INDICE 6 10
CAPITOLO I: L’eredità del passato
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Tra vecchio e nuovo, la nascita del design moderno fra il 1850 e il 1900 Il pastiche
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Il design che prende vita al tempo del Liberty nel 1900 La decorazione Il formato quadrato
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Un sentimento di responsabilità nel 1950 L’importanza delle scuole e della didattica La griglia Tipografia asimmetrica Il meno è più (l’estetica minimal post-bellica)
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Introduzione
La scintilla espressiva nel 1960 e 1970 Indovinelli Rebus Fotogramma per Fotogramma Effetto Lettera di riscatto Fanzines La rivoluzione progettuale nel 1980 e 1990 Testi come immagini Lettering metaforico Illeggibilità
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CAPITOLO II: Le nuove sfide della progettazione contemporanea
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Nell’era digitale La metodologia progettuale e la figura del Graphic Designer oggi Nuovi settori, nuove tecniche Interaction Design Motion Graphic 3D Mapping Guerrilla Advertising
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Conclusione BIbliografia Sitografia Filmografia
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Ringraziamenti
Indice
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Un’esempio di comunicazione e Design Grafico contemporaneo: la Grande Mela, New York.
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INTRODUZIONE
Fin dalla comparsa delle prime civiltà, la comunicazione1 aveva, e ha tuttora, un ruolo importante nella società, perchè permette di creare un processo di trasferimento delle informazioni tra persone diverse, in modo tale da diffondere un messaggio che stimoli la circolazione d’idee e conoscenze, dando origine a un’indispensabile accrescimento culturale.
Il Design Grafico ha il compito di aiutare gli esseri umani a comunicare gli uni con gli altri in maniera più precisa. Nel momento in cui la comunicazione si sposta dalla singola persona, a un pubblico vasto, questa, ha bisogno di una veste appropriata per condurre al meglio la fruizione tra soggetti diversi; attualmente la pratica più diffusa 1 La comunicazione (dal latino cum = con, e munire = legare, costruire e dal latino communico = mettere in comune, far partecipe) nella sua definizione è l’insieme dei fenomeni che comportano il traferimento di informazione.
Introduzione
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per dare alla comunicazione forme e colori è il Design Grafico, che ha il compito di aiutare gli esseri umani a comunicare gli uni con gli altri in maniera più precisa; allo stesso tempo il Design Grafico svolge un ruolo centrale nel processo d’elaborazione e comunicazione del vasto e crescente flusso d’informazioni nell’economia globale: un’economia che pone nuove richieste di diffusione che non si limitano più a una gamma di capacità tecniche da applicarsi al solo prodotto stampato, ma include settori di intervento quali il design per la televisione, per il web e altri media audiovisivi. Nell’editoria, nel “packaging”, nelle trasmissioni televisive, nelle interfacce computerizzate e nella pubblicità, la progettazione grafica è un anello di collegamento di grande importanza che unisce chi trasmette l’informazione a chi la riceve. Tale legame ha permesso la nascita, lo sviluppo e il trionfo della civiltà moderna, caratterizzata da una comunicazione visiva di massa, in cui la grafica ha fornito uno dei linguaggi più eloquenti. Non c’è infatti evento, pensiero, atto creativo, informazione o attività produttiva che nel progetto grafico non abbia trovato, e non trovi tuttora, la sua espressione
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più immediata, attraverso il manifesto, il libro, i periodici, il “type design”2, l’immagine coordinata, il marchio aziendale, la video animazione, l’interazione tra prodotti tecnologicamente avanzati, l’imballaggio delle merci e le nuove espressioni video-computerizzate, tutti grandi artefatti ideati3, disegnati e sviluppati per guidare l’utente nella lettura del mondo che lo circonda, cambiandone l’atteggiamento e la consapevolezza del pubblico nei confronti del “Graphic Design”, che viene sempre più compresa, rendendola un’espressione d’identità nella società. Di fronte a questo affascinante, quanto complesso settore, ho scelto di affron2 In italiano, caratteri tipografici. Vengono chiamati anche “font”, creati con software digitali, sono destinati per operare nel design grafico contemporaneo. 3 S.Heller e V.Vienne, 100 idee che hanno rivoluzionato il graphic design, 2012, Logos, Modena. Le grandi idee sono nozioni, concezioni, invenzioni e ispirazioni formali, pragmatiche e concettuali sfruttate dai designer grafici per migliorare tutte le forme di comunicazione visiva. Queste idee sono diventate, attraverso operazioni di sintesi e l’applicazione prolungata di tempo, il linguaggio naturale della grafica. Esse costituiscono i costrutti tecnologici, filosofici, formali ed estetici del design grafico. Uno dei criteri chiave per definire una grande idea è sicuramente la sua risonanza. Se si può dimostrare che un’idea ha influenzato nel tempo la pratica e la teoria del design grafico, allora si può portare un argomento a sostegno della sua importanza. Inoltre, se gli artefatti che incarnano questa stessa idea sono numerosi o ricorrenti, allora è nuovamente presumibile che l’idea abbia un certo peso.
tare un argomento che spaziasse tra la storia e l’attualità della progettazione grafica occidentale in campo tecnologico e culturale, analizzandone i contesti storici, le motivazioni stilistiche, le ragioni metodologiche e le tecniche progettuali create e usate nell’epoca; e di come esse furono di grande ispirazione per le generazioni successive. Infine approfondire la progettazione grafica odierna negli stessi ambiti descritti nella storia del design, ma con uno studio dei nuovi mezzi di comuni-
movimenti artistici, la mia ricerca si struttura in base a determinati periodi storici che hanno come filo conduttore la reimpostazione del ruolo della grafica e la sua estetica. Dalle Art & Crafts alle correnti floreali d’inizio ‘900, dalla grafica del secondo dopo guerra, alle prime sperimentazioni in campo illustrativo e figurativo degli anni ’60 e ’70, fino ad arrivare alla comparsa dei sistemi elettronici e computerizzati della prima rivoluzione digitale, per poi approfondire i benefici e le proble-
Lo studio dei nuovi mezzi di comunicazione digitali, sempre più sofisticati, sono indispensabili alla formazione del “designer” contemporaneo, perchè si può capire come questi possono interagire con la società e l’ambiente circostante, e di come si possano trarre dei benefici e delle riflessioni confrontandoli con il passato. cazione digitali, sempre più sofisticati e indispensabili alla formazione del “designer” contemporaneo, cercando di capire come questi possono interagire con la società e l’ambiente circostante, e di come si possano trarre dei benefici e delle riflessioni confrontandoli con il passato. Considerando che la storia della grafica è molto vasta e che ingloba anche
matiche della progettazione attuale con una ricerca delle nuove tecniche e strategie che spaziano dall’Interaction Design al Motion Graphic dal 3D Mapping al Guerrilla Advertising, tecnologie, pratiche originali e importanti da conoscere per descrivere al meglio il nostro zeitgeist4.
4 Zeitgeist: spirito del tempo.
Introduzione
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CAPITOLO I
L’Eredità del Passato
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L’eredità del Passato
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Con l’avvento della stampa a caratteri mobili da parte di Gutenberg nel 1455 ci fu un grande cambiamento nei tempi di produzione di libri e testi, dando il via alla diffusione delle informazioni, alla divulgazione della cultura, e all’abbattimento dei costi per una distribuzione libera. Due secoli dopo, la grafica cambiò radicalmente la sua funzione nella società, segnando l’inizio di uno sviluppo culturale e progettuale mai vista prima. La prima pubblicazione dell’Encyclopèdie1 nel 1751 in Francia fu il primo caso di come il sapere fosse organizzato e distribuito secondo criteri d’assolu1 D.Baroni e M.Vitta, Storia del design grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag.7.
to rigore e obbiettività, proponendo un’iniziativa editoriale che poneva la cultura dinanzi al compito primario di una diffusione ampia e indifferenziata. Tutte le conoscenze del mondo furono condensate “nel più piccolo spazio possibile”2, e la descrizione verbale dei vari argomenti fu puntualmente accompagnata da illustrazioni che ne definivano visivamente la natura. Ciò pose la comunicazione visiva in una nuova luce. Il progetto culturale trovò la sua piena espressione in quello grafico, creando una sorta di manifesto 2 D.Baroni e M.Vitta, Storia del design grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag. 7. Introduzione dell’Encyclopèdie scritta da Jean-Baptiste d’Alembert.
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che equilibrava testi ed immagini in uno spazio ridotto, come quello del libro. Di conseguenza, ci fu l’inizio di un processo d’innovazione che in seguito, gettò le basi a quello che sarebbe diventato il design moderno.
Sinistra, centrale, destra: Copertina e pagine interne dell’Encyclopèdie, creata e stampata nel 1750.
Con l’Encyclopèdie ci fu l’inizio di un processo d’innovazione che gettò le basi a quello che sarebbe diventato il design grafico. La Rivoluzione Industriale, iniziata nell’Inghilterra Vittoriana intorno alla seconda metà del 1800, segnò un fondamentale passaggio nella fabbricazione d’oggetti, nelle sperimentazioni grafiche e alla loro diffusione. La produzione in serie portò al superamento del lavoro artigiana-
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Il Crystal Palace, un’enorme costruzione in stile vittoriano che fu eretta a Londra nel 1851 per ospitare la prima Esposizione Universale. Fu installato a Hyde Park, per poi essere smontato e ricostruito in un’altra zona della città, Sydenham Hill, nel 1852. Si trattava di uno degli esempi più celebri di architettura del ferro, ed ispirò la costruzione di molti altri edifici, spesso battezzati nello stesso modo. Distrutto da un incendio nel 1932, deve il suo nome ad una proposta di un famoso periodico di satira, il Punch.
le, proponendo un aumento quantitativo degli artefatti, ad un costo accessibile. Questa nuova teoria industriale fu presentata per la prima volta al Crystal Palace, durante la Great Exhibition di Londra nel 1851, dove vennero esposti i prodotti dell’industria di tutte le nazioni. Tale esposizione segnalò l’irresistibile progresso di un’economia industriale nella quale la produzione meccanica degli oggetti d’uso avrebbe incrementato i consumi e imposto nuovi valori estetici alla società. Con ciò, lo sviluppo industriale trovò subito una fiera opposizione da parte di
quanti ritenevano che la meccanizzazione dei processi produttivi avrebbe provocato una decadenza alla bellezza dei prodotti, garantita soltanto dai procedimenti artigianali. Immediatamente la reazione a ciò si evolse così velocemente da far nascere un movimento artistico/progettuale che fondò le basi della progettazione moderna e successivamente quella contemporanea, mescolando le vecchie tradizioni stilistiche con l’esigenza di una bellezza alla portata di tutti. Questa corrente artistica prese il nome di Art & Craft. Questo gruppo d’artisti/artigiani con-
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tribuì alla riforma delle arti applicate, tramite una sorta di reazione colta d’artisti ed intellettuali, derivata dall’incalzante industrializzazione del tardo ottocento. Questo movimento considerò l’artigianato come espressione dell’uomo, e dei suoi bisogni, in quanto, gli artefatti artigianali esprimevano un valore durevole nel tempo, allo stesso tempo disprezzava la produzione industriale, per la bassa qualità dei prodotti, le forme e il miscuglio confuso di stili. Pertanto, il pensiero Art & Craft si basava sulla preservazione e sulla fedeltà al modo di lavoro medioevale3, includendo un’ammirazione della scrittura degli amanuensi e soprattutto dei libri del XV secolo, sulla tutela della qualità formale degli oggetti, poiché questi dovevano esprimere la natura profonda dei popoli e al richiamo all’organicismo delSopra: l’Inghilterra durante la I Rivoluzione Industriale. L’industrializzazione a provocato l’urbanesimo, un concentramento massiccio delle persone nei nuovi centri urbani. Sotto: Strumenti artiginali usati dalla corrente artistica Art & Craft.
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3 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi,Milano, pag. 14. Teorici e artisti insistettero maggiormente su una strenua difesa in cui tutte le arti dovevano ispirarsi ad un periodo storico idealizzato (fra Tardo Gotico e Quattrocento Italiano).
le forme, ispirato dalla dinamicità e al profondo vitalismo della natura. A questo proposito, l’architetto inglese Owen Jones4 condusse un’indagine sistematica sui motivi formali degli ornamenti nell’arte di tutto il mondo, 4 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi,Milano, pag. 14. Egli aveva affermato che “la bellezza della forma è prodotta da linee nascenti l’una dall’altra in ondulazioni graduali”.
in particolare studiò le configurazioni presenti nella natura vegetale, analizzandone come forme geometriche a sé stanti, nell’intento di scoprire le leggi che organizzano la struttura delle figure5. Alla base di questa teoria dell’ornamento e del disegno su cui esso si fondava, stava una tecnica grafica il 5 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi,Milano, pag. 14.
Sopra e Sotto: Owen Jones, studi di composizione naturalistica, 1856.
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Sinistra: Walter Crane studi di grafica editoriale 1899. Centro e Destra: Walter Crane studi tra testo e illustrazione 1899.
cui intrinseco linearismo fu espresso da Walter Crane6, che approfondì il rapporto tra testo e illustrazione nella grafica editoriale. Crane vedeva nella linea il fondamento primario del disegno: “Linea determinante, linea enfatizzante, linea delicata, linea espressiva, linea che controlla e che unisce”7, con ciò, sviluppò la costruzione di patterns fondati 6 www.treccani.it, il portale del sapere. Walter Crane è stato un pittore e illustratore inglese operante durante il periodo della Art & Craft. 7 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007,Longanesi, Milano, pag.16.
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su forme elementari come il quadrato o il cerchio, distinguendo tra composizione “grafica”8 e composizione “decorativa”9. Da queste teorie, artisti, disegnatori ed architetti iniziarono a guardare con interesse le figurazioni presenti in natura, individuando le norme che ne regolano i principi strutturali per applicarle nelle loro opere come elementi costruttivi e ornamentali. Uno tra questi fu William Morris, una 8 Che comporta una forma plastica e descrittiva, caratterizzata da sfumature a tratteggio. 9 Puramente bidimensionale.
figura carismatica, che operò nel settore del design e della grafica. Nella produzione di mobili e suppellettili varie, Morris si dedicò anche al disegno di tappezzerie e carte da parati, nella quale intrecciava motivi vegetali e floreali badando a costruire figurazioni leggere, sottili e prive di spessore, secondo tecniche ben precise: La ricerca dell’intreccio decorativo perfettamente equilibrato tra pieni e vuoti. L’annulamento del naturalismo a favore dell’elemento simbolo bidimensionale. Il raffinato rapporto cromatico tra soggetto e sfondo. Il contrasto del bianco e nero nella pagina stampata fino a raggiungere l’ambivalente valore grafico del negativo e positivo.
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Sopra: William Morris, Carta da Parati,1874. Sotto: William Morris, Bozzetto naturalistico,1860. Pagina accanto: William Morris, studi per bordure,1871
Dinanzi a queste sperimentazioni l’artista fondò nel 1861 la prima delle sue imprese: la Morris Marshall Faulkner10. Sebbene fossero severi fautori del lavoro artigianale, gli artisti aderenti al movimento, con il tempo accettarono di collaborare con un’industria specializzata nella produzione di carte da parati, la Jeffrey & Co. Nel complesso, l’infaticabile ricerca di William Morris portò in definitiva la produzione di tessuti secondo criteri decorativi e ornamentali del tutto innovativi, influenzando tutta l’attività grafica delle generazioni future, compiendo il primo passo per un rinnovamento delle arti applicate e per lo sviluppo del design, in senso contemporaneo. L’ultima delle sue imprese, fu la fondazione della Kelmscott Press nel 1890, dove Morris (già cinquantaseienne) realizzò libri e stampe 10 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007,Longanesi, Milano, pag.18. Impresa orientata a un’attività di belle arti, incisioni, grafiche, produzioni di mobili e metalli, con la collaborazione di tutti gli amici della sua schiera.
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Sotto: Logo della Kelmscott Press, 1890. Centrale: William Morris, frontespizio del suo volume News From Nowhere con xilografie di C.M. Gere, 1892.
rare. Grandissimo cultore della scrittura e dei libri medioevali, iniziò la produzione di questi libri disegnando pagine miniate con scrittura corsiva; inoltre si dedicò all’attività tipografica con un’ispirazione ai caratteri del Quattrocento Italiano, prediligendo i caratteri latini, e veneziani, e ne creò alcuni molto noti: GOLDEN TYPE TROY CHAUCER Oltre ad un puntiglioso ridisegno dei caratteri, in Morris c’è lo sforzo di creare un rapporto equilibrato fra testo e immagini, con una composizione armonica che coniughi arte tipografica, ornamento e interpretazione artistica. Tuttavia, la caratteristica principale della produzione di Morris fu la riproduzione seriale degli oggetti, determinata da una produzione eclettica, ariosa, molto più moderna
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dell’industria del tempo; nonostante questo, fu destinata a fallire per i suoi costi elevati e per l’impossibilità di distribuire i suoi prodotti ai vari strati sociali. Dal punto di vista tecnico però, fu l’inizio di un progresso progettuale, artistico e culturale dove l’artista ispirò nei secoli milioni di grafici a sperimentare nuove possibilità visive tra l’arte e la comunicazione visiva.
Sopra: William Morris, Golden Type, Troy e Chaucer, 1890, 1892, 1896 Sotto: William Morris, Studio monogramma con il suo font Chaucer,1896.
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Nella storia del design grafico moderno, i designer hanno fatto ricorso a elementi del passato tramite il pastiche sia per rievocare l’estetica di un dato periodo sia come approccio filosofico. Infatti, William Morris fu uno dei primi che s’ispirò al gotico medioevale per le edizioni della Kelscott Press. Il pastiche imita le opere precedenti
d’altri artisti, spesso a scopo satirico o come miscuglio di parti contrastanti. A questo proposito si pone un dubbio: Perché mai le proposte progettuali di design grafico dovrebbero fare uso del pastiche? “GLI ELEMENTI STORICI RIEVOCANO
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L’ESTETICA DI UN PERIODO”1 Prendendo a prestito peculiarità stilistiche del passato si utilizzano codici familiari con rischi molto limitati. Questi vengono ulteriormente elaborati per sfruttare al meglio un certo surrogato nostalgico rivolto a sensibilità estetiche spesso diffuse molto tempo 1 S.Heller e V.Vienne, 100 Idee che hanno rivoluzionato il Graphic Design, 2012, Logos, Modena, pag.16.
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prima della nascita del pubblico (target), suscitando un richiamo primordiale che il potere del pastiche riesce a evocare. A volte i brand hanno bisogno di apparire nuovi ma, allo stesso tempo familiari, quindi il pastiche coniuga questi aspetti contrastanti, dotando i nuovi brand di un immediato patrimonio di eredità dal passato e fornendo a quelli vecchi l’opportunità di evidenziare le proprie origini e la propria autenticità.
Pagina accanto: The Works of Geoffrey Chaucer (1896), stampato da William Morris per la Kelmscott Press, è l’opera più conosciuta dall’artista. Il carattere Chaucer fu disegnato specificamente per questo libro. Le Xilografie di Edward Burne-Jones (1833-1898) sono una perfetta incarnazione di quella che i preraffaelliti consideravano la suprema forza morale dell’illustrazione medioevale. Sopra: Il packaging della birra Chocolate Beer (2008) è ispirato all’estetica del XIX secolo dei caratteri tipografici di legno e dei cartigli vittoriani. Destra: Old Advertising Cuts From A-Z (1989), pubblicato e curato da Charles Spencer Anderson per la French Paper Company, utilizzava clichè pubblicitari degli anni ‘20 e ‘30, trasformando immagini nostalgiche in un linguaggio visivo contemporaneo.
Per alcuni designer il viaggio nel passato della grafica può essere una prassi cinica e ripetitoria. Considerare gli artefatti del passato come fossero una materia prima, infine, resta il fatto che il pastiche storico è utile per comunicare sinteticamente codici specifici, utilizzati per manipolare la percezione del consumatore e suscitare una reazione. Tra i vari esempi d’uso di questi stili e delle loro implicazioni figurano:
Vittoriano = storico Costruttivismo = rivoluzionario Bauhaus = progressista Stile Internazionale = eccentricità Post-Modernismo = alla moda.
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Litografia di Londra durante la Rivoluzione Industriale e l’urbanesimo, 1890.
Nel periodo più intenso della Rivoluzione Industriale, gli aspetti che hanno cambiato la grafica da forma di sperimentazione artistica, a principale forma d’informazione furono demografici1, produttivi2 e dei servizi3, portando la società a sentirsi per la prima volta massa.
la grafica pubblicitaria, per la prima volta, trovò uno spazio sempre in crescita e il manifesto giocò un ruolo primario generando una vitalità compositiva e figurativa al design. Con ciò l’elemento circense e spettacolare del commercio aumentò in modo straordinario, imponendo ai prodotti 1 Concentramento delle fabbriche intorno ai principali centri urbani, portando maggior impiego rispetto alle campagne. 2 La vertiginosa crescita della produzione industriale dilatò sempre più i mercati, provocando una crescita dei consumi. 3 Incremento del settore dei trasporti, comunicazioni e della domanda rinnovando la moda, gli ambienti domestici e la forma degli oggetti e delle immagini.
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ESALTANDO LA STILIZZAZIONE, LA RICERCA FORMALE E LA FUNZIONE SIMBOLICA I “DESIGNER” PORTARONO ALL’AFFERMAZIONE DEL DESIGN GRAFICO QUALE MEDIUM ADATTO NON SOLO A COMUNICARE NUOVE IDEE, MA ANCHE AD ESPRIMERLE.
dei grandi magazzini, come ai piccoli negozi l’esigenza di darsi un’immagine ben definita che andava dall’allestimento della vetrina, alla fantasia dell’insegna e alla necessità di richiamare l’attenzione dei consumatori sulle caratteristiche e sui prezzi dei prodotti in vendita, dando vita ad un vasto sistema di comunicazione visiva di massa, nella quale la grafica pubblicitaria, per la prima volta, trovò uno spazio sempre in crescita e il manifesto giocò un ruolo primario generando una vitalità compositiva e figurativa al design. L’esperienza delle Art & Craft, diede nuovi ed originali stimoli ai movimenti artistici dell’epoca, quali Art Nouveau in Francia, Jugendstil in Germania, Secessione in Austria, Modern Style in Inghilterra e Scozia e Liberty in Italia. Interpretando e fondendo la produzione artigianale a quella in serie, le correnti artistiche diedero vita alla nuova cultura industriale e urbana in rapida ascesa già Sotto: Londra durante la Rivoluzione Industriale. Trasporto dell’epoca, con prime insegne pubblicitarie dinamiche, 1901. Pagina accanto: La Grande Onda, illustrazione naturalistica di Katsushika Hokusai, 1826
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a partire nel primo ‘900. Uno dei caratteri principali delle correnti artistiche fu l’interpretazione figurativa tramite il linearismo4; con ciò, l’artista belga Henri Van Del Velde insisteva sul concetto: ”la linea è una forza che agisce in modo sinuoso 4 Da www.treccani.it, il portale del sapere. Con linearismo si intende una particolarità generalmente attribuita ad arti figurative che si basa sulla maggior consistenza espressiva e fisica della linea sul colore e sul chiaroscuro; si ottiene quindi una definizione più chiara e netta della forma, a discapito di un senso di profondità non più chiaramente espresso. In quanto tendenza artistica si sviluppa attorno al XV secolo, annoverando tra i suoi esponenti alcuni tra i maggiori artisti della pittura contemporanea.
e scattante, trova la sua diretta origine nella forte inclinazione al naturalismo della cultura grafica e pittorica dell’epoca, non chè nell’influsso esercitato dall’arte giapponese”5. Infatti, i movimenti artistici si contrapponevano al realismo dell’impressionismo, esaltando maggiormente la stilizzazione, la ricerca formale e la funzione simbolica, evidenziando la parte estetica e decorativa nella grafica applicata a
5 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007,Longanesi, Milano, pag.29,30. I caratteri del Liberty.
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Sinistra: Henri Van de Velde, Manifesto per la Tropon, 1898. Pagina accanto, sopra sinistra: Manifesto per sigarette Job, Alphonse Mucha, 1896. Pagina accanto, sotto sinistra: Manifesto per il Moulin Rouge, Henri de Toulouse-Lautrec, 1891. Pagina accanto, sopra destra: Manifesto per la Wiener Werkstatte, Josef Hoffman, 1905. .
tutti i generi di arte6, portando all’affermazione del “graphic design” quale medium adatto non solo a comunicare le nuove idee, ma anche ad esprimerle, anticipando e ispirando così, le generazioni future. In tale prospettiva, le correnti artistiche si presentarono come uno stile moderno, mirante a superare lo storicismo e l’eclettismo della vecchia cultura ottocentesca, in nome di un nuovo ideale di bellezza e di un’adesione profonda alla natura, intesa non come 6 Architettura, pittura, arredamento, oreficeria, arte del vetro.
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modello da imitare, ma come realtà da cogliere nella sua profonda vitalità, nel rigoglio della crescita organica della materia vivente, anche tramite alla geometrizzazione dei motivi floreali (tipica di molti artisti) intesa come un’interpretazione astratta dell’energia che anima tutte le cose. Artisti come Toulouse-Lautrec, Alphonse Mucha, Kolo Moser, Charles Renne Mackintosh, Jules Cheret, Eugene Grasset, Marcello Dudovich, Aleardo Terzi ed altri portarono il nuovo stile nel design grafico, contribuendo così (ognuno a suo modo), a
dare alla grafica lo status d’arte seria. A mano a mano che l’istruzione diventava un diritto universale, la domanda di materiale stampato cresceva, di conseguenza, lo sviluppo della pubblicità alimentò quella dei giornali e riviste, dando origine ad una ferrea produzione di manifesti, “magazine” e libri, assumendo sempre di più il carattere di mezzo di comunicazione di massa, sia perchè i messaggi erano diretti ad un pubblico sempre più vasto, sia perché le nuove tecniche di stampa ne consentivano oramai la più ampia diffusione.
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Sinistra: Manifesto per lo spettacolo Gismonda di Sarah Bernhardt, Alphonse Mucha, 1896 Sopra: Manifesto Troupe de M.lle Eglantine, Henri de Toulouse-Lautrec, 1896.
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Sinistra: Manifesto per la Martini, Vermouth Bianco, Marcello Dudovich, 1902. Sopra: Manifesto per l’azienda Mele, Aleandro Terzi, 1908.
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Sopra sinistra: Margaret Macdonald, disegno per menĂš per il locale di Glasgow “The White Cockodeâ€?, 1901. Sotto sinistra: Manifesto per la Mataloni pillole, Aleadro Terzi, 1902. Destra: Manifesto della Secessione, Josef Hoffman, 1901. Pagina 38: Manifesto per Mele, Marcello Dudovich, 1908.
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La circolazione delle informazioni e delle idee furono affidate alle pubblicazioni periodiche, suddivise tra fogli quotidiani, ebdomadari e riviste specializzate, queste si diffusero con grande rapidità nel mondo occidentale (spesso vivendo una vita effimera) incanalando e dando forma a una bruciante ansia di comunicazione nella quale la dinamica dell’economia, della cultura e della politica trovarono il proprio spazio vitale, e in molti casi fu la garanzia di progresso. I grandi manifesti illustrati a colori comparvero lungo le strade delle
principali città europee, le tecniche di stampa, continuamente aggiornate, accrescevano non solo la tiratura, ma anche le possibilità di delineare nuovi modelli estetici: la xilografia, fino a quel momento rimasta in ombra, ritrovò la sua funzione grazie alla capacità di esprimere delicati rapporti visivi (come quelli tra positivo e negativo o tra pieno e vuoti), la litografia, dal canto suo conobbe un rapido sviluppo, il processo fotolitografico era preferito da molti artisti, ma poneva limiti alla coloritura e alla qualità delle superfici (da ricordare Cheret, che come
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Sinistra: Rivista “L’Illustration”, 1912 Destra: Dalla rivista “Leslie’s Weekly”, prova impaginazione con testo e fotografia, 1902. Centrale: Forntespizio per “Ecce Homo” di Nietzsche, Henri Van de Velde, 1908. Pagina 40: Doppia pagina della rivista “Le Vie au Grand Air”, dedicata allo sport, 1908.
pochi altri, disegnavano direttamente sul supporto fotolitografico)7, l’avvento del clichè al tratto e della rotativa nel 1870 e della monotype nel 1889, nonché quella del clichè retinato nel 1890, della serigrafia nel 1907 e del rotocalco nel 1910 diedero in mano ad artisti e disegnatori possibilità tecniche fino ad allora sconosciute, ciò spiega come mai (dal punto di vista della cultura grafica) le riviste8 rap7 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag.28. Sezione “I caratteri del Liberty”. 8 B.Cotton, Professione Graphic Designer, 1991, Ikon editrice srl, Milano, pag. 14,15. Il formato, il disegno della testata, l’organizzazione della pagina, il rapporto tra immagine e testo ponevano problematiche che mettevano in gioco le competenze tecniche dei disegnatori e le loro capacità creative. Con ciò le pubblicazioni periodiche formarono nel loro insieme un variegato sistema d’informazioni e di sperimentazioni che rappresentarono la base della vitalità nella grafica moderna.
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presentarono nel XX secolo un campo aperto a nuove sfide. Un’altra importante innovazione che determinò l’evoluzione dell’arte e della comunicazione visiva fu la fotografia9, dove in questo periodo furono acquisite tutte le maggiori scoperte chimiche necessarie ad una soddisfacente realizzazione tecnica, con il quale si aprirono nuove esperienze linguistiche, sviluppando una vera e propria industria che interagì con la stampa, promuovendo una maggiore diffu9 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag. 38,39. Intorno al 1840 il procedimento fotografico era già stato in gran parte definito dalle invenzioni di Niepce e Da guerre in Francia e di Fox Talbot in Gran Bretagna. Per la prima volta nella storia fu possibile registrare la realtà, o ricordare il passato, non solo con il testo scritto o l’immagine disegnata e dipinta, ma anche per mezzo di una tecnica di riproduzione fedele al vero. Questo traguardo rappresentò il passaggio alla modernità. Da ricordare i primi fotografi che contribuire all’evoluzione del mezzo, quali: Nadar, Muybridge, Emerson e Stieglitz.
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sione delle immagini, portando l’editoria moderna ad un grande sviluppo che si diffuse in tutto il mondo, rendendo la fotografia, a sua volta, una forma d’arte autonoma. Scienza e tecnologia esercitarono un influsso sempre più diretto sull’arte e sul design, basti pensare alle teorie sul puntinismo, alla fotografia a colori e alla stampa a colori, oppure all’effetto dell’energia a vapore, della luce a gas ed elettrica su artisti tanto diversi fra loro come Turner, Degas e Toulouse-Lautrec. Reciprocamente le nuove tecnologie posero dei dubbi riguardo alla metodologia d’assumere nelle opere grafiche, in quanto più tecnico andava il settore, più c’era il bisogno di formare un ramo sempre più specializzato, di conseguenza, per ogni diversa fase del processo di creazione e stampa, si formava uno specialista in grado di gestirla: Disegnatori e fonditori di carattere, compositori, impaginatori, stampatori, rilegatori, editori avevano il proprio ruolo, ma le loro responsabilità si estesero molto, portando creatività e progetto a un fertile punto di tangenza. Per la prima volta s’introdusse l’idea di stabilire un concetto di disegno che esprimesse al meglio
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l’intrinseca matrice progettuale nella grafica, fondata (come il progetto architettonico) su criteri di misurate geometrie e di calcolatissimi rapporti spaziali, dove la linea era in grado di organizzare con la massima efficacia e creare un rapporto tra linguaggio verbale e visivo rendendo omogenei i due campi, facendo della scrittura stessa immagine, o meglio, una componente insostituibile del messaggio visivo, contribuendo a facilitare, e a rendere più rapide la comunicazione visiva e a ispirare il grafico.
Kolo moser, Studio grafico per manifesto per la XII mostra della Secessione, 1902. L’eredità del Passato / Il Design che prende vita al tempo del Liberty
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Destra:
Copertina per libro, Kolo Moser, 1902. Sotto: Confezione Kusmi Tea, 2008. Questa marca produttrice di tè in perfetto stile russo fu fondata nel 1867 da Pavel Michailovic Kousmichoff, a San Pietroburgo, Russia.
La decorazione non è intrinsecamente né giusta né sbagliata, anche se viene troppo spesso applicata per nascondere prodotti malfunzionanti e idee inefficaci; essa può esaltare un prodotto se usata con serietà, illuminando il contenuto invece di oscurarlo. I decoratori sfruttano al meglio il fascino della bellezza per evocare un certo tipo di piacere. I critici hanno affermato che le decorazioni dell’Art Nouveau su edifici e mobili e anche nel design grafico raramente miglioravano la funzionalità o la curabilità di un prodotto, e anzi, vincolavano ogni singolo oggetto alla propria epoca, rendendolo nel tempo inesorabilmente obsoleto. Tuttavia, gli ornamenti possono anche far parte integrante dello schema progettuale.
La buona decorazione è quella che funge da cornice a un prodotto o un messaggio. È una combinazione di forme (colori, linee, motivi, lettere, immagini) che non veicola un messaggio letterale, ma serve a stimolare i sensi. I peggiori eccessi della decorazione non sono di certo i bordi o i motivi barocchi di piante rampicanti e viticci che
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infarciscono i classici manifesti o i libri dell’Art Nouveau; al contrario, sono quelli che nascono dall’applicazione superficiale di dettagli anacrostici privi di qualsiasi natura funzionale. Il nuovo secolo, grazie alla semplicità con cui si realizzano complesse composizioni decorative al computer, ha vissuto un revival delle tendenze ornamentali del passato e anche delle più recenti; il culto dei “ghirigori” (l’Art Nouveau dei nostri giorni), si è insinuato ovunque nel design, dai caratteri tipografici e manifesti fino al
“packaging”. Alcuni sono sorprendenti in quanto a qualità artigianali e artistiche, eppure alcuni design sono semplicemente eccessivi, una sovrabbondanza di tralci e viticci che attendono solo di essere potati.
Destra: National Poetry Month, 2010. Manifesto disegnato da Marian Bantjes, presenta figure caleidoscopiche che ruotano sotto un cielo coperto di stelle, con scritte a mano tratte dalla poesia di Wallace Stevens. Soliloquio finale dell’amante interiore.
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Il Liberty non si limita solo a motivi sinuosi. In Inghilterra, Scozia, Austria e Germania, i protagonisti del movimento erano interessati nell’angolarità almeno quanto le linee curve, e utilizzarono i quadrati come motivo centrale in molti esperimenti. In questi paesi, le pubblicazioni dal formato quadrato erano considerate d’avanguardia: compatto, solido e senza difetti, il quadrato era considerato una forma pura e fu celebrato come il definitivo motivo anti-borghese. Le riviste nel periodo dell’Art Nouveau che adottarono il formato quadrato riuscirono a far apparire essenziali e austeri perfino i design più decorati. Il quadrato si rivelò una forma provvi-
denziale, l’unica in grado di accogliere nel suo perimetro ordinato i layout più stravaganti. Nel periodo del dopo guerra, il formato quadrato fu ripescato sfruttando al meglio la sua versalità, creando dal 1918 al 1932 alcune tra le più affascinanti grafiche di copertina mai prodotte fino ad allora, infatti la sua forma divenne un simbolo di modernità per oltre un secolo. La forza del quadrato sta nel fatto che esso può essere ruotato in qualsiasi direzione senza perdere la sua efficacia estetica. Con ciò numerosi libri d’arte hanno adottato il formato quadrato, con la forma insolita della copertina a segnalare spesso la natura artistica del loro contenuto. A differenza dei libri L’eredità del Passato / Il Formato quadrato
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quadrati, le riviste di questo formato sono state molto rare e hanno mantenuto sempre un’aurea d’esclusività. Utilizzando una griglia orizzontale su un formato quadrato nella grafica editoriale, il risultato e l’impatto sarà sempre vincente. Oggi i formati quadrati sono popolari tra gli editori nel settore del design e dell’architettura, in quanto, il quadrato resta pur sempre un simbolo d’intransigente vitalità e modernità.
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Pagina accanto: Ver Sacrum, 1899, fu la rivista ufficiale della secessione di Vienna, movimento artistico caratterizzato da motivi quadrati e design geometrici. Allo stesso tempo, l’elegante pubblicazione in formato quadrato introdusse anche lo Jugendstil e i suoi motivi decorativi Art Nouvea. Destra: Graphic Diagrams numero 165, 1974. Volume quadrato a cura di Walter Herdeg, rappresentò un sorprendente passo avanti rispetto al classico formato rettangolare delle riviste. Altrettanto inconsueto era l’argomento trattato, ovvero la visualizzazione dei dati astratti. Spesso i formati quadrati sono un segnale della volontà di distinguersi.
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Durante i venti anni successivi alla seconda guerra mondiale, la progettazione grafica si sviluppò in un modo molto interessante, dove ancora oggi permane lo stile grafico nell’immaginario collettivo di molti “designer” odierni. Dopo l’orrore e il disastro della II Guerra mondiale, ci fu un vero sentimento d’idealismo tra i “designers” nel mondo (e certamente di più in Europa), personaggi del calibro di Herbert Bayer, Josef Bayer, Lazlo Moholy-Nagi, Max Bill, Hans Neuburg, Otto Neurath, Adrian Frutiger, Paul Rand, Carlo Vivarelli e Saul Brass e molti altri, furono i protagonisti assoluti di quest’innovazione progettuale, artistica e culturale. Secondo il teorico Rick Poynor: “per progettisti grafici, il design faceva
Sopra: Paese in macerie dopo la II Guerra Mondiale, rivista Life, 1946.
Il design faceva parte di quel bisogno di riedificare, di ricostruire, rendere le cose più aperte, farle funzionare meglio, essere più democratici, questo era il vero senso di responsabilità sociale. L’eredità del Passato / Un Sentimento di responsabilità
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parte di quel bisogno di riedificare, di ricostruire, rendere le cose più aperte, farle funzionare meglio, essere più democratici, questo era il vero senso di responsabilità sociale”1, di conseguenza la comunicazione visiva si posizionò al centro di complesse strategie sociali, culturali, tecnologiche e di mercato su cui si gettarono le basi per la costituzione del progetto grafico in disciplina autonoma e in un settore professionale sempre più definito, causato dal rapido passaggio dell’economia oc1 Testo tratto dal documentario di Gary Hustwit, Helvetica, 2007, Stati Uniti.
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cidentale da un modello basato sulla produzione di beni strumentali a un altro orientato verso la produzione di beni di consumo, diretti a un mercato sempre più planetario dove l’immagine delle merci e il loro messaggio furono il fulcro di uno sviluppo che avrebbe interessato tutto il mondo. Questa evoluzione fu originata dalla stessa società, che diede vita a una febbrile dinamica di gruppi e istituzioni pronti ad appellarsi alla collettività per il raggiungimento di obiettivi consolidati. Al progettista grafico gli fu affidato il compito di diffondere nuovi valori
estetici, progetti sociali, informazioni di carattere generale, richiami a comportamenti generalizzati e a conoscenze d’interesse comune.
Sopra: Manifesto per la compagnia aerea Swissair, Carlo Vivarelli, 1948.
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Prima sinistra: Manifesto pubblicitario per Gosizdat, Aleksandr Rodcenko, 1924. Centrale sinistra: Insinua nei bianchi il cuneo rosso, El Lissitzky, 1919. Sotto sinistra: Manifesto per l’esposizione del Bauhaus, Joost Schmidt, 1923.
Con ciò, le sperimentazioni delle avanguardie storiche del passato (Bauhaus, Costruttivismo Russo, Modernismo) cominciarono ad essere affrontate, razionalizzate e codificate, tali esperimenti si concentravano all’interno di un’ampia filosofia della progettazione grafica in cui si privilegiava un uso obiettivo di testo e immagini ai fini di una presentazione chiara, semplice e funzionale. Il processo creativo era strettamente influenzato dagli aspetti scientifici dell’arte, della geometria e della matematica; quest’ultima doveva essere alla base d’ogni forma espressiva e l’arte era da considerare “la pura espressione delle leggi e della misura dell’armonia”1, dove l’uso insistente delle figure geometriche primarie (come forme 1 V.Pasca e D.Russo, Corporate Image: un secolo d’immagine coordinata dall’AEG alla Nike, 2005, Lupetti, Milano, pag.22
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Il processo creativo era strettamente influenzato dagli aspeti scientifici, geometrici e matematici dell’arte.
Sotto: Bozzetti per lo studio scientifico/matematico delle forme e dei colori, Max Bill, 1950.
cariche di significati) tendevano alla definizione di uno spazio del tutto oggettivo (perfettamente misurabile e descrivibile, e il colore usato in modo sistematico: “il suo effetto dipende dalla quantità, dalla posizione, dalla forma, dalla ricorrenza, dallo sfondo, dalla riflessione e così via, ma proprio per questo ogni sua opera mirava alla costruzione di un sistema fondato su leggi scientifiche; sperimentazione attraverso la continua variazione di un unico tema”2. Questo stile emerse sotto il nome di Stile Internazionale o Stile Svizzero, e furono proprio i designer svizzeri degli anni ’50 a guidare la carica sviluppando composizioni tipografiche sulla base di gabbie perfettamente articolate e sulla combinazione con una struttura logica e gerarchica 2 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag.177. Tratto dal paragrafo “Il modello scientifico della comunicazione visiva”.
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dell’informazione, dando luogo a uno stile asimmetrico, armonioso ed estremamente leggibile, denominato come la “Neu Graphik”3. A questo proposito il designer svizzero Hans Neuburg scriveva: ”A nostro parere, grafica significa che di volta in volta si ricostruisce, ovvero rinasce dalla materia medesima. Essa non lavora con ricette della tradizione o della 3 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag.176,177. “Nuova Grafica”, essenzialmente fondata sull’idea che la forma deve scaturirne da un sistema, cioè da una visione razionale e calcolata delle relazioni che intercorrono tra gruppi ben definiti di componenti del disegno e della comunicazione.
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Sopra: Manifesti, Hans Neuburg, 1958. Pagina accanto: Manifesto per una gara automobilistica, Max Huber, 1957.
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Sopra sinistra: esempi di griglia modulare. Sotto: Helvetica font, 1957. Pagina accanto: Univers font, 1957.
scuola, ma sviluppa i propri elementi operando sulla base dell’oggetto per il quale interviene. In rapporto all’oggetto da rappresentare e della superficie o dello spazio a disposizione il grafico formula un progetto affine a quello architettonico”4. Questa nuova grafica si concentrava su sei caratteristiche progettuali: Griglia Modulare (derivazione mate4 D.Baroni e M.Vitta, Storia del Design Grafico, 2007, Longanesi, Milano, pag.177. Tratto dal paragrafo “Il modello scientifico della comunicazione visiva”.
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matica) Massima Semplificazione Formale (assenza di decorazioni) Caratteri Senza Grazie (prevalentemente Helvetica e Univers) Impostazione Asimmetrica (composizione del testo a bandiera con allineamento a sinistra) Ampi Spazi Bianchi (in contrasto con quelli pieni nell’equilibrio compositivo della pagina) Fotografia Obiettiva (immagini realiste, il più delle volte in bianco e nero) Un altro approccio scientifico invocato come supporto al progetto grafico fu
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la psicologia della Gestalt5, Sebbene diretta soprattutto alla sfera dell’arte, il peso che essa ebbe sulla grafica occidentale negli anni ’50 e ’60 fu notevole. Per la prima volta le leggi della visione furono poste alla base del progetto delle immagini destinate a svolgere un ruolo ben definito nella dinamica sociale quotidiana, assicurando l’esatta comprensione del loro messaggio.
5 R.Arnheim, Arte e Percezione Visiva, 2008, Feltrinelli, Milano, pag.30,31. La psicologia della Gestalt (dove la parola tedesca Gelstat significa forma, schema, rappresentazione), detta anche psicologia della forma, è una corrente psicologica riguardante la percezione e l’esperienza che nacque e si sviluppò agli inizia del XX secolo in Germania, per poi proseguire la sua articolazione negli Stati Uniti. L’idea portante dei fondatori della psicologia della Gestalt, che il tutto fosse diverso dalla somma delle singole parti, in qualche modo si opponeva al modello dello strutturalismo, diffusosi dalla fine dell’Ottocento, ed ai suoi principi fondamentali, quali l’elementarismo. E da qui la famosa massima: “Il tutto è più della somma delle singole parti”.Le teorie della Gestalt si rivelarono altamente innovative, in quanto rintracciarono le basi del comportamento nel modo in cui viene percepita la realtà, anziché per quella che è realmente; quindi il primo pilastro della teoria della Gestalt fu costruito sullo studio dei processi percettivi e in una percezione immediata del mondo fenomenico. Il modello teorico della Gestalt riguardante il pensiero si oppose a quello comportamentista, secondo il quale gli animali risolvevano le problematiche con un criterio costituito da tentativi ed errori, proponendo invece un criterio di spiegazione formato dal pensiero, dalla comprensione e dall’intuizione.
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Sopra: La psicologia della Gestalt rapportato alla grafica. Pagina accanto: Manifesto a favore degli anziani, Carlo Vivarelli, 1949.
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Dal punto di vista progettuale ci furono grandi innovazioni sul metodo didattico nelle scuole dell’epoca. Negli Stati Uniti si formò una scuola con le stesse sembianze e impostazioni della storica scuola del Bauhaus di Dessau. La New Bauhaus di Chicago fu la riapertura del pensiero modernista applicato al progetto negli Stati Uniti (principalmente indirizzato nel settore industriale). A differenza della prima scuola, questa introdusse nuove metodologie progettuali, nei corsi di base ci fu l’introduzione di studi tecnologici: L’uso di strumenti e macchine. Proprietà fisiche e strutturali dei materiali. Caratteristiche di superfici e textures. Peculiarità dei volumi. Spazio e Movimento.
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Sopra: Laszlo Moholy-Nagy insieme ai suoi studenti alla New Bauhaus di Chicago, 1945. Sotto: Esposione dei progetti degli studenti della New Bauhaus di Chicago, 1945.
Sopra e sotto: Studenti di Laszlo Moholy-Nagy, sperimentazioni fotografiche, 1940-45.
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Inoltre: arte, colore, fotografia e modellazione. Si sperimentava sulle strutture tattili, sull’approccio organico, esperimenti sui tessuti e sul compensato curvo in maniera che lo studente poteva comprendere tutte le conoscenze consone al progetto grafico e non.
Sopra: Space modulator, Laszlo Moholy-Nagy, 1935. Centrale e sotto: Studenti di Laszlo Moholy-Nagy, sperimentazioni grafiche/fotografiche, una utilizzando il compensato curvo, 1955.
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Sopra, centrale e sotto: La struttura della scuola di ulm, e varie fotografie durante lezioni, e sviluppo progetti.
Un’altra scuola che contribuì all’affermazione dello stile funzionale e razionale del progetto grafico fu la scuola di Ulm. L’intento della scuola era quello di formare specialisti per i due settori decisivi della moderna civiltà tecnica: la progettazione dei prodotti industriali (sezione disegno industriale e sezione editoria), e la progettazione dei mezzi di comunicazione visiva e verbale (sezione comunicazione visiva e sezione informazione). Inoltre, ci fu una curiosità verso nuove discipline: La cibernetica La teoria dell’informazione La teoria dei sistemi La semiotica
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L’ergonomia La filosofia della scienza La logica matematica. Con ciò, la scuola inziò ad applicare queste scienze a lavori aziendali, soprattutto nel campo della “Corporate Image”, stabilendo uno standard mondiale nella strutturazione sistematica e funzionale dei progetti. Chiusa nel 1968, questa scuola lasciò in eredità un metodo didattico vincente al lavoro progettuale.
Destra e pagina accanto: Manifesti per l’immagine coordinata delle olimpiade di monaco, 1972.
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Nella storia della grafica moderna del XX secolo, alla griglia è stato riconosciuto uno status quasi sacrale: l’invenzione grafica del secolo. Fu lo Stile Internazionale svizzero, caratterizzato da layout e caratteri disposti rigorosamente in base alle griglie a dominare gli anni ’50 e ’60. Lanciata come vera e propria panacea per risolvere i problemi di chiarezza nel design grafico, piuttosto che come semplice strumento organizzativo e compositivo, infatti la griglia divenne oggetto d’odio e amore. Era amata perché garantiva ordine dove regnava il caos e odiata in quanto confinava deliberatamente i “designers” all’interno di rigidi vincoli. La verità sta nel mezzo. Il designer svizzero Josef Muller-Brockmann1 ammoniva: “Il si-
Sotto: Grid Systems in Graphic Design (1961), scritto e curato graficamente da josef Muller-Brockmann, è uno dei manuali sul metodo dei sistemi a griglia dello Stile Svizzero..
1 S.Heller e V.Vienne, 100 Idee che hanno rivoluzionato il Graphic Design, 2012, Logos, Modena,
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Una griglia ci aiuterà guidando l’attenzione dell’utente, organizzando la disposizione dei pieni e vuoti, garantendo pulizia e coerenza attraverso gli allineamenti e le definizioni dei formati dimensionali.
stema a griglia è un aiuto, non una garanzia. Consente una serie di diversi utilizzi e ogni designer può cercare una soluzione appropiata al suo stile personale. Ma bisogna imparare come utilizzare la griglia: si tratta di un’arte che richiede esercizio”. La nozione arte è fondamentale. Per evitare di usare la griglia come un modello a cui tutto si appiattisce, bisogna compiere scelte di natura estetica e concettuale. Per suscitare interesse visivo tramite la griglia non basta allineare gli elementi, bisogna assumere attivamente decisioni progettuali. “La griglia, come ogni altro strumento nel processo progettuale, non ha valore assoluto. Deve essere usata con flessibilità, e se nepag.146. Autore di Grid System in Graphic Design (1961).
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cessario modificata o abbandonata del tutto per una soluzione più praticabile”2. La griglia unisce invisibilmente
tutti gli elementi tra loro con estrema precisione, stringendoli in una morsa rigida anche se non soffocante. La funzionalità era il segno distintivo dei design con sistema a griglia, e pochi designer la perseguirono con la stessa efficacia del ceco Ladislav Sutnar3, le sue peculiari strutture a griglia consentivano all’utente di indivi2 S.Heller e V.Vienne, 100 Idee che hanno rivoluzionato il Graphic Design, 2012, Logos, Modena, pag.146. Ha scritto Allen Hurlburt in The Grid: A Modular System for the Design and Production of Newspaper and Books, (1982). 3 S.Heller e V.Vienne, 100 Idee che hanno rivoluzionato il Graphic Design, 2012, Logos, Modena, pag.146. Come consulente di design per l’azienda produttrice di cataloghi F.W Dodgem egli ricevette l’incarico di ideare un sistema di esposizione delle informazioni che fosse il più chiaro possibile.
Manifesto di Josef Muller-Brockmann, 1960.
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duare facilmente gli oggetti e i dettagli corrispondenti come prezzi e dimensioni, in questo modo la griglia può diventare versatile quanto il designer che la utilizza e graficamente coinvolgente quanto il messaggio che veicola. Con ciò si pone il quesito che oggi, fare design grafico non significa semplicemente produrre immagini di qualità, un progetto graficamente interessante, spesso visualmente attraente, non si fonda solo sulla bellezza delle immagini ma anche sugli effetti dinamici ottenuti organizzando con cura pieni e vuoti, blocchi di testo e titoli, elementi grafici e immagini. Una griglia ci aiuterà guidando l’attenzione dell’utente, organizzando la disposizione dei pieni
e vuoti, garantendo pulizia e coerenza attraverso gli allineamenti, e la definizione dei formati dimensionali rimarrà leggera, nascosta e invisibile. Per questo è così preziosa e fondamentale per un progetto di qualità.
Pagina accanto: Vormgevers, manifesto per lo Stedelik Museum ad Amsterdam disegnato da Wim Crouwel, basa la sua intera struttura tipografica su una rigida griglia, 1968
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La prima volta che apparse la tipografia asimmetrica nel mondo della grafica fu nel 1925, quando il tipografo tedesco Jan Tschichold curò un numero speciale di una rivista di Lipsia specializzata nella stampa e le assegnò il nome di “Tipografia elementare”. Questa espressione poco suggestiva rappresentava una rivoluzione stranamente pacata: un approccio austero, essenziale e funzionale, esemplificato dalla composizione asimmetrica, da lettere senza grazie, spesso minuscole e prive di decorazione eccessive, che avrebbero nel tempo caratterizzato l’estetica moderna nella grafica. Questo numero radicale di una rivista del settore della stampa di norma
Sotto: Asymmetric Typography, manuale strutturato nello studio asimmetrico della composizione grafica, Jan Tschichold, 1925.
piuttosto convenzionale divenne un manifesto dell’emergente “Neu Typographie” (Nuova Tipografia), attraverso il quale Tschichold propose un concetto radicale: “Lo scopo della Nuova Tipografia è la funzionalità”. Appellandosi ai designer affinché rigettassero gli ornamenti inutili e abbandonassero le strutture simmetriche che da
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lungo tempo dominavano la stampa e la grafica, Tschichold scrisse: “L’asimmetria è l’espressione ritmica della grafica funzionale”. Nel 1928 pubblicò il libro “Die Neu Typographie”, un manuale del nuovo stile, in cui mostrava con esempi pratici come la composizione sobria, razionale ed elementare fosse una alternativa moderna e fruibile ai soliti libri composti di testi neri disposti lungo un asse centrale. Sui manifesti prodotti per il cinema Phoebus-Palast di Monaco e la galleria d’arte Graphisches Kabinett, Tschichold ebbe modo di mettere in pratica
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questi principi. In quanto membro del gruppo di grafici pubblicitari radicali tedeschi e fondatore, nel 1928, del Circolo dei nuovi artisti pubblicitari, che comprendeva autori moderni come Kurt Schwitters, Piet Zwart e Paul Schuitema, egli attribuì a introdurre il design asimmetrico (e il modernismo in generale), in ambito commerciale in tutta Europa. Alla fine Tschichold fu definito dal designer svizzero Max Bill un traditore del movimento da lui stesso codificato, per aver rinunciato alla Nuova Tipografia dopo l’ascesa di Hitler. Lontano dalla Germania, egli
Questa espressione poco suggestiva rappresentava una rivoluzione stranamente pacata: un approccio austero, essenziale e funzionale, esemplificato dalla composizione asimmetrica, avrebbero nel tempo caratterizzato l’estetica moderna nella grafica. Sinistra: Die Frau Ohne Namen, locandina cinematografica realizzata da Jan Tschichold per Phoebus-Palast, incarna tutte le caratteristiche geometriche della Nuova Tipografia degli anni’20. Centrale: Pagina per catalogo per Drukkeij Trio, Piet Zwart, 1931.
tornò ai canoni classici ritenendo che le rigide regole della Nuova Tipografia avessero un carattere fascista. Col senno poi potrebbe sembrare che la composizione asimmetrica non fosse poi così sconvolgente. Eppure nella storia della grafica non ce ne fu una altrettanto rivoluzionaria. Simmetria, equilibrio e ordine sono qualità classiche, trasformate nel tempo in modelli abusati e pesanti in tipografia, nella stampa e nella grafica. Anche se questi principi continuarono ad avere una certa rilevanza all’inizio del XX secolo, l’alternativa dell’asim-
metria simboleggiava e nel contempo diffondeva lo stile moderno. Trio di Piet Zwart non fu semplicemente un’esibizione anarchica di lettere, ma una dichiarazione sulla confusione del mondo meccanico. La tipografia asimmetrica era molto più che un mezzo di comunicazione trasparente: era una dichiarazioni di intenti, che in seguito divenne un metodo pratico dai seguaci radicali del modernismo, come Willi Kunz, e che alla fine si trasformò in un vero e proprio stile.
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Destra: Questo manifesto per Musica Viva di Josef Muller-brockmann è un esempio emblematico dello stile svizzero, economico e semplice, che trasforma la composizione tipografica in un elemento illustrativo.
Quello che si era fatto conoscere come lo Stile tipografico internazionale dimostrò di essere il fulcro che avrebbe tenuto insieme la storia della grafica nel XX secolo. Benché alcuni principi proposti dalla Scuola di Ulm fossero stati sviluppati nei Paesi Bassi prima della guerra, le sue applicazioni pratiche non erano mai state formulate con chiarezza. Un architetto, scultore e designer svizzero che aveva studiato al Bauhaus a Dessau, Max Bill, le illustrò in termini privi d’ambiguità. Egli stabilì con la precisione di un orologiaio rigide norme riguardanti la tipogra-
fia e la grafica. Per ridurre al minimo gli sprechi e migliorare la leggibilità, consigliò di usare la griglia, di evitare layout simmetrici, di usare solo caratteri senza grazie, di comporre strette colonne di testo a bandiera allineato a sinistra e di preferire sistematicamente le fotografie alle illustrazioni. Il suo metodo era riduttivo, eppure i manifesti, le copertine di libri e le brochure che disegnò erano così ispirati da estendere immediatamente gli orizzonti del design grafico. I manifesti di Muller-Brockmann per Musica Viva sono vivaci tavole ottometriche. Il ma-
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nifesto di Hoffman del 1962 per gli spettacoli di Hermen Miller mostra una serie accatastata di astratte forme di poltrone che si riversano su tutta la pagina, mentre la copertina di Typographie del 1967 di Ruder trasgredisce qualsiasi norma di leggibilità. In America, la tipografia svizzera fu assai apprezzata da designer quali Rudi de Hark, Ivan Chermayeff e Tom Geismar, e anche Massimo e Lella Vignelli, e influenzò molti grazie al suo pragmatismo e razionalità. Sfortunatamente, il tipo d’eccellenza tipografica che rappresentava, per Max Bill, l’essenza della “buona forma” persto divenne sinonimo di “buon gusto”, e fu rifiutato dalle generazioni seguenti di designer in quanto troppo convenzionale.
Pagina accanto: Manifesto di Josef Muller-Brockmann, si evidenzia perfettamente quanto poco uso di elementi grafici possono dare forza al manifesto stesso, 1960.
Quello che si era fatto conoscere come lo stile tipografico internazionale dimostrò di essere il fulcro che avrebbe tenuto insieme la storia della grafica nel xx secolo.
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Durante gli anni ’40 e ’50 del XX secolo, le due influenze dominanti sul “graphic design” furono di stampo statuniteste e svizzero, dove si consolidarono stilisticamente, rappresentanSopra e Destra: Esempi di applicado la responsabilità sociale tramite la zione della segnaletica per la metropolitana di New York, Carlo Vivarelli, 1971. razionalità artistica (grafica e comunicazione chiara, semplice e funzionale), aggiudicandosi ampio consenso da parte di tutta la cultura occidentale. Ma come succede sempre con ogni stile1 che interpreta gli elementi di base (forme e colori) della nostra percezione dandogli 1 C.Branzaglia, Comunicare con l’immagini, 2011, Mondadori, Milano. Stile deriva da stilo, lo strumento che nell’antica Roma veniva usato per vergare la pergamena; una sorta di antica penna che mutava traccia a seconda della pressione esercitata dalla mano. Per questo, se il modo di scrivere di ognuno era personale, il suo modo di usare lo stilo (quindi il suo stile) era personale. Lo stile di vita indica genericamente un panorama figurale al quale però è assai difficile dare concretezza, perché in fondo si basa completamente su un depositarsi umbratile di elementi visuali passibili di forti modifiche a seconda dei contesti nei quali si trovano ad operare. Tali stili possono indicare il rapporto che esiste fra comportamenti e beni di consumo. La definizione di “stile di vita”, che non sembra avere molta funzionalità critica, ha invece una importantissima funzione pratica: essa definisce di fatto il target dei consumatori a cui si rivolge partendo dall’immaginario, quindi dalla cultura che tale terget caratterizza. Lo stile di vita indica il culmine di un percorso che individua sempre più i propi obiettivi e i propri punti di riferimento, è qualcosa che con le immagini parla direttamente di comportamenti, di affezioni, di cultura, e anche di consumi. Inutile aggiungere quanto il concetto di stile sia infine importante per la definizione delle subculture giovanili.
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una sorta di marchio di fabbrica, che ne determina la riconoscibilità, specie nel momento in cui muta lo statuto sociale dell’arte, va a finire che le ondate successive sono sempre minori, e più un certo stile è diffuso e visto dalla gente, più il grafico sceglierà di usare quelle soluzioni grafiche e tipografiche, che alla fine diverranno familiari, prevedibili e anche noiose. Negli anni ’60 in Gran Bretagna, Europa e U.S.A, nacque la prima generazione postbellica di giovani (designer, fotografi, artisti, musicisti, cineasti) che avviarono il rinnovamento stilistico, cominciarono ad andare contro a quello che veniva percepito come conformismo dei grafici, quella specie di cappa grigia che il modo di progettare del secondo dopo guerra imponeva al mondo. Per ciò, qualcosa che era nato a partire da un’ideale, in questo periodo, come al giorno d’oggi è diventato un fatto abituale, di conseguenza ci fu il bisogno di un cambiamento.
La prima generazione postbellica di giovani artisti diede origine a un rinnovamento stilistico, anadando contro a quello che veniva percepito come conformismo dei grafici, quella specie di cappa grigia che il modo di progettare del secondo dopo guerra imponeva al mondo.
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Pagina accanto: Scatola di zuppa Campbell I, Andy Warhol, 1968. Sopra: Whaam, Roy Lichtenstein, 1962. Destra: Pittura di Roy Lichtenstein, 1964.
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Mentre lo Stile Internazionale cominciava il suo campo d’azione verso nuovi settori della comunicazione visiva “mainstream”2, assumendo un ruolo sempre più preponderante nella pubblicità e nell’immagine aziendale, a New York alcuni grafici come Milton Glaser s’ispiravano all’arte commerciale e alle rappresentazioni spumeggianti della pop-art. Fin dal 1954 Milton Glaser e Seymour Chwast, insieme a Reynolds Ruffins e Edward Sorel fondarono il PUSH PIN STUDIO, dopo qualche anno si affermò come consorzio di grafici e illustratori. 2 Da www.treccani.it, Il portale del sapere. Mainstream è un termine inglese usato come aggettivo in vari campi delle arti e della cultura per indicare una corrente che, in un particolare ambito culturale, è considerata “convenzionale”, comune, dominante. In American English indica anche una corrente, o una tendenza che, in determinato ambito, risulta di massa, in contrapposizione alle tendenze minoritarie.
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Pur nell’eterogeneità degli stili personali, un aspetto interessante di questo gruppo sta nel fatto che quasi tutti operavano al di là della pura illustrazione, facendo prevalere una grafica fortemente figurativa, dal segno ironico e di orientamento espressionista. Il Push Pin Studio ha costituito indubbiamente fin dagli inizi una scuola, un laboratorio di ricerche visive, un movimento del design grafico statunitense3 (e in futuro in quello occidentale), che perseguiva la rivincita dell’idea contro lo sterile formalismo attraverso un processo progettuale eclettico che ha inteso recuperare valori iconici già 3 Da www.sitographic.it Push Pin Studio. “Ci sono momenti nei quali vengono aperte nuove strade fino ad allora rimaste inesplorate. La pubblicazione della rivista “The Push Pin Monthly Graphic” con i lavori e le sperimentazioni realizzate dall’ononimo studio newyorkese, hanno cambiato il volto della grafica, segnando in maniera inequivocabile un quarto di secolo”.
Pagina accanto: Fotografia del Push Pin Studio, New York, 1958. Sopra: Milton Glaser e Seymour Chwast in studio, New york, 1960. Sotto: Manifesti illustrativi di Seymour Chwast, 1965.
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appartenenti alla storia del linguaggio grafico. Attraverso lo studio newyorkese e la sua eccezionale quantità e qualità produttiva nei vari settori della grafica (da quell’editoriale a quella promozionale, dai manifesti culturali alla ricerca personale), si diffuse la tenden-
za figurativa, che ha prevalso sempre di più sulla grafica di scuola svizzero-germanica, questo perché la loro filosofia progettuale fu l’abbandono del razionalismo freddo (tipico nell’immagini delle grandi “corporations”) per reintrodurre elementi del Manierismo Vittoriano, dell’Art Nouveau e dell’Art Decò senza cedere alla nostalgia, ma mantenendo al contrario, una contemporaneità fresca e
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Sinistra: Copertina del libro The Push Pin Graphic, 1966. Centrale: Manifesto di Milton Glaser, 1965. Pagina accanto destra: Manifesto per Bob Dylan, 1967. Pagina accanto sotto: Fotografia di Seymour Chwast e Milton Glaser, 1966.
innovativa; per questo le opere grafiche ottennero immediatamente un grande successo in fatto di distribuzione e ricezione visuale. Graficamente, il Push Pin Studio si differenziava da altri per l’uso del testo che si integrava con l’immagine, fino a diventare immagine stessa. Analizzando le strutture visive d’ogni lavoro dello studio si possono evidenziare due chiari distinzioni: da una parte, rimase comunque un fenomeno estraneo alle correnti internazionali per l’im-
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possibilità di una sua applicazione ai sistemi grafici complessi, ad esempio: l’immagine coordinata, dall’atra, trovò un’applicazione nel settore editoriale, in quello delle copertine dei dischi e dei manifesti, basti pensare alla figura del cantante e musicista Bob Dylan, e il manifesto progettato dallo studio nel 1967 e diffuso in oltre sei milioni di copie, o il prestigioso marchio “I Love NY” commissionatogli nel 1976, ugualmente il manifesto pubblicitario per la Olivetti Valentine del 1966, il manifesto contro la guerra del Vietnam “End Bad Breath” e la rivista “The Push Pin
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Monthly Graphic” curata in particolare. Inoltre, lo sviluppo nella tecnologia della stampa fotografica (fotocomposizione) che rendeva economica la creazione di composizioni molto articolate e colorate ha permesso di migliorare la risoluzione grafica e aumentando le potenzialità creative dei designer dell’epoca. La poetica del Push Pin Studio influenzò quasi tutta la produzione dei manifesti creati dai giovani “designer” che diedero vita alla cultura “hippie” degli anni’60.
Pagina accanto: I Love New York, logo di Milton Glaser, 1976. Sopra: End Bad Breath, Manifesto contro la guerra in Vietman, Seymour Chwast, 1967.
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Lo stile anarchico della grafica punk è un’espressione aggressiva, dal sapore rozzo. Come i dadaisti, i grafici punk rigettavano tutti i modelli standard a favore di un’approccio volutamente amatoriale.
I dieci anni successivi agli anni ’70 un’altra ondata di dissenso contagiò in maniera preponderante la cultura grafica, influenzando in futuro l’immaginario collettivo. Le origini furono sempre di carattere dissacrante: rompere l’ordine, allontanarsi dalla superficie ordinata, pulita e liscia del design, e della cultura occidentale. I giovani designer inglobarono e assorbirono influenze tanto diverse fra loro quanto il Dada e la tipografia classica del diciottesimo secolo, e reiterarono questi modi espressivi in una varietà di stili postmoderni, cercando di esprimere la loro soggettività, il loro pensiero sul mondo attraverso la musica, il design, causando ovviamente, controversie verso i padri fondatori del modernismo.
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Sopra: Hannah Hoch, Collage, 1920. Pagina accanto sopra: fotografia punk, 1975. Pagina accanto sotto: Copertina del primo album dei Sex Pistols, Jamie reid, 1975.
Alla metà degli anni ’70, Jamie Reid4 realizzò le copertine degli album della band punk-rock dei Sex Pistols, avvalendosi delle tecniche Dada per illustrare graficamente il nichilismo del gruppo e dare vita così allo stile anarchico della grafica punk: un’espressione aggressiva, dal sapore rozzo; graficamente rigettava tutti i modelli standard a favore di un’approccio volutamente amatoriale, andando contro anche alla generazione dei figli dei fiori. Caratteri in stile lettera di riscatto, e scritte a mano rimpiazzavano la tipografia ufficiale a favore di un’espressione este4 B.Cotton, Professione Graphic Designer, 1991, Ikon Editrice srl, Milano. Echeggiando l’anarchismo dei Pistola, Reid usa una miscela di stili derivati in parte dal Dada, in parte dalla disposizione casuale dei caratteri tipografici, tipica delle lettere anonime, e combina questi elementi con gli sgargianti colori dei manifesti che annunciano le svendite nei supermercati popolari. La grafica venne rapidamente adottata, adatta e anestetizzata dal graphic design status quo.
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tica del fai da te che irrideva la sobria essenzialità dello stile tipografico internazionale, in una prospettiva più ampia: “i protagonisti del movimento moderno vengono considerate ora dalle generazioni più giovane degli anni ’60, alla stregua di classici morti, che pesano come un incubo sulle menti dei vivi”5.
5 D.Russo, Free Graphics: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.9. Introduzione.
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Pagina accanto: Manifesto dei Sex Pistols, Jamie Reid, 1977. Sinistra: Fanzine City of Culture, Londra, 1976.
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Sotto: “I Love New York”, uno dei rebus contemporanei più conosciuti e copiati, è opera di Milton Glaser per il Dipartimento del commercio dello stato di New york. Se Glaser avesse siglato un contratto per i diritti di utilizzo, probabilmente sarebbe il designer grafico più ricco sulla faccia della terra.
I giochi visivi possono contenere messaggi nascosti: simbolo, segno, codice, rebus, icona, emblema, ecc. La differenza tra questi termini può confondere più del messaggio che intendono veicolare. Ognuna di queste figure retoriche del discorso grafico tenta a suo modo di colmare il vuoto tra parole e immagini. Come tali, sono tutti elementi fondamentali nello sviluppo di un linguaggio visivo sofisticato: il celebre dipinto di Renè Magritte della pipa è innanzitutto l’immagine della pipa, ma la didascalia “Ceci n’est pas une pipe” afferma esattamente il con-
trario. Perché Magritte si è sentito in dovere di ricordare al pubblico che l’immagine di una cosa non è la stessa cosa? Forse intendeva riferirsi al significato ormai datato del termine “pipe”, ovvero trucco, fandonia, è una prova ulteriore che a Magritte piaceva imbrogliare il pubblico, intendeva confondere gli osservatori riguardo alle intenzioni del suo autore. Nel 1957 Jean Widmer tributò un omaggio agli esercizi semiotici di Magritte con il manifesto “Couler”, che annunciava un’esposizione di design.
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L’opera presentava i nomi di sei colori dell’arcobaleno, ma nessuna delle parole era scritta nel suo colore corrispondente. A differenza degli indovinelli semiotici, i rebus1 sono piuttosto facili da tradurre in parole. Combinando in sequenza immagini, lettere e/o frammenti di parole per formare un termine o una frase, i rebus si sono evoluti fino a diventare un aspetto essenziale della grafica concettuale e del design tipografico di epoca moderna. Ciò che caratterizza gran parte dei rebus è la loro accessibilità. Il marchio di Milton Glaser “I Love NY” dimostra vividamente la validità del vecchio adagio “un’immagine vale più di mille parole”. Eppure i rebus possono essere usati anche per confondere la percezione. In molti casi, indicazioni che sembrano evidenti in realtà sono assolutamente ambigue.
Sopra: “Couleur”, creato dal designer svizzero Jean Widmer per l’esposizione sui colori presso il centro Pompidou a Parigi. Le parole sono scritte nel colore sbagliato, secondo una tecnica ispirata da Magritte, 1975. Pagina accanto: Eye-Bee-M, il celebre manifesto di Paul Rand per l’IBM spezza il logo tradizionale formando un rebus con la riconoscibile lettera M a strisce. In origine fu rifiutato perchè ritenuto eccessivamente spiritoso, 1981.
I giochi visivi possono contenere messaggi nascosti: simbolo, segno, codice, rebus, icona, emblema. Ognuna di queste figure retoriche del discorso grafico tenta a suo modo di colmare il vuoto tra parole e immagini. Come tali, sono tutti elementi fondamentali nello sviluppo di un linguaggio visivo sofisticato. 1 Da www.treccani.it, Il portale del sapere. Il termine rebus proviene dal latino, e significa “con le cose”, “fatto di cose”. 100
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Destra: “Mostly Mozart Festival”, disegnato da Milton Glaser, presenta l’illustrazione sequenziale “Mozart Starnutisce”. Il pubblico viene trascinato all’interno dell’azione comica, 1982.
Il racconto visivo sequenziale è uno strumento narrativo ormai consolidato. Una delle più antiche sequenze si può vedere sulla colonna di Traiano del 113 d.C a Roma, che rappresenta anche la fonte dei caratteri romani, in cui si raccontano le imprese dell’imperatore Traiano attraverso fregi istoriati con pittogrammi e testi. Un’evoluzione successiva della narrazione sequenziale si può trovare nell’opera di El Lissitzkij “Storia di due quadrati”.
dre del 1932 per la Dubonnet, è un’immagine che seppur apparentemente statica, spinge l’occhio della mente ad animarla. Considerato il primo manifesto progettato per essere letto da un veicolo in movimento, esso era coerente con la concezione più ampia di Cassandre del poster com e opera in serie, ovvero, un insieme di manifesti
Narrazioni sequenziali per immagini Creata invece per scopi commerciali, la pubblicità sequenziale di Cassan-
da osservare in rapida successione per ricavarne un messaggio completo. In questo modo l’osservatore viene coin-
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Destra: Dubo Dubon Dubonnet, cartellone pubblicitario creato da A.M Cassandre, divenne l’immagine più rappresentativa del liquore. Come in una sequenza animata, l’uomo Dubonnet e il marchio si riempono di colore, 1932.
volto più attivamente dal messaggio rispetto a una singola immagine statica. Gran parte dei racconti visivi sequenziali è supportata dalle parole, eppure i designer hanno spesso usato sequenze prive di testi per esprimere un concetto o come forma d’umorismo grafico. Il manifesto “Mozart Sneezes” di Milton Glaser per un festival musicale al Lincoln Center di New York, reinterpreta in modo spiritoso il ritratto tipicamente grave e serioso di Mozart. La sequenza di profili statici e nespressivi inizia a muoversi gradualmente nella
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quinta vignetta e scoppia in un fragoroso starnuto nella sesta, per poi ritornare alla staticità iniziale nelle ultime tre. Il carattere umoristico e risibile dell’idea esigeva una forma narrativa di questo tipo: una singola immagine di Mozart che starnutisce avrebbe potuto risultare divertente, ma sarebbe stata priva della tensione insita nel progressivo crescendo che alla fine si risolve in una definitiva immobilità.
I designer hanno spesso usato sequenze narrative prive di testo per esprimere un concetto.
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Nella grafica, l’uso di un miscuglio di caratteri diversi si è conquistato una certa fama sulla base dello stereotipo delle lettere con ritagli di giornali che mirano a nascondere l’identità del mittente. Questa pratica affonda le sue radici alla fine del XIX secolo, quando gli stampatori mescolavano alla rinfusa stili di caratteri di varia origine sulla stessa pagina, creando così una cacofonia di note tipografiche. Nato tanto dalla necessità (gli stampatori non sempre avevano a disposizione famiglie complete di caratteri) quanto da una scelta volontaria, quest’approccio divenne emblematico nell’era vittoriana. Esso sottointendeva anche una strategia commerciale, poiché le principali strade cittadine eran sempre più invase da manifesti e insegne pubblicitarie, gli stampatori si lanciarono in contorte manipola-
Sopra: Runaway Opposites, illustrato da Henrik Drescher, è un libro di poesie per ragazzi. Le lettere ritagliate e la scrittura manuale evocano un senso di immediatezza, 1995.
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zioni tipografiche per raggiungere la massima visibilità. Questo frastuono visivo dava i suoi frutti, specie se l’obiettivo era di catturare e mantenere viva l’attenzione dell’osservatore. All’inizio del XX secolo, quella che era nata come una pratica spontanea si trasformò in uno stile attentamente calcolato, l’accostamento di caratteri diversi nelle mani dei futuristi italiani e dei dadaisti tedeschi rappresentarono una forma di rifiuto totale dei canoni di leggibilità. I poeti tipografici, come il dadaista Raoul Hausmann, smantellarono vigorosamente i principi consolidati facendo un uso quasi isterico dei caratteri, che non solo erano la metafora di un nuovo ordine, ma archetipi di un linguaggio visivo peculiare e innovativo. Per tutto il XX secolo, iscrizioni con caratteri diversi o ottenute tramite ritagli di giornale furono progettate per confondere e disorientare l’occhio e far perdere l’equilibrio. Nei primi anni ’70, il punk si impose come l’estetica di nuova generazione basata sul miscuglio caotico di elementi, spingendo alle estreme conseguenze l’estetica dadaista; così sprezzante nei confronti della bellezza convenzionale che professò una sorta di alta bruttezza. Per l’osservatore smaliziato, il primitivo stile pieno di strappi e lacerazioni, specie la tipografia con effetto lettera di riscatto, e i collage anarchici su pubblicazioni, copertine di dischi e manifesti evocava modalità stilistiche riutilizzabili, e in qual-
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che modo assimilabili. Il metodo nato come mezzo per raggiungere un pubblico esclusivo divenne quindi una spontanea modalitĂ espressiva della cultura giovanile, chiunque disponesse di colla e forbici poteva emulare questo stile punk.
Pagina accanto: God save the Queen, illustrazione di copertina del single da 7 pollici dei Sex Pistols, fu realizzata da Jamie Reid in uno stile che divenne emblematico della grafica punk, 1977 Sopra: Illustrazione per libro di poesie per ragazzi, Henrik, Drescher, 1995.
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Destra: Copertina della Fanzine Sniffin’ Glue, 1977.
Sono riviste non professionali o non ufficiali realizzate da appassionati di qualche particolare genere o fenomeno culturale, e rivolte a un pubblico specifico. Le fanzines sono associate all’editoria o all’informazione non convenzionale o “underground”, perché non seguono le procedure del “mainstream”. Sono chiamate anche pratica di stampa partigiana, marginale e clandestina, circolante fuori dai binari della cultura ufficiale, e allo stesso tempo, fortemente critica nei confronti del potere dominante. Il termine “fanzine” è la contrazione di “fans magazine”, ovvero rivista per appassionati, entrò nell’uso corrente soltanto nella seconda metà degli anni ’70 per designare una forma spontanea e iconoclasta di giornalismo musicale fai da te, sbocciato sull’onda del successo travolgente delle prime formazioni punk (Sex Pistols, The Clash, Damned, ecc), e al pari di queste, irrispettoso nei linguaggi e nei contenuti. Oggi viene spesso chiamata “fanzine”
una qualsiasi pubblicazione auto prodotta, limitata a quelle riviste amatoriali concepite per categorie specifiche dei “fans” (musica, fumetto, fantascienza, horror, ecc). Dal punto di vista tecnico è interessante seguire l’evoluzione dei mezzi di stampa utilizzati per la realizzazione delle riviste, che venendo stampate generalmente in tiratura limitata, non avevano grandi risultati con le tecniche di stampa tradizionali. Le prime pubblicazioni amatoriali ottocentesche venivano stampate manualmente attraverso la tecnica della
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xilografia, parallelamente al progresso delle tecnologie da stampa, anche le “fanzine” si aggiornarono. Le prime furono scritte a mano o a macchina, usando dei sistemi di produzione primitivi, ad esempio la stampa a spirito o il poligrafo. L’uso del ciclostile1 con1 Da www.wikipedia.it, enciclopedia libera. Il ciclostile, o duplicatore stencil (o anche mimeografo, raro in lingua italiana) è un sistema di stampa meccanico oramai obsoleto, utilizzato per circa un secolo in passato, per produrre stampe di bassa qualità in piccola tiratura a costi estremamente contenuti, se paragonati con quelli della stampa industriale. La stampa a ciclostile lega il suo nome in modo indissolubile alla pratica delle fanzine o dei samizdat, sino agli anni ottanta del ventesimo secolo, quando fu rapidamente sostituita dalla fo-
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sentì un grande salto in avanti dell’editoria amatoriale, diventando il sistema di stampa più economico, con grande diffusione nonostante la bassa qualità che poteva garantire. Il crollo dei prezzi della xerografia (o fotocopie) portò alla nascita di “fanzine” di migliore qualità grafica, aumentando maggiormente la velocità di realizzazione e la produzione. tocopia (xerografiao altri sistemi di riproduzione anastatica, già presenti da qualche decennio e divenuti nel frattempo economicamente confrontabili). Tuttavia, non richiedendo energia elettrica per il suo funzionamento, il ciclostile trova ancora applicazione nel cosiddetto terzo mondo
Sopra sinistra: Copertina illustrata della Fanzine Skinny Punk, 1976. Sopra destra: Copertina della Fanzine Guilty of What, , la tecnica usata è la fotocopia in bianco e nero, 1998. Pagina accanto: Famosa Fanzine Attacks, 1977.
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Sopra sinistra: Copertina illustrata della Fanzine Skinny Punk, 1976. Sopra destra: Copertina della Fanzine Guilty of What, , la tecnica usata è la fotocopia in bianco e nero, 1998. Pagina accanto: Famosa Fanzine Attacks, 1977.
La scintilla espressiva degli anni ’60 e ’70 portò una ventata d’aria nuova e dirompente nel panorama del design grafico, quindi, tutto quello che poteva succedere era la continua mutazione verso qualcosa di molto espressivo, coinvolgente, vitale e artistico. Agli inizi degli anni ’80 emerse una nuova corrente che cambiò radicalmente la funzione, i significati e le immagini nella comunicazione visiva. La prima novità ci fu con l’avvento delle prime apparecchiature elettroniche (computer, telecamere, ecc) e i vari “periferici” (stampanti, modem, scanner, videoregistratori, ecc) a basso costo, queste comportavano l’alba di una nuova forma di comunicazione con le immagini, codificata tramite la fusione o il
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missaggio che permetteva di prendere già immagini esistenti e di manipolarle limitatamente o drasticamente per dar origine ad altre forme visuali percettivamente ed emozionalmente diverse, ma cariche d’enfasi. Nel settore della grafica e di altri settori, questo movimento andò sotto il nome di Post Modernismo1.
1 D.Russo, Free Graphics: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.10, 11. Nei settori legati alla cultura del progetto fu molto il clamore che si levò nei confronti dei pezzi unici di design, dove l’atteggiamento sembrava al quanto bizzarro e provocatorio. In realtà tale sommovimento mirò a mettere in luce un elemento sostanziale: il valore comunicativo del progetto, che non riguardava solo la sua capacità d’informare sulle proprie funzioni, ma anche di suscitare affezioni ed emozioni onde fare leva sulla psicologia delle persone. Tale approccio fu allora estendibile a tutte le forme espressive che posero al centro dell’attenzione la memoria, il bagaglio culturale che l’uomo porta con sé, che lo induce ad affezioni particolari dovute alla storia e alle consuetudini personali. La memoria diventa dunque un elemento centrale per chi produce comunicazione visiva.
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Sopra: Fresh Dialogue, Poster per la conferenza dell’AIGA, Stefan Sagmeister, 1996. Pagina accanto: Apple Macintosh, primo personal computer con interfaccia grafica, 1984.
In più, il 1984 fu una data importante: l’inizio della cosidetta Rivoluzione Digitale, grazie all’introduzione del primo personal computer della Apple, il Macintosh. Il mac introdusse per la prima volta un’interfaccia grafica “user friendly”, basata sull’acronimo “wysiwyg”1, mentre il PC (MS-DOS) richiedeva comandi testuali oltremodo tortuosi. Perciò il Macintosh permise di lavorare ciccando col “mouse” sui simboli grafici dello schermo, tali simboli o icone hanno se-
gnato un svolta epocale (dal linguaggio matematico dei programmatori, a un sistema di piccole immagini chiare e inequivocabili, destinati ad un pubblico internazionale), permettendo al nuovo personal computer di generare una moltitudine di elementi casuali, tali da produrre la sensazione di uno spazio tridimensionale, prospettico e in un qualche modo illusorio: “era come trovarsi dentro una sfera piuttosto che osservare una pagina bidimensionale”2, accompagnando la pro-
1 What You See Is What You Get (ciò che vedi è ciò che fai).
2 D.Russo, Free Graphics: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano,
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gettazione grafica in una mutazione orientato ad un approccio intuitivo al progetto. Per questo il nuovissimo computer (attraverso un proprio linguaggio) incoraggiava il dialogo creativo, basato su intuizione e casualità, metteva in grado al “designer” di operare autonomamente sul progetto, fino alle soglie del processo di stampa. A questo proposito, il teorico di design grafico Lewis Blackwell scrisse: “Per la prima volta è diventato possibile riunire tutti i materiali creativi e produttivi all’interno di un unico processo, al cui centro sta il supporto digitale. La facilità d’elaborazione e d’interpretazione dei molti alfabeti esistenti e immagginari visuali hanno permesso inoltre a numerosi progettisti di produrre nuove famiglie di caratteri, spesso questo avviene come conseguenza della realizzazione di un logotipo, di un’immagine coordinata, di una serie di poster e manifesti”3. Di conseguenza, i giovani designer ri-
pag.31. Pensiero della designer April Greiman riguardo al nuovo mezzo di creazione. 3 D.Russo, Free Graphics: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.52.
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Sotto: Finestra del primo software di grafica, progetto di April Greiman, 1990.
elaborarono gli stili grafici post-punk e modernisti, dimostrando quali interessanti risultati puo dare un approccio di questo tipo, se attuato da professionisti competenti.
L’avvento dei computer ha accompagnato la progettazioe grafica in una mutazione orientato ad un approccio intuitivo al progetto. Allo stesso tempo incoraggiava il dialogo creativo, basato su intuizione e casualità.
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Sinistra:Template Gothic, Font progettato da Emigre e utilizzato nella copertina n.19, per indicare l’urgenza di un linguaggio digitale che non fosse una ripetizione acritica dell’esistente. Sotto: Rudy Vanderlans e Zuzana Licko, fondatori di Emigre, 1989. Pagina accanto: Copertine della rivista grafica Emigre, 1990.
Insieme al “Mac” ci fu il lancio di Emigre, una delle prime riviste di design digitale. Ideata da due europei trapiantati in California (l’olandese Rudy Vanderlans e la cecoslovacca Zuzana Licko), si autoproclamò “The magazine that ignores boundaries”1, e assunse subito una rilevanza importante per il suo tono rivoluzionario e anti modernista, segnalando l’urgenza di un cambiamento radicale per quanto riguarda il trattamento dei testi, con
una scrittura molto originale, progettata con mezzi informatici. Il loro metodo di lavoro fu agli inizi un misto tra fascino ed esplorazione del progetto all’interno del sofisticatissimo giocattolo. Vanderlans ritoccava disegni e fotografie, la Licko disegnava caratteri a bassa risoluzione: Emperor Emigre Oakland
1 La rivista che ingora i confini.
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EMIGRE I primi caratteri Emigre furono ideati per i titoli degli articoli della stessa rivista, ma come ogni avanguardia, all’inizio non fu molto apprezzata, i nuovi grafici furono ampiamente criticati, a causa di alcuni “designer” ancora fedeli al filone modernista e alla tipografia tradizionale. Secondo Emigre: “non stava scritto da nessuna parte che la scrittura digitale dovesse ripresentare le forme tipografiche”2. Da questo dibattito,
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ratteri a non essere leggibili, ma è la familiarità de lettore che determina la loro leggibilità, dall’altra si sosteneva che i caratteri oggi pressoché illeggibili potrebbero divenire i caratteri più versatili di domani3. Di conseguenza,
il numero 5 della rivista (1990) si intitolava: Do you read me?, ed era incentrato sulla scrittura digitale e sulla leggibilità del testo con una serie di interventi di designer innovatori, che venivano ad esaltare le qualità espressive dei nuovi caratteri senza grazie, ponendo il quesito che, da una parte non sono i ca-
Emigre produsse nel panorama del “graphic Design” un acceso dibattito tra coloro che apprezzavano le proposte rappresentate dalla rivista e quelli che le osteggiavano categoricamente,
2 D.Russo, Free Graphic: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetii, Milano. Pag.26,27. Tratto dal capitolo Emigre.
3 D.Russo, Free Graphic:la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag26,27.
EMIGRE ASSUNSE SUBITO UNA RILEVANZA IMPORTANTE PER IL SUO TONO RIVOLUZIONARIO E ANTIMODERNISTA, SEGNANDO L’URGENZA DI UN CAMBIAMENTO RADICALE PER QUANTO RIGUARDA IL TRATTAMENTO DEI TESTI.
Sotto: Doppia pagina della rivista Emigre, 1990. Pagina accanto: Copertina di Emigre “Do you Reed Me?”, 1992.
perché oramai, il sistema di diffusione della scrittura non coincideva più con il solo libro, ma anche con il cinema, televisione, computer e i futuri mezzi di comunicazione.
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APRIL GREIMAN Un altro cambiamento radicale fu l’approccio di alcuni designer alla grafica computerizzata, in quanto, avendo a disposizione nuovi mezzi e una grande curiosità al riguardo, sono riusciti a elevare la comunicazione verso orizzonti mai visti prima, dove l’informazione diventava pura forma d’arte espressiva, carica di pathos, in grado di rappresentare lo spirito dell’epoca, e per questo riconosciuti in tutto il mondo, una tra questi la designer April Greiman.
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Intuendo le potenzialità del mac, la designer realizzò composizioni impattanti e sfaccettate, caratterizzate da immaginari ibridi: la fusione di tecnologia e design grafico, dichiarando di voler accattare la sfida verso la definizione di nuove forme di comunicazione impiegando abbondantemente le tecnologie digitali. I software digitali, con la loro flessibilità erano particolarmente indicati per la realizzazione di forme seducenti ed evocative. Secondo
“Il computer non è solamente un mezzo per visualizzare un concetto o un’idea progettuale, ma uno strumento creativo che permette un’approccio intuitivo e suggerisce nuove soluzioni in ogni momento”.
la Greiman: “il computer non è semplicemente un mezzo per visualizzare un concetto o un’idea progettuale, ma uno strumento creativo che permette un’approccio intuitivo e suggerisce nuove soluzioni in ogni momento. Si tratta di una condizione progettuale continuamente in progress”1, quindi, mescolando i materiali grafici, lo stile della Greiman fu descritto come un atto di bilanciamento condotto con elementi molto eterogenei (parole, 1 D.Russo, Free Graphic: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.32.
immagini, texture, campi vuoti, forme computerizzate, ecc) che s’incontrano e si mischiano in modo sorprendente, riscontrando così un taglio particolare, sempre espressivo.
Pagina accanto sinistra: April Greiman alla conferenza sulla tipografia di Berlino, 2002. Pagina accanto destra: Wet, progettazione manifesto, April Greiman, 1990. Sopra: Poster “Your Turn My Turn”, April Greiman, 1983.
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NEVILLE BRODY In Europa, il grafico che cavalcò l’onda post moderna, e ne diventò uno dei personaggi di rilievo nella scena internazionale fu l’inglese Neville Brody, il “designer” più influente degli anni ’80 e ’90, il prototipo di una nuova razza artigianal professionale, il tipografo rockstar, il filosofo visuale della generazione punk, esploratore di scenari tipografici digitali più citato, amato e odiato, più copiato e idolatrato. Lo stile brodyano (infarcito di riferimenti punk) s’ispirava alle avanguardie storiche, in partico-
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lare al dadaismo, futurismo e costruttivismo, il tutto aggiunto con un senso di dinamismo, d’umanità e rifiuto delle regole tradizionali. In questa prospettiva il “designer” cercava di dare intrattenimento alla comunicazione, dove le lettere e le parole dovevano sgusciare dalla loro connaturata dimensione alfabetica per assumere nuove sagome comunicative, in modo tale da diventare forme espressive (dire di meno e comunicare di più).
Malgrado ciò, la grafica di The Face1 fu aspramente criticata per la sua scarsa leggibilità, causata da un testo oppresso dallo stile, ma, in ugual misura portò Brody all’ascesa sul piano internazionale, dipesa dai giovani che la seguivano, facendola diventare un’icona degli ultimi anni del XX secolo. Lo stile della rivista era noto come “noisy graphics”2, caratterizzato da un linguaggio sporco, ma molto ragionato: ogni singolo segno sulla pagina aveva lo scopo di produrre una risposta emotiva o contributiva all’espressione figurativa delll’idea, donando alla rivista un look originale, il cui scopo era quello d’interagire con il lettore, tramite un tipografia impattante, data da una certa enfasi nei titoli, ben Pagina accanto: Manifesto dedicato allo stile grafico di Neville Brody. Sopra: Manifesto, Neville Brody, 1988. Sotto: Copertine della rivista The Face, direzione artistica, Neville Brody, 1985.
1 The Face rappresentava il tenore culturale della decade, è sopravissuta per venti anni come leader del suo campo e ha intrapreso una strada seguita da molti giornali alla moda. 2 Grafica rumorosa.
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NEVILLE BRODY evidenti su grandi aree bianche, conferendogli un senso psicologico (connotazioni che si pongono in relazione con la tematica trattata). Dopo quest’esperienza, il “designer” diede un contributo notevole all’affermazione della scrittura digitale, aprendo la prima fonderia di caratteri digitali, la Font Shop International, cercando di mettere in luce le nuove possibilità della tipografica digitale e offrire ai giovani designer che intendevano sfidare le tradi-
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zioni, un modo per sperimentare nuove soluzioni progettuali. Tale iniziativa permise a Neville Brody di sperimentare un’altra rivista che ebbe un grande successo commerciale e culturale, la rivista digitale The Fuse, lanciata nei primissimi anni ’90.
Sopra: Studio font Face, utilizzato in seguito nella rivista, Neville Brody, 1985. Pagina accanto: Copertina della rivista Fuse, con sperimentazioni tipografiche, Neville Brody, 1990.
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DAVID CARSON
Sinistra: David Carson, 2007. Pagina accanto: Copertina del libro “The End Of The Print”, David Carson, 1981.
Un altro designer di grande importanza nella scena post moderna dei primi anni ‘90 è senza dubbio il californiano David Carson, una delle figure chiave (e una delle più dirompenti) del “graphic design”, considerato il più influente alla fine del XX secolo, raggiunse il traguardo sviluppando una dialettica visiva non solo compromessa, ma preferibile al semplice messaggio testuale. Si trattò di un linguaggio grafico che si esplica ad un livello oltre la parola, studiata per differenziarsi dalle altre per la sua interazione con la comunicazione stessa: Approccio intimamente digitale nella progettazione visiva Rottura delle regole Conseguente morte della tipografia Espressionismo individualistico Coincidenza tra stile e concetto (forma e contenuto) Collocamento leggibilità e comunicazione L’opera di Carson è abbondantemente illustrata in una monografia intitolata “The End Of The Print”1, questa monografia è un documento definitorio di un periodo cruciale in cui si verificarono bruschi cambiamenti nel design grafico, evidenziando l’orientamento im1 La fine della stampa.
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provvisato verso il mondo digitale. Dal punto di vista filosofico, il titolo del libro “The End Of The Print” può essere inteso in due modi distinti, da una parte il titolo rappresentava la fine della stampa, ovvero la morte della tipografia tradizionale, dall’altra l’emergenza di un nuovo linguaggio, sviluppandosi in termini digitali e cinetici per dare una nuova forma alla grafica editoriale, in primis; quel che certo: stampa, televisione e cinema dovevano iniziare a subire l’influsso dei media digitali, in continua riconfigurazione. Il processo metodologico di quest’ultimo tendeva ad una convergenza tra arte e desin, a questo proposito, il designer californiano espone in modo naturale il suo processo progettuale: “Il mio è un’approccio personale, interpretativo, che rende il prodotto finale molto interessante. Non conosco altro modo per arrivare a questo. Non ci sono regole per replicare
Sopra: Doppia pagina del libro “The end Of The Print”, David Carson, 1981.
“The End Of The Print” può essere inteso in due modi distinti: da una parte il titolo rappresentava la morte della tipografia tradizionale, dall’altra l’emergenza di un nuovo linguaggio.
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il mio lavoro, per produrre soluzioni analoghe. Procedendo intuitamene nel modo che mi sembrerà più interessante. Va fatta un’importante precisazione: Non cerco di progettare quello che loro vogliono”2. All’epoca, come ancora oggi, la grafica digitale permette di riprodurre serialmente quello che un tempo poteva essere realizzato soltanto su tela, 2 D.Russo, Free graphics: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.59. Intervista di Lewis Blackwell a David Carson.
ugualemente le creazioni di Carson s’ispirarono alle pitture dadaiste, soprattutto a quelle di Kurt Schiwitters. Con ciò, come le opere dell’artista, oggi la grafica è contrassegnata dall’uso di tecnologie sofisticatissime, presentando connotazioni (o contaminazioni) artistiche, se non altro perché si possono rappresentare in maniera individualista e interpretativa, dunque la coincidenza tra arte e design vanno a fondersi sempre di più.
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Parallelamente, un personaggio particolarmente originale (e senz’altro molto discusso) è Stefan Sagmeister. Le sue opere rilevano una duplice inclinazione espressiva fuori dal comune, un mix di tecnica e sperimentazione artistica, come Brody e Carson, il “designer” austriaco ha dichiarato un esplicito rifiuto delle regole, concependo la comunicazione visiva in termini cinetici e guardando più al cinema e ai video, che agli esempi della tradizione grafica. Sagmeister parla di sé come un DJ che mixa, distorce, sovrappone: specializzato nella progettazione di copertine CD e Booklet, è stato definito un disco-grafico o un grafico del disco, in sintonia con Mtv. Ciò che conta per il grafico è far breccia sul pubblico o, per usare un’espressione a lui cara: “toccare il cuore di qualcuno”1, in questa 1 D.Russo, Free Graphic: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.64. Stefan Sagmeister, ha creato su un block notes, le 10 cose da fare prima
Secondo Sagmeister la progettazione grafica, per essere efficace, non deve necessariamente essere armonica, ben calibrata e formalmente impeccabile, ma deve mirare fortemente allo schock estetico e produrre un’emozione travolgente nel giro di qualche istante. 138
Sopra: Stefan Sagmeister, 2009. Pagina accanto: Poster provocatorio per la conferenza dell’AIGA, Stefan Sagmeister, 1999.
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Destra: Hurry!, Poster per la conferenza biennale dell’AIGA nel leggendario porto meridionale di New Orleans. Era una sfida che esigeva qualcosa di evocativo, Stefan Sagmeister, 1997. Pagina accanto: Copertina dell’album del cantautore Lou Reed, Stefan Sagmeister, 2000.
affermazione si può capire l’irriverenza dei suoi oggetti e la stravaganza dell’impatto testuale dei suoi poster, costituendo due strategie comunicative altamente performative, con ciò l’artista afferma: “Siamo circondati da creazioni grafiche professionali, illustrate a meraviglia con fotografie eccezionali, tuttavia fredde, ben prodotte, ma assolutamente flosce”2. Di conseguenza, la progettazione grafica secondo Sagmeister, per essere efficace, ovvero colpire nel segno non deve essere necessariamente armonica, ben calibrata e formalmente impeccabile (non dovrebbe esserlo affatto), ma mirare fortemente allo shock estetico (un po’ come le avanguardie storiche) e produrre un’emozione travolgente nel giro di qualche istante.
di morire. 2 D.Russo, Free Graphics: la grafica fuori delle regole nell’era digitale, 2009, Lupetti, Milano, pag.65.
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Sinistra: Parole in Libertà, Marinetti utilizzava una peculiare modalità compositiva (in libertà) per tracciare immagini metaforiche dal forte impatto visivo,1912.
Il rapporto tra parole e immagini è caratterizzato da una profonda tensione creativa. Gli amanti dei testi rivendicano una superiorità morale in quanto custodi della parola stampata, mentre gli artisti visivi contrattacano sostenendo che un’immagine valle mille parole, il loro scontro ha raggiunto livelli leggendari. Al principio del XX secolo, Filippo Marinetti guidò un’offensiva nei confronti dei prodotti stampati, usando le parole come strumenti per trasformare la pagina in un campo di battaglia visivo. Il layout della sua composizione del 1912
è un’esempio di come la tipografia possa trasformarsi in un’arma contro i valori borghesi. Per Marinetti l’arte doveva essere una lotta radicale volta alla distruzione di massa. Paradossalmente, il modo migliore per sovvertire l’autorità potrebbe essere proprio quello di diventare autore. Oggi molti pittori, grafici, illustratori, fotografi e artisti concettuali usano i testi come forma di protesta visiva. Tra i grafici contemporanei i testi usati come immagini sono ormai molto diffusi, di recente, in un manifesto per Chaumont 2010, un festival francese
L’eredità del Passato / Testi come immagini
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di design grafico, il tipografo olandese Karel Martens si è incentrato su alcuni effetti ottici; facili da decifrare a distanza, le scritte laterali vanno letteralmente a pezzi a mano a mano che si avvicina, finchè non resta altro che un’esperienza caleidoscopica. Mentre i colori delle lettere si mescolano in un arcobaleno di pixel, aumenta la gratificazione visiva per l’osservatore: le parole sembrano quasi emanare una luce bianca.
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Sinistra: Interno pagina di “The Face”, Neville Brody, ispirandosi alle avanguardie storiche, gioca sul volume delle lettere per creare un composizione grafica di grande impatto, 1986. Pagina accanto: Chaumount Festival, manifesto del designer olandese Karel Martens per un festival internazionale di design grafico organizzato in Francia, usa il nome dell’evento come pretesto per un vero “tour de force” tipografico. Le parole, di difficile decifrazione diventano memorabili non appena si riesce a comprendere il significato, 2010.
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Sotto: Death to Traitors (morte ai traditori). Fu stampato sulle buste e sulle lettere come forma di propaganda illustrata al tempo della guerra civile americana. Le lettere formate da soldati, bandiere e patiboli indicano quale sarebbe stato il destino dei traditori, 1860.
“Caratteri fantasia che evidenziano il significato delle parole”1. Il termine fantasia, in riferimento ai caratteri, oggi indica lettere di natura effimera o ludica, tuttavia, quando questo tipo di caratteri raggiunse l’apice a livello commerciale tra la metà e la fine del XIX secolo e di nuovo nel corso del tardo XX secolo, il termine fantasia era di qualifica distintiva, usata per indicare che un alfabeto era diverso dallo stile classico, e spesso aveva un valore metaforico. I caratteri metaforici avevano una forte valenza simbolica e fungeva sia da vettori di significato che da idee con un contenuto proprio. Spesso davano vita 1 S.Hellere e V.Vienne, 100 Idee che hanno rivoluzionato il Graphic Design, 2012, Logos, Modena, pag.38.
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a giochi di parole visivi ed erano usati per riavviare i testi scritti o conferire un maggiore impatto alla pagina. Il motivo di fondo della creazione di questi caratteri è la loro auspicata usabilità in ambito commerciale o, in alternativa, il loro impiego per risolvere un particolare problema concettuale. Un appassionato di lettering metaforico è il designer austriaco Stefan Sagmeister. Egli trasforma in lettere comuni oggetti naturali e industriali, per veicolare messaggi in cui le metafore stimolino una comprensione più profonda del contenuto stesso, e risultino
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affascinanti, assolvendo così alla loro funzione primaria di caratteri.
Sotto e pagina accanto: Parte del progetto tipografico di Stefan Sagmeister, “20 Things I Have Learned in My Life So Far”. Le parole sono formate da materiali naturali e industriali e composte in loco, 2004 .
I caratteri metaforici hanno una forte valenza simbolica e funge sia da vettori che significano che da idee con contenuto proprio.
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Destra: Copertina della rivista Fuse, lanciata da Neville Brody, il designer a voluto instintivamente promuovere il nuovo linguaggio digitale, secondo un lettering illegibile, ma allo stesso tempo molto elegante e in linea con il concept del numero della rivista, 1992.
È una comunicazione sorprendentemente efficace. Dal punto di vista percettivo, il cervello umano può decifrare le parole senza realmente leggerle, infatti, scorre rapidamente le lettere per capire se formano una parola già conosciuta. Questo metodo di neurotrasmissione che fa risparmiare tempo, e consente di riconoscere le parole a una semplice occhiata, anche se non tutte le lettere sono presenti, è una vera benedizione per i designer. Quest’ultimi hanno sfruttato questo fenomeno per deformare, comprimere, sezionare, ingarbugliare, distorcere, storpiare e annientare i testi scritti, trasgredendo con disinvoltura ogni norma condivisa di leggibilità. D’altro canto l’illeggibilità di per sé non rappresentava un’idea innovativa. I futuristi, i dadaisti e soprattutto i letteristi avevano compiuto molti esperimenti a riguardo, spesso trasformando frivole
scritte calligrafiche in forme d’arte che stimolavano il cervello a mettere in atto determinate modalità di decifrazione dei testi. Tuttavia di recente, con lo sviluppo dell’era digitale, l’illeggibilità ha guadagnato popolarità come efficace mezzo di comunicazione. I designer che hanno sfruttato al meglio le capacità dei testi di stimolare l’attività celebrale sono David Carson, Ed Fella, Rick Valicanti, Pierre Di Sciullo, David Niessen, M/M (Paris) e Irma Boom. Questo fenomeno è così affascinante che un numero sempre maggiore di artisti contemporanei fa
L’eredità del Passato / Illegibilità Provocatoria
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ricorso all’illeggibilità nelle proprie installazioni, per indurre gli spettatori a fermarsi e a prendere un bel respiro prima di decifrare testi a malapena leggibili.
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Sopra e pagina accanto: Manifesti serigrafici dei designer grafici olandesi Niessen & de Vries, realizzati per un convegno a Ulm durante il 23° Forum Typografie, mostrano parole diverse se il poster viene capovolto, 2008.
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CAPITOLO II
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poranea
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L’eredità del passato, attraverso gli avvenimenti storici, permette di analizzare tutte le idee e le sensibilità di ogni artista e “designer” del mondo occidentale, e di come questi abbiano contribuito al progresso della comunicazione visiva nelle diverse epoche. Se da un lato, il progresso culturale ci ha permesso d’essere ciò che siamo,
pensiamo e vediamo oggi, dall’altro il progresso tecnologico ci ha permesso di velocizzare i tempi di produzione, di distribuzione e anche di fruizione, in quanto oggi chiunque può essere il creatore di un determinato prodotto visuale (grazie a sofisticatissime tecniche di rappresentazione) e distribuirlo in tutto il globo ad una velocità sor-
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prendente. L’introduzione dei “personal computer” ha permesso un cambiamento radicale nella nuova comunicazione visiva, trasformando le regole tipografiche e fotografiche tradizionali, in nuove espressioni visuali che vanno oltre i principi della tradizione stessa, cambiando l’interpretazione e il significato del messaggio. Pertanto, l’informazione è una priorità per la società del XXI secolo, dato che la rete ingloba tutto il sapere a portata di mano, reimpostando la domanda e l’offerta, e, dando origine a scenari del tutto nuovi, agendo come straordinario catalizzatore e spianando la strada ad applicazioni inattese e originali nelle nuove tecnologie, amplificandone la portata dell’innovazione1. Con ciò Internet2 è denominata la rete 1 Tipografia Russa: tra Costruttivismo e pensiero grafico moderno, 1993, Milano, pag.23. 2 M.Privitera, R.Soccio e T.Peragli, La grafica tra marketing e progetto, 2006, Clitt, Roma, pag.252. La storia di Internet inizia da strumento di lavoro per pochi informatici a mezzo di comunicazione di massa che coinvolge giornalmente milioni di persone. Le sue radici si collocano nel terreno di ricerca militare nella contesa tecnologia tra Stati Uniti e Unione Sovietica nata dalla guerra fredda, ma il suo sviluppo fu legato a libere comunicazioni di ricerca, diventando subito patrimonio comune caratterizzato dalla libera circolazione delle idee e delle tecnologie. Ruolo fondamentale fu svolto dal ricercatore J.C.R Licklider creando
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delle reti perché collega tra loro milioni di computer facendoli dialogare con lo stesso linguaggio. Essa diventò facilmente fruibile dal grande pubblico per merito del WWW3, ossia un sistema ipermediale di distribuzione e consultazione delle informazioni in rete che è in grado di visualizzare documenti ipertestuali e multimediali, quali testi, immagini, filmati, file sonori, trasformando giorno dopo giorno la cultura in una veste digitale. Secondo alcuni studiosi: “la cultura digitale la si odora perfino per strada, ne viviamo le potenzialità, ma anche le distorsioni e soprattutto ne stiamo apprendendo i linguaggi e i modi d’espressioni”4, in ciò l’immagine rappresenta oggi il linguaggio principe. Quindi, la comunicazione attraverso imuna rete di collegamenti tra i maggiori centri di ricerca univarsitari nel settore informatico. Nel 1969 nasce la rete Arpa, e lo stesso anno Bob Taylor migliora l’idea e l’obiettivo, consentendo una maggiore condivisione e comunicazione delle risorse informatiche. L’evoluzione successiva alla rete fu la posta elettronica nel 1972 ad opera di Ray Tomlinson. Solo nel 1986 che i collegamenti in rete si svilupparono maggiormente, costruendo negli Stati Uniti una serie di reti regionali. 3 World Wide Web, la ragnatela estesa quanto il mondo. Sviluppata da Tim Berners-Lee. 4 N. Ceccarelli, Progettare nell’era digitale: il nuovo traguardo tra design e modello, 2002, Marsilio, pag.20.
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magini è un fenomeno sociale diffuso nella contemporaneità che inevitabilmente influenza quelle discipline e pratiche che presiedono la produzione stessa d’immagini, sviluppando nuovi campi d’applicazione e nuovi spazi professionali. Tuttavia, tali influenze portano nuove
responsabilità a quelle professioni che hanno particolare rilevanza rispetto ai movimenti culturali e sociali in atto (Graphic Designer). Secondo le mie ricerche in campo lavorativo, l’approccio metodologico della progettazione grafica sta cambiando nel ruolo del “designer”, in quanto oggi
La velocità di visualizzazione, la riduzione dei tempi esecutivi, la possibilità di attingere immagini, idee, spunti e suggerimenti in tempo reale dal web tende a portare inevitabilmente il grafico digitale a considerare il computer sia come strumento operativo, sia partner artificiale creativo. 160
la presenza di molti mezzi di diffusione (media tradizionali e new media), costringe il grafico ad affidarsi esclusivamente al computer, distaccandosi dal lavoro manuale. Infatti, con il “personal computer” si è ridimensionato la mansione del grafico, perché al giorno d’oggi, i “software” sono i principali strumenti di lavoro, come un tempo erano la matita ed i pantone. Di conseguenza il lavoro progettuale perde alcune delle storiche fasi di lavoro, come il “finish layout” e l’esecutivo cartaceo. La velocità di visualizzazione, la riduzione dei tempi esecutivi, la possibilità di attingere immagini, idee, spunti e suggerimenti in tempo reale dal web porta inevitabilmente il grafico digitale a considerare il computer sia come strumento operativo, sia come partner artificiale creativo. Di conseguenza molti grafici hanno in qualche modo rinunciato a esercitare un controllo critico e cosciente sull’universo dei nuovi strumenti che, giorno dopo giorno assumono un ruolo importante nel loro lavoro, contribuendo a modificarne modalità, spazi e tempi. Le ragioni di tale atteggiamento sono
complesse e diverse, le obiezioni dei progettisti verso l’impiego delle macchine si appoggiano su argomenti ricorrenti e talora anche giustificati: Il rischio che il progetto si svilisca nel ricorso a soluzioni preconfezionate. Il fatto che i disegni prodotti al computer siano tutti uguali e troppo puliti. L’inadeguatezza degli strumenti e delle interfacce. La scarsa adattabilità di taluni sistemi.
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Nel processo progettuale tanti sono i quesiti a cui teorici e grafici cercano di rispondere per dare al processo stesso una direzione giusta. La prima a essere analizzata è la questione di metodo.
“questo è un problema cruciale, si dovrebbe guardare con un certo allarme alle facili mode. Raccogliere alcuni fili della matassa della storia per ricongiungerli al presente è utilie servizio” Giovanni Baule
Le riflessioni si sviluppano sul rapporto tra storia e cultura del progetto, e di come la presenza d’immagini, che riportano degli artefatti storici nella grafica del passato possano influire sul lavoro progettuale odierno, senza coinvolgere il grafico in ripetizioni nostalgiche, o mancanza di stimoli concettuali a scapito di
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un’interpretazione coerente al tempo, alla società e al valore del messaggio. Pertanto, secondo alcuni tra gli addetti ai lavori si sollevano altre questioni inerenti alla comunicazione e al progetto: Come ci misuriamo concretamente con la storia? Quale rapporto s’istaura tra storia e cultura del progetto? Osservando vari progetti in rete ho notato molto spesso che, alcuni lavori di grafica privilegiano l’aspetto formale, tendendo a evidenziare la funzione estetica e trascurando quella semantica, in questo modo non è difficile cadere in decorativismi, ad immagini autoreferenziali, dove il più delle volte il contenuto informativo è un pretesto per costruire linguaggi che vorrebbero presentarsi come messaggi d’alto va-
lore estetico. Inoltre, durante la mia ricerca ho notato che tra alcuni “designers” sorge una domanda di carattere critico: se la componente progettuale contemporanea sia effettivamente accompagnata da una conoscenza del linguaggio rapportato al proprio contesto. Costoro pensano che quando non esiste una sapienza registica forte o comunque consapevole (il che accade molto spesso nei giovani progettisti della grafica e del design), il risultato di alcuni lavori non può essere a volte compreso1. In tal senso, Giovanni Baule2 sostiene che: “questo è un problema cruciale, si dovrebbe guardare con un certo allarme alle facili mode. Raccogliere alcuni fili della matassa della storia per ricon1 Tipografia Russa: tra Costruttivismo e pensiero Grafico Moderno, 1993, Gravis, Pag. 86. 2 Teorico e professore di design al Politecnico di Milano.
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giungerli al presente è utile esercizio, al patto che questi fili non vengano tirati oltre misura, d’altra parte l’affrontare questi oggetti che fanno parte della cultura visiva consolidata, l’affrontare con troppo rispetto questi oggetti annullerebbe qualsiasi relazione tra testimonianza del passato e possibilità di agire nel presente. Noi abbiamo in qualche modo bisogno di tensioni nei confronti di questi oggetti, abbiamo bisogno di linee che servano a leggere il passato, ma anche di linee autonome che poi ci consentano di progettare e di lavorare nel presente”3. A ragion per cui, gli utenti della comunicazione non hanno bisogno di essere stupiti con effetti speciali4, ma di essere rispettati nel loro diritto a un messaggio chiaro e corretto. Per questo, la professionalità degli insegnanti e degli istituti di design è in grande aumento, diffondendo così a gli studenti, essenziali conoscenze sulle tecnologie in continuo mutamento, 3 G.Baule, Etica della Transizione, 2002, Lineagrafica, pag.35. 4 Spesso chi fa comunicazione resta affascinato dagli effetti insiti nei media e li adopera a danno della chiarezza della comunicazione.
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sulle esperienze di lavoro e tendenze più recenti. Una migliore istruzione secondaria ha portato molti più giovani ad apprezzare il ruolo del grafico: Copertine di dischi, video, manifesti, “T-Shirt”, spille, applicazioni per web, ecc, hanno creato un nuovo tipo di “prosumer”5 5 Da www.treccani.it, il portale del sapere. Prosumer è una parola macedonia(portmanteau) mutuata dall’inglese, è formata dalla composizione della parola professional oppure producer, con la parola consumer. Il termine sta assumendo molti e conflittuali significati: in ambito commerciale si tende a vedere il prosumer (professional–consumer) come un preciso segmento di mercato; gli economisti, invece, con prosumer (producer–consumer) identificano un individuo fortemente indi-
dotato di cultura visuale, per il quale il progettista grafico è diventato un affascinante esponente della cultura popolare. D’altro canto c’è chi arriva provocatoriamente a sostenere che il mestiere del progettista, del “designer” o dell’architetto potrebbero essere rimpendente dall’economia principale. In generale, si riferisce ad un utente che, svincolandosi dal classico ruolo passivo, assume un ruolo più attivo nel processo che coinvolge le fasi di creazione, produzione, distribuzione e consumo. Prosumer indica anche una nicchia di mercato nel campo della fotografia, del video e della registrazione Hi-Fi, relativa a prodotti in una fascia intermedia tra i modelli professionali e quelli amatoriali.
piazzato con software specializzati, ma di fronte a questa problematica, le organizzazioni umane sanno opporre capacità di reazione e adattamento, di conseguenza è superficiale pretendere che la trasformazione globale possa fermarsi sull’uscio degli studi di progettazione, perché nessun processo può uscire indenne dall’insieme di trasformazioni radicali che sta interessando la nostra società. Dunque, nello scenario attuale, elaborare soluzioni innovative, significa essere disposti a mettere in discussione la propria posizione (dovrebbe essere
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un imperativo culturale) per controbilanciare una comunità che si è fin qui dimostrata conservatrice e poco disposta a rischiare. Ma oggi, siamo in una situazione in cui il modello economico, sociale e politico occidentale è in grande difficoltà: si hanno recessioni, disuguaglianze, polarizzazioni tra nord e sud (Europa); molti problemi che rischiano di mettere in discussione la concezione stessa dell’organizzazione sociale, pertanto, il ruolo del “graphic designer” va cambiato, ripensando e ricollocando la sua funzione professionale. I problemi non riguardano più la committenza, ma il rapporto con la società: la progettazione grafica come servizi per il sociale; per cui, il grafico deve tener conto delle grandi trasformazioni che sono in atto e che rendono questo momento storicamente importante. Quindi, la strada per raggiungere quest’obbiettivo deve passare per la capacità d’uso di tutti i media (vecchi e nuovi), deve confrontarsi attraverso la lettura critica di documenti tradizionali e tecnologicamente avanzati, deve passare dallo studio dei maestri della comunicazione e della grafica, e a volte solamente fidarsi alla capacità di intuire (e anticipare) le tendenze del gusto o della moda, o di cogliere l’accostamento giusto di sfumature, colori e materiali, lasciando in secondo piano l’esperienza, in quanto per alcuni settori è molto più importante l’interesse per il nuovo. Per questo il creativo ha bisogno di operare nel suo tempo, con la ricchezza culturale che gli giunge dal passato e con una curiosità verso il nuovo, in un “mix” in cui passato presente e futuro si bilancino sulla frontiera della ricerca, dell’autenticità e dell’originalità del progetto. Per cui la figura del “graphic designer” d’oggi è molto importante, dato che la comunicazione passa attraverso la visualizzazione e l’organizzazione di segni, tali segni sono importanti per fare una buona grafica, perché migliora l’informazione e la crescita culturale di tutti. A questo proposito può risultare calzante il pensiero degli elementi progettuali di Manuel Estrada6: 6 Progettista grafico di fama internazionale.
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Il creativo ha bisogno di operare nel suo tempo, con la ricchezza culturale che gli giunge dal passato e con una curiosità verso il nuovo, in un mix in cui passato, presente e futuro si bilancino sulla frontiera della ricerca, dell’autenticità e dell’originalità del progetto. “Penso che lo stile sia una riduzione della qualità, se c’è un motivo per cui il design mi pare appassionante è quello di dover affrontare ogni progetto in maniera differente a seconda delle sue diverse implicazioni. Personalmente amo il disegno ma non lo utilizzo sempre, solo quando serve. I progetti non devono essere marchiati da una tecnica o da un’altra, mi preoccupo invece di evitare le mode, che a mio avviso rappresentano un pericolo per la cultura del progetto. Cerco di pulire il più possibile l’effetto delle contaminazioni che la cultura informatica ha impo-
stato”7. Qundi, consideriamo le nuove tecnologie e le tecnologie tradizionali per quello che sono: mezzi, mezzi per comunicare, mezzi per produrre, mezzi per fare ricerca, conoscerli e saperli usare può significare essere più liberi, meno condizionati, più aperti al dialogo con gli altri, significa anche saper essere utente consapevole del flusso informativo continuo e pervasivo che caratterizza il nostro tempo. 7 C.Branzaglia, TRACKS: esperienze di grafica progettata, 2003, Integrata, Milano pag.50. Sezione interviste.
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La progettazione digitale obbliga il creativo a continue riflessioni, e a un uso ancora più attento della comunicazione visiva, mediante nuovi sistemi linguistici e di possibilità espressive. Lo schermo interattivo utilizza nuove modalità di percezione e d’accesso alla comunicazione, obbliga la cultura del progetto tradizionale a mettersi in discussione, poiché le trasformazioni in atto esigono nuovi modi di costruzione del messaggio. Chi si addentra nello studio e nel lavoro del settore, deve conoscere i diversi campi d’azione e le diverse tecniche per affrontare la grande sfida della progettazione contemporanea. Nel territorio nazionale e internazionale si possono catalogare diverse competenze e tecniche che oggi non necessariamente riguardano direttamente la comunicazione visiva.
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In questo caso tendo ad analizzare i settori dove l’innovazione tecnologica e le nuove strategie comunicative contribuiscono maggiormente allo sviluppo di un ottimo progetto di design: Interaction Design, Motion Graphic, 3D Mapping e Guerrilla Advertising. Tecniche che si sviluppano velocemente, e che a mio avviso sono molto importanti da conoscere, perché saranno le tecniche principali del design in generale e della grafica pubblicitaria in futuro.
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Interaction Design, o progettazione dell’interazione, è l’attività di progettazione dell’interazione che avviene tra sistemi meccanici, informatici e essere umani. È una disciplina che appartiene all’ambito di ricerca dell’interazione tra uomo – macchina. Scopo fondamentale della progettazione dell’interazione è rendere possibile e facilitare al massimo per un’essere umano, l’uso e l’interazione con macchine digitali, e la fruizione di servizi e sistemi complessi in modo proficuo e soddisfacente. Le attività principali dell’Interaction Design si caratterizzano in quattro punti che possono essere espresse così: Identificare i bisogni e stabilire i requisiti. Sviluppare proposte di design che rispondano ai requisiti identificati. Costruire versioni interattive che possano essere comunicative e valutate. Valutare l’accettabilità.
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Lo scopo dell’interaction design è rendere possibile e facilitare al meglio l’uso e l’interazione con macchine digitali e esseri umani in modo proficuo e soddisfacente.
Questi quattro punti sono molto importanti per la creazione, lo sviluppo e distribuzione di questo mezzo molto innovativo quanto complesso. Per progettare qualcosa che aiuti le persone, occorre sapere prima di tutto chi sono gli utenti a cui ci rivolgiamo e quale tipo di sostegno un prodotto interattivo possa offrire loro. Questi bisogni costituiscono la base dei requisiti del prodotto e il terreno per la progettazione e lo sviluppo del prodotto stesso. Comprendere che cosa dovrà fare il prodotto che stiamo sviluppando e assicurarsi che supporti i bisogni degli utenti sono attività molto importanti nella fase di qualsiasi prodotto. La raccolta dati, intesa come questionari, interviste, “focus group”, workshop e osservazione sul campo, è una parte importante dell’attività di definizione dei requisiti. Parlando delle proposte di design, que-
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sta è la radice dell’attività di progettazione. Si tratta di generare idee che permettono di soddisfare i requisiti. Può essere suddivisa in due sotto attività: “Conceptual Design” e Progettazione Fisica. Il “conceptual design” si occupa di trasformare i requisiti e i bisogni degli utenti in un modello concettuale, una descrizione del sistema proposto in termini d’idee e concetti sul suo funzionamento, su cosa dovrebbe fare, come dovrebbe comportarsi e che aspetto dovrebbe avere per essere comprensibile dagli utenti nel modo previsto. La progettazione fisi-
ca, invece, entra nel dettaglio del prodotto, definendo i colori, i suoni, quali immagini usare, come organizzare i menu e quali icone scegliere. Il design fisico richiede la definizione concreta su questioni dettagliate di progettazione dell’interfaccia, come il design delle schermate, le icone da utilizzare, come strutturare i menu e così via. Il “Graphic Designer” ha un ruolo fondamentale nell’accompagnare queste scelte, per veicolare al meglio la navigazione dell’utente, tramite simbologie appropriate. Dopo la raccolta d’informazioni, svi-
luppare un’idea precisa di quello che il sistema dovrebbe o non dovrebbe fare, è una prassi importante per mettere in pratica le nostre idee, tramite la costruzione di prototipi. Il modo più semplice per gli utenti di valutare delle proposte è quello di interagire con esse, ciò implica lo sviluppo di versioni interattive delle proposte di design elaborate nell’attività precedente, anche senza la messa a punto di un software vero e proprio1. 1 www.treccani.it il portale del sapere. Simulare l’interattività attraverso prototipi di carta è possibile, perché è un mezzo rapido, poco costoso e
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Il momento finale, quello della valutazione, è il processo che permette di determinare l’usabilità e l’accettabilità di una proposta o la capacità di soddisfare i requisiti. Un processo d’Interaction Design efficace richiede un piano di valutazione che indichi come valutare un sistema nei diversi stadi del suo sviluppo, inoltre è necessaria per verificare se gli utenti possano utilizzare il prodotto e che lo trovino gradevole. Perciò l’obiettivo principale dell’Interaction design è rendere le macchine, i servizi e i sistemi, usabili dagli utenti per cui sono stati pensati e realizzati. Uno dei principali e normalmente più visibili campi d’intervento è la progettazione delle interfacce, attraverso cui avviene queste interazioni uomo-macchina. La creazione delle interfacce è sempre rapportata dal concetto di design fisico, cioè progettare interfacce che incoraggino l’esplorazione, vincolino e guidino l’utente nella selezione delle azioni appropriate. Gli aspetti identifica eventuali problemi prima della messa a punto definitiva.
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principali di questa fase riguardano: La progettazione dei menu: Se si vuole rendere l’applicazione di semplice utilizzo e in grado di fornire un’interazione soddisfacente per l’utente, si devono considerare alcuni punti importanti: le opzioni di uso più frequente devono essere posizionate nel menu in alto per evitare frequenti lunghi scorrimenti e occorre creare raggruppamenti logici, sulla base degli obiettivi dell’utente. La progettazione d’icone: Devono essere disegnate in modo che gli utenti possano prontamente coglierne il significato e in modo che siano distinguibili le une dalle altre.
La progettazione del layout dell’interfaccia: Riguarda il modo in cui l’attività da svolgere viene suddivisa in diverse schermate e il modo in cui le singole schermate sono presentate, al fine di
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rendere l’informazione pertinente disponibile al momento opportuno. Questo significa progettare pagine in cui l’attenzione dell’utente sia immediatamente guidata verso i contenuti principali. A questo proposito, il “designer” americano John Maeda2 è una delle figure di rilievo all’interno dell’Interaction Design, ha contribuito all’espansione e alla creazione di una nuova forma per proporre e produrre sistemi interattivi. John Maeda dimostra che il computer è 2 www.treccani.it il portale del sapere. Il lavoro di John Maeda nel campo del design e della tecnologia è incentrato sull’area in cui questi due ambiti si intersecano. el 1999 è stato nominato come una delle 21 persone più importanti nel XXI secolo da Esquire. Nel 2001 ha ricevuto il National Design Award for Communication Design negli Stati Uniti e il Mainichi Design Prize in Giappone.
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un mezzo potente che può essere usato per creare un design altrettanto potente; la condizione affinché questo accade è che, chi lo usa conosca in profondità questo strumento, quando non è addirittura lui stesso a programmarlo. Maeda propone dunque una via di mediazione tra arte e tecnologie sostenendo che è necessario entrare nella natura profonda del mezzo che si sta utilizzando invece di emulare con esso strumenti e tecniche tradizionali. Lui cerca di contrastare la percezione comune del computer come un oggetto fisico con mouse, tastiera, perché
l’identità vera di questo mezzo è nella sua natura profonda, matematica. “Il computer genera complessità. L’industria dei computer lo obbliga ad essere più veloce, migliore e potente di com’è al momento. Ma se consideriamo un computer non corrotto dal software, incapace di operare; non sarebbe più capace d’imporre complessità del granello di sabbia di cui è fatto. Come possiamo permettere alla macchina di esistere nel suo stato naturale e incorrotto, sbloccando la sua appa-
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rentemente infinita potenza?”3 Andare al codice significa andare alla radice, mentre l’uso tradizionale del computer si basa sulle interfacce grafiche che semplificano le operazioni che compiamo con esso ma allo stesso tempo rendono i suoi processi meno trasparenti4. Nonostante questa sia un’impresa troppo grande da portare a compimento per una persona sola, Maeda la persegue lavorando nel campo dell’arte, del design e attraverso l’insegnamento al MIT5. Lui cerca di cambiare la nostra comprensione del computer e di mostrarci la bellezza del codice, sentito solitamente come
3 dall’introduzione di John Maeda – ‘Maeda@Media’. The computer breeds complexity. The computer industry forces it to be faster, better, and more powerful than its at-that-second incarnation. But consider a computer that is untainted by software, incapable of operating: it would be no more capable of imposing complexity than the grains of sand from which it is made (silicon). How do we allow the machine to exist in its natural uncorrupted state, while unlocking its seemingly endless potential? 4 www.netart.com. Noi ci affidiamo a degli strumenti sperando che il loro comportamento corrisponda a ciò che una data icona “promette”. Ma cosa succederebbe se le interfacce tradissero la nostra fiducia? 5 Il Massachusetts Institute of Technology (MIT) è una delle più importanti università di ricerca del mondo, con sede a Cambridge, nel Massachussetts.
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qualcosa di estraneo e incomprensibile. A questo scopo scrive un libro nel 1999, intitolato ‘Design by Numbers’. Il suo obbiettivo non è suggerire che il design possa essere prodotto dalla macchina, cosa secondo lui impossibile perché il design è intuizione e talento, non intelligenza e regole. In questo libro Maeda introduce alle basi della programmazione attraverso un linguaggio fatto per attrarre visivamente e allo stesso tempo trattando di un codice che produce oggetti visivi. Tutto questo sforzo è motivato dal fatto che, solo entrando in questa nuova ottica e comprensione del mezzo informatico potremo apprezzare le opere che da esso nascono senza il bisogno di ridurle agli schemi tradizionali per valutarle e capirle. Infatti il medium informatico è diverso da tutti gli altri perché è l’unico in cui il materiale e il processo che dà forma a questo materiale, sono della stessa natura, cioè numeri. Nel XXI secolo l’applicazione dell’Interaction Design ai prodotti tecnologici di consumo ha aumentato la condivisione dell’esperienza e il coinvolgimento dell’utente. La nuova generazione di “smart products” (tecnologie dell’informazione integrate in strumenti di uso quotidiano) ha determinato anche, come già detto, un nuovo tipo di consumatore, che non è più solo semplice utente o cliente, ma diviene “prosumer” (contrazione dei termini producer e consumer) cioè fruitore attivo. Le più importanti aziende del settore elettronico-informatico da tempo investono nella ricerca e nello sviluppo di prodotti ad alto contenuto di interattività, con particolare riguardo alla tecnologia “multi-touch” (schermo multi-tattile).
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Quest’ultima consiste in uno schermo tattile, che riconosce più punti simultaneamente al tocco di una mano e prevede anche una parte “software” deputata all’interpretazione degli stessi punti. Infatti il “software” agisce riconoscendo la posizione, la distanza dei movimenti e l’interazione fra più dita o mani, così che l’utente possa interagire in modo fortemente intuitivo e legato alla gestualità più immediata. Il “multi-touch” è programmato per supportare anche diversi utenti che possono agire contemporaneamente sulla medesima superficie. La tecnologia “multi-touch” è stata applicata concretamente a un prodotto di consumo nel 2007, quando Apple inc. ha lanciato sul mercato iPhone e Microsoft ha presentato Surface. L’innovativo prodotto della Apple è un sistema di connettività che può fungere contemporaneamente da lettore multimediale, telefono, “brows-er web” e fotocamera digitale; è dotato di uno schermo “multi-touch”, che consente un tipo di fruizione immediata, intuitiva e molto semplice senza l’utilizzo di tastiera o pennino. La grande innovati-
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vità del prodotto iPhone consiste proprio nell’introduzione di un sistema di puntamento basato sull’utilizzo delle dita, che semplificano e rendono più diretto il controllo dell’interfaccia del dispositivo. Anche Microsoft Surface si basa su una tecnologia multi-touch, che viene inserita all’interno della superficie di un tavolo. Lo schermo di questo sofisticato prodotto è dotato di tecnologia capace di riconoscere oggetti fisici e può essere controllato e gestito, attraverso l’uso delle mani, anche da più utenti contemporaneamente. Con un tocco delle dita, per es., è possibile ridimensionare immagini, riprodurre video, consultare mappe digitali e interagire con il sistema, ap-
poggiandovi sopra oggetti fisici che vengono riconosciuti in automatico dal dispositivo. Il futuro dei prodotti tecnologici sembra tuttavia andare verso un superamento del modello di consumo finora evidenziato, in cui l’utente si trova a dover scegliere tra una gamma di oggetti messi in commercio dalle aziende. Infatti si stanno già sviluppando progetti in cui l’autonomia dell’utente è sempre più centrale, e si sta andando verso un modello di consumo evoluto che vede il fruitore sempre più protagonista dell’invenzione tecnologica.
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la Motion Graphic (in italiano grafica in movimento) coglie le caratteristiche cardine della materia, caratterizzata dalla messa in movimento di materiale grafico, dalla possibilità di generare effetti di luce, distorsione, traslazione, trasformazione, dalla possibilità di creare l’illusione 3D in spazi immaginari e fantastici e dalla capacità di gestire suoni e musiche proprio come i film che guardiamo abitualmente, raccontando una storia e trasmettendo un messaggio su più livelli: dal visivo all’emozionale, da quello cinetico-spaziale a quello uditivo. Quando parliamo di “Motion Graphics”, parliamo del movimento di elementi visivi creati dall’elaborazione, dalla creazione o dall’importazione a video, prodotti tramite procedimenti legati alla grafica computerizzata, all’animazione bidimensionale e tridimensionale. Quando parliamo di grafiche, spesso ci riferia-
mo a elementi bidimensionali, poiché sono bidimensionali le grafiche che vediamo sulla carta stampata, sono bidimensionali le grafiche che vediamo a computer, e quelle che abitualmente costituiscono i rivestimenti di strutture tridimensionali con cui abitualmente interagiamo.
Quando parliamo di Motion Graphic, parliamo del movimento di elementi visivi creati dall’elaborazione, dalla creazione o dall’importazione a video tramite procedimenti legati alla grafica computerizzata, all’animazione bidimensionale e tridimensionale. Le Nuove Sfide della Progettazione Contemporanea / Motion Graphic
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Quindi, non hanno una dimensione fisica di profondità, però, può essere resa attraverso le note regole prospettiche. Per dare una definizione, credo quindi sia giusto riferirsi alla motion graphic come a un tipo di “rappresentazione visuale elettronica digitale” (poiché viene visualizzata da apparecchi elettronici) che crea l’illusione del movimento o un apparente trasformazione di elementi visivi a partire da grafiche digitali computerizzate tramite procedimenti video e/o d’animazione, sfruttando le possibilità del computer di
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effettuare un cambio di immagine tramite un procedimento di “tweening”1. Molti sono gli ambiti in cui si può utilizzare la “motion graphic”: nell’ambito degli eventi, ovvero intervenire nella creazione di scenari e scenografie in movimento per spettacoli teatrali, sfilate, performance musicali, in ambito cinematografico per la generazione di effetti speciali nei film o nei titoli di apertura, in ambito pubblicitario nel1 Da www.davidecarpin.net. il computer in un momento specifico crea dei frame intermedi tra due immagini per dare l’apparenza che la prima evolva uniformemente nella seconda immagine.
la creazione di video per la pubblicazione web, televisiva, e nel campo artistico, nella generazione di racconti visivi dal forte contenuto emozionale o come parte visiva di un video musicale. A questo proposito, MTV, che con il suo stile giovanile, underground e musicale/ artistico, ha permesso una grande diffusione di tale tecnica, rendendola quasi un’espressione artistica. Il primo promo prodotto da MTV fu quello di presentazione per se stessa, quella con Neil Amstrong che mette la bandiera dell’emittente sulla luna, in data 1981; questo è solo il primo della strabiliante
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raccolta di promo che MTV produce costantemente. Negli ultimi anni ha iniziato a cambiare i propri promo al ritmo di ogni stagione, arrivando a strutturare al meglio una certa forma espressiva, riconoscibile e con caratteristiche ormai note (anche se in continua evoluzione). Inizialmente gli promo servivano ad intrattenere e contribuivano a dare un’immagine forte e dirompente alla rete, risultando irriverenti, strani ed eccentrici; essi entusiasmavano, ed entusiasmano tutt’ora, il pubblico della rete rendendo più gradevole lo stacchetto pubblicitario che lo segue o che lo precede. Questi primi risultati contribuirono a stimolare i rapporti tra MTV, i pubblicitari, le major discografiche e gli ascoltatori. I primi promo erano strabilianti, erano una commistione di animazione e video, e il bello dei bumper2 era che il logo era sempre diverso nel colore e nella rappresentazione (molti di questi sono passati ormai alla storia, come 2 www.treccani.it il portale del sapere. Il termine bumper pubblicitario indica un breve annuncio, filmato o animazione che precede una sequenza di spot pubblicitari televisivi o radiofonici, la chiude oppure separa uno spot dall’altro.
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oggetto di studio e ricerca). I bumper d’adesso hanno fatto passi da gigante nella realizzazione grafica, in continuo cambiamento, avvicinandosi sempre di più all’animazione 3D, con la rappresentazione di texture sempre più veritiere. I bumper di MTV dettano legge nel mondo della grafica, del video e nell’utilizzo di determinati software di progettazione; in molti cercano di emulare il suo lo stile, i suoi effetti e la sua freschezza e questo fa di lei una vera e propria emittente di tendenza. Il continuo rinnovo della grafica e dei promo è alla base della strategia
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creativa di MTV, cioè quella di destare interesse curiosità ma essere sempre riconosciuta. Grazie ad MTV, vorrei citare uno dei “Motion Designer” che ha contribuito all’affermazione della “Motion Graphic” nel campo commerciale ed artistico, Matt Pike. Nato in Inghilterra, Matt Pike è fondatore e direttore creativo dello studio d’animazione Universaleverythings. Influenzato dal disegno, dalla pittura ed olio e dai sistemi analogici quali telecamere, registratori ecc, il suo lavoro si basa sulla realizzazione di forme organiche che interagiscono con mezzi analogici e digitali, esaltandone una forza astratta senza tempo. All’inizio del XXI secolo, le sue sperimentazioni si spostano verso altri media applicativi, come la “Motion Graphic”, Grafica 3D e la “Motion Capture”3. Con l’uso di de3 www.thecreatorsproject.com. Il termine motion capture (in italiano, “cattura del movimento”), a volte noto, specie tra gli addetti ai lavori, anche con l’abbreviazione mocap, indica a seconda del contesto un’area di ricerca, che studia appunto i meccanismi per la cattura del movimento o il processo stesso di acquisizione del movimento. Nei casi in cui è un attore in carne ed ossa a formire questi dati al computer, ci si riferisce alla motion capture più precisamente con il termine performance capture. Il dispositivo utilizzato per
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terminati mezzi, il “designer” mischia la freddezza delle forme geometriche (realizzate al computer) con immagini che provengono dalla quotidianità di ogni essere umano (camminare, movimenti sinuosi, danza, ecc), cercando di creare un rapporto visivo tra realtà e virtualità. Dal 2004 al 2009, Matt Pike insieme al suo staff collabora con MTV nella real’acquisizione del movimento è un sistema fotogrammetico, ovvero un sistema di più telecamere che sono anche emettitrici di luce (che può essere rossa, infrarossa o near-infrared) e di marcatori (piccole sfere) di materiale riflettente.
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lizzazione di bumper. Realizzano video della durata di 10 secondi in cui vengono rappresentati immaginari surreali di estrema qualità visiva. I video evocano l’essenza e lo stile del brand, ma, allo stesso tempo ha contribuito a dare alla “Motion Graphic” molta importanza di quanto ne aveva in passato. Perciò, dal punto di vista tecnico, la “motion graphic” richiede forte professionalità agli addetti ai lavori e un notevole impegno anche a livello di spesa iniziale per acquistare elaboratori particolarmente performanti che possano reggere “rendering” lunghi e pesanti,
inoltre, a scoraggiare la maggior parte dei “designers” c’è l’alto costo dei software di settore, indispensabili per una buona resa del lavoro. Tuttavia la “motion graphic” commerciale non resterà in mano alle grandi agenzie specializzate, visto che sempre maggiori sono le potenzialità dei “personal computer” e sempre minori stanno divenendo i costi d’acquisto e gestione degli stessi, ma negli ultimi due anni, si è aperta la possibilità di acquistare questi prodotti altamente specifici a prezzi vantaggiosi con sconti di tipo “educational” per gli studenti
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e si sono aperte possibilità sempre maggiori di testare i software con delle licenze provvisorie appositamente pensate per l’apprendimento. Non diverso è il discorso in campo artistico in cui solitamente i software di settore vengono utilizzati per lo più da artisti d’esperienza, ma anche qui sembrano esserci forti segnali di movimento e di sperimentazione che arrivano dal web dove se è pur vero che i migliori risultati vengono da materiale condiviso da artisti noti e/o da
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esperti di settore, è anche importante notare come timidamente si affaccino tentativi di ricerca da parte di nuovi utenti che seppur non ancora totalmente formati cercano di sfruttare le forti potenzialità espressive offerte dalla “motion graphic”.
La Motion Graphic richiede forte professionalità e un notevole impegno anche a livello di spesa iniziale, per acquistare elaboratori particolarmente performanti che possano reggene “rendering” lunghi e pesanti. Le Nuove Sfide della Progettazione Contemporanea / Motion Graphic
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Il 3D Mapping è una pratica progettuale e artistica che si sta manifestando con grande rilievo nel panorama della comunicazione visiva attuale, tale attività si sviluppa in maniera preponderante nella scena culturale contemporanea, che può svilupparsi nell’ambito museale (inaugurazione museo, ricorrenze storiche, eventi di carattere sociale, ecc), e istituzionale, al tempo stesso è molto richiesta nel settore pubblicitario, che dinanzi a questo nuovo modo alternativo e accessibile di fare pubblicità, permette ottimi risultati nella “free media coverage”1, ed è un’efficace campagna 1 Tratto dall’articolo, Project Mapping: gli esempi più cool , i migliori esempi delle più fantasmagoriche iniziative di project mapping in giro per il mondo, www.ninjamarketing.it. Free Media Coverage: ovvero la copertura sui media dovuta a immagini e video che il pubblico realizza e che immette poi sul web creando ottime opportunità di buzz e viral.
che tende ad emozionare e coinvolgere in poco tempo un gran numero di persone attraverso un linguaggio nuovo e originale, incrementando di conseguenza la “brand equity”2 di ogni azienda. 2 Da www.treccani.it, il portale del sapere. Il patrimonio di marca o valore del marchio (conosciuto anche con il termine inglese brand equity), è una risorsa immateriale d’impresa che si fonda sulla conoscenza di una marca da parte di un determinato mercato. Esso può essere definito come lo stato, in un dato momento, della relazione instaurata tra una determinata offerta e una domanda. Esprime il valore della marca in condizioni di funzionamento sintetizzando la forza di una marca sul mercato di riferimento. Le determinanti della brand equity sono molteplici ma possono essere riassunte in: valori di marca, tratti distintivi, riconoscibilità, personalità di marca, coerenza delle manifestazioni, fedeltà alla marca, conoscenza di marca, qualità percepita, associazioni di marca, altre tipicità.
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Il grande sviluppo tecnologico del primo decennio del XXI secolo ha permesso un’ampia conoscenza e diffusione di tali tecnologie, che spaziano dai “software” di modellazione 3D, di post-produzione, di composizione audio, e dai vari proiettori di diverso formato a prezzi considerevoli. Tecnicamente, il “designer” opera nella superficie degli oggetti, che vanno dalle architetture, a spazi interni, a oggetti d’uso quotidiano, di trasporto, fino ad arrivare alla natura stessa, scansionando e mappando il piano in cui operano, in modo tale che i sistemi
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digitali le fanno interagire in modo realistico con ogni punto della scena, riconoscendo gli spigoli o le forme degli oggetti presenti. Essendo una pratica nata da poco, la sua origine è di recente data, infatti tale tecnica proiettiva è apparsa nel 2005 nell’ambito di ricerca dei “visual designers” nei festival di musica sperimentale ed elettronica. Dal 2006 ad oggi si è diffuso principalmente in Francia: a Digione è presente a la Fête de Noel nel 2005, a Lille nel 2009 a la
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Nuits Sonore e Le Paysage Electronique. Nel 2008 in Germania in occasione di un’apertura notturna del Museo d’Arte Contemporanea d’Amburgo, il gruppo tedesco Urbanscreen proietta in 3D sulla facciata dell’edificio di Ungers e, a Bruxelles a Le Nuits Blanches i francesi AntiVj sono presenti con le loro suggestive installazioni. Attualmente gli studio che si dedica-
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no al 3D Mapping sono aumentati a dismisura, soprattutto nel panorama europeo, dove ogni collettivo di “visual design” interpreta un approccio personale allo spettacolo visivo, che può svilupparsi al solo proiettare oggetti statici, al gioco di luce, alla spettacolarizzazione dell’effetto audiovisivo, al semplice effetto speciale o alla ricerca storica e antropologica dell’oggetto da
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proiettare. A questo proposito espongo un esempio di “3D Mapping” e “visual design” parlando di un caso italiano. A Bologna, a partire dal 2007 esiste un collettivo di video artisti: Apparati Effimeri3, uno degli studi di “visual design” più interessanti in Italia e da considerarsi pioniere per quanto riguarda le pratiche del 3D Mapping. Infatti il gruppo d’artisti si occupa di “Architectual Mapping”, “Interior Projection”4, “Garden Projection”5, “Live Media”6, “Advanced Presen-
tation”7, “Mobile Application Development”8, inoltre di “interaction Design”, “Object Projection” e di stereoscopia9. Influenzati dal concetto di suscitare meraviglia e spettacolarizzare il momento della festa (intesa come
3 S.Reccia e G.Turra, Apparati Effimeri: un caso italiano di Mapping 3D, 2010, www.ospiteingrato. org.
8 Da www.apparatieffimeri.com Per Iphone, Android, Ipad e altri supporti mobile.
4 Da www.apparatieffimeri.com. E’ la tecnica di proiezioni ad alta risoluzione per ripensare e progettare spazi interni, creando ambienti virtuali fantastici e sorprendenti. L’interior projection è indicato soprattutto per il visual merchandising (Lanci di nuovi prodotti e di Store) e per i grandi eventi promozionali, ma è utilizzato anche per gli allestimenti di mostre e le manifestazioni culturali che si svolgono in spazi chiusi. 5 Da www.apparatieffimeri.com. E’ una proiezione pensata per animare giardini e parchi, creando un’atmosfera da sogno, magica e favolosa. La Garden Projection ricrea le forme e le prospettive di piante, fiori e aiuole che compongono il giardino. Allo spettatore sembrerà di vivere in una favola, lo spazio esterno si animerà di nuovi colori e forme. 6 Da www.apparatieffimeri.com Live media è una visual performance live in cui il sound e il light
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design sono sincronizzati per fondersi all’unisono creando ambientazioni suggestive. 7 Da www.apparatieffimeri.com E’ l’alternativa alla classica presentazione slide show e rende più efficace le comunicazioni pubbliche, divulgative e scientifiche. La presentazione risulterà più coinvolgente e incisiva. L’advanced presentation facilita la ricezione di qualsiasi messaggio: anche i contenuti più difficili saranno facilmente assimilabili.
9 Da www.apparatieffimeri.com Apparati Effimeri propone con la stereoscopia un modo nuovo di concepire la scenografia, combinando oggetti reali e immagini virtuali per creare contenuti di grande impatto visivo in grado di rispondere alle esigenze allestitive e di marketing del settore della distribuzione. La visione stereoscopica diventa di per sé un evento. Il solo fatto di ricevere occhiali specifici per assistere alla proiezione rende l’evento memorabile per l’utente. Quando poi una platea si trova immersa in una dimensione in cui gli oggetti sono alla portata di ogni singolo spettatore, l’emozione genera curiosità e attenzione. Il messaggio diventa efficace e permanente. Lo sviluppo e l’implementazione di sempre maggiori servizi basati sulla tecnica stereoscopica è tra i principali obiettivi di Apparati Effimeri. Un concept nuovo per il mondo della produzione che potrà trovare, nelle tecnologie all’avanguardia, nuovi strumenti di marketing.
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momento sociale) tipica dell’Arte Seicentesca10, pongono al centro del loro lavoro l’esigenza di attualizzare un medium/modus di intendere tale momento e lo spazio urbano prove10 S.Reccia e G.Turra, Apparati Effimeri: un caso italiano di Mapping 3D, 2010, www.ospiteingrato. org. La festa, per il suo carattere effimero, era luogo privilegiato in cui questa tendenza aveva modo di esprimersi. Lo spazio urbano, già ricco di scenografiche architetture, veniva totalmente teatralizzato. Movimenti, suoni, luci e immagini realizzate appositamente da grandi artisti modificavano per qualche giorno le strade cittadine, creando un gioco di inganni e disinganni. Era il momento in cui la città esibiva se stessa attraverso maschere di cartapesta, apparati posticci, archi di trionfo, alberi della cuccagna, fuochi d’artificio, e decorazioni effimere applicate a palazzi e chiese.
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niente dal passato, in grado di creare un forte coinvolgimento emotivo. Pertanto, il collettivo riflette sull’estetica cinque-seicentesca della teatralità e della festa, riproducendo il semplice gesto simbolico di ‘portare il proiettore fuori’, nello spazio pubblico. In questo modo comunicano con la città, appropriandosene momentaneamente, rendendo unico e indimenticabile il messaggio audiovisivo proiettato, con ciò, la filosofia progettuale di Apparati Effimeri riesce a fondersi perfettamente a ogni tipo di lavoro commissionato. Per intendere al meglio la pratica del
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“3D Mapping”, espongo i lavoro dello studio bolognese: Nel novembre 2009 il collettivo è chiamato a partecipare al Glow Festival di Eindhoven realizzando un Architectural Visual Mapping sul NRE Building. In questa occasione, gli artisti si trovano ad essere i soli a rappresentare il nostro paese in quest’importante rassegna internazionale, che dal 2006 unisce i maggiori light designers. In questo caso il gruppo artistico si confronta con un edificio contemporaneo. Il lavoro degli artisti vuole contribuire alla rivalutazione e alla conoscenza di ciò che manipolano, più che alla sua “glorificazione” monumentale. In questo senso la loro opera si configura come arte pubblica. Urban Reflex, titolo della perfomance, riflette sul movimento di una città
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in costante crescita, usando il display dell’edificio e quello dello specchio d’acqua ai piedi dell’architettura. Stimolati dai cantieri di una “città che sale”, Apparati Effimeri aumenta il ritmo dell’opera, creando rotture e interruzioni visive e giocando con la presenza dell’acqua, elemento legato al carattere identitario degli olandesi.
Il lavoro di Apparati Effimeri vuole contribuire alla rivalutazione e alla conoscenza di ciò che manipolano, piÚ che alla sua glorificazione monumentale.
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Il termine “guerrilla” evoca furtive operazioni di guerra. Intesa appunto come mossa vincente di controcultura che permette di fare comunicazione parallela da parte di tutti coloro che non hanno accesso ai media tradizionali. Guerrilla come tecnica e strumento di critica radicale dei luoghi comuni e degli stereotipi sociali, di lotta alla cosidetta “grammatica culturale”, cioè all’insieme di regole e convenzioni che strutturano i rapporti sociali e producono vincoli di potere e comando. La controcultura tramite la guerrilla cerca di eliminare l’ovvietà della legittimità del potere e dell’ordine dominante combattendo i rapporti di dominio, sessismo, razzismo, capitalismo. Tutto questo viene fatto principalmente attraverso azioni che ridefiniscono semanticamente il significato di elementi e concetti so-
cialmente condivisi Alla fine degli anni ’90 fu applicato a un genere di provocatorie campagne pubblicitarie cittadine, nota come NBDB (never been done bifore, “mai fatte prima”). Nascono dei movimenti o collettivi che si definiscono “cultural jammers”, dei sabotatori culturali. Rodriguez De Gerada è largamente riconosciuto come uno dei fondatori più capaci e creativi del culture jamming. La sua azione consiste nel parodiare annunci pubblicitari e nel deturpare i cartelloni per alternare drasticamente il messaggio. La contraffazione di annunci pubblicitari è diventata lo strumento ideale di condanna delle società multinazionali. I sabotatori partono dal presupposto che tutti hanno diritto a rispondere a immagini che non hanno mai chiesto di vedere, dato che le strade sono spazi pubblici e dato che la maggior
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parte dei cittadini non può permettersi di controbattere ai messaggi lanciati dalle aziende con degli annunci propri. Questo implica l’affissione più o meno vandalica di messaggi su luoghi e oggetti di norma privi di pubblicità, come bucce di banana o perfino disinfettanti per wc. I metodi guerrilla furono ideati per motivi pratici, come metafora per combattere la banalità della vita quotidiana, e tramite varie modalità, induce l’uomo a porsi in modo critico rispetto all’ambiente in cui vive ogni giorno; che ha bisogno di creare conflitto emotivo, mentale e sociale per
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sorprendere e stupire il pubblico anestetizzato dalla spettacolarizzazione della nostra epoca. All’inizio questi approcci furono utilizzati da gruppi politici che avevano accesso limitato o nullo ai mezzi di comunicazione di massa. La via fu trovare una maniera alternativa di fare comunicazione, ricorrendo a strategie non-convenzionali. Parafrasando la massima di Mao Tse Tung, il moto del guerrilliero diventò: Se il competitor avanza, ritirati. Se il competitor si ferma, disturbalo.
Se il competitor è stanco, attaccalo. Se il competitor si ritira, inseguilo. Il competitor, ovvero il nemico, è un target da colpire e indebolire costantemente. Fu così che questa guerrilla divenne la metafora per indicare un nuovo tipo di “advertising” nel quale, invece di investire soldi, s’investono tempo, energie e immaginazione. Attraverso l’originalità e l’imprevedibilità, utilizzando differenti canali piuttosto che uno solo, per quanto potente esso sia, la guerrilla advertising riesce
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ad essere ovunque e comunque. Questa modalità parte dal presupposto che le idee originali sono spesso a portata di mano, ma si è talmente abituati a guardare dentro gli schemi precostituiti che non si riesce a vederle. Per cui se il compito del guerrilliero è comunicare con il target in modo diverso e originale, per farlo deve trasformarsi in un grande osservatore dei fenomeni che ci circondano; l’obiettivo è captare il dato imprevisto che diventa strategico, che fornisce l’occasione per lo sviluppo di nuove strategie e mezzi, che porta all’ampliamento di strategie già esistenti, oppure a nuovi modi di utilizzare vecchi mezzi, ma anche, nuovi mezzi. La campagna di Amnesty International in Germania contro traffico di essere umani (una valigia trasparente con una donna intrapolata al suo interno) rappresentò un modo indimenticabile per ricordare alla gente l’orrore dello sfruttamento sessuale. Dal punto di vista commerciale, l’irriverente agenzia di New York Kirshenbaum Bond Senecal + Partners, dipinse sui marciapiedi di New York nel 2007 lo slogan From here it looks like you could use some new underwear per un marchio di abbigliamento intimo. Un anno dopo l’agenzia di Seattle Creature creò
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la cosidetta campagna del “buon samaritano” per Starbucks, applicando in modo instabile tazze di carta rossa sui soffitti di decine di taxi: se il “buon samaritano” avvertiva il passeggero del taxi della presenza della tazza prima di andarsene, avrebbe ricevuto un buono regalo da Starbucks. Durante la stagione di baseball del 2007, l’agenzia Ogilvy & Mather applicarono sottili pellicole in plastica sui finestrini di alcune automobili, che sembravano così essere stati infranti da una palla da baseball; promuovendo i New York Mets.
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CONCLUSIONE
La nuova cultura visiva, e le nuove tecniche di diffusione sono fondamentali per costruire, diffondere ed allargare la cultura e l’informazione, perchè permettono di raggiungere traguardi lontani, mete comuni e compatibili con lo sviluppo dei popoli sostenibili per il pianeta. Attualmente la società del consumo è diventata società delle informazioni, e con il tempo, credo che si andrà trasformando in una società ludica, dove il “design” arriverà ad essere spettacolo attraverso una ricerca più attenta alla sensibilità ed al desiderio di gioco dell’utente, dove la parte sinistra del
cervello1 sarà sempre più stimolata. Credo che il linguaggio sarà sempre più caratterizzato da un tipo di comunicazione frammentata, con ritmi accelerati e emozioni intense (tipica della lettura informatica), in cui lo spettatore potrà esaudire i propri desideri su misura. Per questo motivo noto che il nostro tempo sta cambiando, il gusto per il “Graphic Design” sta cambiando, perchè le scelte progettuali che si fanno oggi per un lavoro, sono differenti da quelle che avresti fatto negli anni passati per lo stesso lavoro. 1 Che afferisce all’universo e della sensibilità emotiva.
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Qundi, quello che abbiamo ora è un ambiente in cui l’idea stessa di comunicazione visiva, di progettazione grafica e di “new technology” sono accettate da molte più persone, la capiscono. Cominciano a vedere il “design” come un’espressione nella identità della società. Un esempio classico sono questi “social network” come Facebook, Twitter, Tumblr, Myspace e molti altri, dove possiamo personalizzare il profilo. Possiamo cambiare lo sfondo, mettere foto, cambiare i caratteri, inserire un nostro video o video di altri, ecc. Queste scelte, queste decisioni che prendiamo, diventano espressione di
quello che siamo, cominciamo a preoccuparcene, nello stesso modo in cui ci vestiamo, ci tagliamo i capelli, come arrediamo i nostri appartamenti e tutto questo genere di cose. Abbiamo accettato l’idea della nostra identità espressa in questa maniera, attraverso queste scelte da consumatore/fruitore. Bene, ora sta accadendo nella sfera della comunicazione, e mentre gli strumenti a nostra disposizione continuano a migliorare di continuo, non c’è ragione di migliorare noi stessi sempre di più.
Conclusione
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BIBLIOGRAFIA (In ordine cronologico) Professione Graphic Designer B. Cotton, Ikon - 1991 Tipografia Russa: tra costruttivismo e pensiero grafico moderno Gravis - 1993 Designer o Giovani Designer: una nuova professione tra etica e ambiente Vanni Pasca e Viviana Trapani Lupetti, Milano - 2001 Etica della Transizione Giovanni Baule Lineagrafica - 2002 Progettare nell’Era Digitale: il nuovo rapporto tra design e modello Nicolò Ceccarelli Marsilio - 2002 Tracks: esperienze di grafica progettata Carlo Branzaglia Mondadori, Milano - 2003 La Grafica tra Marketing e Progetto Maria Priviteria, Rita Soccio e Tiziana Peraglie Clitt, Roma - 2003 Le Nuove Terre della Pubblicità a cura di Gabriella Ambrosio Maltemi, Roma - 2005
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Corporate Image: un secolo di immagine coordinata dall’AEG alla Nike Vanni Pasca e Dario Russo Lupetti, Milano - 2005 Storia del Design Grafico Daniele Baroni e Maurizio Vitta Longanesi, Milano - 2007 Anatomia della Grafica Steven Heller e Mirko Ilic Logos, Modena - 2009 Free Graphics: la grafica fuori le regole nell’era digitale Dario Russo Lupetti, Milano - 2009 Sei Proprio Il Mio Typo Simon Garfield Ponte delle grazie, Milano - 2012 100 Idee che hanno cambiato il Graphic Design Steven Heller e Veronique Vienne Logos, Modena - 2012
Bibliografia
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SITOGRAFIA (In ordine cronologico) - www.apparatieffimeri.com - www.davidedecarpin.net - www.designerblog.com - www.ddbo.it - www.designerrobserver.com - www.edueda.net - www.motiongrapher.com - www.netart.com - www.nevillebrody.altervista.org - www.ninjamarketing.it - www.ospiteingrato.org - www.sapere.it - www.sitographic.it - www.treccani.it - www.universaleverythings.com - www.wikipedia.it - www.3dmapping.it
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Sitografia
FILMOGRAFIA (In ordine cronologico) Helvetica, regia di Gary Hustwit - 2007
Filmografia
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Un ringraziamento forte va a tutta la mia famiglia, che con la loro disponibilità mi hanno supportato in alcuni momenti difficili durante la stesura della tesi e mi hanno dato la forza di andare avanti. Un ringraziamento va al Professore Danilo Danisi, che in questi tre anni mi ha sopportato e aiutato nella mia formazione didattica e non. Grande riconoscenza va a Stefania Reccia, che mi ha aiutato a tradurre le mie idee in una tesi leggibile per le persone che non sono del settore. Ringrazio Apparati Effimeri per avermi dato la possibilità di operare in un nuovo settore comunicativo, dandomi l’ispirazione per la stesura della tesi. Un caloroso ringraziamento va a tutti i miei amici e conoscenti, che mi hanno fatto trascorrere momenti indimeticabili, e mi hanno aiutato a diventare quello che sono oggi. Un grazie a tutti. Renato Buono
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Ringraziamenti
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