8 minute read

STARE IN NATURA: IL CAVALLO E LE ORIGINI

Next Article
ETNA HORSE RAID

ETNA HORSE RAID

“Vi è qualcosa di grandioso in questa concezione della vita, con le sue molte capacità, che inizialmente fu data a poche forme o ad una sola e che, mentre il pianeta seguita a girare secondo la legge immutabile della gravità, si è evoluta e si evolve, partendo da inizi così semplici, fino a creare infinite forme estremamente belle e meravigliose.” – Charles Darwin

Fin dalla loro origine sulla Terra, tutte le forme di vita sono state sostenute ed accompagnate da una “spinta evolutiva” che ha portato il nostro pianeta dall’essere popolato da forme unicellulari acquatiche, ad accogliere una miriade di animali, piante e funghi enormemente più complessi e diversificati tra loro. Ma perché evolversi? Le teorie che spiegano l’evoluzione, le sue modalità e cause sono molteplici. Brian K. Hall e Benedikt Hallgrímsson, nel loro Strickberger’s Evolution, la definiscono come il prodotto del mutamento dei caratteri trasmessi ereditariamente alle generazioni successive. Questi mutamenti casuali vengono selezionati e fissati quando forniscono un vantaggio nell’ambiente di vita alla specie in oggetto, che andrà via via incontro ad adattamenti sempre più efficienti.

Advertisement

In caso di variazioni ambientali importanti, che possono essere generate da catastrofi naturali, pandemie, ecc., le forme di vita che sapranno meglio adattarsi alle nuove condizioni saranno quelle favorite nella sopravvivenza. Esempio tra tutti, l’estinzione di massa del Cretaceo (detto anche limite K-T) avvenuta tra i 95 e i 65 milioni di anni fa, l’evento che tutti conosciamo come la scomparsa dei “dinosauri” dal pianeta. Tantissimi fattori sono corresponsabili di questa grossa variazione della storia della vita sulla Terra, dal famoso “meteorite” alle diverse modificazioni climatiche e ambientali. Un’estinzione di massa, diversamente da ciò che si può pensare, non è un evento istantaneo che accade in pochi attimi, ma è un processo lungo e complicato. È un periodo che dura diversi milioni di anni, che vede il lento scomparire di determinati gruppi di forme di vita, dovuto a molteplici fattori, e la loro sostituzione nell’ambiente con nuove specie predominanti e popolazioni. Il risultato finale di questa estinzione in particolare, ossia la scomparsa dei grandi rettili, ha permesso a un gruppo “nuovo” di animali di sostituirsi a loro ed iniziare una colonizzazione a livello globale: i mammiferi.

Tutti gli animali vertebrati, dai tonni agli scimpanzè, dai falchi alle rane, possono essere suddivisi in tre macro-gruppi: anapsidi, sinapsidi e diapsidi, classificati in base alla forma del cranio. I “dinosauri” facevano parte di questi ultimi ed era loro il dominio del pianeta. Dopo l’estinzione di massa, al loro posto i rettili sinapsidi hanno cominciato ad espandersi ed è proprio da questi ultimi che si sarebbero poi evoluti i mammiferi che conosciamo oggi. Facendo un salto avanti di qualche milione di anni, circa 58 milioni di anni fa (58 m.a.), tra i mammiferi nasceva un nuovo ordine: i condilatri (Condylarthra), a lungo considerati progenitori di tutti i mammiferi ungulati (ossia muniti di zoccoli). Appartenente a questo gruppo di animali, circa 55 milioni di anni fa (55 m.a.), compariva un ulteriore ordine di mammiferi: i perissodattili (Perissodactyla), del quale fanno parte molti ungulati, tra cui anche i cavalli. Il gruppo dei perissodattili, insieme ai cerartiodattili (Cerartiodactyla), contiene tutti gli animali con gli zoccoli con l’unica differenza nel numero di dita: i primi presentano un numero di dita dispari, ne fanno parte tapiri, rinoceronti ed equidi. I secondi, con un numero di dita pari, comprendono cammelli, suini, tutti i ruminanti (bovini e ovini) e perfino ippopotami e cetacei.

Un ulteriore salto in avanti nel tempo ci porta a 50 milioni di anni fa (50 m.a.); proprio in questo momento, tra le fila dei perissodattili, compariva un piccolo mammifero, l’Eohippus, il progenitore di una lungo processo evolutivo che ha poi portato alla nascita del cavallo come lo conosciamo oggi. I “gradini evolutivi” di quest’ultimo sono molto ben documentati, possiamo quindi apprezzare tutte le modificazioni che hanno subito i suoi antenati nel corso di milioni di anni, prima di poter arrivare alla morfologia moderna.

In ordine cronologico di comparsa, gli antenati del cavallo di cui abbiamo record fossile ed è quindi stato possibile ricostruirne l’anatomia sono: Eohippus, 50 m.a., un piccolo erbivoro con 5 dita, tra le quali il terzo dito, dove poggiava il peso, fornito di zoccolo più sviluppato, alto appena 30cm al garrese. Mesohippus, 35 m.a., il primo e il quinto dito si sono atrofizzati rendendo visibili solo i tre centrali; il terzo dito, ancora il punto di appoggio, è irrobustito rispetto all’Eohippus. Al garrese misurava poco più di 60 cm. Merychippus, 10 m.a., aumentano le dimensioni, superando il metro al garrese. Scomparsi il primo e il quinto dito, secondo e quarto molto ridotti, a terra poggia solo il terzo dito con uno zoccolo simile al cavallo moderno. Pliohippus, 5 m.a., ormai visibile solo il terzo dito, questo animale era molto simile morfologicamente ad un piccolo cavallo moderno (tra i 120 e i 150 cm al garrese). Equus, presente, il cavallo che oggi tutti conosciamo.

Le forme di vita tendono evolutivamente ad adattarsi all’ambiente che occupano. Un animale più efficiente in un determinato ambiente avrà più possibilità di sopravvivere e quindi le sue caratteristiche saranno tramandate alla prole. Al contrario, caratteristiche che sfavoriscono un animale porteranno alla morte dello stesso e quindi, a lungo andare, alla scomparsa della caratteristica stessa. Ad esempio: supponiamo ci sia una popolazione di animali che vive nella steppa. Nella stessa popolazione esistono sia individui a pelo lungo sia a pelo corto, entrambi capaci di sopravvivere e riprodursi efficacemente. Un cambiamento climatico porta la temperatura media di questa ipotetica steppa ad abbassarsi di 20 gradi. Da quel momento in poi gli individui a pelo lungo saranno avvantaggiati, in quanto più preparati alle basse temperature, riuscendo perciò a sopravvivere e riprodursi maggiormente rispetto gli individui a pelo corto. In questa situazione immaginaria, entro poche generazioni dalla popolazione originale, scompariranno tutti gli individui a pelo corto e la specie rimarrà esclusivamente a pelo lungo.

Come dicono le teorie dell’evoluzione, le varie specie partono da un progenitore comune. Una cicogna e una tigre, se osservate da un punto di vista anatomico comparato e fisiologico, non sono poi così diverse. Tutti i vertebrati condividono le stesse strutture anatomiche, gli stessi tessuti e sistemi, proprio perché anche loro hanno un progenitore comune.

Le differenze a livello morfologico che osserviamo oggi sono dovute ad adattamenti di queste strutture, senza che venisse però alterata la loro vera natura. Tutto questo sta a significare che la zampa di un cavallo, o di una foca, o di una rana, non variano di molto tra loro se non nella forma e quindi nella funzione, ma saranno comunque composte da omero, radio e ulna, carpo, metacarpo e falangi. Nell’arto di una scimmia, l’evoluzione ha portato queste stesse ossa a modificarsi per creare la mano, capace di afferrare, e le articolazioni adatte a permettere movimenti di arrampicata. Nella pinna di una balena sono presenti ancora le stesse ossa, solo modificate in una forma adatta al nuoto. Nell’arto di un pipistrello ancora una volta la stessa identica struttura ossea è stata profondamente alterata, le dita allungate a dismisura in rapporto al corpo, la pelle tra esse estesa e resistente, in modo da formare un’ala perfetta per il volo. Lascia basiti come l’evoluzione sia stata in grado di creare organismi così perfettamente adattati al loro stile di vita, forme così complesse e uniche ed allo stesso tempo semplici, il tutto partendo da una singola cellula. Prima di arrivare alla struttura ossea e anatomica odierna, il cavallo è andato incontro a grossi cambiamenti evolutivi, causati dalla necessità di adattarsi ad ambienti diversi. Inizialmente l’Eohippus era un’animale di foresta e sottobosco, dove vengono favorite piccole dimensioni e arti corti. Nel susseguirsi di milioni di anni, gli antenati dei cavalli hanno lentamente cambiato il loro ambiente, favorendo praterie e spazi aperti, luoghi nei quali sono necessarie alla sopravvivenza caratteristiche morfologiche completamente diverse.

Gli adattamenti del cavallo, come di tutti gli animali, sono molteplici, ma vediamone alcuni: Grandi dimensioni; in spazi aperti e pianeggianti, essendo un animale predato, si ha la necessità di dover vedere più lontano possibile, di allontanare il proprio campo visivo dal terreno. L’evoluzione perciò porta gli animali che abitano questi luoghi ad aumentare le loro dimensioni corporee. Assenza di clavicole; nel cavallo, come in molti altri mammiferi adatti alla corsa, le clavicole non sono presenti. Questo perché nel galoppo a quattro zampe tale osso provocherebbe un impedimento non indifferente nella mobilità degli arti anteriori. Piccolo stomaco ma intestino molto sviluppato; tutti gli animali esclusivamente erbivori riscontrano difficoltà nell’alimentazione, maggiori o minori in base alla specie, dovute alla scarsa digeribilità del materiale vegetale. Ad esempio, i ruminanti hanno più stomaci che permettono di ripetere digestione e masticazione diverse volte per lo stesso pasto; pachidermi e panda sono costretti a mangiare quantità esorbitanti di materiale per poterne ricavare pochissime sostanze nutritive.

Il cavallo, da parte sua, ha adottato un sistema di digestione intestinale molto sviluppata e complicata, che permette sia la digestione batterica che chimica del cibo ingerito, mentre lo stomaco lo digerisce solo parzialmente. Occhi laterali; gli occhi del cavallo, come nella maggior parte degli animali predati, sono posizionati ai lati della testa, a differenza del posizionamento frontale tipico dei predatori. Questo perché gli occhi in quella posizione ampliano enormemente il campo visivo permettendo all’animale di vedere quasi a 360 gradi attorno a lui anche mantenendo la testa ferma in avanti.

Questi ed altri adattamenti, queste caratteristiche e milioni di anni di evoluzione culminano in una fantastica forma di vita, l’animale che oggi tutti conosciamo, che amiamo e che da quasi 6000 anni accompagna nella storia anche l’uomo come leale e fidato compagno: il cavallo. Simone Tiso

This article is from: