Il mercato del lavoro è sempre più social - Pagina99we 8/11/2014

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DAVID MDZINARISHVILI / REUTERS

Il selfie di una modella presso la Tbilisi Fashion Week

FEDERICO GENNARI SANTORI

n Mentre la crisi economica morde e i disoccupati aumentano, il lavoro sta cambiando. Cercare un’occupazione bussando alla porta delle aziende, consegnare a mano un curriculum cartaceo o iscriversi a un’agenzia di collocamento ormai è cosa vecchia. Ma anche cercare opportunità, lasciare annunci e pubblicare curricula in rete è tutt’altro che una novità. Basti pensare che secondo Adecco, multinazionale operante nella gestione delle risorse umane, nel 2013 il 53% delle attività di reclutamento del personale si è spostato online. Rispetto a pochi anni fa, a fare la differenza sono i social network. LinkedIn, Facebook e altri si usano sempre di più per svago ma anche per attività professionali. Dopo l’e-recruiting, nato negli ormai lontani anni ’90, è così nato il social recruiting. I numeri più aggiornati sulla portata del fenomeno in Italia vengono dallo studio Il Lavoro ai Tempi del Social Recruiting, realizzato da Adecco in collaborazione con l’Università Cattolica di Milano, che ha interpellato circa 270 selezionatori e 7.600 candidati. Tra questi ultimi il 67% dichiara di utilizzare i social perla ricercadi lavoro.E lastessa percentuale di aziende se ne serve per attività professionali, a cominciare da quelle riguardanti ricerca e selezione del personale. A caccia di lavoro sulle piattaforme sociali è soprattutto chi cerca il primo impiego (80%), chi ha già un lavoro ma vorrebbe qualcosa di meglio (74,6%) e solo per ultimo chi è disoccupato (72,7%). Prevalgono le donne e i nati dopo il 1981, perlopiù specializzati in finanza, amministrazione e diritto – settori che

il mercato del lavoro è sempre più social Reclutamento | La ricerca di un’occupazione vira su nuovi canali. Le aziende scoprono altre vie per promuoversi in rete e puntano sui candidati passivi. Ma in Italia siamo ancora indietro con il 23,2% staccano tutti gli altri di quasi dieci punti –, ingegneria e costruzioni, formazione e discipline umanistiche. Adecco conferma che tra i social network regna indiscusso LinkedIn, la piattaforma professionale nata nel 2003 che ha raggiunto i 300 milioni di utenti nel mondo e superato i 7 milioni in Italia. Per attività professionali è usato dal 59% delle aziende e da oltre il 41% dei candidati attivi sui social. Le percentuali di Facebook, invece, scendono rispettivamente al 19 e al 21%, mentre Twitter, Google+, YouTube, Pinterest e tutti gli altri stanno ancora peggio. In generale la presenza di professionisti e aspiranti lavoratori sui social media aumenta costantemente in Italia e nel mondo. Ad occupare gli spazi liberi lasciati da LinkedIn e dai network principali sono piattaforme professionali come Jobbero-

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ne, Elance e Monster, rivolte a soggetti con meno qualifiche, ma anche l’italiana Egomnia. Tramite il social recruiting, sempre più necessario in certi campi, le aziende «utilizzano maggiormente i social media per pubblicizzarsi e, allo stesso tempo, conoscono meglio il proprio pubblico, compresi dipendenti e potenziali candidati. Cercare personale si intreccia quindi con l’autopromozione», dice a pagina99Stefano Epifani, docente di Social Media Management a La Sapienza di Roma. Secondo le statistiche di Adecco, i recruiter usano i social media per individuare profili migliori e raggiungerne di più. Uno degli scopi del social recruiting, infatti, è l’individuazione dei cosiddetti candidati passivi. «Questa tendenza ha preso piede negli Usa e nasce perché molte aziende non trovano i profili adatti tra i candidati

che gli si presentano. Così si adoperano per cercarli in maniera mirata, magari per fargli una proposta ad hoc», ci spiega Eugenio Amendola, consulente per Anthea Consulting, società che si occupa di nuovi trend per il re-

A caccia sulle piattaforme da noi è soprattutto chi cerca il primo impiego (80%)

clutamento e organizza da tre anni un Social & Mobile Recruiting Forum. «Si tratta di un mondo nuovo, che richiede una comunicazione sistematica e costante volta a creare una propria community». Le aziende che attirano mag-

giormente l’attenzione di potenziali candidati, mostra Adecco, sono certamente quelle che pubblicano più annunci di lavoro. Ma anche mostrarsi dal di dentro e postare sui social contenuti interessanti è importante. Per il momento non è un mestiere per micro imprese, che ancora faticano a calarsi nel mondo social e vi operano per circa un terzo del totale. Meglio vanno le pmi, ma la fetta più grande spetta ai big. «Ci sono gruppicome Microsoft, L’Oréal, Barclays o l’italiana Bnl, che recentemente si sono date una veste social friendly per attirare potenziali candidati». Lo fanno raccontandosi, aprendosi il più possibile al pubblico e anche coinvolgendo i propri dipendenti attivi in rete nella promozione dell'azienda. «Nello specifico il social recruiting contribuisce a quello che chiamiamo employer branding, e cioè la re-

putazione che un’azienda si costruisce come datore di lavoro. Ma in Italia siamo ancora piuttosto indietro». Se quasi tutte le aziende si sono convertite all’e-recruiting, diverso è il discorso per i social media. E ancora di più «c’è da fare sul fronte dellaricerca di lavoro online tramite smartphone e tablet», continua Amendola. «Il cosiddetto mobile recruiting cresce in Europa ma vede arrancare la maggior parte delle imprese, che non stanno rimodulando le proprie strategie di comunicazione». Fatto sta che in Italia a essere stato contattato da un selezionatore tramite i social media è solo il 22,7% degli intervistati da Adecco. E tra questi meno di un terzo ha poi effettivamente ottenuto un lavoro. Del resto, circa la metà delle nostre imprese non haancoraun profilosuLinkedIn e i selezionatori sentiti da Adecco ritengono che i social network nel loro insieme incidano soltanto per un quinto sul totale delle assunzioni online. Più efficaci sono ritenuti gli annunci pubblici, l’apertura di sezioni come “partecipa” o “lavora con noi” sui propri siti web, e accordi con società specializzate che si occupano di risorse umane. «Spesso nelle grandi aziende i social network non sono nemmeno presi in considerazione», racconta a pagina99 la responsabile della formazione del personale di un grande gruppo bancario. «Tendenzialmente è più alto il rischio di basarsi su informazioni fuorvianti e non verificate diramate dai candidati in prima persona. Per questo abbiamo attivato accordi con università e altri istituti che forniscano curricula attendibili e rappresentino in partenza un filtro». In effetti, la massima parte delle grandi compagnie sembra


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mostrami l’account e saprò chi sei Selezione | Postare foto o commenti online è rischioso. Così la reputazione digitale può farvi perdere il posto

MARK ZUCKERBERG L’opera The Face of Facebook dell’artista cinese Zhu Jia

privilegiare convenzioni mirate con piattaforme online di reclutamento – come lo stesso LinkedIn – e affidarsi a società terze, quali Adecco, Jobvite, SpencerStuart e molte altre. Ma non è soltanto una questione di diffidenza che ancora rimane. Se l’utilità del social recruiting è limitata, «c’è da domandarsi se sia perché i candidati non sono abbastanza bravi ad autopromuoversi o perché i recruiter non sono abbastanza esigenti e presenti», spiega Federico Sbandi, il social media editor di Gnoti Lab, società italiana di brand journalism. «Di base molti non sono ancora abituati a lavorare con internet o a comunicare lapropria professionalità. Sicuramente c’è ancora poca informazione al riguardo». Ma non è detto che tutti i lavoratori siano interessati a farlo. LinkedIn, per esempio, non è per tutti. «Difficilmente può essere utile per i mestieri più tradizionali, senza contare che a usarlo sono profili mediamente alti». Lo stesso vale per le aziende, che spesso non colgono i meccanismi che stanno alla base del funzionamento dei social media dal punto di vista professionale. «Gli mancano le basi per gestire adeguatamente un account o valutarne uno altrui». Non è un caso che Relationships matter (“Le relazioni contano”), sia il motto

di LinkedIn, dove un profilo completo è come un buon curriculum, con la differenza che altri utenti, colleghi in primis, possono confermare quanto vi è scritto. «Fa capire cosa pensano gli altri di te e non cosa tu pensi di te stesso», continua Sbandi, «o almeno così dovrebbe avendo a che fare con utenti digitalmente alfabetizzati. Peccato che le uni-

Molte aziende si danno una veste social friendly per attrarre talenti

versità italiane siano molto indietro e non formino in alcun modo gli studenti per la cura di una propria immagine virtuale e della digital reputation». «Per le attività di Recruiting e Selezione, nel corso nell’ultimo anno, Telecom Italia ha fortemente potenziato l’utilizzo dei social network, quali LinkedIn e Facebook, ma anche di Jobadvisor e Almalaurea, tanto per citarne alcuni», spiega Bruna Capobianchi, responsabile New Capabilities & Recruiting per Telecom. «Ma oggi, per garantire la trasformazione di una grande realtà come la nostra, sicuro

EDGAR SU / REUTERS / CONTRASTO

punto di riferimento nel mondo dell’Ict, è fondamentale integrare le competenze utili a gestire il business tradizionale con l’acquisizione delle cosiddette new capabilities, legate per esempio al cloud computing o al mondo dei big data». Per individuarle, bisogna tener conto del linguaggioe deisistemiutilizzati daigiovani che cercano lavoro e individuare nuovi modelli di partecipazione e di coinvolgimento degli attori dell’innovazione. «Quindi, oltre alla presenza sui maggiori social network, ci stiamo anche impegnando nell’identificazione delle principali Digital Community che promuovono la circolazione di idee e l’innovazione sociale». A tal proposito, «LinkedIn e Facebook sono senza dubbio realtà mainstream», conclude Stefano Epifani. Per settori più specifici esistono i cosiddetti “social network verticali”, che tendono a coprire settori più specifici dell’universo lavorativo. Alcuni sono in rapida crescita, come Dioximity, dedicato allo scambio di informazioni professionali tra medici, e Spiceworks che si focalizza sulle tecnologie informatiche e ha superato i 6 milioni di utenti. Senza dimenticare Edmodo, piattaforma di e-learning per docenti e alunni, o Rallypoint, portale per appassionati di armi.

n Paolo Brandi è laureato in Informatica e fa il programmatore, un profilo più che adatto per un’azienda al passo con l’innovazione. Eppure, tra LinkedIn e altri canali non ha mai avuto contatti con recruiter italiani. Oggi lavora per una start-up berlinese, GetYourGuide. «Dalla mia esperienza», ci racconta, «ho imparato una cosa: mai fidarsi troppo dei recruiter. Possono fregare sia chi cerca lavoro, facendogli promesse infondate, sia le aziende, proponendo profili inadeguati». E a volte sono pronti a tutto pur di convincervi. «Una volta ho avuto pressioni incessanti. Sono arrivati a chiedermi di lasciare la mia ragazza per sfruttare l’occasione della vita». I social media ci hanno permesso di superare il confine tra la dimensione virtuale e quella reale. A una condizione: la rintracciabilità. Come nella vita di tutti i giorni, in rete e in particolare sui social network ciascuno ha una propria reputazione, la cosiddetta digital reputation. «Non si tratta più dell’impersonificazione di un sé ideale» dice a pagina99 Stefano Epifani, docente di Social Media Management a La Sapienza di Roma. «I comportamenti in rete rispecchiano quelli che abbiamo nella vita di tutti i giorni. Ecco perché, complice il gradimento della community, influiscono sul nostro lavoro». Stando alle statistiche fornite da Adecco nell’ambito dello studio Il Lavoro ai Tempi del Social Recruiting, poco più del 40% delle persone in cerca di un’occupazione tramite i social network ritiene importante mantenere un’immagine professionale digitale e pensa che questa possa essere utile per il proprio futuro lavorativo, circa il 35% si dedica anche acurarla con attenzione. Dal punto di vista di aziende e selezionatori, invece, il quadro si complica. Oltre il 25% dichiara di aver escluso un candidato a causa di informazioni, foto e contenuti pubblicati. Per capire chi siete e farsi un’idea di voi, i selezionatori osservano che cosa pubblicate sul-

la vostra bacheca virtuale e come interagite con gli altri utenti. «Nel bene o nel male, nel web 2.0 è inevitabile che accada», sostiene Epifani. «Per questo la digital reputation è così importante». La piattaforma più controllata è LinkedIn, che con il 71,5% doppia tutte le altre, anche se non è certo la più indicata per osservare come vi rapportate con la viralità. Al secondo posto si piazza Facebook (38,5%) e terzo, mamolto piùin basso,arriva Twitter (13,6%). Sulla piattaforma di Mark Zuckerberg ci sono contenuti che ai datori di lavoro proprio non piace vedere. I meno tollerati, secondo i

Il 25% dei recruiter ha escluso candidati dopo aver visitato il loro profilo

numeri di Adecco, sono quelli che lascianointendere lapartecipazione ad attività in violazione dei regolamenti universitari. Poi ci sono i commenti relativi a temi controversi – religione, politica, sostanze stupefacenti, ecc... – e le foto in atteggiamenti discutibili, come lo stato di ebbrezza. Dal canto loro, i candidati sostengono di avere a che fare molto raramente con materiali del genere: di foto compromettenti quasi non se ne parla, maggiore invece la presenza di opinioni personali. Ma a volte scorrere le bacheche virtuali non basta. All’1% dei candidati è stata chiesta la password di Facebook durante i colloqui, inmodo dapoter controllare la condotta degli interessati senzafiltri perlaprivacy.Il 30%ha scelto di rivelarla. La digital reputation può rivelarsi un boomerang anche per il candidato più diligente e preparato, ma anche creare dei «falsi positivi, ovvero professionisti che di buono hanno soltanto la reputazio-

ne», spiega il professor Epifani. In sostanza, «una persona che si sa vendere meglio puòavere maggiori possibilità di chi è più bravo. Poi si può discutere su quanto le due cose coincidano quando si ha a che fare col web». Ma il comportamento dei dipendenti in rete può rivelarsi un problema anche per l’immagine delle aziende. «Molti lo hanno capito e stanno rafforzando sempre di più tanto la propria presenza social, quanto la formazione del personale», ci dice Eugenio Amendola di Anthea Consulting. «Servono policy chiare in materia di social media, che non limitino però la libertà d’espressione sul web». Eppure, tante aziende ne sanno poco o niente epossono bloccarel’acceso a siti come Facebook dagli uffici, comeci confermala responsabiledelle risorse umane di una grande banca. In effetti, stare sui social network sottraendo tempo e attenzione al lavoro può essere un problema, ma sembra che esistano anche «stretti sistemidi controllo sulla comunicazione tra dipendenti – come filtri preimpostati sul linguaggio usato nelle mail – e sulla diffusione di informazioni relative alle attività dell’azienda». Insomma, c’è chi vede l’utilizzo dei social media da parte dei dipendenti come un fattore di distrazione o qualcosa da controllare per evitare fughe di notizie, e chi ne ha colto il potenziale ai fini della promozione del brand. Ma a monte «c’è un altra differenza. Quella tra chi pensa ancora di poter impedire l’utilizzo dei social media e chi ha capitoche nonèpiù possibile.Oggi con uno smartphone puoi fare tutto quello che faresti con il computer e magari anche di più», conclude Epifani. «Non è detto che le social media policy non debbano essere restrittive sulla diffusione di certe informazioni, l’importante sarebbe che ci fossero. Magari non copia-incollate da altri come fanno alcune aziende. In Italia però siamo ancora molto indietro». F.G.S.

IL DECALOGO LINKEDIN, ISTRUZIONI PER L’USO • 1. Completezza Compila tutte le sezioni del profilo. Includi la carriera scolastica e, soprattutto, le esperienze lavorative e le competenze acquisite (assicurati anche di linkare le aziende in cui hai lavorato). Video, presentazioni o altri file multimediali sono particolarmente utili per dimostrare, in concreto, chi sei e cosa sei in grado di fare. Personalizza anche l’Url del tuo profilo: renderai la tua pagina più rintracciabile sui motori di ricerca e sarà più semplice da linkare altrove. • 2. Immagine Usa una foto professionale, di alta qualità, con buona messa a fuoco e illuminazione. Scegline una che rispecchi il più possibile la tua personalità (se non sei tipo da giacca e cravatta, vestiti come ti presenteresti in ambito professionale) e dove il tuo viso si veda bene (meglio ancora se con lo sguardo in camera o verso sinistra, in direzione dei contenuti pubblicati).

• 3. Sintesi Sfrutta al massimo i tuoi titoli, descrivendoli in maniera concisa e accattivante. E riassumi la tua carriera e le tue capacità nella sezione “Riepilogo”. • 4. Selezione Evita di includere dettagli superflui su ogni lavoro che hai svolto, perfino il dog sitter. Sfrutta invece ripetutamente i tuoi punti di forza, utilizzando con intelligenza le parole chiave che li contraddistinguono. • 5. Varietà Non limitarti a una semplice replica scarna del curriculum. Aggiungi sezioni diverse da quelle standard: esperienze di volontariato (importantissime agli occhi dei “cacciatori di teste”), progetti, lingue straniere, premi/riconoscimenti e anche passioni (per essere professionali non serve essere estremamente seri), ma non inventare nulla di sana pianta. E se hai un sito/blog inseriscine il link: chi visiterà il tuo profilo potrà conoscerti meglio e inoltre,

a livello di search engine optimization, il tuo sito/blog sarà agevolato dall’ottimizzazione di LinkedIn. • 6. Originalità Cerca di non essere ripetitivo, noioso e omologato agli altri profili. Secondo il blog di LinkedIn, ad esempio, tra gli aggettivi più blasonati per descriversi ci sono responsabile, creativo, paziente, esperto, motivato, innovativo e analitico. Meglio optare per una presentazione più personale, che faccia emergere in maniera concisa ma esaustiva chi sei, di cosa ti occupi e cosa cerchi. • 7. Professionalità Non usare LinkedIn come Facebook: è un professional network, non un semplice social network. Innanzitutto personalizza il messaggio che appare quando chiedi una connessione: è un primo importante biglietto da visita. Poi scegli con attenzione le persone con cui collegarti, prediligendo chi già conosci ma provando anche a espandere

la tua rete: l’algoritmo di LinkedIn favorisce chi fa parte del network e dunque, quando le persone effettuano delle ricerche, i risultati vengono visualizzati a seconda del livello di connessione (prima quelle di 1° livello, poi quelle di 2° e così via). Cerca di aumentar e il numero delle tue connessioni: non solo per ampliare il tuo bacino di utenza, ma soprattutto perché numeri alti hanno un forte impatto psicologico su chi visualizzerà il tuo profilo. • 8. Credibilità I tuoi contatti hanno la possibilità di confermare le tue competenze e di inviare segnalazioni (una sorta di lettere di raccomandazione) che descrivano come avete svolto il vostro lavoro. Ricevere queste attenzioni conferisce credibilità al tuo profilo, perché fatte dalle persone con cui hai lavorato a stretto contatto è l’obiettivo da raggiungere. Prova ad attivare un meccanismo di reciprocità: interagisci con gli altri e riconosci le loro capacità per far sì che ricambino il favore.

• 9. Partecipazione Iscriviti ai gruppi che più ti interessano e partecipa attivamente alle loro discussioni. Scegli, in particolare, quelli legati alla tua area di competenza lavorativa, ma senza trascurare altri aspetti della tua identità (passioni, cause sociali). Potrai così contattare persone che non fanno parte del tuo network, apprendere informazioni importanti per il tuo lavoro e farti notare. Ma attenzione a promuovere tuoi articoli e lavori: se esagererai senza interagire sarai etichettato dagli altri come spammer. • 10. Costanza Ricordati di aggiornare frequentemente il profilo, postando status e contenuti che ritieni interessanti (e/o collegandolo con un account Twitter attivo): renderà il tuo spazio su LinkedIn vivo e dunque molto più interessante per chi è a caccia di talenti. Inoltre aggiornamenti frequenti ti permetteranno di apparire nel newsfeed degli altri utenti, aumentando le possibilità di attirare l’attenzione.


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