente con il phiron, abito che inserito nel contesto locale ci fa facilmente viaggiare nel tempo, magari fino al mercato galleggiate di verdure e frutta, unico nel

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suo genere in tutta l’India, un microcosmo di relazioni e scambi che esiste da sempre. Le case galleggianti sembrano uscite da un romanzo di inizi Novecento, il loro uso quotidiano per tantissimi scopi, non solo il commercio o il viverci che creano quelle forme di umanità che completano il rapporto uomo-acqua, storiaambiente, ma anche il loro uso come hotel, tanto da avere delle camere lussuose, in perfetto stile coloniale, con la caratteristica che questi luoghi di ospitalità turistica sono generalmente una serie di barche concepite per avere, grazie a dei ponti interconnessi, tutta una serie di comfort che gravitano intorno alla casa galleggiante principale alla quale è annessa quella che viene chiamata l’importante barca-cucina. Altri battelli minori vengono invece utilizzati per la raccolta della vegetazione acquatica, utilizzata come particolare foraggio per gli animali locali, mentre i ponti che collegano la città vecchia sono come cornici che hanno dato al luogo il meritato nome di “Venezia d’Oriente”, così che anche il lago Dal è impreziosito dal soprannome di Gioiello di Srinagar o del Kashmir.


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SONO UNA SERIE DI BARCHE CHE, GRAZIE A PONTI INTERCONNESSI, GRAVITANO INTORNO ALLA CASA GALLEGGIANTE PRINCIPALE

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Sembra che in questa zona tutto debba dipendere dall’acqua: vita, religione, commercio. Perché direte voi? Ed ecco la risposta nel termine stesso che, in tempi remoti ed oscuri ha battezzato questa terra con il nome di Kashmir, ovvero “terra essiccata dall’acqua”, sembra un paradosso, invece è una realtà di una terra tormentata dalle rivalità dei tre paesi che si sono divisi la regione alla fine del dominio britannico. Già gli antichi greci chiamavano la regione con il nome "Kasperia", poi i bizantini la identificarono con il nome di "Kaspapyros", il resto è storia. Un altro aspetto caratterizza questa città nota anche per la curiosa leggenda della tomba di Gesù, i "Giardini Mughal del Jammu e Kashmir", creati ai tempi degli imperatori Mughal, luoghi di estasi dove le fontane reali o Chashma Shahi sembrano far parte di una favola e non per niente il Pari Mahal si traduce in “palazzo delle fate”, dove dietro ogni angolo si celano altre sorprese, come il Nishat Bagh o “giardino della primavera” e i Shalimar Bagh e il Naseem Bagh, nomi dai suoni magici che si intrecciano con un

mondo al limite del tempo. A circa 10 chilometri da Srinagar si incontra il settecentesco santuario Hazratbal, il fulcro spirituale della regione, situato sul lato sinistro del lago Dal. Questo è un luogo di pellegrinaggio, infatti schiere di persone lo raggiugono solo per venerare una particolare reliquia, un pelo della barba del profeta Maometto, la Mo-i Muqaddas. Inizialmente la reliquia era conservata nella moschea di Srinagar, ma le masse di visitatori erano tali da dover prendere la decisione di trasferirla in altro luogo che permettesse di accogliere tutti i pellegrini. Oggi il piccolo mondo di Srinagar combatte con i ricordi del periodo britannico, forse alla ricerca di un’identità perduta; c’è da credere che molti dei quadri viventi che possiamo osservare quotidianamente percorrendo il fiume Jhelum, siano gli stessi che altri viaggitori di oltre cento anni fa hanno potuto osservare e descrivere nei loro appunti di viaggio, nulla è cambiato, nulla è mutato nonostante lo scorrere quasi eterno delle sue acque.

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AUSTRIA

NATURA E BENESSERE DI LUSSO CON VAMED VITALITY WORLD TERESA CARRUBBA

La motivazione di una vacanza nasce dall’esigenza interiore di appagare desideri a lungo tenuti inespressi. Sempre più spesso, però, il logorio della vita frenetica, specie se si abita nelle grandi città, ci spinge verso oasi di tranquillità dove l’immersione totale nella natura crea il distacco necessario per potersi rigenerare. Se poi si unisce l’effetto della natura al soggiorno in un centro termale o in una Spa per prendersi cura del benessere fisico e, perché no?, anche della bellezza e dell’estetica, allora la vacanza può diventare fonte di rinascita globale. L’idea potrebbe venire da una delle dieci Spa e stazioni

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termali VAMED Vitality World in alcune delle parti più belle dell'Austria e di Budapest. Ognuna offre una combinazione unica di assistenza sanitaria preventiva ed estetica, mettendo al primo posto il proprio benessere personale. Scoprite gli splendidi laghi e le montagne della regione del Salzkammergut, le cime tirolesi innevate, le dolci colline della Bassa Austria occidentale e settentrionale, la straordinaria bellezza dell'Alta Austria e le pianure del Burgenland. I resort VAMED Vitality World offrono un vasta gamma di opzioni di benessere per ogni esigenza, 365 giorni l’anno.


VAMED, il gruppo internazionale di assistenza sanitaria, è attivamente impegnata nel settore termale e del benessere dal 1982. Utilizzando il marchio VAMED Vitality World, fondato nel 2006, attualmente gestisce dieci dei più famosi centri termali e benessere, AQUA DOME - Tirol Therme Längenfeld, Therme Geinberg Spa Resort, Therme Laa - Hotel & Silent Spa, St. Martins Spa & Lodge, Therme Wien, Centro benessere Sauerbrunn, Tauern SPA Zell am See Kaprun, La Pura Resort benessere femminile Kamptal e Spa Resort Stiria in Austria e Aquaworld Resort Budapest, una delle più grandi stazioni termali in Ungheria. Le fantastiche location dei singoli resort e la composizione attentamente bilanciata dei trattamenti e delle terapie offerte negli hotel benessere contribuiscono ad un perfetto soggiorno. Le terme VAMED Vitality World attirano più di 3,2 milioni di ospiti all'anno, rendendo il VAMED Austria il principale operatore di stazioni termali e centri benessere. I resort, che si avvalgono di personale specializzato e altamente professionale, sono architettonicamente unici con moderne strutture termali e Spa. www.vitality-world.com/en

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ST. MARTINS SPA & LODGE L’ATMOSFERA È QUELLA DEL BUEN RETIRO, DOVE DIMENTICARE GLI AFFANNI DELLA VITA E FARSI VEZZEGGIARE TRA GLI UNGUENTI ODOROSI DELLA SPETTACOLARE SPA E DAI CURATISSIMI MANICARETTI DI UNA SOPRAFFINA ARTE DELLA TAVOLA. LA NATURA, POI, FA IL RESTO Il St. Martins Spa & Lodge di Frauenkirchen nel Burgenland, il Land austriaco più orientale, è infatti inserito nel Parco Nazionale Neusiedler See - Seewinkel, cuore di una regione dichiarata Patrimonio Mondiale dell'UNESCO. I verdi vigneti hanno reso nota questa regione grazie a grandi vini come il Welschriesling e il Weissburgunder e il pregiato Eiswein, ottenuto da uve gelate sui tralci. Qui ancora nidificano le cicogne e, inoltrandosi nel Parco, è possibile scorgere alcune tra le 320 specie di uccelli certificate a Seewinkel. Grazie anche alla guida esperta dei Rangers del St Martins che con le jeep hanno la possibilità di esplorare questa natura in modo estensivo e conducono gli ospiti del Lodge alle

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strutture di birdwatching. Se si è fortunati si possono ammirare stormi di uccelli migratori che dall’Europa volano in Africa prediligendo questo luogo come sosta. L’eccezionale molteplicità delle specie rendono questo Parco unico nel suo genere. St Martins Lodge, modernissimo complesso termale, dedica uno spazio eccezionale al benessere. Spicca per originalità la struttura avveniristica della Lake Spa, quasi un gigantesco disco volante planato sul lago privato di 8 ettari, balneabile, su cui si affacciano anche molte delle 194, tra camere e suites; le due lussuose Livingstone Suites, hanno persino una scaletta per raggiungere l’acqua e un piccolo pontile esclusivo.


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ST. MARTINS SPA & LODGE I RANGERS DEL ST MARTINS

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HEMINGWAY'S SMOKER LOUNGE


LAKE RESTAURANT

www.stmartins.at/en/

Suites lussuose, dall’affascinante atmosfera di certi lodge dei parchi naturali sudafricani, con tanto di letto a baldacchino, legno a profusione, ma anche confortevoli modernità come una vasca Jacuzzi rotonda e un ampio vano doccia con cromoterapia. Solo un anticipo della sensazione di benessere che offrono le numerose opzioni delle Terme e della Spa. La sorgente termale Seewinkel che alimenta alcune piscine del St Martins con acqua benefica alla temperatura di 43°, garantisce trattamenti salutari, mentre le altre strutture si dedicano all’estetica, al relax e alle coccole. Punto di forza del St Martins è l’Area Sauna con una variegata possibilità di interessanti proposte. Bagni di vapore, sauna alle erbe e infusioni speciali, sauna salina e l’innovativa sauna agli infrarossi la cui tecnologia brevettata ERGO-Relax Design garantisce effetti a bassa temperatura, circa 30°. Numerose cabine sono invece dedicate ai trattamenti, alcuni dei quali prevedono l’utilizzo singolare di prodotti naturali come il sale e l’uva. Semi di Pinot Noir di Sausal per il Vinoble Mini Lifting che ringiovanisce il viso con un delicato

peeling, ma anche cellule staminali dell’uva e preziosi estratti di vino rosso per rinfrescare e tonificare la pelle. Altro prezioso trattamento esfoliante raccomandato per una profonda pulizia della pelle è quello effettuato su viso e corpo con una miscela di uva e sale marino. Più energico, il Doc. Babor Microcellular, un trattamento di microdermoabrasione altamente efficace con principi attivi innovativi, gli ultrasuoni LDM, che permettono alle sostanze di penetrare più efficacemente attraverso la pelle. Nella hall del St Martins, il Darwin's Bar con musica dal vivo e un singolare camino che riscalda e accoglie gli ospiti per un cocktail prima della cena nel nuovo ristorante, dove vengono serviti piatti regionali ispirati alla stagione e vini da scegliere tra 200 etichette. Varia la scelta: il Lake Restaurant, spettacolare per la sua terrazza all'aperto con vista mozzafiato sulla regione del Seewinkel del Burgenland, il ristorante St. Martin's, il Wintergarden e il ristorante Martinis. Dopo cena ci si può rilassare nella magnifica Biblioteca dalla calda atmosfera English style, o concedersi un po’ di vizio nella Hemingway's Smoker Lounge. EMOTIONS

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SPA RESORT STYRIA

SITUATO NEL CUORE DELLA REGIONE TERMALE DI BAD WALTERSDORF, L’AREA PIÙ FAMOSA DELLA STIRIA ORIENTALE PER LA SALUTE E IL BUON CIBO, LO SPA RESORT STYRIA OFFRE UN'INDIMENTICABILE ESPERIENZA RILASSANTE IMMERSI NELLA NATURA

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SPA RESORT STYRIA

www.sparesortstyria.com

Disteso oltre la catena montuosa del Wechselgebirge, il paesaggio dolcemente ondulato con le sue fitte foreste e prati lussureggianti è diventato, fin dagli anni '50, una destinazione ambita per chi è alla ricerca di un ritiro estivo. Ma è dal 1975, dopo la scoperta di una sorgente d’acqua termale dalle forti proprietà terapeutiche, che il destino della regione è cambiato distinguendosi come Thermen und Vulkanland della Styria. E sono state proprio le acque calde di Bad Waltersdorf a costruire l’ottima reputazione dello Spa Resort Styria, un lussuoso rifugio per soli adulti, in un’atmosfera internazionale ma con la grande accoglienza styriana. Un complesso benessere che si estende per ben 2.500 mq con piscina termale coperta e all'aperto a 35°, piscina sportiva, idromassaggio con acqua dolce, canale di acqua fredda a 18-20°, ideale per il raffreddamento dopo la sauna. Immergersi in acqua tiepida se ci si vuole semplicemente rilassare o cedere al tocco morbido di un trattamento di bellezza, sentire l'odore del pino svizzero o della rosa,

un'infusione rigenerante che pervade la sauna o il bagno di vapore con fragranze celestiali e proprietà salutari. Creare la giusta atmosfera può rafforzare il senso di benessere. Nell’ampia zona sauna, si può scegliere tra la cabina a infrarossi con tecnologie a bassa temperatura, bagno di vapore aromatico fino a 45°, inalazione di vapore con essenze di fiori e calore radiante, sauna a 60° con getto d'acqua profumata ed erbe aromatiche rigeneranti, fino agli 80° della sauna finlandese. Wellness e trattamenti di bellezza affidati a personale esperto con prodotti naturali della Styria, miele di bosco, zucca e semi di zucca; efficaci prodotti anti-invecchiamento SGQ della pelle di viso e corpo sviluppati dal Dr. Erich Schulte, chirurgo estetico e creatore di cosmetici in Germania. I prodotti Vinoble, poi, combinano ingredienti attivi altamente concentrati e naturali dall'uva con fragranze delicate. Per chi non può rinunciare all’attività fisica, sono previsti programmi giornalieri di sport e meditazione, aerobica, nordic walking, smovey, zumba. EMOTIONS

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Una convenzione con il green fee presso il campo da golf di Bad Waltersdorf, a due passi dal Resort, consente agli appassionati di giocare durante il soggiorno. Infine, c’è la possibilità di usufruire dei campi da tennis e da squash presso il parco divertimenti di Bad Waltersdorf. Una vacanza benefica e rilassante allo Spa Resort Styria, prevede anche le piacevolezze della tavola. Una cucina speziata con deliziose specialità regionali e un tocco di magia culinaria cosmopolita. Il

team di cucina vi offrirà un sofisticato mix di specialità austriache e internazionali, servite con grande cura e attenzione dal personale di sala. Il capo chef Martin Maierhofer, che si occupa della squadra di ÖSV (Austrian Ski Association), crede fermamente nella sostenibilità. I prodotti regionali sono in cima alla lista della spesa dello Spa Resort Styria. Caseifici locali, agricoltori e vigneti forniscono i migliori prodotti della Styria, aderendo ai rigorosi criteri di qualità del Resort.

Si ringrazia: THOMAS BAUER, CEO di VAMED Vitality World VLADI KOVANIC, Fondatore e Direttore di VK-Organization e HOTel & SPA Forum

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Giunto alla sua dodicesima edizione, il 23 maggio si è svolto il prestigioso evento, quest’anno dedicato alla Multidiversità nel Benessere: Spa, Talassoterapia e Termalismo. Lo storico Hotel Four Season George V ha accolto i rappresentanti delle migliori strutture internazionali che operano nel Wellness. www.forumhotspa.com


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TESTO DI ANNA SIDA

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FOTO DI MATTEO MAIMONE

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NEL PIENO DELLA FORESTA PLUVIALE NELL’ISOLA DI SIBERUT, NELL’ARCIPELAGO DELLE MENTAWAI, SI TROVA UNA DELLE CULTURE INDIGENE PIÙ ANTICHE E MEGLIO CONSERVATE AL MONDO, SCOPERTA SOLO VERSO IL 1930 I Mentawai, esperti marittimi e nella pesca, con abilità agricole, continuano a preservare orgogliosamente le loro radici. Essendo fortemente legati alla natura, un elemento importante che ne accentua la loro connessione è il tatuaggio. L’arte dei titi (disegni) è stato ereditato dagli antenati ed è una vera e propria sorta di autobiografia. I membri iniziano a tatuarsi sin da bambini e continuano per tutta la vita. Hanno molteplici significati ma nel complesso i titi tendono a riflettere la maturità e lo stato di coscienza della persona, il clan a cui si appartiene, a indicare agli avversari di essere guerrieri forti o in altri casi, specie in quelli riguardanti gli sciamani, servono a invocare la protezione degli spiriti della natura.

I Mentawai vivono in piccoli insediamenti sparsi lungo le coste o sui fiumi principali che si diramano lungo tutta la foresta equatoriale. Lasciano i villaggi per spostarsi in abitazioni più piccole che si trovano in remote aree, dove solo loro riescono ad orientarsi, tra sentieri improvvisati nel fango melmoso e tronchi caduti. Vivono nelle Uma LongHouse ovvero le case unifamiliari. Sono il centro della vita sociale ed ogni membro del villaggio è in grado di contribuire a riunioni su questioni che possono riguardare la comunità. Le case sono delle palafitte di legno e bambù con tetti di palma, che ospitano nella grande veranda tutta la famiglia e clan vicini, composti tra i 30 e gli 80 membri. I Mentawai, non avendo nessun tipo di comfort, utilizzano tutto ciò che la natura dona loro: i tronchi vengono intagliati con il machete affinché possano servire come scale per accedere alle Uma o per scendere lungo le sponde del fiume, punto di ritrovo dove possono lavarsi, giocare ed utilizzare quella stessa acqua per gli usi comuni quotidiani che la vita “ordinaria” prevede.

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LE SPONDE DEL FIUME SONO UN PUNTO DI RITROVO DOVE POSSONO LAVARSI, GIOCARE ED UTILIZZARE QUELLA STESSA ACQUA PER GLI USI COMUNI QUOTIDIANI CHE LA VITA “ORDINARIA” PREVEDE

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Una volta avvenuto il passaggio da età giovanile ad età adulta, i Mentawai iniziano ad ignorare la loro età. Non sono consapevoli del tempo né se ne curano perché non ne avvertono il bisogno. Quando si può affrontare la vita e tutti gli aspetti che la contraddistinguono allora si è adulti invece, quando il corpo inizia a manifestare sofferenza, malattia e debolezza è sintomo del sopraggiungere dell’anzianità. Per quanto riguarda la morte, invece, quando uno di loro muore, si imprime sulla parete della casa le impronte dei piedi, rimarcando alla famiglia quali membri sono venuti a mancare. Essendo una popolazione non influenzata dalle religioni come l’induismo, buddhismo, cristianesimo o islamismo, seguono l’Animismo. Gli sciamani scacciano ed invocano gli spiriti usando esclusivamente le piante che la foresta gli dona, piante dalle proprietà mistiche. Egli deve conoscere tutti i tipi di piante, tutte le proprietà per poterne sfruttare la loro carica spirituale e medicinale per poter far da tramite con l’aldilà e con gli spiriti. Mentre mescolano diverse piante tossiche invocano gli spiriti della foresta attraverso delle cerimonie: l’uccisione di animali è sempre preceduta dalla richiesta del permesso allo spirito stesso. Dopo aver mangiato la carne degli animali, i loro teschi e penne, vengono appesi sui tetti delle capanne affinché lo spirito rimanga a proteggere l’abitazione. Per alcune cerimonie, gli sciamani sacrificano le scimmie, le cucinano per poi mangiarle bollite. I gibboni invece sono sacri, preziosi e intoccabili: gli sciamani sostengono che le loro urla indichino le aree dove dimorano gli spiriti degli altri uomini e l’urlo è sinonimo di avvertimento. Per mantenere lo stato di felicità degli spiriti, gli sciamani devono seguire una serie di codici comportamentali a cui non possono sottrarsi; ad esempio, prima di una battuta di caccia gli uomini non possono dormire o fare il bagno e devono cibarsi solo di frutta perché altri cibi farebbero perdere loro energia ed abilità.

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IMPRONTE DEI PIEDI DEL MORTO IMPRESSE SULLA PARETE

I Mentawai non mangiano tanta selvaggina in quanto la foresta gli dona tutto ciò di cui hanno bisogno come piante compatibili con il suolo fangoso, il Sago. Per quanto riguarda le cerimonie, sacrificando e portando rispetto all’animale come ad un qualsiasi essere vivente, specialmente durante un trapasso, ornandolo con i fiori e foglie, lavandolo con l’acqua e accarezzandolo, egli non sentirà dolore, avrà un decorso sereno senza problemi e tutta la negatività verrà scacciata via. L’anima (ketsat) di qualsiasi essere vivente e non, è un’entità che deve essere trattata bene. Se non lo si fa, si incita l’anima a vagare liberamente intorno al corpo. Il Lauru, membrana che riveste l’intestino del pollo, ha potenti significati divinatori: tramite le diramazioni delle venature si può scorgere il futuro. Si traggono così segnali su alcuni avvenimenti, dal cambiamento climatico imminente al periodo giusto per andare a caccia o addirittura le condizioni delle “strade” d’accesso che vanno da un’abitazione all’altra. Nonostante la civiltà industrializzata sia per loro il più grande problema da affrontare causando la perdita di molte usanze, confidano nella futura generazione affinché continuino ad apprendere la vita indigena, la vita che solo la giungla sa donargli. Una vita primitiva e senza contaminazioni negative da parte dell’uomo. Una vita in cui loro possono continuare a rimanere se stessi, rispettando la natura a pari merito dell’uomo, utilizzando solo lo stretto indispensabile.

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INIZIANO A TATUARSI SIN DA BAMB E CONTINUANO PER TUTTA LA VITA MOLTEPLICI SIGNIFICATI MA NEL CO I TITI, DISEGNI, TENDONO A RIFLETT LA MATURITÀ E LO STATO DI COSCI DELLA PERSONA, IL CLAN A CUI SI A INDICANO AGLI AVVERSARI DI ESSE GUERRIERI FORTI O SE SONO SCIAM SERVONO A INVOCARE LA PROTEZI DEGLI SPIRITI DELLA NATURA


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ARRIVANDO IN ALBANIA IN NAVE SI PERCEPISCE SUBITO COME IL MARE UNISCA E NON DIVIDA LE GENTI Anche se negli ultimi anni il Paese delle Aquile è diventato una meta ambita dal turismo internazionale, sono i viaggiatori italiani a godere di un'accoglienza speciale, per motivi storici ma anche perché l'Italia è stata per gli albanesi un faro di speranza durante i lunghi anni della dittatura. Se poi l'esplosione della libertà scatenò in tanti la voglia di fuggire, oggi molti di loro sono tornati alle loro radici, contribuendo con i loro risparmi al benessere e allo sviluppo della nuova Albania. L'isolamento dal mondo di questo piccolo Paese balcanico, di appena tre milioni di abitanti, ne ha conservato l'identità ed oggi può aprirsi al turismo con il suo grande patrimonio archeologico e ambientale e le tante bellezze incontaminate, soprattutto nelle zone montane e costiere. Le città, Tirana anzitutto, ma anche Durazzo e Valona, sono in pieno sviluppo urbanistico ma nelle comunità rurali restano i ritmi di vita slow di una popolazione legata all'agricoltura e all'allevamento. Ma il futuro è nell'indotto turistico. Lo hanno ben capito le istituzioni che puntano ad incrementare il turismo sostenibile in un ambiente attrattivo e sicuro. Si cerca di porre rimedio a ciò che di bello e di storico è andato perso, se non distrutto, negli anni del buio, come le

duemila chiese demolite con tutti i loro preziosi affreschi o la chiusura di moschee come, a Durazzo, la Fatih di Maometto II il Conquistatore. Quasi ripercorrendo a ritroso i viaggi della speranza verso l'Italia è più emozionante arrivare in Albania dal mare ammirando la bellezza della costa. Sono numerose le partenze di Adria Ferries dai porti italiani e il viaggio confortevole predispone meglio a vivere un'avventura sorprendente e inedita. L'approdo a Durazzo dà subito il senso di come questa città portuale sia lo specchio di tutta l'Albania e di uno sviluppo spesso incontrollato. Case e palazzi inglobano siti preziosi come la moschea Sheshi Liria, le terme romane e l'anfiteatro. Meglio visitare il Museo Archeologico per comprendere la storia di dominazioni e di conquiste, dalle invasioni indoeuropee che videro protagonisti Illiri, romani, bizantini e soprattutto gli ottomani che dominarono l'Albania per 5 secoli fino al 1912, anno della dichiarazione di indipendenza. Giorgio Castriota Scanderberg, l'eroe nazionale, nel '400 riuscì a fermarli, ma solo per pochi anni. Anche il '900 è stato denso di eventi importanti. Prima col principato (1914) poi con la repubblica e la monarchia autoproclamata dal re Zog.


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ALBANIA Il sovrano fu poi estromesso militarmente dagli italiani nel 1939 e sostituito dal nostro Vittorio Emanuele III. La presa del potere del Partito Comunista Albanese avvenne nel 1944. Con Enver Hoxa, che disseminò il territorio di quasi un milione di bunker di cemento contro un nemico immaginario, l'Albania si chiuse in se stessa per decenni. Infine l'ultimo atto: la dirompente democrazia e, dal 2014, anche la candidatura all'adesione all'Unione Europea. Tirana, è oggi una città moderna, simbolo della rinascita con i suoi grattacieli, le moschee e le chiese aperte perché ognuno possa vivere liberamente la propria fede. Il grigio cemento dei casermoni socialisti è stato ravvivato da vivaci colori per desiderio dell'illuminato premier-artista Edi Rama, già sindaco della capitale. Impegnato a rafforzare l'economia e a democratizzare le istituzioni statali il premier non sottovaluta il valore della bellezza. Non a caso i suoi disegni sono stati ammirati alla Biennale di Venezia del 2017. E' il fiume Tirana a dare il nome alla città, in una valle circondata da montagne con laghi e una riserva naturale, e il centro storico è attraversato dal Lana, una sua diramazione. L'origine romana è testimoniata da un famoso mosaico. Da vedere i castelli-fortezza, la chiesa di Kroit resistita sia alla dominazione turca che al regime dittatoriale, il Ponte dei Conciatori, la moschea Ethem Bey, la cattedrale cattolica di San Paolo e quella ortodossa della Resurrezione, ricostruita dopo il suo abbattimento durante la dittatura comunista. Ma c'è anche un monumento al periodo più triste: il bunker dedicato alle vittime della repressione nello stile di quello israeliano all'Olocausto. Tirana è anche città universitaria e della cultura, con musei e 5 biblioteche tra cui quella Nazionale con un milione di volumi. I grandi palazzi edificati durante la conquista fascista sono oggi in gran parte sedi istituzionali. Capolavoro di arte razionalista è quello del re Zog, con tutti i simboli della romanità, dai fasci littori ai bassorilievi con la lupa che allatta Romolo e Remo. A 120 km da Tirana si può raggiungere l'ottomana Berat, città-museo dalle mille finestre arrampicata sulla collina. Visitarne i quartieri è attraversare tutta la sua storia millenaria: il cristiano Gorica e il musulmano Mengalem, uniti da un ponte. Insieme alla città di Argirocastro, nella valle del fiume Drinoss, Berat è Patrimonio Unesco. Imponente la Fortezza che la domina, circondata da mura perimetrali con 24 torrioni che racchiudono la Moschea Bianca, la Cattedrale della Dormizione con tre cupole, meraviglioso esempio di architettura ottomana del XVII secolo, varie chiese, il museo Onufri e quello Etnografico. www.adriaferries.com

www.albaniaturismo.com

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TIRANA È ANCHE CITTÀ UNIVERSITARIA E DELLA CULTURA, CON MUSEI E 5 BIBLIOTECHE TRA CUI QUELLA NAZIONALE CON UN MILIONE DI VOLUMI Imperdibile il sito archeologico di Apollonia, città-stato di importanza strategica e logistica per gli scambi commerciali via mare, fondata nel 588 a.C. dai coloni greci, provenienti da Corfù, e dalle tribù illiriche. Ma fu anche centro culturale con scuole e università che ospitarono anche Giulio Cesare. Imponente l'Acropoli, ma solo una percentuale minima del sito è finora stata scavata. Valona (Vlore) è la città più frequentata dal turismo balneare per le spiagge e l'ampia baia che si affaccia sul Canale d'Otranto. Da vedere la moschea Muradie col suo minareto di 18 metri, voluta da Solimano il Magnifico e nata nel 1537 su una chiesa bizantina preesistente, il Monumento all'Indipendenza in piazza della Bandiera e gli antichi quartieri tra cui quello ebraico. Qui esisteva anche una sinagoga, distrutta durante la prima guerra mondiale. Nel '500 furono censite oltre 600 famiglie di ebrei, molti fuggiti dalla Spagna che qui poterono godere di totale libertà in base al kanum, il codice d'onore dell'ospitalità albanese. Un percorso da consigliare è la strada panoramica che da Valona porta a Saranda, tra il mare e la montagna, sostando a Oricum, città greca

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dell’antico Epiro dalle belle spiagge e da un interessante sito archeologico, e nella baia di Porto Palermo sovrastata dal castello di Ali Pasha che ha ispirato Alexander Dumas. Il numero dei visitatori stranieri attratti da un Paese ancora autentico, nella sua identità culturale e dalle bellezze inesplorate, continua a crescere. Offre la possibilità di praticare ogni sorta di sport all'aria aperta e i buongustai possono provare il gusto di una cucina autentica, popolare, legata ai frutti della terra e del mare, insieme ad ottimi vini. Visitare questo Paese antico e nello stesso tempo giovane significa goderne le bellezze ma anche contribuire a diffonderne la cultura e i valori e potenziarne l'affermazione tra i grandi protagonisti dei Balcani e del Mediterraneo. E' anche, per gli italiani, un turismo più che accessibile economicamente per i costi contenuti. Da consigliare comunque la nave rispetto all'aereo, per la presenza, per ora, di un unico aeroporto lontano dai centri importanti. Dal 2004 la compagnia di navigazione anconetana Adria Ferries è leader dei collegamenti italo albanesi con le tre navi traghetto Marina, Francesca e Michela, con varie iniziative e pacchetti speciali.


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GLI ULTIMI TAGLIATORI DI TESTE

TESTO DI MANUEL D'ANTONIO FOTO DI SARA SAVINA

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Alla prima testa tagliata

corrispondeva

il primo tatuaggio,

eseguito

in una cerimonia

in cui era coinvolto tutto il villaggio

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Il sole stava scomparendo dietro la cima della montagna, dando al cielo un colore rosa-arancio, quando un uomo in uniforme intimò alla nostra jeep di fermarsi. Eravamo su quel mezzo da così tante ore da averne perso il conto, e un ennesimo posto di blocco sarebbe potuto essere un modo per sgranchirmi un po’ le gambe. Dopo tutto l’automobile aveva posto per 8 passeggeri, 9 a voler esagerare, ma qualsiasi legge, in India, è facilmente aggirabile, e lo stesso vale per quelle della fisica. Sulla nostra jeep c’erano infatti 10 persone più l’autista, per un totale di 11 passeggeri con rispettivi bagagli. Le ore precedenti le avevo dunque passate con le natiche poggiate sopra metà di un sedile posteriore che aveva perso ogni parvenza di morbidezza, la manovella del finestrino conficcata nel quadricipite sinistro, e il resto degli arti incastrati in modi che non pensavo fossero possibili. Eravamo tutti ormai così abituati a quella situazione da credere di essere nati con le braccia e le gambe piegate in quel modo. Ma il movimento del braccio del militare è stato un fulmine a ciel sereno, un risveglio della nostra libertà sopita, un promemoria a non perdere mai le speranze. Ero inoltre sicuro che, senza ombra di dubbio, sarei stato il primo a ricevere delle domande. Ero in un posto così remoto che vede al massimo qualche centinaio di turisti all’anno, quasi tutti indiani. Un turista occidentale era per gli abitanti del Nagaland un evento da ricordare, e questo valeva anche per i militari del posto di blocco. E subito, come avevo previsto, uno di loro si avvicinò al mio finestrino e mi diede il permesso di scendere, facendomi inconsapevolmente riscoprire il piacere della circolazione sanguigna. Il controllo vero e proprio, come sempre, era più che altro una formalità, ed era durato non più di qualche manciata di secondi. Ancora non lo sapevo ma sarebbe stato l’ultimo, almeno per qualche giorno. Erano ormai tre giorni che ci spostavamo lentamente da una città del Nagaland all’altra, controllo passaporti dopo controllo passaporti.

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GLI ULTIMI TAGL


LIATORI DI TESTE

Il numero dei disegni sul corpo aumentava

di pari passo con le vittorie in battaglia, e con le teste tagliate

Questo piccolo stato del nordest dell’India, al confine col Myanmar, ha scelto di aprirsi al turismo solo da pochi mesi, e la zona rimane comunque molto sensibile. In un posto come questo, concetti che dovrebbero essere comuni in tutto il mondo, come il tempo e lo spazio, assumono un altro significato diventando completamente relativi. Per percorrere distanze di poche centinaia di chilometri occorrono giorni, e qualsiasi riferimento temporale va preso con le pinze. E anche se l’autista ripeteva a tutti di essere quasi arrivati al villaggio di Longwa, aspettavamo di vederlo con i nostri occhi prima di crederci. Ma questa volta sembrava che l’autista avesse ragione, e pochi minuti e la creazione di un nuovo tetris umano dopo, la macchina si è rimessa in cammino per percorrere l’ultimo tratto di strada che ci separava dalla parte centrale del villaggio. Sono bastati pochi metri per riconsiderare completamente l’accaduto dei minuti precedenti. Se infatti ero fino a quel momento convinto che i militari si fossero limitati a controllare le nostre identità, ora credevo che ci avessero invece trasportato in una realtà completamente diversa. Fino ad allora avevamo incontrato poche automobili lungo il tragitto, ma da quel momento il nostro divenne l’unico veicolo a motore ad occuparla. Non significa però che la strada fosse deserta. Al contrario, era molto affollata di uomini e donne che la percorrevano prima di scomparire su sentieri che scendevano a valle o salivano in cima alla montagna. Uomini e donne sembravano non mescolarsi, nel villaggio si viveva in modo molto tradizionale e i doveri degli uni e delle altre erano molto diversi. Se le donne portavano cesti di vimini pieni di legna sulle spalle, gli uomini erano armati con lunghi fucili da caccia o affilate lame rettangolari all’estremità di una canna di bambù. I tratti dei loro volti ricordavano più abitanti del Sud America che dell’Asia, alcuni di loro portavano piume d’uccello sulla testa, quasi tutte le donne avevano una fascia colorata in testa per raccogliere i lunghi capelli neri. Il portamento degli uomini era piuttosto fiero, molti camminavano in solitaria, alcuni di essi avevano delle fasce colorate intorno alle caviglie, come a voler mostrare un qualche segno di riconoscimento. Alcuni di loro, i più anziani, avevano il volto tatuato. Le case del villaggio erano quasi tutte fatte di bambù e ricoperte da uno spiovente tetto di paglia. Molte avevano teschi di animali come bufali, capre o montoni, accanto alla porta di ingresso. La struttura del villaggio sembrava non seguire alcuna regola. Le case parevano essere costruite in verticale sul fianco della montagna, sui cui sentieri uomini, donne e bambini camminavano agilmente. Tutt’intorno animali da fattoria razzolavano in libertà e allegria. Non disturbavano nessuno, e nessuno li disturbava. EMOTIONS

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ULTIMI TAGLIATORI DI TESTE

C’è qualcosa che fa di Longwa un posto unico al

mondo e che lo rende diverso da qualsiasi altro... Quel luogo mi aveva immediatamente e completamente conquistato, ne ero estremamente affascinato. È bastato scendere dalla jeep e percorrere a bocca aperta la strada principale del villaggio per capire di essere arrivati in un posto di quelli unici, di quelli di cui se ne trovano purtroppo ancora pochi nel mondo. Longwa è il villaggio principale dei Konyak, una delle sedici tribù che popolano il Nagaland. Essi vivono in una sessantina di villaggi lungo il confine tra l’India e il Myanmar, alcuni su un lato e il resto sull’altro. Come tutto quello che lo caratterizza, anche il sistema su cui il villaggio si basa è piuttosto antico, anche se è quasi impossibile risalire ad una data di inizio. Usi, storie e tradizioni sono infatti tramandati oralmente, ed è inevitabile che qualcosa si perda nel cammino. Longwa, così come gli altri villaggi dei Konyak, è governato da un vero e proprio capo villaggio che prende il titolo di Angh. Anche nel 2019, in una zona che è stata prevalentemente chiusa in se stessa per tutta la sua storia a causa di contrasti politici, i Konyak sembrano non curarsi di quello che accade intorno a loro. Non si sentono né indiani né birmani, sono semplicemente Konyak, e hanno il proprio re, a cui ogni visitatore ha il dovere di presentarsi e porre i propri omaggi una volta raggiunto il villaggio. La loro idea di indipendenza e non appartenenza politica è resa ulteriormente chiara dal fatto che la casa dell’Angh è esattamente a metà tra India e Myanmar. Il re ha una moglie in ognuno dei villaggi che governa, ma solo una è la regina, e sarà lei a dare alla luce il successore. I figli delle altre mogli saranno però a loro volta degli Angh, e governeranno sui Morung, i distretti in cui i villaggi sono suddivisi. Le fasce colorate sulle caviglie degli uomini sono indossate solo dagli Angh. Ogni Morung è anche un dormitorio dove ogni Konyak di sesso maschile dormirà fino al raggiungimento dell’età adulta, per sviluppare il senso della vita comunitaria. Ma per quanto tutto questo sia affascinante, c’è qualcos’altro che fa di Longwa un posto unico al mondo, che lo rende diverso da qualsiasi altro luogo. E questo qualcosa sono proprio quegli uomini anziani dal volto tatuato che avevo intravisto lungo la strada. A vederlo al giorno d’oggi infatti Longwa sembra avere molti degli aspetti presenti in tutto il mondo, i ragazzi ascoltano musica sullo smartphone e hanno i capelli alla moda. Ma solo qualche decina di anni fa tutto era completamente diverso. «Abbiamo saputo dell’esistenza degli aerei durante la Seconda Guerra Mondiale, quando alcuni di essi hanno sorvolato il villaggio per dirigersi verso la battaglia». È una delle affermazioni più sconvolgenti che mi sia mai capitato di ascoltare. Avevamo avuto la fortuna di essere accompagnati lì da un uomo in grado di tradurre dall’inglese al dialetto Konyak, unica lingua conosciuta dai più anziani abitanti di Longwa. L’anziano che parlava aveva il volto ed il petto completamente tatuati, e un grosso pezzo di bambù gli dilatava il lobo dell’orecchio sinistro. Era accovacciato a terra, e parlava a voce bassa e con gli occhi rivolti in un’altra direzione, come se non ci ritenesse degni del suo sguardo. EMOTIONS

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Era uno dei circa 30 ex tagliatori di testeI, l’ultimo di loro a vestire in modo tradizionale. Indossava solo un lungo pezzo di stoffa sopra le parti intime, e per il resto era completamente nudo. Senza staccare gli occhi da terra, ci racconta che mentre nel mondo era in corso la più grande guerra della storia, e gli aerei di metallo solcavano i cieli del Nagaland, a Longwa si combatteva con le tribù vicine, in una guerra molto più piccola ma per i Konyak non meno importante. I Konyak di Longwa sono un popolo di guerrieri, la cui dignità era, fino a qualche decennio fa, direttamente proporzionale al numero di teste nemiche che i combattenti riuscivano a riportare con sé dalla battaglia, per essere poi appese sull’uscio delle case. Proprio nello stesso punto dove ora teschi di animali osservano dalle cavità del cranio tutti i visitatori che passano di lì. Alla prima testa tagliata corrispondeva il primo tatuaggio, eseguito in modo tradizionale in una cerimonia in cui era coinvolto tutto il villaggio. Il numero dei disegni sul corpo aumentava di pari passo con le vittorie in battaglia, e con le teste tagliate. Non si può dunque provare una certa riverenza, ma allo stesso tempo un forte timore, a sedere in compagnia di un uomo quasi completamente coperto di tatuaggi. Il suo passato non è così lontano dopo tutto, e questo si comprende ancora di più osservando il corpo di quell’uomo, il tono in cui pronuncia le sue parole, che pur incomprensibili sono chiaramente quelle di un guerriero. E quando ci racconta di come, anni prima, l’ultimo dei villaggi rimasti neutrali decise di allearsi a Longwa quando il loro emissario tornò a rapporto con le budella che penzolavano dal corpo, mostra quasi un pizzico di inquietante nostalgia. E seppur così fieri, questi uomini sono ormai a malapena una trentina. Con l’abolizione della pratica di tagliare le teste sono venuti meno anche i tatuaggi, i corni nelle orecchie e le collane d’osso. La maggior parte delle case è ancora costruita in modo tradizionale, con un punto fuoco per gli uomini e uno per le donne, entrambi rigorosamente sul pavimento e al di sotto di ripiani dove viene affumicata la carne. Ma allo stesso tempo sono spuntate molte case in cemento, con un’antenna parabolica e l’energia elettrica. E se i Konyak sono ancora tanti, si distinguono ormai a malapena dalle altre popolazioni asiatiche. Quando i trenta tagliatori di teste non ci saranno più, con essi verranno meno tutte le tradizioni, e Longwa diventerà forse un villaggio come tanti, portatore di un passato che esiste solamente nei musei. Non saprò mai se l’essere lì e parlare con loro sia a sua volta una causa di questo cambiamento, o ne sia solamente un effetto, ma questo cambiamento è in atto ed inevitabile. E da un lato sarebbe anche molto presuntuoso pretendere di fermare il progresso per mantenere una tradizione che ci affascina. Qualunque sia la risposta a questo dilemma, aver potuto camminare su quei sentieri, bere il tè con quelle persone, entrare nelle loro case e parlare con loro, è stato come percorrere le pagine di un libro di storia, o forse di una leggenda: la leggenda dei mitici tagliatori di teste del Nagaland.

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Era accovacciato a terra, e parlava a voce bassa e con gli occhi rivolti in un’altra direzione, come se non ci ritenesse degni del suo sguardo


GLI ULTIMI TAGLIATORI DI TESTE

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ARDITO DESIO INTERVISTA A MARIELA, FIGLIA DEL FAMOSO ESPLORATORE, GEOLOGO E ACCADEMICO ITALIANO DEL NOVECENTO LUISA CHIUMENTI

PHOTO BY: COPYRIGHT ASSOCIAZIONE ARDITO DESIO/MARIA EMANUELA DESIO

SPEDIZIONE AL K2 1954


gli Incontri di Emotions

KARAKORUM 1929

SPEDIZIONE AL K2 1954

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SPEDIZIONE AL K2 1964


gli Incontri di Emotions

ARDITO DESIO

Entrare in un Archivio, stimolati dal desiderio di andare alle radici di un evento, o di un personaggio o della nascita

di una città, ha sempre rappresentato, nell’arco dei miei studi, un evento ricco di emozioni. Oggi l'Archivio storico

"Ardito Desio", che contiene la documentazione testuale, fotografica e filmata dell'attività esplorativa e scientifica di

Ardito Desio, ospitato a titolo gratuito presso la sede della sezione di Roma del Club Alpino Italiano, con la guida preziosa della figlia del grande geologo escursionista, Mariela, mi ha offerto un mix di ammirazione ed emozione. E’

uno spazio non tanto grande, ma così bene organizzato da potere custodire il tutto: dai testi dell'archivio, agli scritti

scientifici, ai diari delle spedizioni, le relazioni tecniche, i poster, le cartoline e i carteggi personali dello scienziato con

la sezione fotografica costituita da circa 40.000 (il calcolo è molto approssimativo) immagini compresi circa quaranta

filmati in bianco e nero e a colori. L'archivio contiene inoltre una sezione oggettistica, principalmente riguardante

oggetti utilizzati nelle spedizioni o strumentazione fotografica e tecnico-scientifica. La figlia di Desio, alle mie domande sulla perfetta cura dell’archivio, mi comunica che la sua passione per lo stesso, pur iniziata con il padre, è stata

accompagnata dalla frequentazione e studio di molti altri archivi e al contatto con esperti che le hanno suggerito diversi modi di affrontare un così delicato compito, facendo sì che potesse poi essere fruibile da chiunque volesse accostarsi a quelle tematiche, senza essere particolarmente “addetto ai lavori”.

ETIOPIA 1938

Ma facciamo ora qualche domanda diretta alla figlia di Ardito Desio, Mariela, colei che gli è stata accanto nell’arco della sua lunga vita, colma di tutte quelle così esaltanti sensazioni che possiamo ora condividere attraverso i suoi Diari, di cui è stata appena pubblicata la prima parte. Quando ancora era una bambina, la vicinanza di un Padre “speciale” come il suo, l’ha fatta innamorare della montagna? Le raccontava forse qualche bell’episodio, che stimolavano in modo inconsueto la sua fantasia? Quando è cresciuta e, come penso, sportivamente addestrata, suo Padre la conduceva a fare qualche esplorazione in montagna? Quando ero bambina la vicinanza di mio padre mi ha insegnato ad amare la natura, non in particolare la montagna anche se da molto piccola (durante la guerra eravamo sfollati a San Pellegrino Vetta) facevamo lunghe passeggiate in montagna mentre lui faceva i suoi rilievi geologici. Ho imparato a camminare a lungo e in montagna molto presto e continuo anche ora che ho raggiunto la “terza età”. EMOTIONS

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EGEO 1922

LIBIA 1931

LIBIA 1931

NEI MESI DI LUGLIO E AGOSTO 1954 IO ERO A LONDRA AD IMPARARE L’INGLESE E FU PROPRIO UN G PER PRIMO LA NOTIZIA CHE LA VETTA DEL K2 ERA STATA RAGGIUNTA DAGLI ITALIAN La preparazione scientifica di suo padre, in particolare la padronanza degli studi e poi l’insegnamento universitario in Geologia, l’hanno forse condotta a intraprendere studi analoghi? No. Non ho intrapreso studi scientifici. La mia passione era viaggiare, conoscere il mondo in tutti i suoi aspetti ed ho studiato le lingue che mi hanno permesso di viaggiare, conoscere gente di tutti i paesi, le loro tradizioni, il loro modo di pensare e di vivere. Ho anche vissuto diversi anni all’estero (Belgio, Gran Bretagna per lavoro e Arabia Saudita per lavoro di mio marito) Ha seguito spiritualmente la grande aspirazione vissuta da suo padre di giungere alla conquista del K2 e come è riuscita a stargli vicino? L’ho seguita ovviamente spiritualmente attraverso lo scambio di lettere e le notizie che mi dava la mamma, la stampa italiana e inglese. Nei mesi di luglio e agosto 1954 io ero a Londra ad imparare l’inglese e fu proprio un

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giornale inglese che mi fece apprendere per primo la notizia che la vetta del K2 era stata raggiunta dagli Italiani. Fu una grande emozione. Presentando il volume in cui ha pubblicato la prima parte dei Diari di suo Padre, certamente Lei ha pensato di rendergli omaggio, ma è sicura che Lui sarebbe stato d’accordo, (trattandosi di una persona di temperamento piuttosto schivo), che tutti oggi potessero “condividere” le sue più profonde emozioni? Sono stata sempre molto restia a pubblicare i suoi diari, ma mentre sfogliavo il materiale del suo archivio ho trovato una scritta sua con la quale avrebbe voluto un giorno pubblicarli e quindi non ebbi più nessuna titubanza a pubblicarli. Qual è la sua opinione sui sistemi “rigidi” usati da suo Padre nella organizzazione delle spedizioni, sistemi che furono più volte considerati troppo costrittivi e a volte “estremi” nei riguardi di coloro che lo seguivano?


ARDITO DESIO

ETIOPIA 1939

LIBIA 1940

GIORNALE INGLESE CHE MI FECE APPRENDERE NI. FU UNA GRANDE EMOZIONE I sistemi “rigidi” furono essenziali per la riuscita della spedizione. E’ opinione generale. Mio padre era un buon organizzatore, molto meticoloso e rispettoso delle regole. Anche con noi è stato abbastanza rigido ed è stato bene così. Abbiamo imparato l’onestà, il rispetto del prossimo oltre che delle regole. Ma non ci è mai mancato l’affetto. Quale opinione si è fatta del rapporto che suo Padre ebbe con l’americano che aveva condiviso il suo sogno di scalare il K2 e poi, più sfortunato, dovendo rinunciare per il grave incidente, mise però a disposizione di Ardito Desio, quanto aveva potuto raggiungere? Il rapporto tra mio padre e John Houston è stato bellissimo da subito. Houston era una persona meravigliosa. Lo conobbi negli anni cinquanta e lo rividi 50 anni dopo in Italia al Filmfestival di Trento. Ci abbracciammo e chiacchierammo tutta la sera. Quando rientrò negli USA ci scambiammo anche qualche lettera.

ANTARTIDE 1962 EMOTIONS

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Ballyfin. La grande bellezza www.ballyfin.com

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Una dimora aristocratica nella campagna irlandese costruita nel 1820 e riportata a nuovo splendore e a livelli lussuosi d’ospitalità dopo otto anni di complesso restauro che hanno permesso alla magnifica magione di rivivere la sua vocazione storica di accoglienza come un Relais e Chateaux 5 stelle. Dietro alte mura di pietra, a meno di due ore da Dublino, su 250 ettari di parco con piante secolari, un lago, grotte, follie, boschi antichi e orti sorge Ballyfin Demesne, la residenza d’epoca più fastosa d’Irlanda. Un luogo dove storia, romanticismo e serenità si fondono in

un ambiente di grande bellez Sono 20 le camere e suite pro per rispecchiare lo stile della mobilio d’antiquariato, oper bagni in marmo con vasca e c l’attenzione al dettaglio com Sir Charles Coote Suite con romana, riportata da un viag dall’allora proprietario Sir Ch pavimento di mosaico nell’in appartati e romantici la picco


zza naturale. ogettate individualmente a casa originale con camini, e d’arte di grande pregio e cabina doccia. Meticolosa me nella una vasca-sarcofago ggio Grand Tour in Italia harles, come il magnifico ngresso. Ideale per soggiorni ola casetta che fu del

giardiniere, ora dotata di una camera matrimoniale ariosa, due bagni, una Jacuzzi sul patio privato e vista sull’orto e sul lago. A tavola si gusta il meglio del più raffinato Irish country dining nella splendida State Dining Room con candelabri d’epoca, e nella più intima Den Hagen Room, arredata con magnifiche porcellane d’epoca. Per gli ospiti la scelta tra il dolce oziare con un libro o in compagnia di amici nella Libreria lunga 25 metri, dove una porta segreta nascosta tra i libri porta al grazioso gazebo. Offrono momenti di elegante relax la splendida Gold Drawing Room con decorazioni di

ispirazione francese e un bellissimo soffitto di ricchi stucchi, e l’enorme Saloon nel cuore della casa con opere d'arte e d’antiquariato provenienti da tutto il mondo. Il parco invita a passeggiate intorno al lago, a escursioni in bicicletta nei boschi fino all’antica torre, o a dedicarsi al croquet, al tiro al piattello, al tennis o alla falconeria. Nella tenuta ci sono una piscina coperta e una spa, e per gli appassionati del golf due tra i più rinomati campi da golf di livello internazionale, The K Club e Mount Juliet, sono facilmente raggiungibili. Pamela McCourt Francescone

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KALEIDOSCOPE Hyatt Regency Bangkok Sukhumvit Dove eleganza e accoglienza sono di casa

Inaugurato a dicembre, l’Hyatt Regency Bangkok Sukhumvit è l’albergo più nuovo della Città degli Angeli e sorge sulla via Sukhumvit nel quartiere Nana il cui nome significa “luogo d’incontro”. Uno dei rioni storici di Bangkok, Nana è ricco di diversità culturale e l’albergo è ottimamente collegato con la città grazie alla passerella che porta direttamente alla stazione Nana della metropolitana sopraelevata Skytrain. Il primo Hyatt Regency nella capitale thailandese svetta su 31 piani con 273 camere delle quali 21 sono suite, tutte dotate di grandi vetrate che offrono viste spettacolari sulla città. Nelle camere e nelle aeree pubbliche le tenui sfumature di marrone e grigio degli arredi e dell’estetica si fondono con l’oro brunito caratteristico dei templi buddhisti, creando un’atmosfera che richiama le epoche più fiorenti della storia thailandese. Ad angolo su ogni piano, le suite hanno un grande salone e anche bagni spaziosi dotati di vasca e doccia, hanno finestre a tutta parete. Nelle camere e nelle suite la tecnologia fa da padrone con prese di corrente nei punti strategici e con la tecnologia Hyatt Mobile Entry, che consente di utilizzare il proprio

smartphone al posto della chiave ma camera. Sono inoltre a disposizione Handy per i viaggiatori che desideri connessi mentre esplorano la città. Alla tecnologia si contrappone l’arte con futuristiche sculture dorate nel pubbliche, e al 6° piano una piscina a giardini lussureggianti che offrono z chi ama prendere il sole che per chi Nel ristorante Market Cafe, l’Execu siracusano Frederik Farina propone tradizionale thailandese più autenti vivaci e l’uso di spezie spesso audac informale ispirata ai mercati locali. Agli ultimi due piani nello Spectrum Chef Frederick propone grigliate di tapas designer con astice e Wagyu e artigianali, e la sera c’è la musica dal al 31° piano è il nuovo ritrovo chic d vista spettacolare sullo skyline illum incorniciate da alberi con comodi le ambiente intimo ed elegante. Pamela McCourt Francescone

www.hyatt.com/en-US/hotel/thailand/hyatt-regency-bangkok-sukhu

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agnetica della degli smartphone no rimanere

e e anche la natura le aeree a sfioro con zone relax sia per predilige l’ombra. utive Chef e la cucina ca, con sapori i, in un'atmosfera

m Bar & Lounge, carne e pesce, e cocktail vivo. Il rooftop i Bangkok, con minato, e alcove ttini in un

umvit/bkkhr

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L I B R I

Allan Bay

Daniela Fonti - Francesco Tetro

che piaceranno anche alla tua lavastoviglie

Edizioni Manfredi

BASTA UNA PENTOLA 260 PIATTI FACILI E VELOCI Edizioni Gribaudo

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E M O T I O N S

Sono 260 ricette facili quelle che Allan Bay ci propone nel suo nuovo libro "Basta una pentola", e che soprattutto possono essere eseguite al meglio utilizzando una sola casseruola, o una teglia oppure una padella. Una piccola eccezione è prevista per le paste e i risotti, per cui si deve scaldare acqua o brodo in un recipiente a parte. Seguendo i suoi consigli si può mangiare divinamente e tenere la cucina in ordine, senza cataste di utensili da consegnare alla lavastoviglie, risparmiando detersivo ed elettricità, con un piccolo contributo al salvataggio del pianeta. E non basta: l'autore ci suggerisce anche quali delle troppe pentole che affollano gli scaffali delle nostre cucine sono effettivamente essenziali e multiuso. Gli ingredienti dei piatti suggeriti sono semplici e si trovano in ogni supermercato, risparmiandoci la ricerca sul web o la corsa ai negozi esotici. Questo è decisamente un libro utile, senza virtuosismi dialettici e con un occhio all'orologio, giusto sia per chi vuole sentirsi chef per un giorno o per chi vuole soltanto nutrirsi in modo sano. Le fotografie di Manuela Vanni anticipano il risultato, in bellezza e bontà, di quello che chiunque è in grado di fare ai fornelli. Ci si può cimentare con le seppie in zimino, con funghi in fricassea alla panna oppure con vellutata di frutti di mare e finocchi, ma anche con una semplice pasta e fagioli che può diventare gourmet. Allan Bay, economista, ha lasciato da tempo i numeri per dedicarsi alla cucina, seguendone l'evoluzione, da quella tradizionale della nonna a quella contemporanea/metropolitana. Chi non vuole arrendersi all'omologazione del gusto, al kebab o all'hamburger può trovare conforto e ispirazione anche nei precedenti libri di Allan Bay: da Cuochi si diventa a La cena delle meraviglie fino a Le ricette degli altri.

VETRINE DALL’ARCHIVIO DI DUILIO CAMBELLOTTI recensione a cura di Luisa Chiumenti

Introdotto da Marco Cambellotti, nipote di Lucio Cambellotti, figlio minore di Duilio, che “inventò” l’Archivio, il volume, corredato da un’ampia iconografia, attraverso i saggi di Fabrizio Russo, Daniela Fonti e Francesco Tetro, presenta i numerosi disegni conservati presso l’Archivio dell’Opera di Duilio Cambellotti, uno “degli autori più fecondi e originali del nostro Novecento”. Nel saggio di Daniela Fonti (“Duilietto disegna un cavallo”) leggiamo come questo artista eclettico che da bambino, “carponi, disegna a terra il grande profilo di un cavallo” servendosi della quadrettatura del pavimento, per mantenere le giuste proporzioni, abbia saputo applicare sempre lo stesso metodo progettuale per l’esecuzione di monumenti pubblici o di allestimenti di sale espositive, scenografie teatrali, pannelli in ceramica decorata e mobili di ogni tipo, che questo testo illustra attraverso le “Vetrine” dell’Archivio. Ed è interessante, dal testo di Francesco Tetro, captare come Cambellotti considerasse l’Arte come “un progetto educativo e collettivo” nel binomio Uomo-Artista.




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