SOMMARIO Introduzione
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Capitolo I: Ricerca e seduzione di talenti: quando la risposta è il
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Branding 1. Social Recruiting 2.0
8
a. Il Social Recruiting Trend Survey 2011 2. Recruiting sta a “Social” come Branding sta a
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“Personal” 3. La “guerra dei talenti”: attrarre i migliori, conquistare i
25
talenti 4. Chi vince la “guerra dei talenti”? L’affascinante
29
importanza dell’Employer Branding a. L’ “Employer Branding Process”, gli ingranaggi di una macchina per sedurre i.
Analisi del target
ii.
Posizionamento
iii.
Creazione del messaggio
iv.
Scelta dei canali
v.
Valutazione
5. Employer Branding 2.0: Unilever, Adecco e ALTRAN a. Employer branding e Social Media, una testimonianza da Unilever b. Employer Branding e Social Media, caso Adecco c. Employer Branding e Social Media, il punto di vista di Altran Italia
I
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44
Capitolo II: Pinterest
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1. Pinterest… questo (s)conosciuto!
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a. Com’è fatto Pinterest b. Potenzialità d’uso di Pinterst 2. Un’immagine vale più di mille parole
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3. Pinterest e il Job Searching
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4. Pinterest come strumento di Personal Branding
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a.
Kapferer e l’identità della marca
b. Siamo ciò che ci ispira: Personal Branding su Pinterest c.
Un caso pratico: i visual resumes su Pinterest:
quando il curriculum prima si guarda e poi si legge.
5. Pinterest come strumento di Employer Branding 2.0
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a. Una “Brand Box” 2.0 b. Strategie eccellenti di Employer Branding su Pinterest: General Electric, The New Traditionalists e Taco Bell i. Il Caso General Electric ii. Il Caso The new Traditionalists iii. Il Caso Taco Bell (Careers) 6. Verso una proposta di Branding Integrato
II
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Capitolo III: La mia proposta per un futuro non troppo lontano,
111
la “Social Career Page�
Conclusione
117
Bibliografia
398
Sitografia
420
III
Introduzione
Questo lavoro nasce dalla curiosità suscitatami dalla “deflagrazione” verificatasi in rete nel 2010, al momento della nascita del nuovo social network chiamato Pinterest. Già dal primo utilizzo, le potenzialità di questa piattaforma, in termini di branding, mi sono sembrate subito lampanti. Pinterest permette agli utenti di creare delle board, tavole tematiche dentro le quali raccogliere e condividere immagini prese dalla rete, o caricate dal proprio computer. L’utilizzo istintivo che se ne fa inizialmente è quello di “segnalibro” o “bacheca virtuale”, proprio come si utilizzano le bacheche di sughero sulle quali si conservano fotografie, biglietti di viaggi emozionanti, ricette, ritagli di giornale, e via dicendo. Pinterest, infatti, permette di aggiungere il bottone “Pin” ( in inglese: puntina) alla barra dei preferiti e “appendere” alla propria bacheca personale- la board di cui parlavo primaqualsiasi immagine trovata sul web. La filosofia alla base di Pinterest è: “Mettere in contatto tutte le persone del mondo attraverso le cose che ritengono interessanti”. Infatti, il nome nasce dalla crasi dei termini “Pin” (puntina) e “Interest” ( interesse) .
La forza di Pinterest risiede nella
semplicità d’utilizzo e nella potenza dell’elemento su cui si basa : le immagini. Le immagini possono diventare veicolo efficientissimo di qualunque messaggio o intento, “un’immagine vale più di mille parole”, si dice. E c’è chi, recentemente, ha iniziato ad intuire che forse un’immagine vale anche più di qualche noiosa e piatta riga sul curriculum. Se poi si aggiunge che ad ogni immagine Pinterest permette di affiancare un link, che rimandi al luogo virtuale da cui si è presa la foto, allora il gioco è fatto. Il brand è l’insieme delle caratteristiche intangibili che aggiungono valore ad un prodotto. Creare un brand significa creare esperienze, costruire una relazione emotiva, una connessione emozionale col cliente. Si dice che sia l’emozione a spingere all’azione, mentre la ragione
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porta solo a trarre
conclusioni, e questo è il principio che regola la creazione della marca. Per essere efficace deve essere innovativa, è necessario aspirare alla differenza radicale. Tutto il mondo, in tutte le parti del globo, desidera vivere emozioni. Ed ogni momento di contatto del brand col cliente è un’opportunità per crearle e suscitarle. Inoltre, comunicare una marca significa porre in atto una strategia di storytelling, ovvero di narrazione. Si tratta di connotare l’essenza di uno o più prodotti, ed inserirla in una cornice narrativa, dentro coordinate spaziali e temporali, dentro ad un ruolo e ad una mitologia. Così Danone diventa l’alleato delle mamme, nel periodo di crescita dei bambini, Audi diventa complice di chi vuole sentirsi giovane, libero e appagato, Diesel si erge ad emblema della generazione dei sognatori ed Apple diventa uno stile di vita, essenziale, minimale, moderno e all’avanguardia. Allo stesso modo, l’attività creativa di costruzione di un brand è stata applicata anche all’individuo, partendo dalla considerazione che anche le persone possono differenziarsi ed identificarsi sulla base di caratteristiche intangibili che conferiscono loro valore, e a partire dal celebre articolo del 1997 di Tom Peters dal titolo “Il Brand chiamato Te ” , la pratica del Personal Branding ha assunto via via più importanza fino a diventare, ad oggi, un esercizio imprescindibile per molti. Un’altra interessante frontiera del branding, di cui si è preso coscienza all’interno delle aziende più recentemente, è quella che vede le strategie di branding applicate al campo delle risorse umane e integrate con elementi di marketing, per far sì che l’azienda possa differenziarsi ed essere identificata nel mare magnum del mercato del lavoro, in base alle caratteristiche intangibili e valoriali che la qualificano come ambiente di lavoro. La necessità di sperimentare questa strategia nasce in un particolare segmento temporale del mercato del lavoro, i primi anni Novanta , durante il quale si verificò una situazione di squilibrio tra la domanda e l’offerta di professionisti di talento. Le aziende più importanti avevano molti posti di lavoro, che desideravano affidare a professionisti che avessero una
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determinata esperienza in quel settore, ma si trovarono a fronteggiare una penuria di figure professionali , che alcuni attribuiscono ad un calo delle nascite verificatosi anni prima, e fu in quel momento che un team di ricerca della McKinsey coniò il termine “Guerra dei Talenti” per indicare la spasmodica guerra che le aziende fecero per assicurarsi i collaboratori migliori nel ristretto gruppo disponibile. In questa tesi Pinterest viene eletto come arena, palcoscenico virtuale e sociale dell’interazione che andrò ad approfondire, quella tra queste due strategie di branding, opposte ma complementari: il Personal Branding e l’Employer Branding. Nel primo capitolo, toccando più nuclei tematici tra loro complementari, si analizza come nell'economia della conoscenza il capitale intellettuale sia la vera e più autentica fonte di vantaggio competitivo sostenibile. Come si riconoscono i talenti? Definirli non è semplice. In generale, chi ha sviluppato al meglio le proprie attitudini e potenzialità. I protagonisti di questo lavoro, di questo capitolo, e di ogni trattazioni in cui si parlerà di “attrarre e sedurre talenti” sono, secondo la definizione più comune nel campo delle risorse umane, giovani con forte potenziale e con prestazioni superiori alla media, in grado di lavorare assumendosi responsabilità sempre maggiori, veloci nell’apprendere e in grado di trasferire valore alla struttura e ai manager con più anni di esperienza. Oltre a garantire elevate prestazioni nel loro settore lavorativo, hanno uno spiccato senso di appartenenza al team, trasmettono entusiasmo al gruppo all’interno del quale lavorano e consentono all’azienda di arricchirsi nella sua totalità grazie all’eccellenza delle singole parti. Inoltre, secondo una ricerca del 2011 dell’ Osservatorio Robert Half, tra le caratteristiche più apprezzate e ricercate nei futuri candidati si trovano: atteggiamento mentale innovativo, lealtà, passione, e abilità relazionali. In questo capitolo si approfondiranno le dinamiche di ricerca di questo capitale umano imprescindibile e che richiede di essere valorizzato. Sarà
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affrontato il tema della ricerca di risorse umane, che negli ultimi anni si è spostata sul web 2.0, ovvero sui social network , e vive un momento di scissione tra i sostenitori della pratica e chi, invece, non vede un futuro nel cosiddetto “Social Recruting” . La repentina comparsa di quest’attività nella prassi comune di ricerca ha fatto si che “coloro i quali volevano essere trovati” si ingegnassero per emergere, nel mare magnum delle candidature e delle presenze online. Di qui una sempre maggiore attenzione per il processo creativo di costruzione del proprio Personal Brand, ovvero per la comprensione e ottimizzazione di quelle caratteristiche intangibili che conferiscono valore alla persona, ha reso possibile l’instaurarsi di una relazione sinergica, dinamica e stimolante tra Social Recruiting e Personal Branding online. Parallelamente, anche le aziende, proprio come le persone, hanno maturato durante una fase del mercato del lavoro chiamata “guerra dei talenti”, il bisogno di distaccarsi dal numero informe degli svariati luoghi di lavoro ai quali un candidato può essere interessato. Questa esigenza ha fatto si che anch’esse maturassero la necessità di crearsi una reputazione, tra i giovani neolaureati –i giovani di talento di cui si parlava sopra-, in quanto ambienti di lavoro. Come nel marketing sono messe in pratica strategie volte ad attrarre e sedurre il cliente migliore, lo stesso meccanismo regola le strategie di Employer Branding, con l’unica differenza che quest’ultime sono volte ad attrarre e sedurre il miglior candidato per l’azienda e la posizione offerta. Nel secondo capitolo sarà analizzato il social network che ha avuto più successo nel biennio 2010/2012. Si tratta di Pinterest: in questa fase verrà illustrata la sua “anatomia” in quanto piattaforma sociale, seguita da un approfondimento sulle grandi ed intrinseche potenzialità del social media. In seguito Pinterest sarà, come anticipato, sfondo privilegiato dell’analisi di due filoni di strategie di branding: il personal branding e l’employer branding. Entrambe le attività sono state recentemente trasferite sulla nuova piattaforma con risultati eccellenti e di grande impatto. In questo capitolo
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saranno approfonditi casi empirici che mostreranno come uno spazio virtuale, e ovviamente sociale, basato sul solo utilizzo delle immagini , possa trasformarsi in potente strumento di branding “ a due sensi”: dal datore di lavoro verso il futuro candidato, e viceversa, col risultato di accorciare potenzialmente le distanze tra i due. Il terzo capitolo è dedicato alla proposta di un progetto delineato nelle sue linee principali, un’ipotetica piattaforma dedicata ai giovani talenti: i neo-assunti e coloro che sono determinati a raggiungere il posto di lavoro al quale ambiscono. La proposta nasce dalle idee raccolte durante la stesura del lavoro, e la ricerca sottesa ad esso. Questo spazio si pone a metà tra un social network ed una career page, ha un obiettivo ben preciso ed un target ristretto. E’ uno strumento che manca nel panorama delle piattaforme dedicate al mondo del lavoro, e la sua creazione ad hoc potrebbe rappresentare una sfida appassionante per quelle aziende che stanno implementando le loro strategie virtuali di employer branding, in chiave di attrazione e seduzione di personale di talento.
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Capitolo primo
Ricerca e seduzione di talenti: quando la risposta è il Branding
1 Social Recruiting 2.0
Negli ultimi anni, il mondo del lavoro e i suoi satelliti, dalla ricerca alla proposta, dal curriculum al colloquio, hanno visto configurarsi gli inizi di quella che si prevede sarà una vera e propria rivoluzione, preannunciata da un solo grido di battaglia: la parola “social”. Anche dal punto di vista delle aziende, Il 2.0 è ormai un imperativo di business per ogni impresa. Permette, infatti, di perfezionare modelli imprenditoriali e aziendali, dotandoli di vantaggio competitivo duraturo e sostenibile, che si realizza mediante l’interattività e la condivisione del sapere.
Uno stimolante ambito di
applicazione di piattaforme e social network è a supporto di politiche e processi di gestione delle risorse umane (HRM). Proprio a questo proposito, Adecco ha svolto un’indagine sull’ utilizzo dei social media da parte delle aziende e dei candidati, nell’offerta e nella ricerca di lavoro1. L’indagine, svolta tra novembre 2011 e gennaio 2012, mostra come, su un campione di 503 selezionatori coinvolti nell’indagine, il 49% dichiari di utilizzare i social media come strumento di recruiting, contro un 51% di risposte negative. Tra gli utilizzatori il 59% fa capo ad un’azienda
1
Il sondaggio è stato condotto da Adecco Italia in collaborazione con Reputation Manager in modalità online (attraverso siti, newsletter, d.e.m., social network). All’indagine, condotta tra i mesi di novembre 2011 e gennaio 2012, hanno partecipato 9.100 candidati e 503 selezionatori. Per l’analisi dei dati raccolti hanno collaborato Ivana Pais – Università cattolica del Sacro Cuore di Milano e Martina Carlino – Università degli Studi di Brescia.
10
da
più
di
250
unità.
2
Una ricerca dell’americana “National Association of Colleges and Employers”3 riporta i seguenti dati salienti: nel 2012, i datori di lavoro riferiscono la volontà precisa di aumentare le assunzioni di stagisti dell’8,5% rispetto all’anno passato. Anche il processo di assunzione per stage sta rapidamente cambiando: i datori di lavoro ora vanno oltre alla lettura dei classici résumés e ai normali colloqui. La novità sta proprio nell’utilizzo dei social media per filtrare e trovare i migliori candidati. Secondo i dati proposti da un’indagine, svolta da “Harris Interactive” sul territorio degli Stati Uniti4, il 37% degli operatori delle risorse umane utilizza i social network per cercare candidati, e i più utilizzati sono, con percentuali quasi coincidenti, Facebook ( 65%) e LinkedIN (63%), mentre Twitter si attesta su una percentuale del 16%. Parte di un infographic tratta da http://www.adecco.it/SiteCollectionDocuments/Social%20Recruiting/Digital-ReputationSocial-Recruiting-Adecco-infografica-2012.pdf 3 National Association of Colleges and Employers (NACE) “Intern hiring up 8.5%”, Febbraio2012 4 “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” per conto di CareerBuilder su 2.303 responsabili assunzioni e risorse umane, tra il 9 febbraio e il 2 marzo 2012. 2
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Cosa cerca un H.R. Manager sui social media? La maggior parte di queste figure afferma di utilizzare i social media per scoprire ulteriori dettagli, rispetto ai tradizionali che emergono durante un colloquio, in merito alla figura del candidato. Più nel particolare:
Se il candidato si presenta in maniera professionale : 65%
Se il candidato sembra coincidere con la cultura aziendale: 51%
Ulteriori informazioni sulle qualifiche del candidato: 45%
Se il candidato è “ben circondato” 5: 36%
Ragioni per non assumere il candidato: 12% Inoltre, un manager su tre (29%) afferma di aver trovato sui social
network un elemento che li ha convinti ad estendere l’offerta ad un candidato, come, per esempio: una buona sensazione riguardo alla personalità (online) del candidato, un immagine del profilo professionale, informazioni di background che supportassero le qualifiche del candidato, il fatto che il candidato dimostrasse un ampio raggio di interessi, o buone doti comunicative, o ancora una spiccata creatività, ed infine, che altre persone mostrassero ottime referenze nei confronti del candidato. 6
Questo punto è reso con una mia personale traduzione dall’inglese. Il concetto di “wellrounded” fa riferimento al network di relazioni che il candidato palesa tramite i suoi profili online. Per esempio: i commenti di altri utenti, ma anche a quali gruppi è iscritto su LinkedIn, con chi è connesso, a quali cause partecipa su Facebook, a quali eventi ha confermato la sua partecipazione, sempre su Facebook, ecc. 6 “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” per conto di CareerBuilder su 2.303 responsabili assunzioni e risorse umane, tra il 9 febbraio e il 2 marzo 2012. 5
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7
Questa ricerca condotta dalla nota agenzia di ricerche di mercato americana “Harris Interactive” dimostra come, effettivamente, un trend crescente attesti l’affermarsi dei social media come strumento utilizzato anche nel campo delle risorse umane. Un’altra indagine degna di nota proviene dall’Italia e si chiama: “Recruiting e Social Network”, di Lorenzo Pulici. La ricerca del giovane HR e Communication Manager è stata presentata in occasione dell’incontro “LinkedIn, che connessione? L’aspetto sociale del lavoro” organizzato a Roma presso l’Università La Sapienza, e rende noto come oggi le probabilità di essere assunti “via social network” siano molto più elevate che in passato e come sempre più aziende si affidino a Facebook, LinkedIn, Twitter, YouTube e altre piattaforme a sfondo sociale per trovare figure professionali adatte alle loro esigenze. L’indagine di Pulici si mantiene sul polo teorico del “prosocial recruiting”, mostrando come i social network abbiano creato grosse opportunità di lavoro, creando un nuovo segmento definito da molti come Social Media Job Hunt8. “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” 8 http://www.manageronline.it/articoli/vedi/5691/social-network-le-aziende-li-usano-perassumere/ 7
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Veniamo ai dati salienti dell’indagine “Recruiting e Social Network”: condotta tra i mesi di dicembre 2011 e gennaio 2012, su un campione selezionato di 200 job recruiters, HR managers, ed altri esperti del settore, porta alla luce un dato da non sottovalutare. Due aziende su tre (2/3) usano i social network per valutare e selezionare. Nello specifico, il 73,6% delle aziende dichiara di avvalersi di piattaforme sociali per il recruitment. In base a quanto si evince, LinkedIn è lo strumento più usato (96%) nella ricerca di nuove figure professionali, seguito da Facebook (37,7%), Twitter, YouTube e i blog , in percentuali minori. Per quanto riguarda i social network intesi come strumento di supporto, e non strumento unico di scelta, un dato sconcertante ci viene da questa indagine: il 45% dei datori di lavoro utilizzerebbe i social network per vagliare i potenziali candidati, ma il 35% avrebbe deciso di non offrire un lavoro basandosi sul risultato dei controlli della presenza del candidato sulle piattaforme sociali. Questo dato richiama inoltre il suo corrispettivo americano che riporta una percentuale del 12%9. Quello che emerge, o meglio, non emerge e che ritengo doveroso inferire, è che ci troviamo all’inizio di una fase ancora in via di definizione, ed è rischioso trarre conclusioni affrettate, dettate dall’entusiasmo. E’ vero, come abbiamo visto, che i social media hanno sono stati protagonisti di una forte crescita per quanto riguarda il loro utilizzo nel campo delle risorse umane, ma questo non li autorizza, almeno per ora, proprio in virtù della fase sperimentale in cui ci troviamo, ad essere eletti come strumenti unici di decisione o scarto in merito alla figura di un potenziale candidato. Più che strumenti di selezione, i social media si dovrebbero intendere, ora, come strumenti di supporto alla selezione, oltre al fatto che si dovrebbe andare verso una prassi comune di valutazione delle diverse piattaforme: un profilo Facebook non ricopre la stessa funzione di un profilo LinkedIn. Il primo, infatti, si attesta su una linea ludica, mentre il secondo si crea contestualmente ad un intento di ricerca di impiego e diventa quindi “What are employers discovering about candidates through social media”, Indagine condotta online negli Stati Uniti dalla “Harris Interactive” per conto di CareerBuilder 9
14
strumento
professionale.
E’
fondamentale,
in
funzione
della
fase
sperimentale in cui si trova il mondo del recruiting, raggiungere l’unanimità di pensiero a proposito, ed imparare a discernere le diverse funzioni sociali dei vari media disponibili in rete. A questo proposito, riporto il commento che l’autore dell’indagine propone riguardo alla stessa: “Se è vero che è LinkedIn a farla da padrone tra i social network più adoperati dai recruiters, è anche importante sottolineare come ogni social network abbia un proprio codice e un proprio linguaggio, quindi possa essere strumento di ricerca per determinate tipologie di ruoli professionali.” 10
11
1.a Social Recruiting Trend Survey 2011, Report del 2012
http://www.manageronline.it/articoli/vedi/5691/social-network-le-aziende-li-usanoper-assumere/ 10
11
http://www.walkonjob.it/index.php?option=com_content&view=article&id=649:socialnetwork-il-736-delle-aziende-li-usa-per-cercare-nuovi-candidati-soprattutto-profili-commercialied-economici&catid=7:mondo-del-lavoro
15
L'Osservatorio è uno strumento nato per monitorare l'evoluzione del Social Recruiting in Italia attraverso lo sviluppo di indagini periodiche. I risultati di tali indagini sono presentati ufficialmente, ogni anno, all'interno del Social Recruiting Forum, organizzato da Anthea Consulting. Il convegno (2012) è stato coordinato da Eugenio Amendola, Managing Director di Anthea Consulting, che ha anche presentato i dati di un'indagine condotta da Anthea Research (unità dedicata alle attività di ricerca e studio nel corporate recruiting). Di seguito proporrò un’analisi dei risultati salienti della 1° indagine sul Social Recruiting in Italia, condotta tra i mesi di Ottobre e Dicembre 2011 che ha coinvolto 320 aziende.12 Il dato che differenzia quest’indagine dalle precedenti è che il campione indagato è formato per il 73% da aziende, mentre HR consultants e società specializzate sono presenti in percentuali minori (13,3% entrambi). Quelli che voglio riportare, in questa fase conclusiva del percorso di analisi del social recruiting, sono i dati più interessanti emersi da quest’indagine:
Il 63,3% delle aziende dichiara di aver avuto vantaggi dall’utilizzo dei social media nel processo di recruiting
Il 52 % dichiara di poter misurare questi vantaggi in base alla qualità delle candidature ricevute
Il 57% delle aziende intervistate usa i social media come canale di recruiting diretto, il 38% per approfondire le conoscenze ed il profilo dei candidati, il 37% per pubblicare job posting (gratuitamente) ed il 35% per promuovere il proprio employer brand. Più del 14% delle aziende non utilizza ancora tali strumenti.
Alla domanda “nella valutazione dei candidati tendi a cercare altre informazioni dai profili presenti nei social media?” il 44,9% risponde: occasionalmente.
12
http://www.socialrecruitingforum.it/1/osservatorio_2206169.html
16
13
Questi dati mostrano chiaramente un bacino di aziende che sta cercando, è un dato di fatto, di avvicinarsi nel modo migliore a questa pratica, ma si trova ancora spaesato nell’universo dei linguaggi dei social media, che richiedono un’accurata comprensione in quanto gravidi di potenzialità che restano ancora inesplorate, nonostante la crescita nel loro utilizzo. Anche nell’analisi dei dati operata dal promotore del Forum, Eugenio Amendola, si legge la constatazione di un uso “quasi banale dei social media, prescindendo dalla sue peculiarità che se meglio comprese potrebbero fornire maggiori vantaggi non necessariamente in termini di recruiting diretto (direct sourcing) ma di creazione di relazioni di lungo periodo (talent relationship management) in grado di sviluppare community di soggetti realmente interessati al proprio employer
brand.
”14
Da: http://www.employerbrandingreview.com/?p=596 In Redazione“Employer Branding e Social Recruiting. Più recruiting diretto e meno engagement dei candidati: lo dice l’indagine social recruiting trend survey 2011” di Eugenio Amendola, Director Employer Branding Review, 4 marzo 2012 14 http://www.employerbrandingreview.com/?p=596 13
17
Una ricerca, questa volta dai toni più critici e certamente scettici, viene dalla sezione Economia, Affari e Finanza de “La Repubblica.it ”15. Si tratta di un’indagine condotta da Robert Half, la società internazionale di ricerca di personale qualificato più antica al mondo, quotata al Nyse e leader sui mercati internazionali, condotta su un campione di 100 direttori risorse umane di aziende italiane. I dati che emergono riportano che:
Facebook e LinkedIn non sono efficaci come strumenti di ricerca del personale per il 59% degli intervistati.
I direttori favorevoli sono il 22%.
Quelli che non prendono posizione, il 19%.
16
Riporto un estratto molto interessante, preso dalla pagina web di Robert Half che riporta i dati dell’indagine: “Ma, con il tempo – hanno chiesto i ricercatori – i social network sono destinati a soppiantare il curriculum? Disaccordo perfetto tra i manager: il 50% ha risposto “probabilmente sì” e l'altra metà “probabilmente no”. “Dal punto di vista pratico, appare evidente che la massima efficacia si ottiene
In “Recruitment, chi decide non dà spazio a Facebook”, di Daniele Autieri, 16 luglio 2012, su http://www.repubblica.it/economia/affari-efinanza/2012/07/16/news/recruitment_chi_decide_non_d_spazio_a_facebook-39138270/ 16 In “I direttori del personale bocciano Facebook e LinkedIn”, Milano, 03 luglio 2012, su http://www.roberthalf.it/portal/site/rhit/menuitem.b0a52206b89cee97e7dfed10c3809fa0/?vgnextoid=89146ac64e658310VgnVC M100000180af90aRCRD&vgnextchannel=265933be90259110VgnVCM1000003041fd0aRC RD 15
18
utilizzando sia il vecchio cv, sia il proprio profilo sul web, facendo molta attenzione che ci sia sempre coerenza tra i due strumenti”, dichiara Carlo Caporale, Associate Director di Robert Half: “in quanto, i direttori del personale in fase di avvio della ricerca preferiscono il curriculum tradizionale, mentre non disdegnano il web come strumento di verifica e selezione delle candidature raccolte”.”17 Sempre Carlo Caporale, partner di Robert Half, afferma : “In realtà è importante fare una distinzione tra i diversi strumenti disponibili in rete. Un sito come LinkedIn, che raccoglie i profili professionali di milioni di persone nel mondo, è sicuramente più seguito rispetto a Facebook, considerato dai direttori del personale italiani come un raccoglitore di informazioni più ludiche che lavorative. Detto questo, anche nel nostro campo vediamo che la ricerca di personale nelle aziende passa ancora attraverso i canali più tradizionali, quindi l’autocandidatura, l’indicazione da parte di cacciatori di teste, o ancora l’inserzione di offerte di lavoro sui siti internet dedicati. Il ricorso ai social network, in quest’ambito, avviene semmai come strumento di controllo, una volta individuata la risorsa.”18 In definitiva, Facebook, Twitter, LinkedIn e gli altri social media possono essere utili ai manager per verificare informazioni e valutare profili riguardo alle diverse candidature prese in considerazione, ma è un passo successivo all’iniziale scrematura operata in base ai tradizionali metodi o, comunque, un’analisi parallela. Partendo da quanto è possibile inferire dal “curriculum online”, -l’insieme dei profili social-, si possono comprendere, eventualmente, certi aspetti della personalità del candidato. Questo rappresenterà una base di partenza, o di supporto, nel momento del
17
http://www.roberthalf.it/portal/site/rhit/menuitem.b0a52206b89cee97e7dfed10c3809fa0/?vgnextoid=89146ac64e658310VgnVC M100000180af90aRCRD&vgnextchannel=265933be90259110VgnVCM1000003041fd0aRC RD 18
In “ Recruitment? Non su facebook, LinkedIn e Twitter” di Floriana Giambarresi, 18 luglio 2012, su http://www.manageronline.it/articoli/vedi/6700/recruitment-non-su-facebooktwitter-e-linkedin/
19
recruiting, ma, almeno in Italia, saranno ancora il curriculum, il colloquio e le informazioni fornite dal candidato a fare la differenza, salvo rari (e auspicabilmente sempre maggiori) casi in cui un elemento del “curriculum online” colpisce tanto quanto uno del curriculum cartaceo. Per operare un confronto tra le ricerche proposte in questo paragrafo dedicato al social recruiting propongo una tabella riassuntiva:
Indagine
Periodo
Target
Favorevoli Contrari
“Recruiting e Social
dicembre 2011 –
200 operatori del 73,6% si
Network”
gennaio 2012
settore
“Indagine Adecco”
novembre 2011 -
503 selezionatori
(ITA)
gennaio 2012
di Lorenzo Pulici
“Harris Interactive” 9 febbraio –
2,503
(U.S.A.)
del settore
2 marzo 2012
Indagine della
/
49% si
51% no
operatori 37% si
100 HR Directors
22% si
59% no
“Robert Half “ (nb. Sull’utilizzo di Facebook e LinkedIn in particolare)
Ma quali elementi rendono efficace ed utile il cambio di “formato” che il job recruiting ha subito, diventando “social”? Cosa rende il social recruiting stimolante ed allettante per le aziende? La risposta si divide in due ragioni basilari che sinergicamente, creano un polo positivo a favore di questa pratica:
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L’azienda è in grado di raggiungere più candidati :
grazie all’utilizzo strategico e mirato dei social media, l’azienda potrà raggiungere potenzialmente ogni candidato che abbia una personale “social media presence”, cioè una presenza nel mondo dei social network. L’universo “social” della rete “it’s where the people are!”19 Infatti, Facebook conta 901 milioni di iscritti, 500 milioni sono gli utenti di Twitter e 160 milioni quelli di LinkedIn. Inserire il web 2.0 nel processo di recruiting aumenta le possibilità di far si che l’azienda si trovi proprio “di fronte” alla persona che vorrebbe assumere. O, se non di fronte a quella persona, sicuramente nei pressi del suo network di amici, compagni d’interessi e colleghi.
Accrescerà il suo prestigio e la sua reputazione con un’azione fresca e nuova nel campo del recruiting:
è questa la strategia a lungo termine che è necessario implementare con costanza, dinamicamente, seguendo le curve dell’offerta dei nuovi media, per far si che l’azienda sia in grado di costruire una sua immagine stimolante e competitiva agli occhi di chi è in cerca di un buon ambiente di lavoro in cui impiegare il suo talento.
2 Recruiting sta a “Social” come Branding sta a “Personal”
Abbiamo visto come la pratica del social recruiting, tra entusiasmi e scetticismi, stia comunque prendendo sempre più piede, e sia ormai quasi familiare, o imprescindibile, per qualche operatore del settore.
da www. Marketingzen.com in “Is social recruiting the key to find quality job candidates?” di Amanda Norris, 20 luglio 2012 19
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Dopo il percorso di approfondimento effettuato per introdurre la partica della ricerca di talenti sui social network, la logica e conseguente domanda che sorge spontanea è: durante la ricerca che un datore di lavoro opera sulla rete, al fine di individuare il candidato perfetto, quale ragione lo spinge a scegliere un elemento, piuttosto che un altro? Attualmente è altissima la percentuale di popolazione che dispone di una “social presence”. In questo mare magnum di informazioni, profili, media e linguaggi differenti, quale strategia deve adottare il candidato al fine di distaccarsi dalla massa informe ed emergere, per catturare l’attenzione del datore di lavoro che gli interessa colpire? La strategia ideale ha un nome, si chiama “Personal Branding”. Il
Personal Branding non è incasellabile in una definizione precisa, o almeno, non in questa fase della sua evoluzione. Lavorare sul proprio personal brand significa lavorare su se stessi per individuare e definire i propri punti di forza, ed imparare a comunicarli in maniera efficace.
Il processo deve
rendere chiari e fulgidi, agli occhi di chi deve selezionare, i motivi per cui
22
quella persona è la persona adatta, e saprà dimostrarlo. Se la costruzione del proprio brand sarà stata fatta con attenzione, ascoltando se stessi in primis, permetterà di attrarre più opportunità congruenti con ciò che si sa fare meglio. Il Personal Branding non è “l’arte di vendere se stessi”. Come il Branding, d’altra parte, non è riducibile all’“ arte di vendere” un prodotto. E’ molto di più, in prima istanza perché non è la persona in questione a dover affermare di “essere la scelta migliore”, ma deve proporre elementi vincenti per far si che gli altri lo dicano e pensino di lui/lei, e condividano la loro opinione con le loro comunità di appartenenza, sui social network. Secondo elemento degno di nota, essendo una reputazione costruita all’interno dello spazio - rete, non sarà mai totalmente controllabile dall’autore del processo di Personal Branding, ma sarà ridefinita in continuazione dai diversi pubblici con cui entrerà in contatto. Un brand, infatti, non è la forza d’impatto o la grandezza del prodotto su cui è apposto. Un brand è percezione nella mente del consumatore, è la perturbante forza della parola in sinergia perfetta coi fatti. E’ una promessa, ed è una promessa di valore. Ecco perché, impegnandosi nell’identificazione e qualificazione dei propri valori, dei propri principi, si giungerà agevolmente ad aver ben chiaro il proprio brand, e a saperlo gestire per migliorare la propria persona. Quali sono le convinzioni che incendiano il nostro animo? Quale il valore che riteniamo imprescindibile? La caratteristica caratteriale della quale non potremmo mai fare a meno, e quella, invece, che cerchiamo di reprimere e nascondere? Di cosa abbiamo paura, e di chi è l’approvazione che andiamo cercando? Questi sono alcuni dei quesiti che un professionista etico deve porsi, al fine di estrapolare la vera essenza della sua forza, quella che potrà farlo brillare agli occhi di chi potrà offrirgli l’opportunità più in linea con le sue ambizioni.
23
Il brand personale di ogni persona va costruito, seguendo le linee guida che sono sottese alla nascita di qualunque altro brand. Creatività e razionalità devono sapersi fondere abilmente, nello sforzo di creare il proprio marchio personale, prima che altri lo creino per noi. Nel caso della ricerca di un impiego, avere un proprio brand significa distinguersi e far proprio un vantaggio competitivo, nonché farsi forza su un bacino stabile di referenze, che al giorno d’oggi arrivano ad eguagliare il curriculum vitae personale. In una situazione come quella in cui i professionisti si trovano ad agire ora, abbandonata per molti l’idea di un posto fisso nella stessa azienda, si stanno gradualmente abituando ad un dinamismo lavorativo dettato dal cambiamento dell’ambiente di lavoro, come costante del mercato. I soli punti di forza che, muovendosi da un posto all’altro, possono esibire sono: le competenze intrinseche, quelle acquisite con l’esperienza, e la rete di relazioni interpersonali di cui dispongono. Quest’ultimo elemento è fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi di assunzione che il candidato si prefigge; infatti, solo chi ha giù condiviso con quest’ultimo interessi, esperienze lavorative e non, o situazioni professionali può garantire sulla sua professionalità e competenza. Questo “garantire” è un atto che risponde allo stesso meccanismo che entra in azione quando si parla in maniera positiva di un determinato brand a un amico. Con l’unica differenza che, in questo caso, si tratta di “brand personali”, che identificano e differenziano una persona, le sue competenze, attitudini, doti, valori, principi e talenti. Una persona nel mercato del lavoro e non un prodotto su uno scaffale. L’insieme di questi elementi interiori e intangibili, che orbitano dentro e intorno all’individuo, può essere comunicato e trasmesso in maniera unitaria
ed
efficace
attraverso
attività
comunicative,
interessi
e
comportamenti del soggetto. L’avvento del web 2.0 ha dato una scossa al personal branding proprio favorendo, catalizzando e dando la spinta a piattaforme che
24
permettono di pianificare attività comunicative strategiche di ogni tipo, quindi anche di branding, in maniera gratuita e virale. Già nel 1981, nel libro “Positioning: The Battle For Your Mind”20 di Al Ries e Jack Trout, si parlava di self – branding e brand individuale, ma, convenzionalmente, il termine “Personal Branding” viene fatto risalire ad un articolo del 1997 di Tom Peters21. In questo celebre articolo chiamato “The Brand Called You”, “Il Brand Chiamato Te”, Peters spiega come, per far fronte alla crescente importanza dei brand agli occhi delle grandi compagnie, nell’era dell’ Individualismo, sia auspicabile crearsi il proprio brand, ed inserisce nel suo articolo dei consigli per diventare il “CEO of Me Inc.”, cioè “l’amministratore di Me Spa. ”. In questo manifesto di una pratica che già si preannunciava avveniristica, Peters indicava come unico modo per emergere, in un mondo dominato dai brand, il trasformarsi in un marchio a propria volta, ponendo in atto strategie comunicative e di promozione ricalcate su quelle dei grandi brand come Coca-Cola, Nike, ecc… Di seguito, due contributi illuminanti presi dal celebre articolo: “The good news -- and it is largely good news -- is that everyone has a chance to stand out. Everyone has a chance to learn, improve, and build up their skills. Everyone has a chance to be a brand worthy of remark.” Questo passo riporta come “la buona notizia, enormemente buona, è che ognuno ha la sua possibilità di emergere. Ognuno ha una possibilità di imparare, migliorare e costruire le sue abilità. Ognuno ha una chance di essere un brand degno di nota.” 22 Un altro pezzo dell’articolo denso di significato dice:
20,
“Positioning: The Battle for Your Mind”, Trout J. e Ries A., New York. McGraw-Hill, 1981 “The Brand Called You”, Tom Peters, 31 agosto 1997, su http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you 22 Traduzione libera dell’autrice di http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you 21
25
“You don't "belong to" any company for life, and your chief affiliation isn't to any particular "function." You're not defined by your job title and you're not confined by your job description. Starting today you are a brand.”23 In questo frangente Peters sta cercando di far desistere i professionisti ai quali si riferisce dal considerarsi “impiegato in…”, “manager a…”, “operatore di…” , dove i puntini di sospensione indicano i diversi nomi delle compagnie americane più in vista in quel momento. Con tono entusiastico, fervido, Peters intima di ricordare che “ tu non “appartieni” a nessuna compagnia per la vita, e la tua principale affiliazione non è a nessuna “funzione” in particolare. Non sei definito dal titolo che hai grazie al tuo lavoro, e non sei confinato nella tua descrizione di quest’ultimo. A partire da oggi tu sei un brand.”24 3.“La guerra dei talenti”: attrarre i migliori, conquistare i talenti
Verso la fine del novembre 1997 Ed Michaels, Helen Handfield – Jones e Beth Axelrod inviano dei questionari ai senior manager di 77 aziende e ne ricevono indietro circa 6.000. Il team creato dalla McKinsey cercava di capire come facessero le aziende eccellenti a costruirsi un ricco pool di talenti manageriali e se la disponibilità dei migliori talenti desse effettivamente impulso alla performance di un’azienda. 25 Ciò che i ricercatori capirono, nel corso dell’indagine, fu che ciò che distingueva le aziende ad elevata performance dalle aziende a performance medio-bassa non erano i migliori
Traduzione libera dell’autrice di http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you Traduzione libera dell’autrice di http://www.fastcompany.com/28905/brand-called-you 25 “La guerra dei talenti. Come sedurre e trattenere manager di qualità” di Michaels E. Handfield Jones E.H. , Axelrod B., Etas 2002 23 24
26
processi di gestione delle risorse umane, ma la fiducia ( dei leader di quelle aziende) nell’importanza del talento26. Così, nel 1997 venne coniato il termine “ guerra dei talenti” che ancora oggi e va ad indicare un fenomeno di cui molti in quel periodo avevano avuto esperienza, ma che non avevano ancora compreso appieno. Alla fine degli anni Novanta, l’economia era in pieno boom, e le aziende erano disposte a tutto pur di assumere e trattenere il personale di cui avevano bisogno. Offrivano bonus d’ingresso, concedevano aumenti frequenti, e gli head hunter corteggiavano i manager più ambiti. In quella frenesia si giocava la cosiddetta “guerra dei talenti” . Il mercato del lavoro era terreno dei giovani della cosiddetta “Generazione X”, nata nel periodo del calo delle nascite, tra il 1965 e il 1979. Il calo è unanimemente ritenuto uno dei fattori che influenzeranno poi ,in seguito, il mercato del lavoro nel corso degli anni Novanta. Un altro elemento che si pone all’origine della ricerca dei talenti si identifica con la nascita della società dell’informazione, quando il valore globale di un’impresa non è più, ormai, misurato soltanto dagli assett tangibili, quali macchinari, fabbriche , capitali, ma, e soprattutto, dagli assett intangibili come il brand, il capitale intellettuale, il talento. In seguito, l’economia ha iniziato a rallentare, e molti hanno pensato che la guerra dei talenti si fosse, conseguentemente, conclusa. Ma stando a quanto scrivono nel 2002 gli autori stessi dell’indagine di McKinsey dalla quale nacque il termine, “durerà come minimo ancora un paio di decenni.(…) Le forze principali che alimentano la guerra dei talenti sono essenzialmente tre: il passaggio irreversibile dall’era industriale all’era dell’informazione, la domanda sempre più pressante di manager di grosso calibro, e la crescente propensione dei lavoratori a passare da un’azienda all’altra. Poiché queste forze non danno il minimo segno di cedimento, noi siamo convinti che a guerra
26
“La guerra dei talenti. Come sedurre e trattenere manager di qualità” di Michaels E. Handfield Jones E.H. , Axelrod B., Etas 2002
27
per assicurarsi il talento manageriale rimarrà ancora per molti anni una caratteristica distintiva del panorama del business.”27 Nel corso degli ultimi vent’anni le imprese italiane si sono dimostrate poco interessate a spendere energie e risorse nel perfezionamento di politiche di attrazione di talenti. Questi, infatti, sono controproducenti e costosi se l’azienda non manifesta volontà di espandersi, ma nel caso in cui questa volesse crescere ed ampliarsi in chiave globale, in quel frangente una strategia di attraction e retaining si rivela decisiva per realizzare leadership di performance a livello internazionale. Molti rappresentanti della leadership delle imprese italiane hanno ritenuto sempre più importante concentrarsi al cento per cento sul business e sulle relazioni esterne, considerando la gestione delle risorse umane un problema marginale. Questo ha fatto si che, per fare un esempio pratico, le grandi imprese italiane siano cresciute, negli ultimi anni, molto meno delle loro pari di Germania, Francia, Inghilterra e USA, e solo 6 di loro sono presenti nella classifica del 2000 stilata da Fortune 500 , a fronte delle 26 francesi, 23 britanniche e 22 tedesche.28 Le cause di queste basse performance sono svariate, ma la cattiva gestione delle risorse umane vi rientra a pieno titolo. A questo proposito, per vincere la guerra dei talenti , è necessario che le imprese considerino i talenti come priorità assoluta del vertice e, di conseguenza, mettano in atto politiche di employer branding mirate ed efficaci. E’ necessario, ora, porre l’accento sulla momentanea inversione di tendenza rispetto al periodo in cui si è iniziato a parlare di “guerra dei talenti”, gli anni Novanta. La realtà di quegli anni si può riassumere nei seguenti punti chiave:
Le aziende hanno bisogno delle persone
27
“La guerra dei talenti. Come sedurre e trattenere manager di qualità” di Michaels E. Handfield Jones E.H. , Axelrod B., Etas 2002 28 “Employment Branding “di Martone A. e Galanto A. , IPSOA 2008
28
Il vantaggio competitivo è costituito dalle persone di talento
I collaboratori di talento scarseggiano
I lavoratori sono mobili e il loro impegno è di breve termine
Le persone chiedono molto di più La situazione attuale si configura in maniera molto simile, con
un’eccezione sostanziale: i collaboratori di talento non scarseggiano, ma i posti di lavoro si . Dovrebbe essere, in linea teorica, un elemento che facilita l’azione di recruiting delle grandi aziende, e riduce gli sforzi di “corteggiamento” dei talenti che invece dovevano sostenere prima. Non è così. In questo momento il giovane professionista cosciente delle sue capacità, consapevole di poter assicurare performance sopra la norma, pretende ancor più di prima di avere a disposizione un ampio ventaglio di scelta, e di accettare non sono una proposta di lavoro, ma una proposta di valore. Questo il motivo per cui, a discapito della logica, l’importanza della costruzione di valore aggiunto al brand di ogni azienda si rivela, oggi, di vitale importanza per poter attuare una buona strategia di recruiting e creare una proposta di valore vincente per dipendenti e futuri dipendenti. In ultimo, un dato da rilevare è che recentemente l’attenzione per le risorse umane e l’employer branding sta vivendo un momento di crescita , graduale e “sperimentale”, e le aziende che vinceranno la guerra dei talenti saranno quelle che avranno il coraggio di pianificare una politica di attrazione, formazione e mantenimento delle risorse umane che si configuri anticiclica, e che abbia, dunque, la maggiore applicazione proprio nei momenti di rallentamento dell’economia. Infatti, ciò che alcuni “previdenti” leader stanno facendo è proprio questo: porre l’accento sulla creazione di team di eccellenza, per essere pronti a ripartire quando arriverà il momento, potendo letteralmente “schierare” squadre efficienti e preparate.
29
4 Chi vince la “guerra dei talenti”? L’affascinante importanza dell’Employer Branding
In seguito ai cambiamenti avvenuti nella nostra economia, sempre più globale e “della conoscenza”, si assiste ora ad un tentativo di riorganizzazione interna per rispondere meglio ai nuovi assetti . Il ridimensionamento dei livelli gerarchici ha provocato, nella maggior parte dei casi, la crescita della mobilità sul mercato del lavoro, fenomeno che si è tradotto in una maggior propensione dei lavoratori a passare da un’azienda all’altra. Questo processo ha generato un aumento della competitività che ha portato molti leader aziendali a porsi il problema di migliorare la propria attività di posizionamento efficace sul mercato del lavoro. Una soluzione indicata per “vincere” la guerra dei talenti -anche se oggi è considerata in un’accezione leggermente diversa da quella che connotava il termine ai suoi albori- e ritrovare la giusta strategicità nel posizionarsi nel mercato del lavoro, risiede nell’employment branding. La risposta ai problemi derivanti dalla necessità di reperire e mantenere le persone chiave, valorizzando in tal modo il capitale intellettuale delle aziende, si identifica oggi nello sviluppo di azioni innovative mirate specificatamente
alla
gestione
delle
risorse
umane.
In quest'ottica di valorizzazione del potenziale umano il primo e più importante elemento di catalizzazione dell'attenzione dei candidati è sicuramente il brand aziendale, che deve essere considerato e gestito in un'ottica di marketing sia verso i collaboratori attuali che verso quelli potenzialmente
inseribili
in
azienda.
Occorre, quindi, mettere in atto delle tecniche di marketing per il brand aziendale, adottando una strategia di employer branding che definiremo quindi come "una strategia di marketing per attrarre i talenti che ha l'obiettivo di creare e comunicare l'identità aziendale come luogo di lavoro ai potenziali collaboratori (recruiting) e ai propri dipendenti (retention), in
30
coerenza con i valori specifici e distintivi che si vogliono trasmettere". La tematica dell'employer branding si traduce allora in un processo di creazione di valori aziendali e della loro comunicazione al giusto target. E l'employer experience, ovvero cosa significa lavorare in quella determinata azienda, è alla base di questo processo di valorizzazione ed è costituita non solo da elementi tangibili, come la retribuzione e i benefit, ma soprattutto da aspetti immateriali, quali la cultura aziendale, i valori nei quali l'azienda si identifica, le opportunità di crescita professionale, la carriera e lo stile manageriale. Quando queste attività sono svolte bene, ovvero quando quel processo di marketing verso le risorse umane che abbiamo definito employer branding si applica con correttezza e con coerenza, la percezione del valore dell'azienda si rafforza sia all'esterno presso i potenziali candidati che all'interno
presso
i
propri
dipendenti.
Questa percezione, una volta trasmessa, crea un feeling positivo nei confronti dell'azienda come un luogo desiderabile in cui sviluppare la propria attività lavorativa. La comunicazione, sia verso l'esterno sia verso l'interno dell'organizzazione, deve essere quindi sinergica e complementare, perchè quella sorta di "patto" - ovvero il significato che si attribuisce all'appartenere ad una data azienda - che si stabilisce con i candidati potenziali, deve poi essere mantenuto una volta che i candidati ne sono diventati parte attiva. Proprio per questo le attività di employer branding non si esauriscono con l'ingresso in azienda ma devono essere applicate in maniera continuativa anche successivamente perché è solo dimostrando un'assoluta coerenza con quanto si comunica e quanto si vive in azienda che si riesce ad effettuare una vera azione di employer branding orientata ai talenti.29 Questo è il motivo per cui, all’interno di un’azienda, la collaborazione e la sperimentazione di una politica d’integrazione tra HR, IT, Marketng e Comunicazione diventa fondamentale per sviluppare azioni efficaci di attraction e retention , ovvero attrazione e mantenimento di personale di 29
http://employerbranding.blogspot.it/2007/04/definizione-di-employer-branding.html
31
valore. Queste strategie poggiano le loro fondamenta sulla base del concetto di corporate branding, cioè sulla costruzione di un brand aziendale, che avviene attraverso più azioni sinergiche. Il brand di un’azienda è influenzato principalmente da quattro fattori : 1. Dalle esperienze dei pubblici interni all’azienda 2. Dalle esperienze e opinioni dei pubblici esterni che vengono a contatto con l’azienda 3. Dal posizionamento dell’azienda presso i potenziali candidati (Career day, career page, job faires, employer branding …) 4. Dall’immagine trasmessa attraverso le campagne di comunicazione Focalizziamo l’attenzione sul terzo punto, il posizionamento dell’azienda presso i potenziali candidati. Attualmente, in seguito anche alle rivoluzioni nel mondo del lavoro di cui si è parlato poc’anzi, l’azienda non è più in una posizione di forza che le permette di selezionare unilateralmente, ma -soprattutto di fronte di candidati di talento- esiste una scelta reciproca che nasce da un confronto tra i vantaggi e gli svantaggi che la scelta implica per i due contraenti ( azienda e lavoratore). 30 Come già anticipato nell’introduzione a questo lavoro, il candidato di talento -colui che sa di avere un bagaglio di expertise solido, o di poter assicurare performance eccellenti- non si accontenta più di una proposta di lavoro, per quanto vantaggiosa e prestigiosa essa sia. Oggi è necessario appagare altri bisogni, riuscire a creare una connessione più “emozionale”, diventare il posto di lavoro più ambito nel ventaglio delle possibilità del mercato offrendo esperienze di qualità, e la risposta a tutte queste esigenze è la progettazione di una strategia efficace di branding. Di employer branding.
4.a L’“Employer Branding Process”, gli ingranaggi di una macchina per sedurre 30“Employment
Branding “di Martone A. e Galanto A. , IPSOA 2008
32
Per una corretta pianificazione di una strategia di employer branding è indispensabile valutare il livello d’intensità con il quale si vuole sviluppare il piano di comunicazione dell’employer brand e gli strumenti da utilizzare allo scopo. In questo senso, occorrerà:
definire gli strumenti, i messaggi, i canali da utilizzare per potenziare il proprio brand aziendale;
stabilire i meccanismi di integrazione con le altre forme di comunicazione aziendale, in un’ottica di comunicazione totale;
utilizzare il web site incrementandone il potere attrattivo;
sviluppare strumenti addizionali di reperimento delle candidature. Poiché il piano di comunicazione non può prescindere dall’obiettivo
di differenziare la propria offerta da quella dei competitors, sarà necessario comprendere a fondo a quale segmento ci si vuole rivolgere in funzione degli obiettivi prefissati. Per questo motivo è necessario valutare quale sia il metodo più efficace per attirare l’attenzione sull’ambiente di lavoro offerto. Tra le varie soluzioni, potrebbero essere utilizzate le seguenti alternative:
Job Meeting o altre Career Fairs;
Comunicazione on-line;
Comunicazione su giornali e riviste dedicate al recruiting e/o specializzate di settore;
Sponsorizzazione di Eventi;
Realizzazione e distribuzione di Gadget;
Organizzazione di parties o conventions. La fase finale è quella del monitoraggio e del controllo dell’efficacia
di quanto sviluppato nelle fasi precedenti: dal piano di sviluppo e costruzione
33
dell’Employer Brand al processo di comunicazione dello stesso. 31 L’obiettivo dell’EBP non è solo fare in modo che i potenziali employees, impiegati, si ricordino dell’azienda/employer (employer brand awareness/notorietà), ma fare in modo che nella loro mente l’azienda/employer sia associata ad aspetti qualitativi o connotazioni ben definite (employer brand image) da renderla unica e distinta dai competitors.32 Di seguito propongo un’analisi sequenziale delle singole fasi del processo di employer branding, modello proposta da Eugenio Amendola.
Monitoraggio e valutazione
Analisi del target
Scelta dei canali
Posizionamento
Creazione del messaggio
33
4.a.I Analisi del target
“E’ possibile affermare che una strategia di Employer Branding viene sviluppata in relazione a due target distinti, i potenziali candidati e i http://www.surveyrgs.it/html/eb_strategy.html E. Amendola, slideshow per l’ Università di Urbino , 2007 33 Amendola E., “L’employer branding process”, in Padula A., Marketing Interno, Hoepli 2007 31 32
34
dipendenti, e segue due direttrici principali: a) presentare l’azienda come un luogo di lavoro appetibile e attraente agli occhi del target di riferimento all’esterno ( attraction, cioè attrazione) ; b) minimizzare la conflittualità tra colleghi e massimizzare, di converso, il senso di appartenenza all’azienda all’interno ( retention, cioè mantenimento) .” 34 Come in qualsiasi tipo di attività comunicativa, è necessario chiedersi a chi ci si rivolge, e quali sono i bisogni e le aspettative degli interlocutori. In questo caso i due attori del processo comunicativo sono azienda e candidato. Da un lato l’azienda deve sapere verso quali destinatari orientare i suoi sforzi di branding, dall’altro anche per chi è in cerca di un’occupazione, l’obiettivo primario della ricerca del posto di lavoro ottimale passa per un’attenta analisi nella quale viene messa al vaglio la coerenza tra i valori che esprime l’azienda e i propri. Questo punto è sostenuto fortemente da Schneider 35, il quale mette a punto un modello basato su come all’interno di organizzazioni simili sia possibile trovare personalità omogenee tra loro e coerenti con il contesto organizzativo. Le persone, infatti, sono attratte da, ed entrano a far parte di organizzazioni cin le quali condividono i propri atteggiamenti, opinioni e valori. Questa stessa congruenza era già stata individuata anche da Chatman nel suo modello “Person-Organization Fit”, nel 1991. Molto interessante, a questo proposito, il contributo di uno dei massimi esperti di leadership, Stephen Covey, che nel suo libro -“L’ottava regola” (2007)- teorizza che l’uomo risponde a quattro bisogni chiave: bisogni del corpo, del cuore, della mente e dello spirito. In qualsiasi fase della vita, davanti ad ogni processo decisionale le scelte che l’uomo compie sono dettate dalla soddisfazione o meno di questi quattro elementi. Secondo Gabriele Lizzani “coloro i quali si occupano di employer branding si
34
“L’employer branding tra ricerca e applicazione” , di Lizzani G., Mussino G.M. , Bonaiuto M.
( a cura di) Franco Angeli, Milano 2008 35
Schneider, 1987, Modello ASA – Attraction, Selection-Attrition
35
dovrebbero preoccupare di capire come sono posizionati i candidati/target su questi bisogni chiave.” 36
4.a.II Posizionamento
Il posizionamento, in un’ottica di employer branding, significa capire dove si trova l’impresa aspettative
rispetto al posizionamento del suo target in termini di
e motivazione. O ancora, domandarsi come posizionare
l’immagine dell’azienda agli occhi del target differenziandola dai competitors. I dati sul posizionamento vengono poi forniti da società di consulenza, in seguito all’analisi dei dati emersi da questionari sottoposti al target ( generalmente studenti universitari ) al fine di estrapolare un “ranking” di desiderabilità in un’ottica di futura scelta lavorativa.
4.a.III Creazione del messaggio
Il messaggio di employer branding che sarà comunicato deve suscitare nel potenziale candidato un’attivazione in termini di emotività. La caratteristica del brand in quanto marchio è proprio questa, connettersi emozionalmente con il consumatore, creare un legame esperienziale positivo, che lo renda appetibile e che lo porti a differenziarsi dai brand competitors. L’employer brand agisce allo stesso modo, e il processo di creazione del messaggio su cui si regge segue le medesime logiche creative. Andrea Fontana, esperto di corporate storytelling, suggerisce una strategia audace ma modernissima, che fonde tecniche narrative ed employer branding . In situazioni come quella in analisi, la narrazione e alcune tecniche di storytelling management diventano sistemi di gestione che potrebbero risultare vincenti perché:
L’employer branding tra ricerca e applicazione” , di Lizzani G., Mussino G.M. , Bonaiuto M. ( a cura di) Franco Angeli, Milano 2008 36
36
Tutte
le
organizzazioni generano
conversazioni verso
differenti
interlocutori, interni o esterni e generano discorsi attraverso delle storie e dei precisi processi narratologici. In altre parole, tutte le organizzazioni parlano. Sono comunità umane basate su discorsi umani che parlano di problemi umani.
Ovunque esistono pubblici che ascoltano e che vanno intercettati, motivati e coinvolti (sui prodotti, sui servizi, sui progetti, sulle ideevalore) all’interno di processi di pensiero narrativo.37 Da qui appare chiaro come lo storytelling diventa approccio e
strumento per generare una serie di attività, sia interne che esterne, anche a supporto dell’employer branding. Fare employer branding narrativo significa impegnarsi in tre passaggi: A) innanzitutto analizzare il racconto d’impresa e il racconto degli individui che lavorano nell’impresa (per capire vicinanze e gap possibili, vi sono specifici modelli che lo consentono). B) Definire un piano narrativo che tenga insieme contenuti e processi da trasferire con gli strumenti e le attività dell’employer branding . C) Far vivere strumenti cartacei, relazionali e/o digitali che siano rappresentativi del racconto d’impresa e di quello degli individui che lavorano nell’impresa38 ( blog, gruppi su social network, pagine dedicate agli professionisti e le loro esperienze nell’azienda) . 4.a.IV Scelta dei canali
Dopo aver analizzato le esigenze del target e individuato la proposta di valore dell’employer brand , si passa alla scelta dei canali media più adatti alla divulgazione del messaggio. Li dividiamo, in linea di massima, in:
37
http://www.employerbrandingreview.com/?p=509, Andrea Fontana, 10 Ottobre ,2011
38
http://www.surveyrgs.it/html/eb_strategy.html
37
partecipazione a Job Meeting o altre Career Fairs:
campagne di comunicazione on-line, acquisto banner, invio newsletters sui piu’ importanti siti dedicati al recruiting preventivamente selezionati;
campagna di comunicazione sugli organi di stampa, articoli, interviste, acquisto di spazi pubblicitari sui giornali e riviste dedicate al recruiting e/o specializzate di settore.
sponsorizzazione di Eventi, soluzione da considerarsi un ottimo brand-building tool se l’evento si rivolge al proprio target di riferimento;
realizzazione e distribuzione di Gadget che possano attirare il target e avvicinarlo al proprio Brand;
organizzazione
di
parties
o
conventions
adeguatamente
brandizzate e correlate al pool da cui si possono attingere i talenti ricercati39. Non è possibile non considerare gli strumenti del web 2.0, in particolare l’utilizzo dei social media come veicolo per promuovere l’immagine dell’employer presso il proprio target di riferimento. Di seguito riporto un’ infografica presa dal sito americano PayScale.com, che si presta a chiarire questo concetto. I dati che presenta sono i seguenti:
39
http://www.surveyrgs.it/html/eb_strategy.html
38
40
65% delle piccole aziende
il 51% delle medie aziende
il 4% delle grandi aziende
usa i social media per reclutare candidati, e più dell’80% dei datori di lavoro che utilizzano i social media usano LinkedIn.
http://theundercoverrecruiter.com/infographic-why-employers-love-social-recruiting/ , Infografica dal titolo “Do employers “like” social media?” tratta da un indagine dal sito http://www.payscale.com/infographics 40
39
41
Un dato che va a sostenere questa tesi, e dimostra come l’utilizzo dei social media come canale privilegiato di employer branding stia crescendo esponenzialmente , è la repentina partecipazione e l’entusiasmo che hanno dimostrato i brand italiani al momento dell’apertura, da parte di Google, delle brand page. Altre voci internazionali e prestigiose si aggiungono al coro degli entusiasti di questi nuovi canali social, che mirano a ridurre le distanze tra brand e consumatori. Miriam Tappert, Global Social Media Manager presso H&M commenta: “Su Google + abbiamo scelto di concentrarci sull’ispirazione” dice Miriam. “Immagini carine, film, e certamente, molta moda.” H&M usa frequentemente nei suoi post video e fotografie poichè l’elemento visivo è efficace per promuovere moda e lifestyle. Immagini di persone che indossano abiti H&M appaiono corredate da didascalie e link che permettono di acquistare i vestiti tramite un semplice click.” Crediamo che sia importante essere attivi e 41
Il gruppo “UniCredit Employer Branding su LinkedIn”
40
caricare notizie ogni giorno, come in tutti gli altri social media che utilizziamo come canali di comunicazione,” continua Miriam, “ e ci preoccupiamo di far si che ciò che pubblichiamo sia di grande interesse per chi ci segue.” Con il suo interesse per la moda dettata dai trend e dall’ultimo minuto, la pagina su Google+ di H&M presenta contenuti artisticamente ed esteticamente piacevoli, e spesso include celebrità. “ 42
42H&M
Case Study su http://services.google.com/fh/files/misc/google_handm_v3.pdf “At Google+ we have chosen to focus on inspiration,” says Miriam. “Nice images, films, and, of course, a lot of fashion.” H&M uses video and photos frequently in posts, as visuals are an effective way to promote fashion and lifestyle. Depictions of people wearing H&M clothes appear along with captions plus links enabling visitors to quickly click to purchase the clothing being displayed. “We think it is important to be active and post news every day, just as in our other social media channels,” Miriam continues, “and we are also careful to make sure that what we publish is relevant to our followers.” With its emphasis on trend-led and up-to-theminute fashion, H&M’s Google+ page presents artistic, aesthetically pleasing content and often includes celebrities.”
41
42
43
Anche brand italiani come Alitalia, Tim, Vodafone, Juventus, Donna Moderna e Fiat sono stati tra i primi a cogliere questa nuova opportunità di comunicazione creando un profilo su Google+.
4.a.V Valutazione
Infine, l’ultimo passaggio del processo: la valutazione dei risultati. Oltre ai feedback che l’azienda avrà fatto in modo di raccogliere durante la campagna di branding, l’efficacia di quest’ultima è valutabile anche sulla base di :
Quantità delle candidature ricevute durante il periodo di esposizione del messaggio. Un primo feedback è rappresentato dal numero dei CV ricevuti ma ciò, ovviamente, non basta a fornire un’indicazione di
44
efficacia. Sarà necessario valutare quanti dei CV ricevuti sono utili, cioè in linea con il target ricercato. E’ evidente che quanto più alta è la percentuale dei CV utili sul totale dei CV ricevuti, tanto più efficace risulterà essere stata l’attività svolta in precedenza.
Rapporto tra quantità di curriculum e colloqui di selezione effettivamente svolti e relativa percentuale d’inserimento dei candidati;
Analisi circa l’eventuale turn over degli inseriti .
E’ possibile, inoltre, valutare la coerenza tra il contenuto del messaggio di employer branding e i fattori intangibili effettivamente presenti all’interno dell’azienda, coinvolgendo l’unico target che possiede informazioni su entrambi: i dipendenti interni, e in particolare i neo-inseriti, quei dipendenti che hanno un’anzianità aziendale di pochi mesi. I feedback derivanti da uno strumento, costruito per valutare i fattori intangibili dell’azienda e somministrato ai neo-inseriti, possono fornire indicazioni sulla coerenza di contenuto della campagna. Tuttavia, è opportuno integrare queste prime e semplici informazioni con indicatori di efficacia più analitici, che richiedono l’adozione di strumenti di analisi decisamente più complessi
5. Employer Branding 2.0: Unilever, Adecco e ALTRAN
Di seguito voglio portare all’attenzione tre contributi, tre interviste rilasciate da professionisti del settore , raccolti dalla rivista online “Employer Branding Review” , che ritengo estremamente appassionanti e interessanti ai fini della comprensione di tutti gli argomenti toccati finora. Dalle file di Unilever, Marta Guidarelli parla del career website dell’azienda, recentemente rimodernato per permettere la condivisione di contenuti, che, altrimenti, resterebbero appannaggio esclusivo dei membri interni
45
all’azienda, come il codice dei principi di business, e i valori aziendali. Questa strategia permette di far respirare l’atmosfera che si vive in Unilever attraverso la “vicinanza” con le esperienze condivise dei dipendenti. Dal punto di vista di Unilever social web significa interattività in tempo reale, condivisione immediata delle attività che si svolgono in azienda, condivise e rese social per renderle appetibili agli occhi del target. Per conto di Adecco, Silvia Zanella opera un esauriente ed approfondito excursus sulle rapporto che Adecco ha deciso di sviluppare ed implementare con le nuove forme di comunicazione 2.0. La particolarità della strategia di Altran prevede un approccio friendly , utilizzato per parlare lo stesso linguaggio del target di riferimento, al fine di coinvolgere i potenziali candidati in un’interattività che si svolge in tempo reale. Anche Altran ha implementato la propria career page aggiungendo la possibilità di di gestione della propria candidatura, di creazione di job alerts e di ricezione di apposite newsletter. In ultimo, un esempio del processo di storytelling di cui parlava Andrea Fontana riguardo all’ employer branding, è superbamente espresso nella decisione di Altran di pubblicare su Facebook
“delle “interviste doppie” che hanno messo a
confronto il punto di vista e i racconti di Direttori, Manager e Consultant di Altran Italia, finalizzate a far conoscere in modo informale e dinamico i dipendenti di Altran Italia ed il clima interno, con un focus sul rapporto personale e lavorativo tra colleghi.”43
5.a Employer branding e social media, una testimonianza da Unilever44 Intervista a Marta Guidarelli, Leadership Development Specialist presso Unilever Italia, a cura di Simona Benini.
http://www.employerbrandingreview.com/?p=401 , 20 febbraio 2011, Employer Branding e Social Media. Il punto di vista di Altran Italia, a cura di Simona Benini 44 http://www.employerbrandingreview.com/?p=406, Employer Branding e Social Media. Il punto di vista di Unilever di Simona Benini, 20 febbraio 2011 43
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Avete rivisto le vostre strategie di comunicazione per rendere il vostro Web Site più in linea con le esigenze del Social Web? Se si quali sono state le modifiche e/o integrazioni più significative? E quali sono stati i riscontri? Il career website di Unilever prevede nei prossimi mesi un arricchimento con testimonianze dirette dei dipendenti e materiali che saranno forieri di contenuti che per la maggior parte dei casi restano interni all’azienda e che meritano fortemente, per la loro caratura, di essere condivisi, come il nostro codice dei principi di business, i nostri valori, ma soprattutto vogliamo che si riesca a respirare l’atmosfera che si vive nelle nostre sedi, attraverso un contatto più diretto con le esperienze professionali dei nostri dipendenti. In generale come deve svilupparsi una strategia di employer branding nel social web? Un social web prevede l’interattività pressoché in tempo reale. E comunicare in tempo reale significa avere dei contenuti legati ad una progettualità, con dei confini temporali precisi. Significa dire alla propria popolazione target ‘Stiamo facendo questa attività, in questo momento storico, vuoi venire con noi?’ Andare sul web per pubblicizzare un sito delle carriere o delle vacancies equivale a non creare un contenuto dirompente, parlando strategicamente; nulla che scateni l’interattività. Le comunicazioni descrittive di un’offerta di lavoro possono essere supportate dal mezzo cartaceo, dal web, ma non necessariamente
dal
web
2.0.
Quindi, una strategia di EB sul social network deve essere legata all’analisi di un
fabbisogno
temporaneo
o
delimitabile
in
un
contesto.
Qualsiasi cosa si cronicizzi nella reiterazione noiosa, sui social network muore in fretta. Ritenete queste nuove forme di comunicazione un’opportunità da sfruttare o le considerate frutto di una tendenza temporanea destinata a consumarsi col tempo?
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Queste forme di comunicazione non spariranno: rispondono a molti bisogni umani, consentono di dare spazio alla propria curiosità, di aggiornarsi circa i propri contatti, di comunicare, con il classico ‘vantaggio’ delle schermature alla
propria
fisicità,
che
il
mondo
virtuale
garantisce.
Ingrandendo o rimpicciolendo il percepito, come nel fanciullino di pascoliana memoria, i social network connettono le persone e non sono destinati all’estinzione, al fallimento o al blando successo come per il caso della videotelefonia. Sono un’opportunità, da sfruttare, con intelligenza.45
5.b Employer Branding e Social Media, caso Adecco 46 “Employer Branding e Web 2.0: l’esperienza di Adecco” di Silvia Zanella, Marketing & Communication Manager Adecco.
Negli ultimi anni l’attenzione verso la propria immagine come luogo di lavoro ideale sta diventando una priorità per molte aziende. Le strategie di employer branding si sono sviluppate come veri e propri piani strutturati di marketing prendendo piede in società di tutte le dimensioni. In Adecco l’attrazione dei talenti è da sempre un aspetto prioritario per l’azienda che organizza iniziative e processi di recruiting e di talent management mirati ad alimentare il riconoscimento e la soddisfazione del candidato, che oggi assume sempre di più un ruolo centrale nella progettazione delle strategie aziendali. Nei confronti dell’esterno Adecco, infatti, sta portando avanti una strategia di employer branding che mira alla condivisione e alla comunicazione orizzontale dei messaggi e dei valori dell’azienda a partire da quei luoghi di aggregazione virtuale che oggi sono costituiti dai social network. Attraverso la presenza dell’azienda in rete, sottoforma ad esempio di microblogging di Twitter o il gruppo di Linkedin e grazie alle sue
45
http://www.employerbrandingreview.com/?p=406 “Employer Branding e Web 2.0: l’esperienza di Adecco” di Silvia Zanella Marketing & Communication Manager Adecco ,24 maggio 2011 46
http://www.employerbrandingreview.com/?p=457
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attività/campagne di marketing recruitiment (come può avvenire anche solo con un link di rimando alla sezione candidati) i job seeker possono scoprire ed arrivare, in maniera estremamente rapida, alle pagine dedicate alle opportunità di lavoro e di carriera in Adecco. L’employer branding e, in particolare, la comunicazione nel social web richiede competenze che sono presenti in più aree funzionali di un’azienda (comunicazione, relazioni esterne, marketing, etc). Dunque chi si occupa di risorse umane deve affrontare il tema della tecnologia e comprendere come inserirla in maniera efficace all’interno dei propri processi circondandosi di professionisti con skills adeguate. Anche in Adecco chi si occupa di employer branding è preparato in termini di comunicazione, marketing e risorse umane al fine di comunicare efficacemente eventi, iniziative o anche le proprie esigenze di recruiting soprattutto per posizioni specialistiche. Adecco crede molto in queste nuove forme di comunicazione come opportunità da sviluppare, ritenendo inoltre che andranno incrementandosi nel tempo. E’ un dato di fatto, che già i professionisti di oggi privilegino i social network come sistemi di condivisione e li ritengano funzionali allo sviluppo della propria carriera. E ancora di più seguiranno questa tendenza i lavoratori di domani, quelli che vengono classificati come appartenenti alla generazione Y, che riterranno normale il ricorso al web 2.0 per qualsiasi esigenza e tra queste proprio il cercare lavoro. Solo per fare qualche esempio: Adecco Italia è stata la prima agenzia per il lavoro ad avere introdotto lo scorso aprile l’iniziativa “Adecco iJobs”, la prima applicazione in Italia per cercare lavoro tramite l’iPhone. L’applicazione, che in termini di redemption è la terza applicazione di Adecco più scaricata al mondo, consente di utilizzare il telefonino per consultare tutte le offerte di lavoro di Adecco e fare domanda per una posizione aperta presso la filiale d’interesse. Adecco Italia è la prima Agenzia per il Lavoro in Italia ad avere introdotto questa innovazione, che in linea con le politiche del Gruppo Adecco, segue in ordine di tempo solo l’America e i Nordics. È da sottolineare come Adecco abbia sviluppato internamente tutte le applicazioni
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dedicate a rafforzare la sua presenza sulla Rete a livello interno grazie ad un lavoro sinergico e congiunto tra diverse divisioni aziendali. Anche nel caso della funzione di geotagging, prevista dall’applicazione Adecco iJobs, si è trattato di un risultato conseguito grazie ad un lavoro congiunto tra IT e Marketing di Adecco. Sull’onda del successo di “iJobs” Adecco ha continuato a rafforzare la sua presenza sulla Rete e sui social media lanciando il Gruppo Ufficiale Adecco Italia su LinkedIn la cui partecipazione è aperta anche ad utenti esterni, sia aziende clienti, che candidati o dipendenti, nell’ottica di creare conversazioni sul lavoro, sia internamente tra i colleghi che con interlocutori al di fuori dell’azienda. Adecco ha optato per una strategia di comunicazione integrata che vede nei social network canali importanti tramite cui operare sul proprio mercato di riferimento. Questa scelta è una conferma della strategia totalmente votata all’innovazione tecnologica e che vorrebbe perseguire nel corso di tutto il 2011, stando al passo con il cambiamento degli usi e dei costumi anche in fatto di recruitment da parte delle aziende. Adecco punta sul Web 2.0 perché crede fermamente nell’innovazione come asset strategico per l’azienda nel suo complesso e non solo per la comunicazione. L’intento è di relazionarsi in maniera diretta con chi cerca lavoro e chi lo offre, proponendoci come piattaforma in cui confrontarsi sulle tematiche inerenti le risorse umane. I social network non sono altro che la versione digitalizzata e più efficiente delle reti sociali della vita reale, che chiaramente non scompaiono con l’avvento del 2.0 ma si modificano. E questo si riflette nell’attività di Adecco. Qualcosa, infatti, sta cambiando nel mondo della ricerca di lavoro in Italia. Le opportunità professionali si cercano e si offrono sempre più online. E che la ricerca di lavoro passi sempre più dal web lo dimostra anche una recente ricerca effettuata da Adecco da cui è emerso che su 100 aziende e 400 candidati e lavoratori intervistati, l’ 83% dice di utilizzare i motori di ricerca per monitorare la propria “reputazione digitale” (soprattutto Google, Facebook e 123people). Avere consapevolezza della propria identità professionale
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digitale è ormai di fondamentale importanza ed è sull’onda di questo cambiamento che dalla scorsa primavera Adecco ha debuttato sui principali social network come LinkedIn e Twitter con attività di digital PR. Oggi, per chi cerca impiego, Internet rappresenta un punto di riferimento oramai consolidato. A dimostrarlo sono i numeri del settore, più che duplicati nel giro di una decina d’anni. Ogni mese sono milioni i visitatori unici dei principali siti di offerte di lavoro e centinaia di migliaia le candidature veicolate attraverso la rete, e l’utenza è sempre più qualificata. Ma anche chi offre lavoro ricorre sempre di più al Web. Come dimostrano i dati del Sistema Informativo Excelsior. Dall’indagine di Unioncamere, svolta in collaborazione con il Ministero del Lavoro nel 2009, deriva che tra le centomila aziende intervistate l’uso di Internet come canale di reclutamento ha registrato un aumento significativo negli ultimi sei anni. La rete si sta affermando come canale privilegiato perché presenta molteplici vantaggi per chi cerca e chi offre lavoro. Le aziende, come Adecco, in questo processo trovano numerosi benefici perché possono mettere a disposizione dei potenziali candidati un numero elevatissimo di offerte, grazie alle tecnologie che consentono prezzi sensibilmente più bassi rispetto alle inserzioni sulla carta, l’assenza di limiti di spazio e l’immediata ricezione dei curricula. La visibilità che questi nuovi canali di comunicazione consentono, le potenzialità di dialogo e discussione su temi legati al lavoro e al mondo dell’occupazione tramite l’utilizzo di questi nuovi strumenti, crescono in maniera esponenziale. Del resto il potenziale dei nuovi social media dal punto di vista professionale era stato già ampiamente scoperto dagli stessi utenti finali: in Italia sono più di un milione gli iscritti a siti come LinkedIn o Xing e si contano già a migliaia le community online dedicate al lavoro, all’orientamento e allo sviluppo della propria
carriera.
Adecco
ha
recentemente
lanciato
il
nuovo
sito www.adecco.it ripensato proprio per rispondere alle esigenze di un’utenza molteplice – candidati, lavoratori, clienti, prospect, giornalisti e blogger – in un’ottica web 2.0. Il nuovo sito prevede una nuova architettura,
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un design innovativo, diversi nuovi contenuti e nuove sezioni per consentire una consultazione più facile di tutti i servizi che l’agenzia per il lavoro offre e particolare attenzione viene data proprio alle integrazioni con i social media quali LinkedIn e Twitter. Nuovo anche il ‘Trova filiale’, basato sul motore di ricerca Bing, che permette di visualizzare le mappe in visione su strada, panoramica o aerea, e calcolare l’itinerario di viaggio per raggiungere la filiale prescelta attraverso il pratico sistema di geomapping. Nell’ottica della strategia di comunicazione di Adecco, il lancio del nuovo sito è solo il primo di diversi stepverso un rinnovamento tecnologico graduale che non mancherà, nella sua evoluzione, di raccogliere opinioni e feedback da parte dei dipendenti di Adecco e degli stessi utenti, attraverso il gruppo su LinkedIn, che in pochi mesi è diventato in Italia il più numeroso dopo quello statunitense, e le survey dedicate, secondo un approccio innovativo basato su una costruttiva interazione, in ottica 2.0. I social media rappresentano un’ulteriore evoluzione rispetto anche ai mezzi di recruiting on line classici e, come accaduto in passato, si rende necessario conoscerli e farli propri. Per questo è importante imparare a sfruttare questi strumenti sia per autopromuoversi sia per prendere degli spunti per selezionare le risorse migliori. Ma non mancano però gli aspetti critici: in generale oltre ad essere ancora poco sfruttato dalle aziende medio-piccole (che in Italia costituiscono il 95% del tessuto imprenditoriale) per motivi culturali, organizzativi e tecnologici, Internet si è spesso rivelato terreno fertile per truffe e raggiri, compiuti attraverso annunci falsi, richieste illecite di denaro, furti di identità. Diventa, quindi, sempre più importante per le aziende essere presenti in rete assieme agli utenti di questi nuovi media e dialogare con loro, possibilmente non come fredda voce istituzionale, ma in maniera interattiva e in un’ottica di creazione di relazioni proficue.
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5.c Employer Branding e Social Media, il punto di vista di Altran Italia 47 Intervista a Daniela Pala - Corporate Service Manager – Direzione HR in Altran Italia, a cura di Simona Benini.
Come secondo Lei questi strumenti possono supportare la vostra attività di employer branding e/o recruiting? Sicuramente i Social Media sono strumenti molto importanti in quanto ci consentono di rafforzare la relazione e la comunicazione con i nostri potenziali candidati. In che modo? Innanzitutto utilizzando il loro linguaggio e i loro canali di comunicazione preferiti: sulle nostre pagine pubblichiamo attività, concorsi e opportunità di lavoro con un approccio friendly e interagiamo in tempo reale con i nostri utenti. Avete già iniziato ad usarne qualcuno? Se si quale? Ci parli quindi dell’esperienza che state avendo, quali i pro ed i contro nell’uso di questi strumenti? Abbiamo scelto di essere presenti su: Facebook, Youtube, Twitter, Slideshare, Wikipedia e Linkedin. In particolare utilizziamo Facebook e Twitter per aggiornare i nostri utenti su eventi in cui incontriamo studenti e laureati, attraverso job fair, workshop di orientamento e seminari tecnici. Riteniamo che sia prematuro indicare i pro e i contro nell’utilizzo di tali strumenti, siamo in una fase di costante esplorazione e sperimentazione. Quale linguaggio state usando per comunicare con il vostro candidato target presente in rete? Nella scelta del linguaggio da utilizzare teniamo conto di tre fattori fondamentali: la tipologia di social network ( social o professional network), il target di utenti che visitano e utilizzano quei social network
(attraverso
statistiche
e
demographics
che
realizziamo
bimestralmente) e il target con cui desideriamo entrare in contatto e comunicare. Avete rivisto le vostre strategie di comunicazione per http://www.employerbrandingreview.com/?p=401 Written on February 20, 2011 Employer Branding e Social Media. Il punto di vista di Altran Italia A cura di Simona Benini . Intervista a: Daniela Pala - Corporate Service Manager – Direzione HR in Altran Italia 47
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rendere il vostro Web Site più in linea con le esigenze del Social Web? Se si quali sono state le modifiche e/o integrazioni più significative? E quali sono stati i riscontri? Recentemente la sezione “Lavora con noi” del nostro sito ha subito delle modifiche che hanno interessato il livello di interattività degli utenti con Altran Italia, in termini di gestione della propria candidatura, di creazione di job alerts e di ricezione di apposite newsletter. Avete sviluppato vostre iniziative e/o progetti particolari sui social media? Se si quali? E con quali risultati? In questi ultimi mesi sono state realizzate e poi pubblicate su Facebook delle “interviste doppie” che hanno messo a confronto il punto di vista e i racconti di Direttori, Manager e Consultant di Altran Italia, finalizzate a far conoscere in modo informale e dinamico i dipendenti di Altran Italia ed il clima interno, con un focus sul rapporto personale e lavorativo tra colleghi. In generale come deve svilupparsi una strategia di employer branding nel social web? Riteniamo che una strategia di Employer Branding non possa prescindere da un primo fondamentale step, che è quello dell’identificazione del target di riferimento. Successivamente pensiamo sia importante definire quale tipologia di social network utilizzare come strumento di interazione: quali finalità ci permette di raggiungere, qual è il target di utenti che lo visita e qual è il linguaggio adoperato. Dopo aver messo a punto un piano d’azione specifico, non può mancare un costante monitoraggio delle attività in itinere. Quanto la vostra azienda è sensibile a queste nuove forme di comunicazione? State investendo in questa direzione? In che modo state affrontando questa nuova esperienza? Possiamo confermare che internamente c’è un’elevata sensibilità a riguardo, un desiderio continuo di aggiornarsi e di essere al passo con le nuove frontiere del web 2.0 e non solo, continuiamo ad investire in questa direzione attraverso canali on-line e offline, con il supporto ed il coinvolgimento di tutta l’azienda. Quali implicazioni ci sono state a livello organizzativo? Avete assunto personale specializzato oppure vi state affidando ad agenzia esterne? Il
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motore delle nostre azioni in termini di “social web marketing” è alimentato dalla sinergia tra le funzioni Human Resources e Marketing&Comunicazione le quali operano unendo conoscenze e competenze per degli obiettivi condivisi. Stiamo lavorando per sviluppare attraverso la formazione, il training on the job e il confronto con il mercato una competenza significativa ed importante in questo ambito. L’employer branding ed, in particolare, la comunicazione nel social web richiede competenze che sono più presenti in altre aree funzionali di un’azienda (comunicazione, relazioni esterne, marketing, etc) . Come state incorporando queste nuove attività emergenti nei vostri impegni più tradizionali? Avvertite il bisogno di un maggior dialogo con le altre funzioni aziendali? Se si come state affrontando questa esigenza? Quasi due anni fa abbiamo creato internamente un gruppo di lavoro ‘Web Marketing Recruiting’ costituito da alcuni referenti della Direzione HR e da alcuni referenti della Direzione Marketing&Comunicazione. Il gruppo si incontra mensilmente, con lo scopo di mettere in campo azioni specifiche al fine di promuovere il nostro brand attraverso i Social e Professional Network. Ritenete queste nuove forme di comunicazione un’ opportunità da sfruttare o le considerate frutto di una tendenza temporanea destinata a consumarsi col tempo? Crediamo che considerare queste nuove forme di comunicazione una tendenza o una moda non sia realistico: ormai il web 2.0 sta creando nuovi trend e ha già innescato opportunità inesplorate che non sono sempre alla portata di un click. Gli investimenti in rete stanno superando quelli off line soprattutto nel campo dei media, sono più economici e facilmente monitorabili. Raccontateci un’esperienza concreta di come l’uso dei social media ha prodotto benefici significativi alle vostre attività di Employer Branding. Possiamo citare l’aumento degli utenti (per esempio i sostenitori della nostra fan page su Facebook o i follower su Twitter) e dei partecipanti alle nostre iniziative di Employer Branding i quali, attraverso le nostre pagine sui Social Media, hanno modo di apprendere in modo immediato dove poterci
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incontrare a breve, medio e lungo termine e di scriverci ponendo domande e curiositĂ . In questo modo iniziamo quindi a costruire una relazione con i nostri potenziali candidati.
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Capitolo secondo
Pinterest 1 Pinterest… questo (s)conosciuto!
Il “social network delle ispirazioni” nasce nel Marzo 2010 da un’azione di start-up condotta da Evan Sharp, Ben Silbermann e Paul Sciarra, sviluppatori della Cold Brew Labs Inc., in California, e in poco meno di due anni conta già 12 milioni di utenti. E’ una piattaforma “social” che deve la sua esplosione alla semplicità dell’idea dalla quale nasce: Pinterest è una bacheca virtuale in cui gli utenti possono appendere ( “To Pin”) tutti gli elementi che ritengono caratterizzino la propria vita, sotto forma di immagini prese dal web, o caricate dal computer. Pinterest nasce, nel 2010, per mettere in contatto tutte le persone del mondo sulla base di ciò che ritengono interessate, delle loro ispirazioni ed ambizioni in formato grafico.
1.a Com’ è fatto Pinterest
Fino a pochi mesi fa, Pinterest era in versione beta, e si poteva accedere solo su invito dei membri che già lo utilizzavano. Ad oggi la situazione è cambiata, Pinterest è aperto a tutti, e si presenta in questo modo: Al primo accesso è necessario indicare il modo preferenziale di iscrizione alla piattaforma: tramite e-mail Facebook, o Twitter.
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Subito viene data la possibilità di installare, in maniera semplice ed immediata, il pulsante “Pin It” nella barra dei preferiti, come fosse una puntina da applicare su una bacheca, che permette di isolare le immagini presenti in qualsiasi pagina web per caricarle sulla piattaforma, ed inserirle, con una descrizione corredata di tag, in una delle collezioni personali gestite su Pinterest. L’innovazione sta nel link all’immagine, che rimane attivo. Ogni immagine contenuta nelle “board” rimanderà al link di provenienza, permettendo ai food blogger, per esempio, di postare immagini dei loro piatti, con una breve descrizione che rimandi all’ultimo articolo sul loro blog, o alle pagine create dai brand di caricare immagini relative a situazioni eccitanti nel loro ambiente di lavoro, che rimandino alla career page del brand stesso. Accedendo alla piattaforma viene chiesto di indicare delle categorie di interesse, in modo che Pinterest possa iniziare a mostrare gli elementi che interessano all’utente nella “home”. Viene inoltre suggerito di creare le prime “board” che compariranno nella pagina personale, insieme ad una foto ed una breve biografia. Tra le varie bacheche si può scegliere “Fai da te”, “Food & Drink” , “Home Decor”, ecc. Nella “home”, a disposizione dell’utente, si trovano: un box per la funzione di ricerca per parole chiave, dei pulsanti per la navigazione nelle immagini che permettono di scegliere tra le macro categorie proposte, e un’icona per le azioni dell’utente.
Le azioni possibili su Pinterest:
“Add+” : si divide in “Add a Pin”, “Upload a Pin” e “Create a Board” , rispettivamente “aggiungi un pin”, che permette di inserire l’indirizzo http dell’immagine scelta, “carica un pin”, per inserire un’immagine da una cartella del proprio computer, e “crea una tavola”, per creare una nuova collezione di immagini, darle un titolo, aggiungere una descrizione, ed assegnarla ad una categoria
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per poi condividerla con tutti coloro che dimostreranno interesse per la stessa area tematica. Poniamo un esempio: mi sono appena registrata a Pinterest, e la piattaforma mi chiede di creare una collezione di immagini che corrispondano ai miei interessi. Creo una tavola in cui decido di raccogliere le immagini delle migliori ricette trovate sul web, consapevole che cliccando su queste sarò rimandata al sito di ricette da cui le ho estrapolate, e potrò cosi creare una sorta di ricettario o, per meglio rendere l’esempio, bacheca virtuale sulla quale “appendere” –Pin- tutto ciò che cattura il mio interesse. In seguito avrò la possibilità di condividere la mia bacheca, ampliarla con immagini prese da altre bacheche afferenti allo stesso campo di interesse, che nel frattempo avrò iniziato a seguire, e diventare così parte di una comunità online basata su ciò che mi ispira.
“Nome dell’utente”: cliccando su questo pulsante si aprirà il menu a
finestra
con
le
opzioni
per
“invitare/trovare
amici”,
“tavole/collezioni”, “pins”, “likes”( gli elementi che avete apprezzato nelle board di altri utenti) , impostazioni e “logout”.
“To Re- Pin”: come su Twitter, si può fare “re – pin”, cioè aggiungere alla propria collezione un’immagine che è stata “appesa alla puntina” della bacheca di un altro utente. Questa azione favorisce le azioni virali.
“To Tag”: “taggare” altri utenti nelle descrizioni, cioè citarli in modo che questi concentrino la loro attenzione sull’immagine in questione.
“To Follow”: altra eredità di Twitter, su Pinterest è possibile “seguire” altri utenti, o solamente le loro singole collezioni. Significa che, ogni volta che l’utente che seguiamo caricherà un’immagine, o ne aggiungerà una alla collezione che “seguiamo”, questa comparirà nel personale mosaico che si apre davanti ad ogni utente al suo ingresso nella piattaforma, in modo da rimanere
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aggiornati sulle ultime novità, e su quelli che abbiamo indicato come i nostri stessi interessi.
“To Create a Board” : è il pulsante che permette la creazione di una nuova collezione/tavola.
1.c Potenzialità d’uso di Pinterest
Un social network dedicato alle immagini permette un uso infinito. Un appassionato di Branding, per esempio, può creare su Pinterest una collezione per raccogliere e condividere infografiche48 su questo argomento. Ogni immagine può essere catalogata e “taggata”.49 perché sia più facilmente rintracciabile sulla piattaforma da altri appassionati. In questo modo un altro utente che si interessa di Branding potrà arrivare alla bacheca e condividere il proprio interesse con chi l’ha creata sotto forma di commento, “Like”, o “Re-Pin”, cioè l’inclusione di quella stessa immagine in una delle sue bacheche. Ogni “Pin” , cioè ogni contenuto pubblicato su Pinterest, infatti, può essere ri – condiviso dagli utenti. Gran parte del materiale caricato sotto forma di “Pin” su Pinterest è legato alle aspirazioni: cosa vorrei fare o essere, cosa vorrei possedere, dove vorrei essere, ecc…, informazioni fondamentali per chi si interessa di marketing, branding e risorse umane. La questione più interessante risiede nel fatto che Pinterest “non dimentica” la fonte originale dell’immagine: per esempio, nel caso della foto di un giardino in fiore, è possibile risalire all’articolo postato nel blog di giardinaggio da cui proviene la fotografia. E’ questo il motivo per cui, recentemente, a pochi mesi dal suo fragoroso inizio, Pinterest ha già suscitato l’attenzione di quelle aziende che operano in settori dove l’immagine è centrale: la moda, il cinema, l’arte, il Strumenti visivi di recente utilizzo, permettono di riassumere graficamente qualsiasi contenuto, ricerca o processo. 49 Neologismo: dotata di tag, etichettata. 48
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design, la fotografia, fino ai marchi legati con la bellezza. Un utilizzo innovativo del mezzo lo rende, inoltre, un canale interessante anche per altri tipi di brand, che volessero includere nella loro strategia comunicativa un social network che parli di emozioni e con le emozioni del pubblico, perfetto per strategie mirate di Branding. Gli obiettivi che Pinterest permette di raggiungere in modo creativo sono:
Obiettivi di awarness:
Pinterest è il più recente strumento sul web che rende possibile implementare la propria brand awarness -la notorietà di marca- su internet a costo zero. Su Pinterest, ogni bacheca è un’occasione per parlare al proprio pubblico con immagini accattivanti e d’impatto, per trasmettere le varie facce del proprio brand. L’awarness, su Pinterest, si costruisce mettendo in scena numerose narrazioni visive, che raccontano, però, la stessa storia: la storia del brand.
Incremento del traffico:
Pinterest è un incredibile catalizzatore di traffico. Integrare questo social network in una strategia di marketing, e-commerce, social recruiting o employer branding può risultare una linea d’azione vincente.
Strategie SEO:
il grande volume di traffico su Pinterest, l’alto livello di interazione degli utenti e la possibilità di integrazione con Facebook e Twitter permettono ai link sottesi alle immagini che un brand carica sulla piattaforma di risultare estremamente utili nel partecipare al miglioramento del web-ranking della marca, e nel viralizzarne il messaggio. Senza mai dimenticare i valori di:
Experience:
E’ consigliabile non ridurre Pinterest ad un mero catalogo online di prodotti, piuttosto comunicare la Brand Identity e il valore esperienziale che ruota attorno alla marca.
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Il caso “Berto Salotti “50
L’azienda di mobili brianzola “Berto Salotti” offre un perfetto esempio di brand che utilizza il canale Pinterest non per esporre l’ennesima vetrina online di prodotti, ma bensì per creare una narrazione aziendale e comunicare un’esperienza che, in questo caso, si concretizza con l’utilizzo ilare di immagini che raccontano il brand. L’azienda aveva già sperimentato la stessa strategia, ponendola in atto in maniera eccellente, sul canale di YouTube, caricando video nei quali l’esponente e leader del brand spiegava i processi che regolano la creazione di un divano, in maniera spontanea, familiare e divertente. Sul blog di “Berto Salotti” si legge, a proposito di Pinterest, “nelle nostre board abbiamo 578 divani, al momento, compresi quelli spiritosi e quelli improbabili, quelli di sabbia e quelli disegnati da Picasso. Cosa faremmo se qualcuno arrivasse chiedendoci un “Love Seat” Luigi XV, o un Lip Sofa turchese? Quale sarebbe la nostra reazione se un giorno un cliente ci chiedesse questo divano moderno bianco su cui è accomodato un signore che sembra proprio il Papa? Che faccia faremmo se una signora volesse abbellire il suo appartamento con un Chester tutto rosa? Beh, penso che prenderemmo la richiesta, la esamineremmo, ne discuteremmo
in
laboratorio,
manderemmo
realizzeremmo il pezzo.” 51
50 51
http://pinterest.com/bertosalotti/ http://blog.bertosalotti.it/
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un
preventivo
e…
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Sul mosaico di bacheche che compongono la pagina di “Berto Salotti” si trovano quelle dal titolo: “Smart Sofas”, divani intelligenti, “Sofa Mood”, umore da divano, “Sofas and People”, divani e persone, “Natural Sofas”, raccolta di immagini di divani “in natura”, “Cartoons and Sofas” , cartoni e divani, con le immagini del celebre divano della serie animata “I Simpsons”, ecc.
Engage:
Pinterest, in quanto “social” network, prevede una comunicazione non certo unilaterale. E’ quindi strategicamente più valida l’opzione di fare “Re – Pin” alle immagini di altri utenti assimilabili al proprio brand, piuttosto che pubblicare solo ed esclusivamente immagini originali, annullando il doppio senso che caratterizza la comunicazione interattiva su queste piattaforme.
Il caso “Lands’ End Canvas”
Un modo vincente di creare engage consiste nell’indire concorsi che si svolgono interamente sul social network, e ne sfruttano le potenzialità per creare legami tra il brand e i suoi pubblici, strategia adottata, per esempio, dal brand “Lands’ End Canvas”52. Il piano di “engagment promotion”, ideato da “Circle Public Relations” per la marca, si chiama “Lands’ End Canvas Pin It To
Win
It”
53
ed
incoraggia
gli
utenti
a
visitare
il
sito
www.landsendcanvas.com e creare bacheche virtuali che contengano immagini dei vestiti proposti sul sito, elementi legati al brand, video delle nuove collezioni, ma anche immagini che istintivamente associano al brand, per avere una chance di vincere dei pezzi della collezione vintage di Lands’ End. 54
http://canvas.landsend.com/canvas/index.html http://pinterest.com/harleyperdue/lands-end-canvas-pin-it-to-win-it/ 54 www.business2community.com/strategy/lands end contest confirms strategic rola of pinterest for brands 52 53
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55
Prendendo ad esempio il caso del brand “Lands’ End Canvas”, è interessante rilevare che il primo contatto della marca con Pinterest si deve all’interessamento mostrato per il nuovo social network da parte dei “blogging partners”. Al momento della prima esplorazione di Pinterest, lo staff del brand realizzò che i loro clienti e potenziali clienti stavano già connettendosi emozionalmente con la loro marca sulla piattaforma. Molte immagini erano già state caricate su Pinterest direttamente dal loro sito e stavano già muovendosi nell’etere delle bacheche virtuali di molti utenti. A questo “Lands’ End Canvas” decise di rispondere accettando la sfida ed abbracciando il nuovo social network, cercando modi strategici e stimolanti di partecipare con gli utenti interessati al brand. In questo momento stanno ideando un uso ottimale della piattaforma, per integrarla con le altre su cui sono attivi, e progettando il loro approccio in modo che rifletta il “lifestyle” dei loro clienti su Pinterest.56 Un perfetto esempio di utilizzo originale ed efficace del mezzo.
Il caso TIME Magazine 57
http://pinterest.com/harleyperdue/lands-end-canvas-pin-it-to-win-it/ http://pinterest.com/harleyperdue/lands-end-canvas-pin-it-to-win-it/ 57 http://articles.businessinsider.com/2012-01-17 55 56
65
Come parte della sua “content strategy”, TIME Magazine sta utilizzando le bacheche di Pinterest per mostrare interviste, biografie del suo staff, e per promuovere i post dei “dietro le quinte” presenti sul suo blog, provando che Pinterest può, potenzialmente, aiutare ad incrementare anche l’audience dei giovani giornalisti .
2 Un’immagine vale più di mille parole
Un’immagine è molto più evocativa di tanti contenuti testuali, ed è in grado di trasmettere un’emozione. Dal blog di Francesco Gavello estrapolo un curioso compendio di idee creative sugli infiniti utilizzi possibili di Pinterest:
Il curatore di un portale legato a viaggi e turismo potrà creare una o più "board”, dividendole per emozioni da sperimentare, colori da fotografare, luoghi in cui andare almeno una volta nella vita.
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Un foodblogger potrà caricare immagini delle sue personali ricette, dividendole in specifiche board per ingredienti, o ancora, occasioni, colori, ecc…
Un Event Planner dotato di un qualsiasi smartphone compatibile con l’App di Pinterest potrà caricare dal vivo scatti dei suoi eventi.
Un esperto di arredamento che abbia un blog personale potrebbe suddividere le sue board in spazi abitativi, componenti usati ( legno, metallo, cristallo,…), sensazioni ( vacanza, relax, concentrazione, familiarità, …) , ecc…
Un giovane professionista intento nella creazione del suo “curriculum online” potrà creare una board in cui caricherà i loghi dei brand con cui ha lavorato, quelli con cui gli piacerebbe collaborare, e situazioni di lavoro, o eventi emozionanti al quale ha partecipato nelle sue precedenti esperienze.
Il responsabile della comunicazionedi un brand potrà creare una board in cui caricherà le foto di dettagli e oggetti utilizzati nel “dietro le quinte” del prossimo spot della sua marca, o anche “uno sguardo in anteprima” sulle anticipazioni dei trend imminenti.
Il curatore di un network che produce magazine o pubblicazioni periodiche potrà creare una board con la raccolta di tutte le ultime cover sviluppate.
In ultimo, una possibilità innovativa, creativa, non- convenzionale, ma non per questo non efficace e potente, potrebbe essere quella di chiedere al proprio team, supponendo di essere un Brand Manager, di partecipare alla decisione di quali immagini inserire nelle board della marca, quasi come se fossero “brand box”, scatole in cui includere ogni oggetto che richiami, per legame di sensazione o associazione, il brand: un elemento culinario, una
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lettura, un paesaggio abitato da una popolazione ispirante, un concerto live, una presentazione di Slideshare58 che racconti la storia del brand… Tutto si può aggiungere alle board di Pinterest. E tutto concorre a creare l’identità, la personalità, la fisicità e la reputazione di un brand.
“L’importante in tutto questo è non tralasciare mai un concetto fondamentale: sui social network ciò che conta è stabilire un contatto vero con l’utente, facilitare il dialogo e creare engagement, l’auto-referenzialità può andar bene ma con moderazione. Partendo da questo presupposto si potrebbe aggiungere che unire le funzioni social ad un potenziale ecommerce potrebbe costituire un passaggio ed un’opportunità molto importanti…(…).” 59
3 Pinterest e il Job Searching
Il punto di vista del NACE (National Association of Colleges and Employers) è illuminante ed emblematico per quanto riguarda il tema del Job Searching -la ricerca di un impiego- visto con gli occhi degli studenti che si affacciano al mondo del lavoro per la prima volta. In un articolo rivolto ai professionisti dei career services60 , Brie W. Reynolds61 consiglia a quest’ultimi di creare delle board appartenenti a studenti fittizi su Pinterest per mostrare agli studenti reali come utilizzare la piattaforma per le loro ricerche, o caricare immagini di ambienti di lavoro relativi all’annuncio in cui si cerca lavoro, citazioni inspiranti, esplorazioni di carriere, ecc. …
http://www.slideshare.net/ http://www.pmi.it/ 60 Libera traduzione dell’autrice da http://www.naceweb.org/s05092011/social-mediapinterest/ 61 Content and social media manager at FlexJob and former career counselor at Emmanuel College 58 59
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La Reynolds cita poi alcuni esempi di uffici “career service” che stanno già usando Pinterest. Un esempio: la “University of Pennsylvania” ha diverse board che corrispondono a diverse carriere, in modo che gli studenti possano operare alcune ricerche all’interno di quelle proposte dal loro career service su Pinterest 62. Sempre dalle pagine degli articoli del NACE, Thom Rakes63 dichiara di vedere due modi in cui gli studenti potrebbero utilizzare Pinterest per aumentare gli sforzi profusi nella ricerca di un impiego: come strumento per operare un’indagine sulla presenza online dei futuri datori di lavoro, e come strumento di Personal Branding. Aggiunge anche che “alcune grandi ed avanguardistiche compagnie hanno creato delle pagine su Pinterest, fornendo una visione diversa di se stessi come datori di lavoro, in relazione alle pagine web più tradizionali. E siccome il focus su Pinterest è sulla grafica e sulle immagini sarà d’aiuto a quegli studenti alla ricerca di posti di lavoro incentrati sul dato grafico. “64 Anche Brie W. Reynolds concorda, e aggiunge che “gli studenti che frequentano corsi più tradizionali -come business, scienze sociali, ed altri corsi- non dovranno fare altro che essere più creativi degli altri nel loro utilizzo di Pinterest”65. Sempre secondo la “former career counselor” americana, è importante per lo studente impegnarsi nel pensare a come poter rappresentare il proprio corso di laurea, e le sue future aspirazioni di carriera, graficamente e visualmente. Inoltre, è importante la cura della didascalia di ogni immagine. E’ l’unica chance per lo studente di dire espressamente, a chi guarda le sue bacheche di cosa va in cerca, e come questo si relaziona alle sue future aspirazioni.
http://pinterest.com/ penncareerserv Career center director at the university of north carolina wilmington 64 mia traduzione dal 2 articolo del NACE 65 B.W.Reynolds, Content and social media manager at FlexJob and former career counselor at Emmanuel College 62 63
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In ultimo, estrapolo cinque interessanti punti dall’articolo del NACE dal titolo “Using Pinterest as a Job-Search and Branding Tool”66, che spiega cosa dovrebbe fare uno studente per utilizzare Pinterest come strumento di ricerca: 1. Seguire su Pinterest le board dei brand o delle aziende per le quali vorrebbero lavorare per imparare di più sui loro sforzi di employer branding e sulla loro cultura aziendale. 2. Seguire i “career services offices” e gli esperti di recruiting ,per apprendere le migliore strategie di “job searching”, i trend del momento, e i loro consigli. 3. Acquisire idee su un probabile e futuro posto di lavoro guardando quali altre aziende o brand sono seguite da quelle in cui vorrebbero lavorare. 4. Creare board dal titolo “ posti in cui vorrei lavorare” o “le poizioni che mi piacerebbe ricoprire”. 5. Usare, nelle didascalie delle immagini, parole chiave come “assunzioni”, “risorse umane”, “recruiting”, ecc. per attirare le aziende che stanno usando Pinterest per ricercare candidati.
4 Pinterest come strumento di Personal Branding
Un brand è pura soggettività, è un atto creativo volto a veicolare valori, nasce, cresce e si nutre dell’emotività delle persone. E’ connessione emozionale , perchè è l’emozione che spinge all’azione. E’ un’esperienza unica. Il brand racconta una storia, e ci sono cornici narrative nelle quali situarlo, come tempo spazio attori relazioni passioni, che articolano l’espressione della marca.
66
http://www.naceweb.org/s04252012/pinterest-social-media/
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4.a Kapferer e l’identità della marca
Secondo la teoria di Kapferer , ogni brand possiede:
Fisico: elementi di base che evocano un aspetto fisico o prestazionale: i benefici funzionali del prodotto, il suo design o le caratteristiche oggettive di valore.
Personalità: è il carattere della marca, le sue caratteristiche che vengono associate a quelle dell’uomo. Un brand può essere
sincero, quindi onesto, etico, genuino, naturale,
affettuoso, o ancora eccitante, quindi intrepido, alla moda, giovane, social, avventuroso, artistico, originale, attuale, trasgressivo, indipendente, contemporaneo, e via dicendo. Competente, sofisticato, duro e rude. Un brand può assumere qualsiasi sfumatura del carattere dell’essere umano in relazione agli elementi connotativi che vengono combinati per dargli vita.
Clima relazionale: è il rapporto tra il brand e il suo consumatore, caratteristica che assume particolare rilievo se si rapporta il brand all’universo del Web 2.0, come vedremo in seguito in merito a Personal Branding ed Employer Branding. Si tratta di definire elementi quali: il beneficio emozionale che la marca apporta al consumatore ( “mi fa sentire...”), lo scenario o il momento della relazione ( una città cosmopolita, il calore della casa familiare, una serata con gli amici…), il tipo di relazione (amicizia, complicità, la ammiro, è la mia compagna, le sono fedele, mi stupisce …), e come il brand parli al cliente ( tono confidenziale, tono autoritario, per consigliare, per invogliare, per aiutare…) .
71
Immagine di sé: è l’immagine che il target ha di se stesso, e che deve trovare conferma nel brand. In questo caso la marca deve poter fornire un beneficio di autoespressione al suo consumatore. “Sono più sportivo con Audi”, “ mi sento più attenta alla cura di me stessa con Nivea”. Il consumatore deve poter associare il brand ad un ruolo nel quale vuole essere riconosciuto. Per esempio: “ Sono una buona mamma con Danone”, o ancora “ Sono un uomo sofisticato con Paul Smith”. Inoltre, ad ogni ruolo viene poi associato, nella mente di chi scelglie la marca, un “auto-concetto”. Per esempio: “Mi merito una pausa dalla giornata stressante con Heineken”, “mi merito di poter dimostrare quello che ho raggiunto con BMW”.
J.N. Kapferer , Prisma dell’identità della marca
Immagine riflessa: è il modo in cui i consumatori di un brand si identificano con il brand stesso. Come vorrebbero essere
72
visti dagli altri, in quanto consumatori di quella marca. Dal punto di vista del brand si tratta di decidere il “riflesso desiderato”, che non coincide, però, col target di riferimento. Il
“riflesso”
è
l’immagine
del
consumatore
ideale,
estremamente stereotipata ed attraente, quindi, per esempio, un detersivo può essere mostrato in mano ad una sedicente donna in carriera che trova anche il tempo, tra mille impegni, per pulire in maniera eccellente la sua casa col prodotto pubblicizzato,
ma
molto
probabilmente
il
target
di
riferimento saranno donne di mezza età, casalinghe, non lavoratrici.
Universo culturale: un brand può evocare il paese d’origine, o il know how e la tecnologia sottesi alla sua esistenza. Si tratta di riferimenti di origine culturale basati su stereotipi di tipo anche geografico, o riferimenti derivati da elementi forti della cultura organizzativa da cui trae origine il brand.
4.b Siamo ciò che ci ispira: Personal Branding su Pinterest
Su Pinterest io sono ciò che mi piace, ciò che supporto, i colori che amo, lo stile degli abiti che mi ispirano, i paesaggi in cui vorrei scappare, gli hobby che coltivo, i quadri che mi piacciono, le case in cui vivrei, le ricette che proporrei per una cena con gli amici, ma anche le esperienze che ho vissuto, il posto di lavoro che sogno, i brand dei quali condivido i principi guida.
73
Costruendo mosaici che racchiudono i propri interessi, e le cose che più lo ispirano, l’utente di Pinterest costruisce tante narrazioni sequenziali che costituiscono il suo brand, e lo connettono emozionalmente con altre persone che condividono proprio i suoi stessi interessi perché, in fondo, siamo ciò da cui siamo ispirati. In questo mosaico narrativo che si crea, una volta entrati nel meccanismo del social network, è impossibile non scorgere potenzialità di strategie di Personal Branding potentissime, proprio perché costruite attraverso uno degli strumenti che più è in grado di parlare alla soggettività: le immagini (affiancate dalle parole). Prendendo atto del fatto che la nascita di un brand si può sempre ricondurre ad una volontà di identificazione e differenziazione del prodotto, si possono osservare le stesse esigenze nei casi in cui una persona si impegni nella creazione del suo personal brand. Allo stesso modo si rivela fondamentale sapere cosa si offre, conoscersi:
esplorare la propria identità; che tipo di personalità ci caratterizza? I valori in cui crediamo, cosa sappiamo fare meglio, cosa invece non è nelle nostre corde, chi vorremmo diventare, e come vorremmo essere visti. Tutti questi interrogativi sono funzionali alla fase di identificazione.
differenziarsi; quali sono i nostri interessi, quali le nostre abilità, in che cosa possiamo “fare la differenza”.
Diventare un brand significa anche esserlo, ed essere consapevoli, di riflesso, di avere tutte le caratteristiche che ne caratterizzano l’identità. Citandone solo qualcuna tra quelle appena menzionate riferibili alla classificazione di Kapferer: un fisico, una personalità, un universo culturale di riferimento, una relazione speciale con i fruitori del nostro brand. Gli aspetti dell’identità di marca di Kapferer, che ho riportato poc’anzi nella loro completezza, sono perfettamente sovrapponibili agli aspetti dell’identità umana, e sono gli stessi aspetti che possono emergere da un profilo su Pinterest. Vediamo in che modo: prendiamo ad esempio un caso
74
pratico, e che rispecchi a grandi linee la normalità. Sul profilo Pinterest di una donna tra i 25 e i 35 anni troveremo, molto presumibilmente, le seguenti board: “moda donna o stile donna,” ispirazioni o cose che mi ispirano”, “fai da te,” e “città o posti che vorrei visitare”. Ad un’analisi attenta risulterà la perfetta sovrapponibilità di queste tavole con un aspetto dell’identità della persona che le ha create, in primis, e dell’identità di marca postulata da Kapferer in secondo luogo, a riprova del fatto che l’esercizio del Branding può, e deve, di questi tempi, essere applicato anche ad ogni persona che manifestasse la volontà di essere identificata e differenziarsi. Prendiamo ora la collezione chiamata “moda donna”. Il suo contenuto sarà costituito da immagini caricate su Pinterest direttamente da siti di sfilate, di case di moda, di shopping online, e saranno sicuramente riferibili al gusto personale dell’autrice della board, al suo interesse per la moda, e alla sua volontà di includerlo nel mosaico delle sue ispirazioni. Questo dato ci permette già di assegnare un fisico al brand-persona67, nell’accezione di fisico del brand che Kapferer ci indica, e cioè : “elementi di base che evocano un aspetto fisico o prestazionale”68. Un indizio sul gusto in fatto di moda di una donna può già dare indicazione di un suo “fisico”, che non sarà in nessun modo inteso come il fisico reale dell’utente, bensì una sorta di rappresentazione mentale di ciò che ispira il suo modo di presentarsi ed esprimersi attraverso la moda. Passiamo alla board “ispirazioni”. Sono svariati e i più disparati gli elementi che si trovano nelle collezioni di questo tipo. Il loro contenuto è decisivo per intuire dei tratti dell’identità del candidato. Assimilo, infatti, questo tipo di board ai tratti della personalità del brand-persona, stando alla indicazione di personalità di marca fornitaci da Kapferer.
Chiamiamo cosi il Personal Brand dell’ipotetico utente in questione, per distinguerlo dal brand di cui parla Kapferer, che si riferisce, quindi, ad un prodotto. 68 Paragrafo 4.a 67
75
+
Un fisico
Una personalità
Le nostre collezioni su
Possono diventare una rappresentazione grafica del NOSTRO essere “ brand” . Del resto, gli interessi e le passioni sono alla base dell’architettura della persona, dicono chi siamo. Con Pinterest ..siamo ciò che “ pinamo” .
Un universo culturale di riferimento
Una relazione particolare: “Renderà il mio team fresco e creativo”
Prendiamo in considerazione la board dal titolo “fai – da – te “. Generalmente tavole di questo tipo contengono idee di ogni specie, realizzabili a mano. Un oggetto realizzato a mano denota, in prima battuta, capacità pratiche, di lavorazione minuziosa, e una grande creatività e voglia, da parte di chi s’impegna in questa attività, di esprimersi attraverso un oggetto realizzato autonomamente, che si affranca dal dover essere comprato. Con il fai-da-te si può arredare una stanza, ci si può vestire, si possono creare oggetti di design funzionali alla vita di tutti i giorni. Creare, considerando la parola nell’accezione più ampia che permette, aggiunge un indizio lampante al quadro che, immaginandoci social recruiters, stiamo costruendoci a proposito di un’ipotetica candidata per la posizione che abbiamo libera. O ancora, immaginandoci candidati per la stessa posizione, stiamo costruendoci per mettere in atto una strategia di personal branding.
76
A questa bacheca è possibile associare un aspetto sostanziale dell’identità di marca postulata da Kapferer, il clima relazionale: è il rapporto tra il brand e il suo consumatore. (…).
Si tratta di definire elementi quali: il beneficio
emozionale che la marca apporta al consumatore (“mi fa sentire...”), lo scenario o il momento della relazione ( una città cosmopolita, il calore della casa familiare, una serata con gli amici…), il tipo di relazione (amicizia, complicità, la ammiro, è la mia compagna, le sono fedele, mi stupisce …), e come il brand parli al cliente ( tono confidenziale, tono autoritario, per consigliare, per invogliare, per aiutare…)”69. Declinando questa descrizione, modellata sulla marca intesa come garante di un prodotto, sulla marcapersona, vedremo come la creatività suggerita da una board sul “fai-da-te” assicuri una relazione particolare col fruitore del nostro Personal Brand, cioè il recruiter, il quale percepirà indicativamente questa sensazione: “ Questa persona renderà il mio team fresco e creativo”, o “E’ in grado di applicarsi conciliando praticità e creatività”. L’ultima board che porto come esempio è : “città”, o “luoghi che vorrei visitare”.
A questo elemento, inserito all’interno del mosaico
identitario che possiamo dedurre da un profilo Pinterest, associo la caratteristica dell’universo culturale di riferimento, per riprendere le definizioni di Kapferer, ossia tutti quei “riferimenti di origine culturale basati su stereotipi di tipo anche geografico, o riferimenti derivati da elementi forti della cultura organizzativa da cui trae origine il brand”70 il Personal Brand, in questo caso.
Immagini di grandi città, metropoli affollate, moderne e
all’avanguardia possono evidenziare determinati indizi identitari, come il cosmopolitismo, mentre fotografie di luoghi isolati e immersi nella natura lasceranno intendere un universo culturale di riferimento diverso. In conclusione, attraverso la costruzione di un mosaico di elementi che ci ispirano, è possibile tracciare un primo, embrionale approccio
69Paragrafo 4.a 70
Paragrafo 4.a
77
alla costruzione del proprio Personal Brand. Il processo, nella sua totalità, è certamente più lungo e irto di ostacoli ma ciò che era importante porre in evidenza in questa sede è proprio la potenzialità strategica di questo nuovo e ricco social network.
4.c Un caso pratico: i “social media resumes” su Pinterest. Quando il curriculum prima si guarda e poi si legge
Il modo unico in cui Pinterest permette di mostrare contenuti visivi si presta eccezionalmente a convogliare contenuti grafici in modo “compatto” .
71
Christopher S. Penn72, specialista in marketing e media, propone un esempio efficace di costruzione del perfetto “social media resume”. Questa recente pratica permette di sfruttare il potenziale dei social media presenti in 71 72
http://pinterest.com/cspenn/social-media-resume-example/ http://www.christopherspenn.com/
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rete per costruire il proprio “social” curriculum online. I vantaggi di un “social media resume” si concentrano nella possibilità di condivisione e mobilità virtuale del curriculum. Attraverso meccanismi di sharing, di attrazione dell’attenzione e di viralità quasi imprevedibili, tipici della rete e dei social network, un curriculum può potenzialmente arrivare agli occhi di chi di dovere in tempi veramente incredibili. Propongo ora un’analisi del “social media resume” di Christopher S. Penn, creato appositamente per illustrare alla sua classe di Advanced Social Media come presentarsi in maniera efficace sulla rete. 1. Le immagini 1 e 2 sono diapositive create con PowerPoint ed esportate come immagini. L’immagine 1 riporta la dicitura “Read Me First”, leggimi per prima, e recita: “Mentre sono sempre alla ricerca di opportunità di parlare in pubblico, non sono attualmente alla ricerca di un impiego! Questo è solo un esempio. Grazie!” . 2. L’immagine 2, invece, è una sorta di riassunto delle principali utenze virtuali di Penn, che, nella descrizione sotto alla figura, inserisce i rispettivi link corrispondenti a quelli riportati sopra, invitando chi legge a contattarlo tramite qualsiasi piattaforma su cui è attivo. Data la caratteristica “visual” di Pinterest, i caratteri sono stati messi in grassetto e gli sfondi colorati delle immagini catturano lo sguardo, anche nel formato ridotto. 3. Il terzo elemento è un video che Penn ha caricato su YouTube. Il video si può avviare, ed è un modo eccezionale per presentarsi. 4. La quarta figura è una raccomandazione presa dal profilo LinkedIn di Penn, traslata su una slide di PowerPoint, e poi esportata in Pinterest come immagine. E’ auspicabile, qualora fossero presenti, raccogliere le raccomandazioni ricevute su LinkedIn, o le menzioni che qualche esperto ha fatto di noi su Twitter, o ancora il numero di condivisioni che un nostro articolo ha ricevuto, in un’immagine dal layout accattivante, che andrà a far parte del “social media resume” .
79
5. Il quinto elemento è un “codice QR”, che contiene i dati dell’elemento numero 2. I codici QR permettono una scansione con qualunque smartphone abilitato, e rivelano i dati ai quali sono stati associati: in questo caso le diverse “presenze online” del soggetto. 6. Il sesto elemento è uno scatto fotografico professionale 7. Il numero 7 è il libro, in versione Kindle, scritto da Penn, “Marketing White Belt” 8. L’ultimo elemento è un esempio di screenshot, fotografia, delle pagine web delle compagnie in cui Penn ha lavorato.
73
73
http://pinterest.com/rachaelgking/the-living-resume/
80
74
5. Pinterest come strumento di employer branding 2.0
In seguito all’analisi delle potenzialità del social network, che ha conosciuto una crescita senza paragoni nei primi mesi dopo l’immissione in rete, si è giunti a comprendere l’incredibile forza e potenza di questo canale, data dalla semplicità di utilizzo. Lo strumento che Pinterest usa per connettere le persone sono le immagini, e il collante sono le ispirazioni. L’ispirazione è un elemento
valoriale che diventa motore prorompente di socialità e
interazione tra gli utenti. Tra le tante opportunità di utilizzo che Pinterest offre, non è certo passata inosservata quella di branding. Un brand può essere un amico d’infanzia, un compagno di avventura, sempre presente come un fratello, o sincero come una madre.
5.a Una “brand box” 2.0 74
http://pinterest.com/sammette/resume-board/
81
Un metodo pratico, “tangibile” e ludico con cui rappresentare l’identità di un brand potrebbe essere, per esempio, quello di chiedere ai dipendenti di un’azienda, divisi in team, di riempire delle scatole con gli oggetti che secondo loro rispecchiano l’identità del brand.
Un Cd, un film, un tessuto, un profumo…. un vero “BRAND”storming. Questo esercizio può essere utile per vagliare la percezione interna dei core values, che sono l’anima del brand , ma anche un’ ottima fonte di idee per i brand manager e i creativi , per connotare ulteriormente la personalità della marca. Lo stesso meccanismo di questo esercizio di “brand-storming” si può applicare a Pinterest. La sua struttura basata sulla divisione di immagini in tavole permette di utilizzare Pinterest come strumento di employer branding rivolto all’interno75 Ipotizzando che ogni board si configuri come una scatola virtuale, il brand manager potrebbe chiedere ai neo assunti dell’azienda, per esempio, quindi il target più giovane e più sensibile all’identità del brand, di riempire le board. Queste, preventivamente e strategicamente divise per temi, saranno gradualmente corredate di immagini, video, presentazioni Slideshare, scatti delle esperienze, eventi, parties aziendali a cui i neo-
75
Si veda anche il paragrafo 2.I.c
82
professionisti hanno partecipato76. I team manager dovranno essere abili nell’incentivare questa pratica, e controllare che i contenuti scaricati rispecchino quella che è l’identità aziendale. Questa, infatti, proiettata all’esterno, diventa strategia di employer branding , volta a rendere l’ambiente di lavoro
appetibile e stimolante agli occhi dei potenziali
candidati, mentre all’interno avrà effetti positivi sulla trasmissione dei valori aziendali ai neo assunti, assumendo un valore anche in termini di formazione del nuovo personale. A questo proposito, perché sia più chiaro cosa si intende per divisione strategica delle board , riporto l’esempio di Audi Italia.
Le board, sulla pagina Pinterest di Audi Italia, sono divise per componenti dell’automobile. Abbiamo “Interior”, interni, “Fuel”, carburante, “Wheel”, ruote, “Gear”, ingranaggi, “Exterior”, esterni, “Engine”, motore, ecc. Audi riesce a differenziarsi dalle altre marche che su Pinterest scelgono strategie di semplice “sales promotion”, cioè mettono in scena 76
Si veda paragrafo 5.b.iii
83
l’ennesima vetrina dei loro prodotti. Infatti, se si apre la bacheca dal titolo “carburante” , ci si troverà davanti a un buon numero di sfiziose ricette, informazioni su cibi regionali, e altre curiosità sul cibo, il “carburante della macchina uomo”. Allo stesso modo, nella board “ingranaggi”, viene messa in scena una narrazione per immagini che vede protagonista il corpo nell’atto sportivo, quindi il “funzionamento perfetto degli ingranaggi umani”. L’uso della piattaforma che viene fatto è creativo, per niente convenzionale, a suo modo racconta una storia, ed è una storia aziendale narrata da un angolazione non banale. Ovviamente, board che riportano immagini di sportivi, di cibo sano e di prodotti tecnologici, non fanno altro che narrare un’altra volta il racconto che Audi propone di se, come brand, su tutti i media, e che si “legge” anche nelle sue campagne pubblicitarie: Audi sta dicendo un’altra volta al suo pubblico di riferimento di essere un brand moderno, che parla ai giovani, quei giovani che sanno essere sportivi, al passo coi tempi e con le novità in campo di tecnologia, che conducono una vita sana e, qualora apprezzassero la board “carburante, evidentemente amano anche la buona cucina! E’ molto interessante l’obiettivo di differenziazione che Audi riesce a raggiungere operando un uso quasi “giocoso”, ma molto efficace e piacevole del canale Pinterest, ma il target di quest’operazione è palesemente il consumatore del marchio, e non i potenziali futuri collaboratori del brand, di conseguenza non viene operata alcuna strategia di employer branding in questa pagina. In definitiva, “fare employer branding” su Pinterest significa :
Sapere utilizzare le immagini per creare esperienze emozionali che connettano la marca al suo consumatore di riferimento. In poche parole, raccontare una storia fatta di immagini. Secondo alcune ricerche, i fattori estetici su cui focalizzarsi riguardano principalmente i colori, mentre la lunghezza della descrizione, a discapito di cosa si potrebbe
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pensare generalmente e a sostegno, invece, della teoria dello storytelling, è un fattore che aumenta la visibilità dell’immagine caricata77.
Mettere in atto una content strategy, attività di pianificazione e gestione dei contenuti, mirata ed efficace, quindi: o Operare una divisione curata dei temi presentati nelle board , devono essere in grado, nella loro totalità, di raccontare una “corporate story”. o Non dimenticare l’anima del sito, le ispirazioni: inserire immagini ispiranti al fine di sviluppare legami più stretti con le aspirazioni delle potenziali future risorse. o Come esiste un principio valido per il branding su Pinterest, cioè non creare l’ennesima vetrina online di prodotti bensì esprimere l’identità dell’azienda come se fosse una persona umana, allo stesso modo una pagina Pinterest di employer branding non deve mostrare contenuti freddi e distanti, né diventare una sorta di pagina degli annunci visiva online. La soluzione ideale è cercare di mostrare il back office , quello che succede dentro i muri dell’azienda, come se questa si aprisse, si mostrasse più tangibile, e come se desse un assaggio esperienziale a chi aspira a lavorarci. Come se l’azienda dicesse “Noi lavoriamo così, con noi hai queste opportunità. Sei stimolato? Ti abbiamo intrigato? Sali a bordo. O almeno, provaci. Potresti essere la persona giusta!” . In questo modo il candidato si sente più vicino all’ambiente di lavoro, vede immagini di persone vere, che “ce l’hanno fatta”. Non immagini pubblicitarie, come quelle che si vedono sulle riviste, o sulle pagine web. Questo incoraggerà i potenziali candidati ad instaurare una relazione più profonda col brand. o Inserire immagini rilevanti e che avvicinino il candidato che vogliamo colpire. Intel, oltre a meritare una menzione d’onore per
77
http://danzarrella.com/infographic-how-to-get-more-pins-and-repins-on-pinterest.html#
85
essere riuscita, come azienda, a far diventare il proprio marchio un brand, pur producendo processori per computer, ha una board che si chiama “Geek Chic”78. o Se è presente un impegno sociale al di fuori del contesto commerciale, è positivo mostrarlo con una board dedicata. Non solo migliorerà la reputazione del brand agli occhi della community, ma sarà anche estremamente d’aiuto per la causa sostenuta, alla quale verrà data un ulteriore opportunità di visibilità.
Le strategie più efficaci di employer branding che ho individuato su Pinterest, e che voglio riportare in questa tesi, sono quelle messe in atto da General Electric79, The New Traditionalists80, e Taco Bell ( Careers)81 . Ognuno di questi tre brand, infatti, è riuscito a concretizzare egregiamente uno dei punti appena elencati.
5.b Strategie eccellenti di employer branding su Pinterest: General Electric, The New Traditionalists e Taco Bell
5.b.i General Electric Company La General Electric Company è una multinazionale statunitense, attiva nel campo della tecnologia e dei servizi dal 1892. Nella breve descrizione che Pinterest permette di affiancare all’immagine scelta per rappresentare la pagina si legge:
http://pinterest.com/intel/geek-chic/ . Non esiste una traduzione italiana per il termine inglese “geek”. L’insieme, “Geek Chic”, si può tradurre con “Cose chic per cervelloni”. 79 http://pinterest.com/generalelectric/ 80 http://pinterest.com/thenewtrad/ 81 http://pinterest.com/tacobellcareers/ 78
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“#Pinning things that inspire us to build, power, move and cure the world. Welcome to the official GE Pinterest page!”82 Sono venti le board che General Electric ha creato. Di seguito riporto quelle salienti:
“Ready to Pinspire?” ; questa board è composta da cinque immagini che, poste adiacenti, formano una freccia, e ciò che si legge nelle cinque descrizioni forma il seguente discorso83: “Caricate Pin per voi stessi o in onore di qualcuno che combatte il cancro di vostra conoscenza. Create board per condividere esperienze sul cancro. Metteremo in evidenza una delle vostre immagini ogni settimana. Non vediamo l’ora di vedere le vostre storie. Controllate le nostre istruzioni per maggiori informazioni.” Questa bacheca, di grande rilevanza sociale, permette di mostrare l’impegno di GE nell’ambito della ricerca e della
costruzione di
macchinari per la cura del cancro. Inutile dire quanto sia forte la connessione emozionale che questo crea con un potenziale candidato.
“Hey Girl” ; questa bacheca va a toccare il lato umano del candidato dal punto di vista della comicità e dell’ilarità. GE si scopre, in questa board, un brand che sa ridere, e che ride con le persone. Le immagini riportate in questa raccolta mostrano frasi dolci, romantiche, usate dagli uomini per fare colpo sulle ragazze (da qui il titolo “Hey Girl”) , traslate, però, sul tema delle macchine e dell’elettricità. Si noti l’utilizzo dello sfondo colorato, per catturare lo sguardo.
“Pinando – unica traduzione individuata, per ora, del verbo To Pin- cose che ci ispirano a costruire, attivare, muovere e curare il mondo. Benvenuti sulla pagina Pinterest ufficiale di GE.” 83 Traduzione libera dell’autrice 82
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Le immagini mostrano rispettivamente le frasi : 1. “Hey ragazza, il mio cuore batte così forte che potrebbe alimentare una locomotiva”, 2. “ Mandami un telegramma, se ti va”84 3. “ Hey dolcezza, il nostro amore brucerà più a lungo di un filamento di tungsteno in bulbo sigillato sottovuoto”.
“Badass Machines” ; la traduzione del titolo suona più o meno così
“Macchine Tostissime”, e questa board è una raccolta delle più incredibili ed enormi macchine costruite da General Electrics e degli elementi a cui i costruttori di queste meraviglie tecnologiche si ispirano. Alcune delle didascalie di queste immagini giocano su un tono “da bar”, come se fossero parte di una conversazione tra amici in cui uno dei due partecipanti aggiorna l’altro sugli incredibili progressi e la potenza delle macchine che la sua fabbrica costruisce, con un entusiasmo che solo il tono informale
Quest’immagine in particolare fa riferimento ad un grande successo radio del 2012, la canzone “Call Me Maybe” di Carly Rae Jepsen . 84
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può rendere con precisione. Questo è un modo di avvicinarsi agli appassionati- la passione per il proprio lavoro è caratteristica imprescindibile per ogni buon dipendente- come se si parlasse lo stesso linguaggio, e quel linguaggio richiedesse di essere informale, crudo e potente come l’argomento di cui si parla ! Di seguito qualche esempio.
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1. “Guarda: I nostri composti di ceramica sono più forti di un proiettile in corsa?” 2. “Uno dei nostri ingegneri ha scattato una foto del nostro negozio di riparazione turbine in-loco a Greenville, SC.” 3. “Domanda: come possono le ali di questa farfalla migliorare i vostri viaggi in metropolitana?”
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4. “Lavoriamo su cose più grandi di noi stessi” 5. Si presti attenzione a questa immagine. Dice: “Sono un fan dei treni e sono orgoglioso di esserlo”, e la didascalia riporta “Quale locomotiva è la tua preferita?” Si notino: a. Il colore sgargiante dello sfondo e il piccolo slogan che catturano l’attenzione del lettore b. Il tag , cioè l’etichetta, rappresentata graficamente dal simbolo "#” apposto davanti al nome “locomotiva”, così chiunque farà una ricerca interna a Pinterest con questa parola chiave, troverà questa immagine c. La risposta di un utente che dice: “La RENFE classe 269, 100% elettrica”, e la RISPOSTA di un membro dell’azienda “GE @Carlos Rios” che commenta “ pare che tu sia proprio uno che pensa in #verde” , con il “#” che
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contrassegna le parole chiave per la ricerca, sempre per dare visibilità alla conversazione nel caso qualcuno inserisse come parola chiave, nel motore di ricerca interno a Pinterest, la parola “verde”.
“That’s Genius!” è una board in cui sono raccolte immagini colorate che riportano frasi e citazioni brillanti dei più grandi geni del campo. Anche questo è un modo di parlare vicino ai giovani, che avvicina il target al brand. Brevi frasi, motivanti e pronunciate dai presunti eroi di coloro che dovrebbero rappresentare l’obiettivo, in termini di personale, dell’azienda.
“Wyoming Women First” è una raccolta di immagini che incitano le donne dello stato del Wyoming, che ha la più bassa percentuale di esami per la prevenzione del cancro al seno eseguiti annualmente negli U.S.A., a fare controlli frequenti e prevenire la malattia. A questa board è assimilabile un’altra presente sulla pagina, dal titolo “Cancer Pintherapy”.
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“The #WhatWorks Project” , il cui sottotitolo è “ Celebriamo e diamo energia alle cose che funzionano! Condividi le grandi persone, le cose e i luoghi che funzionano/lavorano, per aiutare l’America a tornare a funzionare/lavorare”85 .
“#GEInspiredME”; in questa tavola sono riunite le migliori foto di un concorso indetto da GE al fine di trovare “the next GE Intagrapher”86 cioè il prossimo talento fotografico innovativo. Il concorso prevedeva di scattare fotografie col cellulare, e condividerle apponendo l’etichetta “#GEInspiredME”. Le fotografie dovevano ispirarsi alle quattro aree di innovazione di General Electrics: movimento, costruzione, cure mediche, energia.
Traduzione dell’autrice della frase “Celebrate & Power What Works! Share the great people, places & things that work to help get America back to work.” 86 Il termine “instagrapher” deriva dalla crasi della parola “Photographer” e “Instagram”, il nome di un celeberrimo programma social di ritocco fotografico. 85
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“Eco Efficient”; board interamente dedicata a curiosità, domande e risposte e nozioni su tutto ci che riguarda l’ecologia e il “pensiero verde”.
“The Archives” ; raccolta molto interessante dal punto di vista del processo di narrazione del brand. Si tratta di una collezione di immagini che raccontano la storia della nascita
dell’azienda, dalle prime pubblicità alle prime brillanti idee, per far capire come le creazioni futuristiche nate sotto l’ala di GE abbiano cambiato il mondo e la qualità della vita di molte persone. Un modo
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avvincente ed eccitante di dire al potenziale candidato che guarda queste immagini “ Vieni a bordo, partecipa anche tu ai nostri successi e aiutaci a migliorare il mondo in cui viviamo!”.
La diversificazione di argomenti trattati nelle tavole di General Electric è fenomenale, dalle grandi macchine agli “archivi” che mostrano immagini prese dal racconto della storia e dell’eredità di GE, passando per la board del concorso “#GEInspiredME” , interamente dedicata alle foto dei fan. Questa azienda è un ottimo esempio di come dovrebbero essere organizzati, gestiti e mostrati i contenuti all’interno di una pagina “brandizzata” , sia a livello di semplice strategia di branding aziendale, sia in un’ottica di employer branding.
5.b.ii The New Traditionalists
The New Traditionalists è un brand di mobili di pregio, con laboratorio a New York City, nello scintillante quartiere di Soho. I mobili prodotti da questa casa sono molto classici, ma come recita il nome, quest’azienda è formata da “nuovi tradizionalisti”, persone che non hanno aspettato troppo a salire sulla cresta dell’onda di Pinterest, e l’hanno fatto in maniera eccellente.
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Il team di “The New Traditionalists” ha colto in pieno le potenzialità di Pinterest in termini di offerta esperienziale al cliente, e non bombardamento passivo sotto forma di immagini di prodotti. Le board che ho messo in evidenza nella Fig.1 si chiamano “Lino Bianco”, “Tempo d’Estate” e “Il Diavolo è nei Dettagli”.
Nessuna di queste collezioni riguarda,
apparentemente, i prodotti della marca. Entrando nella bacheca dedicata all’estate, si apre una raccolta di immagini vintage di momenti marittimi, personaggi famosi si susseguono in fotografie dal sapore retrò. Questa narrazione evoca un periodo, uno stile, un modo di fare che sono di ispirazione per “The New Traditionalists” nella creazione dei suoi prodotti. Infatti, la descrizione accanto al nome del profilo è la seguente: “Ispirazioni per i nostri mobili, e tuto ciò che ruota attorno ad essi”. E come questa, tutte le altre tavole riportano elementi di epoche, momenti storici, stili e periodi della moda che ispirano il brand nella connotazione di se stesso e dei suoi prodotti. Ad un occhio attento, però, non sfuggiranno immagini di mobili, disseminate ad arte nelle varie board.
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Fig.2 Tra una fotografia di JFK JR e un’immagine di Audrey Hepburn in un “Summertime”, un momento estivo, fa capolino la fotografia artistica di Norman Parkinson che ritrae una signora, esempio di finezza e stile, dolcemente adagiata su un divano in riva al mare. Così come nella board “The Devil is in the Details” , tra immagini che vedono protagonisti i dettagli di vari capi d’abbigliamento, quindi fibbie, bottoni, gemelli, si possono individuare fotografie che ritraggono dettagli di pregio dei mobili costruiti da “The New Tradionalists” ( Fig.3).
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Fig.3
Il dato più interessante, però, per quanto riguarda questo brand dalla straordinaria dote comunicativa, è la board dal nome “HELP WANTED!” , cercasi aiuto. Il sottotitolo di questa collezione di immagini recita: “Siamo in Nuovi Tradizionalisti e stiamo cercando di espandere il nostro branco. Cerchiamo una specialista in Servizi al Cliente che si unisca a noi nel nostro showroom di Soho. Gli annunci di lavoro tradizionali sono noiosi, quindi abbiamo creato questa tavola dove esponiamo in maniera dettagliata i nostri criteri. Sei tu la Superstar del Servizio Clienti che stiamo cercando? Per favore, dai un’occhiata e condividi. Puoi trovare l’offerta completa qui(…).” 87
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Traduzione dell’autrice
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Fig.4
Tutte le immagini sono tratte da film famosi, o immagini divertenti trovate sul web che aiutano a costruire la “storia della ricerca della Superstar del Servizio Clienti”. La prima immagine della raccolta (Fig.4) mostra un gruppo di giovani scapestrati in motocicletta, e recita “ Ci siamo imbarcati in questo viaggio per espandere la nostra squadra….” , la seconda è un’immagine tratta da un film e la didascalia dice “ …e abbiamo cercato lontano e dappertutto…” , “Quindi, questa è la nostra mappa” recita l’immagine successiva, un gruppo di ragazzini che osserva avidamente una mappa del tesoro. “Siamo i Nuovi Tradizionalisti”, si legge nell’ultima immagine della prima stringa. La tavola prosegue:
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Fig.5
“Stiamo cercando uno Specialista in Servizi al Cliente!!”, “Quindi questi sono i nostri criteri”, “ci piacciono le cose tradizionali”, “ ma ricche di dettagli…”, “…e alla moda”.
Fig.6
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“Abbiamo bisogno di uno che voli in alto!!”,“ Qualcuno che sia cool”, “ ma non una diva…”, “… vogliamo una ROCKSTAR!” , “ Che si unisca a noi nel nostro showroom di Soho”.
La board continua con altre immagini le cui didascalie aggiungono sempre più dettagli alla figura del candidato perfetto, della “Superstar del Servizio Clienti” che The New Tradionalists sta cercando, sempre mantenendo un tono amichevole, accomodante, entusiasta , ma non per questo dimenticando di fornire anche il minimo dettaglio sulla personalità e le caratteristiche ricercate.
Fig.7
Riporto alcune delle didascalie, che recitano: “ Siamo giovani… ma con GRANDI piani”, sotto all’immagine di un giovanissimi JFK, o ancora “ Stiamo crescendo in fretta”. Si passa poi alla descrizione dell’azienda: “ Tutti i nostri prodotti sono fatti a mano usando i materiali della milglior qualità esistente”.
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Fig.8
In ultimo, alcune immagini più seriose riportano la descrizione delle opportunità di miglioramento ed esperienza che la posizione in questione offrirebbe al candidato, mentre altre immagini divertenti prese da altrettanti film, recano le seguenti didascali: “ La possibilità di crescere con una compagnia in crescita, e DIVERTIRSI FACENDOLO!!”, o ancora, “Sei li fuori? Seriamente, dove ti stai nascondendo?”, e per ultima “ Sei tu? Seriamente. Mandaci un’e-mail!” .
Questa strategia colpisce per originalità e potenza espressiva. E’ operata una costruzione magistrale dell’ employer brand , della figura del datore di lavoro, che attraverso le immagini si racconta come un giovane talentuoso JFK con grandi piani, come un bambino che non vede l’ora di crescere, ma anche un adolescente con un bagaglio di sogni e l’entusiasmo di puntare in alto. Inoltre, le immagini sono fruibili, sono scelte ad arte e rispecchiano vere e proprie ispirazioni ( quasi tutte sono immagini tratte da diversi film). Questo
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permette loro di essere facilmente condivisibili e “ri – Pinabili” e , di conseguenza, la pagina di The New Traditionalist si aprirà ogni volta che qualcuno cercherà l’origine di queste divertenti immagini.88E’ un esempio del miglior uso che si possa fare si questa semplice ma potentissima piattaforma. Un uso creativo, che parli di emozioni, alle emozioni, per creare un legame emotivo e far sì che il brand acquisisca un posto d’onore nella mente del suo consumatore, e si guadagni il suo affetto, la sua ammirazione e, in questo caso, che diventi la più grande aspirazione professionale del futuro candidato.
5.b.iii Il caso Taco Bell (Careers)
L’ultimo caso che prendo in analisi non è meno appassionante dei precedenti. Si tratta della pagina Pinterest del brand Taco Bell89, che rappresenta una catena americana di fast-food.
Fig.1
La descrizione che introduce il brand, e ne affianca il logo sulla pagina Pinterest riporta le seguenti parole “La tua personalità è il tuo brand… quindi perché non impegnarti con una compagnia che abbraccia la tua individualità? Ispira. Conduci. Impara. Cresci. Lavora qui (…) .” 90
Si permetta il neologismo, il cui utilizzo è diffuso. http://www.tacobell.com/ 90 traduzione dell’autrice 88 89
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E’ molto importante questa introduzione che Taco Bell sceglie per il suo profilo. Innanzitutto il tono è gioviale, amichevole, aperto, un tentativo di avvicinarsi al target di dipendenti individuato dall’azienda. La maggior parte degli interessati, infatti, ed anche il segmento a cui parla questa pagina, sono persone che devono essere pronte a stare a contatto coi clienti, e fornire il miglior servizio possibile nei punti di contatto dell’azienda con l’esterno, quindi i fast-food Taco Bell. “La tua personalità è il tuo brand”, con questa frase il team di creatori di questa strategia ha manifestamente voluto incentrare la campagna di employer branding sulla valorizzazione del personal brand degli individui a cui si rivolge. Il team di Taco Bell, nel dichiararsi consapevole dell’importanza per ogni professionista -ma in generale per ogni persona che debba in un qualche modo “essere scelta”- di costruire il proprio brand personale, si attesta su una linea strategica molto innovativa e stimolante, che consiste nell’integrare i singoli brand dei dipendenti con quello dell’azienda, per ottenerne una relazione sinergica e di crescita duplicemente orientata e vantaggiosa.
Fig.2 Una breve analisi delle collezioni salienti è proposta di seguito:
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“Taco Bell Community”; in questa board sono presenti fotografie raccolte sotto la didascalia “ Incontra la Taco Bell Family” .
Le
immagini sono state selezionate e caricate con l’intento di costruire una narrazione familiare, che ricalcasse il modello dell’album di fotografie famigliare. Si possono sfogliare immagini catturate durante la giornata “Porta i tuoi bambini al lavoro”, o ancora fotografie dei nuovi piatti preparati dai dipendenti dopo una lezione di training con una famosa chef – in una di queste figura una dipendente sorridente con un piatto in mano ed è intitolata “Cantina Pride, cioè “l’orgoglio di aver cucinato un piatto Cantina”- . Si prosegue con una fotografia scattata durante una “Welcome Breakfast” dedicata ai nuovi impiegati del settore IT dell’azienda. Si prosegue con immagini che ritraggono sempre gruppi, squadre di dipendenti intenti a ricevere premi, assistere a workshop, lezioni e momenti di team building. Assimilabili a questa board, come principi essenziali che le regolano, sono le tavole “ Taco Bell Office Olympics 2012”, che mostra una giornata sportiva, sulla falsa riga delle Olimpiadi di Londra del 2012, organizzata all’interno dell’azienda, “Fun Times”, che riporta momenti ludici avvenuti sul posto di lavoro e “ Team Members Video Shot”, ovvero il dietro le quinte delle riprese dei video promozionali realizzati con la partecipazione dei membri dei vari team. Questa board è un esempio eccellente e perfettamente progettato di una strategia vincente di employer branding. Ogni immagine invoglia il potenziale candidato ad entrare nella “Taco Bell Family” attraverso le emozioni che le innumerevoli fotografie di attività di squadra, ludiche e professionali, trasmettono a chi le guarda. Sono presenti inoltre fotografie che ritraggono le squadre dei manager, dei coaches e degli chef
in pose sorridenti, come per “umanizzarli” agli occhi dei
candidati. Questa strategia fa si che il candidato non sia intimorito da quelle che, nell’azienda, sono le persone che ricoprono i ruoli più
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autorevoli, o dal team da cui dovrà essere giudicato ed eventualmente assunto (Fig.3) , ma anzi, operi una “demitizzazione” di queste persone che lo invogli a voler lavorare con Taco Bell, in questo caso, e far parte della famiglia con serenità.
Fig. 3
Le board
dal titolo “Meet Our Recruiting Team”(Fig.4) e “Keri
Patterson – Field Recruiter” (Fig.5)
si attestano sulla stessa linea
strategica di demitizzazione del personale che potrebbe essere temuto dal candidato, e per questo disincentivante per la sua candidatura.
Fig.4
Fig.5
“Taco Bell + YOU”: “Working at Taco Bell is more than joining a successful brand. It's about joining a culture that loves the food, cares about each other and our communities and connects with each and
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every Customer. Don't just settle for any job, choose to Work Here.” Questa introduzione alla galleria “Taco Bell + YOU” suggerisce al candidato di non cercare lavoro soltanto dal punto di vista di trovarne uno, ma di scegliere di lavorare alla Taco Bell. Secondo quanto scritto, infatti, lavorare per Taco Bell significa di più che lavorare per un famoso brand. Significa entrare a far parte di una cultura che ama il cibo, significa prendersi cura gli uni degli altri, e delle loro comunità, ed essere al servizio di ogni singolo cliente.
Fig.6 “Lavora da Taco Bell e condividi l’amore” All’interno di questa raccolta sono presenti numerosi video che servono come supporto narrativo al tema della pagina, e mostrano momenti di lavoro mentre spiegano i punti saldi della cultura aziendale di Taco Bell.
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Fig.7
“Recruiting is Social”; all’interno di questa board sono presenti numerose infografiche, mappe grafiche che mostrano dati presi da ricerche,
a
supporto
del
Social
Recruiting.
Fig.8
Con le immagini presenti in questa raccolta il team di Taco Bell vuole chiarire la sua totale adesione e fiducia nella pratica della ricerca di impiegati attraverso i social network, riconoscendone le grandi potenzialità in termini di connessione, networking e attrazione di risorse umane.
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In ultimo, tre board dedicate a nutrire lo spirito, dal titolo “Good Reads” , “Recipes for success” e “Food for thoughts”. La prima è una raccolta di libri di cui il team di Taco Bell consiglia la lettura, la seconda è un insieme di frasi motivanti a proposito del successo, mentre la terza mostra immagini che riportano citazioni come “Non aver paura di provare. Abbi paura di non farlo” (Fig.9) . Queste collezioni manifestano, ancora una volta, la volontà di far percepire il brand come un mentore, una persona profondamente e sinceramente interessata alla crescita intellettuale dei suoi impiegati , alla loro motivazione. Taco Bell diventa un brand amico, consigliere, “motivatore”, e che dimostra di aver capito le necessità dei sui dipendenti, e di fare il possibile per soddisfarle al meglio.
Fig.9 La strategia di employer branding di Taco Bell è progettata ad arte, contiene tutti gli elementi per essere vincente ed efficace ed è, dal punto di vista comunicazionale, potente e “avvolgente”, perfetta nel creare una connessione emozionale con l’interlocutore, un legame che fa sì che questi percepiscano il brand come il luogo di lavoro ideale, e questa percezione possa rimanere salda nelle loro menti anche nel lungo periodo.
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6. Verso una strategia di Branding Integrato
Nello scenario attuale, uno sguardo attento non potrà non notare i cambiamenti radicali che stanno interessando il mondo del job searching ricerca dell’impiego desiderato da parte di chi cerca lavoro-, e del talent searching -ricerca del candidato adatto dal punto di vista delle aziende intenzionate ad assumere- . Quella che viene chiamata “ guerra per il talento” è una fase del mercato del lavoro, che raggiunge la sua massima espressione nei momenti in cui si ha più domanda di professionisti che offerta. E’ proprio questa tendenza che si concretizza nel concetto di “Employer Branding”, sforzo dell’azienda che, per attrarre il miglior capitale di talento, non risparmia risorse al fine di sviluppare e potenziare la sua figura di “impiegante”/ posto di lavoro di valore, utilizzando ogni tipo di strada, dalla presenza agli eventi fieristici dell’impiego, fino al tentativo di ottenere riconoscimenti che attestino le sue politiche, specialmente in materia di gestione del personale e, più recentemente, tentando l’assalto definitivo al mercato attraverso la costruzione di una determinata reputazione aziendale mediante l’uso delle reti sociali. Costruire questa reputazione non è ormai più prerogativa esclusiva delle grandi aziende. Grandi imprese, filiali e PMI si sono rese conto dell’importanza di essere datori di lavoro attraenti, ambienti di lavoro appassionanti, e, per queste caratteristiche, catalizzatori di talento. Ad oggi, momento storico segnato da un’evidente crisi del posto di lavoro, la situazione di cui sopra si è invertita: la domanda d’ impiego è molto alta, l’offerta scarseggia. Il mercato del lavoro è in una voragine, e obbliga innumerevoli aziende ad “aggiustare” le proprie strutture ed eliminare risorse qualificate, che, colte impreparate da questa situazione, si trovano a dover affrontare , punto e a capo, il mercato del lavoro. Com’era prevedibile, il talento si erge ora contro la mancanza di opzioni, ed il concetto di “Personal Branding” si è inserito nella mente di molti professionisti, che si sono visti
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letteralmente obbligati a “reinventarsi”, e di molti giovani talenti alla ricerca del giusto riconoscimento, che si concretizza, oggi, nel conseguimento del “posto di lavoro dei sogni”. Sono proprio queste categorie ad essersi rese conto dell’importanza, ora più che mai, dell’importanza vitale di essere presenti nelle reti mediali relative ai loro campi di specializzazione. Con questa idea di “guerra” di un esercito di professionisti, decisi a posizionare, o ri-posizionare, il loro talento, è andata estendendosi progressivamente l’idea dell’importanza di sviluppare una strategia di personal branding. E’ una lettura intelligente dei fatti e del momento storico che stiamo affrontando, che fa si che ci si metta strategicamente all’opera nel durissimo compito di costruire e sviluppare il proprio marchio, che permetta di mettersi in evidenza ed essere scelti, ma anche, fattore che ultimamente ha assunto molto peso, di poter scegliere. Pertanto, preso atto di quanto detto finora, e sottolineando che le organizzazioni fronteggiano un mercato via via più esigente, che richiede loro di poter contare, tra le loro fila, su professionisti più che eccellenti nel loro campo di expertise, ha senso, a questo punto del percorso teorico , tracciare i contorni di una strategia nella quale l’organizzazione permetta ai suoi impiegati di coltivare, sviluppare, e potenziare i loro rispettivi “brand personali”, anche e soprattutto in seno all’azienda. Questo in virtù del fatto che, se l’azienda avrà operato in maniera efficiente e consona dal punto di vista dell’assunzione delle sue risorse, si troverà, senz’altro, con un bacino di collaboratori perfettamente in linea con i principi, la mission, e la core value proposition dell’organizzazione stessa. Essere il giusto candidato per una determinata azienda significa condividere i principi e i valori aziendali che la costituiscono, e che ne regolano l’organizzazione, e quei valori appartengono, in primis, al candidato stesso . Non ci sarà, quindi, necessità alcuna di plasmare le proprie risorse secondo i contorni e le forme del brand per far si che vi aderiscano, investendo inutilmente ulteriori risorse. Si rivelerà, d’altra parte, vincente la
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scelta di arricchire il marchio con l’apporto dei singoli brand dei suoi impiegati, forti di una base valoriale comune e condivisa tra azienda e collaboratore, incoraggiando a coltivare questo aspetto professionale di sé anche chi non lo avesse mai curato. L’idea alla base è di creare una cultura aziendale che fomenti lo sviluppo dei personal brand. Un’azienda che permetta alle proprie risorse di lavorare al loro marchio col supporto del brand principale ci guadagnerà, d’altra parte, in termini di “Employer Branding”. L’impatto di questa strategia, avendo facilitato e dato impulso ai marchi personali dei suoi professionisti, permetterà all’azienda, grazie a questi ed al suo posizionamento individuale, nel medio e lungo termine, di potenziare oltremodo la sua immagine in termini di Employer Brand. Si tratterà sostanzialmente di alimentare il personal branding per elevare all’ennesima potenza l’employer branding. In definitiva, contare su professionisti con un marchio personale conosciuto e ri-conosciuto significa poter contare su un grande brand, che prende impulso proprio da questi suoi “Brand Ambassadors”. Non è impossibile né audace prevedere la futura proliferazione di strategie di “Branding Integrato”. La cultura del datore di lavoro dovrà annullare i fantasmi e le paure che tradizionalmente hanno impedito di supportare le iniziative finalizzate a far brillare di luce propria i professionisti dell’organizzazione. L’impiegato capace, volenteroso ed emozionalmente intelligente dovrà
essere
disposto
a
trasformarsi
in
“intra-imprenditore”:
un
professionista che incanala l’energia del suo brand personale al servizio di un unico cliente, la sua azienda. 91
91
www.humannova.com
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Capitolo terzo
La mia proposta per un futuro non troppo lontano, la “Social Career Page”. In seguito a tutte le considerazioni sui vari aspetti del recruiting, dell’employer branding e del personal branding fatte finora, presento ora una proposta che nasce dalla fusione di più stimoli. Fino a questo momento tutto ciò di cui si è parlato concerne l’universo 2.0 e i suoi pianeti, i social networks. Stando ad una recente indagine condotta da Lorenzo Pulici 92, specialista in Risorse Umane e Comunicazione, sarebbe LinkedIn il più utilizzato( 96%), dai professionisti per tessere le trame dei loro network, e dai recruiters nella ricerca di nuove figure. Se si parla di social network e lavoro, LinkedIn è il brand “top of mind” , cioè il primo che viene in mente, stando ai dati raccolti. I vantaggi di questa valida piattaforma sono molteplici:
Serietà
Reale possibilità di costruire una rete di contatti funzionale alla propria professione
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Reale possibilità di ottenere una proposta di lavoro
Reale possibilità di entrare in contatto con potenziali clienti
Il proprio profilo è il proprio curriculum
Si veda il Capitolo 1
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Presenza di gruppi di discussione generalmente validi e professionali che possono portare a partnership e collaborazioni
E’ gratuito
E’ vero, però, che LinkedIn è una piattaforma che diventa di grande supporto e funzionalità al professionista nel momento in cui questi riesce a creare un solido network e una rete di contatti consolidata e funzionale alla sua carriera, quindi a distanza di qualche anno, quando ormai ha accumulato qualche esperienza e un buon numero di contatti. La mia proposta nasce dall’analisi dei reali bisogni delle due parti coinvolte nella domanda e nell’offerta di lavoro, ma si rivolge ad un target specifico e mette in campo una particolare fascia dei dipendenti dell’azienda.
Si
configura come piattaforma ibrida , unione dei modelli di “career page” e “social network” . L’elemento di differenziazione del progetto consiste nel mettere in contatto i giovani talenti di cui si è parlato in questa tesi con i giovani neoassunti dell’azienda nella quale questi aspirano a lavorare. La “Social Career Page” che ho in mente è pensata per essere, nella sua fase iniziale e sperimentale, costruita sul modello della grande azienda, in modo che l’offerta di aree professionali e posizioni aperte sia la più ampia possibile. Una variante è che la piattaforma riunisca un pool di cinque grandi aziende simili per offerta di aree professionali ( Acquisti, Comunicazione e PR, Logistica, Marketing, Qualità, Risorse Umane e Innovazione sono, per esempio, aree professionali comuni a tutte le grandi imprese) per offrire più scelta agli utenti. Il nucleo concettuale consiste nell’offrire uno spazio nel quale i giovani veramente motivati ad entrare a far parte dell’azienda possano sentirsi leggermente più vicini a questa, e quindi alla meta, traendone la motivazione e lo stimolo necessari a continuare a provare a proporsi, senza demoralizzarsi. Questo impulso è dato all’esterno da una particolare configurazione interna che proporrei per la gestione di questa piattaforma.
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L’intento più sincero di questo progetto sarebbe, infatti, quello di mettere in contatto i giovani talentuosi e motivati che cercano impiego con i giovani talentuosi e motivati che, invece, lo hanno appena ottenuto nell’azienda. Dall’esterno il candidato sarebbe in grado di raggiungere un punto di contatto con l’interno dell’azienda, ovvero i neo-assunti, i quali sono elementi interni, si, ma sono anche coloro che sono appena riusciti a varcare “il bordo”, e sono ancora memori dell’”impresa”. Neo-assunti e candidati. Significa mettere in contatto due gruppi che condividono lo stesso linguaggio e, presumibilmente, gli stessi elementi valoriali. Significa avere una base comune e solida, forte della condivisione del medesimo codice comunicativo. Un neo-assunto, adeguatamente motivato e stimolato, è l’elemento all’interno dell’azienda che sarà maggiormente in grado di trasmetterne i valori all’esterno, inquadrandoli in una strategia di employer branding. Concretamente la piattaforma vedrebbe riuniti in un unico spazio elementi sia del modello “career page” , sia del “social network”, adeguatamente armonizzati tra di loro. Elementi estrapolati dal modello “career page”, l’esempio di Bosch:
la career page è la pagina web che le grandi aziende dedicano alla pubblicazione degli annunci riguardanti le posizioni lavorative aperte e le
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opportunità di carriera. Generalmente, come si può vedere dalla figura, l’azienda dà l’opportunità al potenziale candidato di creare il proprio profilo, inserire i suoi dati anagrafici e compilare un format che andrà a costituire il curriculum che egli vuole proporre contestualmente alla sua candidatura. Le sezioni che è possibile esplorare sul sulla pagina sono: o
“Chi siamo”, sezione in cui è possibile apprendere cosa Bosch vuole rappresentare in quanto azienda, quali sono i principi e i valori aziendali che ne motivano i diversi team e quali gli elementi che li rendono uniti.
o “Unisciti a noi”, dove è possibile operare una selezione delle posizioni disponibili in base alle proprie competenze, qualificandosi come studenti, neolaureati o specialisti e manager, prendere visione delle “Aree professionali” per le quali candidarsi, e visionare gli “Appuntamenti con Bosch” ( Career Day, Job Fair, ecc… ) . Inoltre , questa è la prima area in cui è necessario rendere ben chiaro cosa l’azienda cerchi nei candidati (concetto che deve comunque essere trasversale a tutta la strategia di employer branding e non circoscritto ad una sezione) , in modo che questi possano operare una auto scrematura, cioè proporsi con la convinzione di avere in toto i requisiti necessari , o decidere che i valori aziendali non si coniugano con la loro persona, e risparmiare alle risorse umane il tempo necessario a prendere visione della loro candidatura. o “Lavorare in Bosch”; questa area del sito è dedicata all’approfondimento delle politiche aziendali in merito a “Retribuzione”, “Diversità e pari opportunità”, e “Work-life Balance”, ovvero la possibilità di conciliare la vita lavorativa con le proprie passioni, senza rinunciarvi.
115
o “Crescere in Bosch”; è la parte dedicata al “Training”, ovvero le opportunità di formazione offerte dall’azienda, all’esplorazione delle
“Opportunità
di
carriera”
e
delle
“Opportunità
internazionali.” o “La nostra forza: l’innovazione” è la sezione dedicata ai successi dell’azienda in termini di progetti innovativi , configurati
e presentati in chiave di strategia si employer
branding, e cioè al fine di attrarre ed invitare le persone motivate e di talento ad unirsi al successo del brand. o Ed infine la sezione chiamata “Invia la tua candidatura”, nucleo pulsante della career page, all’interno della quale viene data la possibilità di candidarsi per le offerte attive e di leggere la lista delle domande più frequenti rivolte su questo tema.
Questi gli elementi imprescindibili che la “Social Career Page” eredita dal modello della “career page”.
Elementi estrapolati dal modello “social network”: o La possibilità di creare un profilo personale al momento del primo accesso, corredato di curriculum, che sia però integrabile con elementi importati da altre piattaforme social come, per esempio: “SlideShare”, sito per la condivisione di presentazioni in formato PowerPoint, “LinkedIn”, o ancora “ResumeUp”, sito che permette di creare il proprio curriculum visivo. E, perché no, dare la possibilità a chi si candida per posizioni creative di caricare un curriculum creativo. o La possibilità di interazione a due sensi : dall’esterno verso l’interno e viceversa. o La possibilità di dialogo formativo all’interno di gruppi di discussione orientati ai temi salienti della career page.
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o La possibilità di completare il più possibile il profilo personale con le preferenze specifiche di ogni utente: area professionale preferenziale per la candidatura, interessi, aspirazioni e valori. Questo permetterebbe l’avvio di un “meccanismo Pinterest”, e cioè della possibilità, per il candidato, di visualizzare nella sua home page solo i contenuti per i quali ha mostrato interesse, e che altrimenti perderebbe tempo a cercare nelle varie sezioni del sito ad ogni accesso. La “Social Career Page” , infatti, in base alle ricerche di posizioni aperte di ogni utente, sarebbe in grado di proporre le offerte pertinenti, e creare una sorta di indice di gradimento personale della posizione che si vorrebbe ricoprire, ( HR 20%, Marketing 2%, Retail 70%, Logistic 8%, per esempio). Questo meccanismo, inoltre, consente al candidato di rendersi conto se le sue ricerche sono mirate, e capire meglio in quale campo gli piacerebbe specializzarsi.
La piattaforma che ho ideato unisce ogni punto citato finora in un unico spazio interattivo e dedicato al dialogo tra neo- assunti e potenziali futuri-assunti. Nello specifico, ogni area professionale dell’azienda non dovrebbe far altro che proporre, incentivandoli adeguatamente, ai neoassunti di interagire con i candidati sulla “Social Career Page” rispondendo alle loro domande nelle discussioni (ovviamente quelle di competenza) , raccontando le loro esperienze all’interno dell’azienda, o le storie che li hanno visti protagonisti del successo appena conseguito, ovvero ottenere il posto di lavoro che desideravano. In linea teorica, i neo-assunti potrebbero anche essere eletti giudici di un concorso lanciato sulla “Social Career Page”, che inviti i candidati a utilizzare Pinterest per riempire board con elementi visivi che secondo loro rappresentano l’azienda, o creare board che contengano i loro curriculum in forma creativa. Allo stesso modo i neo-
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assunti potrebbero essere invitati a creare le stesse board su Pinterest ( cosa, per loro, è la posizione che ricoprono) e a condividerle con i candidati. Queste attività permettono ai team manager dell’azienda di integrare gradualmente i neo-assunti nella cultura aziendale rendendoli protagonisti entusiasti di board, forum , o gruppi dedicati ai loro primi successi. Allo stesso modo, questi primi successi, o prime esperienze nell’azienda, raccontate all’esterno, si trasformano in un esplosivo strumento di employer branding, reso tale dalla vicinanza che il candidato esterno percepisce col coetaneo che “ce l’ha fatta”. Per coinvolgere entrambe le parti in gioco, neo-assunti e candidati, le offerte di posizioni attive saranno corredate di una descrizione che possibilmente rechi video (caricati tramite Vimeo, YouTube, ecc. ) che mostrino i progetti realizzati dai giovani assunti per quella stessa posizione, o ancora, testimonianze sotto forma di collegamento con board di Pinterest. Dal punto di vista della ricerca di futuri candidati ideali per l’azienda, quindi per quanto riguarda i team dedicati al recruiting, l’elemento stimolante consiste nel poter visionare le discussioni, i commenti e, ovviamente, i curriculum degli utenti più attivi, il che rappresenterebbe già una notevole scrematura dei candidati più motivati, interessati e determinati a lavorare nell’azienda. Per quanto riguarda il candidato, la carica motivazionale che lo animerà sarà sicuramente maggiore di quella che egli potrebbe percepire nell’inviare una semplice candidatura in una qualunque career page tradizionale. Questo perché le aziende, e i recruiters in generale, non devono dimenticare i bisogni emotivi e di soddisfazione del target col quale si trovano ad interagire. Il neo-laureato, di talento, cosciente delle sue competenze e dei suoi punti di forza avrà determinati bisogni, la cui soddisfazione, anche parziale, da parte del team di recruiting sarà fondamentale nella determinazione della sua, futura ed eventuale, partecipazione attiva all’interno dell’azienda. Un elemento che potrebbe
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essere funzionale a questa esigenza è di dare la possibilità al candidato di tenerne traccia del suo curriculum nel momento dell’invio per una posizione vacante. Il tracking dell’avanzamento della candidatura andrà di pari passo con un obbligo di feedback ( mail, messaggio privato sulla piattaforma) , da parte dell’azienda anche qualora l’esito della proposta di candidatura fosse negativo.
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Conclusioni Il presupposto teorico di questa tesi era dimostrare come l’esercizio creativo e strategico della creazione di un brand potesse essere applicato alle persone e alle aziende in maniera funzionale all’efficienza del funzionamento della complessa macchina che regola i meccanismi del mercato del lavoro. Volevo approfondire come questa recente disciplina potesse facilitare, ottimizzare e migliorare la qualità di un rapporto bilaterale che da sempre si configura sfaccettato e complesso nelle sue tante forme. Il mio interesse si è rivolto, da un lato, ai cosiddetti “talenti”, i giovani neo-laureati determinati a far valere le proprie competenze, coscienti del grande valore che essi sono potenzialmente in grado di produrre all’interno di un’azienda, se adeguatamente stimolati ed incentivati dalla congruenza dei principi di questa con quelli personali, e dall’altro alle aziende che sono state in grado, negli ultimi anni, di percepire la crescente importanza della comunicazione di quell’insieme di elementi intangibili, qualità, virtù, principi, convinzioni e credenze, che formano il nucleo valoriale del brand. Di qui l’interesse per cercare di capire quale alchimia si realizzasse nel momento perfetto dell’incontro tra azienda ideale e candidato ideale. Ciò che teorizzavo, di cui ho trovato riscontro e che ho dimostrato in questa sede è che quella sinergia nascesse dall’interazione, articolata e delicatissima, di due forme di promessa valoriale che si concretizzano nella strategia di branding posta in atto dall’azienda in quanto ambiente di lavoro di valore (employer branding) , e dal candidato in quanto persona adatta a incrementare quel valore con il proprio (personal branding) . La tematica dell'employer branding si traduce in un processo di creazione di valori aziendali e della loro comunicazione al giusto target, e va ad interagire con la presa di coscienza da parte del candidato, del suo bagaglio valoriale e del potere che questo incarna come strumento per aumentare le possibilità di emergere nel mare magnum delle
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candidature, e incontrare l’opportunità che si sovrapponga perfettamente alle sue ambizioni. Questa teoria mi è apparsa in forma concreta, in tutta la sua potenza, nel momento dell’analisi di un social network in particolare, Pinterest. Basato sulle immagini, intuivo si prestasse in maniera eccellente ad esercizi di promozione, giustappunto, dell’immagine. Ogni presupposto teorico che andavo ad indagare sulla rete trovava immediatamente riscontro in un caso empirico individuabile su questa piattaforma , che puntualmente ho riportato per arricchire ogni nucleo tematico di questa tesi. Le applicazioni delle strategie di employer branding e personal branding trovano nel giovane social network uno sfondo di interazione incredibilmente favorevole. Ho ipotizzato esistessero “brand page” su Pinterest, e ne ho trovate innumerevoli. Ho supposto esistesse uno spazio fertile sulla piattaforma per dar vita a curriculum creativi, che raccontassero storie ed esperienze tramite le immagini, e anche di questa forma di personal branding ho trovato innumerevoli esempi su Pinterest. Un’epifania continua ha pervaso le fasi di questa ricerca la quale, mi permetto di concludere, ha ottenuto ottimi risultati in termini di conferma delle ipotesi di partenza. Infine, l'osservazione e lo studio approfondito delle diverse piattaforme virtuali sulle quali si gioca l’interazione tra azienda e candidato -oltre a Pinterest-, mi hanno permesso, da un lato, di esplorare a fondo le potenzialità di ognuna ed estrapolarne i vantaggi, per poi inserirli in un quadro più ampio, dall’altro di prendere gradualmente coscienza di uno spazio di applicazione ancora inesplorato. In questo spazio ho ipotizzato di inserire una proposta che coniugasse i vantaggi delle piattaforme social e delle career page dedicate al recruiting, presenti sui siti delle aziende più grandi. Ho voluto supporre la creazione di uno spazio che ottimizzasse gli sforzi di ricerca e auto-candidatura dei giovani neolaureati che tentano il primo contatto virtuale con l’azienda “dei loro sogni”. Uno spazio che ho plasmato in base alle esigenze, i bisogni, i linguaggi e i codici di questo target specifico e
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delicato, coniugandoli con quelli dell’azienda, sempre con un occhio di riguardo alle strategie di employer e personal branding. Spero che questa proposta offra nuovi spunti di discussione e possa aprire nuove piste da seguire a chi, in un futuro, spero, molto prossimo, vorrà occuparsene.
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Sitografia www.manageronline.it www.walkonjob.it www.socialrecruitingforum.it www.employerbrandingreview.com www.repubblica.it www.roberthalf.it www. Marketingzen.com www.fastcompany.com www.surveyrgs.it www.employerbrandingreview.com www.business2community.com www.articles.businessinsider.com www.pmi.it www.naceweb.org www.christopherspenn.com www.tacobell.com www.humannova.com
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Ringraziamenti Grazie a mamma, papà e Riccardo, che sono il mio faro. Grazie ai miei nonni, che sono il mio modello. Grazie al Professor Vercellone, per credere nei giovani talenti. Grazie ai Professori Salvatore Moccia e Josè Amiguet Esteban per avermi appassionata. Grazie ai quei pochi e famosi amici che si contano sulla punta delle dita.
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